Biblioteca per le Professioni Collana diretta dal Dr. Simone

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Biblioteca per le Professioni Collana diretta dal Dr. Simone
Biblioteca per le Professioni
Collana diretta dal Dr. Simone Pesci
Guido Pesci
Pedagogia e Pedagogisti
© 2013 Edizioni Scientifiche ISFAR - Firenze
Viale Europa, 185/b - 50126 Firenze
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Guido Pesci
Pedagogia e Pedagogisti
Edizioni Scientifiche ISFAR Firenze
Indice
Il cammino storico ........................................................................................................................... Pag.
Il Mondo Classico ..................................................................................................................... »
Nuovo umanesimo ................................................................................................................... »
Pedagogia contemporanea . .......................................................................................... »
Metodi e Piani ................................................................................................................................. »
Pedagogista... in aiuto ................................................................................................................ »
Il pedagogista dipendente o libero professionista .............................. »
Gli istituti medico-pedagogici ................................................................................ »
Gli istituti medico-psico-pedagogici ............................................................ »
I pedagogisti negli istituti assistenziali ..................................................... »
Gli istituti medico-pedagogici provinciali ........................................... »
I pedagogisti responsabili dei centri di recupero e di
riabilitazione . .................................................................................................................................... »
Il pedagogista dipendente delle Amministrazioni Locali »
I pedagogisti nelle Commissioni
medico-psico-pedagogiche dei Comuni .................................................. »
Il pedagogista libero professionista . .............................................................. »
Professione pedagogista ............................................................................................................ »
Ambiti di intervento . ............................................................................................................. »
Bibliografia ................................................................................................................................................... »
Legge 14 Gennaio 2013, n. 4 (GU n. 22 del 26-1-2013) ........ »
SINPE Società Nazionale Pedagogisti ................................................................ »
Statuto ......................................................................................................................................................... »
Regolamento ..................................................................................................................................... »
Codice Deontologico . .......................................................................................................... »
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IL CAMMINO STORICO
Il Mondo Classico
La pedagogia del passato, dei grandi educatori da cui apprendiamo tanta ammirevole esperienza, impone di rintracciare ed esporre
quanto il problema pedagogico sia coestensivo nel tempo all’esistenza umana ed essenziale alla vita di ogni persona.
Dalla storia della pedagogia si rintraccia la grande importanza della
Grecia nel condurre il cittadino delle pòleis al compiuto ideale di uomo,
inteso come esplicazione di tutte le energie e di tutte le doti della natura umana, l’apertura a tutti i valori umani, espresso comprensivamente
dal termine greco areté. La pedagogia in quel glorioso periodo si è
animata dei principi dell’armonia e della euritmia, e ha reso tangibile
come fossero tendenziali per l’integralità della formazione sostenuta dalla calocagathia, fusione di abilità, capacità, saggezza, cultura e
prudenza. Un periodo storico, a partire dall’epoca omerica fino a tutto
il periodo ellenistico (1000 a C. - 500 d. C. circa), da cui la pedagogia
ha tratto significativi orientamenti su come promuovere sollecitazioni
utili all’evoluzione dell’uomo. Un proficuo periodo in cui incontriamo l’Umanesimo sofista, espressione dei pre-socratici e l’Umanesimo
socratico la cui via maestra tracciata da Socrate è percorsa da Platone
che destina alla pedagogia un fine sociale e una selezione educativa
per coprire i diversi ranghi della società. Il grande discepolo di Platone, Aristotele, apporta innovazioni alla paideia con una accentuazione
nella specificazione della felicità come armonico sviluppo e perfezione di tutte le capacità dell’uomo, e rendela pedagogia più concreta
includendo l’educazione fisica attraverso la ginnastica.
