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CON IN MOVIMENTO + EURO 1,00 CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 2,00 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013 ANNO XLVI . N. 135 . MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 EURO 1,50 ALLA CONFERENZA STAMPA DI IERI FOTO LAPRESSE BOCCIATO DALLO ZAPPING Norma Rangeri A vrà anche ragione Matteo Renzi quando, pur nel dichiararsi scontento dei risultati elettorali, invita i giornali a considerare il fatto che il Pd su oltre 1300 comuni al voto ne ha portati a casa mille. Il presidente-segretario dice che «non esiste un problema nazionale», semplicemente è successo che «gli elettori hanno fatto zapping, se c’è un candidato che gli piace lo votano». Però i voti oltre che contarsi si pesano - e vedremo che neppure i conti tornano. Politicamente quanti di quei comuni andati al Pd valgono la sola città di Roma? Nella Capitale è sceso dal 26% di Marino al 17% di oggi, doppiato dal 26% del M5Stelle. E Napoli, che gli ha voltato le spalle anche questa volta nonostante i miliardi promessi a Bagnoli in campagna elettorale? Che cosa succederà nei ballottaggi a Torino (oggi sotto la Mole il M5Stelle è diventato il primo partito) e a Bologna (dove il Pd ha perso 40mila voti) lo vedremo. Perché adesso questo partito in difficoltà (che da ragione alla minoranza quando lamenta l’assenza di un vero segretario del partito) dovrà affrontare la nuova girandola dei ballottaggi. Milano prima di tutti. Qui, il candidato al quale affidare le chiavi della città lo ha scelto il presidente del consiglio. Sala come successore di Pisapia, l’esperienza arancione, con la sua "coalizione sociale" rottamata a vantaggio di una "coalizione manageriale". L’astensione si è impennata, l’emorragia di voti ha colpito il partito democratico, conseguenza di una scelta politica netta e precisa, difficile da collocare a sinistra piuttosto che a destra, come del resto dimostrano i profili dei candidati gemelli Parisi-Sala sponsorizzati dai due leader nazareni. Con la robusta pedalata di Parisi, Berlusconi ha ridimensionato Salvini nel capoluogo lombardo, inesistente e messo all’angolo a Roma. Che fine farà il vecchio centrodestra non è scritto. Se nella Capitale non si fosse diviso per una conta interna, non solo sarebbe andato al ballottaggio contro Virginia Raggi, ma avrebbe potuto giocarsi la riconquista del Campidoglio. E anche a Napoli al ballottaggio ci va il candidato del Cavaliere. CONTINUA |PAGINA 2 Ex voto Un elettore su quattro in fuga dal Pd rispetto alle comunali del 2011. Ma le dimensioni del tracollo sono ben peggiori se il voto di domenica è paragonato con le elezioni politiche e le europee. Una débâcle che assesta un durissimo colpo al partito renziano. Il premier ammette: «Non sono soddisfatto» PAGINE 2/9 INTERVISTA/1 | PAGINA 2 INTERVISTA/2 | PAGINA 8 INTERVISTA/3 | PAGINA 9 Stefano Fassina: «Un risultato insoddisfacente. Tra noi serve un chiarimento. Sarò consigliere a Roma e deputato» «Sostegno al Pd non scontato» A Bologna Federico Martelloni porta la sinistra al 7 per cento, decisivo per Virginio Merola Cagliari, Massimo Zedda eletto al primo turno: «Uniti (e onesti) si vince. Hanno trovato in noi quel che cercavano nel M5S» DANIELA PREZIOSI IRAQ/ISIS | PAGINA 13 MIGRATION COMPACT Che i migranti non vengano a noi Gian Paolo Calchi Novati I Migliaia a nuoto nell’Eufrate in fuga da Falluja I sunniti via dalla battaglia finale e dalle vendette. Arrivano milizie sciite ed esercito barconi e i naufragi non dovrebbero ammettere né dubbi né ritardi. Se non è emergenza un fenomeno che sacrifica ogni giorno decine di vite sotto gli occhi di noi tutti, impotenti, le parole hanno perso di senso. Il governo Renzi, temendo di fornire troppo fieno all’opposizione detta populista, preferisce mantenere bassi i toni. Tutto è rimandato al Migration Compact, qualsiasi cosa esso significhi. CONTINUA |PAGINA 11 COSTANTINO COSSU GIOVANNI STINCO DOCCIA SUL GOVERNO | PAG. 10 Bankitalia taglia le stime sul Pil: dall’1,5% all’1,1% FRANCIA/LOI TRAVAIL | PAG. 10 Europei alle porte, Nuit Debout attacca PRIMARIE USA | PAGINA 12 Oggi vota la California Porto Rico a Hillary vicina ai 2.383 delegati BIANI pagina 2 il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 EX VOTO Democrack • La minoranza Pd attacca: i ballottaggi sono un azzardo, cambiare l’Italicum. Ma il segretario tira dritto: il premio alla lista non si tocca Anche Renzi ha la sua «non Ammette che «non siamo contenti», che «c’è il voto di protesta», ma guai a chiedersi su cosa. Ammette che l’alleanza con Verdini «non ha funzionato». Ma nessuna indicazione nazionale dal voto, perché «è frastagliato e disomogeneo» ROMA N on dice che è andata bene, ma non si spinge fino a dire che è andata male. C’è un voto «di protesta» che a Roma ha pesato molto, ammette, «e a Milano meno», ma il presidente del consiglio non sta lì a rompersi la testa sul perché e il cosa protesta chi protesta. A mezzogiorno quasi in punto Matteo Renzi si presenta ai giornalisti nella sede del Nazareno e ’ci mette la faccia’. Prima dei candidati che andranno al ballottaggio, come Sala a Milano e Giachetti a Roma, che per parlare aspettano il pomeriggio. «Non siamo contenti. Non siamo come gli altri che indossano il sorriso di ordinanza, volevamo fare meglio soprattutto a Napoli, dove c’è il risultato peggiore del Pd», va subito al punto. E annuncia che al Pd di Napoli, dopo il secondo disastro consecutivo alle amministrative arriverà presto un commissario (l’ennesimo). Ma nessuno si permetta di dire che il Pd ha perso. Anzi, nessuno si cimenti a fare un bilancio nazionale del voto delle amministrative: «Non ha un segno univoco», dice, «il risultato è frastagliato», «a macchia di leopardo». Sarà, ma le perdite sono diffuse su tutto il territorio nazionale. Certo, in maniera diversa. Innanzitutto, prosegue, non ci provino i 5 stelle: «Su 1.300 sindaci il Pd ne porta a casa quasi mille» e invece «il movimento di Grillo è andato al ballottaggio in venti comuni sui 1.300». Sotto a chi tocca: il leader della Lega fa il gradasso per il successo di Giorgia Meloni a Roma? «Salvini esce dal voto «stra-indebolito», «la Lega crolla, sta sotto il 3 a Roma ed è doppiato da Berlusconi a Milano, doppiato. Forza Italia esiste ancora e ottiene risultati positivi a Napoli, Milano, Trieste. Ma scompare da Cagliari a Torino, da Bologna a Roma». Qui Renzi starà anche cercando la benevolenza dei forzisti per il ballottaggio romano, ma ha ragione da vendere. L’ex Cavalie- DALLA PRIMA Norma Rangeri Ballottaggio nazionale Come si vede ora che i voti si sono trasferiti dal chiuso delle urne alla luce del sole sono tanti i messaggi da leggere. Sia quelli a breve che seguiremo nelle due settimane che ci separano dai ballottaggi, sia con lo sguardo più lungo in riferimento a possibili elezioni politiche anticipate, a seconda di chi vincerà sul campo di battaglia del referendum sulla riforma costituzionale. Sia guardando a sinistra del Pd. A parte l’esperienza del giovane Zedda a Cagliari, una coalizione di centrosinistra che ha avuto il voto dei cittadini con la riconfer- 35% LAMEDIANAZIONALEPD nonostante i risultati delle liste civiche. «In alcune città siamo oltre il 40». Quello che serve per far scattare il premio dell’Italicum re, che pure percorre il suo Sunset Boulevard politico, è riuscito a non far vincere Meloni a Roma e a piazzare i suoi candidati al ballottaggio a Milano e Napoli. Un capolavoro. Renzi va avanti: lo accusano di aver sbagliato a anticipare la campagna per il sì al referendum? Qui in effetti mastica male, è un errore di comunicazione, materia in cui si considera il numero uno. Infatti non ci sta: «Sono partite profondamente diverse», «il referendum impatterà sull’azione del governo avendo già evidenziato le ripercussioni in caso di fallimento» (se perde ha detto che se ne va), anzi è convinto che «chi ha esercitato un voto di protesta al referendum non potrà che votare sì». Poi c’è da contenere in anticipo il ringalluzzimento della minoranza dem che oggi ha l’occasione di rialzare la voce. Per esempio sulla legge elettorale. Gianni Cuperlo su facebook già si chiede se «alla luce di una realtà dell’offerta politica costruita su tre poli, qualcuno si porrà la domanda sull’ipotesi concreta che a un ballottaggio eventuale possano approdare il M5S e una destra ricompattata come a Milano». Tradotto per sommi capi: se il risultato del capoluogo lombardo si riproponesse alle politiche, l’Italicum potrebbe essere la Waterloo del Pd. Meglio il premio alla coalizione, e meglio rifare le coalizioni di centrosinistra. Ma Renzi non ci ma del sindaco al primo turno, a Torino con Airaudo, a Roma con Fassina, a Milano con Rizzo non è andata benissimo. E’ stato gettato un piccolo seme, ma i candidati non hanno raggiunto l’obiettivo che si erano proposti in questa sfida comunale: non hanno allargato lo spazio politico. Evidentemente non hanno svolto un ruolo attrattivo per l’elettorato che ha mollato il Pd. Centinaia di migliaia di voti persi dal partito democratico, come da facili profeti avevano previsto, o sono rimasti a casa o sono andati ai 5Stelle. E’ vero, come diceva ieri Fassina, che Sinistra Italiana è una forza in formazione, senza un "posizionamento nazionale chiaro", però se lasciamo da parte il politichese, che le liste di sinistra fossero un’offerta alternativa al Pd era abbastanza chiaro, da Torino a Roma, da Bologna a Milano. Forse è arrivato il momento di capire un po’ più a fondo cosa c’è che proprio non va. pensa: «La sinistra radicale che per mesi ci ha spiegato come funzionava il mondo non entra in partita né a Roma, né a Torino». Quindi l’Italicum non si tocca: «Confermo su tutta la linea, il premio va alla lista» e il Pd resta «il Pd partito a vocazione maggioritaria immaginato da Veltroni». Anzi avverte: «Il dato nazionale del Pd, comprensivo delle liste civiche che non si presentano alle politiche, ci porta intorno al 35 per cento e in molte realtà ben oltre il 40», attenzione al numerino, è quello che fa scattare il premio di maggioranza al primo turno. Poi c’è la questione dell’alleanza con l’Ala di Verdini, che si è rivelata un disastro a Napoli e Cosenza, dov’era persino formalizzata. La minoranza attacca e Renzi ammette: «Dove si è cercato di fare alleanze non hanno funzionato minimamente». Se ne riparlerà, c’è da giurarci nella riunione di direzione che si terrà subito dopo i ballottaggi. I più duri sono a Milano e a Roma. A Milano, che è la «non vittoria» più cocente per il premier. Infatti le dedica giusto due parole: «Sala sta al 41,9, uno dei risultati migliori». Sicuro: ma lo sfidante Parisi sta al 40,7. Poi c’è Roma. «Onore al merito di Giachetti, ha fatto un mezzo miracolo, ora vogliamo fare l’altro mezzo». d.p. MATTEO RENZI ALLA CONFERENZA STAMPA DI IERI FOTO ANSA Fassina/ «RISULTATO INSODDISFACENTE, ORA FRA NOI SERVE UN CHIARIMENTO» «Farò il consigliere e il deputato Apparentamenti no, ma voteremo» Daniela Preziosi ROMA I l risultato è «evidentemente insoddisfacente», ammette Stefano Fassina alla sala stampa di Montecitorio, dov’è tornato a fare le sue conferenze stampa dopo più un mese in cui ha fatto base a Torpignattara, dov’era il suo comitato elettorale da candidato sindaco. Parla del suo 4,47 per cento a Roma, tradotto in voti sono poco meno di 52mila. I numeri hanno la testa dura: nel 2013 Sel in coalizione con il Pd di Ignazio Marino aveva raccolto oltre 63mila voti e guadagnato quattro consiglieri comunali; la «Repubblica Romana» di Sandro Medici, altro pezzo forte della sua corsa di domenica scorsa (e Medici infatti fra i più votati della lista Sinistra per Roma, dopo di lui) ne aveva presi oltre 26mila. A questo giro invece la somma non fa il totale, per dirla con Totò. L’ovvia obiezione è che si trattava di un’altra stagione politica, un altro mondo. La città usciva dal quinquennio di Alemanno. Vero. Ma il calo di consensi c’è stato, e Fassina non lo nega. Come si spiega questo risultato «insoddisfacente»? C’è una domanda di radicale discontinuità, una volontà di girare pagina rispetto a una lunga stagione di governo che ha visto protagonista il centrosinistra. Noi l’avevamo capito per tempo, per fortuna. Oggi possiamo dire che a Roma la sinistra c’è e ha le basi per poter crescere. Di fronte all’ondata del voto grillino abbiamo messo al riparo un patrimonio importante di uomini e donne e di cultura politica. Però alla fine il grosso di questa doman- da è stato largamente intercettato dal Movimento 5 Stelle. E questo è successo perché il nostro progetto autonomo non è stato abbastanza chiaro e riconoscibile. Veramente lei nel corso di tutta la campagna elettorale ha attaccato il Pd e messo tutte le distanze dal partito di Renzi e Giachetti. Intende dire che se il progetto non era chiaro è colpa di chi, fra voi, la pensa diversamente e non ha chiuso il dialogo con il Pd? Non accuso nessuno. Il nostro progetto è incompiuto per un fatto oggettivo: perché siamo all’inizio. Poi è vero che ci sono differenza fra noi ed è vero che in Sinistra italiana ora si deve porre la necessità di chiarire il suo profilo autonomo. Non darete nessuna indicazione di voto per i ballottaggi? La priorità che noi abbiamo assegnato alle questioni sociali, la disuguaglianza, la precarietà del lavoro, la povertà, non le ritroviamo in nessun altro candidato. Escludo ogni ipotesi di apparentamento, né con Giachetti né con Raggi che del resto non è mai stato nelle nostre prospettive. Ma certo noi per codice genetico siamo sempre convinti della necessità di votare. Di cosa fare adesso discuteremo mercoledì in un’assemblea aperta alla Città dell’Altra economia. Deciderete cosa fare con i candidati? Oppure con le forze politiche che hanno sostenuto la sua corsa? I candidati si sono impegnati con generosità quindi è giusto farli partecipare alla scelta. Ascolterò, e poi anche io vorrei dire la mia opinione. Detto questo io faccio parte di un partito che si riunirà (oggi, ndr) e prenderà una posizione anche su questo. E se qualcuno dei vostri volesse invece appoggiare Giachetti al ballottaggio, e volesse dirlo pubblicamente? Si assumerà le sue responsabilità. Se vogliamo affermare un progetto politico autonomo dobbiamo essere coerenti. Io credo, ma questa è una posizione personale, che se noi a Roma ci fossimo schierati con il Pd oggi non saremo sotto il 5 per cento, ma sotto il 2. A proposito Sinistra per Roma, la sua lista: diventerà un’associazione? Sì, l’avevo annunciato già in giorni difficili. Diventerà un punto di riferimento stabile nella città per i comitati, per le associazioni. E per le persone: fra noi ce ne sono molte che non hanno una casa politica. Troveremo le forme per raccordarla con la fase costituente di Sinistra italiana. Lei è il primo eletto, forse sarà l’unico della sua lista. Si dimetterà? No, resto in consiglio comunale, è un impegno che ho preso in campagna elettorale. Allora si dimetterà da deputato? No, farò l’una e l’altra cosa. Per legge non c’è alcuna incompatibilità. E in molti l’hanno fatto prima di me. Nell’ultima giunta c’era persino chi faceva il deputato, o il senatore, ma anche l’assessore. il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 EX VOTO Numeri • pagina 3 È sparito un elettore su quattro nel confronto con le comunali del 2011. E le cose vanno molto peggio nel paragone con le europee e le politiche PRIMA I BALLOTTAGGI, POI IL MILAN I risultati del primo turno elettorale nei comuni lo hanno rinfrancato. Ma sul versante calcistico Silvio Berlusconi non è sereno. Sulla cessione del Milan, coltiva ancora dubbi. Quelli espressi durante il consueto pranzo del lunedì ad Arcore con i figli, i manager delle aziende e i dirigenti di Forza Italia, dedicato comunque soltanto in minima parte all’andamento del negoziato con la cordata cinese pronta a rilevare il 70% del club. I potenziali n vittoria» investitori contavano di arrivare a un accordo di massima propedeutico al contratto preliminare di compravendita entro il 15 giugno. Ma a quanto pare per prendere una decisione Berlusconi vuole aspettare i ballottaggi del 19. Solo il giorno dopo potrebbe arrivare una risposta. La conclusione dell’operazione non è considerata a rischio dalle parti, ma la decisione finale spetta proprio all’ex Cavaliere, che ora appare molto meno convinto dell’operazione rispetto a pochi giorni fa. ANALISI · I voti assoluti segnano l’esatta dimensione della débâcle del partito renziano Il grande addio ai democratici Andrea Fabozzi D isastro assoluto a Napoli, disastro relativo a Milano. In mezzo una serie di brutte notizie, nella scala dal dramma alla tragedia. È il risultato del partito democratico nei sette capoluoghi di regione dove si è votato domenica. Il risultato per il quale Renzi ha detto «non sono soddisfatto». La dimensione della sconfitta si può cogliere solo analizzando i voti veri e non le percentuali. Il confronto va fatto con le elezioni comunali del 2011 (2013 per Roma). È il più corretto trattandosi di appuntamenti elettorali omogenei, in quattro casi su sette (Trieste, Torino, Bologna e Cagliari) con lo stesso candidato dem. Ma in cinque anni troppo è cambiato nel panorama politico. Il Pd della primavera 2011 era quello guidato da poco più di un anno da Bersani, ancora all’opposizione del governo Berlusconi. Si può allora confrontare il risultato di domenica con le elezioni politiche del febbraio 2013, quelle che hanno segnato il potente ingresso sulla scena nazionale del Movimento 5 Stelle. Anche allora, però, come nel 2011, Renzi era soltanto il sindaco di Firenze. Dunque si può anche tentare un confronto con le ultime elezioni europee, vicine nel tempo (2014) e primo test del Pd renziano. I confronti sono fatti naturalmente sulla base dei voti assoluti FOTO REUTERS nelle sette città, aggiungendo per le comunali al risultato del Pd quello delle liste civiche di diretta emanazione del partito (e cioè quelle con il nome del candidato democratico nel simbolo). Bisogna dire subito che qualsiasi città si prenda in esame e qualsiasi elezione si confronti, l’erosione dei voti del Pd è sempre alta, sempre in doppia cifra percentuale. Quando diminuisce l’affluenza, come generalmente è accaduto, ma anche in Destra/ BERLUSCONI SODDISFATTO. MA ANCHE IN FI PESA LO SGAMBETTO ROMANO Forti ma condannati a unirsi E non sarà una passeggiata Andrea Colombo C’ è una realtà parallela, quasi identica alla nostra, in cui il centrodestra italiano stappa champagne a fiumi avendo dimostrato di non essere affatto morto, e di avere anzi tutte le carte in regola per competere alle prossime elezioni politiche con robuste chances di vittoria. In quella realtà la destra unita non solo tallona il centrosinistra di Beppe Sala a Milano ma impensierisce parecchio anche la pentastellata Virginia Raggi a Roma. Rinfrancati dal successo, i leader si scambiano sorrisoni e assicurano che la strategia vincente si ripeterà alle elezioni politiche. In questa realtà, invece, la destra al ballottaggio romano non c’è perché l’ex cavaliere si è impuntato su un candidato senza chances, e così al posto dei sorrisi è tutto uno scambio di battute taglienti. Giorgia Meloni non la manda a dire: «Ma quale miracolo di Giachetti. E’ Berlusconi che non ha voluto farmi arrivare al ballottaggio per mandarci il candidato del Pd». Più tardi manda al medesimo Silvio un messaggio tanto chiaro quanto intriso di ostilità: «Non dobbiamo stare insieme per forza». La risposta arriva secca da Deborah Bergamini: «Forza Italia è il primo partito del centrodestra e questo è il dato importante». E Antonio Tajani, che a Roma è stato tra i più battaglieri nello sbarrare la strada alla sorella d’Italia, mette subito all’incasso la prova di forza offerta silurandola: «A Roma si è dimostrato che il centrodestra diviso non va da nessuna parte. Senza i moderati la destra non vince». Non è precisamente il clima ideale per costruire una lista comune. Il leghista Matteo Salvini lo sa e cerca di stemperare: «Si guarda avanti non indietro. Siamo pronti a lanciare la settimana dopo i ballottaggi una proposta aperta per tutti quelli che non vogliono morire renziani. Per Berlusconi il Nazareno non esiste più, ma per qualche uomo azienda e qualche sopravvissuto di Forza Italia invece sì». Forza Italia, mentre il gran capo valuta l’opportunità di un suo personale intervento, diffonde una nota agrodolce: «Il bilancio, pur con luci e ombre, ci vede soddisfatti. Fi rappresenta da sola circa metà della coalizione». Ora, prosegue la nota «è il momento di lavorara tutti insieme» per vincere i ballottaggi. Ma poi «bisognerà fare una riflessione sugli errori commessi a Roma e Torino». Se le prime righe rivendicano di fatto la guida "moderata" dell’eventuale lista comune, l’ultimo passaggio suona come un’apertura al fronte Meloni-Salvini. Per giocarsi la partita la destra è condannata a unirsi e lo sa. Ma a renderlo tutt’altro che facile non c’è solo la lacerazione, in realtà molto profonda, provocata dallo sgambetto di Forza Italia a Roma. Complica le cose anche il rapporto di forze che, sul terreno nazionale, è tanto frastagliato da non permettere letture univoche. Fi stravince a Milano, dove incassa un 20% che ha il sapore dei vecchi tempi e dove Mariastella Gelmini batte Salvini nella gara delle preferenze, ma a Roma precipita al 4,2, sotto Sinistra italiana, a Torino al 4,6, a Bologna al 6,2, mentre col 9 va un po’ meglio a Napoli. La Lega manca l’obiettivo di superare Arcore, con un 8% complessivo contro il 10% azzurro. La formazione della Meloni è molto al di sotto, ma a Roma ha conquistato un pesante 12%. In questo quadro che non permette a nessuno di vantare un’egemonia e che non vede nessuno in grado di ereditare lo scettro di Berlusconi la marcia verso una lista unitaria non sarà una passeggiata. L’ex sovrano è contento, anche se, dopo aver lungamente soppesato, ha rinviato a oggi una possibile esternazione: erano pronti a mandarlo definitivamente in pensione, invece, abbattendo la sua ex ministra della Gioventù, ha dimostrato di avere ancora qualche cartuccia. Gli basta. Però quando inizieranno le danze per definire la lista unitaria, la tempesta si scatenerà nel suo stesso partito, dove sono in molti a non aver gradito la vittoria di Pirro contro Giorgia a Roma. Tempi duri attendono una destra numericamente ancora forte. A meno che non si verifichi il miracolo che ora tutti iniziano a credere possibile: una nuova mazzata ai ballottaggi del 19 giugno potrebbe fiaccare ulteriormente Matteo Renzi e aprire la strada a una sua sconfitta nel referendum di ottobre. In quel caso, senza più l’Italicum a impedire le coalizioni, tutto diventerebbe infinitamente più facile. quei pochi casi in cui l’affluenza è cresciuta. Napoli e Roma sono sempre al fondo della classifica, sia nel paragone disastroso con le europee (-62% dei voti a Napoli, qualcosa come 81mila voti svaniti, e -50% a Roma, e cioè 257mila voti perduti), sia in quello non troppo diverso con le politiche (-55,9% a Napoli e -45,9% a Roma) sia in quello solo un po’ meno triste con le comunali del 2011 (-47,4% a Napoli e -27,3% a Roma). Milano è invece il comune in cui il Pd ha perso meno vo- Tracollo omogeneo nel tempo e nelle città. Caso Fassino: mutazione genetica dell’elettorato dem ti assoluti, ma solo nel confronto con le elezioni più vicine (-28,3% rispetto alle europee e -11,3% rispetto alle politiche) mentre se si guarda alle comunali del 2011, Milano arriva terza, dopo Napoli e Roma, nella classifica delle peggiori: -24,1% e cioè oltre 58mila voti andati in fumo. L’erosione di voti a Torino risulta essere tra le meno pesanti sia nel confronto con le europee (-35,8, è tanto ma meglio, o piuttosto meno peggio, ha fatto solo Milano) sia in quello con le politiche (-16,4%) sia in quello con le comunali (-16,7%). Al centro di questa classifica dei dolori ci sono Bologna (-34,9% rispetto al 2013) e Cagliari (-44,5% di nuovo rispetto al 2013). Ma il capoluogo sardo - l’unico dove ha retto l’alleanza di cinque anni fa e dove il sindaco uscente Zedda ha vinto al primo turno - è quello che più di tutti ha limitato le perdite rispetto al 2011, lasciando comunque per strada il 14,9% dei voti veri. Nel complesso delle sette città capoluogo di regione, il Pd ha perso in cinque anni oltre 218mila voti, passando da 913.403 a 695.290: è stato in altre parole abbandonato dal 23,4% dei suoi vecchi elettori. Quasi uno su quattro. La cosa interessante di queste classifiche ottenute confrontando i risultati di tre elezioni diverse, è che la graduatoria delle sconfitte si conferma praticamente identica: ci sono sempre Napoli e Roma alla testa del disastro e Milano alla coda, salvo nel caso del confronto con le comunali dove Milano e Cagliari si scambiano il posto: è Cagliari a fare un po’ meglio. È un dato interessante perché dal punto di vista delle affluenze alle urne non c’è affatto questa regolarità. Cagliari, che come abbiamo visto è la città con Milano dove il Pd in qualche modo perde ma non tracolla, soprattutto nel confronto con le comunali, è tra quelle che soffre meno per l’astensionismo sia nel confronto con le europee (+27%), sia con le politiche (affluenza praticamente identica) sia con le comunali (-9%). Mentre Milano che è in effetti il capoluogo che ha un po’ contenuto il disastro, soprattutto nel confronto con le elezioni più recenti, è invece la città dove l’affluenza è andata peggio (-5,35 di affluenza rispetto alle europee, peggio solo Bologna; -22,7% rispetto alle politiche e -12,9 rispetto alle comunali). Il che significa che la fuga degli elettori dal Pd renziano è abbastanza omogenea sia nel confronto temporale (le differenti elezioni) che spaziale (le sette città sono ben distribuite nella penisola) ed è anche discretamente indifferente all’affluenza al voto. Ma dove sono andati questi elettori del Pd? Il Centro italiano di studi elettorali del professor D’Alimonte (il politologo che ha «inventato» l’Italicum) ha proposto ieri una prima analisi dei flussi. Limitata a Torino ma comunque molto interessante. Si calcola infatti che su cento elettori di Fassino nel 2011, solo 42 siano tornati a votarlo, mentre 32 hanno scelto la candidata del Movimento 5 Stelle e 14 si sono astenuti. L’elemento che fa parlare il Cise di mutazione genetica della base elettorale del candidato Pd (che nel complesso delle liste che lo sostengono ha perso quasi centomila voti) è che Fassino sembra aver ricevuto l’appoggio della maggioranza relativa degli elettori che cinque anni fa votarono per il centrodestra, quasi tutti in fuga da quello schieramento. Il 34% di loro è passato sotto le insegne del candidato Pd. il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 EX VOTO Parisi azzera le distanze e il silenzio cala tra i campioni della rivoluzione arancione GIUSEPPE SALA AL VOTO DOMENICA FOTO LAPRESSE PALAZZO MARINO · Diventato reale il disastro annunciato di una campagna elettorale fallimentare Il peggior spareggio della storia di Milano Luca Fazio C ompagni che tacciono. Finiti gli argomenti? Va bene Giuliano Pisapia, il grande sconfitto di questo disastro. Ma almeno lui ha già dato per questa città. Continua a dire che la sua giunta è stata premiata dal voto (?) e invita gli astenuti a tornare alle urne per un «centrosinistra unito, forte e plurale». Addio. La pensa così anche Gad Lerner, lo spin doctor della trionfale campagna arancione. E gli altri esponenti della sinistra che si arrogano il diritto di rappresentare qualcuno? Solo un filo di voce su facebook. Ragionano, fanno le valigie. L’unico costretto a dire qualcosa è Beppe Sa- Sala costretto ora a chiedere voti agli astensionisti nauseati dal centrosinistra la, il meno colpevole di tutti. È contento perché ha sentito un Matteo Renzi soddisfatto per il 41,7%. Cominciano male gli ultimi giorni per conquistare Palazzo Marino. I numeri aiutano a comprendere la sconfitta, che per la sinistra rimarrà tale anche qualora Mr. Expo dovesse farcela il 19 giugno. In caso contrario, nemmeno le dimissioni di tutto il gruppo dirigente del centrosinistra basteranno per risarcire gli elettori che ci sono cascati. Stefano Parisi (40,8%) ha preso 4.938 voti meno di Beppe Sala. Sono pari: impensabile poche settimane fa. Non è un rigore sbagliato, è autogol in rovesciata. Il disfacimento della cosiddetta esperienza arancione - il nulla alla prova del voto - e un centrodestra in disarmo tenuto in vita da un candidato decente hanno portato alla diserzione l’elettorato milanese. Un risultato storico: più del 45% degli aventi diritto al voto è rimasto a casa (affluenza: 54,65%). Roma per la prima volta nella storia ha votato più di Milano. Hanno votato 550.194 persone, nel 2011 erano 673.185: in cinque anni il ceto politico più auto riferito e presuntuoso ha perso per strada 122.991 voti (quasi 13 punti percentuali). E Sala ha preso 91 mila voti in meno di Pisapia. Non si può tacere che i campioni della "rivoluzione arancione" per cinque anni si sono vantati di aver fatto della "partecipazione" il loro tratto distintivo. Meno male. L’astensionismo, visto da sinistra, non esprime solo il disorientamento di chi non si ritrova più in una certa politica ma anche la determinazione di chi è intenzionato a far mancare la terra sotto i piedi al gruppo egemone di una sinistra ridotta ai minimi termini e fallimentare. Sarà complicatissimo riconquistare quel non voto fortemente motivato agitando lo spauracchio dei mostri che si annidano nelle liste di Parisi. Difficile anche prevedere quanti elettori della lista Milano in Comune saranno disposti a turarsi il naso per votare Sala dopo averlo avversato per mesi. Quanto ai 5 Stelle, il candidato Gianluca Corrado ha invitato