L`uso degli psicofarmaci in gravidanza e nel puerperio

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L`uso degli psicofarmaci in gravidanza e nel puerperio
L’uso degli psicofarmaci
in gravidanza e nel puerperio
Il trattamento psicofarmacologico durante la gravidanza è un approccio terapeutico inusuale e complesso. Se da un lato, infatti, è doveroso considerare i possibili rischi per il
feto dovuti all’esposizione agli psicofarmaci, dall’altro bisogna tenere conto dei rischi
conseguenti al non trattamento di un grave disturbo psichico, insorto o riacutizzatosi
durante la gravidanza. In maniera analoga la scelta di trattare con psicofarmaci una
madre affetta da disturbi psichici durante il puerperio pone quesiti abbastanza simili e
deve quindi basarsi, nel singolo caso, sulla valutazione dei rischi-benefici che l’allattamento al seno comporta. L’analisi di entrambi gli aspetti della questione risulta, pertanto,
fondamentale nella fase di programmazione di qualsiasi intervento terapeutico di natura
farmacologica durante la gravidanza e il puerperio. In questa breve revisione sono stati
riportati sia i dati relativi ai potenziali effetti teratogeni e di tossicità neonatale degli psicofarmaci, sia le raccomandazioni da considerare nel trattamento dei principali disturbi
psichici durante la gravidanza e nel periodo dell’allattamento.
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RIASSUNTO
NÓOς
Unità di Psicofarmacologia Clinica, Sezione di Psichiatria
Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Università di Verona
PSICOFARMACOTERAPIA
DEI PAZIENTI A RISCHIO
GIUSEPPE IMPERADORE, CLAUDIA GOSS,
CESARIO BELLANTUONO
Parole chiave: Gravidanza, psicofarmaci, allattamento.
SUMMARY
The prescription of psychotropic drugs during the pregnancy requires a complex and
sometimes problematic therapeutic approach. First of all, it should be considered the
potential teratogenic risk for the foetus which, on the other hand, must be balanced with
the risk for the mother of having a severe mental illness untreated. Similarly, the decision
to prescribe psychotropic medication during the breast-feeding should take into account
both the data on the risk of drug’s exposure for the child as well as the several advantages of breast-feeding. The aim of this paper is to provide, through a short review of the
literature, clinically relevant information on the teratogenic risk and neonatal toxicity of
the different classes of psychotropic drugs. Practice guidelines on the drug treatment and
clinical management of common mental disorders during pregnancy and post partum
period are also presented.
Key words: Pregnancy, psychotropic drugs, breast-feeding.
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Indirizzo per la corrispondenza: Giuseppe Imperadore, Unità di Psicofarmacologia Clinica Sezione di
Psichiatria - Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Università di Verona, Piazzale L.A. Scuro 10 37100 Verona. Tel. 045 8074442; Fax 045 500873; e-mail: [email protected]
NÓOς
L’USO DEGLI PSICOFARMACI
IN GRAVIDANZA E NEL PUERPERIO
G. IMPERADORE - C. GOSS
C. BELLANTUONO
L’USO DEGLI PSICOFARMACI IN GRAVIDANZA
Il trattamento psicofarmacologico durante la gravidanza è un approccio terapeutico inusuale e complesso. Se da un lato, infatti, è doveroso considerare i
possibili rischi per il feto dovuti all’esposizione agli psicofarmaci rappresentati da: rischio teratogeno, effetto sullo sviluppo psicofisico pre- e post-natale, dall’altro bisogna tenere conto dei rischi conseguenti al non trattamento di
un grave disturbo psichico, insorto o riacutizzatosi durante la gravidanza.
L’analisi di entrambi gli aspetti della questione risulta, pertanto, fondamentale nella fase di programmazione di qualsiasi intervento terapeutico di natura
farmacologica.
La gravidanza è caratterizzata dal graduale cambiamento di numerose variabili fisiologiche, alcune delle quali in grado di modificare il profilo cinetico e
dinamico dei farmaci (l’incremento del volume plasmatico, la riduzione della
concentrazione plasmatica di albumina, l’aumento degli acidi grassi liberi,
l’incremento del flusso utero-placentare). Le conseguenze di tali modificazioni comportano un aumento della concentrazione di farmaco libero ed un
aumento della velocità di trasferimento degli psicofarmaci attraverso la placenta, con conseguente possibile rischio di una maggiore vulnerabilità del
feto agli effetti indesiderati, che aumenta con il progredire della gravidanza e
con l’utilizzo dei farmaci ad alte dosi e/o per periodi prolungati1.
Allo stato attuale non sono disponibili, salvo qualche eccezione, stime accurate dei parametri cinetici degli psicofarmaci nel corso della gravidanza. In
linea generale si può affermare che l’emivita di un singolo farmaco e del suo
eventuale metabolita raddoppi durante il periodo gravidico e tale dato, per
quanto non così specifico, è già di per sé in grado di orientare la scelta verso
composti che, a parità di efficacia, presentino una emivita breve, siano velocemente metabolizzati e/o non abbiano metaboliti attivi.
Rischi dell’esposizione fetale agli psicofarmaci
In linea generale l’esposizione fetale ai farmaci è associata a tre tipi di
rischio: la teratogenesi, la tossicità neonatale e le conseguenze dell’esposizione a lungo termine.
La potenzialità teratogena di un farmaco rappresenta, ovviamente, una
costante preoccupazione sia per il clinico che per la paziente. Nonostante la
rilevanza del problema, a distanza di molti anni dall’introduzione degli psicofarmaci, esistono ancora numerose incertezze sulla loro reale capacità di
indurre teratogenesi. Ciò è in parte spiegabile se si tiene conto delle difficoltà metodologiche esistenti in questo tipo di indagini epidemiologiche,
spesso effettuate con studi di tipo caso-controllo, nei quali l’accuratezza
delle informazioni raccolte non risulta sempre attendibile. Le stesse classificazioni riguardanti il rischio di utilizzo degli psicofarmaci in gravidanza si
basano, in realtà, su segnalazioni per lo più sporadiche (case-report) e a
volte contraddittorie che danno adito a tutta una serie di riserve e dubbi di
difficile soluzione. Proprio per tale motivo esse finiscono per rivestire un
carattere puramente indicativo, avendo una loro utilità soprattutto per la pre110
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Benzodiazepine
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DEI PAZIENTI A RISCHIO
venzione secondaria dei potenziali danni (ad esempio aumento dei controlli
ecografici).
Per rischio di tossicità neonatale si intende l’insieme di possibili effetti clinici determinato dall’esposizione fetale nel terzo trimestre di gravidanza o
prima del parto. Se durante la gravidanza la circolazione feto-placentare consente almeno in parte l’eliminazione e lo smaltimento delle sostanze tossiche, dopo la nascita il rischio di accumulo del farmaco dipenderà essenzialmente dal grado di immaturità del sistema metabolico e di escrezione del
neonato e dalla dose di esposizione. I disturbi clinici che il neonato potrà
presentare (effetti indesiderati, sintomi da sovradosaggio o da sospensione)
saranno essenzialmente conseguenza delle caratteristiche del farmaco a cui è
stato esposto durante la gestazione.
Il rischio di conseguenze a lungo termine, infine, include quelle modificazioni psichiche e comportamentali che possono manifestarsi a distanza di qualche anno dall’esposizione allo psicofarmaco.
