16 marzo `56, Scituate adotta la nave Etrusco
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16 marzo `56, Scituate adotta la nave Etrusco
{TAB-1-1603-5} Wed Mar 15 18:48:06 2006 ALBUM CULTURA, SPETTACOLI, MODE E PERSONAGGI 16 marzo 2006, Giovedì ● 31 GENOVA Moni Ovadia e Boccadoro note ebraiche al Modena 16 marzo ’56, Scituate adotta la nave Etrusco Il tratto di costa in cui la nave Etrusco si arenò Moni Ovadia e Carlo Boccadoro omani alle 21 al teatro Gustavo Modena di Sampierdarena in scena “Di Goldene Medine”, D l’influenza della canzone ebraica nella canzone americana del ’900, con Moni Ovadia (voce) e Carlo Boccadoro (pianoforte). È di vecchia data il sodalizio musicale tra Moni Ovadia e Carlo Boccadoro, cominciato con il recital “nigun” (melodia interiore), diventato anche un disco, sviluppato lungo diverse direttrici che ha portato Moni Ovadia a collaborare con il gruppo “Sentieri Selvaggi” diretto da Boccadoro e quest’ultimo a creare arrangiamenti e composizioni originali per gli spettacoli di Moni Ovadia. Un episodio significativo del sodalizio è stata la “Cantata su melodie yiddish” per voce recitante, cantante e orchestra sinfonica commissionata a Boccadoro dall’orchestra dei “Pomeriggi Musicali” che ha debuttato alla sala Verdi del Conservatorio di Milano con la direzione dello stesso Boccadoro e l’interpretazione di Moni Ovadia. Dopo ripetute esperienze di vario genere Boccadoro e Ovadia hanno deciso di ritornare alla formula del duo per esplorare gli sviluppi della melodia yiddish e dell’humus musicale ebraico esteuropeo nel passaggio dallo shtetl, la piccola città nel cuore dell’Europa centro-orientale cuore del genio della yiddishkeit, all’America. L’emigrazione degli ebrei verso gli Usa fu una vera epopea di popolo provocata dalla fame e dalle persecuzioni. “Di goldene medine” (la nazione d’oro, così venivano chiamati dagli ebrei orientali gli Stati Uniti) è un primo sguardo rapsodico, per grandissimi passi, sul multiforme incontro della musicalità e della poetica dello yiddish con il nuovo continente. Attraverso le canzoni, le musiche e le parole il pubblico passerà dalla piccola patria esilio, allo sradicamento verso un nuovo esilio, ad una stabile ma contraddittoria appartenenza americana. Uno speed date per donna sola un incrocio tra il noto programma “Uomini e Donne” di Maria De Filippi e il diffuso È “Speed Date”, vero e proprio fenomeno di costume nei locali di tutto il mondo. La proposta per aspiranti anime gemelle viene dal “Planet Food & Music Bar” di Albaro (via Trento 79r, 010/3624574, www.planetgenova.it), dove sabato sera esordirà il Karen Speed Date, appuntamento sentimental giocoso che si protrarrà per quattro settimane. «L’idea è nata dalla protagonista stessa — spiega il titolare, Luca Traverso — la bellissima Karen». Commessa, 25 anni, di indubbio fascino, lei sostiene di non riuscire a trovare un fidanzato che faccia al caso suo. Noi, però, abbiamo qualche dubbio. Sta di fatto che da sabato potrà circondarsi di una vera e propria schiera di corteggiatori, che dovranno farsi largo nel suo cuore secondo i meccanismi del gioco, in programma dalle 22.30 all’1. Unico requisito richiesto, un’età compresa tra i 25 e i 35 anni. Il resto sarà tutto da vedere, con miniappuntamenti al tavolo della “tronista”, in cui tre spasimanti per volta potranno parlare con lei per 10 minuti. Un tempo breve ma fondamentale, poiché al termine Karen eliminerà il componente del trio che l’ha colpita di meno. E così via, fino a trovare, come si augurano gli organizzatori, il compagno giusto. La nave Etrusco dell’armatore genovese Marino Querci arenata sulla spiaggia di Scituate, nel Massachusetts Giovanni Belfiore era l’allievo ufficiale MASSIMO ZAMORANI al naufragio