ad annullare la scheda, ma il suo elettorato - 10,4% ovvero 52.376 voti è il meno sondabile di tutti. C’è un fatto che dovrebbe preoccupare Mr. Expo: lo scontro che si profila tra Matteo Renzi e il M5S per la VENETO · Il «tradimento» di Tosi non scalfisce la Lega Nella regione di Luca Zaia un Carroccio inossidabile Sebastiano Canetta È sempre Legaland: il Carroccio in versione Luca Zaia metabolizza anche il "tradimento" di Flavio Tosi e si conferma partito di Marca tenendo le roccaforti nel Padovano e nel Veronese. Negli 82 comuni al voto nel Veneto arranca il Pd commissariato a livello regionale e sempre più incerto a livello locale. A Chioggia, l’altra sponda del Mose, resiste il sindaco uscente Giuseppe Casson: con lui la Lega supera quota 35% e stacca di quasi 15 punti il candidato del Movimento 5 stelle Alessandro Ferro (21,8%) che conquista comunque il ballotaggio, e archivia la «lista fucsia» di Marcellina Segantin - sponsorizzata dal nuovo "doge" di Venezia Luigi Brugnaro - in grado di intercettare appena il 20,3% dei consensi. Il Pd con Barbara Penzo resta fermo al palo del 18,7% e certifica il disastro elettorale dei democrat anche a sud della Laguna. Ma è trionfo del Carroccio soprattutto sull’asse Padova-Treviso. A Cittadella vince al primo turno Luca Pierobon (sostenuto da Lega, Forza Italia e FdI) erede di Giuseppe Pan (ora assessore in regione) e dell’attuale sindaco di Padova Massimo Bitonci che lo ha sostenuto con la sua lista civica. A urne chiuse Pierobon contabilizza il boom: 6.735 preferenze che valgono il 58,3% dei voti e l’elezione diretta in municipio. A distanza siderale il candidato Pd Adamo Zambon, congelato al 21% e superato anche dall’ex assessore leghista Gilberto Bonetto bloccato a quota 21,4%. Identico copione nel Trevigiano dove il Carroccio continua a non avere rivali. A Villorba trionfa la lista personale dell’avvo- Negli 82 comuni al voto arranca il Pd, commissariato a livello regionale e sempre più incerto a livello locale cato Marco Serena: 29% dei consensi nelle urne. Sommati al 21% della lista ufficiale di partito ratificano il trionfo al primo turno nel comune alle porte di Treviso. Bene il M5S: la candidata Raffaella Andreola supera il 18% e scippa il ruolo dell’opposizione ad Alessandro Dussin del Pd bloccato al 17%. Non c’è gara neppure a Monte- SALA PARISI 41,7% 40,8% partita di Roma potrebbe spingere i pentastellati milanesi a dare un grosso dispiacere al partito della nazione. Se Roma è quasi persa, perdere Milano per Renzi sarebbe l’inizio della fine. Meglio mantenere un profilo basso da queste parti. Insomma, un pronostico è impossibile e per Parisi questa è già una mezza vittoria. Archiviato il Pd milanese (28,97%) - dicono che tiene ma ha perso 30 mila voti rispetto al 2011 e 113 mila rispetto alle europee del 2014 - per dovere di cronaca tocca sparare sulla croce rossa/arancio. Per decenza, sorvoleremo sul fatto che molti candidati si sono detestati amorevolmente tra loro anche all’interno della stessa lista, giusto per comunicare l’idea di una sincera partecipazione a un progetto. E il personale è politico, soprattutto a sinistra. La lista Sinistra X Milano ha preso 19.281 voti (3,83%). Disastro: è la lista arancione di Sel, quella sponsorizzata da Pisapia - ci ha messo la faccia sui cartelloni - quella che avrebbe dovuto intercettare il voto di sinistra per Sala (la lista del manager ha preso 38.674 voti dunque il 7,68%, il doppio degli adepti di San Giuliano). Sel in particolare è azzerata (9.000 voti in meno rispetto al 2011), senza contare che il più votato della lista è un assessore del Pd (Del Corno) e il secondo è Limonta, braccio sinistro di Pisapia. Terza Anita Pirovano con 1.482 voti, la segretaria cittadina di un partito che non esiste più. Non va da nessuna parte (solo un consigliere a Palazzo Marino) anche la lista Milano in Comune di Basilio Rizzo: 17.635 voti (3,5%). Con questo risultato desolante si conferma per l’ennesima volta l’irrilevanza della sinistra sinistra senza un progetto credibile che si ricompone alla disperata ad ogni scadenza elettorale (Prc, Lista Tsipras e Possibile). C’è poi un altro dato molto locale ma significativo che dà l’idea del disastro in corso: il centrosinistra è riuscito a perdere anche la zona 9 (Municipio 9), quello spicchio nord di Milano che alla sinistra, dal 1945, ha sempre dato un po’ di sollievo anche nei momenti peggiori. C’è un limite al peggio? Il 19 lo decideranno gli astensionisti di sinistra, quelli che «basta sono stanco!, Sala e questo Pd non li voterò mai» e gli altri che «siete pazzi volete riconsegnare Milano alla destra». Contraddizioni in seno a un popolo in via di estinzione. belluna (già feudo della senatrice democratica Laura Puppato): gli elettori premiano Marzio Favero sindaco "filosofo" della Lega confermato subito al secondo mandato con il 52% di voti. Anche qui per il Pd è un incubo in piena regola: il giovane candidato del partito di Renzi Davide Quaggiotto conclude staccato di ben 30 punti percentuali. Stesso trend in provincia di Verona: a San Giovanni Lupatoto esito rimandato al secondo turno, anche se sarà quasi impossibile annullare il boom di Attilio Gastaldello (appoggiato da Lega e centrodestra) che parte da un sonoro 36,4%. Non sono bastate le quattro liste civiche a sostegno dell’ex sindaco del centrosinistra Remo Taioli (15,5%) né gli sforzi di Federico Vantini (13,2), primo cittadino uscente e candidato del Pd. Nel Padovano i democratici si consolano con il risultato di Abano Terme: il sindaco Luca Claudio (lista civica di destra) conquista solo il 41,6% nelle urne, tallonato da Monica Lazzaretto del centrosinistra che convince il 35,6% dei votanti e guadagna il ballottaggio. Secondo turno anche a Este: il 19 giugno la sfida sarà tra il vicesindaco Stefano Agujari-Stoppa (Pd e Udc) scelto dal 32,2% e l’imprenditrice di Confindustria Roberta Gallana (Lega, Fi e FdI) che ha già incassato il 39,3% dei consensi. Anche ad Adria (Rovigo) giochi rimandati al secondo turno: Massimo Barbujani, sindaco uscente, insegue il terzo mandato in municipio, forte del 45% dei voti del centrodestra contro Nicola Zambon del centrosinistra che riparte dal 23,9%. IL RITORNO A Benevento il «nuovo» si chiama Mastella Giuliano Malatesta P er tornare in campo con chance di vittoria ha rimesso insieme la strana coppia Udc-Forza Italia e ha addirittura riallacciato i rapporti, dopo anni di incomprensioni, con Ciriaco De Mita. Ovvero l’uomo che nel lontano 1976 lo raccomandò in Rai e lo lanciò nell’agone politico. Ma lo ha fatto sottotraccia, presentandosi invece agli elettori come il nome nuovo, l’uomo della provvidenza che si sacrifica e torna in pista per il bene della comunità e per salvare dal fallimento «la città che ama». La sesta vita politica di Clemente Mastella, ex Guardasigilli del Governo Prodi che lui stesso contribuì a far cadere negandogli nel 2008 il voto di fiducia in parlamento, riparte da Benevento, dove il re di Ceppaloni, candidato sindaco alla guida di due liste civiche, ha ottenuto un risultato solo in parte sorprendente: quello di arrivare al ballottaggio, addirittura in vantaggio, seppur di una manciata di voti (33% V 33%), rispetto al partito democratico, dove ironia della sorte oggi militano gran parte dei mastelliani della prima ora. Eh sì perché in questa zona del Sannio, dove accordi e alleanze possono durare il tempo di uno scrutinio, il Pd, che viene da dieci anni di governo locale e due mandati vinti senza mai arrivare al ballottaggio, rappresenta un blocco di potere riconoscibile, che per molti aspetti assomiglia tanto alla vecchia Democrazia cristiana. Questa volta però le défaillance amministrative del sindaco uscente Fausto Pepe (originariamente uomo di Mastella), dal pasticcio nella gestione delle mense al fallimento dell’azienda dei trasporti, hanno impedito come nel passato una facile vittoria al primo turno. E visto che il Movimento 5 Stelle ha pagato un po’ di inesperienza e probabilmente anche un candidato non del tutto convincente, fermandosi sulla soglia del 20%, paradossalmente è toccato proprio a Mastella (sic) intercettare parte del malcontento e del voto di protesta. Una parte, quella del salvatore della città, che l’ex sindaco di Ceppaloni ha interpretato alla perfezione, al punto da paragonarsi più volte, nel corso della campagna elettorale, alla figura di Gennaro Jovine, il protagonista di Napoli Milionaria di Eduardo che, tornando dalla guerra, di fronte al disgregamento familiare si chiede sconvolto cosa sia successo. Ma non è detto che questa recita sia sufficiente per diventare sindaco. Per riuscirsi Mastella dovrà battere il vicesindaco uscente e candidato del Pd Raffaele Del Vecchio, uomo molto vicino al sottosegretario alle Infrastrutture Umberto Del Basso De Caro, che tutti indicano come "il notabile" di Benevento, e intercettare almeno parte degli ottomila voti grillini. Non proprio i suoi migliori amici. Giorgio Bonamassa Giorgio non c’è più. Restano le sue idee, il coraggio indomabile nel perseguirle, la forza luminosa del suo affetto. I funerali si terranno presso la chiesa San Desiderio in piazza Risorgimento 15 ad Assago { pagina 4 il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 EX VOTO Nella squadra potrebbero entrare l’urbanista Berdini e il rugbista Lijoi. Il no di Montanari pagina 5 RAGGI GIACHETTI 35,2% 24,9% Raggi & co. I nuovi re di Roma Il M5S sbanca in tutti i Municipi, tranne in centro, ai Parioli e a San Lorenzo. Toto-nomi per gli assessori Giuliano Santoro C’ è una mappa di Roma che circola da ieri mattina, da quando i dati reali del voto romano hanno iniziato a confluire e a essere elaborati. Quella mappa racconta l’evoluzione ultima di una tendenza in corso da quasi trent’anni. È un puzzle composto dalle quindici tessere dei municipi capitolini. Ci sono tasselli rossi, assegnati al Pd: corrispondono ai municipi del centro storico e di San Lorenzo e Parioli, dove il partito di Renzi e Giachetti è maggioranza relativa. Le due tessere sono letteralmente accerchiate da tessere gialle. Sono i municipi nei quali il Movimento ha vinto, battendo spesso il Pd e qualche volta Giorgia Meloni. Il tempo in cui ogni nuova periferia era appannaggio delle sinistre è passato. Ma un crollo verticale di questo tipo è inedito, approfondisce la crisi di identità del Pd romano e disegna una composizione del voto piuttosto precisa. A partire da Ostia, il municipio sciolto per Mafia Capitale, dove Raggi raccoglie il 44 per cento dei voti e passando per Tor Bella Monaca, dove la pentastellata raccoglie il 41,04. I 5 Stelle romani crescono del 10,3 per cento rispetto alle comunali del 2013, quando raccolsero il 24,9 per cento dei voti, e praticamente triplicano il loro bottino rispetto alle Europee del 2014, quando si fermarono al 12,8 per cento. Tuttavia, c’è un ulteriore elemento che complica la faccenda. Se coloriamo la mappa di Roma usando le preferenze espresse per i candidati dei municipi, il giallo del Movimento 5 Stelle riempie soltanto cinque tasselli su quattordici (sarebbero quindici, ma a Ostia non si è votato causa commissariamento). Di fronte a persone conosciute nelle istituzioni di prossimità per eccellenza, anche il voto a un brand forte come i 5 Stelle si ridimensiona. Le mappe giallorosse fanno brillare gli occhi della candidata supervotata, Virginia Raggi. «Non è finita: il 19 giugno bisognerà completare ciò che abbiamo iniziato, sarà l'occasione per riscrivere insieme, definitivamente, il futuro della nostra città» ha detto ieri. Dopo il successo, ha evitato ogni appuntamento pubblico. Unico impegno in agenda, da politico consumato più che da outsider, il passaggio serale davanti alle telecamere di Bruno Vespa. Se Raggi è entrata nella parte del corridore in fuga, Giachetti si comporta da inseguitore, sfidando la sua avversaria a partecipare a un confronto: «Spero di potermi confrontare con Raggi sulle idee di Roma che abbiamo. Fino ad ora lei si è rifiutata». Domenica sera, a botta calda, Alessandro Di Battista, membro del direttorio del M5S, ha detto davanti alle telecamere che la squadra degli assessori sarebbe stata comunicata prima del ballottaggio. L’annuncio pare più che altro dettato dal momento di euforia e da un colpo di improntitudine, ma in effetti Raggi e il cerchio magico romano che la coadiuva stanno facendo delle verifiche per individuare i nove nomi (più uno «pro tempore» alla «riorganizzazione delle società partecipate») della giunta a 5 stelle. Pare sia stato proposto l’assessorato alla cultura allo storico dell’arte moderna e saggista Tomaso Montanari, che però avrebbe declinato l’offerta. Da qualche giorno è invece dato per certo il nome del rugbista Andrea Lijoi, al quale andrebbe l’assessorato allo sport. Tra le ipotesi, anche l’urbanista Paolo Berdini, avvistato più volte agli incontri pubblici del M5S. Grande atten- VIRGINIA RAGGI FOTO LAPRESSE zione sull’assessorato al bilancio, che dovrà gestire il complesso passaggio del debito che grava sulle casse del Comune di Roma. Raggi ha spiegato in più occasioni che l’unico criterio sarà il merito e che «verranno analizzati i curriculum», ma una qualche forma di spartizione è inevitabile. Ecco perché il ritrovato rapporto con Roberta Lombardi, che si è occupata molto di emergenza abitativa e che lo scorso 3 giugno a piazza del Popolo ha dedicato gran parte del suo intervento a questo tema, verrebbe celebrato con la nomina di un dirigente al dipartimento competente. Si parla di una figura proveniente direttamente dal mondo delle associazioni degli inquilini. Quella di Roma è stata la prima, significativa, affermazione del M5S senza un ruolo preponderante di Beppe Grillo. Anche nei capannelli tra volontari e «portavoce» circola una valutazione fino a poco tempo fa impensabile, o meglio impossibile da pronunciare a voce alta senza passare per un dissidente: «L’assenza di Grillo ci ha favorito, le sue parole avrebbero spaventato il ceto medio e il voto moderato». «Sono le prime elezioni senza Casaleggio e con Grillo che ha deciso di fare un passo di lato, questo segna la crescita del Movimento e noi siamo molto soddisfatti», ha detto il più ortodosso Di Battista. Ma il «passo di lato» annunciato dal comico e fondatore viene considerato più una tattica di comunicazione che un segnale di mutazione della struttura del Movimento. Soltanto fino a pochi giorni fa, non bisogna dimenticarlo, parlavamo della sospensione di Pizzarotti decisa da Casaleggio Jr. e del ruolo di «garante» di Grillo. Questa presenza-assenza di Beppe Grillo è l’ennesima complessità dello strano animale che si appresta a entrare nella stanza dei bottoni della capitale. ASTENSIONISMO Ha cominciato la politica a mollare il popolo N el suo editoriale di domenica, Ilvo Diamanti, che è uno dei più acuti interpreti degli umori degli italiani, ha argomentato che il non voto non è peccato. È segno di disaffezione, consueto in tutte le democrazie avanzate. Sennonché, come hanno mostrato i risultati del primo turno delle amministrative, il non voto non sarà peccato, ma può fare molto male. Se è segno di disaffezione legittimo, testimonia pur sempre una grave condizione di malessere dei regimi democratici. Quello degli astensionisti è un non voto (o una forma di voto) che va scomposto. C’è l’astensionismo strutturale, di coloro che sono estranei alla politica. Provengono dai gruppi sociali meno attrezzati sul piano culturale e anche economicamente e socialmente più deboli. A tale astensionismo strutturale si somma l’astensionismo consapevole, di chi intende manifestare il suo dissenso verso la politica e i suoi attori e non vota perché ritiene di non disporre di altri strumenti. Negli ultimi decenni, questo tipo di astensionismo è cresciuto esponenzialmente. Come ne è cresciuto un terzo tipo: quello di coloro che sono socialmente e economicamente in sofferenza, ma ai quali un tempo se non altro la politica dedicava specifiche attenzio- ni. Ovvero, che in qualche modo coinvolgeva. Lo faceva in vario modo, tramite le macchine di partito, ma pure tramite le pratiche clientelari. Senza fare l’elogio di queste ultime, erano se non altro una tecnica di coinvolgimento. Se sottraiamo l’astensionismo strutturale, che negli anni Ottanta superava alle politiche di poco il 10%, l’astensionismo «politico», quello intenzionale e quello frutto dell’abbandono da parte della politica, riguarda quasi 3 elettori su 10. Si dirà che quelle di domenica erano solo elezioni locali. Ma è consolazione modesta e i numeri fanno pur sempre impressione, anche perché condizionano il risultato. Siamo certi che gli astenuti, ove avessero votato, si sarebbero equamente distribuiti tra tutti i partiti? L’astensionismo dunque non è un bel segnale e fa pure danno. Specie se lo si accoppia alla percentuale imponente raggiunta dal voto di protesta. Il dato non è omogeneo, ma fa pur sempre impressione che un terzo dei votanti torinesi e di quelli romani si siano pronunciati per il Movimento 5 stelle, cioè per un partito che ha fatto dell’avversione contro tutti i partiti il proprio fondamento. Neanche questo è peccato, ma oltre metà degli italiani odiano la politica. Meglio: odiano questa politica Alfio Mastropaolo e odiano quanti la interpretano. E si rivolgono all’antipolitica, che è politica anch’essa, seppur condotta con altri mezzi e in altre forme e che da tempo dilaga senza freni facendosi portatrice di progetti che è riduttivo definire modesti. Oggi la Lega governa in due importanti regioni, dopo aver governato il paese. Ma resta ancora anti- La scelta di non votare risponde a motivazioni diverse e non va demonizzata. Però fa male e la cura è lontana politica. Il berlusconismo è disordinatamente in rotta, ma è stato una forma di antipolitica. Lo stesso successo di Matteo Renzi ha una non secondaria componente antipolitica. A propiziare la sua ascesa fu la promessa - antipolitica - di «rottamare» la vecchia politica, confermata con qualche gesto di rottura tra il suo insediamento a palazzo Chigi e le elezioni europee del 25 maggio 2014, che come sappiamo lo premiarono. Cioè premiarono la sua antipolitica, di cui però gli elettori non si contentano più. Piero Fassino, che ha lunga e solida esperienza politica, è il solo che ha avuto il coraggio di abbozzare un’analisi a caldo, imputando il risultato elettorale, anche per lui non lusinghiero, alla crisi sociale. Difficile è dargli torto. Salvo che la sua analisi s’è fermata a metà. Innanzitutto è da un quarto di secolo che l’Italia vive un’estenuante crisi sociale e economica, che si è solo drammaticamente aggravata in ragione della crisi finanziaria esplosa nel 2008, così come vive una terribile crisi morale, esplosa con Tangentopoli e non ancora superata, Tant’è che da un quarto di secolo il tarlo dell’antipolitica la corrode. Bisognava accorgersene prima. Così come, adesso, sarebbe il caso di chiedersi. cosa che Fassino non fa, se per caso il risultato elettorale non sia pure tributario delle repliche opposte dalla politica all’una e all’altra crisi. Sono state, diciamolo, risposte inadeguate. Sono state inadeguate quelle alla crisi economica e sociale. È ben vero che i margini di manovra della politica nazionale sono stati severamente compressi dai vincoli esterni. Non entriamo nel merito: ma possiamo almeno domandarci se le politiche adottate, all’insegna dell’austerità, fossero le più convenienti e senza alternative? Quant’altro dovranno pa- gare gli italiani in riduzioni di stipendi, salari, servizi pubblici, e in aumenti di imposte, perché la crescita raggiunga almeno la media della crescita europea? Conviene proprio insistere con simili politiche e disinvestire nella scuola, negli ospedali, nelle pensioni, nella manutenzione del territorio, magari per pagarsi lussuosi sistemi d’arma? E che non siano state del pari inadeguate le risposte più strettamente politiche? Suvvia, come negare che, oltre a governare in maniera deludente la politica ha preso le distanze dai cittadini? Mentre la crisi economica li maltrattava, la politica vi ha aggiunto la sua indifferenza. Non attenuata né da qualche esibizione televisiva condita di antipolitica, né da un’improvvisata pseudo-abolizione del senato. Per contro l’indifferenza è ribadita dall’immoralità non dissimulata di una parte non secondaria del personale politico e dai privilegi che la classe dei politici spudoratamente esibisce. Così come esibisce i suoi stretti rapporti di comparaggio con i poteri che contano. Come non notare che la politica odierna è fatta d’intrecci coi potentati economici e finanziari e di poco trasparenti circuiti che combinano affari e si spartiscono prebende, infischiandosene in compenso dei problemi dei cittadini? pagina 6 il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 EX VOTO De Magistris: «Abbiamo tutti contro, ma questa città seguirà l’esempio di Barcellona» NAPOLI · Il Nazareno pensa a Ernesto Carbone, quello del «ciaone» dopo il voto sulle trivelle Crollo dem, e Renzi manda il commissario LUIGI DE MAGISTRIS A PIAZZA PLEBISCITO FOTO CIRO DE LUCA Adriana Pollice A Napoli si ritrovano al ballottaggio il sindaco uscente, Luigi de Magistris, con il 42,82% dei voti e lo sfidante di centrodestra, Gianni Lettieri, con il 24,04%. Per il Pd lo psicodramma è cominciato a metà mattinata, quando il segretario premier Matteo Renzi annuncia: «Il risultato peggiore del Pd è a Napoli, città meravigliosa ma è un baco per il Pd. Alla prima direzione del partito dopo il ballottaggio proporrò il tema di Napoli, è impossibile continuare a sfangarla. Proporrò una soluzione commissariale per ripartire da zero». E sul patto di coalizione stretto in città con i verdiniani di Ala: «Laddove si è cercato di fare alleanze, mi pare che non abbiano funzionato minimamente». La candidata dem, Valeria Valente, si è presentata alla stampa sotto il peso di un pessimo risultato per il partito: appena l’11,64% quando cinque anni fa era al 16,5% e l’anno scorso alle regionali al 21%. Mario Morcone, catapultato nel 2011 da sconosciuto in una città coperta dai rifiuti, prese il 19%. Valente (ex assessore e parlamentare) ha totalizzato 21,14% nonostante tre comparsate accanto a Renzi e mezzo governo arrivato a sostenerla. «Mi assumo la responsabilità, non cerco capri Resa dei conti nei democratici. E Speranza prepara l’«endorsement» al sindaco uscente espiatori – ha commentato - Anche rispetto alle alleanze, le abbiamo fatte tardi e non spiegate abbastanza, né al nostro elettorato né a quello centrista». Il segretario regionale, Assunta Tartaglione, mette sul tavolo la vittoria a Salerno al primo turno con il 70% (ma senza simbolo Pd) e i ballottaggi raggiunti a Caserta e Benevento. La domanda che gira è chi sarà il commissario. Dal Nazareno è già arrivato il parlamentare e membro della segreteria nazionale Ernesto Carbone, quello del «ciaone» ai votanti del referendum sulle trivelle. La speranza è che non resti: «Ci vuole qualcuno di peso - ripetono in molti - abbia- mo perso pure la municipalità Fuorigrotta–Bagnoli» (ex roccaforte dem nonché simbolo dell’intervento diretto del governo contro l’amministrazione de Magistris). Ma anche uno dei territori dove si è consumato il braccio di ferro tra Valente e i circoli locali. Fuori dal consiglio comunale anche Antonio Borriello, quello dell polemiche per le monete da un euro ai seggi delle primarie. In attesa che si apra la resa dei conti con l’area di Antonio Bassolino, il segretario provinciale Venanzio Carpentieri, finito nel mirino del premier, spiega alla stampa: «Sono d’accordo con l’arrivo del com- CALABRIA · Exploit della sinistra a Cassano Jonio: 18 per cento Cosenza trincea berlusconiana Con Ala il Pd sprofonda Silvio Messinetti CROTONE B erlusconi se la ride solo in riva al Crati. Dove il simbolo di Forza Italia è morto e sepolto con la benedizione del gran capo. Sembra un paradosso ma non è. Piuttosto è l’appendice del “modello Venezia”. Nessun simbolo di partito ma solo una vincente infornata di liste civiche, ben 14, un record nazionale. L’archistar, Mario Occhiuto, sindaco uscente, ha preparato con cura la sua rielezione a Cosenza. Ha messo a posto, con puntiglio architettonico, le tessere del puzzle. E ha stracciato tutti già al primo turno con il 59%. Mentre il Pd crollava al punto più basso della sua storia: 18% al candidato, Carlo Guccione, e la lista sprofondata al 7%. Va da sè che il Pd ne esce con le ossa rotte. Ma chi è colpa del suo male pianga sè stesso. Gli strateghi dem hanno prima inventato uno scioglimento anticipato del consiglio, davanti al notaio con un cotè di verdiniani e vecchi arnesi democristiani. Poi hanno liquidato, senza troppi convenevoli, il manager Lucio Presta. Infine, ciliegina sulla torta, hanno suggellato, proprio nella città bruzia, il matrimonio capestro con l’Ala verdiniana. Che in termini di voti gli ha dato poco o niente (le due liste di Verdini insieme totalizzano il 4%) ma in termini di immagine negativa ha pesato tantissimo. I grillini si confermano dei fantasmi: invisibili e inconsistenti, si schiantano al 2% e sono fuori da palazzo dei Bruzi. La sinistra, qui ricompattata in un arco che va dai movimen- A Crotone ballottaggio tra la dem Rosanna Barbieri e Ugo Pugliese (Udc e civiche), divisi da poco più di mille voti ti sociali fino a Sel, incassa un buon 6% in favore di Valerio Formisani. La lista Cosenza in Comune paga però il marchingegno del voto disgiunto e si ferma sotto il 3%. Una manciata di preferenze di lista impedisce così a Formisani di entrare in consiglio malgrado i 2500 voti a sindaco. «Il voto disgiunto e una spudorata compravendita di voti nega rappresentanza al 6% dei cosentini, alle istanze e ai bisogni sociali. Faremo ricorso per il ri- DE MAGISTRIS LETTIERI 42,8% 24% missario. Ho comunicato ai vertici nazionali di essere a disposizione. Non so cosa abbia in mente Renzi ma ritengo che il partito abbia bisogno di un’operazione simile a quella fatta a Roma da Barca». Lettieri intanto prepara il ballottaggio: a differenza del 2011, parte indietro di quasi 20 punti. Mara Carfagna, capolista di Forza Italia, è la più votata in assoluto ma il partito va malissimo (9,59%). Nel 2011 il Pdl prese il 23,85%, Fi alle regionali del 2015 in città aveva il 14,18%. Così Lettieri tira dritto: «Berlusconi non tornerà, lui si occupa del partito, io sono un candidato civico e chiedo il voto a tutti i napoletani». In particolare al Pd. Roberto Speranza, della minoranza dem, ieri ha fatto il suo endorsement per de Magistris, come il consigliere regionale Gianluca Daniele che ha chiesto un congresso straordinario. Il sindaco arancione ha suonato la carica per il rush finale, forte del successo delle sue liste (De Magistris sindaco 13,78%; Dema 7,58% mentre Napoli in comune con esponenti di Sel e Rifondazione è al 5,31%): «Ci accusano di non aver vinto al primo turno ma avevamo contro tutti, a cominciare dal governo. Se il Pd vuole rinnovarsi a Napoli io posso essere lo strumento. Ma non mi candido a fare il commissario». E ancora: «Anche il presidente del consiglio, che nelle ultime settimane ha scoperto la bellezza di Napoli ma voleva mettere le mani sulla città, ammette che il voto premia l’amministrazione di un comune che non è stato governato così male». Mano tesa ai 5Stelle per una collaborazione anche senza accordo politico. Sul suo futuro: «Nel 2018 non ho intenzione di candidarmi da nessuna parte. Dal 19 giugno comincia il nostro impegno a costruire un movimento organizzato, siamo diventati un soggetto politico nazionale e internazionale. Si deve guardare a Napoli come a Barcellona». Il Movimento 5Stelle vede il bicchiere mezzo pieno con il candidato a sindaco, il brianzolo Matteo Brambilla, al 9,6% come la lista. Nel 2011 Fico si fermò all’1,4%. Ma l’anno scorso erano al 24,8%, prima del «caso Quarto». conteggio delle schede» ci dice Delio di Blasi, animatore della sinistra bruzia. Partita aperta a Crotone. Al ballottaggio se la giocheranno Rosanna Barbieri (Pd) e Ugo Pugliese (Udc e civiche). La battaglia è sul filo. Tra i due ballano poco più di mille voti. Il Pd rischia di perdere anche la sua roccaforte storica in Calabria. Una campagna scialba, senza mordente, in cui le questioni ambientali (Crotone vive distesa su una bomba ecologica) e sociali (la provincia più povera d’Italia) sono state piegate e messe nel cassetto. Manco una parola in casa dem sull’altra grande emergenza: la piovra della ‘ndrangheta che ammorba il tessuto socio-economico. A queste latitudini le famiglie di ‘ndrangheta (e le logge più o meno occulte) decidono tutto, fanno il bello e il cattivo tempo, tengono in ostaggio un intero territorio. Ma in campagna elettorale tutto è stato taciuto. E questo attendismo spiega il buon risultato dei 5 Stelle che superano il 15%, anche se la lista si ferma al 10%. Ma il vero vincitore è Enzo Sculco, ras democristiano della provincia, ex consigliere regionale e segretario Cisl, Una fabbrica del consenso da queste parti, con un percorso politico a zig zag. Nel 2005 grande elettore di Loiero e nel 2010 grande elettore di Scopelliti. Prima di riportare la figlia Flora, attuale consigliera regionale nell’ovile del centrosinistra in una delle liste a sostegno di Mario Oliverio. Nonostante una condanna – per reati piuttosto seri – passata in giudicato a suo carico, condanna che ne ha causato anche la revoca del vitalizio, Sculco è ancora una potenza. Il suo candidato va al ballottaggio con il 27%, un record per i centristi che nel resto d’Italia sono alla canna del gas. E la sinistra a Crotone? Non pervenuta. Va decisamente meglio cento chilometri a nord a Rossano Calabro, paesone di trentamila anime sullo Jonio cosentino. Qui la coalizione di sinistra, a sostegno