I rischi legati all’esposizione ad un trattamento psicofarmacologico (tabella
I) verranno qui di seguito analizzati secondo le evidenze scientifiche disponibili in letteratura per le diverse classi di psicofarmaci.
La possibilità che l’esposizione in utero alle benzodiazepine (BDZ) si possa
associare a malformazioni d’organo, tossicità neonatale o sequele comportamentali è stata valutata sin dagli anni Settanta, ma l’estrema variabilità dei
risultati degli studi disponibili rende ancora oggi difficile un’effettiva stima
del rischio associato all’uso di questi farmaci in gravidanza. Una associazione significativa tra l’impiego di BDZ nel primo trimestre di gravidanza e lo
sviluppo di malformazioni specifiche (labbro leporino e palatoschisi) o maggiori (polmonari, cardiache, renali e scheletriche) e di dismorfismi (epicanto,
palato arcuato, pterygium colli, capezzoli distanziati) è stata, infatti, evidenziata da alcuni autori ma non confermata da studi successivi, impedendo così
una valutazione definitiva del rischio di teratogenesi di questa classe di psicofarmaci2-5. I lavori più recenti che hanno valutato il rapporto tra assunzione di BDZ nel primo trimestre e lo sviluppo di anomalie congenite sono
quelli di Altshuler et al.6 e Dolovich et al.7. Nonostante la presenza di evidenti problemi metodologici che caratterizzavano i diversi studi presi in considerazione (eterogeneità e dimensione dei campioni, tipo di BDZ utilizzate,
modalità di classificazione delle malformazioni, esposizione ad altri farmaci
potenzialmente teratogeni, distorsioni di raccolta delle informazioni legate al
ricordo) entrambe le meta-analisi hanno osservato un aumento significativo
del rischio di malformazioni specifiche quali labbro leporino o palatoschisi
negli studi caso-controllo. Tale rischio non è comunque risultato significativo, analizzando esclusivamente gli studi di coorte7.
La somministrazione di BDZ durante il parto e soprattutto nell’ultima fase di
gestazione, è stata associata alla comparsa di sintomi da sovradosaggio quali
sedazione, ipotonia, suzione difficoltosa, cianosi, periodi di apnea e deficit nella
regolazione della temperatura. In neonati di madri che facevano uso cronico di
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IN GRAVIDANZA E NEL PUERPERIO
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Tabella I. Rischi del trattamento con psicofarmaci in gravidanza.
Farmaco
Teratogenesi
Tossicità neonatale
Conseguenze a
lungo termine
Benzodiazepine
Rischio di
palatoschisi e
labbro leporino
controverso.
Rischio di sintomi
da astinenza o da
sovradosaggio.
Nessun aumento del
rischio negli esposti.
Antidepressivi
Nessun aumento
del rischio negli
esposti per ATC e
SSRI.
Assenza di dati per
gli altri AD.
Per ATC segnalati
casi di ostruzione
intestinale e
ritenzione urinaria.
Per fluoxetina
nessun aumento del
rischio negli esposti.
Per fluoxetina
nessun aumento del
rischio negli esposti.
Mancanza di dati per
gli altri AD.
Antipsicotici
Per le fenotiazine
aumento del rischio
negli esposti (2,4%
vs 2,0%).
Per aloperidolo e
clozapina nessun
aumento del rischio
negli esposti (dati
limitati).
Mancanza di dati per
gli altri nuovi AP.
Per fenotiazine
segnalati sintomi
extrapiramidali.
Per clorpromazina
segnalati casi di
apatia e ittero.
Per clozapina
segnalati casi di
sonnolenza e
sedazione.
Nessun aumento del
rischio negli esposti.
Mancanza di dati per
i nuovi AP.
Litio
Aumento del
rischio di
malformazioni
maggiori e
cardiache negli
esposti.
Rischio di floppy
Nessun aumento del
infant syndrome, più rischio negli esposti.
raramente gozzo e
diabete insipido.
Anticonvulsivanti
Aumento del
rischio di spina
bifida dell’1-2% per
acido valproico e
del 0,5-1% per
carbamazepina.
Anomalie degli arti
e cranio-facciali più
raramente.
Per acido valproico
segnalati sintomi
d’astinenza
(irritabilità, insonnia,
agitazione e
convulsioni).
Per carbamazepina
ritardo nello
sviluppo
comportamentale
negli esposti.
Mancanza di dati per
l’acido valproico.
BDZ è stata rilevata, inoltre, l’insorgenza di una sintomatologia simil-astinenziale caratterizzata da tremori, ipertonia, iperreflessia, diarrea, vomito e tachipnea8.
Pochi sono invece gli studi che hanno cercato di valutare le conseguenze a
lungo termine dell’uso di BDZ. Con l’eccezione dello studio di Viggedal et
al.9 che ha evidenziato la presenza di un ritardo nello sviluppo mentale fino
ai 18 mesi di età in neonati esposti durante la gravidanza a BDZ, non vengo112
no, in realtà, segnalate in altri studi alterazioni neurocomportamentali e del
quoziente di intelligenza10,8.
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Per quanto riguarda gli antidepressivi triciclici (ATC) le evidenze disponibili
in letteratura appaiono tutt’altro che univoche. I risultati dei primi studi che
avevano evidenziato una associazione significativa tra ATC e anomalie fetali,
quali difetti della parete addominale, anomalie del SNC e del tessuto osseo
ed anoftalmia non sono stati in realtà confermati da studi più recenti 11,12.
L’eventuale tossicità degli ATC nell’ultimo periodo di gravidanza è stata
descritta in alcuni case-report che hanno riportato sintomi da astinenza quali
agitazione, irritabilità e convulsioni13. Singole segnalazioni hanno, inoltre,
evidenziato lo sviluppo di una sintomatologia da sovradosaggio costituita da
ritenzione urinaria, ostruzione intestinale e disturbi sia di tipo respiratorio
che circolatorio14,15.
Tra gli antidepressivi (AD) di seconda generazione, la fluoxetina rimane
senz’altro il farmaco maggiormente studiato. Una recente revisione della letteratura dimostra come la media ponderata del rischio fetale risulti uguale al
2,4%, dato analogo a quello evidenziato nella popolazione generale16.
L’associazione tra il trattamento farmacologico nel terzo trimestre di gravidanza ed eventuali complicanze neonatali è stato valutato da diversi autori.
La presenza di sintomi quali irritabilità e tremori, osservata da Chambers et
al.17 in neonati esposti a fluoxetina, non è stata in realtà confermata da studi
successivi18,19.
Per quanto riguarda le conseguenze a lungo termine dell’esposizione ad ATC
o a fluoxetina, Nulman et al.18 non hanno riscontrato alcuna differenza significativa nei punteggi del Q.I. globale medio, nello sviluppo del linguaggio e
nel comportamento in età prescolare in un campione di 135 bambini esposti
rispetto ai controlli.
I dati relativi agli altri SSRI sono, in realtà, ancora piuttosto esigui. L’unico
studio prospettico che ha valutato gli effetti dell’esposizione nell’uomo di
composti quali la paroxetina, la fluvoxamina e la sertralina (non sono al
momento disponibili dati riferiti al citalopram) è quello di Kulin et al.19 che,
analizzando i dati provenienti da nove Teratogen Information Service degli
Stati Uniti e del Canada, non hanno osservato alcuna differenza per quanto
riguarda gli esiti della gravidanza (aborti spontanei o elettivi, peso alla nascita, età gestazionale) tra le donne in trattamento e il gruppo di controllo.