La paideia mantiene il suo fascino anche dopo la conquista della
Grecia da parte di Roma, che la arricchisce con le caratteristiche del
la «mens romana», una pedagogia che destina alla famiglia maggior
senso di dedizione, una più forte coscienza della responsabilità diretta dei genitori sull’educazione e una impronta di praticità e concretezza. All’ideale greco, con Roma si è aggiunta la caratteristica virtus romana il cui programma educativo è rivolto a rendere perfetto
l’uomo adulto e a non preoccuparsi del bambino (come spiega anche
il nome di Humanitas con cui da Cicerone è reso latino il parallelo
concetto greco di paideia) oltre a ciò un prevalente interesse per la
scuola di retorica e per il maestro retore anziché per il ludi magister
o il grammaticus, impegnati nelle scuole inferiori, considerati non
preparati in campo educativo. Al programma di cultura superiore di
Cicerone seguì Seneca il quale all’abbondanza delle nozioni preferisce la conquista personale della virtù, una educazione intellettuale
e un atteggiamento ascetico-stoico nella cura del corpo ordinata a
farne un sano strumento dell’anima. A Quintiliano che fa proprio
l’ideale culturale ­educativo dell’oratore già sostenuto da Cicerone e
da Seneca, si devono i principi e la pratica pedagogica, precorritrice
della pedagogia attiva, l’esaltazione dell’opera educativa della famiglia e l’importanza dell’educazione fin dalla prima infanzia, considerata un indispensabile curriculum per il perfetto oratore. Questo il
contributo di Roma all’ideale della paideia sostanziata da praticità e
di concretezza, attraverso cui la pedagogia Umanistica-classica riapparirà con rinnovata efficienza sulla scena, dopo un lungo periodo di
decadenza, con il denominato Nuovo Umanesimo che coincide con
la prima fase del Rinascimento, a partire dal 1400. Un ritorno dell’ideale culturale-pedagogico umanistico classico, con significative
conseguenze sulla nostra cultura.
Nuovo Umanesimo
Il nuovo Umanesimo vuol ridare alla cultura Umanistica la sua
era funzione pedagogica formativa della mente e della personalità
dell’uomo. Nuovi criteri pedagogici che, basati sullo studio dei classici, hanno come fine il raggiungere e esercitare la virtù e la sapienza, indirizzare lo spirito e il corpo a cose nobili che portano ai più
alti premi dell’onore e della gloria. Si mira alla formazione completa e armonica dell’uomo, allo sviluppo di tutte le sue qualità morali,
intellettuali e fisiche, niente affatto sconosciuta all’antichità pagana,
ma che adesso si fonda in una sensibilità religiosa e morale orientata
ad una valutazione della persona umana più completa. Tra i Pedagogisti Umanisti sono da ricordare Vittorino da Feltre (1378-1446) i
cui insegnamenti sono espressi nella sintesi operata tra criteri umanistici e princìpi cristiani, resa possibile dalle sue qualità pedagogiche, programmatiche e metodologiche. Egli viene sollecitato ad ottenere questo successo dalla necessità di una costante ricerca finalizzata a trovare risposte educative adatte a una definita educazione fisica, intellettuale con programma enciclopedico-umanistico graduato all’età del soggetto, e di istruzione condotta in un clima di cordialità e di simpatia, sostenute dai criteri della pedagogia umanistica.