al mito. Il comandanD te Giovanni Belfiore, genovese, rivive la grande avventura di cinquant’anni or sono, 16 marzo 1956, quando aveva diciannove anni, capitano di lungo corso appena diplomato, imbarcato come allievo ufficiale di coperta sul cargo Etrusco dell’”Italica di Navigazione” di Marino Querci. Il suo primo imbarco risaliva però a quattro anni avanti, quando da allievo nautico quindicenne era stato accettato a bordo della petroliera Miriella, della quale il padre era direttore di macchina, nave che aveva avuto il suoi momento di celebrità quando aveva forzato il blocco per raggiungere l’Iran. «L’ Etrusco era un “Liberty” canadese — ricorda il comandante Belfiore — diecimila tonnellate di portata, salpato dal porto germanico di Emden alla fine di febbraio 1956 e diretto a Boston per imbarcare grano». La nave era dunque “in zavorra”, cioè scarica e questo fatto si rivelerà determinante. La traversata dell’Atlantico era avvenuta tranquillamente: tempo buono e mare calmo fino al traverso di Capo Cod. Erano ormai a tre ore di navigazione da Boston, quando improvvisamente si è levato un vento forte da Nordest e il mare ha preso ad agitarsi. I piloti bostoniani hanno comunicato che il porto era chiuso per l’imperversare del maltempo in crescita e hanno suggerito al comandante Gaetano Traini di dirigere a ridosso del Capo Cod. «Ero in plancia con il primo ufficiale per il turno di guardia dalle 16 alle 20 — continua Belfiore — il vento rinforzava, il mare cresceva a vista d’occhio. Si è scatenata poi una furibonda tempesta di neve e la visibilità era ridotta a zero. In questa condizioni e senza radar l’avvicinamento a Capo Cod era proibitivo, allora il comandante ha deciso di portarsi al largo e ha fatto rotta per Levante. La nave, che era “vacante”, a causa dell’accentuato beccheggio sollevava la poppa e l’elica girava a vuoto. Governare diventava sempre più difficile, al punto che la nave è marrivata a traversarsi rispetto all’onda. È stato chiesto un rilevamento al fine di determinare la posizione, ma la stazione a terra non ha dato corso alla richiesta, forse per sottrarsi a eventuali responsabilità. Non c’era al- Il modellino dell’Etrusco esposto nel museo di Scituate dedicato all’incidente del 16 marzo 1956 tro da fare che portarsi al largo, verso il mare aperto, ma il mantenere la rotta per est era diventato impossibile, la nave scarrocciava verso Sud». Il braccio di ferro tra la nave che non governava e la furia della bufera era a forza ineguale. In plancia non conoscevano la posizione ed era evidente l’impossibilità di mantenere una rotta. Il vento tirava a centodieci chilometri l’ora e spingeva il cargo senza che nessuna potenza di macchine e di timone potesse contrastarlo. Era ormai caduta la notte e alle ore 20 e la radio di bordo ha lanciato l’Sos. «Poco dopo, attraverso lo spessore dell’oscurità e del turbine di neve, abbiamo visto il bagliore intermittente di una luce rossa — continua Belfiore — e questo voleva dire presenza di un porto, prossimità della terra. Il comandante ha ordinato di calar l’ancora e la coincidenza è stata quasi immediata: l’ancora ha raggiunto il fondale e dopo qualche istante ecco il fragore e il sussultare della chiglia che strisciava sulla costa rocciosa». A terra, a poca distanza, si può dire quasi a un tiro di sasso, si era radunata una folla muta ed emozionata. Sullo sfondo si distinguevano le villette a schiera di una cittadina: Scituate, nel Massachusetts, 17 mila abitanti. La gente, richiamata dall’urlo del segnale acustico antinebbia della nave, sempre più vicino, era uscita dalle case affrontando il turbine del nevischio e aveva visto scaturire dal pesante materasso di nebbia la grande sagoma scura dell’Etrusco. Ben presto si