di Flavio Stasi, tocca il 18%. E per un pelo manca il ballottaggio. ANALISI Frenata grillina, i voti già passati al sindaco «anti» NAPOLI S e c’è una città dove il Movimento 5 Stelle non ha fatto segnare un buon risultato questa è Napoli. È la stessa città dove in testa con oltre il 40% c’è un candidato sindaco alla sinistra del Pd. L’analisi dei voti assoluti conferma che non si tratta di una coincidenza casuale. Unica tra le sette città capoluogo di regione che sono andate alle urne domenica, Napoli offre la possibilità di paragonare questo risultato con quello vicinissimo dell’anno scorso di altre elezioni amministrative: le regionali che hanno visto la vittoria del Pd Enzo De Luca. L’affluenza alle urne rispetto ad allora è cresciuta. A Napoli città, nonostante il forte disinteresse (ha votato poco più del 54% degli aventi diritto), sono andati a votare 106.672 elettori in più rispetto a quando vinse De Luca. Il Movimento 5 Stelle sembra non averne intercettato nemmeno uno. Il risultato del candidato grillino al comune è scarso: ha conquistato il 9,63% e cioè 38.733 voti assoluti. Praticamente la metà di quelli del candidato alle regionali 2015, una candidata: Valeria Ciarambino. Domenica scorsa il Movimento 5 Stelle presentava un candidato, Matteo Brambilla, sul quale si è ironizzato per il cognome poco attraente per i napoletani (e per il nome poco gradito ai grillini). Probabilmente esagerando, perché gli elettori del Movimento badano meno degli altri alla persona del «portavoce» e più al programma, al «garante» nazionale Beppe Grillo e al limite ai leader riconosciuti che in città sono ben due (non troppo affiatati), Di Maio e Fico. Il confronto con i precedenti è penalizzante per il Movimento anche rispetto alle Europee del 2014 (allora i voti erano stati 84.628, con un’affluenza simile a quella delle regionali) e soprattutto con le politiche (110.570 voti per i grillini, ma con una percentuale di affluenza superiore a quella di domenica scorsa). Certo, i 5 Stelle napoletani pagano la scissione nel movimento che è seguita all’espulsione da parte di Grillo di 36 attivisti in un colpo solo. Ma i dissidenti con le loro «6 stelle» non erano in corsa. E per trovare un risultato peggiore di quello fatto segnare da Brambilla bisogna tornare al 2011, alle precedenti elezioni comunali - se non l’alba era appena il mattino del Movimento. Allora Roberto Fico candidato sindaco mise insieme appena 6.441 voti, anche meno di quelli raccolti dalla sua lista. Dove sono andati i voti che mancano al candidato grillino di queste comunali? Una risposta si può trovare guardando alle liste del sindaco uscente. De Magistris con 172.181 voti ha aumentato i consensi rispetto a quelli che aveva raccolto nel 2011 al primo turno. Particolare interessante, mentre allora come candidato sindaco aveva raccolto quasi il doppio dei voti delle sue liste, questa volta - che le liste da 4 sono diventate 12 - ha preso appena 22mila voti personali, aggiuntivi rispetto a quelli dei tantissimi candidati che lo hanno appoggiato. Il sindaco «autonomista» e anti renziano ha evidentemente conquistato una parte degli elettori grillini. E domenica per vincere al primo turno gli sono mancati poco più di 40mila voti. Brambilla, lo ripetiamo, ne ha presi 38mila. a. fab. il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 EX VOTO FASSINO La candidata dei Cinquestelle scuote Torino «Risultato straordinario, il gap è colmabile» pagina 7 APPENDINO 41,8% 30,9% Marco Vittone TORINO C ome una scossa. La città di Torino si è risvegliata stordita, ancora incapace di analizzare pienamente l'esito di una votazione che ha riportato, dopo 15 anni, il ballottaggio sotto la Mole. Chiara Appendino, M5s, e Piero Fassino, Pd, si sfideranno fino all'ultimo voto. Il secondo turno veniva quasi dato per certo ma non con un'indeterminatezza tale e non così rischioso per il sindaco uscente che domenica ha ottenuto il 41,8% perdendo, però, 95mila voti rispetto al 2011 (erano 255mila 5 anni fa sono 160 oggi). Appendino, 31 anni già consigliera nella passata tornata, ha conquistato il 30,8%, ma il suo «appeal» è in crescita avendo fatto breccia soprattutto nelle periferie, le aree che più si sono senti- Periferie quasi letali per il sindaco uscente. Disfatta per la sinistra di Giorgio Airaudo te emarginate nella lunga trasformazione della metropoli sabauda. Alle Vallette, estremo nord-ovest della città, quartiere operaio dove hanno sede il carcere e lo stadio della Juventus, la pentastellata ha fatto il pieno dei voti superando lo sfidante Fassino: 36,1% contro il 34,5%. L'ultimo segretario dei Ds è stato invece maggiormente apprezzato nei quartieri del centro: a Crocetta e centro storico ha incassato il 50,1%. 3,7% per l’ex leader Fiom Disfatta invece per la sinistra che con «Torino in Comune» capeggiata da Giorgio Airaudo ha racimolato il 3,7%, ben al di sotto delle aspettative che confidavano in un 7%. Doveva essere il voto «utile per combattere le disuguaglianze», appello che evidentemente non è stato raccolto seppur l'ex leader della Fiom e deputato di Sinistra Italiana sia riuscito a riunire i pezzi sparsi della sinistra cittadina, da Sel a Rifondazione a movimenti e liste civiche. Non è bastato, la «città fragile» non si è probabilmente riconosciuta nel progetto. Airaudo parlerà questo pomeriggio in conferenza stampa («Riuniremo i nostri candidati e faremo una valutazione del voto») e scioglierà il nodo del ballottaggio. Tra le preferenze spicca il risultato di Eleonora Artesio, ex assessore regionale alla Sanità, che doveva essere la vice di Airaudo e che ha raccolto 1.420 voti e quello di Massimo Lapolla con 1.035 voti. Il M5s è il primo partito della città con il 30% e supera di poco il Pd fermo al 29,7% in uno dei Sorpresa, sotto la Mole torna il ballottaggio feudi del centrosinistra italiano. Ma se si valutano tutti gli aventi diritto il primo partito è quello dell'astensione lievitata di 9 punti: l'affluenza è passata dal 66,5% al 57,1%, ben sotto la media nazionale. Un dato su cui riflettere. do si deve scegliere sindaco». Fassino ha sminuito la proposta del M5s e attaccato la sinistra: «Mi pare che Giorgio Airaudo abbia raccolto un bottino assolutamente minimo. Io avevo chiesto di andare uniti al voto, invece...». Chiara Appendino brinda all'esito del primo turno: «Nella roccaforte del Pd, questo è un risultato straordinario. Credo che il gap con Fassino sia colmabile: è emersa la voglia di una forza propulsiva nuova e noi siamo questa forza». Capitolo apparentamenti Resta aperto il capitolo apparentamenti con i due sfidanti, che escludono in modo categori- co lo scambio di poltrone in cambio di voti. I consensi raccolti dagli altri quindici candidati, oggi fuori dalla competizione, potrebbero fare la differenza. Al momento l'unico a sbilanciarsi è l'ex azzurro Roberto Rosso, che annuncia il suo appoggio (che potrebbe valere il 5%) a chi sposerà il suo programma per la sicurezza riassunto nello slogan «Una telecamera per ogni condominio». Non danno indicazioni Osvaldo Napoli di Forza Italia e Alberto Morano di Lega e Fdi, che pesano rispettivamente il 5% e l'8%. Per ora nemmeno Airaudo si esprime. Insomma, la partita è aperta e la campagna elettorale potrebbe farsi davvero accesa nelle prossime due settimane. Undici punti di differenza Undici punti dividono Fassino da Appendino, ma il candidato dem, nonostante parli di risultante «confortante», non si sente con la vittoria in tasca. Il volto scuro della scorsa notte lo testimonia, ieri mattina – abbandonato l'understatement che aveva caratterizzato una noiosa campagna elettorale - si è presentato agguerrito: «Mi rivolgerò a tutti i cittadini torinesi perché, come è noto, il ballottaggio è un voto diverso. C'è un'ampia fetta di elettorato che è libera. Mi rivolgerò sia a tutti quelli che mi hanno già votato per chiedere di riconfermare la loro scelta, sia a tutti gli altri e a quelli del M5s. Un conto è votare per i Cinquestelle al primo turno e un conto è votare quan- TRIESTE CHOC · Il sindaco Cosolini staccato da Dipiazza (centrodestra classico). Sinistra evanescente Forti raffiche di bora sul Pd Ernesto Milanesi TRIESTE U na sferzata di bora fuori stagione e la paura di una mareggiata si trasforma nell’incubo peggiore. Roberto Cosolini, 60 anni, sindaco uscente del Pd sussidiario, è in ginocchio: 28.277 preferenze che valgono un misero 29,22% al primo turno. Ha vinto come da «previsioni non scientifiche» del Tg3 di domenica, cioè ha politicamente trionfato nelle 238 sezioni, Roberto Dipiazza: con il centrodestra «classico» ha mietuto 39.495 voti pari al 40,81%. Niente ballottaggio per il «grillino» Paolo Menis che si è fermato a quota 18.540 (19,16%), tuttavia è più che lievitato rispetto ai 6.094 voti e al 6% delle Comunali 2011. E comunque il M5S è il secondo simbolo più votato in città… Uno scenario davvero terrificante. Nessuno dei democrat poteva immaginare che anche l’«alabarda magica» sarebbe stata spezzata dalla rivolta elettorale, un po’ nostalgica un po’ fascio-leghista. Fin dal primissimo spoglio ufficiale, nella sede di via XXX Ottobre, si è materializzato il flop di Cosolini. E dopo pranzo, con i dati definitivi senza appello, lo stato maggiore ha realizzato anche quanto sarà arduo ribaltare il verdetto in due settimane. Trieste sembra proprio pretendere un ritorno al futuro con Dipiazza, classe 1953, un passato da imprenditore nella grande distribuzione, sindaco berlusconiano di Muggia nel 1996 e poi a Trieste dal 2001 fino al 2011, ora consigliere regionale. È grazie a lui che il tandem Fi-Civica sfiora il 30% dei consensi, più quelli della Lega che va oltre il 9% e di FdI con il 4,3%. Ed è ancora Dipiazza che al ballottaggio può "pescare" ulteriori sostegni: sono calamitabili i 2.598 della "patriota" Alessia Rosolen e Così la rivolta elettorale ha finito per spezzare anche l’«alabarda magica». Male anche a Pordenone. Si fa festa solo a Muggia perfino una parte dei 1.717 fedelissimi all’indipendentista Giorgio Marsenich. Al contrario, alla virtuale autosufficienza di Cosolini fa da contraltare l’evanescenza della sinistra: Iztok Furlanic, candidato sindaco di Prc e Pcdi, vale 1.488 e Marino Sossi con SI appena 838. Irrecuperabili poi i 1.089 sostenitori di Maurizio Fogar che si batte da sempre per la chiusura della Ferriera, l’Ilva di Trieste. La Caporetto del Pd, del resto, è matematica. Il partito passa in cinque anni da 18.483 a 13.570 voti, emorragia non compensata dalla lista civica del sindaco (2.310 voti che diventano 3.147) anche perché Sel crolla da 4.468 a 1.783 rispetto alle precedenti Comunali. Cosolini cerca di rilanciare così la sfida, sia pure a denti stretti: «Mi aspettavo un risultato migliore, ma inizia una sfida nuova. Ci appelleremo a tutti, al 30% che ha scelto le liste escluse dal ballottaggio e a quelli che non sono andati a votare». Brusco risveglio anche per il capogruppo Pd alla Camera, il triestino Ettore Rosato: «Sapevamo che non era facile, ma la partita è apertissima. Cosolini ha dimostrato di essere persona seria e preparata, e ha governato Trieste in anni difficili, di ristrettezza per la finanza pubblica. Il ballottaggio è un’altra partita. Continueremo a lavorare per spiegare a tutti che abbiamo un progetto serio e credibile per far ripartire la città». Si fa festa almeno a Muggia: Laura Manzi, assessore uscente di Sel, è il primo sindaco donna nel comune di 13 mila abitanti al confine con la Slovenia. Aveva vinto le primarie contro l’erede designato da Nerio Nesladek (segretario provinciale Pd) e si è imposta per appena 135 voti sul centrodestra. A Pordenone non va meglio, perché la "difesa" del municipio dipenderà dagli apparentamenti e soprattutto dai quasi 3 mila elettori "grillini". Parte in vantaggio Alessandro Ciriani con il 45,5%, mentre il centrosinistra di Daniela Giust non è andato oltre il 33,2% e in due settimane dovrà scalare una piccola montagna: sono 3.064 le preferenze da recuperare, in pratica quelle raccolte dal candidato M5S. Infine, a Grado il nuovo sindaco Dario Raugna si è imposto per appena 69 voti. Rappresenta il «coordinamento del cambiamento» che ha raccolto il 25,9% battendo di stretta misura la lista di Claudio Kovatsch, il commissario straordinario scelto da Debora Serracchiani che si è candidato spaccando il Pd locale, e Roberto Marin del centrodestra che ha raccolto il 24,3%. pagina 8 il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 EX VOTO Lega al ballottaggio nonostante uno scarso 10% dei voti. 5 Stelle al veleno, come al solito FESTA DELL’UNITÀ A BOLOGNA FOTO LAPRESSE MEROLA BORGONZONI 39,5% 22,3% BOLOGNA · Niente svolta a sinistra Lo schiaffo ai dem non sveglia Merola BOLOGNA U «Sostenere il Pd? Non è scontato» Giovanni Stinco BOLOGNA «C erto siamo solo all'inizio, ma sicuramente è stato un buon inizio». Il giorno dopo il voto Federico Martelloni è soddisfatto, e parla dell'esperienza di Coalizione civica come di qualcosa che deve ancora dare i suoi veri frutti. E che comunque è già riuscita nella classica quadratura del cerchio: mettere assieme tutte le anime di quella sinistra cittadina che è alternativa al Partito democratico, amalgamarle e dare vita ad una formazione capace di convincere 12 mila bolognesi, il 7% dei voti che in consiglio comunale si traduce in due consiglieri eletti. Un risultato significativo per Coalizione civica, che si è dovuta scontrare con sondaggi che la davano stabilmente sotto al 5%. Invece le cose sono andate meglio del previsto. «Il nostro risultato - spiega Martelloni - attesta l'esistenza di un vero laboratorio politico cittadino. Lo avevamo detto nelle scorse settimane, ma Con il 7% dei voti la Coalizione civica detta le sue condizioni. Parla Federico Martelloni era solo un'ipotesi tutta da provare. Ora è realtà, abbiamo azzeccato un processo realmente partecipato, democratico e capace di oltrepassare i confini dei vari gruppi organizzati. Coalizione civica è l'inizio di una sinistra nuova, che si costruisce a partire dalla città senza bisogno di nominarsi, che ha un orientamento chiaro su tutte le questioni del nostro tempo, su scuola pubblica e beni comuni, sul lavoro e sulle esperienze di cittadinanza attiva». Che fare di questi 12 mila voti? Lo ripeto, per noi è solo l'inizio. Vediamo uno smottamento di quell'enorme blocco di potere che è rappresentato dal Pd. La flessione dei democratici è un dato inquietante, e questo ci dà un compito importante: riportare i bolognesi alla partecipazione. Abbiamo iniziato a battere quella strada in campagna elettorale, ma recuperare l'astensione monstre che c'è in città non è cosa che si può fare in pochi mesi di campagna elettorale rock. Quell'astensione è figlia dei numerosi tradimenti del Pd, dal referendum sull'acqua alla consultazione cittadina per togliere i fondi pubblici alle scuole private paritarie. Si poteva fare di più? L'obiettivo era un risultato in doppia cifra. C'è stato poco tempo e la campagna elettorale è stata frenetica. Ma non posso non constatare il nostro radicamento nei quartieri. Ad esempio al Santo Stefano, dove storicamente la destra è fortissima e dove questa volta è stata battuta. Nel quartiere c'è Làbas, un'occupazio- ne che in città sta raccontando una storia nuova. Ma dirò di più: le preferenze non sono andate alle persone, ma a grandi battaglie politiche: quelle per il riconoscimento delle differenze e dei diritti, quelle per gli spazi, quella contro lo sgombero di Atlantide. E abbiamo anche intercettato il voto dei giovani, altrimenti non si spiegherebbero le oltre mille preferenze di Emily Clancy, che siederà con me in Comune. Il Pd andrà al ballottaggio con la Lega Nord. Che farà Coalizione civica? Tra noi e la Lega c'è una distanza siderale, ma il voto al partito della nazione di Renzi non è scontato, anzi. Quello che è certo è che saremo all'opposizione della prossima giunta, e dopo la nostra campagna rock saranno gli altri a dovere ballare. Diano loro dei segnali. Ad esempio sulla mobilità: quella colata di cemento che è il Passante nord va bene così o c'è qualcosa da correggere? E sul tema della scuola pubblica il Pd vuole applicare il referendum cittadino che ha ignorato nel 2013? E ancora: sul diritto alla casa i democratici vogliono o no provare a fare finalmente un lavoro di qualità? Penso però che Bologna abbia gli anticorpi per rigettare una destra populista e leghista, e per questo non credo che daremo un'indicazione di voto. Cosa c'è nel futuro di Coalizione civica al di là di due consiglieri comunali? Dobbiamo strutturarci e creare un ponte fisico tra i nostri elettori, gli eletti, e i tanti candidati che hanno espresso competenze irrinunciabili: penso ad esempio ai temi dell'urbanistica, della sicurezza e della scuola. Ma tutte queste cose le decideremo assieme. A breve ci sarà un consiglio direttivo allargato a tutti i nostri candidati, poi una grande assemblea aperta agli elettori di coalizione civica. Coalizione civica è qui per restare. na sberla in pieno viso. E' stato questo l'effetto della notte elettorale per il Partito democratico di Bologna. Arrivato alla vigilia del voto convinto di poter portare a casa la vittoria al primo turno, il Pd, e con lui il sindaco democratico in cerca del bis Virginio Merola, si è trovato man mano che passavano le ore sempre più in basso. Fino ad arrivare al 39% dei voti. Cinque anni fa, quando Merola vinse di un soffio al primo turno, la coalizione di centro sinistra incassò 106 mila voti. Domenica si è fermata a quota 68 mila. Quasi 40 mila in meno. A pesare probabilmente anche fattori nazionali: la campagna referendaria d'ottobre già entrata nel vivo, la fine della luna di miele di Renzi con gli elettori, l'astensionismo che questa volta ha picchiato forte anche nello storicamente disciplinato elettorato democratico. Ma evidentemente molte cose non hanno funzionato a livello locale. «Non è il momento di perdere fiducia. Certamente non è quello delle rese di conti interne», ha commentato la deputata Pd Donata Lenzi. Una delle poche a parlare fino alle sei del pomeriggio, quando il sindaco si è presentato in Piazza dell'Unità, cuore della Bolognina. Chi si aspettava una svolta a sinistra è rimasto deluso. Merola ha tirato dritto, ha detto «no» ad ogni accordo nel secondo turno con i centristi, ha rifiutato ogni confronto con la candidata leghista, ha ammesso di avere sbagliato la campagna elettorale: «Dovevo comunicare di più e stare di più nelle strade, invece sono rima- SESTO FIORENTINO · Toscana amara per Renzi. Il presidente Rossi: «Situazione difficile» E il giglio magico perde l’aereo Riccardo Chiari FIRENZE S estograd resiste. Dopo aver mandato a casa la sindaca e cofondatrice del giglio magico Sara Biagiotti, ora può spedire il Pd all’opposizione. Lo dicono i numeri, si avverte nell’aria. E il bello è che il terremoto politico ha come unico responsabile Matteo Renzi. Che da Roma guarda con arrogante sufficienza le forze di sinistra («Mi sembra che chi vuol dare un voto di protesta vota i 5 stelle, non formazioni alla sinistra del Pd. Stanno tra il 4 e il 5 per cento, contenti loro..».), e poi rincara la dose nel suo bollettino. Ma qui, alle porte della "sua" Firenze, Renzi sta conoscendo una sconfitta che ancora non sembra analizzata in tutte le sue conseguenze. A partire dall’aeroporto intercontinentale made in Renzi&Carrai, vero motivo dell’esplosione di quello che appena due anni fa era il granitico Pd sestese. E ora con l’effetto collaterale di un inceneritore - accettato anni fa a patto di non uccidere definitivamente la Piana con il raddoppio dell’aeroporto - che a questo punto potrebbe finire anch’esso nella pattumiera. Per rifiuti speciali. I numeri sono chiari. L’ex vicesindaco Lorenzo Zambini, che secondo i sondaggi Swg dei dem correva sulla forchetta 49-52%, ha preso il 32,6%. In soli ventiquattro mesi si è volatilizzato più del 30% dei voti Pd. Andati, a guardare le preferenze, a quei sette consiglieri (su otto) che sfiduciarono Biagiotti, e che espulsi dal partito ora hanno corso con Sinistra italiana. Una Si che porta al ballottaggio Lorenzo Falchi, autore di un exploit da 27,4%. E con la Sesto bene comune di Maurizio Quercioli, arrivata al 19,2% con l’aiuto di Rifondazione, Possibile e Al, il cui programma elettorale è al 95% quello di Falchi. Entrambi con il doppio no all’aeroporto e all’inceneritore, argomenti dominanti della campagna. Chiamato a una missione quasi impossibile, Zambini se la prende con gli ex di partito e con il vecchio sindaco Gianassi, anche lui oggi in Si: «Questo tentativo gianassiano di restaurazione della vecchia classe dirigente sarebbe devastante per la città, riproiettandola nell’isolamento, nelle incoerenze e nello stal- lo permanente». Pronta la replica, dopo due anni di silenzio, di Gianassi: «Fra quindici giorni potremo vincere, potremo perdere. Però resta il fatto politico: Sesto Fiorentino non è il Quartiere 6 di Firenze, non si può venire a dare gli ordini a una comunità». Falchi assicura, anche al Tg3 toscano, il rispetto del programma: «Non abbiamo intenzione di mollare di un millimetro, né sull’aeroporto né sull’inceneritore». Parole apprezzate da Maurizio Quercioli, ex Pci rientrato in politica, dopo ben 24 anni, proprio per contrastare le due contestatissime grandi opere. «C’è già la certezza che l’inceneritore non si farà, visto che le quattro liste contro l’impianto hanno una maggioranza schiacciante». Già, perché contro Case Passerini ci sono anche il M5S con il suo 10%, e il centrodestra il cui 10,8% se ne andrà al mare, parola della candidata Maria Tauriello. Quante spine per il Pd in Toscana: è in difficoltà a Grosseto (Antonfrancesco Vivarelli Colonna del centrodestra al 39,5%, Lorenzo Mascagni del centrosinistra al 34,5%), ed è costretto al ballottaggio anche a Cascina, Sansepolcro, Montevarchi e Altopascio, dove almeno qui partiva da sfidante. Chiosa Enrico Rossi: «Questo risultato non è per niente entusiasmante, il Pd va indietro rispetto alle regionali, va indietro rispetto alle europee in modo incomparabile, e anche rispetto alle amministrative. È una situazione non semplice». Soprattutto a Sesto Fiorentino. Sestograd. sto troppo nei ministeri. Ora sarò un sindaco di strada. I bolognesi ci hanno mandato un segnale e lo raccoglieremo, faremo di più su mobilità, sicurezza e pulizia. Nessuno deve credere che la destra possa fare queste cose meglio di noi, per questo dobbiamo parlare anche ai moderati, perché la nostra visione di città è diversa da quella della Lega». Così il primo cittadino di un partito che a Bologna è abituato non a vincere, ma a stravincere. E che questa volta è stata invece trascinato al ballottaggio da una destra che fino ad un mese prima del voto era spaccata e rissosa. Complice anche l'annichilimento della lista di Amelia Frascaroli, che avrebbe dovuto sostenere il Pd da sinistra e che invece è rimasta sotto al 3% stritolata da Coalizione civica, lista alternativa al Pd che in città ha raccolto il 7% dei voti. Per il Pd il ballottaggio è arrivato nonostante il risultato modesto della Lega che non ha passato il 10% dei voti, e assieme a Forza Italia, Fratelli d'Italia e liste di supporto ha raggiunto a malapena il 22%. Poco, ma tanto è bastato per andare al secondo turno staccando nettamente un Movimento 5 Stelle che ha sognato il colpaccio per un'ora o poco più, giusto il tempo di passare dalle prime proiezioni televisive ai dati reali. Massimo Bugani, candidato sindaco dei grillini bolognesi, ha incassato il 16% dei voti, cinque anni fa i grillini erano solo al 9%. Ma rispetto al risultato di Roma quella bolognese resta una performance a dir poco incolore. «Impossibile fare di più», si limita a dire il diretto interessato per poi puntare il dito contro i dissidenti. «Siamo stati sommersi dal fango», spiega Bugani. Ma il lavorio continuo dei tanti fuoriusciti (o espulsi) dal Movimento è ormai un dato strutturale per Bologna, la città dove i grillini sono sbocciati, ma anche la città dove le spine delle epurazioni hanno lasciato segni indelebili. A fare festa con 12 mila voti è invece Coalizione civica, formazione bolognese che ha messo assieme i tanti pezzi della sinistra alternativa al Pd di Merola. Un dato che in percentuale si è trasformato nel 7,10% delle schede. Non il risultato a doppia cifra che alcuni sognavano alla vigilia, comunque un risultato importante che fa diventare Bologna un caso nazionale. Nessuno, nella sinistra anti Renzi, ha fatto meglio della squadra del candidato sindaco di Coalizione, il giuslavorista Federico Martelloni. In Consiglio comunale Martelloni entrerà di diritto in quanto candidato sindaco. Assieme a lui Emily Clancy, avvocato praticante, specializzata nei diritti lgbtq, dj e politicamente proveniente da Sinistra ecologia e libertà. Infine c'è il dato di Manes Bernardini, ex leghista ora alla guida di una formazione di centro che ha raccolto il 10% dei voti. Voti che al ballottaggio potrebbero risultare decisivi. (giovanni stinco) il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 EX VOTO pagina 9 ZEDDA Nel capoluogo sardo è arrivato il colpaccio dell’elezione diretta. L’ultimo superstite della «stagione arancione» racconta perché 50,86% L’INTERVISTA · Il sindaco di sinistra eletto al primo turno con il «vecchio» centrosinistra. E i 5 Stelle raggiungono il minimo del consenso Zedda: «Uniti (e rigorosi) si vince«» Costantino Cossu CAGLIARI A Massimo Zedda è riuscito il colpaccio. Frutto politico della stagione pre renziana che portò Pisapia alla guida di Milano e Rossi Doria a quella di Genova, è passato al primo turno con una percentuale del 50,9 per cento. In una città che domenica ha registrato ai seggi un crollo dell’affluenza, passata dal 71,4 per cento del 2011 al 60,2 per cento, Zedda si è imposto nettamente sul candidato del centrodestra, l’ex senatore Pdl Piergiorgio Massidda, che si è fermato al 32,2 per cento. Cinque anni fa Zedda aveva vinto al secondo turno con il 59,4 per cento. M5S e la sua candidata Maria Antonietta Martinez, unica donna aspirante alla carica di sindaco, arrivano al 9,2 per cento: non sfondano, ma quadruplicano il consenso rispetto a cinque anni fa. Alla coalizione di liste civiche e verdi guidata dall’ex consigliere di Rifondazione Enrico Lobina (uscito dal suo partito in polemica con la scelta di sostenere il centrosinistra) è andato il 2,2 per cento. Per quanto riguarda il voto ai partiti, il Pd, con il 20,3 per cento, è il più votato, seguito da Sel (da cui proviene Zedda) con l’8,5 per cento, dal Movimento 5 Stelle con l’8,3 per cento e da Forza Italia (che si era presentata con la lista civica Forza Cagliari) con il 7,4 per cento. Il fatto che, nelle città italiane più importanti, l’unico candidato di centrosinistra a essere eletto al primo turno - con una netta sconfitta sia della destra sia del M5S - risponda a uno schema politico lontano dalle coordinate del renzismo, è l’elemento più interessante che emerge dalle comunali di Cagliari. Zedda è stato sostenuto da una coalizione larga, che oltre al Pd e a Sel comprende Rifondazione, il Partito dei comunisti italiani, partiti sardisti e autonomisti e formazioni moderate di area cattolica. CAMPAGNA ELETTORALE PER MASSIMO ZEDDA A CAGLIARI FOTO ANSA «La strada maestra è un programma che tutela e allarga i diritti unito alla sobrietà dell’amministrazione e all’onestà nella gestione delle risorse pubbliche. Molti hanno ritrovato in noi quello che avrebbero potuto cercare nel M5S» Il segno politico e programmatico di Zedda e della sua maggioranza sembrerebbe in contrasto rispetto a quanto invece è accaduto, nel campo del centrosinistra, in altre grandi città. Forse Cagliari, con la vittoria del sindaco uscente già al primo turno, indica un’alternativa che può essere vincente: esattamente come nel 2011 a Milano e a Cagliari e nel 2012 a Genova. Zedda, dal voto di domenica a Cagliari viene davvero un messaggio politico di rilevanza nazionale? Non so se il nesso tra il voto a Cagliari e il quadro politico nazionale sia così stretto. Certamente noi abbiamo lavorato, sin dall’inizio della scorsa legislatura, per tenere unita tutta la coalizione sulla base di scelte programmatiche serie e coerenti con quanto avevamo detto ai cittadini in campagna elettorale. Questo non significa che non ci si siano stati momenti di confronto. Li abbiamo avuti, com’era normale che fosse. Ma li abbiamo anche superati puntando a soluzioni nelle quali tutte le diverse sensibilità politiche presenti all’interno della coalizione potessero riconoscersi. Alla fine il fatto di avere sempre messo al centro il programma e la sua attuazione, ha pagato. Nei prossimi mesi però il problema del rapporto con il Pd si porrà inevitabilmente con la nascita di Sinistra italiana… Vorrei dire innanzitutto che il rapporto del Partito democratico con la mia amministrazione, durante i cinque anni di governo appena trascorsi, è stato, a tutti i livelli, di grande correttezza e di lealtà reciproca. Sì ma ci sarà un problema di rapporto tra Pd e sinistra? Io penso che il metodo che è stato seguito a Cagliari: puntare su scelte programmatiche che rispondano insieme alle esigenze di giustizia, di tutela e di estensione dei diritti e di sviluppo sostenibile, sia la strada maestra da seguire. Sia a Cagliari sia a Roma. L’esperienza di Cagliari dimostra che uniti si vince. A Cagliari il Movimento 5 Stelle ha ottenuto il risultato peggiore in Sardegna, almeno nelle grandi città, e uno dei più deludenti in Italia: sotto il 10 per cento. Perché? Perché noi abbiamo tenuto uno stile di governo molto rigoroso. Nessuna delle accuse populistiche di corruzione generalizzata della politica agitate dal M5S in campagna elettorale poteva toccare