All’umanesimo, in questa epoca del Rinascimento, certe istanze
vengono potenziate nella necessità di individuare metodi e di strutturare criteri pedagogici rivolti particolarmente in attenzione al bambino e al rispetto della sua personalità. Con simili attenzioni verso la
funzione pedagogica formativa opposta ad una disciplina dura e invilente incontriamo anche Erasmo da Rotterdam (1463-1536), i cui
criteri sono lo studio della cultura classica, l’impegno per una scuola
concreta e la difesa dell’educazione femminile, ed in particolare la
necessità di conoscere le potenzialità dell’allievo. Rabelais (14941553) e Montaigne (1533-1592) non si distaccano da questi orientamenti e propongono cambiamenti sostanziali nei metodi educativi e
nei programmi scolastici con il chiaro intento di reagire alla decadenza, il primo, sostenuto da una ottimistica e naturalistica concezione della natura umana che chiede al suo Pantagruel di essere un
pozzo di scienza associato ad un’ottima formazione fisica; il secondo, Montaigne, il quale propugna per l’istruzione la comunicazione
di cose e non di parole, badando più al contenuto che alla forma,
senza perciò l’intento di formare l’uomo erudito, “una testa ben formata, più che ben piena”. Da ambedue questi pedagogisti si coglie il
caratterizzarsi della pedagogia come natura, natura in genere per Rabelais, natura umana per Montaigne, un metodo scientifico-sperimentale con il quale colmano le lacunosità, imprecisioni e asistematicità precedenti. La conseguenza è la sentita necessità di un cambiamento radicale che avrà inizio e si farà sentire solo nel secolo suc
cessivo con Comenius (1592-1670), John Locke (1632-1704) e Fènelon (1651-1715). Di Comenius si ricordano la grande fiducia nel
metodo sperimentale, i suoi nuovi metodi pedagogici e i procedimenti didattici con la nuova concezione dei diversi gradi di scuola
(gremii, vernacola, latina, accademia) e la gradualità dell’insegnamento, pur senza negare la pansofia, oltre che aprire le scuole a tutte
le categorie di cittadini e classi sociali. La pedagogia Lockiana segue la natura come Comenius e promuove lo studio dell’anima del
bambino e le sue capacità, per guidarlo e orientarlo verso una libertà
di giudizio, in autenticità di interiorità ed esperienza. Fènelon si indirizza sulla necessità di una educazione e di una istruzione della
donna. Un lento, progressivo maturare del pensiero e dell’azione pedagogica che ci ha trasportato alle origini della pedagogia nuova, da
cui abbiamo assistito al costante impegno per un maggior adeguamento formativo tenendo conto della totalità dell’uomo. Il rappresentante più distintivo degli albori della nuova pedagogia che si incastona nel periodo illuminista, è Gian Giacomo Rousseau (17121778). Di Rousseau possiamo richiamare alcuni aspetti come la sentita necessità di attuare una educazione libera e non soggiogata all’asservimento dell’assolutismo politico, un uomo formato secondo
la libertà e spontaneità della natura, cittadino di una nuova società.
Per natura Rousseau intende il complesso delle attitudini fondamentali dell’uomo, capacità, istinti, necessità, tendenze, ciò che è agente,
attivo e dinamico, spontaneo e originario nell’individuo. Un riconoscimento dell’uomo che richiede una educazione condotta nel rispetto della spontaneità della persona e che prevede una educazione genetico-funzionale capace di adeguarsi alle esigenze psicologiche
delle varie fasi dello sviluppo e di limitare le facoltà dei bambini fino
ai 12 anni eminentemente sensitiva, attendere i 15 anni per la formazione sociale e i 18 per quella religiosa, negando la possibilità o
l’opportunità di ogni anticipazione. Una decisiva svolta nel campo
della pedagogia pur adombrata dall’ingenua spontaneità riconosciuta alla natura, l’annientamento dell’autorità dell’educatore, l’espansione del sentimento a scapito della ragione e dell’oggettività della
norma morale. Limiti che verranno superati dai seguaci che si sono
presentati dopo di lui, fra questi Enrico Pestalozzi (1746-1827) che,
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dapprima entusiasta delle idee sociali e pedagogiche di Rousseau, in
seguito alle sue esperienze educative a contatto con i figli del popolo, i poveri, gli umili, sostiene il principio di una pedagogia dell’amore come fine dell’educazione, retto dalla bontà, dedizione,
comprensione e carità in opposizione alle divisioni classiste. Un’educazione orientata a preparare la persona alla vita sociale tenendo
conto di tre stati: lo stato di natura o di innocenza, lo stato di bontà
sostenuta dalla formazione della virtù e dal carattere, la conquista di
uno stato interiore di moralità e integrazione sociale. Principi che si
raggiungono, sostiene il Pestalozzi, con una educazione familiare ad
opera specialmente della madre e successivamente della scuola, condotta con un metodo didattico all’elaborazione dei dati ricavati dal
diretto contatto con la natura e con le cose, da cui ricavare intuizioni
di forma, numero, nome, e dare accesso al disegno, la geometria, la
scrittura l’aritmetica, la lingua, e uno spontaneo sviluppo del pensiero. Esperienze fondamentali dalle quali tutto si dovrebbe alimentare
spontaneamente fino a raggiungere un’efficace opera formativa.
