IL FASCISMO (1922-1945) CONTESTO
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IL FASCISMO (1922-1945) CONTESTO
IL FASCISMO (1922-1945) CONTESTO STORICO: Nel 1922, con la marcia su Roma, il re concede a Benito Mussolini di governare l’Italia. Il duce diventa capo del governo e si fa amare dal popolo presentandosi come un uomo forte e un padre ed orchestrando una grande opera di propaganda culturale. Il suo fascino conquista molti, ma questo governo diventa una dittatura. La tessera del partito diventa obbligatoria per mantenere il proprio lavoro. Chi la pensa diversamente e si oppone al partito fascista viene silenziato, picchiato, imprigionato o mandato al confino. La polizia fascista usa il manganello e le “camicie nere” spaventano la gente. I loro canti incitano alla violenza. Ecco come Vasco Pratolini descrive il passaggio delle prime squadre fasciste a Firenze in Cronache di poveri amanti. Da Vasco Pratolini, Cronache di poveri amanti. Milano: Mondadori, 1971. Le auto degli squadristi traversano un deserto di pietre e di luna. Con gli squadristi è la Morte. Ciascuno di essi ne reca il ritratto sul cuore: un teschio ricamato sulla camicia nera. La Morte li accompagna di casa in casa, è in ogni loro gesto e pensiero. Il suo contatto ha gelato i cuori, acceso le menti della sua idea ossessiva. La sua presenza rende i fascisti audaci e guardinghi, li sconvolge e li esalta. Li opprime. Essi ne sollecitano la complicità e insieme ne temono la potenza. Avanzano sulle auto come su vascelli corsari incalzati dalla tempesta; avvertono la sorda ostilità che li insegue, per cui ogni palazzo, ogni manifesto, ogni sporto appaiono occhiuti ed aggressivi. Dopo le prime irruzioni, che l’hanno colta di sorpresa, la città si è barricata dietro le sue pietre. Gli squadristi hanno trovato appartamenti disabitati, letti ancora caldi e disfatti. È in ciascuno di essi una follia omicida, il bisogno di uccidere per sentirsi vivi, scampati all’agguato. La Morte li ha costretti nel proprio gioco: è una partita che soltanto le luci dell’alba decideranno. Essi cantano per riconoscersi solidali, si aizzano l’un altro, gli chauffeur premono sugli acceleratori, le macchine hanno sbalzi paurosi. Ad ogni crocicchio, essi dubitano un’imboscata, sparano a raffiche sui presunti aggressori: al loro passaggio crollano vetrine, lampioni vanno in frantumi. Tirano al volo sulle saracinesche, sui chioschi, sui portoni ove è sembrato che un’ombra si muovesse. Non v’è gatto randagio, insegna pensile che non siano raggiunti dagli spari: uccisi, forati. Si sono, partendo, divisa la città in zone di operazioni. Adesso in ogni quartiere risuona l’eco della loro frenesia. (317-18) La Morte preme sull’accelerator. Li avvampa di una furia ch’essi liberano in spario e canti, attraverso la città percorsa dal vento, battuta dalla luna. “Finchè ci resta un po’ di sangue in core / contro i vigliacchi e i traditori /ad uno ad uno li ammazzerem!” (320) LA NOSTRA CANZONE: La dittatura fascista in Italia fa largo uso di canzoni e di canti, da quelli ufficiali che inneggiano alla patria e al duce, Benito Mussolini, alle canzonette di evasione che invitano la gente a non pensare ripetendo ritornelli allegri (“Tuli-tuli-tuli-pan”) e ad accontentarsi della propria vita (“Voglio vivere cosí / col sole in fronte”). Tra i canti ufficiali del fascismo c’è quello dei piccoli Balilla, i bambini fascisti che sono istruiti fin da piccoli all’obbedienza e allenati a diventare dei soldati. Nel 1926, viene creata l’opera nazionale Balilla, suddivisa in quattro sezioni: i bambini tra gli 8 e i 13 anni si chiamano Balilla e Piccole Italiane; quelli tra i 13 e i 18 anni sono gli Avanguardisti e le Giovani italiane. I Figli della Lupa, l’organizzazione per i bambini tra i 6 e gli 8 anni, vengono aggiunti piu tardi. Ogni sabato, a partire dal 1935, viene proclamato il sabato fascista e i ragazzi vengono portati in piazza per esercitarsi nella ginnastica e nelle marce e nel maneggiare moschetti (fucili) e bambole. Ai bambini si insegna a diventare soldati, alle bambine a diventare madri. Intere generazioni di italiani sono cresciute cantando questa canzone, scritta nel 1923 da Vittorio Emanuele Bravetta, sull’allegra musichetta marziale di Giuseppe Blanc (autore della canzone fascista più famosa, “Giovinezza”). Il titolo, “Fischia il sasso”, ricorda il gesto eroico di Balilla, soprannome del leggendario ragazzo che, tirando un sasso contro i soldati austriaci nella strada di Portoria (Genova), diede inizio alla rivoluzione contro le forze di occupazione, nel 1746. Viene ricordato anche nell’inno nazionale, il “Canto degli Italiani”. La “madre” liberata può essere la madre vera o una metafora per la madre patria. Le strofe descrivono il fisico del ragazzo fascista ideale: occhio sveglio, passo svelto e voce potente – sull’esempio di Mussolini, che si vantava del suo fisico forte e atletico. Aquilotti era uno dei nomi dei bambini fascisti, come ricordava anche un motto dettato nelle scuole agli scolari: “Aquilotti dovete essere coraggiosi.” Il tamburino sardo è il protagonista di una delle storie che tutti i piccoli italiani avevano letto nel popolare romanzo Cuore di Edmondo De Amicis (1886). Il ragazzo si sacrifica per portare una