34 - Biutiful - Lo Psicologo Virtuale

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34 - Biutiful - Lo Psicologo Virtuale
Dr. Fabrizio Boninu, Psicologo – Psicoterapeuta, Piazza Salento 7, Cagliari
34 - Biutiful
Il primo dei film che volevo analizzare con voi si intitola Biutiful di
Alejandro González Iñárritu (2010). Tra una serie di attività illecite, si svolge la vita della
famiglia di Uxbal, padre di due bambini, una femmina e un maschio, Mateo, che vivono con lui.
Il film racconta di un contesto familiare sfilacciato, reso precario tanto dalle condizioni
economiche quanto da alcuni problemi intrinseci alla famiglia stessa. Fin dall’inizio, infatti, non
sembra esserci una figura materna. La marginalità di questa figura fa si che Uxbal si accolli il
peso dell’intero nucleo familiare. Il farlo gli provoca tensioni che si ripercuotono, poi, sui figli
stessi. Soprattutto Matteo sembra risentire di questa situazione. Manifesta tutto il suo disagio
con fenomeni come l’enuresi notturna, spia somatica di malesseri più profondi. Il bambino
particolarmente viene conteso tra i genitori che lo usano come ‘merce di scambio’. Credo tutto
il film sia attraversato da una evidente difficoltà comunicativa, tra padre e madre, tra padre e
figli, tra madre e figli.
Questa difficoltà viene ulteriormente accentuata non traducendo i dialoghi tra le varie
comunità che vengono rappresentate (asiatica e africana) e sottolinea la problematicità nel
comunicare. La mancanza di dialogo pesa sul padre che non riesce ad esprimere la malattia da
cui è affetto a nessuno, forse neanche a se stesso. Si sente responsabile dei figli e non sembra
poter accettare il fatto che possa mancare loro. Tutti i protagonisti si muovono in un contesto
sociale disgregato. Non sembrano esserci amici. Non sembrano esserci famiglie d’origine. Sono
soli. Isole. Si intravede un fratello di Uxbal, col quale sembra intrattenere pessimi rapporti. E,
per la prima volta, viene citata la madre del protagonista, a cui entrambi si rivolgono con
l’epiteto di puttana. Credo sia l’unico riferimento ai genitori. Le famiglie d’origine sono citate
tramite alcuni oggetti simbolici e grazie ad alcune immagini che aprono e chiudono il film, come
se un ciclo fosse portato a compimento. I protagonisti si muovono in un contesto urbano
degradato che trasfigura l’immagine classica di Barcellona, città nella quale il film è
ambientato. D’altronde anche loro sembrano essere la trasfigurazione di una famiglia ‘tipo’.
Infatti, il rapporto di coppia è problematico. Lui rinfaccia a lei di non esserci ma la soccorre nel
momento in cui sta male. Su cosa si incontrano allora? Su cosa fondano il loro ?stare assieme’.
Essenzialmente, sono l’incontro di due esigenze complementari: tanto sull’incapacità di lei di
prendersi in carico le sue responsabilità (famiglia, figli, lavoro), tanto su quelle di lui di volersi
accollare qualunque cosa da solo (famiglia, figli, lavoro). Nel racconto di questa vicenda la
realtà non si dice. Si scopre. È infatti la figlia a cercare la verità sulla malattia dopo che lui ha
cercato di nasconderla.
Lo spaccato di una famiglia multi problematica sembra dunque l’oggetto di questo film. Ma,
credo, sia un film legato anche all’incomunicabilità. Incomunicabilità tra parenti, tra familiari,
tra amici. Incomunicabilità con se stessi, con le proprie paure, con le proprie sconfitte. Il film è
duro, raccontato con l’uso di colori freddi, a volte glaciali, insoliti per una città mediterranea.
Anche la scelta cromatica sottolinea la mancanza di calore, di incontro. L’incomunicabilità,
tratto in comune, paradossalmente di incontro, tra i vari membri, esaspera le problematiche
presenti e non ne permette una soluzione. Cosa potrebbe voler dire? Che dovremmo imparare a
comunicare? Forse. Che potremmo imparare a dirci determinate cose? Forse. O, forse, ci fa
vedere come, la mancanza di dialogo, costituisca un terreno dove prosperano le
incomprensioni, i non detti, le paure, le indifferenze. Le distanze. Forse.
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