Decisamente insufficienti sono invece le evidenze riferite ai rischi di altre
classi di antidepressivi quali gli SNRI, i NARI, i NaSSA, gli IMAO e i
RIMA il cui impiego nel corso del primo trimestre di gravidanza necessita di
essere ulteriormente approfondito.
PSICOFARMACOTERAPIA
DEI PAZIENTI A RISCHIO
Antidepressivi
Antipsicotici tradizionali
Il rischio di esposizione ai farmaci antipsicotici (AP) non è stato, in realtà,
valutato con studi epidemiologici sistematici. La maggior parte delle eviden113
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ze disponibili sugli AP tradizionali riguardano comunque esclusivamente le
fenotiazine e l’aloperidolo. Per le prime non sono state evidenziate differenze significative nelle percentuali di malformazioni nei neonati di madri in
trattamento per iperemesi gravidica rispetto ai non esposti. Tali risultati verrebbero sostanzialmente confermati da una recente revisione della letteratura
che evidenzia un rischio basso e comunque di poco superiore a quello dei
non esposti (2,4% vs 2,0%)6.
Un numero esiguo di studi ha valutato gli effetti dell’esposizione all’aloperidolo nel primo trimestre di gravidanza, arrivando a conclusioni piuttosto
controverse. Un possibile rischio di malformazioni agli arti è stato, infatti,
suggerito da case-report ma non confermato da studi successivi20,21. Un
rischio lievemente superiore di anomalie congenite (2,5% vs 2,0%) è stato
invece evidenziato da Godet & Marie-Cardine22 che hanno confrontato con
la popolazione generale 199 neonati esposti ad AP (29 ad aloperidolo)
durante la gravidanza.
Nella seconda fase di gestazione l’impiego di AP tradizionali è stato associato alla comparsa di ittero, sintomi extrapiramidali, stati di eccessiva sedazione e alterazioni retiniche. Tali sintomi sono risultati transitori e con la tendenza alla risoluzione in genere entro un giorno, salvo in alcuni casi in cui
sono perdurati fino a dieci mesi dopo la nascita23,24.
Solo due studi hanno valutato le conseguenze a lungo termine dell’esposizione agli AP, non osservando differenze significative nel rendimento scolastico
tra i bambini esposti e quelli del gruppo di controllo25,26.
Nuovi antipsicotici
Esistono alcuni dati, per lo più case-report o piccoli studi di follow-up,
riguardanti la clozapina, che non hanno evidenziato alcuna correlazione
significativa tra l’esposizione al farmaco e il rischio di teratogenesi27. Il solo
studio che ha dimostrato un aumento delle malformazioni e delle sindromi
perinatali riguardava in realtà un campione di madri che avevano assunto
durante la gravidanza anche altri farmaci oltre che clozapina28. Infine, Stoner
et al.29 non hanno osservato alcuna anomalia alla nascita in due neonati di
donne che avevano assunto la clozapina per tutta la durata della gravidanza,
anche se nel primo caso il neonato aveva presentato una crisi epilettica che
aveva richiesto l’ospedalizzazione, facendo sospettare la presenza di sintomi
di tipo astinenziale.
Allo stato attuale non esistono dati relativi agli altri nuovi AP per cui il
rischio associato al loro uso in corso di gravidanza rimane ancora da definire.
Stabilizzanti dell’umore
Litio
La costituzione dell’International Register of Lithium Babies nel 1969 ha
consentito una raccolta sistematica dei dati relativi all’impiego dei sali di
litio in corso di gravidanza. Il tasso di malformazioni congenite nei bambini
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PSICOFARMACOTERAPIA
DEI PAZIENTI A RISCHIO
esposti al litio durante la vita intrauterina sarebbe dell’11%, contro il 3%
della popolazione generale. Il 72% delle malformazioni riguarda l’apparato
cardiovascolare e di queste il 33,3% sarebbe costituito dal vizio della valvola
tricuspide, noto come anomalia di Ebstein30. Nonostante dati più recenti
sostengano che la frequenza della anomalia di Ebstein nei bambini esposti al
litio durante la gravidanza debba essere ridimensionata (da 20-140 a 10-20
volte maggiore che nei non esposti), il farmaco rimane controindicato nel
primo trimestre31.
Rispetto alla tossicità neonatale del litio, alcuni autori hanno evidenziato la
presenza di gozzo non tossico in neonati di madri che presentavano lo stesso
problema32, altri hanno descritto una floppy infant syndrome caratterizzata da
cianosi e ipotono33. Più recentemente Krause et al.34 hanno riportato un
grave caso di polidramnios associato a diabete insipido fetale con presenza
di un quadro clinico alla nascita caratterizzato da asfissia, apnea, scompenso
cardiaco, disturbi respiratori, ipoglicemia, ipotonia e convulsioni.
Infine, un solo studio effettuato da Schou35 ha valutato il rischio di tossicità a
lungo termine sullo sviluppo comportamentale di bambini esposti al litio nel
secondo e terzo trimestre di gravidanza rispetto ai controlli. L’assenza di
significative differenze ha permesso di escludere un rischio di tossicità a
lungo termine anche se tale dato dovrebbe essere confermato da ulteriori
studi.
Anticonvulsivanti
La maggior parte dei dati riguardanti la teratogenicità degli anticonvulsivanti
deriva da studi effettuati su pazienti affette da epilessia. Diversi studi hanno
suggerito un associazione significativa tra l’esposizione all’acido valproico e
lo sviluppo di difetti del tubo neurale (in particolare spina bifida) con una
frequenza di tali malformazioni stimabile tra l’1% e il 2% ed un rapporto
causale tra dose e rischio teratogeno36. Si sono inoltre osservate alcune anomalie scheletriche quali aracnodattilia, polidattilia, assenza o trifalangismo
del pollice37-39 ed un aumento del rischio di anomalie cranio-facciali associate all’esposizione all’acido valproico40. Tali malformazioni hanno portato a
configurare l’esistenza di un quadro clinico specifico definito con il termine
di fetal valproate syndrome41.
Per quanto riguarda la tossicità neonatale, sono stati descritti casi di iperbilirubinemia, epatotossicità e ritardo di crescita intrauterina così come sintomi
astinenziali quali irritabilità, agitazione, anomalie del tono muscolare, convulsioni e difficoltà ad alimentarsi. La frequenza di tali sintomi sarebbe maggiore nelle donne trattate nel terzo trimestre con alte dosi di farmaco42,43.
Anche la somministrazione della carbamazepina nel corso del primo trimestre di gravidanza si accompagna ad un incremento del rischio di difetti del
tubo neurale, difetti cranio-facciali, ipoplasia ungueale e ritardo dello sviluppo. Da una revisione della letteratura si è evidenziato come il rischio di spina
bifida associato all’uso di carbamazepina sia dell’1%, ovvero circa 14 volte
maggiore rispetto a quello della popolazione generale44.