lettera durante la battaglia di Custoza (prima guerra d’indipendenza italiana, nel 1848). I “picciotti” sono i ragazzi siciliani (picciotto significa ragazzo in dialetto siculo) che si erano uniti a Garibaldi nella spedizione dei mille. L’ultima strofa è più bellicosa. Ai ragazzi veniva insegnato che “libro e moschetto, fascista perfetto”. Bambini compongono la parola “duce” durante l’ora di ginnastica. I figli della lupa Versione consigliata: https://www.youtube.com/watch?v=x2u4wcHmez8 Fischia il sasso The Stone Hisses Fischia il sasso, il nome squilla del ragazzo di Portoria, e l'intrepido Balilla sta gigante nella storia. The stone hisses, the name rings of the boy of Portoria, and the intrepid Balilla is a giant in history. Era il mozzo del mortaio che nel fango sprofondò ma il ragazzo fu d'acciaio e la madre liberò. The bronze mortar was stuck in the mud, but the boy was like steel and his mother he freed. Fiero l'occhio, svelto il passo chiaro il grido del valore. Ai nemici in fronte il sasso, agli amici tutto il cuor. (2) Proud eye, quick pace, clear the cry of valor: the stone on the enemies’ forehead, but his heart to his friends. Sono baldi aquilotti come sardi tamburini come siculi picciotti o gli eroi garibaldini. They are courageous eaglets Like Sardinian drummers, like Sicilian picciotti, Or the heroes of Garibaldi. Vibra l'anima nel petto sitibonda di virtù, dell'Italia il gagliardetto e nei fremiti sei tu. The soul vibrates in his chest thirsty for virtue; you are the pennant of Italy And you are in its vibration! Fiero l’occhio… Proud his eye… Siamo nembi di sementi, siamo fiamme di coraggio: per noi canta la sorgente, per noi brilla e ride maggio. We are clouds of seeds We are flames of courage For us the water springs are singing For us May laughs and shines. Ma se un giorno la battaglia agli eroi si estenderà noi saremo la mitraglia della Santa Libertà. But if one day The battle will reach the heroes We will be like the machine gun Of Holy Liberty. Fiero l’occhio… Proud his eye… Il racconto di una bambina fascista Da Zelmira Marazio. Il mio fascismo. Storia di una donna. Reggio Emilia: Verdechiaro edizioni, 2005; pp. 26-28. Eravamo tutte donne di casa e nessuna sia occupava di politica. ... Mia madre diceva sempre: il suo nome, quando lo sentivo le prime volte, mi ricordava il brigante Musolino. Infatti gli occhi da brigante ce li ha. Altre volte diceva: - È volgare quel suo motto: me ne frego. Però è un brav’uomo. Ha aumentato lo stipendio alle maestre, per amor di sua madre ch’era maestra. La predilezione per la professione magistrale, che era stata per generazioni l’occupazione caratterstica delle donne di casa mia, conferiva alla figura di quell’uomo prestigioso un alone di simpatia. Ciò che lo riguardava era aureolato di fascino e di mistero. Quando – dopo quattro lunghissimi anni di asilo infantile (allora la scuola materna si chiamava cosí) – arrivai finalmente a quella che io consideravo “la scuola dei grandi”, mi fecero imparare a memoria dei versi sciolti relative al pane. “Amate il pane, gioia della mensa, profumo del focolare. Onorate il pane, il più santo premio alla fatica umana…” Non ci avevano fatto conoscere il nome dell’autore, che era Mussolini, ma lo scoprii da me in calce a un cartello allora affisso in tutte le botteghe di fornaio. Via via che passavano gli anni quel nome diventava sempre più frequente sulla bocca delle maestre e della gente. La mamma che per varie difficoltà familiari era rimasta insegnate elementare fuori ruolo – aveva incarichi temporanei nelle colonie estive e invernali, gestite dal comune di Torino. Quando tornava a casa, portava quaderni ove con la sua armoniosa grafia aveva trascritto i testi delle canzoni che aveva cantate con i bambini. La sera, dopo cena, me le ricantava. C’erano, tra quelle, “Miniera”, “Soldatini di ferro”, “La marcia della Marina”, ma la mia preferita era la canzone dei balilla. -“Fischia il sasso…” La cantavo festante nelle mie scorribande in cortile coi miei compagni di gioco che, sia caso che scelta, erano tutti maschietti. Le maestre ci avevano già raccontato l’episodio del “ragazzo di Portoria” e ciò rendeva il canto ancora più appagante. Meno piacevole – almeno per me – era cantare l’inno delle Piccole Italiane. Mentre la canzone dei balilla era vibrante di orgoglio e prefigurava un fururo di ardimento e di gloria, quella delle bambine mi pareva melensa e mortificante. . . . il nostro futuro [era] lavorare per la Patria nei nostri focolari. . . . … Ma la scarsa capacità di entusiasmare dell’inno delle Piccole Italiane era presto dimenticata dalla gioia di indossare la divisa: camiciette e calze bianche, berrettino di seta a calza, gonna a pieghe, mantellina e scarpette nere. Ci chiamavano rondinelle d’Italia ed eravamo cosí contente di correre alle adunate con le braccia aperte facendo sventolare dietro di noi le nostre larghe mantelle di panno. Sfilavamo cantando non il nostro canto di bambine ma quello più bello e solenne, quello che cantavano tutti: “Giovinezza”. A scuola, coll’approssimarsi della primavera, la stagione più propizia alle sfilate e alle adunate, si intensificavano le esercitazioni di canto. Pinerolo, 1939: Mussolini passa in rassegna mamme e carrozzine