la nostra amministrazione. Abbiamo tagliato spese superflue e sprechi e fatto scelte di sobrietà nella gestione delle risorse pubbliche, persino con rinunce personali. Da questo punto di vista, molti elettori hanno ritrovato nella nostra coalizione quello che avrebbero potuto cercare nel M5S. Ora arriverà il fiume di denaro, 170 milioni, previsto dalla legge sulle città metropolitane voluta dal governo Renzi. Sì, per la nostra coalizione sarà un compito delicato e importante. I prossimi anni per Cagliari possono segnare una svolta. Proseguiremo nel nostro impegno di mettere tutte le risorse disponibili al servizio di un progetto di crescita della città che risponda alle domande dei cittadini. Domande di lavoro, innanzitutto, ma anche di qualità dei servizi e di qualità complessiva della vita. CALABRIA · Tra gaffe, impresentabili e vere e proprie ritirate, Pd e M5S abbandonano il campo In terra di ’ndrangheta trionfo «civico» Q uando un anno fa Matteo Renzi la presentò alla Leopolda forse bluffava, al suo solito, o forse ci credeva davvero. Disse che con Anna Rita Leonardi Platì si sarebbe risollevata e sarebbe uscita dal tunnel dell’ingovernabilità. Perché a Platì le elezioni non si potevano più fare. La ‘ndrangheta non voleva. La democrazia lì è sospesa. Vive da dieci anni in uno stato d’eccezione permanente. In cui si susseguono, uno dopo l’altro, commissari prefettizi come figuranti. Leonardi si è messa così al lavoro. Ma ai primi di maggio, il colpo di scena. Leonardi molla tutto e getta la spugna: «Non ci sono più le condizioni politiche e di agibilità per svolgere serenamente la campagna elettorale. Mi ritiro perché alcune vicende continuano a perdurare sul territorio. Vicende che rendono queste elezioni, ancor oggi, non un alto momento politico, ma una farsa degna del peggiore sceneggiatore». Nonostante tutto però a Platì le elezioni ci sono state. E c’è pure un sindaco eletto. Ha vinto Rosario Sergi, con una lista dal nome profetico: Liberi di ricominciare. Chissà se sarà vero. Se è stata dav- vero una farsa. Vedremo e giudicheremo. Intanto nelle contrade più antiche non scorre l’acqua potabile, non ci sono fogne, non ci sono palestre, cinema o centri sociali, non c’è l’asfalto sulle strade, né case rifinite. E fino a ieri non c'era manco un sindaco. Nonostante per decenni Platì sia stata una delle roccaforti rosse della Locride, con una sezione del Pci da 700 iscritti e una Camera del lavoro ancor più affolla- Platì, Rosarno e Cutro. Qui l’antimafia non esiste e la democrazia «vive» tra commissari prefettizi e liste dai nomi surreali ta, e il paese nel 1972 sia stato in grado persino di esprimere un deputato, Ciccio Catanzariti. Come a Platì, anche a Rosarno il Pd ha issato bandiera bianca. I dem hanno scelto di non correre per la guida di un comune, feudo delle organizzazioni criminali, rinunciando alla storica tradizione antimafia della sinistra locale, da Agostino Papalia, fondato- re del Pci da quelle parti, a Peppino LaA PLATÌ, NELLA vorato, promotore della primavera rosarLOCRIDE, UN nese nei ’90, per giungere fino a Peppe SINDACO Valarioti, dirigente comunista ucciso a MANCAVA DA colpi di lupara nel 1980 a soli 30 anni. DIECI ANNI. La vecchia sindaca, Elisabetta Tripodi, ADESSO TOCCA A eletta in quota Pd nel dicembre del ROSARIO SERGI 2010, e costretta a mollare a seguito del- (63%). NEL 2015 le dimissioni di alcuni consiglieri di magNON SI ERA gioranza, non si è più ripresentata. Le ha POTUTO VOTARE nuociuto il fatto di aver voluto demolire PERCHÉ NON la casa dei Pesce. Lo ha ammesso lei stesERANO STATE sa. L’hanno lasciata sola (Pd compreso) PRESENTATE e non se l’è più sentita di continuare. LISTE Ha vinto Giuseppe Idà, “civico” griffato Ncd. La sua lista si chiama Cambiamo Rosarno. Nel suo programma la parola ‘ndrangheta non è citata manco elezioni le ha vinte Salvatore Divuono, una volta: è un tabù. a capo di una lista civica dal nome surA Cutro, invece, le elezioni si tengono reale «Cutro città normale». in genere regolarmente. Il paesone, caro Il pasticciaccio l’hanno però fatto i grila Pasolini, da tanto non riceve l’onta del- lini. Hanno candidato a sindaco Gregolo scioglimento per mafia. In compen- rio Frontera, l’incensurato figlio di Gino so, sono recenti i casi di paesi del nord Frontera, deceduto nel 2013, ma finito come Brescello e Finale Emilia chiusi nelle carte dell’inchiesta Aemilia che ha per ‘ndrangheta a causa delle malefat- scardinato la cosca Grande Aracri e gli te dei clan cutresi. I Grande Aracri so- interessi dei cutresi a Reggio Emilia. Seno una ‘ndrina emergente, signoria condo gli investigatori, Gino Frontera samafiosa nel crotonese e nel triangolo rebbe il collettore fra il boss Nicolino Reggio Emilia- Modena- Mantova. Le Grande Aracri e gli ambienti istituziona- li. I 5 Stelle hanno fatto di più e hanno messo in lista pure l’altra figlia di Gino, Teresa Frontera. Quando, così dicono, se ne sono accorti hanno provato a sbianchettare, a metterci una pezza, e hanno ritirato tutta la lista, compreso l’aspirante sindaco. Ma ormai era troppo tardi. Le liste erano già state presentate e tecnicamente non era più possibile farle fuori dalle schede. E così ieri Gregorio Frontera ha preso il 3,1%, con 252 voti. C’è mancato poco che non fosse eletto in consiglio. (S.Mes.) pagina 10 il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 ECONOMIA FRANCIA · Europei alle porte, Paese nel caos Loi Travail: governo in crisi di nervi glio, quando la legge El Khomri tornerà in discussione all’Assemblée. Il relatore della Loi l governo è sull’orlo di una Travail, il deputato socialista crisi di nervi, venerdì iniziaChristophe Sirugue, si è detto no gli Europei di calcio, dopronto a ritoccare il controvervrebbero arrivare almeno 2 miso articolo 2, che prevede la lioni di turisti e il paese resta in priorità degli accordi di impreacque agitate, tra le conseguensa su quelli di categoria. Ma ze delle inondazioni e la crisi Valls non vuole che venga mosociale, che non si ferma. Per il dificata «la filosofia» della flessiprimo ministro, lo sciopero albilità. Restano in agitazione, a la Sncf, la società nazionale delsinghiozzo, anche Edf (elettricile ferrovie, «è incomprensibità), le raffinerie (ma la situaziole». Eppure continua. Ieri dei ne migliora), le discariche dei ferrovieri Cgt hanno bloccato rifiuti, mentre sulla metropoliper un breve periodo le staziotana parigina pesa la minaccia ni Montparnasse e Gare du di uno sciopero «illimitato». AnNord, a Parigi, mentre aveva che i piloti di Air France minacluogo un interminabile inconciano uno sciopero (ma non tro con la direzione delle ferroc’entra con la Loi Travail). Il govie per cercare verno punta a una via d’uscita un rovesciaMélenchon lancia mento dell’opidopo 6 giorni di ILLUSTRAZIONE DI LEVALET sciopero. Il governione pubblil’offensiva, no prosegue nelca: un ultimo per quest’anno precipita dall’1,5% all’1,1%. Lenta anche la crescita dei prezzi Pcf in difficoltà. la tattica di isolasondaggio dice re ogni protesta, che ormai il Nuit Debout avvia cercando di spe54% dei francela campagna gnere uno dopo si non appogl’altro gli incendi gia più la prote«contro il voto che si accendosta. Euro 2016 al partito no. I ferrovieri arriva e l’«immateriali, a lungo differiti», aveva fanno rivendicamagine» della sioni di Bankitalia, nel triennio to sia delle imposte dirette (+1,8%) socialista» spiegato, ed è importante anche zione di categoFrancia nel 2016-2018 verrà «spinta dal proche di quelle indirette (+1,6%). «un’ulteriore riduzione del cuneo ria, in vista dell’armondo teme di gressivo consolidamento dell’attiviNeutralizzando però gli effetti sul fiscale gravante sul lavoro». rivo della liberalizzazione della prendere dei colpi. tà economica e dagli interventi di gettito dei versamenti dell’imposta Si devono inoltre rafforzare gli inrete, nel 2020. Il nervosismo Le conseguenze politiche sostegno alla domanda di lavoro». di bollo e di quelli del canone telecentivi all’innovazione e sostenere cresce: la Sncf perderebbe dello scontro Cgt-governo saL’occupazione totale dovrebbe auvisivo (che quest’anno si comincei redditi dei più poveri. Se i margi15-20 milioni di euro al giorno. ranno notevoli. Domenica, mentare, dicono le stime, di circa rà a pagare da luglio, mentre fino ni di bilancio sono oggi limitati, è La protesta continua: gioveJean-Luc Mélenchon ha riuniil 2% nel triennio (di quasi il 2,5% all’anno scorso era conteggiato sui però «possibile programmare l’atdì sarà un’altra giornata di azioto 10mila persone in place Stanel solo settore privato). Il tasso di primi mesi dell’anno), la crescita tuazione di questi interventi su un ni, in attesa della manifestaziolingrad, per il lancio della camdisoccupazione scenderebbe gradelle entrate tributarie nel periodo orizzonte temporale più ampio». ne nazionale del 14 giugno a pagna delle presidenziali. Médualmente, portandosi al 10,8% gennaio-aprile risulta complessivaVisco infine aveva lanciato un avParigi. Il 13 il Senato avrà colenchon non vuole le primarie nel 2018 (oltre 1 punto percentuamente pari a +4,9%. vertimento sui conti pubblici: minciato a discutere il testo delalla sinistra della sinistra, prole in meno rispetto al 2015). La ricetta di Visco «L’evoluzione del contesto macrola Loi Travail rivisto dalla deposte dal Pcf. Il leader del Parti Intanto ieri il ministero dell’EcoUna ricetta per crescere, il governaeconomico rischia di ostacolare il stra, che ha la maggioranza: vade Gauche, che i sondaggi dannomia ha diffuso i dati sulle entratore Ignazio Visco l’aveva indicata, conseguimento» della riduzione le a dire un ritorno alla prima no al 12% quasi sul punto di te dei primi quattro mesi del 2016: in occasione delle sue Consideradel rapporto tra debito pubblico e versione, quella precedente le surclassare Hollande nell’evenaumenta il gettito totale, e più in zioni finali tenute - come ogni anPil. «Nel 2016, uno stretto controlmodifiche fatte dalla Cfdt, moltualità si presenti, naviga dettaglio tutte le voci sono positive no - il 31 maggio scorso. Più investilo dei conti pubblici e la realizzato più liberista della versione sull’onda lunga del rifiuto dei (dall’Irpef all’Ires, fino all’Iva e al menti e taglio del cuneo fiscale inzione del programma di privatizzapassata con la forza del 49.3 partiti tradizionali: propone di frutto dei controlli fiscali). Una bocnanzitutto. «Per una ripresa più razioni possono consentire di avviciall’Assemblée. I sindacati conporsi alla testa della «France incata di ossigeno per le casse dello pida e duratura è necessario il rinarsi il più possibile a quanto protestatari stanno già preparansoumise», dei «ribelli» in lotta, Stato (+1,7% le entrate erariali di lancio degli investimenti pubblici grammato e garantire una riduziodo un’altra giornata di protedagli ecolo alla Nuit Debout, gennaio-aprile), notando però che mirati, anche in infrastrutture imne significativa nel 2017». sta, verso fine giugno-inizio luconiugando La Marseillaise e l’incremento è dovuto a un aumenl’Internazionale. Mélenchon attacca frontalmente «pouf et chocolat», come schernisce Hollande e Valls. · UNIONE EUROPEA Il Comitato di esperti dei 28 Paesi rinvia per la terza volta il voto sull’erbicida Il ministro dell’Economia, il controverso Emmanuel Macron, ieri ha ricevuto un uovo in testa a Montreuil, comune guidato con un sindaco comunista, dove si era recato alla sede della Posta locale per pre«L’unica risposta adeguata - sostiene invece con cui vengono selezionati gli studi scientifisentare un francobollo commeEleonora Martini Mammuccini - è l’applicazione rigorosa del ci esaminati o avverte sui possibili conflitti di morativo degli 80 delle ferie paennesimo rinvio europeo sul glifoprincipio di precauzione, con la messa al interesse dei giudicatori. gate, conquista del Fronte posato è il risultato della mobilitaziobando definitiva dell’erbicida. La posizione Una discussione, questa, che potrebbe espolare. Pierre Laurent, riconferne di 2 milioni di cittadini eurodei ministri italiani dell’Agricoltura e dell’Amsere infinita, perché le certezze scientifiche mato domenica segretario del pei che hanno sottoscritto la petizione di biente ha consentito di mantenere salda la in questo ambito sono difficili da raggiungePcf, afferma che «Hollande Avaaz contro il rinnovo dell’erbicida, di cui posizione dell’Italia che ci auguriamo rimanre. La questione invece riguarda soprattutto, non può essere il nostro candi153 mila solo in Italia». Canta vittoria, Maria ga inalterata fino in fondo». come per gli Omg, i brevetti e i monopoli e il dato, non può più essere nel Grazia Mammuccini, la portavoce della coaliIl nodo centrale della discussione riguarda loro attentato alle biodiversità; in sostanza il 2017 il candidato che fa vincezione italiana «Stop glifosato», alla notizia la nocività del potente erbicida, ma il giudimodello agricolo e di mercato che si vorrebre la sinistra». Va più lontano che per la terza volta, ieri a Bruxelles, i 28 Stazio della comunità scientifica non è unanibe promuovere in Europa e nel mondo. PerFrançois Ruffin, regista di Merti membri dell’Ue hanno deciso di rinviare il me al riguardo. L’Agenzia internazionale per ché, come spiega Greenpeace, la Monsanto ci patron! tra i promotori della voto sul rinnovo dell’autorizzazione all’uso la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Oms lo ha giuche produce il più diffuso prodotto a base di Nuit Debout, che ha aperto ieri del discusso erbicida - il più diffuso al mondicato «probabilmente cancerogeno», menglifosato, il Roundup, talmente potente da una campagna contro il voto al do - perché non tutti si sono trovati in linea tre Fao e Oms qualche settimana fa hanno dieliminare tutta la vegetazione, ha prodotto Ps, giustificata con «l’assenza con quanto richiesto dall’esecutivo europeo. ramato un comunicato per sostenere che è anche alcune varietà di coltivazioni Ogm residi ribellione massiccia dei parIn particolare, gli esperti del Comitato fisiosa«improbabile che l’assunzione di glifosato atstenti allo stesso erbicida, conosciute come lamentari socialisti» contro la nitario permanente dell’Ue ha deciso di non traverso la dieta sia cancerogena per l’uo«Roundup Ready», che si stanno diffondenLoi Travail e la svolta liberista decidere quando sette Paesi su 28, tra i quali mo», ma la coalizione «Stop glifosato» fa nodo a macchia d’olio soprattutto nel Nord e del partito. La Cgt intanto racItalia, Francia, Germania, Austria, Grecia, tare il «voltafaccia» dell’Oms che «qualche Sud America. coglie i voti contro la Loi TraPortogallo e Lussemburgo, hanno deliberato tempo prima aveva messo in guardia sugli efA questo punto, dopo la fumata nera di ievail in un referendum auto-orla propria astensione. fetti collaterali per la salute dell’ex brevetto ri a Bruxelles, la Commissione europea poganizzato sui luoghi di lavoro. Si vorrebbe in qualche modo passare la paMonsanto». E c’è chi (per esempio sul sito detrebbe ricorrere ad un «Comitato d’appello» tata bollente nelle mani dell’esecutivo ma la crescita.com) mette in discussione i criteri chiedendo una nuova votazione. Ma se l’acCommissione europea pensa cordo fosse ancora imposinvece che tocchi agli Stati sibile da raggiungere, l’esemembri «assumersi le proprie cutivo europeo potrebbe responsabilità», come ha sodecidere autonomamente stenuto ieri il portavoce, di rinnovare il permesso di Alexander Winterstein. D’alutilizzo del glifosato per altronde, aveva puntualizzato tri 18 mesi. Oppure, al conqualche giorno fa il commissatrario, potrebbe scegliere rio europeo alla Salute, Vytedi negarlo e in questo caso nis Andriukaitis, l’esecutivo gli Stati membri avrebbero Ue può approvare «solo la soun massimo di 6 mesi per stanza, il principio attivo, ma esaurire le scorte ancora in poi gli Stati membri hanno la vendita e un massimo di possibilità di bandirli e limitar18 mesi, in totale, per fare ne l’uso, non devono nasconuso di quelle già acquistadersi dietro la decisione della te. In ogni caso, la decisioCommissione europea». Se ne ne andrà presa entro il discuterà ancora oggi a Straprossimo 30 giugno, quansburgo, nella riunione del coldo scadrà l’attuale autorizlegio dei commissari europei. zazione. Anna Maria Merlo PARIGI I DÉBÂCLE · La previsione Bankitalia taglia le stime sul Pil Mirco Viola S e le elezioni non sono andate troppo bene per il partito al governo, ieri si è aggiunta la doccia gelata sulle previsioni economiche: la Banca d’Italia ha ridotto pesantemente le stime di crescita per quest’anno. Secondo le «Proiezioni macroeconomiche per l’economia italiana» di via Nazionale, quest’anno il Prodotto interno lordo crescerà solo dell’1,1% (invece dell’1,5% previsto in genna- Dopo i dati elettorali arriva anche la «doccia» economica a gelare il governo. Un po’ meglio il trend occupazionale io), mentre l’anno prossimo l’aumento sarà dell’1,2% (la precedente previsione era stata sempre dell’1,5%). Nessun balzo nel 2018, che secondo le stime dell’istituto guidato da Ignazio Visco dovrebbe restare stabile sul +1,2%. Le stime riviste al ribasso, spiegano da Bankitalia, riflettono «soprattutto un più debole andamento dell’economia mondiale». Male anche l’inflazione, almeno per quest’anno, nonostante i bazooka messi in campo dal "governatore dei governatori", il presidente della Bce Mario Draghi: l’aumento dei prezzi rimarrebbe in Italia ancora pari a zero nella media del 2016, per poi risalire solo gradualmente (allo 0,9% nel 2017 e all’1,5% nel 2018)». Questo andamento dell’inflazione «riflette sia il contributo della componente importata sia quello dei prezzi interni, trainati soprattutto dalla ripresa ciclica dei margini di profitto. Al netto della componente energetica, l’indice dei prezzi al consumo aumenterebbe dello 0,6% nel 2016, dell’1% nel 2017 e dell’1,5% nel 2018». Buone notizie (almeno sul piano della stretta statistica) dal fronte dell’occupazione: secondo le previ- Stallo sul glifosato, palla a Bruxelles «L’ il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 HOTSTOP pagina 11 MIGRANTI · Verrà presentato a Strasburgo: sulla carta 62 miliardi per lo sviluppo. Si comincia con 7 paesi. L’Ue a Vienna: «L’Australia non è un modello» Oggi il migration compact per l’Africa il governo di Canberra confina i profughi in campi allestiti su due isole del Pacifico dai quali per loro è impossibile allontanarsi e dove, stando a molte denunce, sono vittime di violenze di ogni genere. «La politica (europea, ndr) sull’asilo e i profughi è pienamente in linea con le leggi e convenzioni internazionali e con il principio di non respingimento e questo non cambierà», ha concluso il portavoce. Vienna comunque non sembra avere nessuna intenzione di abbandonare politiche e iniziative contro i migranti. Dopo aver completato i lavori preparatori all’innalzamento di una barriera al Brennero, dove ha schierato anche 80 poliziotti, ieri ha annunciato di voler avviare la costruzione di barriere analoghe anche ad altri valichi con l’Italia e la Slovenia. Si tratterebbe, proprio come ha fatto al Brennero, di recinzioni preventive, da innalzare solo in caso di nuovi arrivi di migranti, ha spiegato il portavoce della polizia, Rainer Dionisio. I valichi in questione sono quello di Thoerl-Maglern, al confine austro-italiano dove potrebbe essere aggiunta una recinzione. E quello nei pressi del traforo Caravanche, che collega la Slovenia con l’Austria. Leo Lancari ROMA U na nuova risoluzione che permetta di allargare i compiti della missione europea Sophia in acque territoriali libiche, E’ quanto ha chiesto ieri il capo della diplomazia Ue Federica Mogherini al consiglio di sicurezza dell’Onu. Si tratta di un passaggio che segna un ulteriore salto di qualità nei compiti della missione e che prevede sia l’addestramento della guardia costiera libica, per la quale sono già pronte otto motovedette italiane, che un controllo sul rispetto dell’embargo di armi destinate alle milizie. «La scorsa primavera il Consiglio è stato unanime nel dare il via all’operazione navale che ha consentito di salvare decine di migliaia di vite umane, sequestrare centinaia di asset e portare i trafficanti davanti alla giustizia», ha spiegato ieri Mogherini intervenendo a New York. Un altro passo della strategia europea per arginare il flusso di migranti sci sarà oggi a Strasburgo, dove Mogherini presenterà insieme al vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans il migration compact per l’Africa: 62 miliardi di euro di investimenti privati nel medio e lungo termine, per «pacchetti su misura» soprattutto per i Paesi africani, con l'obiettivo di combattere le cause alla radice dei flussi migratori e negoziare accordi per i rimpatri. Sette i paesi con cui verranno avviati i primi progetti: Etiopia, Eritrea, Niger, Nigeria, Mali, Libano e Mogherini all’Onu: «Una risoluzione per ampliare la missione europea in Libia» Giordania. Il lavoro è già stato avviato con tutte le capitali, in particolare con Niamey ed Addis Abeba. Nell'immediato si punta ad utilizzare 1,8 miliardi del Fondo per l'Africa, ai quali la Commissione europea aggiungerà 500 milioni dal budget Ue, con la prospettiva che gli Stati membri ne diano almeno altrettanti, ma possibilmente raddoppino l'intera cifra. Nel contenitore confluiranno anche fondi per i profughi e la cooperazione già esistenti. La proposta legislativa vera e propria sul piano globale di investimenti arriverà comunque ad ottobre. Il controllo dei flussi migratori sarà il punto centrale attorno al quale ruoteranno le intese con i Paesi terzi, e potrà essere anche una delle ragioni per negare benefici commerciali o privilegi sui visti. Ieri intanto l’Unione europea ha rispedito al mittente la proposta avanzata domenica dal ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz di concentrare e trattenere i migranti su alcune isole dalle quali non potrebbero muoversi. «Come fecero gli Stati uniti a Ellis Island o come fa oggi l’Australia», ha spiegato in un’intervista l’esponente del partito popolare. Esempi, specie quest’ultimo, che non sono piaciuti a Bruxelles. «Abbiamo una chiara posizione sul modello australiano: non è un esempio da seguire per l’Ue», ha spiegato un portavoce della Commissione europea. In contrasto a quanto previsto dal diritto internazionale, MIGRANTI NEL PORTO DI TRIPOLI LAPRESSE MIGRATION COMPACT Il rischio di un modello neo-coloniale DALLA PRIMA Gian Paolo Calchi Novati Grazie all’iniziativa italiana, già sottoposta all’attenzione dei Grandi e sommariamente approvata in sede di G7 in Giappone, l’Unione europea se ne occuperà in uno dei prossimi vertici e adotterà una risoluzione. Poco importa se sarà poco più di un esercizio fine a se stesso, espresso in diplomatichese e pronto per qualche archivio. È anche così che i Farage e i Salvini di tutto il continente, che aizzano senza scrupoli paura e xenofobia, finiscono per dare l’impressione di detenere il monopolio della rappresentanza di chi – abbandonato o trascurato dalla sinistra, sia quella di governo sia quella che stando alla vulgata renziana vuole solo perdere – subisce più direttamente le criticità proprie delle migrazioni (l’abbassamento dei salari, il degrado delle periferie, la scuola). A prima vista, per chi ricorda i precedenti nelle relazioni fra l’Europa e i paesi del Sud, il Migration Compact rievoca le Convenzioni di Yaoundé con i seguiti di Lomé e Cotonou man mano che aumentava il numero degli stati membri della Cee o, se si preferisce, l’ambizioso partenariato euro-mediterraneo che venne chiuso per acclarata impotenza proprio nel momento in cui ce ne sarebbe stato più bisogno. L’Italia diede il suo bravo contributo al fallimento del Patto di Barcellona non cogliendo l’occasione per un’intesa con la Francia che, scontentando per una volta la Germania, avrebbe spinto l’Europa a volgere uno sguardo prioritario al Mediterraneo invece che sempre e solo all’Europa orientale (un punto su cui Renzi è tornato in uno dei passaggi più felici della sua allocuzione alla Conferenza ministeriale Italia-Africa che si è tenuta il 18 maggio scorso alla Farnesina con la collaborazione dell’Ispi). Allora si trattava, è vero, della Francia di Sarkozy, con cui Prodi non aveva feeling, ma poteva essere il momento buono per porre un termine alla rivalità competitiva nel Mare Nostrum fra Italia e Francia che risale ai tempi di Cairoli e Mancini. Dopo tutto, il disonore non è tutto da una parte sola visto che l’impresa di Suez nel 1956 fu opera del socialista Guy Mollet. Il tema attorno a cui è costruita la proposta dell’Italia, valida soprattutto per l’Africa, con una preferenza per il Sahel e in via subordinata per il Corno (per il Medio Oriente sarebbe necessaria la luce verde dell’America), si può riassumere nella formula «più sviluppo e meno emigrazione in direzione dell’Europa attraverso il Mediterraneo». Poco importa che i migranti africani entro gli spazi del continente Africa, sebbene diminuiti di un terzo negli ultimi 15 anni, siano ancora il doppio degli africani che sono arrivati e arrivano in Europa. Salvo che per i popoli del Maghreb, la prima meta degli emigranti africani è l’Africa. L’Europa viene seconda. Si calcola che all’Italia toccherà il 16 per cento di tutti gli arrivi. La logica della «cooperazione» La logica della cosiddetta «cooperazione» che viene riproposta oggi è sempre la stessa: crescita economica bilanciata, preservazione delle risorse naturali e riduzione della povertà. Ma è difficile credere che all’Europa riesca nell’era della globalizzazione l’impresa di «sviluppare» l’Africa non riuscita né durante il colonialismo, nemmeno negli anni del cosiddetto “colonialismo liberale” in prossimità dell’indipendenza pensando agli appetiti se non ai cuori dei dirigenti che di lì a poco avrebbero comandato, né quando, divenuta ormai effettiva la sovranità dei singoli stati africani, si passò al neo-colonialismo cercando di arruolare l’Africa alla causa del «mondo libero» sui vari fronti della guerra fredda. Le vecchie ricette sembrano destinate una volta di più a fallire. A differenza dell’Asia, l’Africa deve ancora iniziare la sua rivoluzione industriale e lascia uno spazio eccessivo all’informale. I «leoni» con un tasso di crescita annua del Pil a due cifre non possiedono le stesse chances di decollare delle «tigri». Gli investimenti e gli aiuti che l’Occidente ha fornito e che potrebbe fornire l’Europa di un ipotetico nuovo patto per scongiurare l’emigrazione sono rivolti ad attività, in primis le risorse minerarie, che rischiano di lasciare intatte le strutture della produzione e quindi della società. Vedremo se l’Italia riuscirà a trascinare l’Europa dei 28 a concentrarsi sull’energia rinnovabile o l’agro-alimentare come il premier e il ministro Gentiloni hanno doverosamente prospettato nella Conferenza di Roma. L’incognita è rappresentata dai tanti giovani senza lavoro o minacciati nelle loro libertà che indugiano in Libia aspettando di compiere l’ultimo balzo o stanno attraversando il Sahara fra i tanti ostacoli della militarizzazione o figurano in una lista d’attesa immaginaria che tiene conto delle generazioni e dello spirito d’iniziativa. Il brain drain è una specie di sottoprodotto dell’urbanizzazione massiccia che caratterizza la congiuntura africana. I poveri hanno meno opportunità di muoversi e hanno la tendenza a fermarsi appena possibile, dentro o fuori il paese o il continente di provenienza. Il Migration Compact tiene distinti gli emigranti economici dagli emigranti per eventi bellici (riprende la differenza anche Renzi nella lettera di accompagnamento) ma sorvola sulla natura dei governi a cui toccherebbero gli aiuti. E non si parla solo dell’Egitto di al-Sisi, che è bastato da solo a demistificare tutti i buoni sentimenti sentiti in Europa in coincidenza con le Primavere arabe solamente cinque anni fa. Il prezzo delle nostre guerre La «buona condotta» elevata a condizione per continuare a usufruire degli aiuti dell’Unione europea verrà misurata anche negli aspetti più scabrosi? Alcuni degli stati menzionati sembrano recipienti virtuali di emigrazioni a livello regionale (l’Etiopia o il Senegal, per esempio) più che propagatori dell’esodo. All’origine di tutto, comunque, ci sono colpe che non risparmiano nessuno. Due emigranti su tre sono il prezzo di guerre iniziate da Usa e Europa senza un piano adeguato per il «dopo» (senza parlare qui dei secondi fini di tanti processi di regime change). I paesi con un più alto tasso di immigrati – Turchia, Pakistan e Libano – sono tutti confinanti con teatri di guerra. Se la governance è insoddisfacente ed è necessaria dunque la cooperazione dell’Europa nel senso del capacity building, gli stati africani - anche per la funzione MIGRANTI · Accordo Svizzera-Turchia per la riammissione Nell'ambito del patto migratorio tra l'Ue e la Turchia, la Svizzera sta negoziando un accordo di riammissione con Ankara. Berna spera di concludere il negoziato entro la fine del 2016. L'intesa servirà anche ad affrontare la questione della liberalizzazione dei visti e se dovesse realizzarsi la Svizzera sarebbe tenuta ad aderirvi poiché si tratta di uno sviluppo di Schengen, ha spiegato ieri in parlamento il ministro elvetico della Giustizia Simonetta Sommaruga. In quest'ottica, la Svizzera - che fa parte della zona Schengen anche se non è paese membro dell'Ue - sta attualmente trattando con la Turchia un accordo analogo a quello concluso tra Bruxelles e Ankara. «Dopo due round di trattative nel 2015, Berna ha sottoposto una proposta di testo finale alle autorità turche», ha dichiarato la responsabile del Dipartimento federale di giustizia e polizia. Il governo svizzero «si aspetta che questo accordo possa essere