EX VOTO

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EX VOTO
CON IN MOVIMENTO + EURO 1,00
CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 2,00
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46)
art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013
ANNO XLVI . N. 135 . MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
EURO 1,50
ALLA CONFERENZA STAMPA DI IERI FOTO LAPRESSE
BOCCIATO
DALLO ZAPPING
Norma Rangeri
A
vrà anche ragione Matteo Renzi
quando, pur nel dichiararsi scontento dei risultati elettorali, invita i
giornali a considerare il fatto che il Pd su
oltre 1300 comuni al voto ne ha portati a
casa mille. Il presidente-segretario dice
che «non esiste un problema nazionale»,
semplicemente è successo che «gli elettori hanno fatto zapping, se c’è un candidato che gli piace lo votano». Però i voti oltre
che contarsi si pesano - e vedremo che
neppure i conti tornano.
Politicamente quanti di quei comuni
andati al Pd valgono la sola città di Roma?
Nella Capitale è sceso dal 26% di Marino
al 17% di oggi, doppiato dal 26% del
M5Stelle. E Napoli, che gli ha voltato le
spalle anche questa volta nonostante i miliardi promessi a Bagnoli in campagna
elettorale? Che cosa succederà nei ballottaggi a Torino (oggi sotto la Mole il
M5Stelle è diventato il primo partito) e a
Bologna (dove il Pd ha perso 40mila voti)
lo vedremo. Perché adesso questo partito
in difficoltà (che da ragione alla minoranza quando lamenta l’assenza di un vero
segretario del partito) dovrà affrontare la
nuova girandola dei ballottaggi.
Milano prima di tutti. Qui, il candidato al
quale affidare le chiavi della città lo ha scelto il presidente del consiglio. Sala come successore di Pisapia, l’esperienza arancione,
con la sua "coalizione sociale" rottamata a
vantaggio di una "coalizione manageriale".
L’astensione si è impennata, l’emorragia di
voti ha colpito il partito democratico, conseguenza di una scelta politica netta e precisa,
difficile da collocare a sinistra piuttosto che
a destra, come del resto dimostrano i profili
dei candidati gemelli Parisi-Sala sponsorizzati dai due leader nazareni.
Con la robusta pedalata di Parisi, Berlusconi ha ridimensionato Salvini nel capoluogo lombardo, inesistente e messo
all’angolo a Roma. Che fine farà il vecchio
centrodestra non è scritto. Se nella Capitale non si fosse diviso per una conta interna, non solo sarebbe andato al ballottaggio contro Virginia Raggi, ma avrebbe potuto giocarsi la riconquista del Campidoglio. E anche a Napoli al ballottaggio ci va
il candidato del Cavaliere.
CONTINUA |PAGINA 2
Ex voto
Un elettore su quattro in fuga dal Pd rispetto alle comunali del 2011. Ma le dimensioni del tracollo sono
ben peggiori se il voto di domenica è paragonato con le elezioni politiche e le europee. Una débâcle che
assesta un durissimo colpo al partito renziano. Il premier ammette: «Non sono soddisfatto» PAGINE 2/9
INTERVISTA/1 | PAGINA 2
INTERVISTA/2 | PAGINA 8
INTERVISTA/3 | PAGINA 9
Stefano Fassina: «Un risultato
insoddisfacente. Tra noi
serve un chiarimento. Sarò
consigliere a Roma e deputato»
«Sostegno al Pd non scontato»
A Bologna Federico Martelloni
porta la sinistra al 7 per cento,
decisivo per Virginio Merola
Cagliari, Massimo Zedda eletto
al primo turno: «Uniti (e onesti)
si vince. Hanno trovato in noi
quel che cercavano nel M5S»
DANIELA PREZIOSI
IRAQ/ISIS | PAGINA 13
MIGRATION COMPACT
Che i migranti
non vengano a noi
Gian Paolo Calchi Novati
I
Migliaia a nuoto
nell’Eufrate
in fuga da Falluja
I sunniti via dalla battaglia finale e dalle
vendette. Arrivano milizie sciite ed esercito
barconi e i naufragi non dovrebbero ammettere né dubbi né ritardi.
Se non è emergenza un fenomeno che sacrifica ogni giorno
decine di vite sotto gli occhi di
noi tutti, impotenti, le parole
hanno perso di senso. Il governo Renzi, temendo di fornire
troppo fieno all’opposizione
detta populista, preferisce mantenere bassi i toni.
Tutto è rimandato al Migration Compact, qualsiasi cosa esso significhi.
CONTINUA |PAGINA 11
COSTANTINO COSSU
GIOVANNI STINCO
DOCCIA SUL GOVERNO | PAG. 10
Bankitalia taglia
le stime sul Pil:
dall’1,5% all’1,1%
FRANCIA/LOI TRAVAIL | PAG. 10
Europei alle porte,
Nuit Debout attacca
PRIMARIE USA | PAGINA 12
Oggi vota la California
Porto Rico a Hillary
vicina ai 2.383 delegati
BIANI
pagina 2
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
EX VOTO
Democrack •
La minoranza Pd attacca: i ballottaggi sono un azzardo, cambiare
l’Italicum. Ma il segretario tira dritto: il premio alla lista non si tocca
Anche Renzi ha la sua «non
Ammette che «non siamo contenti», che «c’è il
voto di protesta», ma guai a chiedersi su cosa.
Ammette che l’alleanza con Verdini «non ha
funzionato». Ma nessuna indicazione nazionale
dal voto, perché «è frastagliato e disomogeneo»
ROMA
N
on dice che è andata bene, ma non si spinge fino
a dire che è andata male.
C’è un voto «di protesta» che a Roma ha pesato molto, ammette, «e
a Milano meno», ma il presidente
del consiglio non sta lì a rompersi
la testa sul perché e il cosa protesta chi protesta.
A mezzogiorno quasi in punto
Matteo Renzi si presenta ai giornalisti nella sede del Nazareno e
’ci mette la faccia’. Prima dei candidati che andranno al ballottaggio, come Sala a Milano e Giachetti a Roma, che per parlare aspettano il pomeriggio. «Non siamo
contenti. Non siamo come gli altri che indossano il sorriso di ordinanza, volevamo fare meglio soprattutto a Napoli, dove c’è il risultato peggiore del Pd», va subito al punto. E annuncia che al Pd
di Napoli, dopo il secondo disastro consecutivo alle amministrative arriverà presto un commissario (l’ennesimo). Ma nessuno si
permetta di dire che il Pd ha perso. Anzi, nessuno si cimenti a fare
un bilancio nazionale del voto delle amministrative: «Non ha un segno univoco», dice, «il risultato è
frastagliato», «a macchia di leopardo». Sarà, ma le perdite sono
diffuse su tutto il territorio nazionale. Certo, in maniera diversa.
Innanzitutto, prosegue, non ci
provino i 5 stelle: «Su 1.300 sindaci il Pd ne porta a casa quasi mille» e invece «il movimento di Grillo è andato al ballottaggio in venti
comuni sui 1.300». Sotto a chi tocca: il leader della Lega fa il gradasso per il successo di Giorgia Meloni a Roma? «Salvini esce dal voto
«stra-indebolito», «la Lega crolla,
sta sotto il 3 a Roma ed è doppiato da Berlusconi a Milano, doppiato. Forza Italia esiste ancora e
ottiene risultati positivi a Napoli,
Milano, Trieste. Ma scompare da
Cagliari a Torino, da Bologna a
Roma». Qui Renzi starà anche cercando la benevolenza dei forzisti
per il ballottaggio romano, ma ha
ragione da vendere. L’ex Cavalie-
DALLA PRIMA
Norma Rangeri
Ballottaggio
nazionale
Come si vede ora che i voti si sono trasferiti dal
chiuso delle urne alla luce del sole sono tanti i messaggi
da leggere. Sia quelli a breve che
seguiremo nelle due settimane
che ci separano dai ballottaggi,
sia con lo sguardo più lungo in riferimento a possibili elezioni politiche anticipate, a seconda di
chi vincerà sul campo di battaglia del referendum sulla riforma
costituzionale. Sia guardando a
sinistra del Pd.
A parte l’esperienza del giovane Zedda a Cagliari, una coalizione di centrosinistra che ha avuto
il voto dei cittadini con la riconfer-
35%
LAMEDIANAZIONALEPD
nonostante i risultati delle
liste civiche. «In alcune città
siamo oltre il 40». Quello
che serve per far scattare
il premio dell’Italicum
re, che pure percorre il suo Sunset Boulevard politico, è riuscito a
non far vincere Meloni a Roma e
a piazzare i suoi candidati al ballottaggio a Milano e Napoli. Un
capolavoro.
Renzi va avanti: lo accusano di
aver sbagliato a anticipare la campagna per il sì al referendum? Qui
in effetti mastica male, è un errore di comunicazione, materia in
cui si considera il numero uno. Infatti non ci sta: «Sono partite profondamente diverse», «il referendum impatterà sull’azione del governo avendo già evidenziato le ripercussioni in caso di fallimento»
(se perde ha detto che se ne va),
anzi è convinto che «chi ha esercitato un voto di protesta al referendum non potrà che votare sì».
Poi c’è da contenere in anticipo il ringalluzzimento della minoranza dem che oggi ha l’occasione di rialzare la voce. Per esempio sulla legge elettorale. Gianni
Cuperlo su facebook già si chiede
se «alla luce di una realtà dell’offerta politica costruita su tre poli,
qualcuno si porrà la domanda
sull’ipotesi concreta che a un ballottaggio eventuale possano approdare il M5S e una destra ricompattata come a Milano». Tradotto per sommi capi: se il risultato del capoluogo lombardo si riproponesse alle politiche, l’Italicum potrebbe essere la Waterloo
del Pd. Meglio il premio alla coalizione, e meglio rifare le coalizioni
di centrosinistra. Ma Renzi non ci
ma del sindaco al primo turno, a
Torino con Airaudo, a Roma con
Fassina, a Milano con Rizzo non
è andata benissimo. E’ stato gettato un piccolo seme, ma i candidati non hanno raggiunto l’obiettivo che si erano proposti in questa
sfida comunale: non hanno allargato lo spazio politico. Evidentemente non hanno svolto un ruolo attrattivo per l’elettorato che
ha mollato il Pd. Centinaia di migliaia di voti persi dal partito democratico, come da facili profeti
avevano previsto, o sono rimasti
a casa o sono andati ai 5Stelle. E’
vero, come diceva ieri Fassina,
che Sinistra Italiana è una forza in
formazione, senza un "posizionamento nazionale chiaro", però se
lasciamo da parte il politichese,
che le liste di sinistra fossero
un’offerta alternativa al Pd era abbastanza chiaro, da Torino a Roma, da Bologna a Milano. Forse è
arrivato il momento di capire un
po’ più a fondo cosa c’è che proprio non va.
pensa: «La sinistra radicale che
per mesi ci ha spiegato come funzionava il mondo non entra in
partita né a Roma, né a Torino».
Quindi l’Italicum non si tocca:
«Confermo su tutta la linea, il premio va alla lista» e il Pd resta «il
Pd partito a vocazione maggioritaria immaginato da Veltroni».
Anzi avverte: «Il dato nazionale
del Pd, comprensivo delle liste civiche che non si presentano alle
politiche, ci porta intorno al 35
per cento e in molte realtà ben oltre il 40», attenzione al numerino,
è quello che fa scattare il premio
di maggioranza al primo turno.
Poi c’è la questione dell’alleanza
con l’Ala di Verdini, che si è rivelata un disastro a Napoli e Cosenza,
dov’era persino formalizzata. La
minoranza attacca e Renzi ammette: «Dove si è cercato di fare
alleanze non hanno funzionato
minimamente». Se ne riparlerà,
c’è da giurarci nella riunione di direzione che si terrà subito dopo i
ballottaggi.
I più duri sono a Milano e a Roma. A Milano, che è la «non vittoria» più cocente per il premier. Infatti le dedica giusto due parole:
«Sala sta al 41,9, uno dei risultati
migliori». Sicuro: ma lo sfidante
Parisi sta al 40,7. Poi c’è Roma.
«Onore al merito di Giachetti, ha
fatto un mezzo miracolo, ora vogliamo fare l’altro mezzo». d.p.
MATTEO RENZI ALLA CONFERENZA STAMPA DI IERI FOTO ANSA
Fassina/ «RISULTATO INSODDISFACENTE, ORA FRA NOI SERVE UN CHIARIMENTO»
«Farò il consigliere e il deputato
Apparentamenti no, ma voteremo»
Daniela Preziosi
ROMA
I
l risultato è «evidentemente insoddisfacente», ammette Stefano Fassina alla sala
stampa di Montecitorio, dov’è tornato a
fare le sue conferenze stampa dopo più un
mese in cui ha fatto base a Torpignattara,
dov’era il suo comitato elettorale da candidato sindaco. Parla del suo 4,47 per cento a Roma, tradotto in voti sono poco meno di 52mila. I numeri hanno la testa dura: nel 2013 Sel
in coalizione con il Pd di Ignazio Marino aveva raccolto oltre 63mila voti e guadagnato
quattro consiglieri comunali; la «Repubblica
Romana» di Sandro Medici, altro pezzo forte
della sua corsa di domenica scorsa (e Medici
infatti fra i più votati della lista Sinistra per Roma, dopo di lui) ne aveva presi oltre 26mila. A
questo giro invece la somma non fa il totale,
per dirla con Totò. L’ovvia obiezione è che si
trattava di un’altra stagione politica, un altro
mondo. La città usciva dal quinquennio di
Alemanno. Vero. Ma il calo di consensi c’è stato, e Fassina non lo nega.
Come si spiega questo risultato «insoddisfacente»?
C’è una domanda di radicale discontinuità,
una volontà di girare pagina rispetto a una
lunga stagione di governo che ha visto protagonista il centrosinistra. Noi l’avevamo capito
per tempo, per fortuna. Oggi possiamo dire
che a Roma la sinistra c’è e ha le basi per poter crescere. Di fronte all’ondata del voto grillino abbiamo messo al riparo un patrimonio
importante di uomini e donne e di cultura politica. Però alla fine il grosso di questa doman-
da è stato largamente intercettato dal Movimento 5 Stelle. E questo è successo perché il
nostro progetto autonomo non è stato abbastanza chiaro e riconoscibile.
Veramente lei nel corso di tutta la campagna elettorale ha attaccato il Pd e messo
tutte le distanze dal partito di Renzi e Giachetti. Intende dire che se il progetto non
era chiaro è colpa di chi, fra voi, la pensa diversamente e non ha chiuso il dialogo con il
Pd?
Non accuso nessuno. Il nostro progetto è incompiuto per un fatto oggettivo: perché siamo all’inizio. Poi è vero che ci sono differenza
fra noi ed è vero che in Sinistra italiana ora si
deve porre la necessità di chiarire il suo profilo autonomo.
Non darete nessuna indicazione di voto per
i ballottaggi?
La priorità che noi abbiamo assegnato alle
questioni sociali, la disuguaglianza, la precarietà del lavoro, la povertà, non le ritroviamo
in nessun altro candidato. Escludo ogni ipotesi di apparentamento, né con Giachetti né
con Raggi che del resto non è mai stato nelle
nostre prospettive. Ma certo noi per codice genetico siamo sempre convinti della necessità
di votare. Di cosa fare adesso discuteremo
mercoledì in un’assemblea aperta alla Città
dell’Altra economia.
Deciderete cosa fare con i candidati? Oppure con le forze politiche che hanno sostenuto la sua corsa?
I candidati si sono impegnati con generosità quindi è giusto farli partecipare alla scelta.
Ascolterò, e poi anche io vorrei dire la mia opinione. Detto questo io faccio parte di un partito che si riunirà (oggi, ndr) e prenderà una posizione anche su questo.
E se qualcuno dei vostri volesse invece appoggiare Giachetti al ballottaggio, e volesse dirlo pubblicamente?
Si assumerà le sue responsabilità. Se vogliamo affermare un progetto politico autonomo
dobbiamo essere coerenti. Io credo, ma questa è una posizione personale, che se noi a Roma ci fossimo schierati con il Pd oggi non saremo sotto il 5 per cento, ma sotto il 2.
A proposito Sinistra per Roma, la sua lista:
diventerà un’associazione?
Sì, l’avevo annunciato già in giorni difficili.
Diventerà un punto di riferimento stabile nella città per i comitati, per le associazioni. E
per le persone: fra noi ce ne sono molte che
non hanno una casa politica. Troveremo le
forme per raccordarla con la fase costituente
di Sinistra italiana.
Lei è il primo eletto, forse sarà l’unico della
sua lista. Si dimetterà?
No, resto in consiglio comunale, è un impegno che ho preso in campagna elettorale.
Allora si dimetterà da deputato?
No, farò l’una e l’altra cosa. Per legge non
c’è alcuna incompatibilità. E in molti l’hanno
fatto prima di me. Nell’ultima giunta c’era persino chi faceva il deputato, o il senatore, ma
anche l’assessore.
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
EX VOTO
Numeri •
pagina 3
È sparito un elettore su quattro nel confronto con le comunali del 2011.
E le cose vanno molto peggio nel paragone con le europee e le politiche
PRIMA I BALLOTTAGGI, POI IL MILAN
I risultati del primo turno elettorale nei comuni lo hanno
rinfrancato. Ma sul versante calcistico Silvio Berlusconi
non è sereno. Sulla cessione del Milan, coltiva ancora
dubbi. Quelli espressi durante il consueto pranzo del
lunedì ad Arcore con i figli, i manager delle aziende e i
dirigenti di Forza Italia, dedicato comunque soltanto in
minima parte all’andamento del negoziato con la cordata
cinese pronta a rilevare il 70% del club. I potenziali
n vittoria»
investitori contavano di arrivare a un accordo di massima
propedeutico al contratto preliminare di compravendita
entro il 15 giugno. Ma a quanto pare per prendere una
decisione Berlusconi vuole aspettare i ballottaggi del 19.
Solo il giorno dopo potrebbe arrivare una risposta. La
conclusione dell’operazione non è considerata a rischio
dalle parti, ma la decisione finale spetta proprio all’ex
Cavaliere, che ora appare molto meno convinto
dell’operazione rispetto a pochi giorni fa.
ANALISI · I voti assoluti segnano l’esatta dimensione della débâcle del partito renziano
Il grande addio ai democratici
Andrea Fabozzi
D
isastro assoluto a Napoli,
disastro relativo a Milano. In mezzo una serie di
brutte notizie, nella scala dal
dramma alla tragedia. È il risultato del partito democratico nei
sette capoluoghi di regione dove
si è votato domenica. Il risultato
per il quale Renzi ha detto «non
sono soddisfatto».
La dimensione della sconfitta
si può cogliere solo analizzando i
voti veri e non le percentuali. Il
confronto va fatto con le elezioni
comunali del 2011 (2013 per Roma). È il più corretto trattandosi
di appuntamenti elettorali omogenei, in quattro casi su sette (Trieste, Torino, Bologna e Cagliari)
con lo stesso candidato dem. Ma
in cinque anni troppo è cambiato nel panorama politico. Il Pd
della primavera 2011 era quello
guidato da poco più di un anno
da Bersani, ancora all’opposizione del governo Berlusconi. Si
può allora confrontare il risultato di domenica con le elezioni
politiche del febbraio 2013, quelle che hanno segnato il potente
ingresso sulla scena nazionale
del Movimento 5 Stelle. Anche allora, però, come nel 2011, Renzi
era soltanto il sindaco di Firenze.
Dunque si può anche tentare un
confronto con le ultime elezioni
europee, vicine nel tempo (2014)
e primo test del Pd renziano.
I confronti sono fatti naturalmente sulla base dei voti assoluti
FOTO REUTERS
nelle sette città, aggiungendo
per le comunali al risultato del
Pd quello delle liste civiche di diretta emanazione del partito (e
cioè quelle con il nome del candidato democratico nel simbolo).
Bisogna dire subito che qualsiasi città si prenda in esame e
qualsiasi elezione si confronti,
l’erosione dei voti del Pd è sempre alta, sempre in doppia cifra
percentuale. Quando diminuisce l’affluenza, come generalmente è accaduto, ma anche in
Destra/ BERLUSCONI SODDISFATTO. MA ANCHE IN FI PESA LO SGAMBETTO ROMANO
Forti ma condannati a unirsi
E non sarà una passeggiata
Andrea Colombo
C’
è una realtà parallela, quasi identica alla nostra, in cui il centrodestra
italiano stappa champagne a fiumi
avendo dimostrato di non essere affatto
morto, e di avere anzi tutte le carte in regola
per competere alle prossime elezioni politiche con robuste chances di vittoria. In quella
realtà la destra unita non solo tallona il centrosinistra di Beppe Sala a Milano ma impensierisce parecchio anche la pentastellata Virginia Raggi a Roma. Rinfrancati dal successo, i leader si scambiano sorrisoni e assicurano che la strategia vincente si ripeterà alle
elezioni politiche.
In questa realtà, invece, la destra al ballottaggio romano non c’è perché l’ex cavaliere
si è impuntato su un candidato senza chances, e così al posto dei sorrisi è tutto uno
scambio di battute taglienti. Giorgia Meloni
non la manda a dire: «Ma quale miracolo di
Giachetti. E’ Berlusconi che non ha voluto
farmi arrivare al ballottaggio per mandarci il
candidato del Pd». Più tardi manda al medesimo Silvio un messaggio tanto chiaro quanto intriso di ostilità: «Non dobbiamo stare insieme per forza». La risposta arriva secca da
Deborah Bergamini: «Forza Italia è il primo
partito del centrodestra e questo è il dato importante». E Antonio Tajani, che a Roma è
stato tra i più battaglieri nello sbarrare la
strada alla sorella d’Italia, mette subito all’incasso la prova di forza offerta silurandola: «A
Roma si è dimostrato che il centrodestra diviso non va da nessuna parte. Senza i moderati la destra non vince».
Non è precisamente il clima ideale per costruire una lista comune. Il leghista Matteo
Salvini lo sa e cerca di stemperare: «Si guarda avanti non indietro. Siamo pronti a lanciare la settimana dopo i ballottaggi una proposta aperta per tutti quelli che non vogliono morire renziani. Per Berlusconi il Nazareno non esiste più, ma per qualche uomo
azienda e qualche sopravvissuto di Forza Italia invece sì».
Forza Italia, mentre il gran capo valuta
l’opportunità di un suo personale intervento, diffonde una nota agrodolce: «Il bilancio,
pur con luci e ombre, ci vede soddisfatti. Fi
rappresenta da sola circa metà della coalizione». Ora, prosegue la nota «è il momento di
lavorara tutti insieme» per vincere i ballottaggi. Ma poi «bisognerà fare una riflessione
sugli errori commessi a Roma e Torino». Se
le prime righe rivendicano di fatto la guida
"moderata" dell’eventuale lista comune, l’ultimo passaggio suona come un’apertura al
fronte Meloni-Salvini.
Per giocarsi la partita la destra è condannata a unirsi e lo sa. Ma a renderlo tutt’altro
che facile non c’è solo la lacerazione, in realtà molto profonda, provocata dallo sgambetto di Forza Italia a Roma. Complica le cose
anche il rapporto di forze che, sul terreno nazionale, è tanto frastagliato da non permettere letture univoche. Fi stravince a Milano,
dove incassa un 20% che ha il sapore dei vecchi tempi e dove Mariastella Gelmini batte
Salvini nella gara delle preferenze, ma a Roma precipita al 4,2, sotto Sinistra italiana, a
Torino al 4,6, a Bologna al 6,2, mentre col 9
va un po’ meglio a Napoli. La Lega manca
l’obiettivo di superare Arcore, con un 8%
complessivo contro il 10% azzurro. La formazione della Meloni è molto al di sotto, ma a
Roma ha conquistato un pesante 12%.
In questo quadro che non permette a nessuno di vantare un’egemonia e che non vede nessuno in grado di ereditare lo scettro di
Berlusconi la marcia verso una lista unitaria
non sarà una passeggiata.
L’ex sovrano è contento, anche se, dopo
aver lungamente soppesato, ha rinviato a oggi una possibile esternazione: erano pronti a
mandarlo definitivamente in pensione, invece, abbattendo la sua ex ministra della Gioventù, ha dimostrato di avere ancora qualche cartuccia. Gli basta. Però quando inizieranno le danze per definire la lista unitaria,
la tempesta si scatenerà nel suo stesso partito, dove sono in molti a non aver gradito la
vittoria di Pirro contro Giorgia a Roma.
Tempi duri attendono una destra numericamente ancora forte. A meno che non si verifichi il miracolo che ora tutti iniziano a credere possibile: una nuova mazzata ai ballottaggi del 19 giugno potrebbe fiaccare ulteriormente Matteo Renzi e aprire la strada a
una sua sconfitta nel referendum di ottobre.
In quel caso, senza più l’Italicum a impedire
le coalizioni, tutto diventerebbe infinitamente più facile.
quei pochi casi in cui l’affluenza
è cresciuta. Napoli e Roma sono
sempre al fondo della classifica,
sia nel paragone disastroso con
le europee (-62% dei voti a Napoli, qualcosa come 81mila voti svaniti, e -50% a Roma, e cioè 257mila voti perduti), sia in quello non
troppo diverso con le politiche
(-55,9% a Napoli e -45,9% a Roma) sia in quello solo un po’ meno triste con le comunali del
2011 (-47,4% a Napoli e -27,3% a
Roma). Milano è invece il comune in cui il Pd ha perso meno vo-
Tracollo omogeneo
nel tempo e nelle
città. Caso Fassino:
mutazione genetica
dell’elettorato dem
ti assoluti, ma solo nel confronto
con le elezioni più vicine (-28,3%
rispetto alle europee e -11,3% rispetto alle politiche) mentre se si
guarda alle comunali del 2011,
Milano arriva terza, dopo Napoli
e Roma, nella classifica delle peggiori: -24,1% e cioè oltre 58mila
voti andati in fumo.
L’erosione di voti a Torino risulta essere tra le meno pesanti
sia nel confronto con le europee
(-35,8, è tanto ma meglio, o piuttosto meno peggio, ha fatto solo
Milano) sia in quello con le politiche (-16,4%) sia in quello con le
comunali (-16,7%). Al centro di
questa classifica dei dolori ci sono Bologna (-34,9% rispetto al
2013) e Cagliari (-44,5% di nuovo
rispetto al 2013). Ma il capoluogo sardo - l’unico dove ha retto
l’alleanza di cinque anni fa e dove il sindaco uscente Zedda ha
vinto al primo turno - è quello
che più di tutti ha limitato le perdite rispetto al 2011, lasciando
comunque per strada il 14,9%
dei voti veri. Nel complesso delle
sette città capoluogo di regione,
il Pd ha perso in cinque anni oltre 218mila voti, passando da
913.403 a 695.290: è stato in altre
parole abbandonato dal 23,4%
dei suoi vecchi elettori. Quasi
uno su quattro.
La cosa interessante di queste
classifiche ottenute confrontando i risultati di tre elezioni diverse, è che la graduatoria delle
sconfitte si conferma praticamente identica: ci sono sempre
Napoli e Roma alla testa del disastro e Milano alla coda, salvo nel
caso del confronto con le comunali dove Milano e Cagliari si
scambiano il posto: è Cagliari a
fare un po’ meglio. È un dato interessante perché dal punto di vista delle affluenze alle urne non
c’è affatto questa regolarità. Cagliari, che come abbiamo visto è
la città con Milano dove il Pd in
qualche modo perde ma non tracolla, soprattutto nel confronto
con le comunali, è tra quelle che
soffre meno per l’astensionismo
sia nel confronto con le europee
(+27%), sia con le politiche (affluenza praticamente identica)
sia con le comunali (-9%). Mentre Milano che è in effetti il capoluogo che ha un po’ contenuto il
disastro, soprattutto nel confronto con le elezioni più recenti, è invece la città dove l’affluenza è andata peggio (-5,35 di affluenza rispetto alle europee, peggio solo
Bologna; -22,7% rispetto alle politiche e -12,9 rispetto alle comunali). Il che significa che la fuga
degli elettori dal Pd renziano è
abbastanza omogenea sia nel
confronto temporale (le differenti elezioni) che spaziale (le sette
città sono ben distribuite nella
penisola) ed è anche discretamente indifferente all’affluenza
al voto.
Ma dove sono andati questi
elettori del Pd? Il Centro italiano
di studi elettorali del professor
D’Alimonte (il politologo che ha
«inventato» l’Italicum) ha proposto ieri una prima analisi dei flussi. Limitata a Torino ma comunque molto interessante. Si calcola infatti che su cento elettori di
Fassino nel 2011, solo 42 siano
tornati a votarlo, mentre 32 hanno scelto la candidata del Movimento 5 Stelle e 14 si sono astenuti. L’elemento che fa parlare il
Cise di mutazione genetica della
base elettorale del candidato Pd
(che nel complesso delle liste
che lo sostengono ha perso quasi centomila voti) è che Fassino
sembra aver ricevuto l’appoggio
della maggioranza relativa degli
elettori che cinque anni fa votarono per il centrodestra, quasi tutti
in fuga da quello schieramento.
Il 34% di loro è passato sotto le insegne del candidato Pd.
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
EX VOTO
Parisi azzera le distanze e il silenzio cala
tra i campioni della rivoluzione arancione
GIUSEPPE SALA
AL VOTO
DOMENICA
FOTO
LAPRESSE
PALAZZO MARINO · Diventato reale il disastro annunciato di una campagna elettorale fallimentare
Il peggior spareggio
della storia di Milano
Luca Fazio
C
ompagni che tacciono. Finiti gli argomenti? Va bene
Giuliano Pisapia, il grande
sconfitto di questo disastro. Ma almeno lui ha già dato per questa
città. Continua a dire che la sua
giunta è stata premiata dal voto
(?) e invita gli astenuti a tornare alle urne per un «centrosinistra unito, forte e plurale». Addio. La pensa così anche Gad Lerner, lo spin
doctor della trionfale campagna
arancione. E gli altri esponenti della sinistra che si arrogano il diritto
di rappresentare qualcuno? Solo
un filo di voce su facebook. Ragionano, fanno le valigie. L’unico costretto a dire qualcosa è Beppe Sa-
Sala costretto ora
a chiedere voti
agli astensionisti
nauseati
dal centrosinistra
la, il meno colpevole di tutti. È
contento perché ha sentito un
Matteo Renzi soddisfatto per il
41,7%. Cominciano male gli ultimi giorni per conquistare Palazzo
Marino.
I numeri aiutano a comprendere la sconfitta, che per la sinistra rimarrà tale anche qualora Mr.
Expo dovesse farcela il 19 giugno.
In caso contrario, nemmeno le dimissioni di tutto il gruppo dirigente del centrosinistra basteranno
per risarcire gli elettori che ci sono cascati. Stefano Parisi (40,8%)
ha preso 4.938 voti meno di Beppe Sala. Sono pari: impensabile
poche settimane fa. Non è un rigore sbagliato, è autogol in rovesciata. Il disfacimento della cosiddetta esperienza arancione - il nulla
alla prova del voto - e un centrodestra in disarmo tenuto in vita da
un candidato decente hanno portato alla diserzione l’elettorato milanese. Un risultato storico: più
del 45% degli aventi diritto al voto
è rimasto a casa (affluenza:
54,65%). Roma per la prima volta
nella storia ha votato più di Milano. Hanno votato 550.194 persone, nel 2011 erano 673.185: in cinque anni il ceto politico più auto
riferito e presuntuoso ha perso
per strada 122.991 voti (quasi 13
punti percentuali). E Sala ha preso 91 mila voti in meno di Pisapia.
Non si può tacere che i campioni
della "rivoluzione arancione" per
cinque anni si sono vantati di aver
fatto della "partecipazione" il loro
tratto distintivo. Meno male.