Ancora controversa risulta invece la valutazione del rischio di conseguenze a
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lungo termine associate al trattamento con carbamazepina in corso di gravidanza. Nello studio prospettico controllato di Scolnik et al.45 non si sono evidenziate differenze significative nello sviluppo motorio e neurocognitivo di
36 bambini di madri esposte a carbamazepina rispetto ai 34 non esposti. Tale
dato appare in contrasto con altre evidenze che hanno rilevato un ritardo
nello sviluppo nei bambini esposti alla carbamazepina e la presenza della
cosiddetta fetal carbamazepine syndrome, caratterizzata da aspetto dismorfico e ritardo mentale di lieve entità46,47.
Per quanto riguarda gli anticonvulsivanti recentemente proposti per il trattamento del disturbo bipolare (gabapentin, lamotrigina e topiramato), mancano
allo stato attuale evidenze scientifiche che consentano una valutazione della
loro compatibilità con il periodo gravidico.
Indicazioni sulla gestione dei disturbi psichici in gravidanza
La possibilità di utilizzare una terapia psicofarmacologica in corso di gravidanza è da un lato legata alla conoscenza, per quanto ancora insufficiente,
dei rischi teratogeni dei vari psicofarmaci, dall’altro alla valutazione clinica
della gravità del disagio psichico in esame e dei precedenti anamnestici. Tale
decisione deve essere sempre presa insieme alla paziente dopo una esaustiva
spiegazione dei possibili rischi e benefici.
Nel momento in cui si decide di ricorrere al trattamento farmacologico o di
non sospenderlo nel caso di una terapia di mantenimento, tutti gli operatori
coinvolti nella gestione della gravidanza (psichiatra, medico di medicina
generale, ginecologo e successivamente neonatologo) dovranno comunque
concordare un programma di osservazione che preveda un monitoraggio
attento, sia clinico che strumentale, dell’intero periodo di gestazione.
Non esistono in realtà linee guida ufficiali per la gestione farmacologica dei
disturbi psichiatrici in gravidanza, sebbene alcune indicazioni di massima
possono essere ricavate dalle recenti pubblicazioni di Altshuler et al.6, di
Cohen & Rosenbaum48 e per gli AP di Trixler & Tenyi49 (tabella II).
Schizofrenia
L’episodio psicotico acuto rappresenta una situazione di emergenza sia di
tipo psichiatrico che ginecologico, poiché la gravità del quadro clinico costituisce un serio fattore di rischio per la salute sia della madre sia del feto
(incapacità a portare avanti la gravidanza in maniera adeguata, presenza di
sintomi produttivi che determinano l’interpretazione delirante dell’evento
con rischi di comportamenti inadeguati e/o acting-out, ed altri ancora).
In una paziente con anamnesi negativa per disturbi psicotici che durante la
gravidanza sviluppi un primo episodio di entità moderata, l’uso intermittente
di AP nel primo trimestre può essere una valida alternativa alla somministrazione quotidiana. Al contrario, laddove vi sia una patologia cronica caratterizzata da numerose ricadute alla sospensione o alla riduzione della terapia di
mantenimento, è consigliabile l’impiego di AP durante tutta la gravidanza. In
termini di esposizione fetale, infatti, un mantenimento regolare con AP può
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Disturbo bipolare
Disturbi d’ansia
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Depressione ricorrente
Indicazioni al trattamento
1. In caso di sintomi lievi, comparsi solo in
gravidanza somministrare il farmaco solo in fase
acuta.
2. In caso di disturbo cronico, continuare il
trattamento di mantenimento.
1. In caso di sintomi lievi, comparsi solo in
gravidanza, prescrizione della terapia cognitivocomportamentale.
2. In caso di sintomi lievi-moderati, sospensione
del trattamento prima del concepimento ed
associazione con la terapia cognitivocomportamentale.
3. In caso di sintomi moderati-gravi ed anamnesi
che controindica sospensione del trattamento,
continuare la terapia di mantenimento.
1. In caso di un unico episodio maniacale in
anamnesi o di un disturbo bipolare non severo,
sospendere gradualmente il litio prima del
concepimento.
2. In caso di disturbo bipolare severo, continuare il
litio per tutta la durata della gravidanza.
3. In caso di terapia con acido valproico o
carbamazepina somministrare folati da 4
settimane prima del concepimento fino alla fine
del primo trimestre.
1. In caso di sintomi lievi, sospensione graduale
della terapia prima del concepimento e
trattamento cognitivo-comportamentale come
alternativa.
2. In caso di sintomi gravi, continuare la terapia
per tutta la durata della gravidanza.
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Disturbo psichico materno
Schizofrenia
PSICOFARMACOTERAPIA
DEI PAZIENTI A RISCHIO
Tabella II. Indicazioni sulla gestione dei disturbi psichici in gravidanza.
risultare preferibile all’utilizzo di alte dosi quali sono quelle spesso impiegate nella fase acuta di trattamento.
Nonostante in letteratura vi siano segnalazioni sporadiche di effetti extra-piramidali, ittero ed altre difficoltà transitorie in neonati esposti agli AP durante il travaglio ed il parto, non sembra esserci un razionale per una sospensione della terapia in tale fase. Poiché il rischio di una ricaduta da sospensione brusca è elevato e
lo scompenso post-partum può verificarsi entro poche settimane, l’interruzione
del trattamento espone sia la madre che il neonato a potenziali rischi clinici.
Depressione ricorrente
La scelta di trattare farmacologicamente una paziente depressa in gravidanza
dipende sostanzialmente dalla gravità del quadro clinico e da una analisi
degli eventuali precedenti ananmestici. Nel caso di una donna con anamnesi
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L’USO DEGLI PSICOFARMACI
IN GRAVIDANZA E NEL PUERPERIO
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NÓOς
negativa per depressione, che sviluppi una sintomatologia depressiva leggera
o moderata nel primo trimestre, è consigliabile impiegare in prima battuta
alternative non farmacologiche, quali la terapia cognitivo-comportamentale o
la terapia interpersonale. Questo tipo di terapia può essere consigliata anche
a quelle pazienti con storia di singoli episodi depressivi di grado lieve o
moderato che decidano di sospendere il trattamento di mantenimento in
occasione della gravidanza.
Quando invece vi è una storia di malattia caratterizzata da episodi ricorrenti
moderati o gravi e soprattutto dal fallimento di ripetuti tentativi di sospensione della terapia antidepressiva, è ragionevole consigliare il proseguimento
del trattamento di mantenimento anche durante la gravidanza.
Le forme depressive gravi con sintomi psicotici e/o ideazione suicidaria,
indipendentemente dalla storia anamnestica, dovranno essere trattate con
terapia farmacologica e nella maggior parte dei casi richiederanno anche l’ospedalizzazione.
Infine è necessario ricordare che le donne con disturbo depressivo hanno un
alto rischio di sviluppare una depressione post-partum, che a sua volta può
determinare importanti difficoltà nella relazione madre-bambino. Tale rischio
appare particolarmente elevato in quelle pazienti con depressione ricorrente
che abbiano sospeso la terapia antidepressiva prima della gravidanza. Al fine
di ridurre questo rischio, alcuni autori consigliano pertanto la reintroduzione
del trattamento farmacologico al terzo trimestre o all’inizio del puerperio50.