firmato ancora nel corso di quest'anno», ha aggiunto il ministro. storica del confine in Africa, un confine-area più che un confine-linea - hanno un problema che riguarda appunto la natura dello stato non in un dettaglio ma nel principio primario della sovranità e del controllo effettivo del territorio. Pretestuoso o meno, il ribellismo di tutti i generi, e naturalmente le filiazioni in loco di al-Qaida e del Califfato, si accreditano denunciando la «ricolonizzazione» che sarebbe in atto (ecco ancora la Francia, Hollande dopo Sarkozy, senza apprezzabili differenze). A Bamako come a Ouagadougou i primi a intervenire dopo gli attentati negli alberghi frequentati da occidentali sono stati i soldati francesi. Nel documento italiano si cita formalmente come un esempio da seguire il G5 del Sahel che ha ricompattato attorno alla Francia i suoi alleati della regione più fidati (convincendo a collaborare persino la Nigeria sotto la minaccia di Boko Haram). Il giusto approccio di ogni forma di co-sviluppo, che implica di muovere in continuazione il capitale e il lavoro, non è di bloccare l’emigrazione ma di regolare la circolazione e il ritorno di chi si muove. Le rimesse sono ormai anche in Africa maggiori dell’aiuto internazionale. Altrettanto importante è il ritorno nel paese d’origine (tutt’altra cosa rispetto al respingimento o al rimpatrio d’ufficio) del «capitale sociale» rappresentato da chi all’estero ha acquisito nuove esperienze e nuove capacità. Un documento incluso nell’Agenda 2030 dei Millennium Development Goals che impegnerebbe tutti riconosce il «contributo positivo dell’emigrazione per una crescita inclusiva e uno sviluppo sostenibile». Anche un testo congiunto di europei e africani sottoscritto dall’Europa e quindi dall’Italia nel quadro della Convenzione di Cotonou, che raggruppa anche paesi del Pacifico e dei Caraibi, indica come programma comune un miglioramento delle condizioni di lavoro degli immigrati e l’apertura di canali legali per i flussi correnti. pagina 12 il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 INTERNAZIONALE L’ARRESTO DELL’ESTREMISTA DI DESTRA FRANCESE IN UCRAINA /AP USA · La California potrebbe scegliere Sanders Porto Rico a Hillary vicina ai 2.383 delegati Luca Celada LOS ANGELES B UCRAINA · Fermato al confine con la Polonia: «Voleva colpire Euro 2016» Tritolo e armi, arrestato francese di estrema destra Guido Caldiron T re lanciagranate, sei kalashnikov, un ampio stock di munizioni, più di 120 kg di tritolo e dei detonatori. Era un vero e proprio arsenale quello che un francese di 25 anni, vicino agli ambienti dell’estrema destra, aveva raccolto molto probabilmente per compiere degli attentati in occasione dei campionati europei di calcio che si apriranno venerdì a Parigi. Gregoir M., del giovane è stato reso noto solo il nome, aveva stipato armi ed esplosivi sulla sua auto con la quale si apprestava a mettersi in viaggio dall’Ucraina alla volta della Francia, quando lo scorso 21 maggio, ma la notizia è stata resa nota solo ieri, i servizi di sicurezza di Kiev lo hanno fermato poco prima che varcasse il confine con la Polonia. «Voleva colpire durante l’Euro 2016 e aveva già pianificato qualcosa come 15 possibili attentati», ha spiegato Vassyl Hrytsak responsabile della Sbu, l’intelligence ucraina. Interrogato dagli agenti, sempre secondo le fonti locali, L’uomo avrebbe manifestato la sua violenta opposizione alla politica del governo sull’arrivo di stranieri in Francia l’uomo avrebbe manifestato la sua violenta opposizione «alla politica del governo sull’arrivo di stranieri in Francia, la diffusione dell’Islam e la globalizzazione». Tra i suoi possibili obiettivi, ci sarebbero state moschee e sinagoghe, ma anche edifici istituzionali della République. Appresa la notizia, le forze dell’ordine francesi hanno effettuato una perquisizione nella casa dell’arrestato, una fattoria di Nant le Petit, non lontano da Nancy, nel dipartimento della Mosella dove, a detta del quotidiano locale L’Est Républicain, sono stati rinvenuti «esplosivi e una t-shirt di un movimento di estrema destra». L’auto su cui viaggiava Gregoir M. è stata intercettata al posto di frontiera di Yagodyn, nella regione di Loutsk, lungo la strada che conduce alla città polacca di Lublino. Una zona nota per essere attraversata dalla rotta del contrabbando di sigarette e di armi. Su di lui la Sbu indagava in realtà da mesi: fin dal dicembre dello scorso anno il giovane, sconosciuto fino a quel momento sia alla polizia transalpina che a quella di Kiev, si era infatti fatto notare nelle regioni orientali dell’Ucraina presentandosi come un volontario intenzionato a sostenere l’esercito e i rifugiati provenienti dalle regioni oggi controllate dai filo-russi. «Ha preso contatto con alcune unità militari e promesso il suo aiuto, ma si è interessato in modo particolare alla possibilità di acquistare armi ed esplosivi», ha precisato Vassyl Hrytsak. Insieme all’ipotesi terroristica, o in combinazione con questa, gli inquirenti stanno perciò prendendo in esame anche quella del traffico internazionale di armi, collega- to agli ambienti dell’estrema destra francese come ucraina. Il giovane non era infatti al suo primo viaggio nel paese ed ora si stanno cercando di rintracciare coloro che avevano in passato effettuato il medesimo tragitto insieme a lui. In attesa che venga estradato verso Parigi, una domanda in tal senso è già stata presentata alle autorità ucraine, a Parigi ci si comincia ad interrogare inoltre sulla reale pericolosità non solo di questo giovane, ma anche delle decine di militanti dell’estrema destra e degli ambienti neonazisti europei che hanno raggiunto le due fazioni ucraine in guerra: dei «foreign fighters» dell’internazionale nera sfuggiti spesso ad ogni controllo. Nel caso francese si sarebbe trattato, e forse si tratterebbe ancora oggi di una trentina di persone, più o meno equamente divise tra le forze fedeli a Kiev e le milizie pro-russe che hanno combattuto a Donetsk e Lugansk. Giovani estremisti, talvolta con qualche esperienza nell’esercito che nel primo caso hanno finito per integrare il famigerato battaglione Azov, controllato dai neonazisti locali di Pravy Sektor, che dallo scorso anno è entrato a far parte a pieno titolo delle forze armate ucraine, mentre nel secondo si sono ritrovate sotto la sigla del gruppo Unité Continentale, che ha raccolto qualche militante delle Jeunesses identitaires come del movimento skinhead Troisieme Voie, sostenitori di Putin e dei combattenti neri presenti nel Donbass. ernie Sanders ha chiuso la campagna in California con un concerto-comizio a San Francisco a cui sono intervenuti Fishbone, Dave Matthews, Cornel West, Shailene Woodley e Danny Glover. Hillary da Los Angeles ha risposto con Christina Aguilera, John Legend, Ricky Martin e Stevie Wonder. Col voto di oggi in sei stati (California, New Jersey, New Mexico, Sud e Nord Dakota , Montana) si concludono le primarie presidenziali. Tecnicamente rimarranno da assegnare gli ultimi 45 delegati democratici di Washington Dc martedì prossimo ma di fatto Hillary Clinton raggiungerà oggi i 2.383 delegati necessari a sancire la sua candidatura. La soglia verrà probabilmente raggiunta nella notte italiana quando verranno conteggiati i voti del New Jersey (prima a votare sulla coste est). Con le ultime due vittorie messe a segno nel fine settimana, nei «territories» delle minuscole Virgin Islands e di Porto Rico Hillary si è portata ad un soffio dal numero necessario e le mancano ora non più di una trentina di delegati per acciuffare la nomination. Da questo punto di vista le votazioni di oggi saranno in gran parte simboliche - il che non vuole dire irrilevanti. In particolare il risultato in California, con i suoi oltre 500 delegati in palio avrà un peso determinante in queste elezioni che hanno esplicitato una scissione interna nel partito democratico fra corrente istituzionale e quella progressista risvegliata da Bernie Sanders. Nello stato più popoloso, ottava economia mondiale che demograficamente presagisce il futuro d’America, Sanders ha rimontato da una ventina di punti di svantaggio per giungere oggi alla parità statistica fotografata dai sondaggi. Mentre Hillary conta sui segmenti ispanici e afroamericani con cui la famiglia a storici legami, Sanders ha un impressionate vantaggio fra i giovani. Gli elettori under 40 preferi- sono il socialista del Vermont con un impressionante margine di 5-1. Un dato che permette al senatore di affermare con qualche giustificazione di rappresentare il futuro del partito. Se Sanders dovesse spuntarla e battere nello stato più popoloso la candidata Clinton, pur nel momento in cui viene «incoronata», sarebbe non solo assai imbarazzante ma legittimerebbe la richiesta di aprire una vera trattativa durante la convention di luglio a Philadelphia. Sanders potrebbe teoricamente chiedere che venisse rimessa in discussione la ripartizione dei «super delegates» assegnati dal partito in gran maggioranza ad Hillary ed eventualmente la stessa nomination. Sarebbe un anomalia ma non certo la prima di questa elezione anomala. Al minimo una vittoria californiana rafforzerebbe la mano dei progressisti nella trattativa per il programma politico che si dovrà stilare a Philadelphia. Sanders potrebbe insistere su istanze come un minimo salariale e l’università gratuita nella «platform» ed eventualmente partecipare alla selezione del candidato vicepresidente. Incidere cioè con più forza sulla direzione futura del partito e se, come dice Sanders, questo debba rappresentare gli interessi di Wall Street o dei lavoratori. Mentre la battaglia per l’anima politica dei democratici è ancora da definire, in campo repubblicano prosegue il tragitto paradossale di Donald Trump che ormai candidato in pectore sembra fare di tutto per incrinare la fragile coalizione che appoggia a malincuore la sua candidatura populista. La sua ultima battaglia lo vede impegnato contro il magistrato che lo ha rinviato a giudizio per l’affare «Trump University» (corsi di vendite immobiliari che con la promessa di fabbricare miliardari hanno spremuto centinaia di migliaia di dollari a clienti ignari). Trump ha chiesto che il giudice istruttorio venga squalificato in quanto «messicano» (è figlio di immigrati) e quindi prevenuto contro un «costruttore di muri» sul confine. VENEZUELA · A Caracas anche Zapatero, mentre si moltiplicano le iniziative del «socialismo territoriale» Maduro insiste nel chiamare al dialogo l’opposizione Geraldina Colotti INVIATA A CARACAS S iamo nella città di Guarenas, municipio Plaza, nello stato di Miranda. Un bastione del chavismo, dove si è svolta una delle manifestazioni «contro le ingerenze imperialiste». Il consenso, però, qui appare incrinato. Dalle finestre pendono magliette e bandiere chaviste, ma anche quelle gialle e nere del partito Primero Justicia e della Mud. Qualcuno batte sulle pentole: così si fa sentire la protesta di opposizione. Il corteo passa fra due ali di palazzoni. Sfilano tanti bambini, molti dei quali piccolissimi, tenuti in braccio dalle mamme. E all’improvviso ecco la sassaiola: una pietra sfiora la testa del piccolo che ci sta davanti, un’altra manca la cronista. Davanti a un portone, alcuni individui insultano le ragazze, fanno gesti volgari, cercano di provocare. I manifestanti rispondono col pugno chiuso, cantano «El pueblo unido, jamas sera vencido». Una ragazzina afrodiscendente suona la tromba, dirige un quartetto di marcantoni che avanza sotto il sole del pomeriggio. «Altroché dialogo – dice vicino a noi la giovanissima Gaudy – questi cercano lo scontro. A tirare pietre sono gli stessi che usufruiscono dei diritti acquisiti con la rivoluzione: che perderanno se torna il capitalismo». Per questo, il chavismo sta moltiplicando le iniziative: distribuzione di alimenti casa per casa «con finalità politiche, non solo economiche» (i Clap), raccolta di progetti di autogestione produttiva ed ecologica, orti urbani, nuovo impulso alle Misio- PERÙ · Ballottaggio al fotofinish: è in vantaggio Kuczynski Ballottaggio al fotofinish in Perù. Domenica gli elettori hanno votato per eleggere il presidente che sostituirà Ollanta Humala, scegliendo fra due candidati di destra: quella più estrema, rappresentata da Keiko Fujimori, figlia dell'ex dittatore in carcere per violazione ai diritti umani, e quella modello Fmi, dell'ex banchiere Pedro Kuczynski, detto “el gringo”. La prima ha corso dietro la sigla Fuerza Popular (Fp), il secondo con Peruanes por el Kambio (Pkk), nome scelto in base alle iniziali del suo nome. Al momento in cui scriviamo, con oltre il 90% delle schede scrutinate, Kuczynski è in vantaggio per circa 130.000 voti. A decidere il voto, nei prossimi giorni, sarà il conteggio dei 900.000 elettori all'estero, su un totale di 23 milioni di aventi diritto. Al primo turno Kuczynski aveva ottenuto solo il 21% dei voti contro il 39% di Fujimori, ma ha ricevuto il sostegno di Veronika Mendoza, la candidata di sinistra arrivata terza ad aprile. (ge.co.) nes e agli «organismi del potere popolare»: il «socialismo territoriale». Intanto, si lavora a livello di governo, sia in campo economico che diplomatico. Maduro insiste nel chiamare al dialogo l’opposizione. Nella Repubblica Dominicana, la ministra degli Esteri Delcy Rodriguez sta organizzando il secondo incontro. In questi giorni è a Caracas l’ex presidente spagnolo José Zapatero, che insieme ad altri ex capi di stato sta conducendo i negoziati sotto l’egida di Unasur. Zapatero ha incontrato in carcere il leader oltranzista di Voluntad Popular, che ha ribadito la propria intransigenza. La magistratura ha però accolto alcuni argomenti della sua difesa nell’istruzione del processo d’appello per le violenze del 2014, che hanno provocato 43 vittime e 850 feriti. E qualche analista di opposizione suggerisce che sul piatto dei negoziati potrebbe esserci la liberazione di Lopez in cambio di un rinvio del referendum revocatorio contro Maduro. Se la consultazione si svolge l’anno prossimo e Maduro la perde, a portare a termine il mandato sarà comunque il vicepresidente Aristobulo Isturiz. La settimana scorsa c’è stato un pronunciamento del Comitato permanente dell’Osa: a favore del dialogo e contro l'intenzione del Segretario generale Luis Almagro di applicare al Venezuela la Carta democratica interamericana, che prevede la sospensione dall’organismo e sanzioni. Un intervento chiesto dall’opposizione, in UNA MANIFESTAZIONE IN VENEZUELA CONTRO IL GOVERNO MADURO, IN ALTO A DESTRA HILLARY CLINTON /LAPRESSE primo luogo dal presidente del Parlamento Ramos Allup. Sabato, si è schierato con Maduro il VII Vertice dell'Associacione degli Stati caraibici, un organismo che pesa nelle relazioni del continente. Da Cuba, sede del vertice, il presidente Raul Castro ha pronunciato un duro discorso contro l'Osa e ha espresso un sostegno deciso alla rivoluzione bolivariana. Almagro, però, mantiene le sue intenzioni, e una riunione d’emergenza potrebbe svolgersi da qui al 20 giugno: alla presenza di Allup, che il chavismo vuole denunciare per tradimento. Nel chiedere l’intervento esterno contro il suo stesso paese, Ramos Allup si è però attirato molte critiche anche nel suo campo. Dalla Spagna, al Canada, dal Brasile all'Italia, le sinistre e i movimenti scendono in campo a favore della sovranità del Venezuela. Oggi alle 18,30 (Piazza Vidoni, a Roma) si svolge una manifestazione contro il rischio che un intervento armato trasformi il Venezuela nella nuova Siria. A promuoverla Rete «Caracas ChiAma», Usb, Rete dei Comunisti, Collettivo Militant, Rete No War Roma; Alianza País, Red de Amigos de la Revolución Ciudadana, Comitato Immigrati Italia; Jvp Sri Lanka, Redcan, Umangat. Fra le adesioni: la Rivista LatinoAmerica di Gianni Minà, l’Associazione di Amicizia Italia-Cuba, il Pcdi, i Carc, il Csoa Terra Rossa di Lecce, Albainformazione, Anros Italia, Comitato Palestina nel cuore, Asia, Per non dimenticare Sabra e Chatila, La Villetta, Associazione Italia-Nicaragua... Non ci saranno bandiere di appartenenza, sventoleranno solo quelle dei popoli, per dire: «che la battaglia è comune, la difesa del Venezuela è anche la difesa dei nostri diritti». il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 MEDIO ORIENTE pagina 13 SIRIA/THE TIMES «Sul campo combattono anche forze britanniche» MILIZIE SCIITE ALLA PERIFERIA NORD DI FALLUJA FOTO LAPRESSE IRAQ/ISIS · Migliaia di sunniti attraversano l’Eufrate per evitare la battaglia finale Fuga a nuoto da Fallujah Chiara Cruciati L a gente scappa, le case vengono occupate: ci sono i cecchini dello Stato Islamico, nascosti nelle abitazioni dei civili. Ma non sparano contro le truppe di Baghdad ancora fuori da Fallujah. Sparano su chi prova a lasciare il cuore della città, terrorizzato dalla prossima guerriglia urbana tra islamisti e esercito governativo. Chi può scappa in ogni modo possibile. Anche sull’acqua: ieri alcuni video pubblicati online mostravano centinaia di donne, uomini, bambini attraversare il fiume Eufrate a nuoto, su imbarcazioni di fortuna o a bordo di frigoriferi e credenze. I medici dell’ospedale al-Amariya parlano già di vittime: sarebbero 18 le persone annegate, tra loro 7 bambini e 3 donne. Alcuni non ce l’hanno fatta a nuotare verso l’altra sponda, altri sono stati abbattuti dai colpi di fucile dello Stato Islamico. Lo riporta il Norwegian Refugee Council: «Le nostre peggiori paure sono state confermate - dice il responsabile in Iraq, Nasr Muflahi - Civili sono stati colpiti mentre fuggivano. Uomini, donne, bambini innocenti che hanno dovuto lasciar dietro tutto pur di salvare la propria vita». Se nel centro della città restano 50mila persone, il 16% dei 300mila residenti originari, sono 18mila quelli che in due settimane hanno rag- Timori di vendette delle milizie sciite che, con l’esercito iracheno, tengono in mano la periferia giunto i campi allestiti da Baghdad fuori da Fallujah: «Daesh ci sparava mentre fuggivamo da sud - racconta una donna di 60 anni - Potevamo sentire il fischio delle pallottole sopra le nostre teste». «L’Isis aiuta le famiglie dei propri miliziani a fuggire, ma blocca i poveri come noi», aggiunge una 25enne appena arrivata nel campo di Amriyat al-Fallujah. E c’è chi, per dare la misura della preoccupazione che sta investendo il «califfato», racconta di come molti miliziani si stiano radendo le barbe per confondersi tra i civili una volta che l’esercito iracheno sarà entrato. La morte, a Fallujah, è dietro l’angolo. È nelle strade, con gli islamisti che hanno blindato la città con mine anti-uomo, tunnel, trincee e cecchini sui tetti. È sull’Eufrate. È alle porte della città dove la minaccia i civili non la vedono più nell’Isis ma nelle milizie sciite a supporto dell’esercito iracheno. Sono tanti quelli terrorizzati all’idea che si ripeta quanto successo a Tikrit e in altre aree sunnite liberate lo scorso anno: rappresaglie e vendette contro la comunità da parte di chi dovrebbe liberarla. Per questo le tribù sunnite locali, che hanno messo a disposizione i propri uomini per liberare Fallujah dalla morsa islamista, chiedono al governo centrale di allontanare le milizie sciite, farle retrocedere per evitare un ampliamento di quei settarismi interni che hanno frammentato il paese. Il premier al-Abadi ci ha già pensato e domenica ha ordinato all’esercito di mettersi in prima linea, mentre l’Ayatollah al-Sistani, massima figura religiosa sciita del paese, ha emesso linee guida per regolare la condotta dei combattenti e impedire gli abusi. L’avanzata, comunque, prosegue: Fallujah è quasi del tutto circondata, le vie di rifornimento dell’Isis del tutto bloccate e la brutale resistenza degli islamisti usa ogni mezzo – dalle violenze indiscriminate contro la popolazione all’uso di ordigni nascosti lungo strade e ponti – pur di frenare la controffensiva. E mentre si combatte emergono le ennesimi fosse comuni, marchio di fabbrica del “califfato”: 400 i corpi ritrovati ieri dalle truppe di Baghdad, soldati e civili giustiziati con colpi alla testa tra il 2014 e il 2015 nella zona di Saqlawiya, a nord di Fallujah. Scene simili a quelle che hanno accompagnato la liberazione di Tikrit, Sinjar, Ramadi. Ma Fallujah è una situazione speciale. A renderla tale non è solo la sua posizione geografica (a metà strada tra Ramadi, capoluogo dell’Anbar, e la capitale Baghdad), ma la sua storia: qui sono morti buona parte dei soldati statunitensi uccisi in Iraq nel luogo simbolo della resistenza sunnita all’occupazione Usa; qui Washington ha usato fosforo bianco e devastato migliaia di case, minareti e edifici, costringendo alla fuga decine di migliaia di civili. Qui il nuovo governo sciita post-Saddam ha coltivato la sua vendetta e la discriminazione politica ed economica contro la comunità sunnita; qui le proteste sunnite sono esplose, 10 anni fa, contro il nuovo esecutivo Maliki che ha smantellato le reti economiche e impedito la ricostruzione. E qui, nella città delle 200 moschee, l’Isis con l’aiuto di ex baathisti e tribù locali ha iniziato la propria avanzata nel paese, prima città ad essere occupata, mesi prima della caduta di Mosul. Non solo statunitensi: nei campi di battaglia siriani ci sarebbero anche soldati britannici. The Times cita il capitano Mahmoud al-Saleh, comandante del New Syrian Army, gruppo di opposizione nato a novembre per volere della Cia e formato da unità dell’Esercito Libero Siriano: militari di Londra starebbero combattendo al fianco dei ribelli, non limitandosi all’ufficiale addestramento. Si troverebbero nel villaggio sud-orientale di al-Tanf, a poca distanza dai confini di Iraq e Giordania. Una situazione simile a quella dipinta una settimana fa a nord della Siria: soldati Usa impegnati sul terreno con le Forze Democratiche Siriane (federazione di kurdi, arabi, assiri e turkmeni), che hanno lanciato pochi giorni fa la controffensiva su Raqqa. Con lentezza, le operazioni procedono lungo tutta la frontiera turco-siriana: ieri le Sdf hanno circondato su tre lati la città di Manbij, occupata dall’Isis, tagliando il collegamento con Jarabulus. Si rafforza dunque la posizione delle forze kurde, escluse dal negoziato di Ginevra. Per inserirle ieri l’ambasciatore russo all’Onu Churkin ha riferito di pressioni su Europa e Nazioni Unite per «risolvere la questione dovuta alla politica egoistica e distruttiva di Ankara in Siria». ch. cru. BAQAA CAMP, SEDE DELL’INTELLIGENCE GIORDANA COLPITA IERI LAPRESSE GIORDANIA · Il governo: «Attacco degli islamisti» Assalto a sede intelligence almeno sei le vittime Michele Giorgio P oco alla volta ma inesorabilmente la Giordania viene risucchiata nella tensione generata dalle guerre in Siria e Iraq e dall’ingresso preponente sulla scena dello Stato islamico. Ieri mattina intorno alle 7 - da poco era iniziato il mese islamico di Ramadan - un commando ha assaltato con mitragliatrici e bombe a mano un edificio di due piani che ospita una sede dell’intelligence all’ingresso del campo profughi palestinese di Baqaa, a nord di Amman, il più grande di quelli presenti in Giordania. L’assalto è durato poco, 2-3 minuti, ma si è rivelato preciso e letale. I morti sono stati sei: tre agenti e tre impiegati. Non ci sono state rivendicazioni, almeno fino a ieri sera. Il portavoce del governo, Mohammed Momani, ha lasciato intendere che si è trattato di un attacco di un gruppo islamista armato. «È stato compiuto da elementi criminali che non rappresentano la nostra religione moderata...sangue versato il primo giorno del Ramadan», ha commentato Momani. L’assalto potrebbe essere stato una rappresaglia per il blitz compiuto tre mesi fa dalle forze di sicurezza nei pressi di Erbid, città del nord della Giordania che ospita IRAN · La Bbc rilascia documenti secretati. Ali Khamenei: «Ostilità inglese contro di noi» «Contatti tra Usa e Khomeini? Falso» Giuseppe Acconcia D opo 37 anni, i rapporti tra gli ayatollah che hanno fatto la rivoluzione nel 1979 e i servizi segreti Usa non smettono di far discutere. In un’inchiesta esclusiva la Bbc è tornata sui giorni precedenti alla fine dello Shah rivelando i contatti tra l’ayatollah Khomeini e due presidenti Usa che avrebbero favorito il suo rientro a Tehran. I leak, parte di documenti appena decodificati e risalenti alla guerra fredda, hanno mandato su tutte le furie l'attuale Guida suprema, Ali Khamenei, che ha denunciato la profonda «ostilità» inglese verso l’Iran e come «false» le notizie diffuse dalla Bbc. Secondo la tv pubblica britannica, Khomeini avrebbe chiesto l’appoggio dell’amministrazione Carter per negoziare la fine del suo esilio parigino. La guida spirituale della rivoluzione avrebbe promesso in cambio un atteggiamento non «animoso» verso gli Stati uniti. Un simile messaggio sarebbe stato inviato da Khomeini nel 1963 per spiegare all’amministrazione Kennedy che un’eventuale fine della monarchia Pahlavi non sarebbe stata contro gli interessi Usa. Khamenei ha rimandato tutte le accuse al mittente durante un incontro in occasione del 27esimo anniversario dalla morte di Khomeini. La guida suprema ha anche LA «GUIDA SPIRITUALE» ALI KHAMENEI LAPRESSE definito gli interessi iraniani e quelli statunitensi e britannici nella regione come completamente opposti. In riferimento all’accordo sul nucleare e al riavvicinamento con Washington, Khamenei ha frenato ancora una volta gli entusiasmi. La sola possibilità che si verifichi una vittoria repubblicana alle presidenziali Usa, sta mettendo in allerta la leadership conservatrice iraniana. Khamenei ha assicurato che Tehran non coopererà con Usa e Gran Bretagna nei conflitti regionali. Khamenei ha accusato gli Usa di rinnegare l’accordo di Vienna e che la fiducia, ripo- sta in loro, è stato solo un «errore». Secondo Khamenei, il «Grande Satana» e la Gran Bretagna stanno usando pretesti, come la violazione dei diritti umani, per non scongelare i milioni di dollari bloccati nelle banche occidentali, come previsto dall’accordo sul nucleare. Le parole di Khamenei arrivano anche in seguito ai piani delle Nazioni unite di consegnare aiuti alle aree siriane sotto assedio. Secondo gli Stati uniti, l’Iran troppo spesso ha interferito negli affari dei paesi della regione. Solo lo scorso anno, Tehran è stata inclusa nel colloqui di pace per risolvere il con- flitto siriano in corso a Ginevra e Vienna. Nonostante l’intesa di Vienna del 2015, nuove sanzioni sono state imposte contro Tehran all’inizio di quest'anno per volontà dei repubblicani Usa di fermare la fornitura di missili S-300, avviata da Mosca. Nonostante la vittoria dei moderati alle parlamentari della scorsa primavera, sono sempre i conservatori a controllare i centri del potere iraniano. Dopo l’ultra-conservatore, Ahmed Jannati, nominato a guida dell'Assemblea degli Esperti, è toccato ieri al conservatore, Ali Larijani, ad essere rieletto presidente del parlamento con 237 su 273. Larijiani è stato tra i politici favorevoli all’intesa sul nucleare. Il riformista Reza Aref aveva poco prima ritirato la sua candidatura. Non si ferma neppure la censura del dissenso. È stata appena approvata una nuova legislazione che definisce come «attacchi alla sicurezza» chiunque venga accusato di crimini politici. Il Consiglio supremo del Cyberspazio ha stabilito poi nuove linee guida per i controlli sui social media al fine di monitorare il trasferimento di dati dall’Iran all’estero, in particolare via Telegram. Nei giorni scorsi, l’account del generale, Qassem Soleimani, su Instagram è stato bloccato per alcuni giorni dopo la pubblicazione di una sua foto nella città irachena di Falluja. un altro campo profughi palestinese, in cui rimasero uccisi sette presunti militanti dello Stato islamico oltre ad un militare. Però è solo una ipotesi. È certo invece che le cellule jihadiste si stanno organizzando nel regno hashemita, nonostante il lavoro incessante dei servizi segreti di re Abdallah, tra i più efficienti del mondo arabo (e partner di quelli israeliani). Alleata di ferro degli Stati uniti e dell’Arabia saudita in Siria a sostegno delle formazioni armate che combattono contro Bashar Assad e parte della Coalizione anti Isis creata da Washington due anni fa, la monarchia giordana ha usato la mano pesante in casa contro le espressioni più militanti del’islamismo e tiene sotto stretto controllo il movimento dei Fratelli musulmani (ritenuto dagli analisti la vera forza politica di maggioranza nel Paese), in vista anche delle elezioni politiche (una settimana fa re Abdallah ha sciolto il parlamento e ha nominato Hani Mulki come nuovo primo ministro). La repressione comunque ha colpito tutti, anche la sinistra. Centinaia di giordani sono stati arrestati e interrogati, e spesso detenuti, soltanto per aver espresso le loro opinioni sui social. Tanto rigore non è bastato a fermare il reclutamento di nuovi militanti e simpatizzanti da parte dello Stato islamico e di organizzazioni simili. E se fino a qualche anno fa il serbatorio principale del radicalismo religioso era il sud del Paese, in particolare la città di Maan, adesso sono i campi profughi, quelli dei siriani scappati dalla guerra e quelli palestinesi, i luoghi dove la predicazione salafita jihadista raccoglie nuovi consensi. Non sorprende se si considerano le condizioni in cui sono tenuti i rifugiati siriani e, da decenni, quelli palestinesi. Pesano il degrado dei campi, la disoccupazione e la disperazione dei più giovani ma anche la pressione costante che grava sui palestinesi accolti nel Paese dopo la Nakba (1948) e la (Naksa) ma guardati sempre con grande sospetto e privati di pieno riconoscimento legale e di dignità. Il pericolo è che anche in Giordania, come in Libano, i jihadisti riescano a mettere in piedi alcune delle loro basi nei campi. Sarebbe un disastro per i profughi palestinesi ai quali la monarchia hashemita farebbe pagare un prezzo altissimo. È ancora vivo peraltro «l’esempio» del campo profughi palestinese di Nahr al Bared nel nord del Libano. Nel 2007 l’esercito libanese non esitò a bombardarlo per settimane e a ridurlo in macerie pur di stanare Fatah al Islam, un gruppo jihadista formato da miliziani giunti da vari Paesi arabi che vi aveva stabilito la sua base. In bilico, sempre in Libano, è ora il campo di Ain al Hilwe dove si rafforzano gruppi jihadisti giunti dall’esterno e alimentati dal fanatismo che domina in non pochi quartieri della vicina roccaforte sunnita di Sidone. Ora in primo piano c’è Baqaa in Giordania. Ieri sera il campo era circondato dalle forze di sicurezza pronte, secondo indiscrezioni, ad avviare un’operazione a tappeto per arrestare i responsabili dell’attacco alla sede dell’intelligence. pagina 14 il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 CULTURE ÁGNES HELLER Intervista con la filosofa ospite al festival Biblico di Vicenza e protagonista di un dialogo sull’utopia. «Le distopie sono avvertimenti. Ci mostrano le alternative alla disillusione e alla catastrofe. Oggi bisogna coltivare il giardino in cui viviamo» SCAFFALE Un serrato vis-à-vis sull’indomabile bestia dell’utopia Benedetto Vecchi L’ Ernesto Milanesi A ottantasette anni, Ágnes Heller incarna sempre la vitalità della filosofia ben oltre l’etichetta di «allieva di Lukács». È stata una delle protagoniste al Festival Biblico di Vicenza del dialogo con Riccardo Mazzeo, ispirato dal saggio a quattro mani Il vento e il vortice. Utopie, distopie, storia e limiti dell’immaginazione (Erickson pagine 152 euro 14,50). «È un libro nato a Pordenonelegge nel settembre 2015 dopo il confronto con Riccardo Mazzeo sul tema ’bellezza e utopia’. Allora mi stavo occupando di filosofia medioevale e rinascimentale. Ma scattò l’interrogativo: ’Perché oggi non ci sono più utopie?’