L’astensionismo, visto da sinistra,
non esprime solo il disorientamento di chi non si ritrova più in
una certa politica ma anche la determinazione di chi è intenzionato a far mancare la terra sotto i piedi al gruppo egemone di una sinistra ridotta ai minimi termini e fallimentare.
Sarà complicatissimo riconquistare quel non voto fortemente
motivato agitando lo spauracchio
dei mostri che si annidano nelle liste di Parisi. Difficile anche prevedere quanti elettori della lista Milano in Comune saranno disposti a
turarsi il naso per votare Sala dopo averlo avversato per mesi.
Quanto ai 5 Stelle, il candidato
Gianluca Corrado ha invitato ad
annullare la scheda, ma il suo elettorato - 10,4% ovvero 52.376 voti è il meno sondabile di tutti. C’è
un fatto che dovrebbe preoccupare Mr. Expo: lo scontro che si profila tra Matteo Renzi e il M5S per la
VENETO · Il «tradimento» di Tosi non scalfisce la Lega
Nella regione di Luca Zaia
un Carroccio inossidabile
Sebastiano Canetta
È
sempre Legaland: il Carroccio in versione Luca Zaia metabolizza anche
il "tradimento" di Flavio Tosi e si
conferma partito di Marca tenendo le roccaforti nel Padovano e nel Veronese. Negli 82 comuni al voto nel Veneto arranca il
Pd commissariato a livello regionale e
sempre più incerto a livello locale.
A Chioggia, l’altra sponda del Mose, resiste il sindaco uscente Giuseppe Casson:
con lui la Lega supera quota 35% e stacca
di quasi 15 punti il candidato del Movimento 5 stelle Alessandro Ferro (21,8%)
che conquista comunque il ballotaggio, e
archivia la «lista fucsia» di Marcellina Segantin - sponsorizzata dal nuovo "doge"
di Venezia Luigi Brugnaro - in grado di intercettare appena il 20,3% dei consensi. Il
Pd con Barbara Penzo resta fermo al palo
del 18,7% e certifica il disastro elettorale
dei democrat anche a sud della Laguna.
Ma è trionfo del Carroccio soprattutto
sull’asse Padova-Treviso. A Cittadella vince al primo turno Luca Pierobon (sostenuto da Lega, Forza Italia e FdI) erede di Giuseppe Pan (ora assessore in regione) e
dell’attuale sindaco di Padova Massimo
Bitonci che lo ha sostenuto con la sua lista civica. A urne chiuse Pierobon contabilizza il boom: 6.735 preferenze che valgono il 58,3% dei voti e l’elezione diretta in
municipio. A distanza siderale il candidato Pd Adamo Zambon, congelato al 21% e
superato anche dall’ex assessore leghista
Gilberto Bonetto bloccato a quota 21,4%.
Identico copione nel Trevigiano dove il
Carroccio continua a non avere rivali. A
Villorba trionfa la lista personale dell’avvo-
Negli 82 comuni
al voto arranca il Pd,
commissariato a livello
regionale e sempre più incerto
a livello locale
cato Marco Serena: 29% dei consensi nelle urne. Sommati al 21% della lista ufficiale di partito ratificano il trionfo al primo
turno nel comune alle porte di Treviso. Bene il M5S: la candidata Raffaella Andreola
supera il 18% e scippa il ruolo dell’opposizione ad Alessandro Dussin del Pd bloccato al 17%. Non c’è gara neppure a Monte-
SALA
PARISI
41,7%
40,8%
partita di Roma potrebbe spingere i pentastellati milanesi a dare
un grosso dispiacere al partito della nazione. Se Roma è quasi persa, perdere Milano per Renzi sarebbe l’inizio della fine. Meglio
mantenere un profilo basso da
queste parti. Insomma, un pronostico è impossibile e per Parisi
questa è già una mezza vittoria.
Archiviato il Pd milanese
(28,97%) - dicono che tiene ma ha
perso 30 mila voti rispetto al 2011
e 113 mila rispetto alle europee
del 2014 - per dovere di cronaca
tocca sparare sulla croce rossa/arancio. Per decenza, sorvoleremo sul fatto che molti candidati
si sono detestati amorevolmente
tra loro anche all’interno della
stessa lista, giusto per comunicare l’idea di una sincera partecipazione a un progetto. E il personale
è politico, soprattutto a sinistra.
La lista Sinistra X Milano ha preso
19.281 voti (3,83%). Disastro: è la
lista arancione di Sel, quella sponsorizzata da Pisapia - ci ha messo
la faccia sui cartelloni - quella che
avrebbe dovuto intercettare il voto di sinistra per Sala (la lista del
manager ha preso 38.674 voti dunque il 7,68%, il doppio degli adepti di San Giuliano). Sel in particolare è azzerata (9.000 voti in meno rispetto al 2011), senza contare che
il più votato della lista è un assessore del Pd (Del Corno) e il secondo è Limonta, braccio sinistro di
Pisapia. Terza Anita Pirovano con
1.482 voti, la segretaria cittadina
di un partito che non esiste più.
Non va da nessuna parte (solo
un consigliere a Palazzo Marino)
anche la lista Milano in Comune
di Basilio Rizzo: 17.635 voti
(3,5%). Con questo risultato desolante si conferma per l’ennesima
volta l’irrilevanza della sinistra sinistra senza un progetto credibile
che si ricompone alla disperata
ad ogni scadenza elettorale (Prc,
Lista Tsipras e Possibile). C’è poi
un altro dato molto locale ma significativo che dà l’idea del disastro in corso: il centrosinistra è riuscito a perdere anche la zona 9
(Municipio 9), quello spicchio
nord di Milano che alla sinistra,
dal 1945, ha sempre dato un po’
di sollievo anche nei momenti
peggiori. C’è un limite al peggio?
Il 19 lo decideranno gli astensionisti di sinistra, quelli che «basta sono stanco!, Sala e questo Pd non li
voterò mai» e gli altri che «siete
pazzi volete riconsegnare Milano
alla destra». Contraddizioni in seno a un popolo in via di estinzione.
belluna (già feudo della senatrice democratica Laura Puppato): gli elettori premiano Marzio Favero sindaco "filosofo" della
Lega confermato subito al secondo mandato con il 52% di voti. Anche qui per il Pd
è un incubo in piena regola: il giovane
candidato del partito di Renzi Davide
Quaggiotto conclude staccato di ben 30
punti percentuali.
Stesso trend in provincia di Verona: a
San Giovanni Lupatoto esito rimandato al
secondo turno, anche se sarà quasi impossibile annullare il boom di Attilio Gastaldello (appoggiato da Lega e centrodestra)
che parte da un sonoro 36,4%. Non sono
bastate le quattro liste civiche a sostegno
dell’ex sindaco del centrosinistra Remo
Taioli (15,5%) né gli sforzi di Federico Vantini (13,2), primo cittadino uscente e candidato del Pd.
Nel Padovano i democratici si consolano con il risultato di Abano Terme: il sindaco Luca Claudio (lista civica di destra)
conquista solo il 41,6% nelle urne, tallonato da Monica Lazzaretto del centrosinistra che convince il 35,6% dei votanti e
guadagna il ballottaggio. Secondo turno
anche a Este: il 19 giugno la sfida sarà tra
il vicesindaco Stefano Agujari-Stoppa
(Pd e Udc) scelto dal 32,2% e l’imprenditrice di Confindustria Roberta Gallana
(Lega, Fi e FdI) che ha già incassato il
39,3% dei consensi. Anche ad Adria (Rovigo) giochi rimandati al secondo turno:
Massimo Barbujani, sindaco uscente, insegue il terzo mandato in municipio, forte del 45% dei voti del centrodestra contro Nicola Zambon del centrosinistra che
riparte dal 23,9%.
IL RITORNO
A Benevento
il «nuovo»
si chiama Mastella
Giuliano Malatesta
P
er tornare in campo con
chance di vittoria ha rimesso
insieme la strana coppia
Udc-Forza Italia e ha addirittura
riallacciato i rapporti, dopo anni di
incomprensioni, con Ciriaco De
Mita. Ovvero l’uomo che nel lontano 1976 lo raccomandò in Rai e lo
lanciò nell’agone politico. Ma lo
ha fatto sottotraccia, presentandosi invece agli elettori come il nome
nuovo, l’uomo della provvidenza
che si sacrifica e torna in pista per
il bene della comunità e per salvare dal fallimento «la città che
ama». La sesta vita politica di Clemente Mastella, ex Guardasigilli
del Governo Prodi che lui stesso
contribuì a far cadere negandogli
nel 2008 il voto di fiducia in parlamento, riparte da Benevento, dove
il re di Ceppaloni, candidato sindaco alla guida di due liste civiche, ha
ottenuto un risultato solo in parte
sorprendente: quello di arrivare al
ballottaggio, addirittura in vantaggio, seppur di una manciata di voti
(33% V 33%), rispetto al partito democratico, dove ironia della sorte
oggi militano gran parte dei mastelliani della prima ora.
Eh sì perché in questa zona del
Sannio, dove accordi e alleanze
possono durare il tempo di uno
scrutinio, il Pd, che viene da dieci
anni di governo locale e due mandati vinti senza mai arrivare al ballottaggio, rappresenta un blocco di
potere riconoscibile, che per molti
aspetti assomiglia tanto alla vecchia Democrazia cristiana. Questa
volta però le défaillance amministrative del sindaco uscente Fausto
Pepe (originariamente uomo di
Mastella), dal pasticcio nella gestione delle mense al fallimento
dell’azienda dei trasporti, hanno
impedito come nel passato una facile vittoria al primo turno. E visto
che il Movimento 5 Stelle ha pagato un po’ di inesperienza e probabilmente anche un candidato non
del tutto convincente, fermandosi
sulla soglia del 20%, paradossalmente è toccato proprio a Mastella
(sic) intercettare parte del malcontento e del voto di protesta. Una
parte, quella del salvatore della città, che l’ex sindaco di Ceppaloni
ha interpretato alla perfezione, al
punto da paragonarsi più volte,
nel corso della campagna elettorale, alla figura di Gennaro Jovine, il
protagonista di Napoli Milionaria
di Eduardo che, tornando dalla
guerra, di fronte al disgregamento
familiare si chiede sconvolto cosa
sia successo.
Ma non è detto che questa recita
sia sufficiente per diventare sindaco. Per riuscirsi Mastella dovrà battere il vicesindaco uscente e candidato del Pd Raffaele Del Vecchio,
uomo molto vicino al sottosegretario alle Infrastrutture Umberto Del
Basso De Caro, che tutti indicano
come "il notabile" di Benevento, e
intercettare almeno parte degli ottomila voti grillini. Non proprio i
suoi migliori amici.
Giorgio Bonamassa
Giorgio non c’è più.
Restano le sue idee,
il coraggio indomabile
nel perseguirle, la forza
luminosa del suo affetto.
I funerali si terranno presso
la chiesa San Desiderio
in piazza Risorgimento 15
ad Assago
{
pagina 4
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
EX VOTO
Nella squadra potrebbero entrare l’urbanista
Berdini e il rugbista Lijoi. Il no di Montanari
pagina 5
RAGGI
GIACHETTI
35,2%
24,9%
Raggi & co. I nuovi re di Roma
Il M5S sbanca
in tutti
i Municipi,
tranne
in centro,
ai Parioli e
a San Lorenzo.
Toto-nomi per
gli assessori
Giuliano Santoro
C’
è una mappa di Roma
che circola da ieri mattina, da quando i dati reali
del voto romano hanno iniziato a
confluire e a essere elaborati.
Quella mappa racconta l’evoluzione ultima di una tendenza in corso da quasi trent’anni. È un puzzle composto dalle quindici tessere
dei municipi capitolini. Ci sono
tasselli rossi, assegnati al Pd: corrispondono ai municipi del centro
storico e di San Lorenzo e Parioli,
dove il partito di Renzi e Giachetti
è maggioranza relativa. Le due tessere sono letteralmente accerchiate da tessere gialle. Sono i municipi nei quali il Movimento ha vinto, battendo spesso il Pd e qualche volta Giorgia Meloni. Il tempo
in cui ogni nuova periferia era appannaggio delle sinistre è passato. Ma un crollo verticale di questo tipo è inedito, approfondisce
la crisi di identità del Pd romano e
disegna una composizione del voto piuttosto precisa. A partire da
Ostia, il municipio sciolto per Mafia Capitale, dove Raggi raccoglie
il 44 per cento dei voti e passando
per Tor Bella Monaca, dove la pentastellata raccoglie il 41,04. I 5 Stelle romani crescono del 10,3 per
cento rispetto alle comunali del
2013, quando raccolsero il 24,9
per cento dei voti, e praticamente
triplicano il loro bottino rispetto
alle Europee del 2014, quando si
fermarono al 12,8 per cento.
Tuttavia, c’è un ulteriore elemento che complica la faccenda.
Se coloriamo la mappa di Roma
usando le preferenze espresse per
i candidati dei municipi, il giallo
del Movimento 5 Stelle riempie
soltanto cinque tasselli su quattordici (sarebbero quindici, ma a
Ostia non si è votato causa commissariamento). Di fronte a persone conosciute nelle istituzioni di
prossimità per eccellenza, anche
il voto a un brand forte come i 5
Stelle si ridimensiona.
Le mappe giallorosse fanno brillare gli occhi della candidata supervotata, Virginia Raggi. «Non è
finita: il 19 giugno bisognerà completare ciò che abbiamo iniziato,
sarà l'occasione per riscrivere insieme, definitivamente, il futuro
della nostra città» ha detto ieri.
Dopo il successo, ha evitato ogni
appuntamento pubblico. Unico
impegno in agenda, da politico
consumato più che da outsider, il
passaggio serale davanti alle telecamere di Bruno Vespa. Se Raggi
è entrata nella parte del corridore
in fuga, Giachetti si comporta da
inseguitore, sfidando la sua avversaria a partecipare a un confronto: «Spero di potermi confrontare
con Raggi sulle idee di Roma che
abbiamo. Fino ad ora lei si è rifiutata». Domenica sera, a botta calda, Alessandro Di Battista, membro del direttorio del M5S, ha detto davanti alle telecamere che la
squadra degli assessori sarebbe
stata comunicata prima del ballottaggio. L’annuncio pare più che altro dettato dal momento di euforia e da un colpo di improntitudine, ma in effetti Raggi e il cerchio
magico romano che la coadiuva
stanno facendo delle verifiche per
individuare i nove nomi (più uno
«pro tempore» alla «riorganizzazione delle società partecipate»)
della giunta a 5 stelle. Pare sia stato proposto l’assessorato alla cultura allo storico dell’arte moderna
e saggista Tomaso Montanari,
che però avrebbe declinato l’offerta. Da qualche giorno è invece dato per certo il nome del rugbista
Andrea Lijoi, al quale andrebbe
l’assessorato allo sport. Tra le ipotesi, anche l’urbanista Paolo Berdini, avvistato più volte agli incontri
pubblici del M5S. Grande atten-
VIRGINIA RAGGI
FOTO LAPRESSE
zione sull’assessorato al bilancio,
che dovrà gestire il complesso passaggio del debito che grava sulle
casse del Comune di Roma.
Raggi ha spiegato in più occasioni che l’unico criterio sarà il merito e che «verranno analizzati i curriculum», ma una qualche forma
di spartizione è inevitabile. Ecco
perché il ritrovato rapporto con
Roberta Lombardi, che si è occupata molto di emergenza abitativa e che lo scorso 3 giugno a piazza del Popolo ha dedicato gran
parte del suo intervento a questo
tema, verrebbe celebrato con la
nomina di un dirigente al dipartimento competente. Si parla di
una figura proveniente direttamente dal mondo delle associazioni degli inquilini.
Quella di Roma è stata la prima,
significativa, affermazione del
M5S senza un ruolo preponderante di Beppe Grillo. Anche nei capannelli tra volontari e «portavoce» circola una valutazione fino a
poco tempo fa impensabile, o meglio impossibile da pronunciare a
voce alta senza passare per un dissidente: «L’assenza di Grillo ci ha
favorito, le sue parole avrebbero
spaventato il ceto medio e il voto
moderato». «Sono le prime elezioni senza Casaleggio e con Grillo che ha deciso di fare un passo
di lato, questo segna la crescita
del Movimento e noi siamo molto soddisfatti», ha detto il più ortodosso Di Battista. Ma il «passo
di lato» annunciato dal comico e
fondatore viene considerato più
una tattica di comunicazione
che un segnale di mutazione della struttura del Movimento. Soltanto fino a pochi giorni fa, non
bisogna dimenticarlo, parlavamo della sospensione di Pizzarotti decisa da Casaleggio Jr. e
del ruolo di «garante» di Grillo.
Questa presenza-assenza di Beppe Grillo è l’ennesima complessità dello strano animale che si appresta a entrare nella stanza dei
bottoni della capitale.
ASTENSIONISMO
Ha cominciato la politica a mollare il popolo
N
el suo editoriale di domenica, Ilvo Diamanti, che è
uno dei più acuti interpreti degli umori degli italiani, ha argomentato che il non voto non è
peccato. È segno di disaffezione,
consueto in tutte le democrazie
avanzate. Sennonché, come hanno mostrato i risultati del primo
turno delle amministrative, il non
voto non sarà peccato, ma può fare molto male. Se è segno di disaffezione legittimo, testimonia pur
sempre una grave condizione di
malessere dei regimi democratici.
Quello degli astensionisti è un
non voto (o una forma di voto)
che va scomposto. C’è l’astensionismo strutturale, di coloro che sono estranei alla politica. Provengono dai gruppi sociali meno attrezzati sul piano culturale e anche
economicamente e socialmente
più deboli. A tale astensionismo
strutturale si somma l’astensionismo consapevole, di chi intende
manifestare il suo dissenso verso
la politica e i suoi attori e non vota
perché ritiene di non disporre di
altri strumenti.
Negli ultimi decenni, questo tipo di astensionismo è cresciuto
esponenzialmente. Come ne è cresciuto un terzo tipo: quello di coloro che sono socialmente e economicamente in sofferenza, ma ai
quali un tempo se non altro la politica dedicava specifiche attenzio-
ni. Ovvero, che in qualche modo
coinvolgeva. Lo faceva in vario
modo, tramite le macchine di partito, ma pure tramite le pratiche
clientelari. Senza fare l’elogio di
queste ultime, erano se non altro
una tecnica di coinvolgimento.
Se sottraiamo l’astensionismo
strutturale, che negli anni Ottanta
superava alle politiche di poco il
10%, l’astensionismo «politico»,
quello intenzionale e quello frutto
dell’abbandono da parte della politica, riguarda quasi 3 elettori su
10. Si dirà che quelle di domenica
erano solo elezioni locali. Ma è
consolazione modesta e i numeri
fanno pur sempre impressione,
anche perché condizionano il risultato. Siamo certi che gli astenuti, ove avessero votato, si sarebbero equamente distribuiti tra tutti i
partiti?
L’astensionismo dunque non è
un bel segnale e fa pure danno.
Specie se lo si accoppia alla percentuale imponente raggiunta dal
voto di protesta. Il dato non è
omogeneo, ma fa pur sempre impressione che un terzo dei votanti
torinesi e di quelli romani si siano
pronunciati per il Movimento 5
stelle, cioè per un partito che ha
fatto dell’avversione contro tutti i
partiti il proprio fondamento. Neanche questo è peccato, ma oltre
metà degli italiani odiano la politica. Meglio: odiano questa politica
Alfio Mastropaolo
e odiano quanti la interpretano. E
si rivolgono all’antipolitica, che è
politica anch’essa, seppur condotta con altri mezzi e in altre forme
e che da tempo dilaga senza freni
facendosi portatrice di progetti
che è riduttivo definire modesti.
Oggi la Lega governa in due importanti regioni, dopo aver governato il paese. Ma resta ancora anti-
La scelta di non votare
risponde a motivazioni
diverse e non va
demonizzata. Però fa
male e la cura è lontana
politica. Il berlusconismo è disordinatamente in rotta, ma è stato
una forma di antipolitica. Lo stesso successo di Matteo Renzi ha
una non secondaria componente
antipolitica. A propiziare la sua
ascesa fu la promessa - antipolitica - di «rottamare» la vecchia politica, confermata con qualche gesto di rottura tra il suo insediamento a palazzo Chigi e le elezioni europee del 25 maggio 2014,
che come sappiamo lo premiarono. Cioè premiarono la sua antipolitica, di cui però gli elettori non si
contentano più.
Piero Fassino, che ha lunga e solida esperienza politica, è il solo
che ha avuto il coraggio di abbozzare un’analisi a caldo, imputando il risultato elettorale, anche per
lui non lusinghiero, alla crisi sociale. Difficile è dargli torto. Salvo
che la sua analisi s’è fermata a metà. Innanzitutto è da un quarto di
secolo che l’Italia vive un’estenuante crisi sociale e economica,
che si è solo drammaticamente aggravata in ragione della crisi finanziaria esplosa nel 2008, così come
vive una terribile crisi morale,
esplosa con Tangentopoli e non
ancora superata, Tant’è che da un
quarto di secolo il tarlo dell’antipolitica la corrode. Bisognava accorgersene prima. Così come,
adesso, sarebbe il caso di chiedersi. cosa che Fassino non fa, se per
caso il risultato elettorale non sia
pure tributario delle repliche opposte dalla politica all’una e all’altra crisi.
Sono state, diciamolo, risposte
inadeguate. Sono state inadeguate quelle alla crisi economica e sociale. È ben vero che i margini di
manovra della politica nazionale
sono stati severamente compressi
dai vincoli esterni. Non entriamo
nel merito: ma possiamo almeno
domandarci se le politiche adottate, all’insegna dell’austerità, fossero le più convenienti e senza alternative? Quant’altro dovranno pa-
gare gli italiani in riduzioni di stipendi, salari, servizi pubblici, e in
aumenti di imposte, perché la
crescita raggiunga almeno la media della crescita europea? Conviene proprio insistere con simili
politiche e disinvestire nella scuola, negli ospedali, nelle pensioni,
nella manutenzione del territorio, magari per pagarsi lussuosi sistemi d’arma?
E che non siano state del pari inadeguate le risposte più strettamente politiche? Suvvia, come negare
che, oltre a governare in maniera
deludente la politica ha preso le distanze dai cittadini? Mentre la crisi
economica li maltrattava, la politica vi ha aggiunto la sua indifferenza. Non attenuata né da qualche esibizione televisiva condita di antipolitica, né da un’improvvisata pseudo-abolizione del senato. Per contro l’indifferenza è ribadita dall’immoralità non dissimulata di una
parte non secondaria del personale
politico e dai privilegi che la classe
dei politici spudoratamente esibisce. Così come esibisce i suoi stretti
rapporti di comparaggio con i poteri che contano. Come non notare
che la politica odierna è fatta d’intrecci coi potentati economici e finanziari e di poco trasparenti circuiti che combinano affari e si spartiscono prebende, infischiandosene
in compenso dei problemi dei cittadini?
pagina 6
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
EX VOTO
De Magistris: «Abbiamo tutti contro, ma
questa città seguirà l’esempio di Barcellona»
NAPOLI · Il Nazareno pensa a Ernesto Carbone, quello del «ciaone» dopo il voto sulle trivelle
Crollo dem, e Renzi
manda il commissario
LUIGI DE MAGISTRIS A PIAZZA PLEBISCITO FOTO CIRO DE LUCA
Adriana Pollice
A
Napoli si ritrovano al ballottaggio il sindaco uscente,
Luigi de Magistris, con il
42,82% dei voti e lo sfidante di centrodestra, Gianni Lettieri, con il
24,04%. Per il Pd lo psicodramma
è cominciato a metà mattinata,
quando il segretario premier Matteo Renzi annuncia: «Il risultato
peggiore del Pd è a Napoli, città
meravigliosa ma è un baco per il
Pd. Alla prima direzione del partito dopo il ballottaggio proporrò il
tema di Napoli, è impossibile continuare a sfangarla. Proporrò una
soluzione commissariale per ripartire da zero». E sul patto di coalizione stretto in città con i verdiniani di Ala: «Laddove si è cercato di
fare alleanze, mi pare che non abbiano funzionato minimamente».
La candidata dem, Valeria Valente, si è presentata alla stampa
sotto il peso di un pessimo risultato per il partito: appena l’11,64%
quando cinque anni fa era al
16,5% e l’anno scorso alle regionali al 21%. Mario Morcone, catapultato nel 2011 da sconosciuto in
una città coperta dai rifiuti, prese
il 19%. Valente (ex assessore e parlamentare) ha totalizzato 21,14%
nonostante tre comparsate accanto a Renzi e mezzo governo arrivato a sostenerla. «Mi assumo la responsabilità, non cerco capri
Resa dei conti
nei democratici.
E Speranza prepara
l’«endorsement»
al sindaco uscente
espiatori – ha commentato - Anche rispetto alle alleanze, le abbiamo fatte tardi e non spiegate abbastanza, né al nostro elettorato né a
quello centrista». Il segretario regionale, Assunta Tartaglione, mette sul tavolo la vittoria a Salerno al
primo turno con il 70% (ma senza
simbolo Pd) e i ballottaggi raggiunti a Caserta e Benevento.
La domanda che gira è chi sarà
il commissario. Dal Nazareno è
già arrivato il parlamentare e
membro della segreteria nazionale Ernesto Carbone, quello del
«ciaone» ai votanti del referendum sulle trivelle. La speranza è
che non resti: «Ci vuole qualcuno
di peso - ripetono in molti - abbia-
mo perso pure la municipalità
Fuorigrotta–Bagnoli» (ex roccaforte dem nonché simbolo dell’intervento diretto del governo contro
l’amministrazione de Magistris).
Ma anche uno dei territori dove si
è consumato il braccio di ferro tra
Valente e i circoli locali.
Fuori dal consiglio comunale
anche Antonio Borriello, quello
dell polemiche per le monete da
un euro ai seggi delle primarie. In
attesa che si apra la resa dei conti
con l’area di Antonio Bassolino, il
segretario provinciale Venanzio
Carpentieri, finito nel mirino del
premier, spiega alla stampa: «Sono d’accordo con l’arrivo del com-
CALABRIA · Exploit della sinistra a Cassano Jonio: 18 per cento
Cosenza trincea berlusconiana
Con Ala il Pd sprofonda
Silvio Messinetti
CROTONE
B
erlusconi se la ride solo in riva al Crati.
Dove il simbolo di Forza Italia è morto
e sepolto con la benedizione del gran
capo. Sembra un paradosso ma non è. Piuttosto è l’appendice del “modello Venezia”. Nessun simbolo di partito ma solo una vincente
infornata di liste civiche, ben 14, un record
nazionale. L’archistar, Mario Occhiuto, sindaco uscente, ha preparato con cura la sua rielezione a Cosenza. Ha messo a posto, con puntiglio architettonico, le tessere del puzzle. E
ha stracciato tutti già al primo turno con il
59%. Mentre il Pd crollava al punto più basso
della sua storia: 18% al candidato, Carlo Guccione, e la lista sprofondata al 7%.
Va da sè che il Pd ne esce con le ossa rotte.
Ma chi è colpa del suo male pianga sè stesso.
Gli strateghi dem hanno prima inventato
uno scioglimento anticipato del consiglio, davanti al notaio con un cotè di verdiniani e vecchi arnesi democristiani. Poi hanno liquidato, senza troppi convenevoli, il manager Lucio Presta. Infine, ciliegina sulla torta, hanno
suggellato, proprio nella città bruzia, il matrimonio capestro con l’Ala verdiniana. Che in
termini di voti gli ha dato poco o niente (le
due liste di Verdini insieme totalizzano il 4%)
ma in termini di immagine negativa ha pesato tantissimo.
I grillini si confermano dei fantasmi: invisibili e inconsistenti, si schiantano al 2% e sono fuori da palazzo dei Bruzi. La sinistra, qui
ricompattata in un arco che va dai movimen-
A Crotone ballottaggio
tra la dem Rosanna
Barbieri e Ugo Pugliese
(Udc e civiche), divisi
da poco più di mille voti
ti sociali fino a Sel, incassa un buon 6% in favore di Valerio Formisani. La lista Cosenza in
Comune paga però il marchingegno del voto
disgiunto e si ferma sotto il 3%. Una manciata di preferenze di lista impedisce così a Formisani di entrare in consiglio malgrado i
2500 voti a sindaco. «Il voto disgiunto e una
spudorata compravendita di voti nega rappresentanza al 6% dei cosentini, alle istanze
e ai bisogni sociali. Faremo ricorso per il ri-
DE MAGISTRIS
LETTIERI
42,8%
24%
missario. Ho comunicato ai vertici nazionali di essere a disposizione. Non so cosa abbia in mente
Renzi ma ritengo che il partito abbia bisogno di un’operazione simile a quella fatta a Roma da Barca».
Lettieri intanto prepara il ballottaggio: a differenza del 2011, parte
indietro di quasi 20 punti. Mara
Carfagna, capolista di Forza Italia,
è la più votata in assoluto ma il
partito va malissimo (9,59%). Nel
2011 il Pdl prese il 23,85%, Fi alle
regionali del 2015 in città aveva il
14,18%. Così Lettieri tira dritto:
«Berlusconi non tornerà, lui si occupa del partito, io sono un candidato civico e chiedo il voto a tutti i
napoletani». In particolare al Pd.
Roberto Speranza, della minoranza dem, ieri ha fatto il suo endorsement per de Magistris, come
il consigliere regionale Gianluca
Daniele che ha chiesto un congresso straordinario.
Il sindaco arancione ha suonato la carica per il rush finale, forte
del successo delle sue liste (De Magistris sindaco 13,78%; Dema
7,58% mentre Napoli in comune
con esponenti di Sel e Rifondazione è al 5,31%): «Ci accusano di
non aver vinto al primo turno ma
avevamo contro tutti, a cominciare dal governo. Se il Pd vuole rinnovarsi a Napoli io posso essere lo
strumento. Ma non mi candido a
fare il commissario». E ancora:
«Anche il presidente del consiglio,
che nelle ultime settimane ha scoperto la bellezza di Napoli ma voleva mettere le mani sulla città,
ammette che il voto premia l’amministrazione di un comune che
non è stato governato così male».
Mano tesa ai 5Stelle per una collaborazione anche senza accordo
politico. Sul suo futuro: «Nel 2018
non ho intenzione di candidarmi
da nessuna parte. Dal 19 giugno
comincia il nostro impegno a costruire un movimento organizzato, siamo diventati un soggetto politico nazionale e internazionale.
Si deve guardare a Napoli come a
Barcellona».
Il Movimento 5Stelle vede il bicchiere mezzo pieno con il candidato a sindaco, il brianzolo Matteo Brambilla, al 9,6% come la lista. Nel 2011 Fico si fermò
all’1,4%. Ma l’anno scorso erano
al 24,8%, prima del «caso Quarto».
conteggio delle schede» ci dice Delio di Blasi,
animatore della sinistra bruzia. Partita aperta a Crotone. Al ballottaggio se la giocheranno Rosanna Barbieri (Pd) e Ugo Pugliese
(Udc e civiche). La battaglia è sul filo. Tra i
due ballano poco più di mille voti. Il Pd rischia di perdere anche la sua roccaforte storica in Calabria. Una campagna scialba, senza
mordente, in cui le questioni ambientali
(Crotone vive distesa su una bomba ecologica) e sociali (la provincia più povera d’Italia)
sono state piegate e messe nel cassetto.