Nella scia pedagogica idealistico-romantica si svolge anche il pensiero e l’opera educativa di Federico Froebel (1782-1852) pur con
maggior organicità e determinatezza rispetto al Pestalozzi, dal quale
trae significato la sua teoria e la metodologia dei giardini d’infanzia
froebeliani; “giardini d’infanzia” in cui si ricollegano la corrente naturalistica e idealistica. Secondo Froebel in ogni fanciullo c’è e si
sviluppa un principio divino e la pedagogia deve secondare tale sviluppo, più che prescrivere, determinare, intervenire. L’educazione
deve perciò essere orientata alla liberazione della persona tenendo
conto “dell’ottimo e il giusto” con cui si esprime, un idealismo che
è alla base della riconosciuta importanza del lavoro dell’uomo al
pari dell’operosità che si è manifestata in Dio nella creazione. L’importanza del lavoro nell’educazione dell’uomo si traduce per il bambino nel gioco, il gioco come mezzo fondamentale per l’educazione
e l’istruzione dell’infanzia. Froebel che è stato il creatore dei così
detti «giochi educativi» ha composto in un sistema ben preciso questo insegnamento basato sul gioco e ha pensato ad un insieme di
giochi educativi che, secondo lui, potranno permettere al bambino di
sviluppare delle attitudini funzionali fondamentali. Un metodo fun11
zionale, attivo, in opposizione ai metodi istruttivi, che si basa sul
gioco, sulla riconosciuta importanza allo stimolo che un oggetto in
contatto con il bambino poteva avere sul bambino stesso, e sull’attività motoria corporea, ciò che rende Froebel un precursore della psicomotricità funzionale. Nella pedagogia di Froebel si vedono anche
già abbozzate le idee di Piaget perché pensava che portare il bambino a utilizzare tutte le sue risorse riguardanti la sua motricità e la
sensorialità gli avrebbe permesso poi di arrivare ad acquisizioni più
astratte, cioè utilizzare un certo tipo di materiale scelto apposta per
passare dal concreto all’astratto, permettere al bambino di partire
dall’intelligenza sensorio-motoria all’intelligenza che Piaget ha definito delle operazioni concrete con la successiva rappresentazione
mentale dell’azione da intraprendere su quel determinato oggetto.
Froebel è stato perciò anche il precursore delle intuizioni che Piaget
ha approfondito in seguito. In questo periodo si distinguono anche
Albertina Necker de Saussure (1766-1841) e Padre Gregorio Girard
(1765-1850), ciascuno apportando un proprio contributo integrando
e portando all’opera di Rousseau un più stabile equilibrio e eliminando le sovrastrutture idealistiche del Pestalozzi. Il cammino storico della pedagogia ci porta in particolare ad incontrare G. F. Herbart
(1776-1841), riconosciuto come il fondatore della pedagogia scientifica, un sistema organico di concetti intorno al fine e al metodo
dell’educazione. Egli condanna la idealistica identificazione della
pedagogia con la filosofia, considera priva di fondamento la pedagogia puramente descrittiva del fatto educativo che ha offerto Rousseau
o quella appagata dall’esperienza, la pedagogia empirica, e ancor
meno quella pedagogia che si affida agli influssi sociali. Herbart,
visitata la scuola condotta dal Pestalozzi, pur ammirandone i risultati da lui ottenuti, sente comunque la necessità di colmare delle importanti lacune dando vita ad una pedagogia collegata all’etica, e
indica il fine al quale deve mirare il processo formativo della personalità dell’educando e alla psicologia che offre i mezzi di cui si deve
valere il pedagogista per conseguire quel fine. All’autoeducazione
antepone l’etero-educazione, attribuendo grandissima importanza
all’opera del pedagogista così da definire l’istruzione più propriamente istruzione educativa, capace di suscitare rappresentazioni e
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pensieri che abbiano valore per la formazione del carattere. Sostiene
la teoria degli interessi, interesse di conoscenza, di partecipazione,
simpatetico, che si riferisce alle gioie e ai dolori degli altri, interessi
simultanei e armonici da cui derivano due conseguenze didattiche, la
prima che l’insegnamento per essere efficace deve inserirsi nella serie di nozioni già possedute e fondersi con esse, la seconda, che il
pedagogista deve cercare di destare sempre maggior interesse, ricevendo e procurando un senso di piacere. Da queste premesse è sorta
la didattica definita dei “gradi formali” a cui in tanti si sono riferiti
prima dell’avvento dei metodi attivistici, e che consiste in un modo
di procedere che è come una formalità (forma in senso filosofico)
dell’atto didattico, da applicarsi (informare) all’insegnamento di
qualsiasi materia. I “gradi formali”, richiedono chiarezza, delimitazione e descrizione dell’oggetto nei suoi molteplici aspetti, associazione intesa come sintesi della molteplicità di elementi o aspetti,
nell’unità dell’oggetto e la sua chiarificazione a mezzo di accostamenti e comparazioni, sistema inteso come l’armonica fusione delle
nuove cognizioni con il complesso delle nozioni già possedute, e il
metodo, pieno e fruttuoso possesso delle nozioni, con capacità di
pratiche applicazioni.