. Così sono giunta alla conclusione che questa assenza potrebbe perfino trasformarsi in un vantaggio…» spiega, mentre sorseggia felice un espresso e conta di concludere il suo soggiorno italiano con la visita alla Biennale di architettura. Sopravvissuta alla Shoah, espulsa nel 1959 dall’Università di Budapest, emigra con il marito Ferenc Fehér in Australia nel 1977. Dopo aver insegnato sociologia a Melbourne, approderà a New York sulla prestigiosa cattedra di Hannah Arendt. Da tempo è tornata a vivere nella capitale ungherese, anche nel ruolo di spina nel fianco del premier ultranazionalista Viktor Orban. E di nuovo, nell’ultimo libro, Ágnes Heller insiste nell’illuminare speranze e paure alla luce di uno sguardo filosofico mai disattento nei confronti delle trame visionarie quanto dell’attualità. «Dal mio punto di vista, occorre distinguere due forme di utopia - spiega la filosofa -. Quella del desiderio, cioè un mondo in cui tutti i bisogni sono soddisfatti: non si deve lavorare, niente Stato né leggi o guerre. È come l’età dell’oro che è alle nostre spalle, come per la Grecia antica. O come nella Bibbia (Genesi, 2) con Adamo e Eva nel Giardino dell’Eden, che hanno tutto a disposizione senza dover lavorare e non sono minacciati dal dolore e dalla morte. Marx immagina lo stesso tipo di utopia, solo che diventa quella del futuro dell’umanità: niente mercato, Stato, leggi, istituzioni, matrimonio, eccetera; tutti i bisogni soddisfatti nella società dell’abbondanza. Ma come già evidenziava Freud in Disagio della civiltà, utopia senza cultura e con una libertà totalmente negativa». E l’altra forma di utopia quale sarebbe? L’utopia filosofica. In buona sostanza, non ci permettono la soddisfazione dei nostri desideri, però da qualche parte e in qualche modo possiamo immaginare la società giusta. Comincia Platone con la sua Repubblica ideale, perché i filosofi sono in grado di trasformare l’idea in realtà e quindi anche di creare lo Stato perfetto. Nel 1516 Thomas More scrive Utopia nell’età delle grandi scoperte: è l’isola esattamente opposta all’Inghilterra; ma è anche, di fatto, uno Stato totalitario. Con Charles Fourier si approda all’utopia socialista del falansterio. Costruita «scientificamente», perché nel XIX secolo si aveva fede nella scienza capace di risolvere ogni problema. Di qui l’idea che sarebbe stato sufficiente mettere gli individui insieme per ottenere lo stato d’armonia e la felicità di tutti. Dopo il 1789 la narrazione è ispirata, invece, dall’idea di progresso universale. Dallo stato primitivo si tende verso quello civilizzato. Progresso all’orizzonte dell’umanità per evoluzione, grazie alla rivoluzione o attraverso riforme progressive. Il «secolo delle ideologie» tuttavia non produce felicità, ma guerre mondiali. Né realizza sogni: se mai, disillude... Si giunge così all’idea della fine dell’utopia. Nel XX secolo collassa il concetto di progresso: dopo Auschwitz e i gulag come si può ancora parlare di società che tende naturalmente al meglio, al futuro luminoso, alla progressiva felicità? È il primo momento di critica culturale che apre alla pro- «FALLEN ANGEL» DI ILYA E EMILIA KABAKOV; IN ALTO, RITRATTO DI AGNES HELLER Un orizzonte divisionariafelicità spettiva della distopia. Si sviluppa il concetto di decadenza, che Oswald Spengler sintetizza nel Tramonto dell’Occidente. Ma con l’incubo della guerra nucleare anche la scienza non è più l’angelo della redenzione: le bombe atomiche sono l’emblema della dannazione. Si imbocca così l’immaginazione critica, la «contro-narrazione», il pensiero non più edificante? Le distopie sono gli scenari dell’autodistruzione per la nostra ecosfera, che da almeno vent’anni sono previsti nella letteratura scientifica. Altri vettori di distopie sono le opere di letteratura fiction che già Jonathan Swift aveva offerto con le sue satire. Penso in particolare al Mondo nuovo di Aldous Huxley, a 1984 di George Orwell e a La strada di Cormac McCarthy. Senza dimenticare i numerosi film con le medesime caratteristiche. E cosa hanno in comune? Le distopie sono avvertimenti. Ci mostrano le alternative alla disillusione, alla disperazione, alla catastrofe. Un po’ come i profeti biblici che, nella società dominata dal peccato, indicano all’umanità che soltanto con la correzione dei suoi comportamenti, può evitare un’esistenza dannata. Oggi sappiamo che l’uso delle armi nucleari equivale alla fine del mondo. O che abbiamo una scel- ta fra essere soggiogati da un leader totalitario e difendere le libertà. Dunque, in questo vortice, esiste qualcosa che si possa fare? Coltivare il «giardino» in cui viviamo. Con responsabilità, attenzione e cura. Era il suggerimento di Voltaire, nel Candido. Del resto, questo è il mondo dove siamo nati e moriremo. Ognuno deve mantenerlo e insieme renderlo un po’ migliore. Non è una prospettiva brutta: senz’altro migliore rispetto alla disillusione che nasce dalle utopie mancate. Tornando ai temi dell’ultimo saggio, dove si annida la contraddizione fondamentale dell’individuo nella società? Occorre ritornare alla Costituzione della Rivoluzione francese che sancisce i droits de l’homme e du citoyen come se i diritti umani e quelli di cittadinanza fossero equivalenti e perfino sinonimi. Non è certo così, soprattutto dal punto di vista etico nell’Europa moderna. Ci viene, infatti, chiesto di essere brave persone e buoni cittadini. Due sfere differenti: la moralità individuale e il rispetto delle leggi. Eppure, sono anche pilastri che si sorreggono a vicenda nel nostro mondo. La cooperazione tra valori privati e virtù pubbliche è oggi più necessaria che mai se vogliamo evitare che il futuro assomigli agli incubi della distopia. E la crisi che attanaglia l’Europa, è risolvibile? Va sempre ricordato che, al contrario del mondo anglosassone, in Europa la democrazia non è certo una tradizione. Anzi, per Grecia, Spagna, Portogallo e per la stessa Italia vale solo negli ultimi decenni. E nella storia dei Paesi dell’Est la democrazia è ancora più recente. Piuttosto, bisogna prestare attenzione al bonapartismo sempre presente in Europa: lo inaugura Napoleone e arriva ben oltre Mussolini. L’uomo forte, che tutto risolve, perché finisce con l’incarnare la verità, lo Stato, la società. Il «condottiero» che non si fa scrupoli e ricorre al populismo, anche se rappresenta interessi oligarchici. A volte mi vien da pensare che il Vecchio Continente sia stato ri-paganizzato: la nazione come autorità suprema e il nazionalismo come religione. Eppure, l’Unione Europea è nata, al contrario, come «universalistica» all’insegna della solidarietà fra gli stati membri. Purtroppo, la costruzione dell’Ue non è stata accompagnata dall’emergere di una coscienza europea comune. Così l’Europa rischia di restare un progetto burocratico senz’anima. Paradossalmente, l’opportunità di cambiamento e di apertura ci arriva dall’emergenza dei rifugiati e dalla minaccia terroristica. utopia è una bestia ribelle, difficile da addomesticare. Esprime la visione di un mondo «perfetto», dove non c’è posto per le ingiustizie e dove tutti possono esprimere il meglio di sé nella vita pubblica e privata. Prima avvertenza: l’immaginazione espressa sull’«isola che non c’è» è legata sempre a una contingenza storica. Così nell’antichità i termini della società perfetta differiscono da quelli enunciati nel Quattrocento, il Seicento o nell’Ottocento. Questa centralità dell’«immaginazione storica» è il filo rosso usato dalla filosofa Agnes Heller nel dialogo, serrato, condotto con Riccardo Mazzeo, filosofo per formazione, studioso attento di psicoanalisi e psicologia per passione, nel volume Il vento e il vortice (Erickson, pp. 152, euro 14,50). È un volume che concede ben poco alla retorica, visto che entrambi gli autori sono consapevoli che dietro un’utopia c’è sempre una distopia, cioè la sua negazione nell’immaginare - di nuovo - una società dove le ingiustizie e l’oppressione raggiungono l’acme. Si potrebbe dire che ogni utopia ha come sorella (o fratello) gemella una visione orrorifica della società del futuro. O del presente. Il movimento teorico condotto dai due autori ha come punto di partenza la storia delle idee, cioè come l’utopia ha attraversato la filosofia e la teologia, da Thomas Moore a Tommaso Campanella ai socialisti utopisti. Agnes Heller ha vissuto per decenni in un paese che inseguiva il progetto di un nuovo mondo. Per essi ha conosciuto la negazione della libertà e i gulag. I dirigenti comunisti, annota, erano convinti militanti di un progetto politico teso a costruire un mondo perfetto. Alla fine si è scoperto che per questo sono diventati assassini. A nulla vale opporre alla sua visione semplicistica una documentata analisi storica sul fatto che di utopico nel socialismo reale c’era ben poco. Sarebbe operazione inutile. Di certo c’è il fatto che Agnes Heller considera entrambe le forme di immaginazione storica antidoti teorici verso le storture delle «società contemporanee». Guai però a farle diventare sia proposte in positivo per il futuro o critiche immanenti al presente: sono solo campanelli di allarme di qualcosa che non va nel lento, ma intrasformabile amministrazione della realtà. Riccardo Mazzeo obietta che l’utopia non è solo immaginazione storica, ma anche sociale, cioè uno strumento che serve non solo a criticare la realtà ma a fornire chiavi di accesso alla sua trasformazione. Cita romanzi, testi della psicoanalisi, sociologici. La sua argomentazione è convincente, ma il dubbio che riesca a smuovere le certezze granitiche di Agnes Heller è più che legittimo. Una dubbio comunque si impone rispetto a questo volume: vedere l’utopia come un esercizio effimero sul mondo che non c’è, toglie la possibilità di pensarla come il mondo possibile che ha però forti radici, traendone alimento, proprio nella realtà. Sarebbe u modo per riconciliare immaginazione storica e immaginazione sociale. L’elemento che rende l’utopia e la distopia le sorelle gemelle dello status quo. il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 CULTURE oltre ANTTI HYRY, IL DETTAGLIO DELLA VITA Lo scrittore finlandese Antti Hyry è morto nella sua casa di Espoo (Finlandia meridionale) all'età di 84 anni. Nei suoi romanzi più famosi («Primavera ed estate», «A casa», «Scuola elementare») ha espresso un ideale di vita idilliaco, tutto non contaminato dalla civiltà delle macchine. Protagonisti delle sue opere sono giovani che non riescono a inserirsi in una società a loro estranea. Nato a Kuivaniemi il 20 ottobre 1931, Antti Hyry esordì nel 1958 come scrittore, caratterizzandosi per la sua scrittura cristallina e descrittiva. HACKMEETING · Si è chiuso l’incontro a Pisa La condivisione è un gioco transgender Daniele Salvini L’ Hackmeeting è una moltitudine di incontri collettivi o ravvicinati, vis-à-vis su temi in costante divenire. Due temi sono stati la scrittura collettiva e come superare gli stereotipi di genere. La tavola rotonda Hack your gender ha portato la discussione sulle differenze di genere nella cultura hacker parlando di server autonomi alternativi, hacklab femministi ed eventi internazionali come il transhackfest. La voglia di modificare la policy di Hackmeeting era cominciata già l’anno scorso, non dando affatto per scontato che l’ambiente sia automaticamente antisessista. Samba è maschio ma indossa una gonna e spiega come questo sia un hack per creare gender-bender e facilitare il superamento degli stereotipi di genere. «Una semplice gonna mette in dubbio il mio genere e crea confusione in chi cerca di catalogarmi, critica e sovverte l’ordine prefissato per cui l’uomo debba fare certe cose e non farne altre. Rappresenta un hack su sé stessi, come da manifesto di Hack IT: hacker è chi si vuole gestire la propria vita, operando sulla macchina-sistema e manipolando anche la propria identità». Un altro hack è un video game proposto da Suki dove il gioco è la storia di un trans; il gioco è incentrato sulla la possibilità del passaggio F2M (da femmina a maschio) o M2F. Durante il gioco si cambia sesso confrontandosi a tutte le problematiche che questo comporta, dagli ormoni alla reazione sociale. Viene raccontata l’esperienza del CryptoRave brasilia- Tra le decine di seminari sono stati ricorrenti i temi della scrittura collettiva e del genere no, partecipato da 3000 persone tra cui molti trans e immigrati, enorme diversità e molto più gender free degli italici incontri, sttolienando come le differenze non possono che migliorare quello che siamo. L’incontro «gender-free acara» ha proposto come esperimento anti-sessista il notare le battutine o gli atteggiamenti presenti al fine di scoprire che c’è ancora sessismo e razzismo. Imparare a notare, perché essere antisessista non significa solamente non comportarsi in maniera sessista ma anche intervenire e bloccare qualcosa di sessista quando lo si nota. È infine nata l’idea di progettare una tre giorni di trans-hack o gender-hack in Italia. All’hackmeeting si è parlato molto anche di scrittura collettiva, data la presenza di diverse comunità scriventi. Il progetto Maz, laboratorio di esperimenti narrativi, ha presentato un talk con il progetto Sic (Scrittura Industriale Collettiva), che viene presentato a partire dai due filoni dal quale è nato: uno è il gioco di ruolo dove si generano narrazioni collettive aperte a partire da un coordinatore che crea l’ambientazione di base, ma poi le scelte dei giocatori determinano la direzione dell’avventura; l’altro è quello del software libero, dove il codice è aperto e tutti possono intervenire e migliorarlo. Ma miglioramento è un concetto soggettivo nelle arti che dipende anche dal gusto, nella scrittura collettiva fanno notare che si è arrivati a risultati efficaci solo quando il gruppo è ristretto e condivide gli stessi obiettivi, approccio e idee come ad esempio Wu Ming. Il metodo Sic tenta di far sì che tante persone senza conoscersi tra loro possano scrivere un testo letterario. Organizzazione del codice del testo: personaggi e ambientazioni, divisione del lavoro con struttura simile a quello della produzione cinematografica e rotazione dei ruoli. Chi scrive non prende decisioni, chi decide non scrive. Non è un sistema perfetto, rimane sempre informale, ma è un ottica di lavoro che funziona ed è efficace nel combattere il narcisismo per cui in un lavoro di gruppo si tende a proteggere il E proprio la descrizione minuziosa e particolareggiata è stata la costante narrativa di Hyry, come testimonia anche uno degli ultimi suoi romanzi, «La stufa»: racconta nei minimi dettagli - praticamente mattone su mattone - come un uomo costruisce un grande camino a legna. proprio. Con questo metodo è stato scritto il romanzo: «In territorio nemico», scritto a 230 mani. Ambientato durante l’occupazione tedesca in Italia alla fine della seconda guerra mondiale, è basato su aneddoti e racconti raccolti nelle famiglie degli scrittori. Il romanzo è sia un lavoro collettivo per metodo che come recupero della memoria storica sugli avvenimenti della resistenza. Un diverso approccio è quello di «Collane di Ruggine», che presenta: Love is in the air, eterei amori in forma d’onda sinusoidale: «Noi ci mettiamo d’accordo e ognuno scrive per sé, poi facciamo una revisione collettiva». Il gruppo Ippolita, presentando il saggio Anime elettriche, dice di non avere un metodo, o meglio di improvvisare un metodo volta per volta a seconda delle persone e della situazione. Di come affrontare tecnicamente la scrittura collettiva si parla nel talk che propone di strutturare la scrittura attraverso il markdown per trattarla come codice ed elaborarla tramite i sistemi di controllo versione distribuiti, già utilizzati per le modifiche del codice sorgente di un software. Dal pubblico arriva il suggerimento di usare GitBook, strumento di questo tipo mirato proprio al costruire libri. ON LINE · Dimesso uno degli animatori del Tor Project dopo le accuse di molestie sessuali Nella notte tra il 2 e il 3 giugno è comparso sul blog ufficiale di Tor Project - progetto per la comunicazione anonima on line - una nota di appena 140 caratteri riguardo le dimissioni del mediattivista, giornalista e ricercatore di sicurezza informatica Jacob Appelbaum dalla sua posizione all’interno del progetto. Subito il post ha suscitato sulla Rete curiosità e stupore, visto il suo ruolo fondamentale che Jacob svolgeva all’interno del Tor Project e data la totale mancanza di informazioni riguardo le ragioni del suo passo indietro. Si è dovuto aspettare fino alla sera del 4 giugno per ottenere ulteriori chiarimenti, quando sempre sullo stesso blog è comparso un altro post, questa volta più esaustivo, intitolato «Statement» e firmato dal direttore esecutivo di Tor Project, Shari Steele. Nel post si dichiara che nei giorni passati un certo numero – non specificato – di persone avrebbe presentato pubbliche accuse di maltrattamenti sessuali da parte di Appelbaum. Di seguito Steele ci tiene a precisare che questa per i partecipanti del progetto non costituisce una totale novità, in quando già da tempo circolavano voci riguardo alcuni comportamenti di Appelbaum, ma soltanto in tempi molto recenti si hanno avuto i primi riscontri effettivi. «Non sappiamo esattamente cosa è successo - dichiara Steele -, non abbiamo tutti i fatti alla mano, e stiamo attuando molte pratiche per determinarli al meglio delle nostre possibilità. Non siamo un organo investigativo, e ci troviamo in difficoltà nel fare sentenze sulla vita personale delle persone». Tuttavia Appelbaum ha già lasciato la sua posizio- ne. Il comunicato continua invitando chi avesse eventuali informazioni utili, o chi si fosse trovato vittima di azioni da parte di Appelbaum, a contattare le forze dell’ordine, richiesta nella quale non è celata una vena di amarezza: «Siamo consapevoli che molte persone delle comunità della sicurezza informatica e delle libertà digitali non necessariamente si fidano delle forze dell’ordine. Incoraggiamo queste persone a cercare consiglio da coloro di cui si fidano, e fare quello che credono sia la cosa migliore». Dichiarando gli intenti di continuare a creare una comunità in cui i partecipanti si sentano al sicuro e vedano tutelata la propria privacy, Steele avvisa che questo post sarà probabilmente la loro unica dichiarazione pubblica sulla questione. Daniele Gambetta STORIA · Pratiche di adozioni nel Medioevo e in età moderna. Un saggio per Viella in inglese La rottura del patto «naturale» Marina Montesano C i sono libri che rispondono a più di un’esigenza. Tempo fa, Simonetta Fiori segnalava su Repubblica l’attività di alcuni editori italiani di saggistica che scelgono di pubblicare in inglese i loro testi, anche se scritti da autori di madrelingua italiana, allo scopo evidente di porre le opere al centro dell’attenzione internazionale. Lo scarso peso della nostra lingua sul mercato estero da una parte, la minore attitudine, rispetto al passato, di molti anglosassoni e statunitensi a cimentarsi con idiomi che non siano i propri dall’altra, sono responsabili del calo di attenzione verso la produzione del nostro paese; il che ci relega in una condizione di insularità poco invidiabile e fa sì che una parte (vi sono comunque le eccezioni) della produzione italiana sia poco fruita all’estero. Possiamo quindi salutare con piacere un libro di autori italiani, coordinati da Maria Clara Rossi e Marina Garbellotti e pubblicati da Viella (fra gli editori più attivi in questo campo), che non solo è interamente in inglese, ma che affronta anche un tema di straordinaria attualità, venendo così incontro a una doppia esigenza. Adoption and Fosterage Practices in the Late Medieval and Modern Age (Viella, pp. 222, euro 35) parla delle pratiche di adozione e di affidamento fra tardo medioevo ed età moderna. Lo fa, inutile dirlo, in un momento in cui il tema è particolarmente dibattuto, soprattutto in relazione alle forme di «nuova famiglia» che guadagnano lentamente un riconoscimento. Ma, come leggiamo già dall’introduzione, anche in epoche precedenti un numero rilevante di famiglie sceglieva di adottare e prendere in affidamento in situazioni che potevano essere molto differenti tra loro e che, di conseguenza, portavano alla formazione di nu- NASCITA DI UN BAMBINO NEL MEDIOEVO clei familiari non univoci: con buona pace di quanti pensano che il presente costituisca una rottura assoluta rispetto a «tradizione» e «natura», concetti più enunciati che spiegati. Allo stesso tempo, anche al di là della stretta attualità, il tema delle adozioni è ben presente nella storiografia internazionale, ma ha avuto sinora scarso rilievo in Italia, nonostante gli archivi siano ricchi di documentazione atta a chiarire i contorni del fenomeno. Come sottolineano le curatrici nell’introduzione, «il problema cruciale nella maggior parte dei casi venuti alla luce è determinare la ’vera natura’ di questi accordi (di adozione) e le conseguenze concrete – sia personali sia legali - che avevano sugli adottati e sugli adottanti. Nella età medievale e moderna, infatti, il ’trasferimento’ di ragazzi e ragazze in una nuova famiglia era descritto impiegando il lessico dell’adozione, anche se spesso l’atto non dava vita a un vero rapporto adottivo. Invece, il collocamento poteva essere il risultato di un atto di carità o un più generico accordo di apprendistato». Soprattutto se si considera che pagina 15 il lessico era preso dal diritto romano, e nel mondo romano l’istituto dell’adozione aveva avuto caratteri suoi propri, differenti da quelli rivestiti nel medioevo e oltre. Molti fra i saggi sottolineano il ruolo rilevante degli istituti religiosi nelle pratiche adottive e di affidamento; e il libro nel suo insieme finisce per ribaltare un pregiudizio che vorrebbe la Chiesa cattolica contraria alle adozioni: quando, al contrario, pare averne favorito il corso. C’è, insomma, molto da leggere e da imparare da questi saggi, sperando che la lingua favorisca effettivamente la circolazione internazionale e non blocchi quella nazionale. Sarebbe poi interessante provare a riflettere sulle ragioni per cui l’editoria italiana è invece così interessata, certo più delle controparti inglesi o francesi, a tradurre nella nostra lingua. Il che è pratica generalmente positiva, per l’ovvia ragione che rende disponibili anche per un pubblico non specialistico, che non leggerebbe cioè un saggio in lingue altre dall’italiano, opere interessanti. A volte, la xenofilia porta però a delle scelte curiose: come quella di tradurre un breve saggio della storica inglese Miri Rubin, Il Medioevo (il Mulino, pp. 122, euro 12) originariamente incluso in una collana intitolata «A very short introduction»: operette introduttive su una quantità di argomenti diversi. Non potendo certo restringere mille anni di storia in centocinquanta pagine, Rubin fornisce a volo d’uccello informazioni su temi vari: la cristianizzazione, i regni, la vita quotidiana, il rapporto con minoranze e alterità, gli scambi e l’economia. Non sappiamo che pubblico potrà avere; troppo vago per chi non conosce i quadri istituzionali, troppo striminzito per chi è in cerca di approfondimenti. Nondimeno è la prova di un’editoria, quella italiana, che cerca in più modi e strategie di far fronte alla crisi di libri e lettori. MOSTRE Awá-Guajá, ultimi cacciatori eco-sostenibili Leonardo Clausi L a distruzione permanente del patrimonio ambientale terrestre, prodotta da una mistura d’incontrollata crescita demografica, consumismo ultra-capitalistico, assalto alle risorse e ignorate istanze di sviluppo sostenibile, è un po’ come lo slogan turistico della città di New York: non dorme mai. L’unica differenza tangibile con il passato recente è che gli effetti di questa insonnia distruttiva erano fino a qualche tempo fa relegati a zone remote del pianeta – problemi brutti, per carità, ma altrui - mentre adesso sono, per così dire, davanti all’uscio di casa dell’occidente sviluppato: un uscio e una casa sempre più spesso sommersi d’acqua e fango. Ma i due luoghi simbolo di quest’agonia ambientale sono senz’altro l’artico, ridotto a ghiacciolo dimenticato fuori dal frigo completo di orsi bianchi disperatamente aggrappati a fragili zattere di ghiaccio, e naturalmente l’Amazzonia, cuore verde del pianeta che l’uomo, come una specie di bulimico superbug, sta divorando senza tregua. Non limitandosi alle piante e agli animali, ma cancellando anche i propri simili. Un documento empatico ma antiretorico e per nulla sentimentale dei rischi di questa cancellazione è quello colto dall’obiettivo di Domenico Pugliese, fotografo italiano trapiantato a Londra da ben prima della recente diaspora italiana verso isole britanniche ma ottimo conoscitore del Sudamerica, e del Brasile in particolare. The Last Hunters, la sua mostra presso l’ambasciata del Brasile a Londra, visitabile fino al 14 giugno, rappresenta la vita quotidiana dell’ultima tribù nomade pre-amazzonica, i cacciatori-raccoglitori Awá-Guajá, «scoperti» solo negli anni Settanta. Ha cominciato a fotografarli nel 2009 per una rivista brasiliana, ed è stato l’inizio di un sodalizio. «Sono rimasto così commosso dalla loro situazione che ho deciso di tornare ancora e ancora - cinque volte in tutto - a Maranhão», nel tratto occidentale del nord del Brasile dove vivono. L’ecosistema degli Awá-Guajá, assediato dalla deforestazione, è allo stremo. «Sono cacciatori eccezionali, forse gli ultimi del loro genere, ma la loro vulnerabilità - e anche la fragilità della loro esistenza e modo di vivere - sono assolute». La mostra di Pugliese, con il sostegno dell’Ong Survival International, da tempo impegnata nella salvaguardia del territorio e dei suoi abitanti, è un potente monito contro l’estinzione di un popolo. «Spero che contribuisca a creare consapevolezza sulla situazione di questo popolo. Come l’ambiente in cui vivono, gli Awá-Guajá possono ancora essere salvati» pagina 16 il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 VISIONI Cinema • Immagini italiane inconsuete, registi che provano a ridefinire i generi Il festival palermitano Sicilia Queer, che si è chiuso domenica, esplora le nuove tendenze La scommessa di una relazione Matteo Marelli S ì è conclusa domenica la sesta edizione del Sicilia Queer filmfest. Guardando a ritroso la selezione dei titoli italiani presentati in Panorama, la sezione che, come riportato da catalogo, cerca di dar conto a quelle «immagini, visioni, apparizioni che delineano un panorama inusuale nella distribuzione cinematografica internazionale», i lavori su cui concentrarsi sono probabilmente quelli di Bartolomeo Pampaloni, Cosimo Terlizzi, e dal collettivo catanese Canecapovolto. I due progetti di Pampaloni (Come una stella del 2013 e Roma Termini, già presentato al Festival di Roma del 2014) delineano un attitudine in atto, che è quella del cosiddetto «cinema di prossimità», inteso come dispositivo relazionale al cui interno l’istanza filmica è prima di tutto esperienziale. L’immagine è una zona di contatto, la traccia di un rapporto conoscenza: in Come una stella l’interlocutore è Patrizia, transessuale napoletana, provata da una vita di eccessi, che vive la paura, ancora di più dopo aver smesso di prostituirsi, di venir cancellata dal paesaggio sociale. In Roma Termini sono invece tutte quelle anime pena che sopravvivono tra le pieghe della stazione ferroviaria. Per realizzarsi quest’idea di cinema deve partire Dalla reinvenzione del gesto filmico di Cosimo Terlizzi, al sabotaggio situazionista di Cane Capovolto da un gesto di reciproca generosità, di condivisione, tra chi sta da una parte e chi dall’altra dell’obiettivo; solo così è possibile filmare l’incontro in atto, le corrispondenze che si vengono stabilire, a cui la regia deve aprirsi. E invece