Manco una parola in casa dem sull’altra
grande emergenza: la piovra della
‘ndrangheta che ammorba il tessuto socio-economico. A queste latitudini le famiglie di ‘ndrangheta (e le logge più o meno occulte) decidono tutto, fanno il bello e il cattivo tempo, tengono in ostaggio un intero territorio. Ma in campagna elettorale tutto è stato
taciuto. E questo attendismo spiega il buon
risultato dei 5 Stelle che superano il 15%, anche se la lista si ferma al 10%. Ma il vero vincitore è Enzo Sculco, ras democristiano della
provincia, ex consigliere regionale e segretario Cisl, Una fabbrica del consenso da queste
parti, con un percorso politico a zig zag. Nel
2005 grande elettore di Loiero e nel 2010
grande elettore di Scopelliti. Prima di riportare la figlia Flora, attuale consigliera regionale nell’ovile del centrosinistra in una delle
liste a sostegno di Mario Oliverio. Nonostante una condanna – per reati piuttosto
seri – passata in giudicato a suo carico, condanna che ne ha causato anche la revoca
del vitalizio, Sculco è ancora una potenza.
Il suo candidato va al ballottaggio con il
27%, un record per i centristi che nel resto
d’Italia sono alla canna del gas. E la sinistra
a Crotone? Non pervenuta.
Va decisamente meglio cento chilometri a
nord a Rossano Calabro, paesone di trentamila anime sullo Jonio cosentino. Qui la
coalizione di sinistra, a sostegno di Flavio
Stasi, tocca il 18%. E per un pelo manca il
ballottaggio.
ANALISI
Frenata grillina,
i voti già passati
al sindaco «anti»
NAPOLI
S
e c’è una città dove il Movimento 5 Stelle non ha fatto segnare un buon risultato questa è Napoli. È la stessa città dove in testa con oltre il 40%
c’è un candidato sindaco alla sinistra del Pd. L’analisi dei voti assoluti conferma che non si tratta
di una coincidenza casuale.
Unica tra le sette città capoluogo di regione che sono andate alle urne domenica, Napoli offre la possibilità di paragonare
questo risultato con quello vicinissimo dell’anno scorso di altre
elezioni amministrative: le regionali che hanno visto la vittoria
del Pd Enzo De Luca. L’affluenza alle urne rispetto ad allora è
cresciuta. A Napoli città, nonostante il forte disinteresse (ha votato poco più del 54% degli aventi diritto), sono andati a votare
106.672 elettori in più rispetto a
quando vinse De Luca. Il Movimento 5 Stelle sembra non averne intercettato nemmeno uno.
Il risultato del candidato grillino al comune è scarso: ha conquistato il 9,63% e cioè 38.733
voti assoluti. Praticamente la
metà di quelli del candidato alle
regionali 2015, una candidata:
Valeria Ciarambino. Domenica
scorsa il Movimento 5 Stelle presentava un candidato, Matteo
Brambilla, sul quale si è ironizzato per il cognome poco attraente per i napoletani (e per il nome poco gradito ai grillini). Probabilmente esagerando, perché
gli elettori del Movimento badano meno degli altri alla persona
del «portavoce» e più al programma, al «garante» nazionale
Beppe Grillo e al limite ai leader
riconosciuti che in città sono
ben due (non troppo affiatati),
Di Maio e Fico.
Il confronto con i precedenti
è penalizzante per il Movimento
anche rispetto alle Europee del
2014 (allora i voti erano stati
84.628, con un’affluenza simile
a quella delle regionali) e soprattutto con le politiche (110.570
voti per i grillini, ma con una percentuale di affluenza superiore
a quella di domenica scorsa).
Certo, i 5 Stelle napoletani pagano la scissione nel movimento
che è seguita all’espulsione da
parte di Grillo di 36 attivisti in
un colpo solo. Ma i dissidenti
con le loro «6 stelle» non erano
in corsa. E per trovare un risultato peggiore di quello fatto segnare da Brambilla bisogna tornare
al 2011, alle precedenti elezioni
comunali - se non l’alba era appena il mattino del Movimento.
Allora Roberto Fico candidato
sindaco mise insieme appena
6.441 voti, anche meno di quelli
raccolti dalla sua lista.
Dove sono andati i voti che
mancano al candidato grillino
di queste comunali? Una risposta si può trovare guardando alle liste del sindaco uscente. De
Magistris con 172.181 voti ha aumentato i consensi rispetto a
quelli che aveva raccolto nel
2011 al primo turno. Particolare
interessante, mentre allora come candidato sindaco aveva raccolto quasi il doppio dei voti delle sue liste, questa volta - che le
liste da 4 sono diventate 12 - ha
preso appena 22mila voti personali, aggiuntivi rispetto a quelli
dei tantissimi candidati che lo
hanno appoggiato. Il sindaco
«autonomista» e anti renziano
ha evidentemente conquistato
una parte degli elettori grillini. E
domenica per vincere al primo
turno gli sono mancati poco più
di 40mila voti. Brambilla, lo ripetiamo, ne ha presi 38mila. a. fab.
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
EX VOTO
FASSINO
La candidata dei Cinquestelle scuote Torino
«Risultato straordinario, il gap è colmabile»
pagina 7
APPENDINO
41,8%
30,9%
Marco Vittone
TORINO
C
ome una scossa. La città di
Torino si è risvegliata stordita, ancora incapace di
analizzare pienamente l'esito di
una votazione che ha riportato,
dopo 15 anni, il ballottaggio sotto la Mole.
Chiara Appendino, M5s, e Piero Fassino, Pd, si sfideranno fino
all'ultimo voto. Il secondo turno
veniva quasi dato per certo ma
non con un'indeterminatezza tale e non così rischioso per il sindaco uscente che domenica ha
ottenuto il 41,8% perdendo, però, 95mila voti rispetto al 2011
(erano 255mila 5 anni fa sono
160 oggi).
Appendino, 31 anni già consigliera nella passata tornata, ha
conquistato il 30,8%, ma il suo
«appeal» è in crescita avendo fatto breccia soprattutto nelle periferie, le aree che più si sono senti-
Periferie quasi letali
per il sindaco
uscente. Disfatta
per la sinistra
di Giorgio Airaudo
te emarginate nella lunga trasformazione della metropoli sabauda. Alle Vallette, estremo
nord-ovest della città, quartiere
operaio dove hanno sede il carcere e lo stadio della Juventus, la
pentastellata ha fatto il pieno dei
voti superando lo sfidante Fassino: 36,1% contro il 34,5%. L'ultimo segretario dei Ds è stato invece maggiormente apprezzato
nei quartieri del centro: a Crocetta e centro storico ha incassato il
50,1%.
3,7% per l’ex leader Fiom
Disfatta invece per la sinistra
che con «Torino in Comune» capeggiata da Giorgio Airaudo ha
racimolato il 3,7%, ben al di sotto delle aspettative che confidavano in un 7%. Doveva essere il
voto «utile per combattere le disuguaglianze», appello che evidentemente non è stato raccolto
seppur l'ex leader della Fiom e
deputato di Sinistra Italiana sia
riuscito a riunire i pezzi sparsi
della sinistra cittadina, da Sel a
Rifondazione a movimenti e liste civiche.
Non è bastato, la «città fragile»
non si è probabilmente riconosciuta nel progetto. Airaudo parlerà questo pomeriggio in conferenza stampa («Riuniremo i nostri candidati e faremo una valutazione del voto») e scioglierà il
nodo del ballottaggio. Tra le preferenze spicca il risultato di Eleonora Artesio, ex assessore regionale alla Sanità, che doveva essere la vice di Airaudo e che ha raccolto 1.420 voti e quello di Massimo Lapolla con 1.035 voti.
Il M5s è il primo partito della
città con il 30% e supera di poco
il Pd fermo al 29,7% in uno dei
Sorpresa, sotto la Mole
torna il ballottaggio
feudi del centrosinistra italiano.
Ma se si valutano tutti gli aventi
diritto il primo partito è quello
dell'astensione lievitata di 9 punti: l'affluenza è passata dal 66,5%
al 57,1%, ben sotto la media nazionale. Un dato su cui riflettere.
do si deve scegliere sindaco».
Fassino ha sminuito la proposta del M5s e attaccato la sinistra: «Mi pare che Giorgio Airaudo abbia raccolto un bottino assolutamente minimo. Io
avevo chiesto di andare uniti
al voto, invece...».
Chiara Appendino brinda
all'esito del primo turno: «Nella
roccaforte del Pd, questo è un risultato straordinario. Credo che
il gap con Fassino sia colmabile:
è emersa la voglia di una forza
propulsiva nuova e noi siamo
questa forza».
Capitolo apparentamenti
Resta aperto il capitolo apparentamenti con i due sfidanti,
che escludono in modo categori-
co lo scambio di poltrone in cambio di voti.
I consensi raccolti dagli altri
quindici candidati, oggi fuori dalla competizione, potrebbero fare
la differenza. Al momento l'unico a sbilanciarsi è l'ex azzurro Roberto Rosso, che annuncia il suo
appoggio (che potrebbe valere il
5%) a chi sposerà il suo programma per la sicurezza riassunto nello slogan «Una telecamera per
ogni condominio».
Non danno indicazioni Osvaldo Napoli di Forza Italia e Alberto Morano di Lega e Fdi, che pesano rispettivamente il 5% e
l'8%. Per ora nemmeno Airaudo
si esprime. Insomma, la partita è
aperta e la campagna elettorale
potrebbe farsi davvero accesa
nelle prossime due settimane.
Undici punti di differenza
Undici punti dividono Fassino
da Appendino, ma il candidato
dem, nonostante parli di risultante «confortante», non si sente con la vittoria in tasca. Il volto scuro della scorsa notte lo testimonia, ieri mattina – abbandonato l'understatement che
aveva caratterizzato una noiosa campagna elettorale - si è
presentato agguerrito: «Mi rivolgerò a tutti i cittadini torinesi
perché, come è noto, il ballottaggio è un voto diverso. C'è
un'ampia fetta di elettorato che
è libera. Mi rivolgerò sia a tutti
quelli che mi hanno già votato
per chiedere di riconfermare la
loro scelta, sia a tutti gli altri e a
quelli del M5s. Un conto è votare per i Cinquestelle al primo
turno e un conto è votare quan-
TRIESTE CHOC · Il sindaco Cosolini staccato da Dipiazza (centrodestra classico). Sinistra evanescente
Forti raffiche di bora sul Pd
Ernesto Milanesi
TRIESTE
U
na sferzata di bora fuori stagione e la
paura di una mareggiata si trasforma
nell’incubo peggiore. Roberto Cosolini, 60 anni, sindaco uscente del Pd sussidiario, è in ginocchio: 28.277 preferenze che valgono un misero 29,22% al primo turno.
Ha vinto come da «previsioni non scientifiche» del Tg3 di domenica, cioè ha politicamente trionfato nelle 238 sezioni, Roberto Dipiazza: con il centrodestra «classico» ha mietuto 39.495 voti pari al 40,81%. Niente ballottaggio per il «grillino» Paolo Menis che si è fermato a quota 18.540 (19,16%), tuttavia è più che
lievitato rispetto ai 6.094 voti e al 6% delle Comunali 2011. E comunque il M5S è il secondo
simbolo più votato in città…
Uno scenario davvero terrificante. Nessuno
dei democrat poteva immaginare che anche
l’«alabarda magica» sarebbe stata spezzata
dalla rivolta elettorale, un po’ nostalgica un
po’ fascio-leghista. Fin dal primissimo spoglio
ufficiale, nella sede di via XXX Ottobre, si è materializzato il flop di Cosolini. E dopo pranzo,
con i dati definitivi senza appello, lo stato maggiore ha realizzato anche quanto sarà arduo ribaltare il verdetto in due settimane.
Trieste sembra proprio pretendere un ritorno al futuro con Dipiazza, classe 1953, un passato da imprenditore nella grande distribuzione, sindaco berlusconiano di Muggia nel 1996
e poi a Trieste dal 2001 fino al 2011, ora consigliere regionale. È grazie a lui che il tandem
Fi-Civica sfiora il 30% dei consensi, più quelli
della Lega che va oltre il 9% e di FdI con il
4,3%. Ed è ancora Dipiazza che al ballottaggio
può "pescare" ulteriori sostegni: sono calamitabili i 2.598 della "patriota" Alessia Rosolen e
Così la rivolta elettorale
ha finito per spezzare
anche l’«alabarda magica».
Male anche a Pordenone.
Si fa festa solo a Muggia
perfino una parte dei 1.717 fedelissimi all’indipendentista Giorgio Marsenich.
Al contrario, alla virtuale autosufficienza di
Cosolini fa da contraltare l’evanescenza della
sinistra: Iztok Furlanic, candidato sindaco di
Prc e Pcdi, vale 1.488 e Marino Sossi con SI appena 838. Irrecuperabili poi i 1.089 sostenitori
di Maurizio Fogar che si batte da sempre per
la chiusura della Ferriera, l’Ilva di Trieste.
La Caporetto del Pd, del resto, è matematica. Il partito passa in cinque anni da 18.483 a
13.570 voti, emorragia non compensata dalla
lista civica del sindaco (2.310 voti che diventano 3.147) anche perché Sel crolla da 4.468 a
1.783 rispetto alle precedenti Comunali.
Cosolini cerca di rilanciare così la sfida, sia
pure a denti stretti: «Mi aspettavo un risultato
migliore, ma inizia una sfida nuova. Ci appelleremo a tutti, al 30% che ha scelto le liste
escluse dal ballottaggio e a quelli che non sono andati a votare». Brusco risveglio anche
per il capogruppo Pd alla Camera, il triestino
Ettore Rosato: «Sapevamo che non era facile,
ma la partita è apertissima. Cosolini ha dimostrato di essere persona seria e preparata, e ha
governato Trieste in anni difficili, di ristrettezza per la finanza pubblica. Il ballottaggio è
un’altra partita. Continueremo a lavorare per
spiegare a tutti che abbiamo un progetto serio
e credibile per far ripartire la città».
Si fa festa almeno a Muggia: Laura Manzi,
assessore uscente di Sel, è il primo sindaco
donna nel comune di 13 mila abitanti al confine con la Slovenia. Aveva vinto le primarie
contro l’erede designato da Nerio Nesladek
(segretario provinciale Pd) e si è imposta per
appena 135 voti sul centrodestra.
A Pordenone non va meglio, perché la "difesa" del municipio dipenderà dagli apparentamenti e soprattutto dai quasi 3 mila elettori
"grillini". Parte in vantaggio Alessandro Ciriani con il 45,5%, mentre il centrosinistra di Daniela Giust non è andato oltre il 33,2% e in
due settimane dovrà scalare una piccola montagna: sono 3.064 le preferenze da recuperare,
in pratica quelle raccolte dal candidato M5S.
Infine, a Grado il nuovo sindaco Dario Raugna si è imposto per appena 69 voti. Rappresenta il «coordinamento del cambiamento»
che ha raccolto il 25,9% battendo di stretta misura la lista di Claudio Kovatsch, il commissario straordinario scelto da Debora Serracchiani che si è candidato spaccando il Pd locale, e
Roberto Marin del centrodestra che ha raccolto il 24,3%.
pagina 8
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
EX VOTO
Lega al ballottaggio nonostante uno scarso
10% dei voti. 5 Stelle al veleno, come al solito
FESTA DELL’UNITÀ A BOLOGNA FOTO LAPRESSE
MEROLA
BORGONZONI
39,5%
22,3%
BOLOGNA · Niente svolta a sinistra
Lo schiaffo ai dem
non sveglia Merola
BOLOGNA
U
«Sostenere il Pd?
Non è scontato»
Giovanni Stinco
BOLOGNA
«C
erto siamo solo all'inizio,
ma sicuramente è stato
un buon inizio». Il giorno
dopo il voto Federico Martelloni è
soddisfatto, e parla dell'esperienza
di Coalizione civica come di qualcosa che deve ancora dare i suoi veri
frutti. E che comunque è già riuscita nella classica quadratura del cerchio: mettere assieme tutte le anime di quella sinistra cittadina che è
alternativa al Partito democratico,
amalgamarle e dare vita ad una formazione capace di convincere 12
mila bolognesi, il 7% dei voti che in
consiglio comunale si traduce in
due consiglieri eletti. Un risultato significativo per Coalizione civica,
che si è dovuta scontrare con sondaggi che la davano stabilmente
sotto al 5%. Invece le cose sono andate meglio del previsto. «Il nostro
risultato - spiega Martelloni - attesta l'esistenza di un vero laboratorio politico cittadino. Lo avevamo
detto nelle scorse settimane, ma
Con il 7% dei voti
la Coalizione civica
detta le sue
condizioni. Parla
Federico Martelloni
era solo un'ipotesi tutta da provare. Ora è realtà, abbiamo azzeccato un processo realmente partecipato, democratico e capace di oltrepassare i confini dei vari gruppi
organizzati. Coalizione civica è
l'inizio di una sinistra nuova, che
si costruisce a partire dalla città
senza bisogno di nominarsi, che
ha un orientamento chiaro su tutte le questioni del nostro tempo,
su scuola pubblica e beni comuni,
sul lavoro e sulle esperienze di cittadinanza attiva».
Che fare di questi 12 mila voti?
Lo ripeto, per noi è solo l'inizio. Vediamo uno smottamento di
quell'enorme blocco di potere che
è rappresentato dal Pd. La flessione
dei democratici è un dato inquietante, e questo ci dà un compito importante: riportare i bolognesi alla
partecipazione. Abbiamo iniziato a
battere quella strada in campagna
elettorale, ma recuperare l'astensione monstre che c'è in città non è cosa che si può fare in pochi mesi di
campagna
elettorale
rock.
Quell'astensione è figlia dei numerosi tradimenti del Pd, dal referendum sull'acqua alla consultazione
cittadina per togliere i fondi pubblici alle scuole private paritarie.
Si poteva fare di più? L'obiettivo
era un risultato in doppia cifra.
C'è stato poco tempo e la campagna elettorale è stata frenetica. Ma
non posso non constatare il nostro
radicamento nei quartieri. Ad esempio al Santo Stefano, dove storicamente la destra è fortissima e dove
questa volta è stata battuta. Nel
quartiere c'è Làbas, un'occupazio-
ne che in città sta raccontando una
storia nuova. Ma dirò di più: le preferenze non sono andate alle persone, ma a grandi battaglie politiche:
quelle per il riconoscimento delle
differenze e dei diritti, quelle per gli
spazi, quella contro lo sgombero di
Atlantide. E abbiamo anche intercettato il voto dei giovani, altrimenti non si spiegherebbero le oltre mille preferenze di Emily Clancy, che
siederà con me in Comune.
Il Pd andrà al ballottaggio con la
Lega Nord. Che farà Coalizione civica?
Tra noi e la Lega c'è una distanza siderale, ma il voto al partito della nazione di Renzi non è scontato, anzi.
Quello che è certo è che saremo
all'opposizione della prossima
giunta, e dopo la nostra campagna
rock saranno gli altri a dovere ballare. Diano loro dei segnali. Ad esempio sulla mobilità: quella colata di
cemento che è il Passante nord va
bene così o c'è qualcosa da correggere? E sul tema della scuola pubblica il Pd vuole applicare il referendum cittadino che ha ignorato nel
2013? E ancora: sul diritto alla casa
i democratici vogliono o no provare a fare finalmente un lavoro di
qualità? Penso però che Bologna
abbia gli anticorpi per rigettare una
destra populista e leghista, e per
questo non credo che daremo
un'indicazione di voto.
Cosa c'è nel futuro di Coalizione
civica al di là di due consiglieri comunali?
Dobbiamo strutturarci e creare un
ponte fisico tra i nostri elettori, gli
eletti, e i tanti candidati che hanno
espresso competenze irrinunciabili: penso ad esempio ai temi dell'urbanistica, della sicurezza e della
scuola. Ma tutte queste cose le decideremo assieme. A breve ci sarà un
consiglio direttivo allargato a tutti i
nostri candidati, poi una grande assemblea aperta agli elettori di coalizione civica. Coalizione civica è qui
per restare.
na sberla in pieno viso. E' stato questo
l'effetto della notte
elettorale per il Partito democratico di Bologna. Arrivato alla vigilia del voto convinto di poter portare a casa
la vittoria al primo turno, il
Pd, e con lui il sindaco democratico in cerca del bis
Virginio Merola, si è trovato
man mano che passavano le
ore sempre più in basso. Fino ad arrivare al 39% dei voti.
Cinque anni fa, quando
Merola vinse di un soffio al
primo turno, la coalizione di
centro sinistra incassò 106
mila voti. Domenica si è fermata a quota 68 mila. Quasi
40 mila in meno. A pesare
probabilmente anche fattori
nazionali: la campagna referendaria d'ottobre già entrata nel vivo, la fine della luna
di miele di Renzi con gli elettori, l'astensionismo che
questa volta ha picchiato forte anche nello storicamente
disciplinato elettorato democratico.
Ma evidentemente molte
cose non hanno funzionato
a livello locale. «Non è il momento di perdere fiducia.
Certamente non è quello delle rese di conti interne», ha
commentato la deputata Pd
Donata Lenzi. Una delle poche a parlare fino alle sei del
pomeriggio, quando il sindaco si è presentato in Piazza
dell'Unità, cuore della Bolognina. Chi si aspettava una
svolta a sinistra è rimasto deluso. Merola ha tirato dritto,
ha detto «no» ad ogni accordo nel secondo turno con i
centristi, ha rifiutato ogni
confronto con la candidata
leghista, ha ammesso di avere sbagliato la campagna
elettorale: «Dovevo comunicare di più e stare di più nelle strade, invece sono rima-
SESTO FIORENTINO · Toscana amara per Renzi. Il presidente Rossi: «Situazione difficile»
E il giglio magico perde l’aereo
Riccardo Chiari
FIRENZE
S
estograd resiste. Dopo aver mandato a
casa la sindaca e cofondatrice del giglio
magico Sara Biagiotti, ora può spedire il
Pd all’opposizione. Lo dicono i numeri, si avverte nell’aria. E il bello è che il terremoto politico ha come unico responsabile Matteo Renzi. Che da Roma guarda con arrogante sufficienza le forze di sinistra («Mi sembra che chi
vuol dare un voto di protesta vota i 5 stelle,
non formazioni alla sinistra del Pd. Stanno tra
il 4 e il 5 per cento, contenti loro..».), e poi rincara la dose nel suo bollettino.
Ma qui, alle porte della "sua" Firenze, Renzi
sta conoscendo una sconfitta che ancora non
sembra analizzata in tutte le sue conseguenze. A partire dall’aeroporto intercontinentale
made in Renzi&Carrai, vero motivo dell’esplosione di quello che appena due anni fa era il
granitico Pd sestese. E ora con l’effetto collaterale di un inceneritore - accettato anni fa a
patto di non uccidere definitivamente la Piana con il raddoppio dell’aeroporto - che a questo punto potrebbe finire anch’esso nella pattumiera. Per rifiuti speciali.
I numeri sono chiari. L’ex vicesindaco Lorenzo Zambini, che secondo i sondaggi Swg
dei dem correva sulla forchetta 49-52%, ha
preso il 32,6%. In soli ventiquattro mesi si è volatilizzato più del 30% dei voti Pd. Andati, a
guardare le preferenze, a quei sette consiglieri
(su otto) che sfiduciarono Biagiotti, e che
espulsi dal partito ora hanno corso con Sinistra italiana. Una Si che porta al ballottaggio
Lorenzo Falchi, autore di un exploit da 27,4%.
E con la Sesto bene comune di Maurizio Quercioli, arrivata al 19,2% con l’aiuto di Rifondazione, Possibile e Al, il cui programma elettorale è al 95% quello di Falchi. Entrambi con il
doppio no all’aeroporto e all’inceneritore, argomenti dominanti della campagna.
Chiamato a una missione quasi impossibile, Zambini se la prende con gli ex di partito e
con il vecchio sindaco Gianassi, anche lui oggi in Si: «Questo tentativo gianassiano di restaurazione della vecchia classe dirigente sarebbe devastante per la città, riproiettandola
nell’isolamento, nelle incoerenze e nello stal-
lo permanente». Pronta la replica, dopo due
anni di silenzio, di Gianassi: «Fra quindici giorni potremo vincere, potremo perdere. Però resta il fatto politico: Sesto Fiorentino non è il
Quartiere 6 di Firenze, non si può venire a dare gli ordini a una comunità».
Falchi assicura, anche al Tg3 toscano, il rispetto del programma: «Non abbiamo intenzione di mollare di un millimetro, né sull’aeroporto né sull’inceneritore». Parole apprezzate
da Maurizio Quercioli, ex Pci rientrato in politica, dopo ben 24 anni, proprio per contrastare le due contestatissime grandi opere. «C’è
già la certezza che l’inceneritore non si farà, visto che le quattro liste contro l’impianto hanno una maggioranza schiacciante». Già, perché contro Case Passerini ci sono anche il
M5S con il suo 10%, e il centrodestra il cui
10,8% se ne andrà al mare, parola della candidata Maria Tauriello.
Quante spine per il Pd in Toscana: è in difficoltà a Grosseto (Antonfrancesco Vivarelli Colonna del centrodestra al 39,5%, Lorenzo Mascagni del centrosinistra al 34,5%), ed è costretto al ballottaggio anche a Cascina, Sansepolcro, Montevarchi e Altopascio, dove almeno qui partiva da sfidante. Chiosa Enrico Rossi: «Questo risultato non è per niente entusiasmante, il Pd va indietro rispetto alle regionali, va indietro rispetto alle europee in modo incomparabile, e anche rispetto alle amministrative. È una situazione non semplice». Soprattutto a Sesto Fiorentino. Sestograd.
sto troppo nei ministeri. Ora
sarò un sindaco di strada. I
bolognesi ci hanno mandato un segnale e lo raccoglieremo, faremo di più su mobilità, sicurezza e pulizia. Nessuno deve credere che la destra possa fare queste cose
meglio di noi, per questo
dobbiamo parlare anche ai
moderati, perché la nostra
visione di città è diversa da
quella della Lega».
Così il primo cittadino di
un partito che a Bologna è
abituato non a vincere, ma a
stravincere. E che questa volta è stata invece trascinato
al ballottaggio da una destra
che fino ad un mese prima
del voto era spaccata e rissosa. Complice anche l'annichilimento della lista di Amelia Frascaroli, che avrebbe
dovuto sostenere il Pd da sinistra e che invece è rimasta
sotto al 3% stritolata da Coalizione civica, lista alternativa al Pd che in città ha raccolto il 7% dei voti.
Per il Pd il ballottaggio è
arrivato nonostante il risultato modesto della Lega che
non ha passato il 10% dei voti, e assieme a Forza Italia,
Fratelli d'Italia e liste di supporto ha raggiunto a malapena il 22%. Poco, ma tanto è
bastato per andare al secondo turno staccando nettamente un Movimento 5 Stelle che ha sognato il colpaccio per un'ora o poco più,
giusto il tempo di passare
dalle prime proiezioni televisive ai dati reali. Massimo
Bugani, candidato sindaco
dei grillini bolognesi, ha incassato il 16% dei voti, cinque anni fa i grillini erano solo al 9%. Ma rispetto al risultato di Roma quella bolognese resta una performance a
dir poco incolore. «Impossibile fare di più», si limita a dire il diretto interessato per
poi puntare il dito contro i
dissidenti. «Siamo stati sommersi dal fango», spiega Bugani. Ma il lavorio continuo
dei tanti fuoriusciti (o espulsi) dal Movimento è ormai
un dato strutturale per Bologna, la città dove i grillini sono sbocciati, ma anche la città dove le spine delle epurazioni hanno lasciato segni indelebili.
A fare festa con 12 mila voti è invece Coalizione civica,
formazione bolognese che
ha messo assieme i tanti pezzi della sinistra alternativa al
Pd di Merola.
Un dato che in percentuale si è trasformato nel 7,10%
delle schede. Non il risultato
a doppia cifra che alcuni sognavano alla vigilia, comunque un risultato importante
che fa diventare Bologna un
caso nazionale. Nessuno,
nella sinistra anti Renzi, ha
fatto meglio della squadra
del candidato sindaco di Coalizione, il giuslavorista Federico Martelloni. In Consiglio comunale Martelloni entrerà di diritto in quanto candidato sindaco. Assieme a
lui Emily Clancy, avvocato
praticante, specializzata nei
diritti lgbtq, dj e politicamente proveniente da Sinistra
ecologia e libertà.
Infine c'è il dato di Manes
Bernardini, ex leghista ora alla guida di una formazione
di centro che ha raccolto il
10% dei voti. Voti che al ballottaggio potrebbero risultare decisivi. (giovanni stinco)
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
EX VOTO
pagina 9
ZEDDA
Nel capoluogo sardo è arrivato il colpaccio dell’elezione diretta.
L’ultimo superstite della «stagione arancione» racconta perché
50,86%
L’INTERVISTA · Il sindaco di sinistra eletto al primo turno con il «vecchio» centrosinistra. E i 5 Stelle raggiungono il minimo del consenso
Zedda: «Uniti (e rigorosi) si vince«»
Costantino Cossu
CAGLIARI
A
Massimo Zedda è riuscito
il colpaccio. Frutto politico della stagione pre renziana che portò Pisapia alla guida di Milano e Rossi Doria a
quella di Genova, è passato al
primo turno con una percentuale del 50,9 per cento. In una
città che domenica ha registrato ai seggi un crollo dell’affluenza, passata dal 71,4 per cento
del 2011 al 60,2 per cento, Zedda si è imposto nettamente sul
candidato del centrodestra,
l’ex senatore Pdl Piergiorgio
Massidda, che si è fermato al
32,2 per cento.
Cinque anni fa Zedda aveva
vinto al secondo turno con il
59,4 per cento. M5S e la sua candidata Maria Antonietta Martinez, unica donna aspirante alla
carica di sindaco, arrivano al 9,2
per cento: non sfondano, ma
quadruplicano il consenso rispetto a cinque anni fa. Alla coalizione di liste civiche e verdi guidata dall’ex consigliere di Rifondazione Enrico Lobina (uscito
dal suo partito in polemica con
la scelta di sostenere il centrosinistra) è andato il 2,2 per cento.
Per quanto riguarda il voto ai
partiti, il Pd, con il 20,3 per cento, è il più votato, seguito da Sel
(da cui proviene Zedda) con
l’8,5 per cento, dal Movimento 5
Stelle con l’8,3 per cento e da
Forza Italia (che si era presentata con la lista civica Forza Cagliari) con il 7,4 per cento.
Il fatto che, nelle città italiane
più importanti, l’unico candidato di centrosinistra a essere eletto al primo turno - con una netta sconfitta sia della destra sia
del M5S - risponda a uno schema politico lontano dalle coordinate del renzismo, è l’elemento
più interessante che emerge dalle comunali di Cagliari. Zedda è
stato sostenuto da una coalizione larga, che oltre al Pd e a Sel
comprende Rifondazione, il Partito dei comunisti italiani, partiti
sardisti e autonomisti e formazioni moderate di area cattolica.
CAMPAGNA
ELETTORALE PER
MASSIMO ZEDDA A
CAGLIARI FOTO ANSA
«La strada maestra è un programma che tutela e allarga
i diritti unito alla sobrietà dell’amministrazione e all’onestà
nella gestione delle risorse pubbliche. Molti hanno ritrovato
in noi quello che avrebbero potuto cercare nel M5S»
Il segno politico e programmatico di Zedda e della sua maggioranza sembrerebbe in contrasto
rispetto a quanto invece è accaduto, nel campo del centrosinistra, in altre grandi città.
Forse Cagliari, con la vittoria
del sindaco uscente già al primo
turno, indica un’alternativa che
può essere vincente: esattamente come nel 2011 a Milano e a Cagliari e nel 2012 a Genova.
Zedda, dal voto di domenica a
Cagliari viene davvero un messaggio politico di rilevanza nazionale?
Non so se il nesso tra il voto a Cagliari e il quadro politico nazionale sia così stretto. Certamente
noi abbiamo lavorato, sin
dall’inizio della scorsa legislatura, per tenere unita tutta la coalizione sulla base di scelte programmatiche serie e coerenti
con quanto avevamo detto ai cittadini in campagna elettorale.