In questo stesso periodo in Italia, in campo pedagogico si assiste
ad un grande risveglio con caratteri che vanno oltre i limiti del problema scolastico-didattico per spingersi su aspetti teorici e pratici
dell’educazione rivolta all’unificazione dell’Italia e alla formazione
intellettuale, religiosa, morale e patriottica degli italiani. Di questo
periodo storico della pedagogia sono importanti il Cuoco, Lambruschini, Rosmini e Aporti, confusi con la contemporanea concezione
del Positivismo pedagogico, della pedagogia scientifico-sperimentale, contrapposta al saper umanistico, con letture di autori quali lo
Spencer (1820-1903) che ne ha la paternità e per l’Italia l’Ardigò
(1828-1920), il Gabelli ed altri.
Concezione che si basa su un sapere strumentale di conoscenza
certa dell’uomo e delle sue funzioni, che sacrifica l’autonomia della
persona umana al meccanicismo, riduce la vita nei suoi aspetti individuali e sociali ad “ingegneria sociale” e persegue una educazione
tradotta in un rutinario addestramento.
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Pedagogia contemporanea
Positivismo e pedagogia sperimentale ci portano alle soglie dei
contributi dei pedagogisti contemporanei che, a seguito di una selezione, verranno evidenziati con dei tratti essenziali, adatti a produrre
la distinzione e la validità dei principi sostenuti e degli orientamenti
metodologici indicati.
Édouard Claparède (1873-1940), contemporaneo di Piaget, tra tante
opere pedagogiche che ha scritto, ne «L’educazione funzionale» sostiene la riconosciuta evoluzione dei bisogni in funzione dell’età del
soggetto e le coesistenti necessità biologiche e sociali. Due teorie complementari, una che sostiene il principio che la società debba permettere all’individuo di affermarsi in quanto persona e di avere il ruolo che
gli compete, che è quello di essere cittadino di una società, concetto
condiviso col Dewey, e l’altra il bisogno della persona di raggiungere
il suo scopo. Un atto che se non è collegato ad un bisogno, secondo
Claparède, è una cosa contro natura che la scuola tradizionale si ostina ad ottenere dai suoi disgraziati allievi, far fare loro, dalla mattina
alla sera e dal gennaio a dicembre, delle cose che non rispondono ad
alcun bisogno e che si pensa di suscitarlo ricorrendo ad una serie di
mezzi, punizioni, cattivi punti, ricompense, esami, minacce ecc., che
hanno l’efficacia che ognuno conosce. Modelli educativi dimentichi
che ogni atto deve essere sempre funzionale, cioè deve avere sempre
come caratteristica quella di realizzare i fini capaci di far sviluppare il
bisogno che lo ha fatto nascere. Ne deriva che l’educatore non potrà
più essere un formatore di anime in senso tradizionale o, come molto
spesso avviene, un trasmettitore di cognizioni con il proposito di sollecitare il più possibile l’avvento dell’età adulta o, più negativamente,
un imbottitore di crani, ma dovrà essere uno stimolatore di interessi
individuali che potranno essere inizialmente percettivi, poi glossici,
quindi strutturati sui “perché”, fino agli interessi speciali ed obiettivi. L’educazione funzionale si propone per questo come solida base
scientifica per tutta la corrente della Scuola Attiva. Ciò spiega perché la
corrente funzionalista ha respinto le concezioni behavioriste che hanno
alimentato le strategie della pedagogia istruttiva, atomistica, che voleva
vedere scomposte le nozioni da imparare, per sostenere la concezione
di tipo globale che considera la persona nella sua unità. Il punto di vi14
sta funzionale permette di stabilire leggi che esprimono delle relazioni
costanti esistenti tra determinate forme di condotta e determinate situazioni. Tali leggi autorizzano delle deduzioni, delle applicazioni e sono
concretamente utili. Per Claparède le leggi che regolano la condotta,
quando la si consideri dal punto di vista funzionale, sono:
• Legge del bisogno: enunciato sulla coordinazione fondamentale tra
il bisogno e le reazioni adatte alla sua soddisfazione; ogni bisogno
tende a provocare le reazioni adatte a soddisfarlo.