I farmaci che hanno dimostrato una maggiore sicurezza in gravidanza sono
gli ATC e gli SSRI. La mancanza di dati sui rischi riguardanti altri AD di più
recente introduzione ne sconsiglia, al momento, il loro uso in gravidanza.
Disturbo affettivo bipolare
La situazione ottimale per le pazienti affette da un disturbo affettivo bipolare, in
trattamento profilattico con il litio, sarebbe quella di poter programmare la gravidanza al fine di sospendere con gradualità la terapia stabilizzante. I dati della
letteratura, infatti, indicano la presenza di un elevato rischio di ricaduta alla
sospensione del litio, specialmente se effettuata in maniera brusca51,52. Tale tentativo avrà maggiori possibilità di successo nelle pazienti con storia di mania e
lunghi intervalli di benessere ed in quelle affette da disturbo bipolare tipo II.
Viene invece consigliato il proseguimento della terapia di mantenimento per
le pazienti affette da disturbo bipolare grave che abbiano già sperimentato
importanti ricadute in occasione di precedenti tentativi di sospensione. La
gestione del trattamento con litio nel corso della gravidanza dovrà comunque
tenere conto di due fattori: l’eliminazione renale è sensibilmente aumentata
durante tutta la gravidanza (aumento della clearance del litio) e di conseguenza si può rendere necessario un aumento del dosaggio per mantenere i
livelli nell’ambito terapeutico; la clearance del litio torna ai valori basali
(pre-gravidanza) subito dopo il parto, richiedendo quindi una tempestiva
riduzione del dosaggio per evitare il rischio tossicità. Il trattamento di mantenimento andrebbe continuato anche dopo il parto in quanto la profilassi con
il litio riduce il rischio di una ricaduta post-partum.
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Contrastanti risultano i dati della letteratura rispetto ad un possibile effetto
protettivo della gravidanza nei disturbi d’ansia, in particolare nel disturbo da
attacchi di panico e nel disturbo ossessivo compulsivo. In alcuni studi sarebbe stata documentata una riduzione della sintomatologia durante il periodo di
gestazione, mentre in altri sarebbe stata osservata la persistenza se non addirittura il peggioramento del disturbo.
Anche in questo caso la situazione ideale sarebbe quella di poter programmare la gravidanza e quindi sospendere gradualmente la terapia psicofarmacologica prima del concepimento. La programmazione della gravidanza
associata all’impiego di una terapia cognitivo-comportamentale può facilitare il tentativo di sospensione e aumentare l’intervallo di tempo prima di un
eventuale ricaduta. Nel caso in cui il concepimento avvenga durante il trattamento farmacologico è indicata una sospensione graduale in associazione ad
una terapia cognitivo-comportamentale. Laddove non si evidenzi una sufficiente remissione del quadro clinico, sarà necessario reintrodurre il trattamento farmacologico. Per tutte le pazienti che presentano un disturbo cronico o ricorrente è consigliabile un trattamento continuativo per tutta la durata
della gravidanza, o intermittente in base alle necessità.
NÓOς
Disturbi d’ansia
PSICOFARMACOTERAPIA
DEI PAZIENTI A RISCHIO
Nel caso di una paziente in trattamento con l’acido valproico o con la carbamazepina, l’indicazione è quella di utilizzare il dosaggio minimo efficace per
diminuire il rischio di spina bifida. Inoltre è consigliabile la somministrazione in misura profilattica di 4 mg/die di acido folico a partire da quattro settimane prima del concepimento fino alla fine del primo trimestre di gravidanza Un’indagine ecografica è inoltre indicata tra la sedicesima e la diciannovesima settimana di gestazione53.
CONCLUSIONI
Le attuali conoscenze sulla sicurezza del trattamento psicofarmacologico in
gravidanza sono ancora limitate e incomplete. Il rischio di teratogenesi è
stato senz’altro quello più frequentemente studiato, la tossicità alla nascita è
riportata solo in alcuni case-report, mentre il rischio di conseguenze a lungo
termine è attualmente ancora relativamente sconosciuto. Quest’ultima valutazione è in realtà quella più difficile poiché richiede lunghi periodi di followup e deve distinguere gli effetti dell’esposizione agli psicofarmaci da quelli
del disturbo psichiatrico materno o da altri fattori.
Nonostante ciò risulta fondamentale nella pratica clinica quotidiana poter far
riferimento ad alcune considerazioni generali, che orientino nella scelta del
trattamento farmacologico di un disturbo psichico durante la gravidanza:
♦ Il rischio di teratogenesi relativo all’esposizione alle BDZ è ancora controverso; mentre i primi studi hanno dimostrato un’associazione con
malformazioni del palato, studi successivi non hanno confermato questa
119
L’USO DEGLI PSICOFARMACI
IN GRAVIDANZA E NEL PUERPERIO
G. IMPERADORE - C. GOSS
C. BELLANTUONO
NÓOς
evenienza. Nonostante la tendenza attuale sia comunque quella di escludere un rischio significativo di malformazioni congenite, l’uso prolungato
di BDZ nel primo trimestre di gravidanza andrebbe evitato. L’esposizione
nel terzo trimestre di gravidanza rende necessario il monitoraggio delle
condizioni cliniche del neonato per il possibile sviluppo di sintomi da
astinenza o da sovradosaggio. La valutazione delle conseguenze a lungo
termine, infine, non ha evidenziato l’esistenza di un rischio significativo.
♦ I dati relativi al rischio d’impiego degli AD riguardano in modo particolare gli ATC e la maggior parte degli SSRI. Per quanto riguarda il rischio
teratogeno le evidenze sono piuttosto rassicuranti per entrambi. Per i soli
ATC vengono segnalate in alcuni case-report la presenza di complicanze
perinatali quali ostruzione intestinale e ritenzione urinaria. Rispetto alle
conseguenze a lungo termine, non esistono evidenze scientifiche forti se
si eccettua un unico studio con la fluoxetina che non ha evidenziato alcuna complicanza cognitiva e/o comportamentale nel neonato.
♦ Le evidenze riguardanti l’induzione di teratogenesi da parte degli AP si
riferiscono principalmente alle fenotiazine (usate soprattutto nell’iperemesi gravidica), all’aloperidolo e alla clozapina. Mentre per le prime si
è evidenziato un rischio lievemente superiore (2,4% vs 2,0%), per aloperidolo e clozapina non è stato evidenziato alcun aumento di malformazioni. La presenza di sintomi di tossicità neonatale quali effetti extrapiramidali, difficoltà ad alimentarsi ed ittero è stata segnalata esclusivamente in alcuni case-report. Non sono disponibili dati relativi ai rischi a
lungo termine.
♦ Il rischio di teratogenesi degli stabilizzanti dell’umore è da tempo riconosciuto dalla letteratura. Il litio deve essere considerato, infatti, un agente ad alte potenzialità teratogene con un rischio significativo di malformazioni cardiache, mentre sia la carbamazepina che l’acido valproico
sono stati associati a difetti del tubo neurale e a malformazioni scheletriche. Per quanto riguarda la tossicità neonatale, è stata descritta per il solo
litio una floppy infant syndrome caratterizzata da cianosi e ipotono, e una
sindrome astinenziale legata all’esposizione ad acido valproico. La conseguenze a lungo termine sono state valutate sia per il litio che per la carbamazepina; solo per quest’ultima è stata segnalata la presenza di un
ritardo nello sviluppo comportamentale.