sono avvicinate le luci e le sirene di una fila di automezzi dei vigili del fuoco e delle autoambulanze che sopraggiungevano, facendosi largo nel fitto della siepe di uomini, donne e bambini incantati. Via radio la Coast Guard consigliava al comandante Traini di non tentare nulla, di restare dove erano e, soprattutto, di non cercare di fare sbarcare l’equipaggio. In quanto a muoversi, la stretta della battigia rocciosa aveva ormai imprigionato la nave solidamente. Con la pistola lanciasagole hanno tentato di stabilire un contatto con la terra ferma, ma le raffiche violente del vento spingevano lontano il razzo e non c’era nulla da fare. Le caldaie erano ferme e la nave ha esalato l’ultimo respiro; l’energia mancava in toto: niente più luci, niente riscaldamento, niente cucina. La temperatura era dieci gradi sotto lo zero, la morsa del gelo e dell’oscurità calava sull’Etrusco e i trenta uomini dell’equipaggio. La lunga notte minacciosa era cominciata. Con le prime luci dell’alba la Coast Guard era pronta a intervenire da terra. Grazie al razzo sparato dal fucile lanciasagole, una prima cima ha raggiunto il bordo della nave italiana e in poco tempo è stato montato una vai-e-vieni, teleferica essenziale che si usa per trasbordare gli uomini in mare. Il primo ad avventurarsi sull’oscillante imbracatura sospesa sugli spumeggianti marosi è stato l’ufficiale Gaetano Marcellino. «Sono stato il settimo a raggiungere la terraferma — rievoca il comandante Belfiore — ero intirizzito e subito mi hanno accompagnato a casa della signora Lena Russo, dove sono stato scaldato e rifocillato, mentre affluivano poliziotti, giornalisti, fotografi e cittadini, una ressa». Caso sorprendente, in una delle villette allineate a poca distanza dalla spiaggia abitava una si- gnora di origine italiana di settant’anni, Lena Russo appunto, che ha voluto ospitare l’intero equipaggio ed è stata la portabandiera di un’accoglienza straordinaria, tributata dalla cittadinanza di Scituate che ha fatto dell’Etrusco e della sua vicenda, sfortunata ma a lieto fine, l’evento simbolo urbano. Tanto che il ricordo è rimasto vivo e operante, ancora a distanza di mezzo secolo. Nel museo civico, diretto da David Ball della Historical Society, una sala è dedicata alla nave italiana. Vi è esposto un grande modello dell’Etrusco e poi un salvagente della nave, il fucile lanciasagole utilizzato dalla Coast Guard, la targa in bronzo offerta alla signora Russo, altri cimeli e una completa e suggestiva serie di fotografie. L’Etrusco, poi recuperato e rimesso in condizione di navigare, fu ribattezzato Scituate. L’anno successivo al naufragio, venne fondata un’associazione benefica, la “Scituate Etrusco Associates”, che fornisce ai disabili protesi, carrozzelle e quanto a loro serve. Lo scrittore Tom Hall giunse a Genova in tempi recenti per intervistare il comandante Belfiore e fu girato un documentario. L’anno scorso Scituate celebrò la ricorrenza e il giornale locale dedicò quattro pagine illustrate alla rievocazione dell’evento. Quest’anno, il cinquantenario è stato solennizzato alla grande venerdì scorso. Il diciannovenne allievo ufficiale di allora, Giovanni Belfiore, come oggi ricorda il naufragio? «Rammento — dice sorridendo — di aver tirato un sospiro di sollievo quando ho posto il piede a terra, perché in mare può succedere di tutto, da un momento all’altro». Però in mare è poi tornato infinite volte in quarant’anni di navigazione, raggiungendo l’onere e l’onore di chi, pervenuto al comando di una nave, può dirsi “secondo dopo Dio”. Il comandante mostra un giornale ingiallito dal tempo: è Il Secolo XIX datato 18 marzo 1956, con la cronaca dell’evento sotto il titolo “Drammatica avventura di una nave genovese”, cui fa seguito l’elenco