l’impressione di fronte a questi due progetti di Pampaloni è che il regista, pur tentando di celarla (e questo è l’aggravante), avesse già una precisa idea di messa in quadro dei soggetti coinvolti, dei canoni di rappresentazione di riferimento, che sembrano essere quelli della compassione cinematografica, che ha bisogno, ricattatoriamente, della morbosa immediatezza biografica. Aurora, un percorso di creazione di Cosimo Terlizzi parte dalle stesse premesse da cui si muove Pampaloni con esiti però differenti. Il film documenta e traduce il percorso di creazione dell’omonimo spettacolo di danza di Alessandro Sciarroni, che coinvolge nella propria ricerca coreografica dei giocatori Goalball, sport praticato da non vedenti e ipovedenti. Terlizzi, che fino a questo punto aveva esplorato le risorse espressive offerte dal registro diaristico, devia dall’esclusività e dall’esibizione del proprio sé. Come racconta: «A differenza di altri miei lavori dove ho messo davanti me stesso, qui tutto era talmente forte e già ricco di emozioni e segni che dovevo solo fare attenzione ad esporli al meglio. Il mio vivere in un mondo visivo, il mio credo verso la bellezza che si guarda, crollava davanti a loro». Terlizzi non sceglie di annullarsi, al contrario parte dal ripensamento del suo gesto registico conseguente al coinvolgimento nel progetto di Sciarroni -«Mi ha accolto come un ’giocatore’ della sua stessa opera lungo tutto il percorso di creazione. Un giocatore a parte, ma completamente integrato». Osserva i giocatori nella loro quotidianità e durante il lungo periodo di training in cui si sono reinventati danzatori (che affiorano dal buio delle palestre guidati nei movimenti dai sonagli all’interno di una palla), per cogliere come il loro non vedere sia proporzionale a un ascolto più attento, a una percezione del mondo con altre sfumature. Il collettivo catanese Canecapovolto con Spectrum SQ3105ORG, un format diviso in tre episodi - Condominio; Slaughter; Nembutal - dedicato all’Uomo-Massa e alla tragedia umana contemporanea, prosegue testardamente il proprio sabotaggio situazionista, per mezzo di strategie di spiazzamento, delle dinamiche di produzioni di senso. Il problema che questi artisti pongono non è tanto quale codice adottare per compiere il lavoro di decifrazione quanto se ci sia qualcosa da decifrare - «Considerando – come hanno dichiarato i componenti del collettivo - che il Cinema fin dai suoi albori ha sempre mentito, anche per via della sua stessa natura tecnica, e che anche i documentari non sono in grado di liberarsi dalla soggettività dei loro autori MILANO · Federica Fracassi inaugura «Stanze» Stasera e domani (ore 19.30) Federica Fracassi porta in scena, con la regia di Renzo Martinelli, «Tre lai» di Giovanni Testori che lo scrittore di Novate ha terminato poco prima di morire. Tre canti di amore inconsolabili e disperati di donne che si scontrano con un’assenza: Cleopatra, con il suo amore vissuto e poi amaramente perduto per il generale romano Antonio; Erodiade, straziata dalla sottrazione infinita, dall’amore mai consumato per il profeta Giovanni; e l’amore puro di Maria per il figlio Gesù, durante il Calvario. L’appuntamento inaugura la quinta edizione di «Stanze - esperienze di teatro d’appartamento. Questa volta lo spazio «occupato» dallo spettacolo è lo showlab di Donatella Pellini, straordinaria creatrice di bijoux. L’atelier nasce a Milano nel 1947 con Emma Pellini che qualche anno dopo partecipa alla Triennale di Milano vincendo il secondo e terzo premio all’esposizione «Imitazione del gioiello». Nel 1964 la figlia Carla continua la sua attività passando l’«eredità» a Donatella che reinterpreta l’arte del gioiello in una visione contemporanea. e dalle caratteristiche autoritarie di ripresa e montaggio, siamo sempre stati interessati alla problematica della ’creazione della Realtà»). Canecapovolto pone a fondamento del proprio modello di comunicazione la disattesa dell’aspettativa dello spettatore, che è costretto quindi in un regime di disagio percettivo (ripetizione, disorientamento sensoriale, detournement e modalità random) privo di scorciatoie seduttive. Del resto, da sempre, al coinvolgimento il collettivo preferisce lo straniamento: «Questo accade perché dice Canecapovolto - desideriamo che la cerimonia dello ’Spettacolo’ non avvenga ancora una volta a senso unico. Siamo convinti di dare nuova dignità allo ’spettatore’; è evidente che spesso spetta a lui un ’montaggio finale’». «AURORA, UN PERCORSO DI CREAZIONE»; A SINISTRA, «SPECTRUM SQ3105ORG» DEL COLLETTIVO CANE CAPOVOLTO In sala /OGGI E DOMANI, «ISTANBUL E IL MUSEO DELL’INNOCENZA DI PAMUK» Kemal e Füsün, l’amore perduto trasformato in un reliquiario laico Arianna Di Genova L e stanze di casa, le strade buie, gli angoli reconditi fuori dalle rotte turistiche e, infine, gli oggetti vissuti come apparizioni di ciò che si è smarrito, evocazione di una storia che non c’è più. Che sia quella di una grande metropoli come Istanbul o di un amore privatissimo, divenuto universale proprio quando è stato inghiottito nelle nebbie del passato, un passato che, nonostante tutto, non ritorna. E poi, l’ossessione del tempo che si è fermato, come mostrano le centinaia di sigarette spente nell’attesa, quelle che lo scrittore Orhan Pamuk ha immaginato essere state succhiate con la voracità del desiderio da Kemal, il personaggio principale del suo romanzo Il Museo dell’innocenza, e la voce narrante, nascosta, che si intuisce tra le teche museali vere, mentre semina tracce in un rebus di ricordi, mescolando verità e utopia. Il potere consolatorio degli oggetti è la ragnatela leggera che si estende su un percorso alternativo capace di penetrare nelle viscere di Istanbul: il Museo dell’innocenza, nato nel 2012 in Cukurcuma Caddesi, racconta LO SCRITTORE ORHAN PAMUK NEL MUSEO CHE HA CREATO una vita, un’ossessione amorosa e insieme una finzione della memoria. L’ha voluto Pamuk stesso per creare una topografia di rimandi in un atlante sentimentale che ha disegnato prima con le parole, poi con le «cose» appartenute ai protagonisti della passione irrisolta, Kemal e Füsün. Ora le maglie della ragnatela si allargano e fanno posto anche a una nuova proiezione, quella cinematografica, che arriva sul grande schermo per soli due giorni, oggi e domani (distribuita da Nexo Digital). Di- retto da Grant Gee (che già nel 2012 aveva lavorato intorno a un altro maestro dei rinvii geo-emozionali come Sebald), Istanbul e il museo dell’innocenza di Pamuk è un film labirintico, popolato di ghosts che riaffiorano dopo trent’anni di tragica assenza: la voce dell’amica di Füsün (rientrata in Turchia dopo tredici anni) introduce lo spettatore tra le camere e nell’intimità della casa dove lei abitò davvero con la sua famiglia, e dove Kemal passò centinaia e centinaia di serate, fin- gendosi un cugino di fronte al marito della sua amata, ormai donna irraggiungibile, lanciata verso un destino di attrice che non si realizzerà. E c’è anche Istanbul, ripresa in notturna, inseguita in scorci e su sentieri svaporati, una città che fluttua come un fantasma e che, a sua volta, abbraccia altri fantasmi. Passano nelle foto, nelle pose in cui vengono ritratti i personaggi, soprattutto gli abitanti dei quartieri d’elite, trent’anni di una complessa storia turca, quella che va dal 1970 al 2000. E, per chiudere il cerchio vertiginoso, c’è la costruzione simbolica della persona attraverso l’uso dei totem, la disseminazione di sé. È questo lo scarto letterario e cinematografico più interessante. Kemal collezionava in modo maniacale piccole cianfrusaglie toccate, sfiorate, annusate da Füsün (il rossetto rosso fatto scivolare nella tasca) per comporre un reliquario laico e feticistico dell’amore perduto; il suo «ordito» è rimasto congelato per sempre nel museo, grazie alla complicità di un autore come Pamuk. È lì che l’impalpabilità di una sensazione diventa narrazione, biografia, struggente luogo da visitare. «Il futuro dei musei è dentro le nostre case», dice lo scrittore premio Nobel. Anche in strada, se si fa riferimento all’ultimo libro di Pamuk, La stranezza che ho nella testa, il romanzo che pedina giorno e notte il venditore di boza Mevlut Karatab. il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 VISIONI ABBA I quattro ex Abba - Agnetha Faltskog, Bjorn Ulvaeus, Benny Andersson e Frida Lingstad riuniti domenica sera a Stoccolma per festeggiare il loro cinquantesimo anniversario. È la seconda reunion che la formazione svedese da 100 milioni di dischi venduti, e stavolta i quattro anche cantato per la prima volta insieme dopo 34 anni. NICOLAS WINDING REFN «Il digitale è una tela completamente nuova, dove le regole del vecchio cinema non valgono più. Il linguaggio, il formato, la storia, sono diventati d'improvviso obsoleti. Perciò dico che il film che abbiamo fatto è il futuro». Parole del regista a Roma per presentare «The Neon Demon» - visto a Cannes - nelle sale italiane l’8 giugno. UNA SCENA DA «A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT» DI ANA LILY AMIRPOUR INTERVISTA · Ana Lily Amirpour, a Bari per «Registi fuori dagli sche(r)mi» Una vampira sotto il chador tra l’Iran e la California Giovanna Branca U na ragazza torna a casa sola di notte: un’immagine di vulnerabilità e pericolo, l’incipit di una storia destinata a finire male in cui un predatore attende fra le tenebre. Nel film d’esordio di Ana Lily Amirpour - A Girl Walks Home Alone at Night - è però proprio la ragazza sola ad essere la predatrice in agguato, una vampira che ribalta le aspettative del titolo in un atipico horror movie iraniano. «Ciò che mi interessa di più in un personaggio è che non coincida mai con la propria apparenza dice infatti la regista - Vediamo la protagonista, una ragazza esile, e siamo portati a pensare che sia tranquilla e inoffensiva. Ma qualunque persona nasconde degli strani segreti». Ana Lily Amirpour oggi è a Bari, ospite della rassegna Registi fuori dagli sche(r)mi dove incontrerà il pubblico e presenterà questo suo primo lungometraggio. Di origini iraniane, Amirpour è nata in Inghilterra e cresciuta negli Stati Uniti, in California, che è anche lo stato dove ha girato A Girl Walks Home Alone at Night, usando la cittadina di Taft come «controfigura» di un’immaginaria città fantasma dell’Iran: Bad City. I due protagonisti sono la ragazza sola del titolo, di cui non sapremo mai il nome, e Arash, un giovane tuttofare con un padre eroinomane ricattato da uno spacciatore arrogante. Sarà lui la prima vittima della vampira, che si aggira la notte col capo coperto da uno chador nero mentre a casa balla da sola sulle note dei Radio Teheran. L’intero film, senza perdere la propria originalità, è intessuto di riferimenti e citazioni. Perfino nella colonna sonora che ripropone i temi dello spaghetti western: «Sono una grande ammiratrice di Sergio Leone, del suo Wild West archetipico, fatto di cittadine in mezzo al nulla, dove la legge non esiste e in molti si nascondono dai loro crimini passati». L’ambientazione indefinita, misteriosa e notturna di A Girl Walks Home Alone at Night guarda alle cittadine inquietanti di David Lynch, che a detta della regista è l’autore da cui ha appreso la libertà e l’assenza di confini del cinema: «È da quando ho cominciato ad appassionarmi al suo lavoro che ho capi- to che non ci sono regole nel fare un film, non esistono luoghi a cui è proibito accedere». Il film dal suo debutto al Sundance Film Festival nel 2014 è stato un grandissimo successo, tanto che il nuovo lavoro Amirpour - The Bad Batch - ha un cast di nomi famosi come Keanu Reeves e Jim Carrey, e dal farsi e il bianco e nero si passerà all’inglese e al colore. «Sarà un western psichedelico. molto violento e romantico allo stesso tempo». Com’è nata l’idea di girare un film di vampiri? Sono appassionata di vampiri sin da bambina: mi piacciono la loro immortalità e la loro solitudine, una cosa quest’ultima in cui mi sono sempre immedesimata. Tempo fa avevo girato un altro cortometraggio nel quale si utilizzava un chador: un giorno l’ho indossato come se fosse un costume e mi sono subito sentita come un pipistrello, una strana creatura. È così che è nata l’idea della vampira iraniana, di cui nessuno di accorge perché è nascosta dal suo chador.Sapevo già che attori chiamare e come volevo girare il film, ed il fatto che ancora nessuno mi conoscesse mi ha dato una libertà assoluta. La città iraniana del film è ricreata in California. Il mondo di un film è un posto – Anche se nell’ambiente correva voce che alcuni suoi scatti fossero manipolati con photoshop, vedere la prova che anche il celebre fotoreporter americano Steve McCurray ha ritoccato alcune sue immagini togliendo persone, oggetti, aggiustando elementi, ha fatto scoppiare una discussione che va avanti da oltre un mese su che cos’è il fotogiornalismo. Quarant’anni di reportage alle spalle e firma di punta della Magnum e del National Geographic, McCurray ha dichiarato che starà più attento, ma che ormai lui si considera un visual storyteller. A parte il fatto che non se ne può più di sentire parlare di narrazione e storytelling, come se chiamarlo linguaggio fosse antiquato, il punto che solleva la vicenda McCurray è proprio sulla differenza fra fotoreporter e raccontatore per immagini. Gianmarco Maraviglia, fotografo e pagina 17 dell’immaginazione. Non ho nessun interesse per la geografia reale, riproduco piuttosto la realtà che c’è nella mia fantasia, una dimensione emotiva. Come nei sogni, che sono strani e folli, ma a chi li fa sembrano normali: un sogno dev’essere fedele solo alla realtà del sognatore. L’ambientazione di A Girl Walks Home Alone at Night è composta da tutte le cose che mi rendono ciò che sono: l’Iran, gli Stati Uniti, la California, il western e anche i film di John Hughes. Il film è quasi muto. Sono sorda al 30% per cui mi appassiona molto l’aspetto visivo del cinema: per me il silenzio è come un suono. Per questo mi piace che il dialogo sia minimo, rispecchiando la forma di espressione che mi è più congeniale. Spesso le troppe parole rimpiccioliscono grandi significati. Sa se «A Girl Walks Home Alone at Night» è circolato in qualche modo in Iran? Ovviamente non ha avuto una distribuzione ufficiale ma ho saputo che in molti sono riusciti a vederlo. Ho ricevuto riscontri positivi dalle persone più aperte, ma so anche che delle recensioni ufficiali mi hanno definita una sorta di demonio. É una cosa che mi fa sorridere: il mio è solo un film. HOLLYWOOD CALCIO · Il club meneghino ufficialmente cinese Day Lewis e Anderson, di nuovo insieme L’Inter si «risveglia» sotto la Grande Muraglia Daniel Day Lewis, assente dal grande schermo dal 2012 («Lincoln» di Spielberg) starebbe per riunirsi con il regista Paul Thomas Anderson, con il quale aveva già lavorato sul set del «Petroliere» nel 2007, performance per la quale Lewis si aggiudicò un premio Oscar. Il film che non ha ancora un titolo - è ambientato nella New York degli anni ’50 e girerebbe intorno al mondo della moda. Anderson ha diretto negli ultimi tempi i video dei Radiohead per il brano «Daydreaming» e Joanna Newsom in «Divers» e il documentario «Junun», dove ha collaborato con il chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood a il compositore Shye Ben Tzur. RADIO3, FESTA A FORLI Dal 10 al 12 giugno, Radio3 si trasferisce in Romagna per la seconda edizione di «Arte, Cultura, Lavoro», la festa di Radio3 a Forlì. Tre giorni di dibattiti, spettacoli teatrali e concerti in piazza, le voci e i suoni delle trasmissioni, per riflettere sul tema del lavoro raccontato attraverso più linguaggi. Tra gli ospiti di quest'anno, il disegnatore Sergio Staino con l'attore comico e conduttore Dario Vergassola, il matematico e saggista Piergiorgio Odifreddi, l’attrice Laura Curino, gli autori Paolo Nori, Simona Vinci, Ermanno Cavazzoni e Cristiano Cavina, l'attore Vinicio Marchioni, la scienziata già Ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza, i musicisti Petra Magoni e Ferruccio Spinetti e, nelle vesti di scrittore, il cantautore Roberto Vecchioni. LA CONFERENZA STAMPA DEL PASSAGGIO PROPRIETARIO DELL’INTER/FOTO LA PRESSE Nicola Sellitti D alla Cina a Milano, sponda nerazzurra, in poche ore. L’Inter che cambia proprietà e passa ufficialmente in mani cinesi, alla Suning Commerce Group, totem della Grande Muraglia dell’elettronica (16,2 miliardi di dollari, il valore complessivo) è un segnale da cogliere sui movimenti magmatici che stanno provando, con molte resistenze, a cambiare, ridefinire le leggi del calcio italiano. All’estero le proprietà cinesi, orientali, oppure degli sceicchi con le riserve di petroldollari esistono da tempo, in Inghilterra soprattutto, nel Paris Saint Germain, Monaco. E si diceva, si leggeva che il prodotto italiano non attirava, poco competitivo per una serie di riforme mai portate a compimento, con ritardi nelle infrastrutture, senza stadi di proprietà per i club. Invece, in tre anni, oltre all’Inter ceduta da Erick Thohir quasi in un battito di ciglia, c’è la Roma americana con James Pallotta, il Bologna sempre stelle e strisce del ricchissimo imprenditore Joey Saputo. Nelle serie minori patron di lingua diversa anche a Bari, in precedenza a Venezia, con i russi. E c’è la questione aperta del Milan, che da mesi sarebbe sul punto di cambiare proprietà. Prima il fantomatico Mister Bee, divenuto ormai macchietta da avanspettacolo italiano, ora pare attraverso una trattativa concreta, con Berlusconi che balla tra sentimenti e portafogli, volontà di gestire il passaggio di consegne e la necessità di allontanarsi dai debiti del club. In sostanza, il calcio italiano ora davvero, con i suoi pro e contro, si apre alla globalizzazione, ai capitali stranieri per recuperare un posto di prestigio nel panorama europeo. Il prossimo passo sarà osservare la crescita di questi club dal punto di vista commerciale, con le strategie di marketing che hanno portato club di Premier League a fatturati a varie ci- Habemus Corpus Il più vero del vero fondatore dell’agenzia Eco Photojournalism che ha contribuito a scatenare il caso McCurray postando su FB uno scatto prima e dopo la cura, dice: «Le regole che il fotogiornalismo si è dato sono chiare. Lavorare sulle luci è ammesso, e già lì ci sarebbe molto da dire perché una foto può cambiare completamente se aumento il contrasto. Quello che assolutamente è proibito è togliere, aggiungere, aggiustare e infatti in molti concorsi chiedono l’elaborazione dell’immagine in raw, cioè grezza e non modificabile. Io sono un purista. I fotoreporter che lavorano con noi mai ricorrerebbero a photoshop. Che messaggio diamo ai lettori se anche un famoso fotoreporter lo usa?» Mariangela Mianiti Eccolo il punto. Che cosa significa oggi ritrarre fatti, eventi, persone? Posto che la verità assoluta non esiste perché dipende sempre dal punto di vista di chi scatta e dalla percezione di chi guarda la foto, ci sono foto credibili e non credibili, che svelano o che mostrano, che colgono l’attimo o sono costruite. Secondo Uliano Lucas, questa differenza non dipende solo dalle nuove tecnologie, ma dallo scopo che perseguono. Dice Lucas: «Il grande cambiamento è avvenuto passando dalla fotografia all’immagine, due cose completamente diverse. Finché la foto è stata un prodotto legato all’uso di macchine, rullini, flash, il nostro mestiere di fotorepor- ter era legato alla capacità di inventare una foto. Con la rivoluzione digitale, che rende tutto possibile, quel rapporto di sapere è finito e si è passati all’immagine. Per fare una foto io devo andare su un posto, studiarlo, costruire un rapporto di fiducia con le persone e se funziona le persone si donano. È un principio di etica. Nella foto la gente può solo donarsi. Se rompi questa etica non sei più un fotografo, ma un avventuriero che rende la foto una merce. Da 10 anni ormai la moda sui periodici illustrati è copiare il Caravaggio. Si ama un realismo caravaggesco possibile grazie alla post produzione che modifica una foto in senso estetico. Il massimo esponente di questa tendenza è Sal- fre in Asia, Australia. E non è un passaggio agevole. Certo, con la vendita dell’Inter a Suning c’è spazio, anzi ci deve essere spazio per un attimo di romanticismo, il rammarico per l’uscita di scena di Massimo Moratti, 21 anni di regno, 16 trofei in altrettanti anni di presidenza, un ciclo di vittorie, gli scudetti in fila con Roberto Mancini nel post Calciopoli, sei anni fa e anche tante sconfitte. E forse il pentimento di essersi affidato a Thohir, poco dopo la cessione all’indonesiano aveva inteso che non ci sarebbe stato grande futuro per l’Inter. Lui, padre putativo di grandi campioni passati per la casacca nerazzurra, da Paul Ince a Ronaldo, Cristian Vieri, il Chino Recoba, la sua grande passione. Thohir invece resta, con il 31% delle quote, manterrà la carica da presidente fino alla completa acquisizione da parte di Suning anche delle sue azioni. L’indonesiano non ha mai convinto l’universo interista, le premesse per un ciclo vincente non sono state mantenute, anzi – con grande onestà intellettuale, gli va riconosciuto – per il calciomercato estivo che sta per partire aveva preventivato pubblicamente tre-quattro cessioni pesanti per recuperare fondi e mettersi in regola con i parametri del Financial Fair Play. Sino alla cessione dell’Inter, operazione che gli permetterà di guadagnare qualche euro. Lo stesso Moratti ha detto che i cinesi investiranno, che a Milano torneranno a esibirsi top player, forse anche da subito, insomma che i cinesi della Suning sono pronti a investire, non promettere. E la fine dell’era Moratti e dell’interregno made in Giakarta potrebbe essere un campanello d’allarme, un invito alla riflessione ulteriore per Silvio Berlusconi, che non ne vuole sapere di cedere il Milan, la sua creatura portata in vetta al mondo ma da qualche anno avvitata al clima da spending review deciso dalla famiglia dell’ex Cavaliere. – gado. Se non insegni alla gente a guardare, e bisognerebbe cominciare nelle scuole, questa tendenza aumenterà e solo un’élite sarà in grado di cogliere la differenza fra una foto e un’immagine». Nell’ormai procelloso mestiere di giornalista, ho visto studi di conosciuti fotografi spianare rughe, alzare zigomi e glutei, rimpolpare tette, cancellare smagliature, assottigliare corpi di attrici e attori, in una straripante complicità fra soggetto, fotografo e testata che, non sentendo più freni, corregge così tanto da sfiorare spesso il ridicolo. Se questa malìa continuerà a infettare anche il reportage, finiremo annegati nel photoshop che rende più neri i neri, più dannati i dannati, il vero più vero. Finché niente sembrerà più quello che è. [email protected] – il manifesto IN UNA PAROLA – Sindaci Alberto Leiss I CAMPANIA commenti sui risultati del primo turno delle elezioni comunali insistono ossessivamente sul significato nazionale del voto: il successo del movimento 5 stelle, le difficoltà del Pd, le difficoltà ancora maggiori del centrodestra e in particolare di Forza Italia, ecc. Il tutto riferito essenzialmente ai casi di Roma, Milano e poche altre delle città maggiori. Si può capire, ed è difficile pretendere da un sistema mediatico come quello italiano, così tradizionalmente attratto dal centro della politica istituzionale, una disanima più attenta delle diverse realtà locali. A me pare che i risultati siano molto più articolati e interessanti. In gioco è l’elezione dei sindaci, parola e funzione di cui si è un po’ perso il senso dopo il tramonto della stagione seguita, alla fine degli anni ’90, all’attuazione della nuova legge sull’elezione diretta ( con il ruolo dei Bassolino, Rutelli, Cacciari, Orlando ecc.): ne ha parlato Massimo Franco sul Corriere della sera di sabato scorso. Citando tra l’altro un paradosso: il fatto che alcuni sindaci diventerebbero parlamentari, senatori, se passasse la riforma costituzionale sui cui si voterà nel referendum in ottobre, viene spesso citato negativamente come un modo di arraffare una forma di immunità rispetto alle possibili malversazioni, piuttosto che come una occasione per realizzare quel «federalismo municipale» che molti amministratori locali e anche studiosi della materia da tempo sostengono per migliorare il funzionamento dello stato nel nostro paese. Vale la pena di ricordare che il significato della parola sindaco deriva dai termini greci syn, che vuol dire con, insieme, e dike, cioè giustizia. Il sindaco è dunque colui che agisce per la giustizia in una dimensione collettiva, e già in greco e nel tardo latino indicava il rappresentante legale di un interesse collettivo e di una comunità locale. È la stessa radice da cui derivano le parole sindacato e sindacare, verbo che allude a una attenta ricognizione dei fatti per scovare errori e crimini. Ma torniamo ai risultati. Mi colpisce la varietà, in cui denominatori comuni appaiono la voglia di cambiamento, ma anche il riconoscimento di amministrazioni efficienti, frammisti alle spinte populistiche e alla critica erga omnes astensionista. A Torino si vedrà quale delle due tendenze incarnate da Fassino ( che ha riconosciuto la gravità di una «situazione sociale» ben lontana dall’essere mitigata) e dalla Appendino alla fine prevarrà. A Cagliari la sinistra unita, da Rifondazione al Pd, nel riproporre Zedda vince al primo colpo. A Salerno l’«erede» dell’era De Luca - sostenuto da una coalizione di liste «progressiste» e civiche in cui nemmeno compare, se non mi sbaglio, il simbolo e il nome del Pd - è eletto a furor di popolo col 70 per cento. A Napoli De Magistris tiene insieme credibilità locale e contestazione «antisistema» del centro istituzionale, molto aiutato dalle debolezze, i compromessi ( se non di peggio) e le baruffe interne del Pd locale ( come ha dovuto ammettere Renzi). Più che un test sugli equilibri politici nazionali dati, direi che il voto chiede il cambiamento per tutti: i grillini devono dimostrare di saper governare, la sinistra di essere sinistra e magari di unirsi, la destra di trovare un nuovo baricentro. Parlano di questo anche le innumerevoli liste civiche nei comuni più piccoli. Alludono al trasformismo ma anche alla forza di una identità locale che, se finalmente riconosciuta e riorganizzata, potrebbe essere determinante per far funzionare uno stato in grandissimo affanno. Ripartendo dalla capacità di tenere insieme azione collettiva e giustizia (legale e sociale). Vale a dire la politica? – Inizia oggi in Polonia la Anakonda 16, «la più grande esercitazione alleata di quest’anno»: vi partecipano oltre 25 mila uomini di 19 paesi Nato (Usa, Germania, Gran Bretagna, Turchia e altri) e di 6 partner: Georgia, Ucraina e Kosovo (riconosciuto come stato), di fatto già nella Nato sotto comando Usa; Macedonia, che non è ancora nella Nato solo per l’opposizione della Grecia sulla questione del nome (lo stesso di una sua provincia, che la Macedonia potrebbe rivendicare); Svezia e Finlandia, che si stanno avvicinando sempre più alla Nato (hanno partecipato in maggio alla riunione dei ministri degli esteri dell’Alleanza). Formalmente l’esercitazione è a guida polacca (da qui la «k» nel nome), per soddisfare l’orgoglio nazionale di Varsavia. In realtà è al co- MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 COMMUNITY Martedì 7 giugno JACK HIRSCHMAN Incontro organizza un incontro-reading con Agneta Falk e Jack Hirschman, due grandi protagonisti del circuito poetico internazionale e nel caso di Hirschman di una vera leggenda della controcultura e dell'impegno negli Stati uniti. Il reading sarà diviso in due parti nella prima i due poeti leggeranno i loro versi presentando alcune novità e individuando alcuni percorsi inediti e inaspettati del loro lavoro. Le traduzioni delle poesie di Hirschman e della Falk sono di Raffaella Marzano. Nella seconda parte della serata, prendendo spunto dal quarantennale della scomparsa di Alfonso Gatto, Jack Hirschman leggerà sue traduzioni del poeta salernitano (il volume «Magma» da lui tradotto è la prima pubblicazione di Gatto negli Stati uniti). Casa della poesia ha promosso la traduzione e la pubblicazione all'estero di Alfonso Gatto (inglese, francese, greco, spagnolo). Casa della poesia, via Convento 21/a, Baronissi (Sa) LAZIO Martedì 7 giugno, ore 18 ATTO DI DOLORE Emanuela Orlandi. È davvero impossibile sapere che cosa le capitò? A questa e ad altre domande risponde il libro di Tommaso Nelli «Atto di dolore (David and Matthaus)» che, con testimonianze inedite e documenti esclusivi evidenzia errori, omertà e depistaggi per dimostrare come la verità sia un traguardo raggiungibile. Intervengono Pietro Orlandi e Giovanni Fabiano. La Feltrinelli, Galleria Sordi, p.zza G. Colonna, Roma LOMBARDIA Mercoledì 8 giugno, ore 19 WINDOW ON GAZA Viene inaugurata mercoledì prossimo la mostra di pittura di pittori di Gaza: dieci giorni di fratellanza e solidarietà tra Milano e la Palestina. Casa Dei Diritti - Comune, via De Amicis, 10, Milano Giovedì 9 giugno, ore 18.30 POESIE Presentazione del libro di poesie: «Gli anni, i luoghi, i pensieri. (Poesie 2010 - 2013)» di Giorgio Mannacio. L’incontro con l’autore sarà condotto da Ezio Partesana, filosofo, traduttore e scrittore di testi poetici e teatrali. Interverrà Alberto Panaro, scrittore. Letture a cura di Carlo Porta. Libreria Linea d’Ombra, via San Calocero 29, Milano PIEMONTE Martedì 7 giugno, ore 17 LA VITA AL ROVESCIO Appuntamento con l’ultimo romanzo di Simona Baldelli: «Anno 1735: la storia vera di Caterina Vizzani che sfugge al suo destino fingendosi uomo e innamorandosi di una donna». Dialoga con l’Autrice Paola Guazzo, letture e sonorità a cura dell’AltraMartedì e Centro Documentazione Maurice GLBTQ. Maurice GLBTQ, via