♦ In conclusione i dati presenti in letteratura sono abbastanza rassicuranti
per la maggior parte delle classi di psicofarmaci. Nonostante questo gli
psicofarmaci dovrebbero essere utilizzati in gravidanza solo quando la
stima del rischio dell’esposizione fetale sia inferiore a quello del mancato trattamento del disturbo psichico materno.
In ogni caso l’esposizione fetale agli psicofarmaci dovrà limitarsi al più
breve periodo di tempo possibile, utilizzando la dose minima efficace.
120
1:2002; 109-131
NÓOς
L’insorgenza di un disturbo psichiatrico materno nel corso del puerperio o la
riacutizzazione di una patologia in seguito a sospensione del trattamento farmacologico di mantenimento, oltre a determinare una stato di sofferenza soggettiva nella madre, può compromettere la relazione con il neonato influendo
negativamente sul suo normale sviluppo psichico e comportamentale54,55.
D’altro canto tutti gli psicofarmaci assunti dalla madre durante il puerperio
vengono escreti nel latte materno, ma la concentrazione dipende da numerosi
fattori quali la via di somministrazione, la dose assorbita, la costante di dissociazione, il volume di distribuzione materno, il pH plasmatico (7,4) e quello del latte (6,8), la solubilità nell’acqua e nei lipidi ed infine il più elevato
legame alle proteine plasmatiche rispetto a quelle del latte. A sua volta la
concentrazione del farmaco nel plasma del lattante è condizionata da una
serie di ulteriori variabili di tipo cinetico (l’immaturità del sistema di metabolizzazione ed escrezione dei farmaci, il minor legame alle proteine plasmatiche rispetto a quello del latte materno, il differente volume di distribuzione e l’aumentata permeabilità di organi e tessuti) che comportano un
rischio di accumulo del farmaco. Risulta, quindi, evidente che modifiche di
variabili materne o del neonato possono determinare lo sviluppo di effetti
tossici, analoghi a quelli descritti nell’adulto e/o conseguenze a lungo termine legate all’alterazione dello sviluppo neurocognitivo del bambino.
La scelta di trattare con psicofarmaci una madre affetta da disturbi psichiatrici durante il puerperio pone, pertanto, problemi abbastanza simili a quelli
analizzati a proposito della gravidanza, e deve quindi basarsi nel singolo
caso sulla valutazione dei rischi-benefici che l’allattamento al seno comporta
(tabella III).
PSICOFARMACOTERAPIA
DEI PAZIENTI A RISCHIO
L’USO DEGLI PSICOFARMACI DURANTE L’ALLATTAMENTO
Benzodiazepine
La valutazione dei rischi di esposizione alle BDZ in corso di allattamento
deriva esclusivamente dall’analisi di alcuni case-report. Gli studi condotti
hanno dimostrato che le BDZ vengono escrete nel latte materno ma le concentrazioni di farmaco misurate restano piuttosto basse. La possibilità di
effetti tossici risulterebbe quindi maggiore nei prematuri o nei neonati esposti ad alte concentrazioni durante la gravidanza o al momento del parto56. Tra
le BDZ quelle maggiormente studiate sono il clonazepam, il diazepam ed il
temazepam. Per quanto riguarda il clonazepam sono stati descritti alcuni episodi di apnea, risoltisi del tutto dieci mesi dopo la nascita (sviluppo neurologico normale dopo 5 mesi) in un bambino esposto sia durante la gravidanza
che in corso di allattamento57. Tali sintomi non sono stati successivamente
evidenziati in un secondo case-report riferito ad un lattante la cui madre era
in trattamento con clonazepam e fenitoina sia durante la gravidanza che in
corso di allattamento58.
Dati contrastanti rispetto alla presenza di effetti tossici (cianosi, apnea, ipotono e ittero) vengono comunque riportati anche in neonati di madri trattate
con diazepam durante l’allattamento59-61.
121
NÓOς
Tabella III. Rischi del trattamento con psicofarmaci durante l’allattamento.
L’USO DEGLI PSICOFARMACI
IN GRAVIDANZA E NEL PUERPERIO
G. IMPERADORE - C. GOSS
C. BELLANTUONO
Farmaco
Ansiolitici-ipnotici
Antidepressivi
Antipsicotici
Litio
Anticonvulsivanti
Effetti tossici
Un caso di apnea, cianosi e ipotonia dopo esposizione al clonazepam. Un caso di letargia, perdita di
peso ed alterazioni all’ECG dopo esposizione al diazepam.
Nessun effetto tossico dopo esposizione agli ATC,
salvo un caso di depressione respiratoria associato
alla doxepina.
Un caso di coliche addominali, vomito e diarrea
dopo esposizione alla fluoxetina; nessun effetto
tossico per paroxetina, fluvoxamina e sertralina.
Nessuna conseguenza a lungo termine per gli
esposti a fluoxetina, dotiepina e amitriptilina.
Un caso di letargia e sonnolenza dopo esposizione
alla clorpromazina. Nessun effetto tossico per perfenazina e aloperidolo.
Un caso di agranulocitosi, sonnolenza e sedazione
dopo esposizione alla clozapina.
Nessuna conseguenza a lungo termine per gli
esposti ad aloperidolo, clorpromazina e trifluperazina.
Casi di cianosi, sonnolenza, sedazione e ipotonia.
Possibile comparsa di ipotiroidismo, gozzo, tremore, sedazione, diarrea e diabete insipido.
Nessun effetto tossico per gli esposti ad acido valproico. Due casi di tossicità epatica dopo esposizione alla carbamazepina.
Lebedevs et al.62 hanno osservato una concentrazione di temazepam vicina al
limite di sensibilità nel latte di un gruppo di donne trattate con un dosaggio
di 10-20 mg/die e l’assenza di effetti tossici nel lattante. Proprio la bassa
concentrazione nel latte materno sarebbe alla base della esigua quantità di
farmaco ingerita dal lattante, nonostante la sua capacità di glucuronazione e
quindi di eliminazione sia largamente inferiore a quella degli adulti.
Antidepressivi
In alcuni case-report non sono state rilevate concentrazioni ematiche di amitriptilina, desipramina, clomipramina e nortriptilina nei lattanti di madri in
trattamento antidepressivo ma senza segni di tossicità63-65.
La doxepina è in realtà l’unico ATC per il quale sia stata segnalata una associazione tra esposizione durante l’allattamento e depressione respiratoria,
risoltasi alla sospensione dell’allattamento66.
Ugualmente rassicuranti risultano essere i dati provenienti dagli studi sugli
effetti a lungo termine dell’esposizione agli ATC. Nei due studi clinici con122
1:2002; 109-131
NÓOς
Antipsicotici
PSICOFARMACOTERAPIA
DEI PAZIENTI A RISCHIO
trollati presenti in letteratura non emergono, infatti, segni di tossicità né alterazioni dello sviluppo cognitivo nei trenta bambini esposti a trattamento in
corso di allattamento, anche se il numero ridotto del campione richiede ulteriori conferme67,68.