dell’equipaggio. L’Etrusco è ormai scomparso dal mare, ma in una piccola città sulle rive dell’Atlantico il suo ricordo vive ed è divenuto simbolo di bene e di solidarietà umana. Anche nel ventesimo secolo può germogliare un mito. Piccoli marinai crescono con le vele del Galata utti conoscono il mare visto da Genova, ma quanti cono«T scono Genova vista dal mare?» Se Studenti e insegnanti a bordo di una delle imbarcazioni-scuola lo chiede il professor Manlio Comotto, accompagnatore dei ragazzi dell’Istituto Comprensivo di Oregina nella presentazione in mare aperto di “Prova la vela“. Fino al 18 giugno il Galata Museo del Mare darà modo di vivere un’avvincente percorso alla scoperta dell’andar per mare, unendo la visita al museo ad uscite su imbarcazioni d’altura, con la possibilità di impare qualcosa di più su velieri e brigantini e cimentarsi nel ruolo di marinai. Un’offerta per scuole, gruppi e individuali di adulti e bambini (dai 10 anni in su), organizzata dalla sezione didattica del Galata Museo del Mare in collaborazione con il Circolo Interforze di Pegli. La visita al museo sarà impostata come un viaggio a ritroso nel tempo, dai plastici che ricreano le fregate del ’700 e 800, alla ricostruzione integrale di un brigantino-goletta del 1820. Si potrà salire a bordo e godere dei dettagli, rivivendo la vita e il lavori all’interno di un veliero, dalla stanza del capitano, con tanto di bussola e diario di bordo, fino alla stiva carica di merce. Ad avvolgere l’ambiente i suoni del mare, che diventeranno veri e propri con la partenza delle navigazioni: ragazzi e adulti si alterneranno nei diversi ruoli. A turno tutti i partecipanti diventeranno “tailer” (l’addetto al fiocco), “randista” (addetto alla randa), o ancora timoniere, provando per esempio a “orzare” (portare la prua verso il vento), prendendo così dimestichezza con termini di fantozziana memoria come “cazzare la gomena” (mettere in tensione i cavi di grosso spessore che servono per ormeggiare o rimorchiare le navi). La navigazione sarà preceduta da una parte teorica dedicata alla conoscenza dei fondamentali della barca e dei principali tipi di vento e di vele, con un’attenzione particolare alle varie andature: di bolina, di traverso, di lasco o con il vento in poppa. A presentare le imbarcazioni che accompagneranno in mare aperto i partecipanti è Valerio Melis, del circolo Interforze di Pegli. «Le barche si chiamano Infinita Passione e Indomabile Passione. La prossima sarà Invincibile», scherza prima di mettersi al timone, indirizzando i ragazzi su cosa fare con cime e verricelli. “Prova la vela” è strutturato in due versioni a scelta dei partecipanti. La prima, con inizio da Pegli, comprende la visita al Museo Navale e l’uscita in mare fino al Galata con la visita di quest’ultimo, per una durata di circa 6 ore. La seconda prevede la visita del Galata e la successiva prova in mare, uscendo dal porto di Genova in direzione levante per una durata massima di 3 ore. Le due attività hanno rispettivamente un costo a persona di 26 e 13 euro. Le scuole potranno partecipare a “Prova la vela” nei giorni feriali a condizione di un gruppo di almeno 10 bambini, mentre gli indivduali ogni sabato e domenica. Per tutti prenotazione obbligatoria allo 010/2345655, dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17. «Ho iniziato ad andare in vela in vacanza e poi non ho più smesso», racconta Alksej, 13 anni, uno dei ragazzi dell’Istituto Comprensorio di Oregina durante la presentazione in mare. Ha già tanta dimestichezza con la vela e mentre guarda la città dal mare pensa sorridente alla giornata di scuola passata tra le onde invece che tra i banchi. Questa volta hanno marinato tutti, anche i prof. Matteo Politanò [email protected]