Stampatori, 10, Torino SARDEGNA Martedì 7 giugno, ore 20.45 GROVIGLI Prosegue la rassegna cinematografica «Grovigli. Relazioni al cinema», si proietta e si discute il film di Gary Sinise «Uomini e topi». Circolo del cinema FICC LaboratorioVentotto, via Montesanto 28, Cagliari Tutti gli appuntamenti: [email protected] le lettere pagina 18 Garanzie sulla Prandina Intorno a noi l’Europa è in guerra. Confini invalicabili definiscono la fortezza dei diritti tra chi è dentro e chi deve rimanere fuori. Nel Mediterraneo, solo negli ultimi giorni, 700 persone hanno perso la vita nei naufragi. Da Calais a Idomeni, le forze dell’ordine sgomberano ferocemente migliaia di uomini, donne e bambini. Ogni giorno, nelle nostre città, nuove e differenti forme di esclusione, violenza, discriminazione, disegnano il profilo di una brutale cittadinanza. Anche a Padova, dal luglio scorso, l’ex caserma Prandina è stata trasformata in un «hub» che ospita centinaia di richiedenti asilo. A fronte di numerosi scandali legati alla gestione della cooperativa Ecofficina, ora rimossa, delle condizioni di sovraffollamento e malnutrizione, delle condizioni di lavoro precarie e totalmente inadeguate dei lavoratori e delle lavoratrici dell’accoglienza, non sono neanche garantite le visite di garanzia all’interno delle strutture. Diventa impossibile visitare questi luoghi per monitorare le condizioni in cui vivono centinaia di richiedenti asilo, che spesso costretti sotto il ricatto della commissione che giudica le loro domande preferiscono il silenzio alla denuncia. Tutto questo, in un contesto di crescente odio xenofobo e discriminatorio, incentivato dalla giunta del sindaco leghista Bitonci. Considerando questo quadro inaccettabile chiediamo alla Prefettura il massimo sforzo per: - La chiusura degli «hub» (Prandina, Bagnoli, Cona ecc..) che non garantiscono la tutela della dignità e dei diritti dei profughi a favore di un sistema di accoglienza fuori dalle logiche dell'emergenzialità. -Una gestione dell’accoglienza più chiara e trasparente per evitare che sia lasciata in mano a giganti delle cooperative (vedi Ecofficina). - Il rispetto dei diritti dei lavoratori: in particolare sorveglianza sull’inammissibile utilizzo dei voucher come forma normale per regolare i rapporti di lavoro nel settore. Provvedimenti atti a ga- INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU: www.ilmanifesto.info [email protected] Caro Angelo, chi ti ha conosciuto sa cos’è l’amicizia, la dolcezza ed il coraggio. Le esequie di Angelo Fugaro si terranno oggi, martedì 7 alle ore 11 nella cappella dell'Ospedale Regina Margherita in Trastevere I compagni e le compagne dell’Alitalia e gli amici di barca Sinistra peggio del Pd centro-sinistra e capace di muoversi meglio di noi. Forse non abbiamo tutte le soluzioni in tasca e ci vuole un po' più di umiltà (vero Andrea Ranieri?) nel costruire un nuovo soggetto di sinistra (ma nuovo davvero!) capace di contendere al Pd la leadership dell'area progressista. Forse bisogna trovare la pazienza di lavorare sul medio-lungo periodo a prescindere dal calendario elettorale, mettendo in campo quella sorta di dovere di «praticare i diritti» dal basso perorato a suo tempo da un socialista non statalista come Vittorio Foa. Roberto Cerchio None (TO) nel 2011, era stata del 67,4%. (...) Per chi crede nella democrazia reale, nella quale la partecipazione è fondamentale per integrare la delega e la rappresentanza, il calo della partecipazione al voto è il sintomo di una malattia grave della democrazia. Che può preludere a vere e proprie involuzioni autoritarie. In ogni caso, anche a prescindere da queste valutazioni di filosofia politica, sarà difficile per qualsiasi sindaco governare avendo contro (o non godendo certo della sua simpatia) il 75 80% dell’elettorato potenziale del suo Comune. Giovanni Lamagna Il problema del non voto Renzi non voleva caricare di significato politico le amministrative, come se fosse possibile. Lo fece invece con le europee, come se l’Europa fosse più vicina del proprio comune. Addirittura nella conferenza-stampa si è Il primo dato che emerge dal primo turno delle amministrative è quello di una ulteriore flessione della partecipazione dei votanti, che si è fermata al 62,1%, mentre cinque anni fa, Facile, il governo ha perso Nelle spire dell’Anaconda Manlio Dinucci to di forze multinazionali aerotrasportate» e altre anche nell’area baltica a ridosso del territorio russo. Alla vigilia dell’Anakonda 16, Varsavia ha annunciato che nel 2017 espanderà le forze armate polacche da 100 a 150 mila uomini, costituendo una forza paramilitare di 35 mila uomini denominata «forza di difesa territoriale». Distribuita in tutte le province a cominciare da quelle orientali, essa avrà il compito di «impedire alla Russia di impadronirsi del territorio polacco, come ha fatto in Ucraina». I membri Primi firmatari: Guido Viale (scrittore) Massimo Carlotto (scrittore) Moni Ovadia (scrittore) Giuseppe Mosconi (docente) Gianni Tamino (biologo marino) Devi Sacchetto (docente) Umberto Curi (docente) Roberto Marinello (consigliere comunale) Andrea Segre (regista) Adone Brandalise (docente) Sandro Chignola (docente) Omid Firouzi Tabar (ricercatore) non strutturato. Adesioni: [email protected] «Tremate, tremate. L’ARTE DELLA GUERRA mando dello U.S. Army Europe che, con un’«area di responsabilità» comprendente 51 paesi (compresa l’intera Russia), ha la missione ufficiale di «promuovere gli interessi strategici americani in Europa ed Eurasia». Ogni anno effettua oltre 1000 operazioni militari in oltre 40 paesi dell’area. Lo U.S. Army Europe partecipa all’esercitazione con 18 sue unità, tra cui la 173a Brigata aerotrasportata di Vicenza. L’Anakonda 16, che si svolge fino al 17 giugno, è chiaramente diretta contro la Russia. Essa prevede «missioni di assal- rantire il più possibile la continuità lavorativa in caso di variazione dell’appalto nella gestione delle strutture. Infine, chiediamo con urgenza alla Prefettura la possibilità di avere accesso regolare, accompagnati da figure istituzionali, alla Prandina fino al momento della sua dismissione, e, attraverso «visite di garanzia», di poter monitorare le condizioni di vivibilità e igienico-sanitarie e il rispetto dei diritti e della dignità dei migranti. dichiarato vincitore, dicendo che i numeri sono dalla sua parte, ma la voce era incrinata, ormai debole. (...) Il governo oggi è minoritario, sfatto dalle sue tante contraddizioni: un riformismo vuoto, che non incide sulla vita della gente e il suo essere spurio (Verdini). La ricreazione è finita, go home. Francesco Greco Ciao Angelo Cari amici de «il manifesto» direi che è andata maluccio al Pd di Renzi ma malissimo alle formazioni alla sua sinistra. Roma 4.5%, Milano 3.5%, Torino 3.7%. La sinistra «alternativa» ha ancora una volta partorito un topolino. A parte la Napoli ad immagine e somiglianza di De Magistris e la Cagliari del bravo Zedda (la cui lista però è di centro-sinistra), solo a Bologna si supera il 5%. Forse non è stata una gran pensata sostituire l'anti-berlusconismo con l'anti-renzismo. Forse l'inaffidabilità che promana dai soliti litigi pre-elettorali (vedi Milano e Roma) e da quella gestione sprovveduta che ha rischiato di far saltare la partecipazione di Fassina alla competizione romana non aiutano. Forse muoversi e stringere solo in funzione degli appuntamenti elettorali non scalda il cuore delle persone di sinistra. Forse il popolo dei ben-altristi che detta la propria purissima linea via blog dovrebbe decidersi ad abbandonare il virtuale per il reale. Forse Renzi non è il demonio ma un liberale di sinistra con piena cittadinanza nel campo del Appello alla Prefettura di Padova della nuova forza, che riceveranno un salario mensile, saranno addestrati, a cominciare da settembre, da istruttori Usa e Nato sul modello adottato in Ucraina, dove essi addestrano la Guardia nazionale comprendente i battaglioni neonazisti. L’associazione paramilitare polacca Strzelec, che con oltre 10 mila uomini costituirà il nerbo della nuova forza, ha già iniziato l’addestramento partecipando all’Anakonda 16. La costituzione della forza paramilitare, che sul piano interno fornisce al presidente Andrzej Duda un nuo- vo strumento per reprimere l’opposizione, rientra nel potenziamento militare della Polonia, con un costo previsto di 34 miliardi di dollari entro il 2022, incoraggiato da Usa e Nato in funzione anti-russa. Sono già iniziati i lavori per installare in Polonia una batteria missilistica terrestre del sistema statunitense Aegis, analoga a quella già in funzione in Romania, che può lanciare sia missili intercettori che missili da attacco nucleare. In attesa del summit Nato di Varsavia (8-9 luglio), che ufficializzerà l’escalation an- Le streghe son tornate!». Fu uno slogan storico del movimento femminista negli anni ‘70. Le donne rompevano un silenzio antico, prendevano la parola in cortei gioiosi e colorati. Ora che cosa resta di quelle mani allacciate, di quelle risate, della gioia di emanciparsi e di uscire la sera in gruppo o anche da sole? Le giovani donne di allora non potevano prevedere che la parola d’ordine inneggiante alle streghe, simbolo di trasgressione e di eresia, diventasse lugubre realtà sul corpo di una ventiduenne romana, vittima di un ennesimo femminicidio. Sara, amante della vita e della danza, è stata immolata in un «fuoco purificatore», colpevole secondo il suo ex compagno, di avere scelto la libertà di esistere. Il fuoco, metafora della vita e della morte, ha annientato una studentessa innocente. Pensieri malsani e pulsioni malvagie hanno guidato un uomo, incapace di accettare l’abbandono. Ma forse l’analisi dovrebbe essere più complessa e contemporaneamente più difficile da capire. Per Sara bisogna continuare a esporre un drappo rosso, segno di protesta collettiva contro le morti di donne incolpevoli. Maria Teresa Gavazza – ti-Russia, il Pentagono si prepara a dislocare in Europa una brigata da combattimento di 5 mila uomini che roterà tra Polonia e paesi baltici. Si intensificano allo stesso tempo le esercitazioni Usa/Nato dirette contro la Russia: il 5 giugno, due giorni prima dell’Anakonda 16, è iniziata nel Mar Baltico la Baltops 16, con 6100 militari, 45 navi e 60 aerei da guerra di 17 paesi (Italia compresa) sotto comando Usa. Vi partecipano anche bombardieri strategici Usa B-52. A circa 100 miglia dal territorio russo di Kaliningrad. Una ulteriore escalation della strategia della tensione, che spinge l’Europa a un confronto non meno pericoloso di quello della guerra fredda. Sotto la cappa del silenzio politico-mediatico delle «grandi democrazie» occidentali. il manifesto MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 COMMUNITY L’economia Usa rallenta e chiama in causa l’Ue Luigi Pandolfi T ra i temi economici che maggiormente fanno discutere in questo momento, il rallentamento dell’economia Usa è quello che, per ovvie ragioni, merita un supplemento di attenzione. Che succede da quelle parti? Molto sinteticamente: dopo un quinquennio segnato dal recupero delle posizioni perse per effetto della crisi dei subprime, la seconda economia del mondo torna a segnalare qualche acciacco. Due gli indicatori sotto i riflettori: la crescita del Pil nel primo trimestre al di sotto delle aspettative e una deludente performance del mercato del lavoro nei primi cinque mesi dell’anno. A far data da gennaio, sono stati creati meno posti di lavoro del previsto (38 mila contro una stima di 160 mila), ma il tasso di disoccupazione, a sorpresa, è sceso al 4,7%, il più basso dal novembre 2007. Un dato, quest’ultimo, che fa il paio però, in termini congiunturali, con la discesa, parallela, del tasso di partecipazione alla forza lavoro, ovvero con la rinuncia di alcuni segmenti della popolazione a cercare un lavoro. Nondimeno, se assumiamo la crisi del 2007-2008 come spartiacque, e facciamo un confronto con quello che è accaduto in Europa nello stesso periodo, questi numeri rivelano un quadro molto distante da alcune rappresentazioni del momento. Nel 2009 il tasso di disoccupazione in Europa era al 9,8%, mentre in America si attestava al 9,5%. In entrambi i casi, allora, si parlava di percentuali da record. In quell’anno, l’Italia se la passava Washington punta sul Ttip, ma un eventuale flop sarebbe da imputare agli sviluppi della guerra commerciale che si combatte su scala mondiale, più che alle politiche sulla salute dei cittadini europei relativamente "meglio", con una percentuale al di sotto della media europea, il 7,4%. Poi la crisi ha fatto il suo corso, ed anche le diverse politiche di risposta alla crisi. E così, mentre negli Stati uniti il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 5%, nell’eurozona si attesta al 10,3% (dato di aprile) e in Italia all’11,7% (quella giovanile vicina al 37%). Come si spiegano questi dati? Semplice: in Europa si è scelto di fronteggiare la crisi con politiche di austerità, in America con stimoli pubblici all’economia, la scelta più ovvia quando il ciclo economico è negativo. Si ricorderà che proprio nel 2009 fu varato dall’amministrazione Obama il pacchetto ARRA (Recovery and Reinvestment Act), una manovra da quasi mille miliardi di dollari per creare immediatamente nuova occupazione, potenziare la rete di protezione sociale per i soggetti più colpiti dalla crisi, rilanciare l’economia attraverso investimenti diretti in infrastrutture, istruzione, sanità, energie rinnovabili. Tale operazione, coniugata con quella di Quantitative Easing (QE), ha consentito agli Usa di riportare la disoccupazione ai livelli pre-crisi. Ma torniamo all’oggi. Perché l’economia Usa frena? C’entrano sicuramente il rallentamento dell’economia cinese e il crollo del prezzo del petrolio, con tutte le conseguenze che lo stesso sta avendo sul settore dello shale gas & oil. Ma c’entrano soprattutto gli attuali equilibri (o squilibri) nel mercato mondiale. Se da un lato, infatti, gli Usa continuano a far registrare un incremento apprezzabile dei consumi sul piano interno (ad aprile si è avuta la crescita più sostanziosa da sei anni a questa parte), lo stesso non si può dire per la domanda estera, che continua a rivelarsi debole, inadeguata. Nessuna novità, per carità: la bilancia commerciale americana è in rosso dal lontano 1977! È che oggi, nell’analisi dei rapporti di forza nel mercato globale, non si può più eludere il tema del mancato contributo alla domanda aggregata mondiale fornito dai paesi che guidano la classifica dei surplus di parte corrente, a cominciare dalla Germania, che lo scorso anno ha toccato il picco dell’8,5% del Prodotto interno lordo, in barba alle soglie (6% del Pil) fissate dalle regole europee. Un grande tema, che spiega, ad esempio, l’interesse degli Usa per il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (Ttip) e, di converso, la crescente freddezza di alcuni paesi europei per esso. Forse che i governi di Berlino e Parigi si sono improvvisamente resi conto dei rischi per l’ambiente, per i diritti dei consumatori e dei lavoratori, derivanti dalla firma del Ttip? Certo, le campagne di informazione e le grandi manifestazioni di piazza degli ultimi mesi hanno influito molto sull’orientamento dell’opinione pubblica di questi paesi, ma è negli sviluppi della guerra commerciale che si combatte su scala mondiale che bisognerà trovare la risposta ad un eventuale (ed auspicabile) naufragio del progetto. Insomma, al di là delle dichiarazioni ufficiali, ciò che conta è che un paese come la Germania, solo l’anno scorso, ha fatto registrare un attivo commerciale con gli Usa pari a 74 miliardi di dollari. E questo per gli Usa è diventato un problema, che si somma a tutti gli altri. Un problema che potrà essere risolto in un solo modo: con i tedeschi, e gli europei, che comprano più prodotti americani. Ma perché questa evenienza si verifichi, sono necessarie due condizioni: che in Europa si allenti la morsa dell’austerità e, per l’appunto, si abbattano le barriere commerciali che attualmente limitano lo scambio di prodotti e servizi tra le due sponde dell’Atlantico. Ora, che la Germania debba frenare la sua corsa mercantilista, nel rispetto, in primo luogo, del patto che ha sottoscritto con gli altri partner europei, è un dato ineludibile. Che un maggiore equilibrio negli scambi commerciali su scala globale si realizzi a scapito della salute dei cittadini, dei diritti dei lavoratori e della democrazia, è, nondimeno, un altro paio di maniche. il manifesto DIR. RESPONSABILE Norma Rangeri CONDIRETTORE Tommaso Di Francesco DESK Matteo Bartocci, Marco Boccitto, Micaela Bongi, Massimo Giannetti, Giulia Sbarigia CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Benedetto Vecchi (presidente), Matteo Bartocci, Norma Rangeri, Silvana Silvestri il nuovo manifesto società coop editrice REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, 00153 Roma via A. Bargoni 8 FAX 06 68719573, TEL. 06 687191 E-MAIL REDAZIONE [email protected] E-MAIL AMMINISTRAZIONE [email protected] SITO WEB: www.ilmanifesto.info iscritto al n.13812 del registro stampa del tribunale di Roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di Roma n.13812 ilmanifesto fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 07-08-1990 n.250 Pubblicazione a stampa: ISSN 0025-2158 Pubblicazione online: ISSN 2465-0870 ABBONAMENTI POSTALI PER L’ITALIA annuo 320e semestrale 165e versamento con bonifico bancario pagina 19 PENA, FORMAZIONE, COSCIENZA Le tante voci dalla galera al centro della città Alberto Giasanti «V endere San Vittore, Regitrova nelle città di tutti i paesi dove na Coeli e Poggioreale in poveri, bambini di strada e persocambio di penitenziari ne marginali devono essere nasconuovi»; «Il piano carceri: via dai sti agli occhi del mondo in nome centri storici. Le nuove prigioni sodel decoro. Così la società, pur eslo in periferia»; «Carceri, è polemisendoci totalmente immersa, nega ca. L’operazione vendita non conla violenza e cerca di allontanarla vince tutti». Sono i titoli di la Repubda sé, nascondendo la propria parblica del 27 e 28 maggio 2016, mente negativa nell’idea di esorcizzartre il dibattito-convegno tra funziola, ma questa, se non accolta e riconari e operatori della giustizia insienosciuta, ritorna più potente che me a magistrati, avvocati e docenti mai e prende il sopravvento. Si deuniversitari riguardo ai «cambiave allora guardare al carcere come menti nell’area penale per le profesal luogo dove, in certe circostanze sioni sociali», tenutosi il 27 maggio e attraverso dolorose esperienze, fapresso l’Università di Milano-Bicocre i conti con la propria ombra ca, pone l’accento sulle misure alapre la strada per addentrarsi nei ternative al carcere come antidoto sotterranei dell’anima o del nostro alla recidiva e sui rapporti sempre lupo interiore verso un ulteriore più stretti che il carcere deve avere percorso, lungo e faticoso, di conocon il territorio. Al tempo stesso scenza di sé che porta al riconoscil’iniziativa del Ministro della Giumento dei nostri demoni ed alla ristizia di dare avvio, nel maggio del composizione ad unità delle nostre 2015, agli «Stati Generali dell’eseparti scisse in un gioco di luci e omcuzione penale» ha portato alla cobre come anche in un andare e vestituzione di 18 tavoli tematici a nire tra dentro la galera e fuori nelcui hanno partecipato operatori, la comunità. studiosi e volontari Per dare parola aldel settore come an- Spostare le carceri le tante voci della gache detenuti, per la lera, attraverso le in periferia? No, definizione di «un quali la città può fornuovo modello di se avere l’idea che i meglio incontrare esecuzione penale e delinquenti sono in i demoni una migliore fisionorealtà persone come mia del carcere più noi, vorrei dire della che la società dignitosa per chi vi mia esperienza pluevoca e combatte riennale di docente lavora e per chi vi è ristretto». che tiene corsi uniNell’aprile di questo anno il Coversitari in carcere parlando di memitato degli esperti, che ha coordidiazione con se stessi, di maschera, nato a livello nazionale i tavoli tedi ombra e di doppio. Con la firma matici, ha presentato e discusso a dell’accordo tra l’Università degli Rebibbia il documento finale degli studi di Milano-Bicocca e il ProvveStati Generali, constatando che «il ditorato regionale dell’amministraproblema dell’esecuzione penale è zione penitenziaria per la Lombarun problema culturale, prima ancodia la formazione in carcere assura che normativo» e facendo capire me una rilevanza istituzionale che «come sia socialmente ottusa, oltredà la possibilità di sviluppare attiviché costituzionalmente inaccettabità di ricerca, culturali e didattiche le, l’idea che il carcere sia una sorta presso alcuni Istituti penitenziari di buio caveau, in cui gettare e rilombardi e presso l’ufficio di esecuchiudere monete che non hanno zione penale esterna di Milano e più corso legale nella società sana e dello stesso provveditorato. La conproduttiva». Un percorso dunque venzione è rivolta a tutto il personaattraverso il quale «la società offre le degli istituti penitenziari, alle perun’opportunità ed una speranza alsone detenute, ai docenti e agli stule persone» e dà a se stessa «un’opdenti dell’ateneo, con la possibilità portunità ed una speranza di divendi organizzare in carcere corsi, statare migliore». ge, tirocini e laboratori. Affermazioni queste di civiltà giuCosì una mattina entro in carceridica e sociale al tempo stesso, ma re con il gruppo di studenti freche sono in contraddizione con quentanti e incontriamo il gruppo quanto la stampa nazionale mette di detenuti che intendono seguire in luce, riferendosi alla vendita delle lezioni. Si lavora sul conflitto e le carceri situate nei centri storici e sulla mediazione con se stessi che soprattutto alla costruzione di nuosignifica fare i conti con il nostro vi penitenziari nelle periferie. Se la doppio, ma anche con la molteplipolitica dell’esecuzione penale va cità delle nostre identità e con le verso la prospettiva del ridimensioproiezioni delle nostre ombre. Il namento delle misure detentive e corso evidenzia come le storie dei di un allargamento di quelle «di copartecipanti si intrecciano quasi a munità» e gli operatori tutti ritengosovrapporsi le une alle altre in un no di grande utilità il lavoro di rete altalenarsi tra singoli e gruppi, tra sul territorio per la riduzione della coscienza individuale e coscienza recidiva e la progressiva inclusione collettiva, come due sguardi diffesociale delle persone detenute, elirenti che si confrontano. Alla fine minare le carceri dal centro e codel corso la valutazione degli elastruirle in periferia assume il valore borati e la presentazione degli stessimbolico di un disegno che intensi nella forma di una rappresentade, come afferma Luigi Manconi, rizione teatrale. Questo corso ha poi muovere il male, che si pensa essedato luogo alla scrittura collettiva, re dentro il carcere, nascondendodetenuti e studenti, di un libro dal lo allo sguardo dei cittadini. titolo università@carcere. Il diveniÈ comunque la risposta che si rire della coscienza: conflitto, mediazione, perdono. Ci si deve sempre ricordare che per andare oltre la sofferenza è necessario incontrarla nella sua dipresso Banca Etica intestato a “il nuovo manifesto mensione tragica e certamente il società coop editrice” via A. Bargoni 8, 00153 Roma carcere è tragedia e le storie narraIBAN: IT 30 P 05018 03200 000000153228 te nel libro ne sono una viva testiCOPIE ARRETRATE 06/39745482 [email protected] monianza. È necessario, d’altra parte, indicare una via lungo la quale i STAMPA RCS Produzioni Spa via A. Ciamarra 351/353, Roma - RCS Produzioni Milano Spa via R. Luxemburg 2, sentimenti messi a nudo e violati Pessano con Bornago (MI) trovano un luogo di mediazione CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PUBBLICITÀ poster per potersi esprimere e per potere pubblicità srl E-MAIL [email protected] dare e prendere la parola. È quindi SEDE LEGALE, DIR. GEN. via A. Bargoni 8, 00153 importante che il carcere sia una Roma tel. 06 68896911, fax 06 58179764 presenza molto visibile nella città TARIFFE DELLE INSERZIONI per potere incontrare le nostre mapubblicità commerciale: 368 e a modulo (mm44x20) pubblicità finanziaria/legale: 450e a modulo schere e quelle degli altri o, in altri finestra di prima pagina: formato mm 65 x 88, colore termini, incontrare i demoni che la 4.550 e, b/n 3.780 e posizione di rigore più 15% nostra società, contemporaneapagina intera: mm 320 x 455 mente, evoca e combatte. doppia pagina: mm 660 x 455 Si deve quindi investire non in DIFFUSIONE, CONTABILITÀ. RIVENDITE, mura o allontanando il carcere dalABBONAMENTI: reds, rete europea distribuzione e lo sguardo dei più, ma in formazioservizi, v.le Bastioni Michelangelo 5/a 00192 Roma tel. 06 39745482, fax 06 83906171 ne e lavoro come in attività ludiche per tutti, sia verso la persona detecertificato n. 8142 del 06-04-2016 nuta sia verso chi, a vario titolo, latiratura prevista 40.101 chiuso in redazione ore 22.00 vora nel carcere e nella comunità. pagina 20 il manifesto L’ULTIMA MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016 inserto Il nuovo numero del manifesto «in movimento» stavolta inforca la bicicletta, stile di vita e di pensiero. Come diceva Einstein «per non perdere l’equilibrio bisogna avanzare» Eleonora Martini S i potrebbe partire dal «Pedalo dunque sono» di Marc Augé citato da Riccardo Barlaam mentre descrive l’arte della felicità che solo chi ha mai inforcato una bicicletta e pedalato via tutti i pensieri bui sa come si coltiva. Si potrebbe partire da lì per viaggiare, avanti e indietro nel tempo e nello spazio, nel mondo delle due ruote a raggi, che non è solo World Tour. «Per non perdere l’equilibrio bisogna avanzare», diceva Albert Einstein. E allora via: stavolta il manifesto in movimento si mette sui pedali, attività prediletta della primavera, che siano salite di montagna, parchi cittadini o piste ciclabili, magari recuperate dall’enorme patrimonio abbandonato delle ex ferrovie. Nel nuovo numero di In movimento che troverete in edicola da giovedì 9 giugno (e nei giorni successivi al costo di 1 euro, entriamo con tutte e due le ruote nelle pozze primaverili, schizzando acqua su corridori incalliti, campioni e ciclisti della domenica, sullo sfondo sempre e comunque natura e vette, ma con lo sguardo libero e mobile a trecentosessanta gradi. Stile di vita e di pensiero. Focus sul Sellaronda, sinonimo di bici da strada, dove Umberto Isman ci conduce alla scoperta del percorso che si inerpica tra spettacolari vette dolomitiche e sul quale domenica 19 giugno si riverseranno migliaia di ciclisti per il Bike day. Da lì in poi si IN QUESTA scorrazza felici tra storie recenti o a PAGINA cavallo tra l’Ottocento e il NovecenFOTO DI to del secolo scorso, con Luigi MasetUMBERTO ti, l’anarchico che prima di combatISMAN tere Bava Beccaris pedalò da Milano E ALBANO a Washington finanziato dal CorrieMARCARINI re della Sera, o con le traversate alpine del ragionier cavalier Renzo Monti, ultra-cyclist ante litteram, o anche con l’intervista immaginaria alla Storia della bici, per presentare un’interessante mostra che si tiene fino al 10 luglio ad Alessandria. Non solo campioni: come il «playboy» Alessio di Basco della cui leggenda ci parla Marco Pastonesi, o il «Pedalo DUNQUE SONO» IL NOSTRO SUPPLEMENTO OUTDOOR Da giovedì 9 giugno in edicola a 1 euro Torna l’inserto «sportivo» del manifesto. Da giovedì 9 giugno il numero di giugno sarà in tutte le edicole al costo di 1 euro. Sui contenuti dice tutto o quasi Eleonora Martini nell’articolo in questa pagina. L’iniziativa sembra piacervi. I dati sono ancora provvisori ma dopo le 16mila copie del numero di febbraio al prezzo promozionale di 50 centesimi anche a marzo abbiamo superato le 13mila copie diffuse. Il 7 luglio torneremo da voi con una monografia dedicata al trekking, alla «wilderness» e alla natura in generale. (m. ba.) corridore risorto, Marcello Osler, raccontato con gli occhi dell’ex bambino che lo faceva perdere. Oggi quel bambino fa il pediatra, lo scrittore e il cantante dei Tetes de Bois: Andrea Satta che firma un bell’affresco sulla canzone in bici, mentre vanno in stampa le sue ultime due fatiche editoriali: «Officina Millegiri» e «Mamma quante storie!». Si viaggia con Albano Marcarini sul Mont Ventoux, la cui ascesa è per il Giro di Francia il mito da celebrare di nuovo il prossimo 14 luglio, in concomitanza con la festa nazionale. E con Matteo Scarabelli che racconta un anno vissuto pedalando attraverso il Marocco, l’Algeria, la Tunisia, la Libia, l’Egitto, la Si- ria e il Libano, paesi ormai sconvolti e trasformati dalle «primavere arabe» e dall’Isis. Luca Fazio, il nostro giornalista su due ruote per elezione, intervista Rota Fixa, lo scrittore, artista e costruttore di bici che «fa l’amore» col telaio, perché le sue sono opere d’arte e hanno un’anima che se non è gemella è compagna. Infine, siccome per i ciclisti i candidati sindaci non sono tutti uguali, in tempi di ballottaggi sarà utile ascoltare il vademecum del venditore di biciclette per eccellenza di Milano, raccolto da Alberto Biraghi. E, anche se di primo acchito potrebbe sembrare fuori pista, c’è una chicca preziosa per mantenere la bussola garantista e antimanettara, alle prossime elezioni: il saggio con il quale Cesare Lombroso nel 1900 descrive l’avvento del «biciclo», quel «nuovo meccanismo» sul quale si andava formando il «cicloanthropos», evoluzione contemporanea del popolano malandrino. Il quale però, prevedeva il fondatore della moderna criminologia, «nel secolo Ventesimo soffrirà meno di nervi e sarà più robusto di muscoli dell’uomo del secolo appena trascorso».