Le evidenze presenti in letteratura riferite agli SSRI riguardano tutti i composti appartenenti a questa classe con l’eccezione del citalopram (verosimilmente per la sua recente introduzione). Per quanto riguarda la fluoxetina, un
unico case-report ha segnalato la presenza in un lattante di sintomi quali agitazione e irritabilità, con completa remissione del quadro alla sospensione
dell’allattamento69. Tale evidenza non è comunque stata confermata da ulteriori studi a breve termine70,71. Nell’unico studio a lungo termine presente in
letteratura non si sono osservate alterazioni dello sviluppo cognitivo in quattro bambini esposti durante l’allattamento72.
Dati sostanzialmente rassicuranti rispetto alle concentrazioni del farmaco nel
lattante e allo sviluppo di segni di tossicità provengono anche dagli studi che
si sono occupati in maniera specifica della sertralina73, della fluvoxamina74 e
della paroxetina75.
Decisamente esigue le evidenze provenienti dagli studi condotti su altri AD.
In letteratura ci sono in realtà poche informazioni sulla farmacocinetica degli
AP nel latte materno e sulla possibilità di effetti tossici nel lattante. Dati contrastanti derivano dagli studi condotti sulla clorpromazina a cui sono stati
associati sintomi quali letargia e sonnolenza76. Un singolo case-report ha
evidenziato come un trattamento con la perfenazina, utilizzata per la presenza di disturbi psicotici nel post-partum, non abbia determinato alcun effetto
tossico o alterazione dello sviluppo cognitivo in un lattante esposto sino al
terzo mese77. Risultati analoghi sono stati ottenuti anche dagli studi condotti
con aloperidolo, nonostante siano state misurate concentrazioni del composto piuttosto diverse nel plasma dei lattanti esposti78.
Tra i nuovi AP, le uniche segnalazioni disponibili riguardano la clozapina (4
case-report). In un caso è stata riportata la comparsa di agranulocitosi, risoltasi prontamente dopo la sospensione dell’allattamento, mentre in un altro si
sono evidenziati effetti collaterali quali sonnolenza e sedazione legati all’elevata attività antistaminica del composto28.
Di particolare rilievo risulta essere lo studio coorte di Yoshida et al.72 che
hanno confrontato un gruppo di bambini allattati al seno da madri in trattamento con aloperidolo, clorpromazina o trifluperazina con un gruppo di
controllo costituito da bambini allattati artificialmente da madri ugualmente
in terapia con aloperidolo e/o stabilizzanti dell’umore. L’analisi dei campioni
di sangue del lattante ha rilevato, con l’eccezione di due casi, concentrazioni
basse di aloperidolo con una dose di farmaco ingerita dai bambini pari a
circa il 3% di quella materna. Nessun lattante ha mostrato segni di tossicità,
né alterazioni dello sviluppo psicomotorio rispetto ai controlli nei primi mesi
di vita. In una seconda valutazione, eseguita a 12-18 mesi dalla nascita solo
sui bambini esposti, 3 bambini hanno invece ottenuto risultati inferiori ai
123
NÓOς
L’USO DEGLI PSICOFARMACI
IN GRAVIDANZA E NEL PUERPERIO
G. IMPERADORE - C. GOSS
C. BELLANTUONO
precedenti. Una analisi di questi casi ha evidenziato come le madri fossero
state trattate contemporaneamente con la clorpromazina e l’aloperidolo, ma
lo studio non ha permesso di valutare se esisteva una effettiva relazione tra le
elevate concentrazioni degli AP nel plasma materno e l’alterazione dello sviluppo cognitivo.
Stabilizzanti dell’umore
Litio
L’allattamento materno in corso di trattamento con sali di litio è controindicato dall’American Academy of Pediatrics (AAP) a causa delle elevate concentrazioni del farmaco rilevate sia nel latte materno (circa il 40% di quella
plasmatica materna) che nel plasma del lattante (dal 5 al 200% della
materna) e della tossicità neonatale segnalata. In realtà i case-report riferiti
ai sali di litio hanno fornito risultati tutt’altro che univoci. Effetti tossici
quali cianosi, ipertermia ed ipotonia sono stati infatti riportati da alcuni
autori79, ma non confermati da altri studi eseguiti nello stesso periodo80,34.
Più recentemente Van der Zanden81 ha osservato in un lattante esposto al
litio effetti indesiderati analoghi a quelli presenti negli adulti quali ipotiroidismo, gozzo, tremore, debolezza muscolare, sedazione, diarrea e diabete
insipido.
Anticonvulsivanti
La valutazione positiva dell’AAP rispetto all’impiego dell’acido valproico in
corso di allattamento si basa in realtà su case-report riguardanti per lo più
pazienti epilettiche, spesso in terapia anche con altri farmaci anticonvulsivanti. La misura della concentrazione del farmaco nel latte materno è
comunque risultata pari all’1-10% di quella plasmatica, mentre la concentrazione plasmatica nel lattante era il 4-12% di quella materna82,83. Un solo
case-report ha evidenziato la comparsa di effetti tossici quali porpora trombocitopenica, successivamente risoltasi con la sospensione dell’allattamento84. Nell’unico studio condotto su lattanti di madri bipolari, non è stato tuttavia evidenziato alcun segno di tossicità dopo l’esposizione all’acido valproico85.
Anche la carbamazepina viene considerata compatibile con l’allattamento
materno dall’AAP, sebbene anche in questo caso i dati si riferiscano soprattutto a donne epilettiche. La concentrazione del farmaco nel latte materno è
risultata il 7-95% di quella plasmatica, mentre nei pochi casi in cui si sia rilevata la concentrazione plasmatica nei lattanti, questa è risultata variabile dal
6 all’85% di quella materna86. Sono stati descritti due casi in cui si è osservata un’associazione tra il trattamento con carbamazepina in corso di allattamento e la presenza di tossicità epatica (rispettivamente epatite colestatica ed
ittero)87,88, mentre la comparsa di convulsioni in un terzo caso rimane di difficile interpretazione a causa dell’esposizione ad altri psicofarmaci86.
124
1:2002; 109-131
NÓOς
Le indicazioni relative alla gestione farmacologica del disturbo psichico
materno in corso di allattamento sono state oggetto di studio nei lavori di
Wisner50 e di Llewellyn e Stowe56 (tabella IV). Per quanto riguarda la selezione del composto da utilizzare, vengono in realtà sottolineati alcuni aspetti
di base che dovrebbero orientare qualsiasi scelta di tipo farmacologico. La
qualità delle evidenze scientifiche presenti in letteratura rappresenta il criterio fondamentale per definire l’efficacia di un farmaco, mentre la presenza di
case-report o di studi specifici inerenti il suo impiego durante l’allattamento
consente di poter valutare la sicurezza del trattamento per il neonato. L’utilizzo di una monoterapia alla dose minima efficace, la possibilità di portare
avanti il trattamento per il minor tempo possibile e l’informazione data alla
madre rispetto ai possibili effetti indesiderati della cura rappresentano ulteriori fattori in grado di ridurre il rischio degli effetti indesiderati e/o di favorire il loro riconoscimento precoce. Il monitoraggio, infine, della funzionalità
degli organi più a rischio di essere compromessi dal tipo di composto selezionato (ad esempio funzionalità renale ed elettroliti nel caso di esposizione
PSICOFARMACOTERAPIA
DEI PAZIENTI A RISCHIO
INDICAZIONI SULLA GESTIONE DEL TRATTAMENTO
PSICOFARMACOLOGICO DURANTE L’ALLATTAMENTO
Tabella IV. Indicazioni sulla gestione del trattamento psicofarmacologico durante
l’allattamento.