Questo non significa che non ci
si siano stati momenti di confronto. Li abbiamo avuti,
com’era normale che fosse. Ma
li abbiamo anche superati puntando a soluzioni nelle quali tutte le diverse sensibilità politiche
presenti all’interno della coalizione potessero riconoscersi. Alla fine il fatto di avere sempre
messo al centro il programma e
la sua attuazione, ha pagato.
Nei prossimi mesi però il problema del rapporto con il Pd si
porrà inevitabilmente con la
nascita di Sinistra italiana…
Vorrei dire innanzitutto che il
rapporto del Partito democratico con la mia amministrazione,
durante i cinque anni di governo appena trascorsi, è stato, a
tutti i livelli, di grande correttezza e di lealtà reciproca.
Sì ma ci sarà un problema di
rapporto tra Pd e sinistra?
Io penso che il metodo che è stato seguito a Cagliari: puntare su
scelte programmatiche che rispondano insieme alle esigenze
di giustizia, di tutela e di estensione dei diritti e di sviluppo sostenibile, sia la strada maestra
da seguire. Sia a Cagliari sia a Roma. L’esperienza di Cagliari dimostra che uniti si vince.
A Cagliari il Movimento 5 Stelle ha ottenuto il risultato peggiore in Sardegna, almeno nelle grandi città, e uno dei più deludenti in Italia: sotto il 10 per
cento. Perché?
Perché noi abbiamo tenuto uno
stile di governo molto rigoroso.
Nessuna delle accuse populistiche di corruzione generalizzata
della politica agitate dal M5S in
campagna elettorale poteva toccare la nostra amministrazione.
Abbiamo tagliato spese superflue e sprechi e fatto scelte di sobrietà nella gestione delle risorse pubbliche, persino con rinunce personali. Da questo punto
di vista, molti elettori hanno ritrovato nella nostra coalizione
quello che avrebbero potuto
cercare nel M5S.
Ora arriverà il fiume di denaro,
170 milioni, previsto dalla legge sulle città metropolitane voluta dal governo Renzi.
Sì, per la nostra coalizione sarà
un compito delicato e importante. I prossimi anni per Cagliari possono segnare una svolta. Proseguiremo nel nostro impegno di mettere tutte le risorse disponibili al servizio di un
progetto di crescita della città
che risponda alle domande dei
cittadini. Domande di lavoro,
innanzitutto, ma anche di qualità dei servizi e di qualità complessiva della vita.
CALABRIA · Tra gaffe, impresentabili e vere e proprie ritirate, Pd e M5S abbandonano il campo
In terra di ’ndrangheta trionfo «civico»
Q
uando un anno fa Matteo Renzi
la presentò alla Leopolda forse
bluffava, al suo solito, o forse ci
credeva davvero. Disse che con Anna
Rita Leonardi Platì si sarebbe risollevata e sarebbe uscita dal tunnel dell’ingovernabilità.
Perché a Platì le elezioni non si potevano più fare. La ‘ndrangheta non voleva. La democrazia lì è sospesa. Vive
da dieci anni in uno stato d’eccezione
permanente. In cui si susseguono,
uno dopo l’altro, commissari prefettizi come figuranti.
Leonardi si è messa così al lavoro. Ma
ai primi di maggio, il colpo di scena. Leonardi molla tutto e getta la spugna:
«Non ci sono più le condizioni politiche
e di agibilità per svolgere serenamente
la campagna elettorale. Mi ritiro perché
alcune vicende continuano a perdurare
sul territorio. Vicende che rendono queste elezioni, ancor oggi, non un alto momento politico, ma una farsa degna del
peggiore sceneggiatore».
Nonostante tutto però a Platì le elezioni ci sono state. E c’è pure un sindaco
eletto. Ha vinto Rosario Sergi, con una lista dal nome profetico: Liberi di ricominciare. Chissà se sarà vero. Se è stata dav-
vero una farsa. Vedremo e giudicheremo. Intanto nelle contrade più antiche
non scorre l’acqua potabile, non ci sono
fogne, non ci sono palestre, cinema o
centri sociali, non c’è l’asfalto sulle strade, né case rifinite. E fino a ieri non c'era
manco un sindaco.
Nonostante per decenni Platì sia stata
una delle roccaforti rosse della Locride,
con una sezione del Pci da 700 iscritti e
una Camera del lavoro ancor più affolla-
Platì, Rosarno e Cutro.
Qui l’antimafia non esiste
e la democrazia «vive»
tra commissari prefettizi
e liste dai nomi surreali
ta, e il paese nel 1972 sia stato in grado
persino di esprimere un deputato, Ciccio Catanzariti. Come a Platì, anche a
Rosarno il Pd ha issato bandiera bianca.
I dem hanno scelto di non correre per
la guida di un comune, feudo delle organizzazioni criminali, rinunciando alla
storica tradizione antimafia della sinistra locale, da Agostino Papalia, fondato-
re del Pci da quelle parti, a Peppino LaA PLATÌ, NELLA
vorato, promotore della primavera rosarLOCRIDE, UN
nese nei ’90, per giungere fino a Peppe
SINDACO
Valarioti, dirigente comunista ucciso a
MANCAVA DA
colpi di lupara nel 1980 a soli 30 anni.
DIECI ANNI.
La vecchia sindaca, Elisabetta Tripodi, ADESSO TOCCA A
eletta in quota Pd nel dicembre del
ROSARIO SERGI
2010, e costretta a mollare a seguito del- (63%). NEL 2015
le dimissioni di alcuni consiglieri di magNON SI ERA
gioranza, non si è più ripresentata. Le ha POTUTO VOTARE
nuociuto il fatto di aver voluto demolire
PERCHÉ NON
la casa dei Pesce. Lo ha ammesso lei stesERANO STATE
sa. L’hanno lasciata sola (Pd compreso)
PRESENTATE
e non se l’è più sentita di continuare.
LISTE
Ha vinto Giuseppe Idà, “civico” griffato Ncd. La sua lista si chiama Cambiamo Rosarno. Nel suo programma la parola ‘ndrangheta non è citata manco elezioni le ha vinte Salvatore Divuono,
una volta: è un tabù.
a capo di una lista civica dal nome surA Cutro, invece, le elezioni si tengono reale «Cutro città normale».
in genere regolarmente. Il paesone, caro
Il pasticciaccio l’hanno però fatto i grila Pasolini, da tanto non riceve l’onta del- lini. Hanno candidato a sindaco Gregolo scioglimento per mafia. In compen- rio Frontera, l’incensurato figlio di Gino
so, sono recenti i casi di paesi del nord Frontera, deceduto nel 2013, ma finito
come Brescello e Finale Emilia chiusi nelle carte dell’inchiesta Aemilia che ha
per ‘ndrangheta a causa delle malefat- scardinato la cosca Grande Aracri e gli
te dei clan cutresi. I Grande Aracri so- interessi dei cutresi a Reggio Emilia. Seno una ‘ndrina emergente, signoria condo gli investigatori, Gino Frontera samafiosa nel crotonese e nel triangolo rebbe il collettore fra il boss Nicolino
Reggio Emilia- Modena- Mantova. Le Grande Aracri e gli ambienti istituziona-
li. I 5 Stelle hanno fatto di più e hanno
messo in lista pure l’altra figlia di Gino,
Teresa Frontera.
Quando, così dicono, se ne sono accorti hanno provato a sbianchettare, a
metterci una pezza, e hanno ritirato tutta la lista, compreso l’aspirante sindaco.
Ma ormai era troppo tardi. Le liste erano
già state presentate e tecnicamente non
era più possibile farle fuori dalle schede.
E così ieri Gregorio Frontera ha preso
il 3,1%, con 252 voti. C’è mancato poco
che non fosse eletto in consiglio. (S.Mes.)
pagina 10
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
ECONOMIA
FRANCIA · Europei alle porte, Paese nel caos
Loi Travail: governo
in crisi di nervi
glio, quando la legge El Khomri
tornerà in discussione all’Assemblée. Il relatore della Loi
l governo è sull’orlo di una
Travail, il deputato socialista
crisi di nervi, venerdì iniziaChristophe Sirugue, si è detto
no gli Europei di calcio, dopronto a ritoccare il controvervrebbero arrivare almeno 2 miso articolo 2, che prevede la
lioni di turisti e il paese resta in
priorità degli accordi di impreacque agitate, tra le conseguensa su quelli di categoria. Ma
ze delle inondazioni e la crisi
Valls non vuole che venga mosociale, che non si ferma. Per il
dificata «la filosofia» della flessiprimo ministro, lo sciopero albilità. Restano in agitazione, a
la Sncf, la società nazionale delsinghiozzo, anche Edf (elettricile ferrovie, «è incomprensibità), le raffinerie (ma la situaziole». Eppure continua. Ieri dei
ne migliora), le discariche dei
ferrovieri Cgt hanno bloccato
rifiuti, mentre sulla metropoliper un breve periodo le staziotana parigina pesa la minaccia
ni Montparnasse e Gare du
di uno sciopero «illimitato». AnNord, a Parigi, mentre aveva
che i piloti di Air France minacluogo un interminabile inconciano uno sciopero (ma non
tro con la direzione delle ferroc’entra con la Loi Travail). Il govie per cercare
verno punta a
una via d’uscita
un rovesciaMélenchon lancia mento dell’opidopo 6 giorni di
ILLUSTRAZIONE DI LEVALET
sciopero. Il governione pubblil’offensiva,
no prosegue nelca: un ultimo
per quest’anno precipita dall’1,5% all’1,1%. Lenta anche la crescita dei prezzi
Pcf in difficoltà.
la tattica di isolasondaggio dice
re ogni protesta,
che ormai il
Nuit
Debout
avvia
cercando di spe54% dei francela campagna
gnere uno dopo
si non appogl’altro gli incendi
gia più la prote«contro
il
voto
che si accendosta. Euro 2016
al partito
no. I ferrovieri
arriva e l’«immateriali, a lungo differiti», aveva
fanno rivendicamagine» della
sioni di Bankitalia, nel triennio
to sia delle imposte dirette (+1,8%)
socialista»
spiegato, ed è importante anche
zione di categoFrancia
nel
2016-2018 verrà «spinta dal proche di quelle indirette (+1,6%).
«un’ulteriore riduzione del cuneo
ria, in vista dell’armondo teme di
gressivo consolidamento dell’attiviNeutralizzando però gli effetti sul
fiscale gravante sul lavoro».
rivo della liberalizzazione della
prendere dei colpi.
tà economica e dagli interventi di
gettito dei versamenti dell’imposta
Si devono inoltre rafforzare gli inrete, nel 2020. Il nervosismo
Le conseguenze politiche
sostegno alla domanda di lavoro».
di bollo e di quelli del canone telecentivi all’innovazione e sostenere
cresce: la Sncf perderebbe
dello scontro Cgt-governo saL’occupazione totale dovrebbe auvisivo (che quest’anno si comincei redditi dei più poveri. Se i margi15-20 milioni di euro al giorno.
ranno notevoli. Domenica,
mentare, dicono le stime, di circa
rà a pagare da luglio, mentre fino
ni di bilancio sono oggi limitati, è
La protesta continua: gioveJean-Luc Mélenchon ha riuniil 2% nel triennio (di quasi il 2,5%
all’anno scorso era conteggiato sui
però «possibile programmare l’atdì sarà un’altra giornata di azioto 10mila persone in place Stanel solo settore privato). Il tasso di
primi mesi dell’anno), la crescita
tuazione di questi interventi su un
ni, in attesa della manifestaziolingrad, per il lancio della camdisoccupazione scenderebbe gradelle entrate tributarie nel periodo
orizzonte temporale più ampio».
ne nazionale del 14 giugno a
pagna delle presidenziali. Médualmente, portandosi al 10,8%
gennaio-aprile risulta complessivaVisco infine aveva lanciato un avParigi. Il 13 il Senato avrà colenchon non vuole le primarie
nel 2018 (oltre 1 punto percentuamente pari a +4,9%.
vertimento sui conti pubblici:
minciato a discutere il testo delalla sinistra della sinistra, prole in meno rispetto al 2015).
La ricetta di Visco
«L’evoluzione del contesto macrola Loi Travail rivisto dalla deposte dal Pcf. Il leader del Parti
Intanto ieri il ministero dell’EcoUna ricetta per crescere, il governaeconomico rischia di ostacolare il
stra, che ha la maggioranza: vade Gauche, che i sondaggi dannomia ha diffuso i dati sulle entratore Ignazio Visco l’aveva indicata,
conseguimento» della riduzione
le a dire un ritorno alla prima
no al 12% quasi sul punto di
te dei primi quattro mesi del 2016:
in occasione delle sue Consideradel rapporto tra debito pubblico e
versione, quella precedente le
surclassare Hollande nell’evenaumenta il gettito totale, e più in
zioni finali tenute - come ogni anPil. «Nel 2016, uno stretto controlmodifiche fatte dalla Cfdt, moltualità si presenti, naviga
dettaglio tutte le voci sono positive
no - il 31 maggio scorso. Più investilo dei conti pubblici e la realizzato più liberista della versione
sull’onda lunga del rifiuto dei
(dall’Irpef all’Ires, fino all’Iva e al
menti e taglio del cuneo fiscale inzione del programma di privatizzapassata con la forza del 49.3
partiti tradizionali: propone di
frutto dei controlli fiscali). Una bocnanzitutto. «Per una ripresa più razioni possono consentire di avviciall’Assemblée. I sindacati conporsi alla testa della «France incata di ossigeno per le casse dello
pida e duratura è necessario il rinarsi il più possibile a quanto protestatari stanno già preparansoumise», dei «ribelli» in lotta,
Stato (+1,7% le entrate erariali di
lancio degli investimenti pubblici
grammato e garantire una riduziodo un’altra giornata di protedagli ecolo alla Nuit Debout,
gennaio-aprile), notando però che
mirati, anche in infrastrutture imne significativa nel 2017».
sta, verso fine giugno-inizio luconiugando La Marseillaise e
l’incremento è dovuto a un aumenl’Internazionale. Mélenchon attacca frontalmente «pouf et
chocolat», come schernisce
Hollande e Valls.
·
UNIONE EUROPEA Il Comitato di esperti dei 28 Paesi rinvia per la terza volta il voto sull’erbicida
Il ministro dell’Economia, il
controverso Emmanuel Macron, ieri ha ricevuto un uovo
in testa a Montreuil, comune
guidato con un sindaco comunista, dove si era recato alla sede della Posta locale per pre«L’unica risposta adeguata - sostiene invece
con cui vengono selezionati gli studi scientifisentare un francobollo commeEleonora Martini
Mammuccini - è l’applicazione rigorosa del
ci esaminati o avverte sui possibili conflitti di
morativo degli 80 delle ferie paennesimo rinvio europeo sul glifoprincipio di precauzione, con la messa al
interesse dei giudicatori.
gate, conquista del Fronte posato è il risultato della mobilitaziobando definitiva dell’erbicida. La posizione
Una discussione, questa, che potrebbe espolare. Pierre Laurent, riconferne di 2 milioni di cittadini eurodei ministri italiani dell’Agricoltura e dell’Amsere infinita, perché le certezze scientifiche
mato domenica segretario del
pei che hanno sottoscritto la petizione di
biente ha consentito di mantenere salda la
in questo ambito sono difficili da raggiungePcf, afferma che «Hollande
Avaaz contro il rinnovo dell’erbicida, di cui
posizione dell’Italia che ci auguriamo rimanre. La questione invece riguarda soprattutto,
non può essere il nostro candi153 mila solo in Italia». Canta vittoria, Maria
ga inalterata fino in fondo».
come per gli Omg, i brevetti e i monopoli e il
dato, non può più essere nel
Grazia Mammuccini, la portavoce della coaliIl nodo centrale della discussione riguarda
loro attentato alle biodiversità; in sostanza il
2017 il candidato che fa vincezione italiana «Stop glifosato», alla notizia
la nocività del potente erbicida, ma il giudimodello agricolo e di mercato che si vorrebre la sinistra». Va più lontano
che per la terza volta, ieri a Bruxelles, i 28 Stazio della comunità scientifica non è unanibe promuovere in Europa e nel mondo. PerFrançois Ruffin, regista di Merti membri dell’Ue hanno deciso di rinviare il
me al riguardo. L’Agenzia internazionale per
ché, come spiega Greenpeace, la Monsanto
ci patron! tra i promotori della
voto sul rinnovo dell’autorizzazione all’uso
la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Oms lo ha giuche produce il più diffuso prodotto a base di
Nuit Debout, che ha aperto ieri
del discusso erbicida - il più diffuso al mondicato «probabilmente cancerogeno», menglifosato, il Roundup, talmente potente da
una campagna contro il voto al
do - perché non tutti si sono trovati in linea
tre Fao e Oms qualche settimana fa hanno dieliminare tutta la vegetazione, ha prodotto
Ps, giustificata con «l’assenza
con quanto richiesto dall’esecutivo europeo.
ramato un comunicato per sostenere che è
anche alcune varietà di coltivazioni Ogm residi ribellione massiccia dei parIn particolare, gli esperti del Comitato fisiosa«improbabile che l’assunzione di glifosato atstenti allo stesso erbicida, conosciute come
lamentari socialisti» contro la
nitario permanente dell’Ue ha deciso di non
traverso la dieta sia cancerogena per l’uo«Roundup Ready», che si stanno diffondenLoi Travail e la svolta liberista
decidere quando sette Paesi su 28, tra i quali
mo», ma la coalizione «Stop glifosato» fa nodo a macchia d’olio soprattutto nel Nord e
del partito. La Cgt intanto racItalia, Francia, Germania, Austria, Grecia,
tare il «voltafaccia» dell’Oms che «qualche
Sud America.
coglie i voti contro la Loi TraPortogallo e Lussemburgo, hanno deliberato
tempo prima aveva messo in guardia sugli efA questo punto, dopo la fumata nera di ievail in un referendum auto-orla propria astensione.
fetti collaterali per la salute dell’ex brevetto
ri a Bruxelles, la Commissione europea poganizzato sui luoghi di lavoro.
Si vorrebbe in qualche modo passare la paMonsanto». E c’è chi (per esempio sul sito detrebbe ricorrere ad un «Comitato d’appello»
tata bollente nelle mani dell’esecutivo ma la
crescita.com) mette in discussione i criteri
chiedendo una nuova votazione. Ma se l’acCommissione europea pensa
cordo fosse ancora imposinvece che tocchi agli Stati
sibile da raggiungere, l’esemembri «assumersi le proprie
cutivo europeo potrebbe
responsabilità», come ha sodecidere autonomamente
stenuto ieri il portavoce,
di rinnovare il permesso di
Alexander Winterstein. D’alutilizzo del glifosato per altronde, aveva puntualizzato
tri 18 mesi. Oppure, al conqualche giorno fa il commissatrario, potrebbe scegliere
rio europeo alla Salute, Vytedi negarlo e in questo caso
nis Andriukaitis, l’esecutivo
gli Stati membri avrebbero
Ue può approvare «solo la soun massimo di 6 mesi per
stanza, il principio attivo, ma
esaurire le scorte ancora in
poi gli Stati membri hanno la
vendita e un massimo di
possibilità di bandirli e limitar18 mesi, in totale, per fare
ne l’uso, non devono nasconuso di quelle già acquistadersi dietro la decisione della
te. In ogni caso, la decisioCommissione europea». Se ne
ne andrà presa entro il
discuterà ancora oggi a Straprossimo 30 giugno, quansburgo, nella riunione del coldo scadrà l’attuale autorizlegio dei commissari europei.
zazione.
Anna Maria Merlo
PARIGI
I
DÉBÂCLE · La previsione
Bankitalia taglia le stime sul Pil
Mirco Viola
S
e le elezioni non sono andate
troppo bene per il partito al
governo, ieri si è aggiunta la
doccia gelata sulle previsioni economiche: la Banca d’Italia ha ridotto pesantemente le stime di crescita per quest’anno. Secondo le
«Proiezioni macroeconomiche per
l’economia italiana» di via Nazionale, quest’anno il Prodotto interno lordo crescerà solo dell’1,1% (invece dell’1,5% previsto in genna-
Dopo i dati elettorali
arriva anche la «doccia»
economica a gelare il
governo. Un po’ meglio
il trend occupazionale
io), mentre l’anno prossimo l’aumento sarà dell’1,2% (la precedente previsione era stata sempre
dell’1,5%). Nessun balzo nel 2018,
che secondo le stime dell’istituto
guidato da Ignazio Visco dovrebbe
restare stabile sul +1,2%.
Le stime riviste al ribasso, spiegano da Bankitalia, riflettono «soprattutto un più debole andamento
dell’economia mondiale». Male anche l’inflazione, almeno per
quest’anno, nonostante i bazooka
messi in campo dal "governatore
dei governatori", il presidente della Bce Mario Draghi: l’aumento dei
prezzi rimarrebbe in Italia ancora
pari a zero nella media del 2016,
per poi risalire solo gradualmente
(allo 0,9% nel 2017 e all’1,5% nel
2018)». Questo andamento dell’inflazione «riflette sia il contributo
della componente importata sia
quello dei prezzi interni, trainati soprattutto dalla ripresa ciclica dei
margini di profitto. Al netto della
componente energetica, l’indice
dei prezzi al consumo aumenterebbe dello 0,6% nel 2016, dell’1% nel
2017 e dell’1,5% nel 2018».
Buone notizie (almeno sul piano
della stretta statistica) dal fronte
dell’occupazione: secondo le previ-
Stallo sul glifosato, palla a Bruxelles
«L’
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
HOTSTOP
pagina 11
MIGRANTI · Verrà presentato a Strasburgo: sulla carta 62 miliardi per lo sviluppo. Si comincia con 7 paesi. L’Ue a Vienna: «L’Australia non è un modello»
Oggi il migration compact per l’Africa
il governo di Canberra confina i profughi in campi allestiti su due isole del Pacifico dai
quali per loro è impossibile allontanarsi e dove, stando a
molte denunce, sono vittime
di violenze di ogni genere.
«La politica (europea, ndr)
sull’asilo e i profughi è pienamente in linea con le leggi e
convenzioni internazionali e
con il principio di non respingimento e questo non cambierà», ha concluso il portavoce.
Vienna comunque non
sembra avere nessuna intenzione di abbandonare politiche e iniziative contro i migranti. Dopo aver completato
i lavori preparatori all’innalzamento di una barriera al Brennero, dove ha schierato anche 80 poliziotti, ieri ha annunciato di voler avviare la costruzione di barriere analoghe anche ad altri valichi con
l’Italia e la Slovenia. Si tratterebbe, proprio come ha fatto
al Brennero, di recinzioni preventive, da innalzare solo in
caso di nuovi arrivi di migranti, ha spiegato il portavoce della polizia, Rainer Dionisio.
I valichi in questione sono
quello di Thoerl-Maglern, al
confine austro-italiano dove
potrebbe essere aggiunta una
recinzione. E quello nei pressi del traforo Caravanche, che
collega la Slovenia con l’Austria.
Leo Lancari
ROMA
U
na nuova risoluzione
che permetta di allargare i compiti della
missione europea Sophia in
acque territoriali libiche, E’
quanto ha chiesto ieri il capo
della diplomazia Ue Federica
Mogherini al consiglio di sicurezza dell’Onu. Si tratta di un
passaggio che segna un ulteriore salto di qualità nei compiti della missione e che prevede sia l’addestramento della guardia costiera libica, per
la quale sono già pronte otto
motovedette italiane, che un
controllo sul rispetto dell’embargo di armi destinate alle
milizie. «La scorsa primavera
il Consiglio è stato unanime
nel dare il via all’operazione
navale che ha consentito di
salvare decine di migliaia di
vite umane, sequestrare centinaia di asset e portare i trafficanti davanti alla giustizia»,
ha spiegato ieri Mogherini intervenendo a New York.
Un altro passo della strategia europea per arginare il
flusso di migranti sci sarà oggi a Strasburgo, dove Mogherini presenterà insieme al vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans il migration compact
per l’Africa: 62 miliardi di euro di investimenti privati nel
medio e lungo termine, per
«pacchetti su misura» soprattutto per i Paesi africani, con
l'obiettivo di combattere le
cause alla radice dei flussi migratori e negoziare accordi
per i rimpatri. Sette i paesi
con cui verranno avviati i primi progetti: Etiopia, Eritrea,
Niger, Nigeria, Mali, Libano e
Mogherini all’Onu:
«Una risoluzione
per ampliare
la missione
europea in Libia»
Giordania. Il lavoro è già stato avviato con tutte le capitali, in particolare con Niamey
ed Addis Abeba. Nell'immediato si punta ad utilizzare
1,8 miliardi del Fondo per
l'Africa, ai quali la Commissione europea aggiungerà 500
milioni dal budget Ue, con la
prospettiva che gli Stati membri ne diano almeno altrettanti, ma possibilmente raddoppino l'intera cifra. Nel contenitore confluiranno anche
fondi per i profughi e la cooperazione già esistenti.
La proposta legislativa vera
e propria sul piano globale di
investimenti arriverà comunque ad ottobre. Il controllo
dei flussi migratori sarà il punto centrale attorno al quale
ruoteranno le intese con i Paesi terzi, e potrà essere anche
una delle ragioni per negare
benefici commerciali o privilegi sui visti.
Ieri intanto l’Unione europea ha rispedito al mittente la
proposta avanzata domenica
dal ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz di concentrare e trattenere i migranti su alcune isole dalle quali
non potrebbero muoversi.
«Come fecero gli Stati uniti a
Ellis Island o come fa oggi
l’Australia», ha spiegato in
un’intervista l’esponente del
partito popolare. Esempi, specie quest’ultimo, che non sono piaciuti a Bruxelles. «Abbiamo una chiara posizione
sul modello australiano: non
è un esempio da seguire per
l’Ue», ha spiegato un portavoce della Commissione europea.
In contrasto a quanto previsto dal diritto internazionale,
MIGRANTI NEL PORTO DI TRIPOLI LAPRESSE
MIGRATION COMPACT
Il rischio di un modello neo-coloniale
DALLA PRIMA
Gian Paolo Calchi Novati
Grazie all’iniziativa italiana,
già sottoposta all’attenzione dei Grandi e sommariamente approvata in sede di G7 in
Giappone, l’Unione europea se ne
occuperà in uno dei prossimi vertici e adotterà una risoluzione. Poco
importa se sarà poco più di un esercizio fine a se stesso, espresso in diplomatichese e pronto per qualche archivio. È anche così che i Farage e i Salvini di tutto il continente, che aizzano senza scrupoli paura e xenofobia, finiscono per dare
l’impressione di detenere il monopolio della rappresentanza di chi –
abbandonato o trascurato dalla sinistra, sia quella di governo sia
quella che stando alla vulgata renziana vuole solo perdere – subisce
più direttamente le criticità proprie delle migrazioni (l’abbassamento dei salari, il degrado delle
periferie, la scuola).
A prima vista, per chi ricorda i
precedenti nelle relazioni fra l’Europa e i paesi del Sud, il Migration Compact rievoca le Convenzioni di Yaoundé con i seguiti di
Lomé e Cotonou man mano che
aumentava il numero degli stati
membri della Cee o, se si preferisce, l’ambizioso partenariato euro-mediterraneo che venne chiuso per acclarata impotenza proprio nel momento in cui ce ne sarebbe stato più bisogno. L’Italia
diede il suo bravo contributo al
fallimento del Patto di Barcellona
non cogliendo l’occasione per
un’intesa con la Francia che,
scontentando per una volta la
Germania, avrebbe spinto l’Europa a volgere uno sguardo prioritario al Mediterraneo invece che
sempre e solo all’Europa orientale (un punto su cui Renzi è tornato in uno dei passaggi più felici
della sua allocuzione alla Conferenza ministeriale Italia-Africa
che si è tenuta il 18 maggio scorso alla Farnesina con la collaborazione dell’Ispi). Allora si trattava,
è vero, della Francia di Sarkozy,
con cui Prodi non aveva feeling,
ma poteva essere il momento
buono per porre un termine alla
rivalità competitiva nel Mare Nostrum fra Italia e Francia che risale ai tempi di Cairoli e Mancini.
Dopo tutto, il disonore non è tutto da una parte sola visto che l’impresa di Suez nel 1956 fu opera
del socialista Guy Mollet.
Il tema attorno a cui è costruita
la proposta dell’Italia, valida soprattutto per l’Africa, con una preferenza per il Sahel e in via subordinata per il Corno (per il Medio
Oriente sarebbe necessaria la luce
verde dell’America), si può riassumere nella formula «più sviluppo
e meno emigrazione in direzione
dell’Europa attraverso il Mediterraneo». Poco importa che i migranti africani entro gli spazi del
continente Africa, sebbene diminuiti di un terzo negli ultimi 15 anni, siano ancora il doppio degli
africani che sono arrivati e arrivano in Europa. Salvo che per i popoli del Maghreb, la prima meta
degli emigranti africani è l’Africa.
L’Europa viene seconda. Si calcola che all’Italia toccherà il 16 per
cento di tutti gli arrivi.
La logica della «cooperazione»
La logica della cosiddetta «cooperazione» che viene riproposta
oggi è sempre la stessa: crescita
economica bilanciata, preservazione delle risorse naturali e riduzione della povertà. Ma è difficile
credere che all’Europa riesca
nell’era della globalizzazione l’impresa di «sviluppare» l’Africa non
riuscita né durante il colonialismo, nemmeno negli anni del cosiddetto “colonialismo liberale”
in prossimità dell’indipendenza
pensando agli appetiti se non ai
cuori dei dirigenti che di lì a poco
avrebbero comandato, né quando, divenuta ormai effettiva la sovranità dei singoli stati africani, si
passò al neo-colonialismo cercando di arruolare l’Africa alla causa
del «mondo libero» sui vari fronti
della guerra fredda.
Le vecchie ricette sembrano destinate una volta di più a fallire. A
differenza dell’Asia, l’Africa deve
ancora iniziare la sua rivoluzione
industriale e lascia uno spazio eccessivo all’informale. I «leoni»
con un tasso di crescita annua
del Pil a due cifre non possiedono le stesse chances di decollare
delle «tigri». Gli investimenti e gli
aiuti che l’Occidente ha fornito e
che potrebbe fornire l’Europa di
un ipotetico nuovo patto per
scongiurare l’emigrazione sono
rivolti ad attività, in primis le risorse minerarie, che rischiano di
lasciare intatte le strutture della
produzione e quindi della società. Vedremo se l’Italia riuscirà a
trascinare l’Europa dei 28 a concentrarsi sull’energia rinnovabile
o l’agro-alimentare come il premier e il ministro Gentiloni hanno doverosamente prospettato
nella Conferenza di Roma.
L’incognita è rappresentata dai
tanti giovani senza lavoro o minacciati nelle loro libertà che indugiano in Libia aspettando di
compiere l’ultimo balzo o stanno
attraversando il Sahara fra i tanti
ostacoli della militarizzazione o figurano in una lista d’attesa immaginaria che tiene conto delle
generazioni e dello spirito d’iniziativa. Il brain drain è una specie di sottoprodotto dell’urbanizzazione massiccia che caratterizza la congiuntura africana. I poveri hanno meno opportunità di
muoversi e hanno la tendenza a
fermarsi appena possibile, dentro o fuori il paese o il continente
di provenienza.
Il Migration Compact tiene distinti gli emigranti economici dagli emigranti per eventi bellici (riprende la differenza anche Renzi
nella lettera di accompagnamento) ma sorvola sulla natura dei governi a cui toccherebbero gli aiuti. E non si parla solo dell’Egitto
di al-Sisi, che è bastato da solo a
demistificare tutti i buoni sentimenti sentiti in Europa in coincidenza con le Primavere arabe solamente cinque anni fa.