1. Impiegare un farmaco il cui utilizzo durante l’allattamento sia già stato
documentato in letteratura.
2. Ricorrere preferibilmente ad una monoterapia, in quanto non vi sono dati
riguardanti la sicurezza di una polifarmacoterapia durante l’allattamento.
3. Limitare l’esposizione del neonato al farmaco, frazionando le dosi giornaliere
assunte dalla madre per evitare i picchi di assorbimento.
4. Utilizzare la dose minima efficace.
5. Conoscere gli effetti indesiderati del farmaco impiegato al fine di individuarli
prontamente nel neonato.
6. Valutare attentamente lo sviluppo psichico e motorio del bambino prima
dell’inizio dell’allattamento al seno.
7. Insegnare alla madre a riconoscere la comparsa di effetti indesiderati nel
neonato.
8. Controllare i livelli plasmatici degli psicofarmaci nei bambini di età inferiore alle
10 settimane. Nei bambini più grandi tale misurazione dovrebbe essere eseguita
solo in caso di comparsa di segni clinici.
9. Eseguire nel neonato allattato al seno un attento monitoraggio della funzionalità
degli organi più a rischio di essere compromessi dal trattamento farmacologico:
• funzionalità renale ed elettroliti in caso di esposizione al litio,
• ECG in caso di esposizione agli ATC,
• esame neurologico in caso di esposizione alle BDZ o agli AP.
125
NÓOς
L’USO DEGLI PSICOFARMACI
IN GRAVIDANZA E NEL PUERPERIO
G. IMPERADORE - C. GOSS
C. BELLANTUONO
al litio, ECG per gli ATC, esame neurologico per le BDZ e gli AP) può a sua
volta contribuire alla prevenzione di eventuali segni di tossicità. La determinazione delle concentrazioni plasmatiche degli psicofarmaci dovrebbe essere
sempre effettuata nei lattanti di età inferiore alle 10 settimane, mentre nei
bambini più grandi andrebbe fatta solo in caso di comparsa di segni clinici.
CONCLUSIONI
Gli studi che hanno valutato i rischi del trattamento psicofarmacologico
durante il puerperio sono limitati e caratterizzati da alcune limitazioni metodologiche che non consentono di stabilire con evidenze forti quali psicofarmaci siano sicuramente compatibili con l’allattamento.
La complessità della cinetica dei farmaci escreti nel latte materno e l’eterogeneità delle tecniche di laboratorio impiegate, impediscono una corretta
misurazione delle concentrazioni degli psicofarmaci nel latte materno e nel
sangue del neonato. Inoltre, una concentrazione plasmatica inferiore al limite
di sensibilità o non rilevabile può sembrare rassicurante, ma è di per sé poco
indicativa, in quanto non è noto se l’esposizione del bambino anche a piccole
quantità di farmaco possa comportare effetti indesiderati a breve e a lungo
termine.
Pur tenendo conto di tutte queste difficoltà, alcune indicazioni possono
ugualmente essere d’aiuto al clinico in una scelta difficile quale è quella di
trattare una donna affetta da un disturbo psichico nel corso del puerperio.
♦ Per le BDZ sono stati riportati dati riguardanti il clonazepam, il diazepam e il temazepam. Le concentrazioni di farmaco misurate nel latte
materno sono risultate generalmente basse e la possibilità di effetti tossici è risultata maggiore nei prematuri o nei neonati esposti ad alte concentrazioni anche durante la gravidanza o al momento del parto. Considerando le ridotte capacità metaboliche del lattante, le BDZ caratterizzate da una emivita breve e da un metabolismo semplice (glucuronazione diretta), quali i composti oxazepam-simili, sono quelle di prima
scelta.
♦ Tra gli ATC non sono stati segnalati effetti indesiderati per amitriptilina,
clomipramina, desipramina e nortriptilina le cui concentrazioni plasmatiche risultavano non misurabili o al limite di sensibilità. La doxepina
rappresenta l’unico ATC per il quale è stata riportata una associazione
significativa con un caso di depressione respiratoria. Per gli SSRI è stato
descritto un solo caso di tossicità dopo esposizione alla fluoxetina non
confermato comunque da successive osservazioni; per gli altri composti
(paroxetina, fluvoxamina, sertralina) non sono stati segnalati effetti
indesiderati e la concentrazione plasmatica nel lattante di tutti gli SSRI
è risultata non misurabile. Anche per quanto riguarda gli effetti a lungo
termine non sono state segnalate alterazioni cognitivo-comportamentali
in bambini esposti alla amitriptilina e alla fluoxetina.
126
1:2002; 109-131
NÓOς
♦ Per quanto riguarda gli stabilizzanti dell’umore il solo litio viene ritenuto
non compatibile con l’allattamento per la presenza di elevate concentrazioni sia nel latte materno che nel plasma del lattante e la segnalazione di
diversi casi di tossicità. Gli anticonvulsivanti, nonostante le evidenze
derivino soprattutto dalle osservazioni di madri epilettiche, vengono
invece considerati relativamente sicuri. Per la sola carbamazepina sono
stati descritti due singoli casi di tossicità epatica.
PSICOFARMACOTERAPIA
DEI PAZIENTI A RISCHIO
♦ Per gli AP tradizionali le evidenze disponibili riguardano la clorpromazina, la perfenazina e l’aloperidolo. Per la sola clorpromazina è stato
riportato un singolo caso di letargia e sonnolenza in un lattante la cui
madre assumeva dosaggi medio-elevati del farmaco. Per quanto riguarda
le conseguenze a lungo termine, le uniche segnalazioni (peraltro dubbie)
si riferiscono a due casi di ritardo mentale dopo l’esposizione ad AP in
associazione. A scopo precauzionale, quindi, l’allattamento al seno in tali
circostanze sarebbe controindicato.
L’unico farmaco tra i nuovi AP ad essere stato valutato è la clozapina per
la quale sono stati descritti un caso di sedazione e uno di agranulocitosi
associati ad elevate concentrazioni del farmaco nel latte.
In conclusione, le informazioni riassunte sembrano essere sufficientemente
rassicuranti per quanto riguarda la terapia psicofarmacologica durante l’allattamento. La decisione di consentire l’allattamento al seno ad una donna in
terapia con psicofarmaci richiede in ogni caso la valutazione dei rischi/benefici per il neonato e per la madre. La collaborazione tra il medico (sia esso lo
psichiatra, il pediatra, il ginecologo) e la paziente è essenziale in quanto al
primo spetta la responsabilità della selezione del trattamento più idoneo, alla
seconda la capacità di riconoscere tempestivamente la comparsa di effetti
indesiderati nel bambino.
Rimane evidente la necessità di ulteriori ricerche in questo settore. In particolare è necessario istituire un protocollo di raccolta dati sulle concentrazioni ematiche degli psicofarmaci nella madre e nel lattante al fine di: a) garantire la riproducibilità dei risultati, b) valutare in maniera sistematica la comparsa di effetti indesiderati, c) favorire gli studi di follow-up finalizzati al
monitoraggio delle eventuali conseguenze cognitive sul lungo termine.
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