Il prezzo delle nostre guerre
La «buona condotta» elevata a
condizione per continuare a usufruire degli aiuti dell’Unione europea
verrà misurata anche negli aspetti
più scabrosi? Alcuni degli stati menzionati sembrano recipienti virtuali
di emigrazioni a livello regionale
(l’Etiopia o il Senegal, per esempio)
più che propagatori dell’esodo.
All’origine di tutto, comunque, ci sono colpe che non risparmiano nessuno. Due emigranti su tre sono il
prezzo di guerre iniziate da Usa e
Europa senza un piano adeguato
per il «dopo» (senza parlare qui dei
secondi fini di tanti processi di regime change). I paesi con un più alto
tasso di immigrati – Turchia, Pakistan e Libano – sono tutti confinanti con teatri di guerra.
Se la governance è insoddisfacente ed è necessaria dunque la
cooperazione dell’Europa nel senso del capacity building, gli stati
africani - anche per la funzione
MIGRANTI · Accordo Svizzera-Turchia per la riammissione
Nell'ambito del patto migratorio tra l'Ue e la Turchia, la Svizzera sta negoziando
un accordo di riammissione con Ankara. Berna spera di concludere il negoziato
entro la fine del 2016. L'intesa servirà anche ad affrontare la questione della
liberalizzazione dei visti e se dovesse realizzarsi la Svizzera sarebbe tenuta ad
aderirvi poiché si tratta di uno sviluppo di Schengen, ha spiegato ieri in parlamento il ministro elvetico della Giustizia Simonetta Sommaruga. In quest'ottica,
la Svizzera - che fa parte della zona Schengen anche se non è paese membro
dell'Ue - sta attualmente trattando con la Turchia un accordo analogo a quello
concluso tra Bruxelles e Ankara. «Dopo due round di trattative nel 2015, Berna
ha sottoposto una proposta di testo finale alle autorità turche», ha dichiarato la
responsabile del Dipartimento federale di giustizia e polizia. Il governo svizzero
«si aspetta che questo accordo possa essere firmato ancora nel corso di
quest'anno», ha aggiunto il ministro.
storica del confine in Africa, un
confine-area più che un confine-linea - hanno un problema che riguarda appunto la natura dello
stato non in un dettaglio ma nel
principio primario della sovranità
e del controllo effettivo del territorio. Pretestuoso o meno, il ribellismo di tutti i generi, e naturalmente le filiazioni in loco di al-Qaida e
del Califfato, si accreditano denunciando la «ricolonizzazione»
che sarebbe in atto (ecco ancora
la Francia, Hollande dopo
Sarkozy, senza apprezzabili differenze). A Bamako come a Ouagadougou i primi a intervenire dopo
gli attentati negli alberghi frequentati da occidentali sono stati i soldati francesi. Nel documento italiano si cita formalmente come
un esempio da seguire il G5 del
Sahel che ha ricompattato attorno alla Francia i suoi alleati della
regione più fidati (convincendo a
collaborare persino la Nigeria sotto la minaccia di Boko Haram).
Il giusto approccio di ogni forma di co-sviluppo, che implica di
muovere in continuazione il capitale e il lavoro, non è di bloccare
l’emigrazione ma di regolare la
circolazione e il ritorno di chi si
muove. Le rimesse sono ormai
anche in Africa maggiori dell’aiuto internazionale. Altrettanto importante è il ritorno nel paese
d’origine (tutt’altra cosa rispetto
al respingimento o al rimpatrio
d’ufficio) del «capitale sociale»
rappresentato da chi all’estero ha
acquisito nuove esperienze e nuove capacità. Un documento incluso nell’Agenda 2030 dei Millennium Development Goals che impegnerebbe tutti riconosce il
«contributo positivo dell’emigrazione per una crescita inclusiva e
uno sviluppo sostenibile». Anche
un testo congiunto di europei e
africani sottoscritto dall’Europa e
quindi dall’Italia nel quadro della
Convenzione di Cotonou, che
raggruppa anche paesi del Pacifico e dei Caraibi, indica come programma comune un miglioramento delle condizioni di lavoro
degli immigrati e l’apertura di canali legali per i flussi correnti.
pagina 12
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
INTERNAZIONALE
L’ARRESTO DELL’ESTREMISTA DI DESTRA FRANCESE IN UCRAINA /AP
USA · La California potrebbe scegliere Sanders
Porto Rico a Hillary
vicina ai 2.383 delegati
Luca Celada
LOS ANGELES
B
UCRAINA · Fermato al confine con la Polonia: «Voleva colpire Euro 2016»
Tritolo e armi, arrestato
francese di estrema destra
Guido Caldiron
T
re lanciagranate, sei kalashnikov, un ampio stock di
munizioni, più di 120 kg di
tritolo e dei detonatori. Era un vero e proprio arsenale quello che
un francese di 25 anni, vicino agli
ambienti dell’estrema destra, aveva raccolto molto probabilmente
per compiere degli attentati in occasione dei campionati europei di
calcio che si apriranno venerdì a
Parigi. Gregoir M., del giovane è
stato reso noto solo il nome, aveva
stipato armi ed esplosivi sulla sua
auto con la quale si apprestava a
mettersi in viaggio dall’Ucraina alla volta della Francia, quando lo
scorso 21 maggio, ma la notizia è
stata resa nota solo ieri, i servizi di
sicurezza di Kiev lo hanno fermato poco prima che varcasse il confine con la Polonia.
«Voleva colpire durante l’Euro
2016 e aveva già pianificato qualcosa come 15 possibili attentati»,
ha spiegato Vassyl Hrytsak responsabile della Sbu, l’intelligence
ucraina. Interrogato dagli agenti,
sempre secondo le fonti locali,
L’uomo avrebbe
manifestato la sua
violenta
opposizione alla
politica del governo
sull’arrivo di
stranieri in Francia
l’uomo avrebbe manifestato la
sua violenta opposizione «alla politica del governo sull’arrivo di stranieri in Francia, la diffusione
dell’Islam e la globalizzazione».
Tra i suoi possibili obiettivi, ci sarebbero state moschee e sinagoghe, ma anche edifici istituzionali
della République.
Appresa la notizia, le forze
dell’ordine francesi hanno effettuato una perquisizione nella casa
dell’arrestato, una fattoria di Nant
le Petit, non lontano da Nancy,
nel dipartimento della Mosella dove, a detta del quotidiano locale
L’Est Républicain, sono stati rinvenuti «esplosivi e una t-shirt di un
movimento di estrema destra».
L’auto su cui viaggiava Gregoir M.
è stata intercettata al posto di frontiera di Yagodyn, nella regione di
Loutsk, lungo la strada che conduce alla città polacca di Lublino.
Una zona nota per essere attraversata dalla rotta del contrabbando
di sigarette e di armi.
Su di lui la Sbu indagava in realtà da mesi: fin dal dicembre dello
scorso anno il giovane, sconosciuto fino a quel momento sia alla polizia transalpina che a quella di
Kiev, si era infatti fatto notare nelle regioni orientali dell’Ucraina
presentandosi come un volontario intenzionato a sostenere l’esercito e i rifugiati provenienti dalle
regioni oggi controllate dai filo-russi. «Ha preso contatto con alcune unità militari e promesso il
suo aiuto, ma si è interessato in
modo particolare alla possibilità
di acquistare armi ed esplosivi»,
ha precisato Vassyl Hrytsak.
Insieme all’ipotesi terroristica,
o in combinazione con questa, gli
inquirenti stanno perciò prendendo in esame anche quella del traffico internazionale di armi, collega-
to agli ambienti dell’estrema destra francese come ucraina. Il giovane non era infatti al suo primo
viaggio nel paese ed ora si stanno
cercando di rintracciare coloro
che avevano in passato effettuato
il medesimo tragitto insieme a lui.
In attesa che venga estradato
verso Parigi, una domanda in tal
senso è già stata presentata alle autorità ucraine, a Parigi ci si comincia ad interrogare inoltre sulla reale pericolosità non solo di questo
giovane, ma anche delle decine di
militanti dell’estrema destra e degli ambienti neonazisti europei
che hanno raggiunto le due fazioni ucraine in guerra: dei «foreign fighters» dell’internazionale nera
sfuggiti spesso ad ogni controllo.
Nel caso francese si sarebbe trattato, e forse si tratterebbe ancora
oggi di una trentina di persone,
più o meno equamente divise tra
le forze fedeli a Kiev e le milizie
pro-russe che hanno combattuto
a Donetsk e Lugansk. Giovani
estremisti, talvolta con qualche
esperienza nell’esercito che nel
primo caso hanno finito per integrare il famigerato battaglione
Azov, controllato dai neonazisti locali di Pravy Sektor, che dallo scorso anno è entrato a far parte a pieno titolo delle forze armate ucraine, mentre nel secondo si sono ritrovate sotto la sigla del gruppo
Unité Continentale, che ha raccolto qualche militante delle Jeunesses identitaires come del movimento skinhead Troisieme Voie,
sostenitori di Putin e dei combattenti neri presenti nel Donbass.
ernie Sanders ha chiuso la
campagna in California
con un concerto-comizio
a San Francisco a cui sono intervenuti Fishbone, Dave Matthews, Cornel West, Shailene Woodley e Danny Glover. Hillary da
Los Angeles ha risposto con Christina Aguilera, John Legend, Ricky Martin e Stevie Wonder.
Col voto di oggi in sei stati (California, New Jersey, New Mexico, Sud e Nord Dakota , Montana) si concludono le primarie
presidenziali. Tecnicamente rimarranno da assegnare gli ultimi
45 delegati democratici di
Washington Dc martedì prossimo ma di fatto Hillary Clinton
raggiungerà oggi i
2.383 delegati necessari a sancire la
sua candidatura.
La soglia verrà probabilmente
raggiunta nella notte
italiana
quando
verranno conteggiati i voti del New
Jersey (prima a votare sulla coste
est). Con le ultime
due vittorie messe a segno nel fine settimana, nei «territories»
delle minuscole Virgin Islands e
di Porto Rico Hillary si è portata ad un soffio dal numero necessario e le mancano ora non
più di una trentina di delegati
per acciuffare la nomination.
Da questo punto di vista le votazioni di oggi saranno in gran
parte simboliche - il che non
vuole dire irrilevanti.
In particolare il risultato in California, con i suoi oltre 500 delegati in palio avrà un peso determinante in queste elezioni che
hanno esplicitato una scissione
interna nel partito democratico
fra corrente istituzionale e quella
progressista risvegliata da Bernie
Sanders. Nello stato più popoloso, ottava economia mondiale
che demograficamente presagisce il futuro d’America, Sanders
ha rimontato da una ventina di
punti di svantaggio per giungere
oggi alla parità statistica fotografata dai sondaggi. Mentre Hillary
conta sui segmenti ispanici e
afroamericani con cui la famiglia
a storici legami, Sanders ha un
impressionate vantaggio fra i giovani. Gli elettori under 40 preferi-
sono il socialista del Vermont
con un impressionante margine
di 5-1. Un dato che permette al
senatore di affermare con qualche giustificazione di rappresentare il futuro del partito.
Se Sanders dovesse spuntarla
e battere nello stato più popoloso la candidata Clinton, pur nel
momento in cui viene «incoronata», sarebbe non solo assai imbarazzante ma legittimerebbe la richiesta di aprire una vera trattativa durante la convention di luglio a Philadelphia. Sanders potrebbe teoricamente chiedere
che venisse rimessa in discussione la ripartizione dei «super delegates» assegnati dal partito in
gran maggioranza ad Hillary ed
eventualmente la stessa nomination. Sarebbe un anomalia ma
non certo la prima
di questa elezione
anomala.
Al minimo una
vittoria californiana rafforzerebbe la
mano dei progressisti nella trattativa
per il programma
politico che si dovrà stilare a Philadelphia. Sanders
potrebbe insistere
su istanze come un minimo salariale e l’università gratuita nella
«platform» ed eventualmente
partecipare alla selezione del
candidato vicepresidente. Incidere cioè con più forza sulla direzione futura del partito e se, come
dice Sanders, questo debba rappresentare gli interessi di Wall
Street o dei lavoratori.
Mentre la battaglia per l’anima politica dei democratici è ancora da definire, in campo repubblicano prosegue il tragitto paradossale di Donald Trump che ormai candidato in pectore sembra fare di tutto per incrinare la
fragile coalizione che appoggia a
malincuore la sua candidatura
populista. La sua ultima battaglia lo vede impegnato contro il
magistrato che lo ha rinviato a
giudizio per l’affare «Trump University» (corsi di vendite immobiliari che con la promessa di fabbricare miliardari hanno spremuto centinaia di migliaia di dollari
a clienti ignari). Trump ha chiesto che il giudice istruttorio venga squalificato in quanto «messicano» (è figlio di immigrati) e
quindi prevenuto contro un «costruttore di muri» sul confine.
VENEZUELA · A Caracas anche Zapatero, mentre si moltiplicano le iniziative del «socialismo territoriale»
Maduro insiste nel chiamare al dialogo l’opposizione
Geraldina Colotti
INVIATA A CARACAS
S
iamo nella città di Guarenas, municipio Plaza, nello stato di Miranda. Un
bastione del chavismo, dove si è svolta una delle manifestazioni «contro le ingerenze imperialiste». Il consenso, però, qui
appare incrinato. Dalle finestre pendono
magliette e bandiere chaviste, ma anche
quelle gialle e nere del partito Primero Justicia e della Mud. Qualcuno batte sulle
pentole: così si fa sentire la protesta di opposizione. Il corteo passa fra due ali di palazzoni. Sfilano tanti bambini, molti dei
quali piccolissimi, tenuti in braccio dalle
mamme. E all’improvviso ecco la sassaiola: una pietra sfiora la testa del piccolo che
ci sta davanti, un’altra manca la cronista.
Davanti a un portone, alcuni individui insultano le ragazze, fanno gesti volgari, cercano di provocare. I manifestanti rispondono col pugno chiuso, cantano «El pueblo
unido, jamas sera vencido». Una ragazzina
afrodiscendente suona la tromba, dirige
un quartetto di marcantoni che avanza sotto il sole del pomeriggio. «Altroché dialogo
– dice vicino a noi la giovanissima Gaudy –
questi cercano lo scontro. A tirare pietre sono gli stessi che usufruiscono dei diritti acquisiti con la rivoluzione: che perderanno
se torna il capitalismo».
Per questo, il chavismo sta moltiplicando le iniziative: distribuzione di alimenti
casa per casa «con finalità politiche, non
solo economiche» (i Clap), raccolta di progetti di autogestione produttiva ed ecologica, orti urbani, nuovo impulso alle Misio-
PERÙ · Ballottaggio al fotofinish: è in vantaggio Kuczynski
Ballottaggio al fotofinish in Perù. Domenica gli elettori hanno votato per eleggere il presidente che sostituirà Ollanta Humala, scegliendo fra due candidati di destra: quella più estrema, rappresentata da Keiko
Fujimori, figlia dell'ex dittatore in carcere per violazione ai diritti umani, e quella modello Fmi, dell'ex banchiere Pedro Kuczynski, detto “el gringo”. La prima ha corso dietro la sigla Fuerza Popular (Fp), il secondo
con Peruanes por el Kambio (Pkk), nome scelto in base alle iniziali del suo nome. Al momento in cui scriviamo, con oltre il 90% delle schede scrutinate, Kuczynski è in vantaggio per circa 130.000 voti. A decidere il voto, nei prossimi giorni, sarà il conteggio dei 900.000 elettori all'estero, su un totale di 23 milioni
di aventi diritto. Al primo turno Kuczynski aveva ottenuto solo il 21% dei voti contro il 39% di Fujimori, ma
ha ricevuto il sostegno di Veronika Mendoza, la candidata di sinistra arrivata terza ad aprile. (ge.co.)
nes e agli «organismi del potere popolare»:
il «socialismo territoriale». Intanto, si lavora a livello di governo, sia in campo economico che diplomatico. Maduro insiste nel
chiamare al dialogo l’opposizione. Nella
Repubblica Dominicana, la ministra degli
Esteri Delcy Rodriguez sta organizzando il
secondo incontro. In questi giorni è a Caracas l’ex presidente spagnolo José Zapatero,
che insieme ad altri ex capi di stato sta conducendo i negoziati sotto l’egida di Unasur. Zapatero ha incontrato in carcere il leader oltranzista di Voluntad Popular, che ha
ribadito la propria intransigenza.
La magistratura ha però accolto alcuni
argomenti della sua difesa nell’istruzione
del processo d’appello per le violenze del
2014, che hanno provocato 43 vittime e
850 feriti. E qualche analista di opposizione suggerisce che sul piatto dei negoziati
potrebbe esserci la liberazione di Lopez in
cambio di un rinvio del referendum revocatorio contro Maduro. Se la consultazione
si svolge l’anno prossimo e Maduro la perde, a portare a termine il mandato sarà comunque il vicepresidente Aristobulo Isturiz. La settimana scorsa c’è stato un pronunciamento del Comitato permanente
dell’Osa: a favore del dialogo e contro l'intenzione del Segretario generale Luis Almagro di applicare al Venezuela la Carta democratica interamericana, che prevede la
sospensione dall’organismo e sanzioni.
Un intervento chiesto dall’opposizione, in
UNA
MANIFESTAZIONE
IN VENEZUELA
CONTRO IL
GOVERNO
MADURO, IN ALTO
A DESTRA HILLARY
CLINTON
/LAPRESSE
primo luogo dal presidente del Parlamento Ramos Allup. Sabato, si è schierato con
Maduro il VII Vertice dell'Associacione degli Stati caraibici, un organismo che pesa
nelle relazioni del continente. Da Cuba, sede del vertice, il presidente Raul Castro ha
pronunciato un duro discorso contro l'Osa
e ha espresso un sostegno deciso alla rivoluzione bolivariana.
Almagro, però, mantiene le sue intenzioni, e una riunione d’emergenza potrebbe
svolgersi da qui al 20 giugno: alla presenza
di Allup, che il chavismo vuole denunciare
per tradimento. Nel chiedere l’intervento
esterno contro il suo stesso paese, Ramos
Allup si è però attirato molte critiche anche nel suo campo. Dalla Spagna, al Canada, dal Brasile all'Italia, le sinistre e i movimenti scendono in campo a favore della sovranità del Venezuela.
Oggi alle 18,30 (Piazza Vidoni, a Roma)
si svolge una manifestazione contro il rischio che un intervento armato trasformi il
Venezuela nella nuova Siria. A promuoverla Rete «Caracas ChiAma», Usb, Rete dei
Comunisti, Collettivo Militant, Rete No
War Roma; Alianza País, Red de Amigos de
la Revolución Ciudadana, Comitato Immigrati Italia; Jvp Sri Lanka, Redcan, Umangat. Fra le adesioni: la Rivista LatinoAmerica di Gianni Minà, l’Associazione di Amicizia Italia-Cuba, il Pcdi, i Carc, il Csoa Terra
Rossa di Lecce, Albainformazione, Anros
Italia, Comitato Palestina nel cuore, Asia,
Per non dimenticare Sabra e Chatila, La Villetta, Associazione Italia-Nicaragua... Non
ci saranno bandiere di appartenenza, sventoleranno solo quelle dei popoli, per dire:
«che la battaglia è comune, la difesa del Venezuela è anche la difesa dei nostri diritti».
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
MEDIO ORIENTE
pagina 13
SIRIA/THE TIMES
«Sul campo
combattono
anche forze
britanniche»
MILIZIE SCIITE ALLA PERIFERIA NORD DI FALLUJA FOTO LAPRESSE
IRAQ/ISIS · Migliaia di sunniti attraversano l’Eufrate per evitare la battaglia finale
Fuga a nuoto da Fallujah
Chiara Cruciati
L
a gente scappa, le case vengono occupate: ci sono i cecchini
dello Stato Islamico, nascosti
nelle abitazioni dei civili. Ma non
sparano contro le truppe di Baghdad ancora fuori da Fallujah. Sparano su chi prova a lasciare il cuore
della città, terrorizzato dalla prossima guerriglia urbana tra islamisti e
esercito governativo.
Chi può scappa in ogni modo possibile. Anche sull’acqua: ieri alcuni
video pubblicati online mostravano
centinaia di donne, uomini, bambini attraversare il fiume Eufrate a
nuoto, su imbarcazioni di fortuna o
a bordo di frigoriferi e credenze.
I medici dell’ospedale al-Amariya
parlano già di vittime: sarebbero 18
le persone annegate, tra loro 7 bambini e 3 donne. Alcuni non ce l’hanno fatta a nuotare verso l’altra sponda, altri sono stati abbattuti dai colpi di fucile dello Stato Islamico. Lo riporta il Norwegian Refugee Council: «Le nostre peggiori paure sono
state confermate - dice il responsabile in Iraq, Nasr Muflahi - Civili sono
stati colpiti mentre fuggivano. Uomini, donne, bambini innocenti che
hanno dovuto lasciar dietro tutto
pur di salvare la propria vita».
Se nel centro della città restano
50mila persone, il 16% dei 300mila
residenti originari, sono 18mila quelli che in due settimane hanno rag-
Timori di vendette
delle milizie sciite
che, con l’esercito
iracheno, tengono
in mano la periferia
giunto i campi allestiti da Baghdad
fuori da Fallujah: «Daesh ci sparava
mentre fuggivamo da sud - racconta una donna di 60 anni - Potevamo
sentire il fischio delle pallottole sopra le nostre teste». «L’Isis aiuta le famiglie dei propri miliziani a fuggire,
ma blocca i poveri come noi», aggiunge una 25enne appena arrivata
nel campo di Amriyat al-Fallujah.
E c’è chi, per dare la misura della
preoccupazione che sta investendo
il «califfato», racconta di come molti
miliziani si stiano radendo le barbe
per confondersi tra i civili una volta
che l’esercito iracheno sarà entrato.
La morte, a Fallujah, è dietro l’angolo. È nelle strade, con gli islamisti
che hanno blindato la città con mine anti-uomo, tunnel, trincee e cecchini sui tetti. È sull’Eufrate. È alle
porte della città dove la minaccia i
civili non la vedono più nell’Isis ma
nelle milizie sciite a supporto
dell’esercito iracheno. Sono tanti
quelli terrorizzati all’idea che si ripeta quanto successo a Tikrit e in altre
aree sunnite liberate lo scorso anno:
rappresaglie e vendette contro la comunità da parte di chi dovrebbe liberarla.
Per questo le tribù sunnite locali,
che hanno messo a disposizione i
propri uomini per liberare Fallujah
dalla morsa islamista, chiedono al
governo centrale di allontanare le
milizie sciite, farle retrocedere per
evitare un ampliamento di quei settarismi interni che hanno frammentato il paese. Il premier al-Abadi ci
ha già pensato e domenica ha ordinato all’esercito di mettersi in prima
linea, mentre l’Ayatollah al-Sistani,
massima figura religiosa sciita del
paese, ha emesso linee guida per regolare la condotta dei combattenti e
impedire gli abusi.
L’avanzata, comunque, prosegue:
Fallujah è quasi del tutto circondata, le vie di rifornimento dell’Isis del
tutto bloccate e la brutale resistenza
degli islamisti usa ogni mezzo – dalle violenze indiscriminate contro la
popolazione all’uso di ordigni nascosti lungo strade e ponti – pur di
frenare la controffensiva.
E mentre si combatte emergono
le ennesimi fosse comuni, marchio
di fabbrica del “califfato”: 400 i corpi ritrovati ieri dalle truppe di Baghdad, soldati e civili giustiziati con
colpi alla testa tra il 2014 e il 2015
nella zona di Saqlawiya, a nord di
Fallujah. Scene simili a quelle che
hanno accompagnato la liberazione
di Tikrit, Sinjar, Ramadi. Ma Fallujah è una situazione speciale.
A renderla tale non è solo la sua
posizione geografica (a metà strada
tra Ramadi, capoluogo dell’Anbar, e
la capitale Baghdad), ma la sua storia: qui sono morti buona parte dei
soldati statunitensi uccisi in Iraq nel
luogo simbolo della resistenza sunnita all’occupazione Usa; qui
Washington ha usato fosforo bianco
e devastato migliaia di case, minareti e edifici, costringendo alla fuga decine di migliaia di civili. Qui il nuovo
governo sciita post-Saddam ha coltivato la sua vendetta e la discriminazione politica ed economica contro
la comunità sunnita; qui le proteste
sunnite sono esplose, 10 anni fa,
contro il nuovo esecutivo Maliki che
ha smantellato le reti economiche e
impedito la ricostruzione.
E qui, nella città delle 200 moschee, l’Isis con l’aiuto di ex baathisti e tribù locali ha iniziato la propria avanzata nel paese, prima città
ad essere occupata, mesi prima della caduta di Mosul.
Non solo statunitensi:
nei campi di battaglia
siriani ci sarebbero
anche soldati britannici. The Times cita il
capitano Mahmoud
al-Saleh, comandante
del New Syrian Army,
gruppo di opposizione
nato a novembre per
volere della Cia e formato da unità
dell’Esercito Libero
Siriano: militari di Londra starebbero combattendo al fianco dei
ribelli, non limitandosi
all’ufficiale addestramento. Si troverebbero nel villaggio
sud-orientale di
al-Tanf, a poca distanza dai confini di Iraq e
Giordania.
Una situazione simile
a quella dipinta una
settimana fa a nord
della Siria: soldati Usa
impegnati sul terreno
con le Forze Democratiche Siriane (federazione di kurdi, arabi,
assiri e turkmeni), che
hanno lanciato pochi
giorni fa la controffensiva su Raqqa. Con
lentezza, le operazioni
procedono lungo tutta
la frontiera turco-siriana: ieri le Sdf hanno
circondato su tre lati
la città di Manbij, occupata dall’Isis, tagliando il collegamento con Jarabulus.
Si rafforza dunque la
posizione delle forze
kurde, escluse dal negoziato di Ginevra. Per
inserirle ieri l’ambasciatore russo all’Onu
Churkin ha riferito di
pressioni su Europa e
Nazioni Unite per «risolvere la questione
dovuta alla politica
egoistica e distruttiva
di Ankara in Siria».
ch. cru.
BAQAA CAMP, SEDE DELL’INTELLIGENCE GIORDANA COLPITA IERI LAPRESSE
GIORDANIA · Il governo: «Attacco degli islamisti»
Assalto a sede intelligence
almeno sei le vittime
Michele Giorgio
P
oco alla volta ma inesorabilmente la Giordania viene risucchiata nella tensione generata dalle guerre in Siria e Iraq e
dall’ingresso preponente sulla scena dello Stato islamico. Ieri mattina intorno alle 7 - da poco era iniziato il mese islamico di Ramadan
- un commando ha assaltato con
mitragliatrici e bombe a mano un
edificio di due piani che ospita
una sede dell’intelligence all’ingresso del campo profughi palestinese di Baqaa, a nord di Amman,
il più grande di quelli presenti in
Giordania. L’assalto è durato poco, 2-3 minuti, ma si è rivelato preciso e letale. I morti sono stati sei:
tre agenti e tre impiegati.
Non ci sono state rivendicazioni, almeno fino a ieri sera. Il portavoce del governo, Mohammed Momani, ha lasciato intendere che si
è trattato di un attacco di un gruppo islamista armato. «È stato compiuto da elementi criminali che
non rappresentano la nostra religione moderata...sangue versato il
primo giorno del Ramadan», ha
commentato Momani.
L’assalto potrebbe essere stato
una rappresaglia per il blitz compiuto tre mesi fa dalle forze di sicurezza nei pressi di Erbid, città del
nord della Giordania che ospita
IRAN · La Bbc rilascia documenti secretati. Ali Khamenei: «Ostilità inglese contro di noi»
«Contatti tra Usa e Khomeini? Falso»
Giuseppe Acconcia
D
opo 37 anni, i rapporti
tra gli ayatollah che hanno fatto la rivoluzione
nel 1979 e i servizi segreti Usa
non smettono di far discutere.
In un’inchiesta esclusiva la Bbc
è tornata sui giorni precedenti
alla fine dello Shah rivelando i
contatti tra l’ayatollah Khomeini e due presidenti Usa che
avrebbero favorito il suo rientro a Tehran. I leak, parte di documenti appena decodificati e
risalenti alla guerra fredda, hanno mandato su tutte le furie l'attuale Guida suprema, Ali Khamenei, che ha denunciato la
profonda «ostilità» inglese verso l’Iran e come «false» le notizie diffuse dalla Bbc.
Secondo la tv pubblica britannica, Khomeini avrebbe
chiesto l’appoggio dell’amministrazione Carter per negoziare
la fine del suo esilio parigino.
La guida spirituale della rivoluzione avrebbe promesso in
cambio un atteggiamento non
«animoso» verso gli Stati uniti.
Un simile messaggio sarebbe
stato inviato da Khomeini nel
1963 per spiegare all’amministrazione Kennedy che un’eventuale fine della monarchia Pahlavi non sarebbe stata contro
gli interessi Usa. Khamenei ha
rimandato tutte le accuse al
mittente durante un incontro
in occasione del 27esimo anniversario dalla morte di Khomeini. La guida suprema ha anche
LA «GUIDA SPIRITUALE» ALI KHAMENEI LAPRESSE
definito gli interessi iraniani e
quelli statunitensi e britannici
nella regione come completamente opposti.
In riferimento all’accordo sul
nucleare e al riavvicinamento
con Washington, Khamenei ha
frenato ancora una volta gli entusiasmi. La sola possibilità che
si verifichi una vittoria repubblicana alle presidenziali Usa, sta
mettendo in allerta la leadership conservatrice iraniana.
Khamenei ha assicurato che
Tehran non coopererà con Usa
e Gran Bretagna nei conflitti regionali. Khamenei ha accusato
gli Usa di rinnegare l’accordo
di Vienna e che la fiducia, ripo-
sta in loro, è stato solo un «errore». Secondo Khamenei, il
«Grande Satana» e la Gran Bretagna stanno usando pretesti,
come la violazione dei diritti
umani, per non scongelare i milioni di dollari bloccati nelle
banche occidentali, come previsto dall’accordo sul nucleare.
Le parole di Khamenei arrivano anche in seguito ai piani delle Nazioni unite di consegnare
aiuti alle aree siriane sotto assedio. Secondo gli Stati uniti,
l’Iran troppo spesso ha interferito negli affari dei paesi della regione. Solo lo scorso anno,
Tehran è stata inclusa nel colloqui di pace per risolvere il con-
flitto siriano in corso a Ginevra
e Vienna. Nonostante l’intesa
di Vienna del 2015, nuove sanzioni sono state imposte contro Tehran all’inizio di quest'anno per volontà dei repubblicani Usa di fermare la fornitura di
missili S-300, avviata da Mosca.
Nonostante la vittoria dei moderati alle parlamentari della
scorsa primavera, sono sempre
i conservatori a controllare i
centri del potere iraniano. Dopo l’ultra-conservatore, Ahmed
Jannati, nominato a guida
dell'Assemblea degli Esperti, è
toccato ieri al conservatore, Ali
Larijani, ad essere rieletto presidente del parlamento con 237
su 273. Larijiani è stato tra i politici favorevoli all’intesa sul nucleare. Il riformista Reza Aref
aveva poco prima ritirato la sua
candidatura.
Non si ferma neppure la censura del dissenso. È stata appena approvata una nuova legislazione che definisce come «attacchi alla sicurezza» chiunque
venga accusato di crimini politici. Il Consiglio supremo del Cyberspazio ha stabilito poi nuove linee guida per i controlli sui
social media al fine di monitorare il trasferimento di dati
dall’Iran all’estero, in particolare via Telegram. Nei giorni scorsi, l’account del generale, Qassem Soleimani, su Instagram è
stato bloccato per alcuni giorni
dopo la pubblicazione di una
sua foto nella città irachena di
Falluja.
un altro campo profughi palestinese, in cui rimasero uccisi sette presunti militanti dello Stato islamico
oltre ad un militare. Però è solo
una ipotesi. È certo invece che le
cellule jihadiste si stanno organizzando nel regno hashemita, nonostante il lavoro incessante dei servizi segreti di re Abdallah, tra i più efficienti del mondo arabo (e partner di quelli israeliani).
Alleata di ferro degli Stati uniti e
dell’Arabia saudita in Siria a sostegno delle formazioni armate che
combattono contro Bashar Assad
e parte della Coalizione anti Isis
creata da Washington due anni fa,
la monarchia giordana ha usato la
mano pesante in casa contro le
espressioni più militanti del’islamismo e tiene sotto stretto controllo
il movimento dei Fratelli musulmani (ritenuto dagli analisti la vera forza politica di maggioranza
nel Paese), in vista anche delle elezioni politiche (una settimana fa
re Abdallah ha sciolto il parlamento e ha nominato Hani Mulki come nuovo primo ministro).
La repressione comunque ha
colpito tutti, anche la sinistra. Centinaia di giordani sono stati arrestati e interrogati, e spesso detenuti,
soltanto per aver espresso le loro
opinioni sui social.
Tanto rigore non è bastato a fermare il reclutamento di nuovi militanti e simpatizzanti da parte dello
Stato islamico e di organizzazioni
simili. E se fino a qualche anno fa
il serbatorio principale del radicalismo religioso era il sud del Paese,
in particolare la città di Maan,
adesso sono i campi profughi,
quelli dei siriani scappati dalla
guerra e quelli palestinesi, i luoghi
dove la predicazione salafita jihadista raccoglie nuovi consensi.
Non sorprende se si considerano le condizioni in cui sono tenuti
i rifugiati siriani e, da decenni,
quelli palestinesi. Pesano il degrado dei campi, la disoccupazione e
la disperazione dei più giovani ma
anche la pressione costante che
grava sui palestinesi accolti nel Paese dopo la Nakba (1948) e la (Naksa) ma guardati sempre con grande sospetto e privati di pieno riconoscimento legale e di dignità.
Il pericolo è che anche in Giordania, come in Libano, i jihadisti riescano a mettere in piedi alcune
delle loro basi nei campi. Sarebbe
un disastro per i profughi palestinesi ai quali la monarchia hashemita farebbe pagare un prezzo altissimo. È ancora vivo peraltro
«l’esempio» del campo profughi
palestinese di Nahr al Bared nel
nord del Libano.
Nel 2007 l’esercito libanese non
esitò a bombardarlo per settimane
e a ridurlo in macerie pur di stanare Fatah al Islam, un gruppo jihadista formato da miliziani giunti da
vari Paesi arabi che vi aveva stabilito la sua base. In bilico, sempre in
Libano, è ora il campo di Ain al Hilwe dove si rafforzano gruppi jihadisti giunti dall’esterno e alimentati dal fanatismo che domina in
non pochi quartieri della vicina
roccaforte sunnita di Sidone.
Ora in primo piano c’è Baqaa in
Giordania. Ieri sera il campo era
circondato dalle forze di sicurezza
pronte, secondo indiscrezioni, ad
avviare un’operazione a tappeto
per arrestare i responsabili dell’attacco alla sede dell’intelligence.
pagina 14
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
CULTURE
ÁGNES HELLER
Intervista con la filosofa ospite al festival Biblico
di Vicenza e protagonista di un dialogo sull’utopia.
«Le distopie sono avvertimenti. Ci mostrano
le alternative alla disillusione e alla catastrofe.
Oggi bisogna coltivare il giardino in cui viviamo»
SCAFFALE
Un serrato vis-à-vis
sull’indomabile
bestia dell’utopia
Benedetto Vecchi
L’
Ernesto Milanesi
A
ottantasette anni, Ágnes Heller incarna sempre la vitalità della filosofia
ben oltre l’etichetta di «allieva di
Lukács». È stata una delle protagoniste al
Festival Biblico di Vicenza del dialogo con
Riccardo Mazzeo, ispirato dal saggio a
quattro mani Il vento e il vortice. Utopie, distopie, storia e limiti dell’immaginazione
(Erickson pagine 152 euro 14,50). «È un libro nato a Pordenonelegge nel settembre
2015 dopo il confronto con Riccardo Mazzeo sul tema ’bellezza e utopia’. Allora mi
stavo occupando di filosofia medioevale e
rinascimentale. Ma scattò l’interrogativo:
’Perché oggi non ci sono più utopie?’. Così
sono giunta alla conclusione che questa assenza potrebbe perfino trasformarsi in un
vantaggio…» spiega, mentre sorseggia felice un espresso e conta di concludere il suo
soggiorno italiano con la visita alla Biennale di architettura.
Sopravvissuta alla Shoah, espulsa nel
1959 dall’Università di Budapest, emigra
con il marito Ferenc Fehér in Australia nel
1977. Dopo aver insegnato sociologia a
Melbourne, approderà a New York sulla
prestigiosa cattedra di Hannah Arendt.
Da tempo è tornata a vivere nella capitale
ungherese, anche nel ruolo di spina nel fianco del premier ultranazionalista Viktor Orban. E di nuovo, nell’ultimo libro, Ágnes
Heller insiste nell’illuminare speranze e paure alla luce di uno sguardo filosofico mai disattento nei confronti delle trame visionarie
quanto dell’attualità.
«Dal mio punto di vista, occorre distinguere due forme di utopia - spiega la filosofa -. Quella del desiderio, cioè un mondo in cui tutti i bisogni sono soddisfatti:
non si deve lavorare, niente Stato né leggi o guerre. È come l’età dell’oro che è alle nostre spalle, come per la Grecia antica. O come nella Bibbia (Genesi, 2) con
Adamo e Eva nel Giardino dell’Eden, che
hanno tutto a disposizione senza dover
lavorare e non sono minacciati dal dolore e dalla morte. Marx immagina lo stesso tipo di utopia, solo che diventa quella
del futuro dell’umanità: niente mercato,
Stato, leggi, istituzioni, matrimonio, eccetera; tutti i bisogni soddisfatti nella società dell’abbondanza. Ma come già evidenziava Freud in Disagio della civiltà, utopia senza cultura e con una libertà totalmente negativa».
E l’altra forma di utopia quale sarebbe?
L’utopia filosofica. In buona sostanza, non
ci permettono la soddisfazione dei nostri desideri, però da qualche parte e in qualche
modo possiamo immaginare la società giusta. Comincia Platone con la sua Repubblica ideale, perché i filosofi sono in grado di
trasformare l’idea in realtà e quindi anche
di creare lo Stato perfetto.
Nel 1516 Thomas More scrive Utopia
nell’età delle grandi scoperte: è l’isola esattamente opposta all’Inghilterra; ma è anche,
di fatto, uno Stato totalitario. Con Charles
Fourier si approda all’utopia socialista del
falansterio. Costruita «scientificamente»,
perché nel XIX secolo si aveva fede nella
scienza capace di risolvere ogni problema.
Di qui l’idea che sarebbe stato sufficiente
mettere gli individui insieme per ottenere lo
stato d’armonia e la felicità di tutti. Dopo il
1789 la narrazione è ispirata, invece,
dall’idea di progresso universale. Dallo stato primitivo si tende verso quello civilizzato.
Progresso all’orizzonte dell’umanità per
evoluzione, grazie alla rivoluzione o attraverso riforme progressive.
Il «secolo delle ideologie» tuttavia non produce felicità, ma guerre mondiali. Né realizza sogni: se mai, disillude...
Si giunge così all’idea della fine dell’utopia. Nel XX secolo collassa il concetto di
progresso: dopo Auschwitz e i gulag come
si può ancora parlare di società che tende
naturalmente al meglio, al futuro luminoso, alla progressiva felicità? È il primo momento di critica culturale che apre alla pro-
«FALLEN ANGEL» DI ILYA E EMILIA KABAKOV; IN ALTO, RITRATTO DI AGNES HELLER
Un orizzonte
divisionariafelicità
spettiva della distopia. Si sviluppa il concetto di decadenza, che Oswald Spengler sintetizza nel Tramonto dell’Occidente. Ma
con l’incubo della guerra nucleare anche
la scienza non è più l’angelo della redenzione: le bombe atomiche sono l’emblema della dannazione.
Si imbocca così l’immaginazione critica,
la «contro-narrazione», il pensiero non più
edificante?
Le distopie sono gli scenari dell’autodistruzione per la nostra ecosfera, che da almeno
vent’anni sono previsti nella letteratura
scientifica. Altri vettori di distopie sono le
opere di letteratura fiction che già Jonathan
Swift aveva offerto con le sue satire. Penso in
particolare al Mondo nuovo di Aldous Huxley, a 1984 di George Orwell e a La strada di
Cormac McCarthy. Senza dimenticare i numerosi film con le medesime caratteristiche.
E cosa hanno in comune?
Le distopie sono avvertimenti. Ci mostrano
le alternative alla disillusione, alla disperazione, alla catastrofe. Un po’ come i profeti
biblici che, nella società dominata dal peccato, indicano all’umanità che soltanto con
la correzione dei suoi comportamenti, può
evitare un’esistenza dannata. Oggi sappiamo che l’uso delle armi nucleari equivale alla fine del mondo. O che abbiamo una scel-
ta fra essere soggiogati da un leader totalitario e difendere le libertà.
Dunque, in questo vortice, esiste qualcosa che si possa fare?
Coltivare il «giardino» in cui viviamo. Con responsabilità, attenzione e cura. Era il suggerimento di Voltaire, nel Candido. Del resto,
questo è il mondo dove siamo nati e moriremo. Ognuno deve mantenerlo e insieme renderlo un po’ migliore. Non è una prospettiva
brutta: senz’altro migliore rispetto alla disillusione che nasce dalle utopie mancate.
Tornando ai temi dell’ultimo saggio, dove
si annida la contraddizione fondamentale
dell’individuo nella società?
Occorre ritornare alla Costituzione della Rivoluzione francese che sancisce i droits de
l’homme e du citoyen come se i diritti umani
e quelli di cittadinanza fossero equivalenti e
perfino sinonimi. Non è certo così, soprattutto dal punto di vista etico nell’Europa
moderna. Ci viene, infatti, chiesto di essere
brave persone e buoni cittadini. Due sfere
differenti: la moralità individuale e il rispetto delle leggi. Eppure, sono anche pilastri
che si sorreggono a vicenda nel nostro mondo. La cooperazione tra valori privati e virtù
pubbliche è oggi più necessaria che mai se
vogliamo evitare che il futuro assomigli agli
incubi della distopia.
E la crisi che attanaglia l’Europa, è risolvibile?
Va sempre ricordato che, al contrario del
mondo anglosassone, in Europa la democrazia non è certo una tradizione. Anzi, per Grecia, Spagna, Portogallo e per la stessa Italia
vale solo negli ultimi decenni. E nella storia
dei Paesi dell’Est la democrazia è ancora più
recente. Piuttosto, bisogna prestare attenzione al bonapartismo sempre presente in Europa: lo inaugura Napoleone e arriva ben oltre Mussolini. L’uomo forte, che tutto risolve, perché finisce con l’incarnare la verità, lo
Stato, la società. Il «condottiero» che non si
fa scrupoli e ricorre al populismo, anche se
rappresenta interessi oligarchici.
A volte mi vien da pensare che il Vecchio
Continente sia stato ri-paganizzato: la nazione come autorità suprema e il nazionalismo
come religione. Eppure, l’Unione Europea è
nata, al contrario, come «universalistica» all’insegna della solidarietà fra gli stati membri.
Purtroppo, la costruzione dell’Ue non è
stata accompagnata dall’emergere di una
coscienza europea comune. Così l’Europa
rischia di restare un progetto burocratico
senz’anima. Paradossalmente, l’opportunità di cambiamento e di apertura ci arriva
dall’emergenza dei rifugiati e dalla minaccia terroristica.
utopia è una bestia ribelle, difficile da addomesticare. Esprime la visione di un mondo «perfetto», dove non c’è posto per le ingiustizie e dove tutti possono esprimere il meglio di sé nella vita
pubblica e privata. Prima avvertenza: l’immaginazione espressa sull’«isola che non c’è» è legata sempre a una contingenza
storica. Così nell’antichità i termini della società perfetta differiscono da quelli enunciati nel
Quattrocento, il Seicento o
nell’Ottocento. Questa centralità dell’«immaginazione storica»
è il filo rosso usato dalla filosofa
Agnes Heller nel dialogo, serrato, condotto con Riccardo Mazzeo, filosofo per formazione, studioso attento di psicoanalisi e
psicologia per passione, nel volume Il vento e il vortice (Erickson, pp. 152, euro 14,50).
È un volume che concede ben
poco alla retorica, visto che entrambi gli autori sono consapevoli che dietro un’utopia c’è sempre una distopia, cioè la sua negazione nell’immaginare - di
nuovo - una società dove le ingiustizie e l’oppressione raggiungono l’acme. Si potrebbe dire
che ogni utopia ha come sorella
(o fratello) gemella una visione
orrorifica della società del futuro. O del presente.
Il movimento teorico condotto dai due autori ha come punto di partenza la storia delle
idee, cioè come l’utopia ha attraversato la filosofia e la teologia,
da Thomas Moore a Tommaso
Campanella ai socialisti utopisti. Agnes Heller ha vissuto per
decenni in un paese che inseguiva il progetto di un nuovo mondo. Per essi ha conosciuto la negazione della libertà e i gulag. I
dirigenti comunisti, annota, erano convinti militanti di un progetto politico teso a costruire
un mondo perfetto. Alla fine si è
scoperto che per questo sono diventati assassini.
A nulla vale opporre alla sua
visione semplicistica una documentata analisi storica sul fatto
che di utopico nel socialismo reale c’era ben poco. Sarebbe operazione inutile. Di certo c’è il fatto che Agnes Heller considera
entrambe le forme di immaginazione storica antidoti teorici verso le storture delle «società contemporanee». Guai però a farle
diventare sia proposte in positivo per il futuro o critiche immanenti al presente: sono solo
campanelli di allarme di qualcosa che non va nel lento, ma intrasformabile amministrazione
della realtà.
Riccardo Mazzeo obietta che
l’utopia non è solo immaginazione storica, ma anche sociale,
cioè uno strumento che serve
non solo a criticare la realtà ma
a fornire chiavi di accesso alla
sua trasformazione. Cita romanzi, testi della psicoanalisi, sociologici. La sua argomentazione è
convincente, ma il dubbio che
riesca a smuovere le certezze
granitiche di Agnes Heller è più
che legittimo.
Una dubbio comunque si impone rispetto a questo volume:
vedere l’utopia come un esercizio effimero sul mondo che non
c’è, toglie la possibilità di pensarla come il mondo possibile che
ha però forti radici, traendone
alimento, proprio nella realtà. Sarebbe u modo per riconciliare
immaginazione storica e immaginazione sociale. L’elemento
che rende l’utopia e la distopia le
sorelle gemelle dello status quo.
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
CULTURE
oltre
ANTTI HYRY, IL DETTAGLIO DELLA VITA
Lo scrittore finlandese Antti Hyry è morto nella sua casa di
Espoo (Finlandia meridionale) all'età di 84 anni. Nei suoi
romanzi più famosi («Primavera ed estate», «A casa»,
«Scuola elementare») ha espresso un ideale di vita idilliaco,
tutto
non contaminato dalla civiltà delle macchine. Protagonisti
delle sue opere sono giovani che non riescono a inserirsi in
una società a loro estranea. Nato a Kuivaniemi il 20 ottobre
1931, Antti Hyry esordì nel 1958 come scrittore,
caratterizzandosi per la sua scrittura cristallina e descrittiva.
HACKMEETING · Si è chiuso l’incontro a Pisa
La condivisione
è un gioco
transgender
Daniele Salvini
L’
Hackmeeting è una moltitudine di incontri collettivi
o
ravvicinati,
vis-à-vis su temi in costante divenire. Due temi sono stati la scrittura collettiva e come superare
gli stereotipi di genere.
La tavola rotonda Hack your
gender ha portato la discussione
sulle differenze di genere nella
cultura hacker parlando di server
autonomi alternativi, hacklab
femministi ed eventi internazionali come il transhackfest. La voglia di modificare la policy di
Hackmeeting era cominciata già
l’anno scorso, non dando affatto
per scontato che l’ambiente sia
automaticamente antisessista.
Samba è maschio ma indossa
una gonna e spiega come questo
sia un hack per creare gender-bender e facilitare il superamento degli stereotipi di genere.
«Una semplice gonna mette in
dubbio il mio genere e crea confusione in chi cerca di catalogarmi, critica e sovverte l’ordine prefissato per cui l’uomo debba fare
certe cose e non farne altre. Rappresenta un hack su sé stessi, come da manifesto di Hack IT: hacker è chi si vuole gestire la propria vita, operando sulla macchina-sistema e manipolando anche la propria identità». Un altro
hack è un video game proposto
da Suki dove il gioco è la storia
di un trans; il gioco è incentrato
sulla la possibilità del passaggio
F2M (da femmina a maschio) o
M2F. Durante il gioco si cambia
sesso confrontandosi a tutte le
problematiche che questo comporta, dagli ormoni alla reazione
sociale. Viene raccontata l’esperienza del CryptoRave brasilia-
Tra le decine
di seminari sono stati
ricorrenti i temi
della scrittura
collettiva e del genere
no, partecipato da 3000 persone
tra cui molti trans e immigrati,
enorme diversità e molto più
gender free degli italici incontri,
sttolienando come le differenze
non possono che migliorare
quello che siamo.
L’incontro «gender-free acara» ha proposto come esperimento anti-sessista il notare le
battutine o gli atteggiamenti presenti al fine di scoprire che c’è
ancora sessismo e razzismo. Imparare a notare, perché essere
antisessista non significa solamente non comportarsi in maniera sessista ma anche intervenire e bloccare qualcosa di sessista quando lo si nota. È infine nata l’idea di progettare una tre
giorni di trans-hack o gender-hack in Italia.
All’hackmeeting si è parlato
molto anche di scrittura collettiva, data la presenza di diverse comunità scriventi. Il progetto Maz,
laboratorio di esperimenti narrativi, ha presentato un talk con il
progetto Sic (Scrittura Industriale
Collettiva), che viene presentato
a partire dai due filoni dal quale è
nato: uno è il gioco di ruolo dove
si generano narrazioni collettive
aperte a partire da un coordinatore che crea l’ambientazione di
base, ma poi le scelte dei giocatori determinano la direzione
dell’avventura; l’altro è quello
del software libero, dove il codice è aperto e tutti possono intervenire e migliorarlo. Ma miglioramento è un concetto soggettivo nelle arti che dipende anche
dal gusto, nella scrittura collettiva fanno notare che si è arrivati
a risultati efficaci solo quando il
gruppo è ristretto e condivide gli
stessi obiettivi, approccio e idee
come ad esempio Wu Ming.
Il metodo Sic tenta di far sì che
tante persone senza conoscersi
tra loro possano scrivere un testo
letterario. Organizzazione del codice del testo: personaggi e ambientazioni, divisione del lavoro
con struttura simile a quello della
produzione cinematografica e rotazione dei ruoli. Chi scrive non
prende decisioni, chi decide non
scrive. Non è un sistema perfetto,
rimane sempre informale, ma è
un ottica di lavoro che funziona
ed è efficace nel combattere il
narcisismo per cui in un lavoro di
gruppo si tende a proteggere il
E proprio la descrizione minuziosa e particolareggiata è
stata la costante narrativa di Hyry, come testimonia anche
uno degli ultimi suoi romanzi, «La stufa»: racconta nei
minimi dettagli - praticamente mattone su mattone - come
un uomo costruisce un grande camino a legna.
proprio. Con questo metodo è
stato scritto il romanzo: «In territorio nemico», scritto a 230 mani.
Ambientato durante l’occupazione tedesca in Italia alla fine della
seconda guerra mondiale, è basato su aneddoti e racconti raccolti
nelle famiglie degli scrittori. Il romanzo è sia un lavoro collettivo
per metodo che come recupero
della memoria storica sugli avvenimenti della resistenza. Un diverso approccio è quello di «Collane di Ruggine», che presenta:
Love is in the air, eterei amori in
forma d’onda sinusoidale: «Noi
ci mettiamo d’accordo e ognuno
scrive per sé, poi facciamo una revisione collettiva».
Il gruppo Ippolita, presentando il saggio Anime elettriche, dice di non avere un metodo, o
meglio di improvvisare un metodo volta per volta a seconda delle persone e della situazione. Di
come affrontare tecnicamente la
scrittura collettiva si parla nel
talk che propone di strutturare
la
scrittura
attraverso
il
markdown per trattarla come codice ed elaborarla tramite i sistemi di controllo versione distribuiti, già utilizzati per le modifiche
del codice sorgente di un software. Dal pubblico arriva il suggerimento di usare GitBook, strumento di questo tipo mirato proprio al costruire libri.
ON LINE · Dimesso uno degli animatori del Tor Project dopo le accuse di molestie sessuali
Nella notte tra il 2 e il 3 giugno è comparso sul
blog ufficiale di Tor Project - progetto per la comunicazione anonima on line - una nota di appena 140
caratteri riguardo le dimissioni del mediattivista,
giornalista e ricercatore di sicurezza informatica Jacob Appelbaum dalla sua posizione all’interno del
progetto. Subito il post ha suscitato sulla Rete curiosità e stupore, visto il suo ruolo fondamentale che
Jacob svolgeva all’interno del Tor Project e data la
totale mancanza di informazioni riguardo le ragioni
del suo passo indietro.
Si è dovuto aspettare fino alla sera del 4 giugno per
ottenere ulteriori chiarimenti, quando sempre sullo
stesso blog è comparso un altro post, questa volta
più esaustivo, intitolato «Statement» e firmato dal
direttore esecutivo di Tor Project, Shari Steele. Nel
post si dichiara che nei giorni passati un certo numero – non specificato – di persone avrebbe presentato
pubbliche accuse di maltrattamenti sessuali da parte
di Appelbaum. Di seguito Steele ci tiene a precisare
che questa per i partecipanti del progetto non costituisce una totale novità, in quando già da tempo circolavano voci riguardo alcuni comportamenti di Appelbaum, ma soltanto in tempi molto recenti si hanno
avuto i primi riscontri effettivi. «Non sappiamo esattamente cosa è successo - dichiara Steele -, non
abbiamo tutti i fatti alla mano, e stiamo attuando
molte pratiche per determinarli al meglio delle
nostre possibilità. Non siamo un organo investigativo, e ci troviamo in difficoltà nel fare sentenze sulla vita personale delle persone».
Tuttavia Appelbaum ha già lasciato la sua posizio-
ne. Il comunicato continua invitando chi avesse
eventuali informazioni utili, o chi si fosse trovato
vittima di azioni da parte di Appelbaum, a contattare le forze dell’ordine, richiesta nella quale non
è celata una vena di amarezza: «Siamo consapevoli che molte persone delle comunità della sicurezza informatica e delle libertà digitali non necessariamente si fidano delle forze dell’ordine.
Incoraggiamo queste persone a cercare consiglio
da coloro di cui si fidano, e fare quello che credono sia la cosa migliore».
Dichiarando gli intenti di continuare a creare una comunità in cui i partecipanti si sentano al sicuro e vedano tutelata la propria privacy, Steele avvisa che
questo post sarà probabilmente la loro unica dichiarazione pubblica sulla questione. Daniele Gambetta
STORIA · Pratiche di adozioni nel Medioevo e in età moderna. Un saggio per Viella in inglese
La rottura del patto «naturale»
Marina Montesano
C
i sono libri che rispondono a più di
un’esigenza. Tempo fa, Simonetta Fiori
segnalava su Repubblica l’attività di alcuni editori italiani di saggistica che scelgono di
pubblicare in inglese i loro testi, anche se scritti
da autori di madrelingua italiana, allo scopo evidente di porre le opere al centro dell’attenzione
internazionale. Lo scarso peso della nostra lingua sul mercato estero da una parte, la minore
attitudine, rispetto al passato, di molti anglosassoni e statunitensi a cimentarsi con idiomi che
non siano i propri dall’altra, sono responsabili
del calo di attenzione verso la produzione del
nostro paese; il che ci relega in una condizione
di insularità poco invidiabile e fa sì che una parte (vi sono comunque le eccezioni) della produzione italiana sia poco fruita all’estero.
Possiamo quindi salutare con piacere un libro di autori italiani, coordinati da Maria Clara Rossi e Marina Garbellotti e pubblicati da
Viella (fra gli editori più attivi in questo campo), che non solo è interamente in inglese, ma
che affronta anche un tema di straordinaria attualità, venendo così incontro a una doppia
esigenza. Adoption and Fosterage Practices in
the Late Medieval and Modern Age (Viella, pp.
222, euro 35) parla delle pratiche di adozione e
di affidamento fra tardo medioevo ed età moderna. Lo fa, inutile dirlo, in un momento in
cui il tema è particolarmente dibattuto, soprattutto in relazione alle forme di «nuova famiglia» che guadagnano lentamente un riconoscimento. Ma, come leggiamo già dall’introduzione, anche in epoche precedenti un numero
rilevante di famiglie sceglieva di adottare e
prendere in affidamento in situazioni che potevano essere molto differenti tra loro e che, di
conseguenza, portavano alla formazione di nu-
NASCITA DI UN BAMBINO NEL MEDIOEVO
clei familiari non univoci: con buona pace di
quanti pensano che il presente costituisca una
rottura assoluta rispetto a «tradizione» e «natura», concetti più enunciati che spiegati.
Allo stesso tempo, anche al di là della stretta
attualità, il tema delle adozioni è ben presente
nella storiografia internazionale, ma ha avuto sinora scarso rilievo in Italia, nonostante gli archivi siano ricchi di documentazione atta a chiarire i contorni del fenomeno. Come sottolineano
le curatrici nell’introduzione, «il problema cruciale nella maggior parte dei casi venuti alla luce è determinare la ’vera natura’ di questi accordi (di adozione) e le conseguenze concrete – sia
personali sia legali - che avevano sugli adottati
e sugli adottanti. Nella età medievale e moderna, infatti, il ’trasferimento’ di ragazzi e ragazze
in una nuova famiglia era descritto impiegando
il lessico dell’adozione, anche se spesso l’atto
non dava vita a un vero rapporto adottivo. Invece, il collocamento poteva essere il risultato di
un atto di carità o un più generico accordo di
apprendistato». Soprattutto se si considera che
pagina 15
il lessico era preso dal diritto romano, e nel
mondo romano l’istituto dell’adozione aveva
avuto caratteri suoi propri, differenti da quelli rivestiti nel medioevo e oltre. Molti fra i saggi sottolineano il ruolo rilevante degli istituti religiosi
nelle pratiche adottive e di affidamento; e il libro nel suo insieme finisce per ribaltare un pregiudizio che vorrebbe la Chiesa cattolica contraria alle adozioni: quando, al contrario, pare
averne favorito il corso. C’è, insomma, molto
da leggere e da imparare da questi saggi, sperando che la lingua favorisca effettivamente la circolazione internazionale e non blocchi quella
nazionale.
Sarebbe poi interessante provare a riflettere
sulle ragioni per cui l’editoria italiana è invece
così interessata, certo più delle controparti inglesi o francesi, a tradurre nella nostra lingua. Il
che è pratica generalmente positiva, per l’ovvia
ragione che rende disponibili anche per un pubblico non specialistico, che non leggerebbe
cioè un saggio in lingue altre dall’italiano, opere interessanti. A volte, la xenofilia porta però a
delle scelte curiose: come quella di tradurre un
breve saggio della storica inglese Miri Rubin, Il
Medioevo (il Mulino, pp. 122, euro 12) originariamente incluso in una collana intitolata «A very short introduction»: operette introduttive su
una quantità di argomenti diversi. Non potendo certo restringere mille anni di storia in centocinquanta pagine, Rubin fornisce a volo d’uccello informazioni su temi vari: la cristianizzazione, i regni, la vita quotidiana, il rapporto con minoranze e alterità, gli scambi e l’economia. Non
sappiamo che pubblico potrà avere; troppo vago per chi non conosce i quadri istituzionali,
troppo striminzito per chi è in cerca di approfondimenti. Nondimeno è la prova di un’editoria, quella italiana, che cerca in più modi e strategie di far fronte alla crisi di libri e lettori.
MOSTRE
Awá-Guajá,
ultimi cacciatori
eco-sostenibili
Leonardo Clausi
L
a distruzione permanente
del patrimonio ambientale
terrestre, prodotta da una
mistura d’incontrollata crescita
demografica, consumismo ultra-capitalistico, assalto alle risorse e ignorate istanze di sviluppo sostenibile, è un po’ come lo slogan turistico della città
di New York: non dorme mai.
L’unica differenza tangibile
con il passato recente è che gli
effetti di questa insonnia distruttiva erano fino a qualche tempo
fa relegati a zone remote del pianeta – problemi brutti, per carità, ma altrui - mentre adesso sono, per così dire, davanti
all’uscio di casa dell’occidente
sviluppato: un uscio e una casa
sempre più spesso sommersi
d’acqua e fango.
Ma i due luoghi simbolo di
quest’agonia ambientale sono
senz’altro l’artico, ridotto a
ghiacciolo dimenticato fuori dal
frigo completo di orsi bianchi disperatamente aggrappati a fragili zattere di ghiaccio, e naturalmente l’Amazzonia, cuore verde del pianeta che l’uomo, come una specie di bulimico superbug, sta divorando senza tregua. Non limitandosi alle piante
e agli animali, ma cancellando
anche i propri simili.
Un documento empatico ma
antiretorico e per nulla sentimentale dei rischi di questa cancellazione è quello colto
dall’obiettivo di Domenico Pugliese, fotografo italiano trapiantato a Londra da ben prima della recente diaspora italiana verso isole britanniche ma ottimo
conoscitore del Sudamerica, e
del Brasile in particolare.
The Last Hunters, la sua mostra presso l’ambasciata del
Brasile a Londra, visitabile fino
al 14 giugno, rappresenta la vita quotidiana dell’ultima tribù
nomade pre-amazzonica, i cacciatori-raccoglitori
Awá-Guajá, «scoperti» solo negli anni Settanta. Ha cominciato a fotografarli nel 2009 per
una rivista brasiliana, ed è stato l’inizio di un sodalizio.
«Sono rimasto così commosso dalla loro situazione che ho
deciso di tornare ancora e ancora - cinque volte in tutto - a Maranhão», nel tratto occidentale
del nord del Brasile dove vivono.
L’ecosistema
degli
Awá-Guajá, assediato dalla deforestazione, è allo stremo. «Sono
cacciatori eccezionali, forse gli
ultimi del loro genere, ma la loro vulnerabilità - e anche la fragilità della loro esistenza e modo
di vivere - sono assolute».
La mostra di Pugliese, con il
sostegno dell’Ong Survival International, da tempo impegnata
nella salvaguardia del territorio
e dei suoi abitanti, è un potente
monito contro l’estinzione di
un popolo. «Spero che contribuisca a creare consapevolezza sulla situazione di questo popolo.
Come l’ambiente in cui vivono,
gli Awá-Guajá possono ancora
essere salvati»
pagina 16
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
VISIONI
Cinema • Immagini italiane inconsuete, registi che provano a ridefinire i generi
Il festival palermitano Sicilia Queer, che si è chiuso domenica, esplora le nuove tendenze
La scommessa
di una relazione
Matteo Marelli
S
ì è conclusa domenica la sesta edizione del Sicilia Queer
filmfest. Guardando a ritroso
la selezione dei titoli italiani presentati in Panorama, la sezione
che, come riportato da catalogo,
cerca di dar conto a quelle «immagini, visioni, apparizioni che delineano un panorama inusuale nella distribuzione cinematografica
internazionale», i lavori su cui concentrarsi sono probabilmente
quelli di Bartolomeo Pampaloni,
Cosimo Terlizzi, e dal collettivo catanese Canecapovolto.
I due progetti di Pampaloni (Come una stella del 2013 e Roma Termini, già presentato al Festival di
Roma del 2014) delineano un attitudine in atto, che è quella del cosiddetto «cinema di prossimità»,
inteso come dispositivo relazionale al cui interno l’istanza filmica è
prima di tutto esperienziale. L’immagine è una zona di contatto, la
traccia di un rapporto conoscenza: in Come una stella l’interlocutore è Patrizia, transessuale napoletana, provata da una vita di eccessi,
che vive la paura, ancora di più dopo aver smesso di prostituirsi, di
venir cancellata dal paesaggio sociale. In Roma Termini sono invece tutte quelle anime pena che sopravvivono tra le pieghe della stazione ferroviaria. Per realizzarsi
quest’idea di cinema deve partire
Dalla reinvenzione
del gesto filmico
di Cosimo Terlizzi, al
sabotaggio situazionista
di Cane Capovolto
da un gesto di reciproca generosità, di condivisione, tra chi sta da
una parte e chi dall’altra dell’obiettivo; solo così è possibile filmare
l’incontro in atto, le corrispondenze che si vengono stabilire, a cui la
regia deve aprirsi.
E invece l’impressione di fronte
a questi due progetti di Pampaloni
è che il regista, pur tentando di celarla (e questo è l’aggravante),
avesse già una precisa idea di messa in quadro dei soggetti coinvolti,
dei canoni di rappresentazione di
riferimento, che sembrano essere
quelli della compassione cinematografica, che ha bisogno, ricattatoriamente, della morbosa immediatezza biografica.
Aurora, un percorso di creazione
di Cosimo Terlizzi parte dalle stesse premesse da cui si muove Pampaloni con esiti però differenti. Il
film documenta e traduce il percorso di creazione dell’omonimo
spettacolo di danza di Alessandro
Sciarroni, che coinvolge nella propria ricerca coreografica dei giocatori Goalball, sport praticato da
non vedenti e ipovedenti. Terlizzi,
che fino a questo punto aveva
esplorato le risorse espressive offerte dal registro diaristico, devia
dall’esclusività e dall’esibizione
del proprio sé. Come racconta: «A
differenza di altri miei lavori dove
ho messo davanti me stesso, qui
tutto era talmente forte e già ricco
di emozioni e segni che dovevo solo fare attenzione ad esporli al meglio. Il mio vivere in un mondo visivo, il mio credo verso la bellezza che
si guarda, crollava davanti a loro».
Terlizzi non sceglie di annullarsi, al
contrario parte dal ripensamento
del suo gesto registico conseguente
al coinvolgimento nel progetto di
Sciarroni -«Mi ha accolto come un
’giocatore’ della sua stessa opera lungo tutto il percorso di creazione. Un
giocatore a parte, ma completamente integrato». Osserva i giocatori nella loro quotidianità e durante il lungo periodo di training in cui si sono
reinventati danzatori (che affiorano
dal buio delle palestre guidati nei
movimenti dai sonagli all’interno di
una palla), per cogliere come il loro
non vedere sia proporzionale a un
ascolto più attento, a una percezione del mondo con altre sfumature.
Il collettivo catanese Canecapovolto
con Spectrum SQ3105ORG, un format diviso in tre episodi - Condominio; Slaughter; Nembutal - dedicato
all’Uomo-Massa e alla tragedia umana contemporanea, prosegue testardamente il proprio sabotaggio situazionista, per mezzo di strategie di
spiazzamento, delle dinamiche di
produzioni di senso. Il problema
che questi artisti pongono non è tanto quale codice adottare per compiere il lavoro di decifrazione quanto se
ci sia qualcosa da decifrare - «Considerando – come hanno dichiarato i
componenti del collettivo - che il Cinema fin dai suoi albori ha sempre
mentito, anche per via della sua stessa natura tecnica, e che anche i documentari non sono in grado di liberarsi dalla soggettività dei loro autori
MILANO · Federica Fracassi inaugura «Stanze»
Stasera e domani (ore 19.30) Federica Fracassi porta in scena, con la regia di Renzo Martinelli, «Tre lai» di Giovanni Testori che lo scrittore di Novate ha terminato poco prima di morire. Tre canti di amore inconsolabili e disperati di donne che si scontrano con un’assenza: Cleopatra, con il suo amore vissuto e poi amaramente perduto per il generale romano Antonio; Erodiade, straziata dalla sottrazione infinita,
dall’amore mai consumato per il profeta Giovanni; e l’amore puro di Maria per il figlio Gesù, durante il Calvario. L’appuntamento inaugura la quinta edizione di «Stanze - esperienze di teatro d’appartamento. Questa volta lo spazio «occupato» dallo
spettacolo è lo showlab di Donatella Pellini, straordinaria creatrice di bijoux. L’atelier
nasce a Milano nel 1947 con Emma Pellini che qualche anno dopo partecipa alla
Triennale di Milano vincendo il secondo e terzo premio all’esposizione «Imitazione
del gioiello». Nel 1964 la figlia Carla continua la sua attività passando l’«eredità» a
Donatella che reinterpreta l’arte del gioiello in una visione contemporanea.
e dalle caratteristiche autoritarie di
ripresa e montaggio, siamo sempre
stati interessati alla problematica
della ’creazione della Realtà»).
Canecapovolto pone a fondamento
del proprio modello di comunicazione la disattesa dell’aspettativa dello
spettatore, che è costretto quindi in
un regime di disagio percettivo (ripetizione, disorientamento sensoriale,
detournement e modalità random)
privo di scorciatoie seduttive.
Del resto, da sempre, al coinvolgimento il collettivo preferisce lo straniamento: «Questo accade perché dice Canecapovolto - desideriamo
che la cerimonia dello ’Spettacolo’
non avvenga ancora una volta a senso unico. Siamo convinti di dare
nuova dignità allo ’spettatore’; è evidente che spesso spetta a lui un
’montaggio finale’».
«AURORA, UN PERCORSO DI CREAZIONE»; A SINISTRA, «SPECTRUM SQ3105ORG» DEL COLLETTIVO CANE CAPOVOLTO
In sala /OGGI E DOMANI, «ISTANBUL E IL MUSEO DELL’INNOCENZA DI PAMUK»
Kemal e Füsün, l’amore perduto
trasformato in un reliquiario laico
Arianna Di Genova
L
e stanze di casa, le strade
buie, gli angoli reconditi
fuori dalle rotte turistiche
e, infine, gli oggetti vissuti come
apparizioni di ciò che si è smarrito, evocazione di una storia
che non c’è più. Che sia quella
di una grande metropoli come
Istanbul o di un amore privatissimo, divenuto universale proprio quando è stato inghiottito
nelle nebbie del passato, un passato che, nonostante tutto, non
ritorna. E poi, l’ossessione del
tempo che si è fermato, come
mostrano le centinaia di sigarette spente nell’attesa, quelle che
lo scrittore Orhan Pamuk ha immaginato essere state succhiate
con la voracità del desiderio da
Kemal, il personaggio principale del suo romanzo Il Museo
dell’innocenza, e la voce narrante, nascosta, che si intuisce tra
le teche museali vere, mentre semina tracce in un rebus di ricordi, mescolando verità e utopia.
Il potere consolatorio degli oggetti è la ragnatela leggera che si
estende su un percorso alternativo capace di penetrare nelle viscere di Istanbul: il Museo
dell’innocenza, nato nel 2012 in
Cukurcuma Caddesi, racconta
LO SCRITTORE ORHAN PAMUK NEL MUSEO CHE HA CREATO
una vita, un’ossessione amorosa e insieme una finzione della
memoria. L’ha voluto Pamuk
stesso per creare una topografia
di rimandi in un atlante sentimentale che ha disegnato prima con le parole, poi con le «cose» appartenute ai protagonisti
della passione irrisolta, Kemal e
Füsün. Ora le maglie della ragnatela si allargano e fanno posto anche a una nuova proiezione, quella cinematografica, che
arriva sul grande schermo per
soli due giorni, oggi e domani
(distribuita da Nexo Digital). Di-
retto da Grant Gee (che già nel
2012 aveva lavorato intorno a
un altro maestro dei rinvii
geo-emozionali come Sebald),
Istanbul e il museo dell’innocenza di Pamuk è un film labirintico, popolato di ghosts che riaffiorano dopo trent’anni di tragica assenza: la voce dell’amica
di Füsün (rientrata in Turchia
dopo tredici anni) introduce lo
spettatore tra le camere e
nell’intimità della casa dove lei
abitò davvero con la sua famiglia, e dove Kemal passò centinaia e centinaia di serate, fin-
gendosi un cugino di fronte al
marito della sua amata, ormai
donna irraggiungibile, lanciata
verso un destino di attrice che
non si realizzerà.
E c’è anche Istanbul, ripresa
in notturna, inseguita in scorci
e su sentieri svaporati, una città
che fluttua come un fantasma e
che, a sua volta, abbraccia altri
fantasmi. Passano nelle foto,
nelle pose in cui vengono ritratti i personaggi, soprattutto gli
abitanti dei quartieri d’elite,
trent’anni di una complessa storia turca, quella che va dal 1970
al 2000. E, per chiudere il cerchio vertiginoso, c’è la costruzione simbolica della persona attraverso l’uso dei totem, la disseminazione di sé. È questo lo scarto
letterario e cinematografico più
interessante. Kemal collezionava in modo maniacale piccole
cianfrusaglie toccate, sfiorate,
annusate da Füsün (il rossetto
rosso fatto scivolare nella tasca)
per comporre un reliquario laico e feticistico dell’amore perduto; il suo «ordito» è rimasto congelato per sempre nel museo,
grazie alla complicità di un autore come Pamuk. È lì che l’impalpabilità di una sensazione diventa narrazione, biografia,
struggente luogo da visitare. «Il
futuro dei musei è dentro le nostre case», dice lo scrittore premio Nobel. Anche in strada, se
si fa riferimento all’ultimo libro
di Pamuk, La stranezza che ho
nella testa, il romanzo che pedina giorno e notte il venditore di
boza Mevlut Karatab.
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
VISIONI
ABBA
I quattro ex Abba - Agnetha Faltskog, Bjorn Ulvaeus, Benny Andersson e Frida Lingstad riuniti domenica sera a Stoccolma per festeggiare il loro cinquantesimo anniversario.
È la seconda reunion che la formazione svedese da 100 milioni di dischi venduti, e
stavolta i quattro anche cantato per la prima volta insieme dopo 34 anni.
NICOLAS WINDING REFN
«Il digitale è una tela completamente nuova, dove le regole del vecchio cinema non
valgono più. Il linguaggio, il formato, la storia, sono diventati d'improvviso obsoleti.
Perciò dico che il film che abbiamo fatto è il futuro». Parole del regista a Roma per
presentare «The Neon Demon» - visto a Cannes - nelle sale italiane l’8 giugno.
UNA SCENA DA «A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT» DI ANA LILY AMIRPOUR
INTERVISTA · Ana Lily Amirpour, a Bari per «Registi fuori dagli sche(r)mi»
Una vampira sotto il chador
tra l’Iran e la California
Giovanna Branca
U
na ragazza torna a casa sola di notte: un’immagine di
vulnerabilità e pericolo, l’incipit di una storia destinata a finire
male in cui un predatore attende
fra le tenebre. Nel film d’esordio di
Ana Lily Amirpour - A Girl Walks
Home Alone at Night - è però proprio la ragazza sola ad essere la predatrice in agguato, una vampira
che ribalta le aspettative del titolo
in un atipico horror movie iraniano. «Ciò che mi interessa di più in
un personaggio è che non coincida mai con la propria apparenza dice infatti la regista - Vediamo la
protagonista, una ragazza esile, e
siamo portati a pensare che sia
tranquilla e inoffensiva. Ma qualunque persona nasconde degli
strani segreti».
Ana Lily Amirpour oggi è a Bari,
ospite della rassegna Registi fuori
dagli sche(r)mi dove incontrerà il
pubblico e presenterà questo suo
primo lungometraggio.
Di origini iraniane, Amirpour è
nata in Inghilterra e cresciuta negli
Stati Uniti, in California, che è anche lo stato dove ha girato A Girl
Walks Home Alone at Night, usando la cittadina di Taft come «controfigura» di un’immaginaria città
fantasma dell’Iran: Bad City.
I due protagonisti sono la ragazza sola del titolo, di cui non sapremo mai il nome, e Arash, un giovane tuttofare con un padre eroinomane ricattato da uno spacciatore
arrogante. Sarà lui la prima vittima
della vampira, che si aggira la notte col capo coperto da uno chador
nero mentre a casa balla da sola
sulle note dei Radio Teheran.
L’intero film, senza perdere la
propria originalità, è intessuto di riferimenti e citazioni. Perfino nella
colonna sonora che ripropone i temi dello spaghetti western: «Sono
una grande ammiratrice di Sergio
Leone, del suo Wild West archetipico, fatto di cittadine in mezzo al
nulla, dove la legge non esiste e in
molti si nascondono dai loro crimini passati».
L’ambientazione indefinita, misteriosa e notturna di A Girl Walks
Home Alone at Night guarda alle
cittadine inquietanti di David Lynch, che a detta della regista è l’autore da cui ha appreso la libertà e l’assenza di confini del cinema: «È da
quando ho cominciato ad appassionarmi al suo lavoro che ho capi-
to che non ci sono regole nel fare
un film, non esistono luoghi a cui è
proibito accedere».
Il film dal suo debutto al Sundance Film Festival nel 2014 è stato un
grandissimo successo, tanto che il
nuovo lavoro Amirpour - The Bad
Batch - ha un cast di nomi famosi
come Keanu Reeves e Jim Carrey,
e dal farsi e il bianco e nero si passerà all’inglese e al colore. «Sarà un
western psichedelico. molto violento e romantico allo stesso tempo».
Com’è nata l’idea di girare un
film di vampiri?
Sono appassionata di vampiri sin
da bambina: mi piacciono la loro
immortalità e la loro solitudine,
una cosa quest’ultima in cui mi sono sempre immedesimata. Tempo
fa avevo girato un altro cortometraggio nel quale si utilizzava un
chador: un giorno l’ho indossato
come se fosse un costume e mi sono subito sentita come un pipistrello, una strana creatura. È così che
è nata l’idea della vampira iraniana, di cui nessuno di accorge perché è nascosta dal suo chador.Sapevo già che attori chiamare e come volevo girare il film, ed il fatto
che ancora nessuno mi conoscesse mi ha dato una libertà assoluta.
La città iraniana del film è ricreata in California.
Il mondo di un film è un posto
–
Anche se nell’ambiente correva voce
che alcuni suoi scatti fossero manipolati con photoshop, vedere la prova
che anche il celebre fotoreporter
americano Steve McCurray ha ritoccato alcune sue immagini togliendo persone, oggetti, aggiustando elementi,
ha fatto scoppiare una discussione
che va avanti da oltre un mese su
che cos’è il fotogiornalismo. Quarant’anni di reportage alle spalle e
firma di punta della Magnum e del
National Geographic, McCurray ha
dichiarato che starà più attento, ma
che ormai lui si considera un visual
storyteller.
A parte il fatto che non se ne può più
di sentire parlare di narrazione e
storytelling, come se chiamarlo linguaggio fosse antiquato, il punto che
solleva la vicenda McCurray è proprio
sulla differenza fra fotoreporter e raccontatore per immagini.
Gianmarco Maraviglia, fotografo e
pagina 17
dell’immaginazione. Non ho nessun interesse per la geografia reale,
riproduco piuttosto la realtà che
c’è nella mia fantasia, una dimensione emotiva. Come nei sogni,
che sono strani e folli, ma a chi li fa
sembrano normali: un sogno
dev’essere fedele solo alla realtà
del sognatore. L’ambientazione di
A Girl Walks Home Alone at Night
è composta da tutte le cose che mi
rendono ciò che sono: l’Iran, gli
Stati Uniti, la California, il western
e anche i film di John Hughes.
Il film è quasi muto.
Sono sorda al 30% per cui mi appassiona molto l’aspetto visivo del
cinema: per me il silenzio è come
un suono. Per questo mi piace che
il dialogo sia minimo, rispecchiando la forma di espressione che mi
è più congeniale. Spesso le troppe
parole rimpiccioliscono grandi significati.
Sa se «A Girl Walks Home Alone
at Night» è circolato in qualche
modo in Iran?
Ovviamente non ha avuto una distribuzione ufficiale ma ho saputo
che in molti sono riusciti a vederlo.
Ho ricevuto riscontri positivi dalle
persone più aperte, ma so anche
che delle recensioni ufficiali mi
hanno definita una sorta di demonio. É una cosa che mi fa sorridere:
il mio è solo un film.
HOLLYWOOD
CALCIO · Il club meneghino ufficialmente cinese
Day Lewis
e Anderson,
di nuovo
insieme
L’Inter si «risveglia»
sotto la Grande Muraglia
Daniel Day Lewis,
assente dal grande
schermo dal 2012
(«Lincoln» di Spielberg) starebbe per
riunirsi con il regista
Paul Thomas Anderson, con il quale aveva già lavorato sul
set del «Petroliere»
nel 2007, performance per la quale Lewis
si aggiudicò un premio Oscar. Il film che non ha ancora
un titolo - è ambientato nella New York
degli anni ’50 e girerebbe intorno al mondo della moda.
Anderson ha diretto
negli ultimi tempi i
video dei Radiohead
per il brano «Daydreaming» e Joanna Newsom in «Divers» e il
documentario «Junun», dove ha collaborato con il chitarrista dei Radiohead
Jonny Greenwood a il
compositore Shye
Ben Tzur.
RADIO3, FESTA
A FORLI
Dal 10 al 12 giugno,
Radio3 si trasferisce
in Romagna per la
seconda edizione
di «Arte, Cultura, Lavoro», la festa di Radio3 a Forlì. Tre giorni di dibattiti, spettacoli teatrali e concerti in piazza, le voci e
i suoni delle trasmissioni, per riflettere
sul tema del lavoro
raccontato attraverso
più linguaggi.
Tra gli ospiti di
quest'anno, il disegnatore Sergio Staino
con l'attore comico e
conduttore Dario Vergassola, il matematico e saggista Piergiorgio Odifreddi, l’attrice
Laura Curino, gli autori Paolo Nori, Simona
Vinci, Ermanno Cavazzoni e Cristiano Cavina, l'attore Vinicio
Marchioni, la scienziata già Ministro
dell'Istruzione Maria
Chiara Carrozza, i
musicisti Petra Magoni e Ferruccio Spinetti e, nelle vesti di
scrittore, il cantautore Roberto Vecchioni.
LA CONFERENZA STAMPA DEL PASSAGGIO PROPRIETARIO DELL’INTER/FOTO LA PRESSE
Nicola Sellitti
D
alla Cina a Milano, sponda nerazzurra, in poche ore. L’Inter
che cambia proprietà e passa
ufficialmente in mani cinesi, alla Suning Commerce Group, totem della
Grande Muraglia dell’elettronica
(16,2 miliardi di dollari, il valore complessivo) è un segnale da cogliere sui
movimenti magmatici che stanno
provando, con molte resistenze, a
cambiare, ridefinire le leggi del calcio
italiano. All’estero le proprietà cinesi,
orientali, oppure degli sceicchi con le
riserve di petroldollari esistono da
tempo, in Inghilterra soprattutto, nel
Paris Saint Germain, Monaco. E si diceva, si leggeva che il prodotto italiano non attirava, poco competitivo
per una serie di riforme mai portate a
compimento, con ritardi nelle infrastrutture, senza stadi di proprietà per
i club.
Invece, in tre anni, oltre all’Inter ceduta da Erick Thohir quasi in un battito di ciglia, c’è la Roma americana
con James Pallotta, il Bologna sempre stelle e strisce del ricchissimo imprenditore Joey Saputo. Nelle serie
minori patron di lingua diversa anche a Bari, in precedenza a Venezia,
con i russi. E c’è la questione aperta
del Milan, che da mesi sarebbe sul
punto di cambiare proprietà. Prima il
fantomatico Mister Bee, divenuto ormai macchietta da avanspettacolo
italiano, ora pare attraverso una trattativa concreta, con Berlusconi che
balla tra sentimenti e portafogli, volontà di gestire il passaggio di consegne e la necessità di allontanarsi dai
debiti del club. In sostanza, il calcio
italiano ora davvero, con i suoi pro e
contro, si apre alla globalizzazione, ai
capitali stranieri per recuperare un
posto di prestigio nel panorama europeo. Il prossimo passo sarà osservare
la crescita di questi club dal punto di
vista commerciale, con le strategie di
marketing che hanno portato club di
Premier League a fatturati a varie ci-
Habemus Corpus
Il più vero del vero
fondatore dell’agenzia Eco Photojournalism che ha contribuito a scatenare il caso McCurray postando su FB
uno scatto prima e dopo la cura, dice: «Le regole che il fotogiornalismo
si è dato sono chiare. Lavorare sulle
luci è ammesso, e già lì ci sarebbe
molto da dire perché una foto può
cambiare completamente se aumento il contrasto.
Quello che assolutamente è proibito
è togliere, aggiungere, aggiustare e
infatti in molti concorsi chiedono
l’elaborazione dell’immagine in raw,
cioè grezza e non modificabile. Io
sono un purista. I fotoreporter che
lavorano con noi mai ricorrerebbero
a photoshop. Che messaggio diamo
ai lettori se anche un famoso fotoreporter lo usa?»
Mariangela Mianiti
Eccolo il punto. Che cosa significa
oggi ritrarre fatti, eventi, persone?
Posto che la verità assoluta non esiste perché dipende sempre dal punto
di vista di chi scatta e dalla percezione di chi guarda la foto, ci sono foto
credibili e non credibili, che svelano
o che mostrano, che colgono l’attimo
o sono costruite.
Secondo Uliano Lucas, questa differenza non dipende solo dalle nuove
tecnologie, ma dallo scopo che perseguono. Dice Lucas:
«Il grande cambiamento è avvenuto
passando dalla fotografia all’immagine, due cose completamente diverse.
Finché la foto è stata un prodotto
legato all’uso di macchine, rullini,
flash, il nostro mestiere di fotorepor-
ter era legato alla capacità di inventare una foto. Con la rivoluzione digitale, che rende tutto possibile, quel
rapporto di sapere è finito e si è passati all’immagine. Per fare una foto
io devo andare su un posto, studiarlo, costruire un rapporto di fiducia
con le persone e se funziona le persone si donano.
È un principio di etica. Nella foto la
gente può solo donarsi. Se rompi
questa etica non sei più un fotografo, ma un avventuriero che rende la
foto una merce. Da 10 anni ormai la
moda sui periodici illustrati è copiare
il Caravaggio. Si ama un realismo
caravaggesco possibile grazie alla
post produzione che modifica una
foto in senso estetico. Il massimo
esponente di questa tendenza è Sal-
fre in Asia, Australia. E non è un passaggio agevole. Certo, con la vendita
dell’Inter a Suning c’è spazio, anzi ci
deve essere spazio per un attimo di
romanticismo, il rammarico per
l’uscita di scena di Massimo Moratti,
21 anni di regno, 16 trofei in altrettanti anni di presidenza, un ciclo di vittorie, gli scudetti in fila con Roberto
Mancini nel post Calciopoli, sei anni
fa e anche tante sconfitte.
E forse il pentimento di essersi affidato a Thohir, poco dopo la cessione
all’indonesiano aveva inteso che non
ci sarebbe stato grande futuro per
l’Inter. Lui, padre putativo di grandi
campioni passati per la casacca nerazzurra, da Paul Ince a Ronaldo, Cristian Vieri, il Chino Recoba, la sua
grande passione. Thohir invece resta,
con il 31% delle quote, manterrà la carica da presidente fino alla completa
acquisizione da parte di Suning anche delle sue azioni. L’indonesiano
non ha mai convinto l’universo interista, le premesse per un ciclo vincente
non sono state mantenute, anzi –
con grande onestà intellettuale, gli va
riconosciuto – per il calciomercato
estivo che sta per partire aveva preventivato pubblicamente tre-quattro
cessioni pesanti per recuperare fondi
e mettersi in regola con i parametri
del Financial Fair Play. Sino alla cessione dell’Inter, operazione che gli
permetterà di guadagnare qualche
euro.
Lo stesso Moratti ha detto che i cinesi investiranno, che a Milano torneranno a esibirsi top player, forse anche da subito, insomma che i cinesi
della Suning sono pronti a investire,
non promettere. E la fine dell’era Moratti e dell’interregno made in Giakarta potrebbe essere un campanello
d’allarme, un invito alla riflessione ulteriore per Silvio Berlusconi, che non
ne vuole sapere di cedere il Milan, la
sua creatura portata in vetta al mondo ma da qualche anno avvitata al clima da spending review deciso dalla
famiglia dell’ex Cavaliere.
–
gado. Se non insegni alla gente a
guardare, e bisognerebbe cominciare
nelle scuole, questa tendenza aumenterà e solo un’élite sarà in grado di
cogliere la differenza fra una foto e
un’immagine».
Nell’ormai procelloso mestiere di giornalista, ho visto studi di conosciuti
fotografi spianare rughe, alzare zigomi e glutei, rimpolpare tette, cancellare smagliature, assottigliare corpi
di attrici e attori, in una straripante
complicità fra soggetto, fotografo e
testata che, non sentendo più freni,
corregge così tanto da sfiorare spesso il ridicolo.
Se questa malìa continuerà a infettare anche il reportage, finiremo annegati nel photoshop che rende più neri i neri, più dannati i dannati, il vero
più vero. Finché niente sembrerà più
quello che è.
[email protected]
–
il manifesto
IN UNA PAROLA
–

Sindaci
Alberto Leiss
I
CAMPANIA
commenti sui risultati del primo turno
delle elezioni comunali insistono ossessivamente sul significato nazionale del
voto: il successo del movimento 5 stelle, le
difficoltà del Pd, le difficoltà ancora maggiori del centrodestra e in particolare di
Forza Italia, ecc. Il tutto riferito essenzialmente ai casi di Roma, Milano e poche altre delle città maggiori. Si può capire, ed è
difficile pretendere da un sistema mediatico come quello italiano, così tradizionalmente attratto dal centro della politica istituzionale, una disanima più attenta delle
diverse realtà locali.
A me pare che i risultati siano molto più
articolati e interessanti. In gioco è l’elezione dei sindaci, parola e funzione di cui si è
un po’ perso il senso dopo il tramonto della stagione seguita, alla fine degli anni ’90,
all’attuazione della nuova legge sull’elezione diretta ( con il ruolo dei Bassolino, Rutelli, Cacciari, Orlando ecc.): ne ha parlato
Massimo Franco sul Corriere della sera di
sabato scorso. Citando tra l’altro un paradosso: il fatto che alcuni sindaci diventerebbero parlamentari, senatori, se passasse la riforma costituzionale sui cui si voterà nel referendum in ottobre, viene spesso
citato negativamente come un modo di arraffare una forma di immunità rispetto alle possibili malversazioni, piuttosto che come una occasione per realizzare quel «federalismo municipale» che molti amministratori locali e anche studiosi della materia da tempo sostengono per migliorare il
funzionamento dello stato nel nostro paese. Vale la pena di ricordare che il significato della parola sindaco deriva dai termini
greci syn, che vuol dire con, insieme, e
dike, cioè giustizia. Il sindaco è dunque colui che agisce per la giustizia in una dimensione collettiva, e già in greco e nel tardo latino indicava il rappresentante legale di un
interesse collettivo e di una comunità locale. È la stessa radice da cui derivano le parole sindacato e sindacare, verbo che allude a una attenta ricognizione dei fatti per
scovare errori e crimini.
Ma torniamo ai risultati. Mi colpisce la
varietà, in cui denominatori comuni appaiono la voglia di cambiamento, ma anche
il riconoscimento di amministrazioni efficienti, frammisti alle spinte populistiche e
alla critica erga omnes astensionista. A Torino si vedrà quale delle due tendenze incarnate da Fassino ( che ha riconosciuto la
gravità di una «situazione sociale» ben lontana dall’essere mitigata) e dalla Appendino alla fine prevarrà. A Cagliari la sinistra
unita, da Rifondazione al Pd, nel riproporre Zedda vince al primo colpo. A Salerno
l’«erede» dell’era De Luca - sostenuto da
una coalizione di liste «progressiste» e civiche in cui nemmeno compare, se non mi
sbaglio, il simbolo e il nome del Pd - è eletto a furor di popolo col 70 per cento. A Napoli De Magistris tiene insieme credibilità
locale e contestazione «antisistema» del
centro istituzionale, molto aiutato dalle debolezze, i compromessi ( se non di peggio)
e le baruffe interne del Pd locale ( come ha
dovuto ammettere Renzi).
Più che un test sugli equilibri politici nazionali dati, direi che il voto chiede il cambiamento per tutti: i grillini devono dimostrare di saper governare, la sinistra di essere sinistra e magari di unirsi, la destra di
trovare un nuovo baricentro. Parlano di
questo anche le innumerevoli liste civiche
nei comuni più piccoli. Alludono al trasformismo ma anche alla forza di una identità
locale che, se finalmente riconosciuta e
riorganizzata, potrebbe essere determinante per far funzionare uno stato in grandissimo affanno. Ripartendo dalla capacità di
tenere insieme azione collettiva e giustizia
(legale e sociale). Vale a dire la politica?
–
Inizia oggi in Polonia la Anakonda
16, «la più grande esercitazione alleata di quest’anno»: vi partecipano
oltre 25 mila uomini di 19 paesi
Nato (Usa, Germania, Gran Bretagna, Turchia e altri) e di 6 partner:
Georgia, Ucraina e Kosovo (riconosciuto come stato), di fatto già nella Nato sotto comando Usa; Macedonia, che non è ancora nella Nato
solo per l’opposizione della Grecia
sulla questione del nome (lo stesso
di una sua provincia, che la Macedonia potrebbe rivendicare); Svezia
e Finlandia, che si stanno avvicinando sempre più alla Nato (hanno partecipato in maggio alla riunione dei
ministri degli esteri dell’Alleanza).
Formalmente l’esercitazione è a guida polacca (da qui la «k» nel nome), per soddisfare l’orgoglio nazionale di Varsavia. In realtà è al co-
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
COMMUNITY
Martedì 7 giugno
JACK HIRSCHMAN Incontro organizza
un incontro-reading con Agneta Falk e
Jack Hirschman, due grandi protagonisti
del circuito poetico internazionale e nel
caso di Hirschman di una vera leggenda
della controcultura e dell'impegno negli
Stati uniti. Il reading sarà diviso in due
parti nella prima i due poeti leggeranno i
loro versi presentando alcune novità e
individuando alcuni percorsi inediti e inaspettati del loro lavoro. Le traduzioni delle
poesie di Hirschman e della Falk sono di
Raffaella Marzano. Nella seconda parte
della serata, prendendo spunto dal quarantennale della scomparsa di Alfonso
Gatto, Jack Hirschman leggerà sue traduzioni del poeta salernitano (il volume
«Magma» da lui tradotto è la prima pubblicazione di Gatto negli Stati uniti). Casa
della poesia ha promosso la traduzione e
la pubblicazione all'estero di Alfonso Gatto (inglese, francese, greco, spagnolo).
 Casa della poesia, via Convento
21/a, Baronissi (Sa)
LAZIO
Martedì 7 giugno, ore 18
ATTO DI DOLORE Emanuela Orlandi. È
davvero impossibile sapere che cosa le
capitò? A questa e ad altre domande
risponde il libro di Tommaso Nelli «Atto di
dolore (David and Matthaus)» che, con
testimonianze inedite e documenti esclusivi evidenzia errori, omertà e depistaggi
per dimostrare come la verità sia un traguardo raggiungibile. Intervengono Pietro
Orlandi e Giovanni Fabiano.
 La Feltrinelli, Galleria Sordi, p.zza
G. Colonna, Roma
LOMBARDIA
Mercoledì 8 giugno, ore 19
WINDOW ON GAZA Viene inaugurata
mercoledì prossimo la mostra di pittura di
pittori di Gaza: dieci giorni di fratellanza e
solidarietà tra Milano e la Palestina.
 Casa Dei Diritti - Comune, via De
Amicis, 10, Milano
Giovedì 9 giugno, ore 18.30
POESIE Presentazione del libro di poesie: «Gli anni, i luoghi, i pensieri. (Poesie
2010 - 2013)» di Giorgio Mannacio. L’incontro con l’autore sarà condotto da Ezio
Partesana, filosofo, traduttore e scrittore
di testi poetici e teatrali. Interverrà Alberto Panaro, scrittore. Letture a cura di Carlo Porta.
 Libreria Linea d’Ombra, via San
Calocero 29, Milano
PIEMONTE
Martedì 7 giugno, ore 17
LA VITA AL ROVESCIO Appuntamento
con l’ultimo romanzo di Simona Baldelli:
«Anno 1735: la storia vera di Caterina
Vizzani che sfugge al suo destino fingendosi uomo e innamorandosi di una donna».
Dialoga con l’Autrice Paola Guazzo, letture
e sonorità a cura dell’AltraMartedì e Centro Documentazione Maurice GLBTQ.
 Maurice GLBTQ, via Stampatori,
10, Torino
SARDEGNA
Martedì 7 giugno, ore 20.45
GROVIGLI Prosegue la rassegna cinematografica «Grovigli. Relazioni al cinema», si
proietta e si discute il film di Gary Sinise
«Uomini e topi».
 Circolo del cinema FICC LaboratorioVentotto, via Montesanto 28, Cagliari
Tutti gli appuntamenti:
[email protected]
le lettere
pagina 18
Garanzie sulla Prandina
Intorno a noi l’Europa è in guerra. Confini invalicabili definiscono la fortezza dei diritti tra chi è
dentro e chi deve rimanere fuori.
Nel Mediterraneo, solo negli ultimi giorni, 700 persone hanno
perso la vita nei naufragi.
Da Calais a Idomeni, le forze
dell’ordine sgomberano ferocemente migliaia di uomini, donne
e bambini. Ogni giorno, nelle nostre città, nuove e differenti forme di esclusione, violenza, discriminazione, disegnano il profilo di
una brutale cittadinanza.
Anche a Padova, dal luglio scorso, l’ex caserma Prandina è stata
trasformata in un «hub» che ospita centinaia di richiedenti asilo.
A fronte di numerosi scandali
legati alla gestione della cooperativa Ecofficina, ora rimossa, delle
condizioni di sovraffollamento e
malnutrizione, delle condizioni di
lavoro precarie e totalmente inadeguate dei lavoratori e delle
lavoratrici dell’accoglienza, non
sono neanche garantite le visite
di garanzia all’interno delle strutture. Diventa impossibile visitare
questi luoghi per monitorare le
condizioni in cui vivono centinaia
di richiedenti asilo, che spesso
costretti sotto il ricatto della commissione che giudica le loro domande preferiscono il silenzio
alla denuncia.
Tutto questo, in un contesto di
crescente odio xenofobo e discriminatorio, incentivato dalla giunta del sindaco leghista Bitonci.
Considerando questo quadro
inaccettabile chiediamo alla Prefettura il massimo sforzo per:
- La chiusura degli «hub» (Prandina, Bagnoli, Cona ecc..) che non
garantiscono la tutela della dignità e dei diritti dei profughi a favore di un sistema di accoglienza
fuori dalle logiche dell'emergenzialità.
-Una gestione dell’accoglienza
più chiara e trasparente per evitare che sia lasciata in mano a giganti delle cooperative (vedi Ecofficina).
- Il rispetto dei diritti dei lavoratori: in particolare sorveglianza
sull’inammissibile utilizzo dei voucher come forma normale per
regolare i rapporti di lavoro nel
settore. Provvedimenti atti a ga-
INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU:
www.ilmanifesto.info
[email protected]
Caro Angelo, chi ti ha conosciuto sa cos’è l’amicizia, la dolcezza ed il coraggio.
Le esequie di Angelo Fugaro si
terranno oggi, martedì 7 alle
ore 11 nella cappella dell'Ospedale Regina Margherita in Trastevere
I compagni e le compagne
dell’Alitalia e gli amici di
barca
Sinistra peggio del Pd
centro-sinistra e capace di
muoversi meglio di noi.
Forse non abbiamo tutte le
soluzioni in tasca e ci vuole
un po' più di umiltà (vero Andrea Ranieri?) nel costruire un
nuovo soggetto di sinistra (ma
nuovo davvero!) capace di contendere al Pd la leadership
dell'area progressista. Forse
bisogna trovare la pazienza di
lavorare sul medio-lungo periodo a prescindere dal calendario elettorale, mettendo in campo quella sorta di dovere di
«praticare i diritti» dal basso
perorato a suo tempo da un
socialista non statalista come
Vittorio Foa.
Roberto Cerchio None (TO)
nel 2011, era stata del 67,4%.
(...) Per chi crede nella democrazia reale, nella quale la partecipazione è fondamentale per
integrare la delega e la rappresentanza, il calo della partecipazione al voto è il sintomo di una
malattia grave della democrazia. Che può preludere a vere e
proprie involuzioni autoritarie. In
ogni caso, anche a prescindere
da queste valutazioni di filosofia politica, sarà difficile per
qualsiasi sindaco governare
avendo contro (o non godendo
certo della sua simpatia) il 75 80% dell’elettorato potenziale
del suo Comune.
Giovanni Lamagna
Il problema del non voto
Renzi non voleva caricare di significato politico le amministrative, come se fosse possibile. Lo
fece invece con le europee, come se l’Europa fosse più vicina
del proprio comune. Addirittura
nella conferenza-stampa si è
Il primo dato che emerge dal
primo turno delle amministrative è quello di una ulteriore flessione della partecipazione dei
votanti, che si è fermata al
62,1%, mentre cinque anni fa,
Facile, il governo ha perso
Nelle spire dell’Anaconda
Manlio Dinucci
to di forze multinazionali aerotrasportate» e altre anche nell’area
baltica a ridosso del territorio russo. Alla vigilia dell’Anakonda 16,
Varsavia ha annunciato che nel
2017 espanderà le forze armate
polacche da 100 a 150 mila uomini, costituendo una forza paramilitare di 35 mila uomini denominata
«forza di difesa territoriale». Distribuita in tutte le province a cominciare da quelle orientali, essa avrà il
compito di «impedire alla Russia di
impadronirsi del territorio polacco,
come ha fatto in Ucraina». I membri
Primi firmatari:
Guido Viale (scrittore)
Massimo Carlotto (scrittore)
Moni Ovadia (scrittore)
Giuseppe Mosconi (docente)
Gianni Tamino (biologo marino)
Devi Sacchetto (docente)
Umberto Curi (docente)
Roberto Marinello (consigliere
comunale) Andrea Segre (regista) Adone Brandalise (docente)
Sandro Chignola (docente)
Omid Firouzi Tabar (ricercatore)
non strutturato.
Adesioni:
[email protected]
«Tremate, tremate.
L’ARTE DELLA GUERRA
mando dello U.S. Army Europe che,
con un’«area di responsabilità» comprendente 51 paesi (compresa l’intera Russia), ha la missione ufficiale di «promuovere gli interessi strategici americani in Europa ed Eurasia». Ogni anno effettua oltre 1000
operazioni militari in oltre 40 paesi
dell’area. Lo U.S. Army Europe partecipa all’esercitazione con 18 sue
unità, tra cui la 173a Brigata aerotrasportata di Vicenza. L’Anakonda
16, che si svolge fino al 17 giugno,
è chiaramente diretta contro la Russia. Essa prevede «missioni di assal-
rantire il più possibile la continuità lavorativa in caso di variazione
dell’appalto nella gestione delle
strutture.
Infine, chiediamo con urgenza
alla Prefettura la possibilità di
avere accesso regolare, accompagnati da figure istituzionali, alla
Prandina fino al momento della
sua dismissione, e, attraverso
«visite di garanzia», di poter monitorare le condizioni di vivibilità
e igienico-sanitarie e il rispetto
dei diritti e della dignità dei migranti.
dichiarato vincitore, dicendo
che i numeri sono dalla sua parte, ma la voce era incrinata, ormai debole. (...)
Il governo oggi è minoritario,
sfatto dalle sue tante contraddizioni: un riformismo vuoto, che
non incide sulla vita della gente
e il suo essere spurio (Verdini).
La ricreazione è finita, go home.
Francesco Greco
Ciao Angelo
Cari amici de «il manifesto» direi che è andata maluccio al
Pd di Renzi ma malissimo alle
formazioni alla sua sinistra. Roma 4.5%, Milano 3.5%, Torino
3.7%. La sinistra «alternativa»
ha ancora una volta partorito
un topolino. A parte la Napoli
ad immagine e somiglianza di
De Magistris e la Cagliari del
bravo Zedda (la cui lista però è
di centro-sinistra), solo a Bologna si supera il 5%.
Forse non è stata una gran pensata sostituire l'anti-berlusconismo con l'anti-renzismo. Forse
l'inaffidabilità che promana dai
soliti litigi pre-elettorali (vedi
Milano e Roma) e da quella
gestione sprovveduta che ha
rischiato di far saltare la partecipazione di Fassina alla competizione romana non aiutano.
Forse muoversi e stringere solo
in funzione degli appuntamenti
elettorali non scalda il cuore
delle persone di sinistra.
Forse il popolo dei ben-altristi
che detta la propria purissima linea via blog dovrebbe
decidersi ad abbandonare il
virtuale per il reale. Forse
Renzi non è il demonio ma un
liberale di sinistra con piena
cittadinanza nel campo del

Appello alla Prefettura di Padova
della nuova forza, che riceveranno
un salario mensile, saranno addestrati, a cominciare da settembre,
da istruttori Usa e Nato sul modello
adottato in Ucraina, dove essi addestrano la Guardia nazionale comprendente i battaglioni neonazisti.
L’associazione paramilitare polacca
Strzelec, che con oltre 10 mila uomini costituirà il nerbo della nuova
forza, ha già iniziato l’addestramento partecipando all’Anakonda 16.
La costituzione della forza paramilitare, che sul piano interno fornisce
al presidente Andrzej Duda un nuo-
vo strumento per reprimere l’opposizione, rientra nel potenziamento militare della Polonia, con un costo
previsto di 34 miliardi di dollari entro il 2022, incoraggiato da Usa e
Nato in funzione anti-russa. Sono
già iniziati i lavori per installare in
Polonia una batteria missilistica terrestre del sistema statunitense Aegis, analoga a quella già in funzione in Romania, che può lanciare sia
missili intercettori che missili da
attacco nucleare. In attesa del summit Nato di Varsavia (8-9 luglio),
che ufficializzerà l’escalation an-
Le streghe son tornate!». Fu
uno slogan storico del movimento femminista negli anni ‘70. Le
donne rompevano un silenzio
antico, prendevano la parola in
cortei gioiosi e colorati.
Ora che cosa resta di quelle mani allacciate, di quelle risate,
della gioia di emanciparsi e di
uscire la sera in gruppo o anche da sole?
Le giovani donne di allora non
potevano prevedere che la parola d’ordine inneggiante alle streghe, simbolo di trasgressione e
di eresia, diventasse lugubre
realtà sul corpo di una ventiduenne romana, vittima di un
ennesimo femminicidio.
Sara, amante della vita e della
danza, è stata immolata in un
«fuoco purificatore», colpevole
secondo il suo ex compagno, di
avere scelto la libertà di esistere. Il fuoco, metafora della vita
e della morte, ha annientato
una studentessa innocente. Pensieri malsani e pulsioni malvagie hanno guidato un uomo,
incapace di accettare l’abbandono. Ma forse l’analisi dovrebbe
essere più complessa e contemporaneamente più difficile da
capire.
Per Sara bisogna continuare a
esporre un drappo rosso, segno
di protesta collettiva contro le
morti di donne incolpevoli.
Maria Teresa Gavazza
–
ti-Russia, il Pentagono si prepara a
dislocare in Europa una brigata da
combattimento di 5 mila uomini
che roterà tra Polonia e paesi baltici. Si intensificano allo stesso tempo le esercitazioni Usa/Nato dirette
contro la Russia: il 5 giugno, due
giorni prima dell’Anakonda 16, è
iniziata nel Mar Baltico la Baltops
16, con 6100 militari, 45 navi e 60
aerei da guerra di 17 paesi (Italia
compresa) sotto comando Usa. Vi
partecipano anche bombardieri strategici Usa B-52. A circa 100 miglia
dal territorio russo di Kaliningrad.
Una ulteriore escalation della strategia della tensione, che spinge l’Europa a un confronto non meno pericoloso di quello della guerra fredda. Sotto la cappa del silenzio politico-mediatico delle «grandi democrazie» occidentali.
il manifesto
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
COMMUNITY
L’economia Usa rallenta
e chiama in causa l’Ue
Luigi Pandolfi
T
ra i temi economici che
maggiormente fanno discutere in questo momento, il
rallentamento dell’economia Usa
è quello che, per ovvie ragioni,
merita un supplemento di attenzione. Che succede da quelle parti? Molto sinteticamente: dopo
un quinquennio segnato dal recupero delle posizioni perse per effetto della crisi dei subprime, la seconda economia del mondo torna a segnalare qualche acciacco.
Due gli indicatori sotto i riflettori:
la crescita del Pil nel primo trimestre al di sotto delle aspettative e
una deludente performance del
mercato del lavoro nei primi cinque mesi dell’anno. A far data da
gennaio, sono stati creati meno
posti di lavoro del previsto (38 mila contro una stima di 160 mila),
ma il tasso di disoccupazione, a
sorpresa, è sceso al 4,7%, il più
basso dal novembre 2007. Un dato, quest’ultimo, che fa il paio però, in termini congiunturali, con
la discesa, parallela, del tasso di
partecipazione alla forza lavoro,
ovvero con la rinuncia di alcuni
segmenti della popolazione a cercare un lavoro.
Nondimeno, se assumiamo la
crisi del 2007-2008 come spartiacque, e facciamo un confronto con quello che è accaduto in
Europa nello stesso periodo, questi numeri rivelano un quadro
molto distante da alcune rappresentazioni del momento. Nel
2009 il tasso di disoccupazione
in Europa era al 9,8%, mentre in
America si attestava al 9,5%. In
entrambi i casi, allora, si parlava
di percentuali da record. In
quell’anno, l’Italia se la passava
Washington punta sul Ttip, ma un eventuale flop
sarebbe da imputare agli sviluppi della guerra
commerciale che si combatte su scala mondiale, più
che alle politiche sulla salute dei cittadini europei
relativamente "meglio", con una
percentuale al di sotto della media europea, il 7,4%.
Poi la crisi ha fatto il suo corso,
ed anche le diverse politiche di risposta alla crisi. E così, mentre
negli Stati uniti il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 5%,
nell’eurozona si attesta al 10,3%
(dato di aprile) e in Italia
all’11,7% (quella giovanile vicina
al 37%). Come si spiegano questi
dati? Semplice: in Europa si è
scelto di fronteggiare la crisi con
politiche di austerità, in America
con stimoli pubblici all’economia, la scelta più ovvia quando il
ciclo economico è negativo. Si ricorderà che proprio nel 2009 fu
varato
dall’amministrazione
Obama il pacchetto ARRA (Recovery and Reinvestment Act), una
manovra da quasi mille miliardi
di dollari per creare immediatamente nuova occupazione, potenziare la rete di protezione sociale per i soggetti più colpiti dalla crisi, rilanciare l’economia attraverso investimenti diretti in infrastrutture, istruzione, sanità,
energie rinnovabili. Tale operazione, coniugata con quella di
Quantitative Easing (QE), ha consentito agli Usa di riportare la disoccupazione ai livelli pre-crisi.
Ma torniamo all’oggi.
Perché l’economia Usa frena?
C’entrano sicuramente il rallentamento dell’economia cinese e
il crollo del prezzo del petrolio,
con tutte le conseguenze che lo
stesso sta avendo sul settore dello shale gas & oil. Ma c’entrano
soprattutto gli attuali equilibri (o
squilibri) nel mercato mondiale.
Se da un lato, infatti, gli Usa continuano a far registrare un incremento apprezzabile dei consumi
sul piano interno (ad aprile si è
avuta la crescita più sostanziosa
da sei anni a questa parte), lo
stesso non si può dire per la domanda estera, che continua a rivelarsi debole, inadeguata.
Nessuna novità, per carità: la
bilancia commerciale americana
è in rosso dal lontano 1977! È che
oggi, nell’analisi dei rapporti di
forza nel mercato globale, non si
può più eludere il tema del mancato contributo alla domanda aggregata mondiale fornito dai paesi che guidano la classifica dei
surplus di parte corrente, a cominciare dalla Germania, che lo
scorso anno ha toccato il picco
dell’8,5% del Prodotto interno
lordo, in barba alle soglie (6% del
Pil) fissate dalle regole europee.
Un grande tema, che spiega,
ad esempio, l’interesse degli Usa
per il Trattato Transatlantico sul
Commercio e gli Investimenti
(Ttip) e, di converso, la crescente
freddezza di alcuni paesi europei
per esso. Forse che i governi di
Berlino e Parigi si sono improvvisamente resi conto dei rischi per
l’ambiente, per i diritti dei consumatori e dei lavoratori, derivanti
dalla firma del Ttip? Certo, le
campagne di informazione e le
grandi manifestazioni di piazza
degli ultimi mesi hanno influito
molto sull’orientamento dell’opinione pubblica di questi paesi,
ma è negli sviluppi della guerra
commerciale che si combatte su
scala mondiale che bisognerà trovare la risposta ad un eventuale
(ed auspicabile) naufragio del
progetto. Insomma, al di là delle
dichiarazioni ufficiali, ciò che
conta è che un paese come la
Germania, solo l’anno scorso, ha
fatto registrare un attivo commerciale con gli Usa pari a 74 miliardi di dollari. E questo per gli
Usa è diventato un problema,
che si somma a tutti gli altri.
Un problema che potrà essere
risolto in un solo modo: con i tedeschi, e gli europei, che comprano più prodotti americani. Ma
perché questa evenienza si verifichi, sono necessarie due condizioni: che in Europa si allenti la
morsa dell’austerità e, per l’appunto, si abbattano le barriere
commerciali che attualmente limitano lo scambio di prodotti e
servizi tra le due sponde dell’Atlantico. Ora, che la Germania
debba frenare la sua corsa mercantilista, nel rispetto, in primo
luogo, del patto che ha sottoscritto con gli altri partner europei, è
un dato ineludibile. Che un maggiore equilibrio negli scambi
commerciali su scala globale si
realizzi a scapito della salute dei
cittadini, dei diritti dei lavoratori
e della democrazia, è, nondimeno, un altro paio di maniche.
il manifesto
DIR. RESPONSABILE Norma Rangeri
CONDIRETTORE Tommaso Di Francesco
DESK
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Massimo Giannetti, Giulia Sbarigia
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Benedetto Vecchi (presidente),
Matteo Bartocci, Norma Rangeri,
Silvana Silvestri
il nuovo manifesto società coop editrice
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iscritto al n.13812 del registro stampa del tribunale di
Roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale
di Roma n.13812 ilmanifesto fruisce dei contributi statali
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Pubblicazione online: ISSN 2465-0870
ABBONAMENTI POSTALI PER L’ITALIA annuo 320e
semestrale 165e versamento con bonifico bancario
pagina 19
PENA, FORMAZIONE, COSCIENZA
Le tante voci dalla galera
al centro della città
Alberto Giasanti
«V
endere San Vittore, Regitrova nelle città di tutti i paesi dove
na Coeli e Poggioreale in
poveri, bambini di strada e persocambio di penitenziari
ne marginali devono essere nasconuovi»; «Il piano carceri: via dai
sti agli occhi del mondo in nome
centri storici. Le nuove prigioni sodel decoro. Così la società, pur eslo in periferia»; «Carceri, è polemisendoci totalmente immersa, nega
ca. L’operazione vendita non conla violenza e cerca di allontanarla
vince tutti». Sono i titoli di la Repubda sé, nascondendo la propria parblica del 27 e 28 maggio 2016, mente negativa nell’idea di esorcizzartre il dibattito-convegno tra funziola, ma questa, se non accolta e riconari e operatori della giustizia insienosciuta, ritorna più potente che
me a magistrati, avvocati e docenti
mai e prende il sopravvento. Si deuniversitari riguardo ai «cambiave allora guardare al carcere come
menti nell’area penale per le profesal luogo dove, in certe circostanze
sioni sociali», tenutosi il 27 maggio
e attraverso dolorose esperienze, fapresso l’Università di Milano-Bicocre i conti con la propria ombra
ca, pone l’accento sulle misure alapre la strada per addentrarsi nei
ternative al carcere come antidoto
sotterranei dell’anima o del nostro
alla recidiva e sui rapporti sempre
lupo interiore verso un ulteriore
più stretti che il carcere deve avere
percorso, lungo e faticoso, di conocon il territorio. Al tempo stesso
scenza di sé che porta al riconoscil’iniziativa del Ministro della Giumento dei nostri demoni ed alla ristizia di dare avvio, nel maggio del
composizione ad unità delle nostre
2015, agli «Stati Generali dell’eseparti scisse in un gioco di luci e omcuzione penale» ha portato alla cobre come anche in un andare e vestituzione di 18 tavoli tematici a
nire tra dentro la galera e fuori nelcui hanno partecipato operatori,
la comunità.
studiosi e volontari
Per dare parola aldel settore come an- Spostare le carceri le tante voci della gache detenuti, per la
lera, attraverso le
in periferia? No,
definizione di «un
quali la città può fornuovo modello di
se avere l’idea che i
meglio
incontrare
esecuzione penale e
delinquenti sono in
i demoni
una migliore fisionorealtà persone come
mia del carcere più
noi, vorrei dire della
che la società
dignitosa per chi vi
mia esperienza pluevoca e combatte riennale di docente
lavora e per chi vi è
ristretto».
che tiene corsi uniNell’aprile di questo anno il Coversitari in carcere parlando di memitato degli esperti, che ha coordidiazione con se stessi, di maschera,
nato a livello nazionale i tavoli tedi ombra e di doppio. Con la firma
matici, ha presentato e discusso a
dell’accordo tra l’Università degli
Rebibbia il documento finale degli
studi di Milano-Bicocca e il ProvveStati Generali, constatando che «il
ditorato regionale dell’amministraproblema dell’esecuzione penale è
zione penitenziaria per la Lombarun problema culturale, prima ancodia la formazione in carcere assura che normativo» e facendo capire
me una rilevanza istituzionale che
«come sia socialmente ottusa, oltredà la possibilità di sviluppare attiviché costituzionalmente inaccettabità di ricerca, culturali e didattiche
le, l’idea che il carcere sia una sorta
presso alcuni Istituti penitenziari
di buio caveau, in cui gettare e rilombardi e presso l’ufficio di esecuchiudere monete che non hanno
zione penale esterna di Milano e
più corso legale nella società sana e
dello stesso provveditorato. La conproduttiva». Un percorso dunque
venzione è rivolta a tutto il personaattraverso il quale «la società offre
le degli istituti penitenziari, alle perun’opportunità ed una speranza alsone detenute, ai docenti e agli stule persone» e dà a se stessa «un’opdenti dell’ateneo, con la possibilità
portunità ed una speranza di divendi organizzare in carcere corsi, statare migliore».
ge, tirocini e laboratori.
Affermazioni queste di civiltà giuCosì una mattina entro in carceridica e sociale al tempo stesso, ma
re con il gruppo di studenti freche sono in contraddizione con
quentanti e incontriamo il gruppo
quanto la stampa nazionale mette
di detenuti che intendono seguire
in luce, riferendosi alla vendita delle lezioni. Si lavora sul conflitto e
le carceri situate nei centri storici e
sulla mediazione con se stessi che
soprattutto alla costruzione di nuosignifica fare i conti con il nostro
vi penitenziari nelle periferie. Se la
doppio, ma anche con la molteplipolitica dell’esecuzione penale va
cità delle nostre identità e con le
verso la prospettiva del ridimensioproiezioni delle nostre ombre. Il
namento delle misure detentive e
corso evidenzia come le storie dei
di un allargamento di quelle «di copartecipanti si intrecciano quasi a
munità» e gli operatori tutti ritengosovrapporsi le une alle altre in un
no di grande utilità il lavoro di rete
altalenarsi tra singoli e gruppi, tra
sul territorio per la riduzione della
coscienza individuale e coscienza
recidiva e la progressiva inclusione
collettiva, come due sguardi diffesociale delle persone detenute, elirenti che si confrontano. Alla fine
minare le carceri dal centro e codel corso la valutazione degli elastruirle in periferia assume il valore
borati e la presentazione degli stessimbolico di un disegno che intensi nella forma di una rappresentade, come afferma Luigi Manconi, rizione teatrale. Questo corso ha poi
muovere il male, che si pensa essedato luogo alla scrittura collettiva,
re dentro il carcere, nascondendodetenuti e studenti, di un libro dal
lo allo sguardo dei cittadini.
titolo università@carcere. Il diveniÈ comunque la risposta che si rire della coscienza: conflitto, mediazione, perdono.
Ci si deve sempre ricordare che
per andare oltre la sofferenza è necessario incontrarla nella sua dipresso Banca Etica intestato a “il nuovo manifesto
mensione tragica e certamente il
società coop editrice” via A. Bargoni 8, 00153 Roma
carcere è tragedia e le storie narraIBAN: IT 30 P 05018 03200 000000153228
te nel libro ne sono una viva testiCOPIE ARRETRATE 06/39745482 [email protected]
monianza. È necessario, d’altra parte, indicare una via lungo la quale i
STAMPA RCS Produzioni Spa via A. Ciamarra 351/353,
Roma - RCS Produzioni Milano Spa via R. Luxemburg 2,
sentimenti messi a nudo e violati
Pessano con Bornago (MI)
trovano un luogo di mediazione
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per potersi esprimere e per potere
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dare e prendere la parola. È quindi
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importante che il carcere sia una
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presenza molto visibile nella città
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schere e quelle degli altri o, in altri
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ne e lavoro come in attività ludiche
per tutti, sia verso la persona detecertificato n. 8142
del 06-04-2016
nuta sia verso chi, a vario titolo, latiratura prevista 40.101
chiuso in redazione ore 22.00
vora nel carcere e nella comunità.
pagina 20
il manifesto
L’ULTIMA
MARTEDÌ 7 GIUGNO 2016
inserto
Il nuovo numero
del manifesto
«in movimento»
stavolta inforca
la bicicletta,
stile di vita
e di pensiero.
Come diceva
Einstein «per non
perdere
l’equilibrio
bisogna avanzare»
Eleonora Martini
S
i potrebbe partire dal «Pedalo
dunque sono» di Marc Augé citato da Riccardo Barlaam mentre descrive l’arte della felicità che solo chi ha mai inforcato una bicicletta e pedalato via tutti i pensieri bui
sa come si coltiva. Si potrebbe partire da lì per viaggiare, avanti e indietro nel tempo e nello spazio, nel
mondo delle due ruote a raggi, che
non è solo World Tour. «Per non perdere l’equilibrio bisogna avanzare»,
diceva Albert Einstein.
E allora via: stavolta il manifesto
in movimento si mette sui pedali, attività prediletta della primavera, che
siano salite di montagna, parchi cittadini o piste ciclabili, magari recuperate dall’enorme patrimonio abbandonato delle ex ferrovie.
Nel nuovo numero di In movimento che troverete in edicola da giovedì 9 giugno (e nei giorni successivi al
costo di 1 euro, entriamo con tutte e
due le ruote nelle pozze primaverili,
schizzando acqua su corridori incalliti, campioni e ciclisti della domenica, sullo sfondo sempre e comunque natura e vette, ma con lo sguardo libero e mobile a trecentosessanta gradi. Stile di vita e di pensiero.
Focus sul Sellaronda, sinonimo di
bici da strada, dove Umberto Isman
ci conduce alla scoperta del percorso che si inerpica tra spettacolari vette dolomitiche e sul quale domenica
19 giugno si riverseranno migliaia di
ciclisti per il Bike day. Da lì in poi si
IN QUESTA
scorrazza felici tra storie recenti o a
PAGINA
cavallo tra l’Ottocento e il NovecenFOTO DI
to del secolo scorso, con Luigi MasetUMBERTO
ti, l’anarchico che prima di combatISMAN
tere Bava Beccaris pedalò da Milano
E ALBANO
a Washington finanziato dal CorrieMARCARINI
re della Sera, o con le traversate alpine del ragionier cavalier Renzo Monti, ultra-cyclist ante litteram, o anche con l’intervista immaginaria alla
Storia della bici, per presentare
un’interessante mostra che si tiene
fino al 10 luglio ad Alessandria.
Non solo campioni: come il «playboy» Alessio di Basco della cui leggenda ci parla Marco Pastonesi, o il
«Pedalo
DUNQUE SONO»
IL NOSTRO SUPPLEMENTO OUTDOOR
Da giovedì 9 giugno
in edicola a 1 euro
Torna l’inserto «sportivo» del manifesto.
Da giovedì 9 giugno il numero di giugno
sarà in tutte le edicole al costo di 1 euro.
Sui contenuti dice tutto o quasi Eleonora
Martini nell’articolo in questa pagina. L’iniziativa sembra piacervi. I dati sono ancora
provvisori ma dopo le 16mila copie del
numero di febbraio al prezzo promozionale
di 50 centesimi anche a marzo abbiamo
superato le 13mila copie diffuse. Il 7 luglio torneremo da voi con una monografia
dedicata al trekking, alla «wilderness» e
alla natura in generale. (m. ba.)
corridore risorto, Marcello Osler, raccontato con gli occhi dell’ex bambino che lo faceva perdere. Oggi quel
bambino fa il pediatra, lo scrittore e
il cantante dei Tetes de Bois: Andrea
Satta che firma un bell’affresco sulla
canzone in bici, mentre vanno in
stampa le sue ultime due fatiche editoriali: «Officina Millegiri» e «Mamma quante storie!».
Si viaggia con Albano Marcarini
sul Mont Ventoux, la cui ascesa è
per il Giro di Francia il mito da celebrare di nuovo il prossimo 14 luglio, in concomitanza con la festa
nazionale. E con Matteo Scarabelli
che racconta un anno vissuto pedalando attraverso il Marocco, l’Algeria, la Tunisia, la Libia, l’Egitto, la Si-
ria e il Libano, paesi ormai sconvolti e trasformati dalle «primavere arabe» e dall’Isis.
Luca Fazio, il nostro giornalista
su due ruote per elezione, intervista
Rota Fixa, lo scrittore, artista e costruttore di bici che «fa l’amore» col
telaio, perché le sue sono opere
d’arte e hanno un’anima che se
non è gemella è compagna.
Infine, siccome per i ciclisti i candidati sindaci non sono tutti uguali, in
tempi di ballottaggi sarà utile ascoltare il vademecum del venditore di
biciclette per eccellenza di Milano,
raccolto da Alberto Biraghi.
E, anche se di primo acchito potrebbe sembrare fuori pista, c’è
una chicca preziosa per mantenere la bussola garantista
e antimanettara, alle
prossime elezioni: il saggio con il quale Cesare
Lombroso nel 1900 descrive l’avvento del «biciclo», quel «nuovo meccanismo» sul quale si andava formando il «cicloanthropos»,
evoluzione
contemporanea del popolano malandrino. Il
quale però, prevedeva il
fondatore della moderna criminologia, «nel secolo Ventesimo soffrirà
meno di nervi e sarà più
robusto
di
muscoli
dell’uomo del secolo appena trascorso».