• Legge dell’estensione della vita mentale: lo sviluppo della vita
mentale è proporzionale alla differenza esistente tra i bisogni ed i
mezzi per soddisfarli.
• Legge di anticipazione: ogni bisogno che, per la sua stessa natura,
rischia di non poter essere immediatamente soddisfatto, si manifesta anticipatamente (cioè prima che la vita sia in pericolo).
• Legge dell’interesse: ogni condotta è dettata da un interesse. Cioè
ogni azione consiste nel raggiungere il fine che ci preme in un dato
momento.
• Legge dell’interesse momentaneo: in ogni istante un organismo
agisce seguendo la via del suo maggior interesse, o come viene
esposta in una seconda formula: in ogni momento, è l’istinto che
più preme, quello che sopravanza gli altri.
• Legge della riproduzione del simile: ogni bisogno tende a riprodurre le reazioni (o situazioni) che gli sono state anteriormente giovevoli, a ripetere la condotta che è riuscita precedentemente in una
simile circostanza.
• Legge del tentativo: quando la situazione è così nuova che non richiama alcuna associazione di similitudine, o quando la ripetizione
del simile è inefficace, il bisogno fa sviluppare una serie di reazioni
di ricerca, reazioni di prove, di tentativi.
• Legge di compensazione: quando l’equilibrio rotto non può essere
ristabilito da una reazione adeguata, esso è compensato da una reazione contraria alla reazione che suscita.
• Legge dell’autonomia funzionale: in ogni momento del suo sviluppo un essere animale costituisce un’unità funzionale, cioè le sue
capacità di reazione sono appropriate ai suoi bisogni (1912 [tr. it.
1952, pp. 32-58]).
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John Dewey (1859-1952), maestro dell’attivismo americano,
sostiene che il pensiero si esercita non fuori dell’azione, ma sperimentalmente nell’azione stessa, attivismo è quindi sperimentalismo.
L’opera educativa secondo Dewey, nega la pura teoreticità del pensiero, rispettando lo sviluppo spontaneo del bambino deve svolgersi
in concretezza di situazioni e in perfetta fusione di teoria e pratica.
Egli ripudia la scuola puramente classica e teorica, e dà valore alla
necessità del lavoro nella scuola, come occasione di educazionee
sostanziale applicazione sperimentale del pensiero. La scuola deve
rimanere aperta alla totalità delle esperienze, favorire la socializzazione e sopprimere la differenziazione in indirizzi scolastici. La pedagogia sostanziarsi quindi di una rinuncia al despotismo antipsicologico dei programmi, rispondere ai reali interessi dell’allievo e ad
una maggiore connessione tra scuola e vita. La corrente funzionalista
del Dewey persegue l’adattamento del soggetto all’ambiente socioculturale che lo circonda mantenendo le sue proprie caratteristiche.
Non una orientazione da confondersi con un certo condizionamento
sociale bensì una concezione che dà la giusta importanza al ruolo
dell’ambiente sociale e di adattarsi ad esso in maniera da permettere
all’individuo di affermarsi nella società in quanto persona e permetterle di avere il ruolo che le compete, quello di essere cittadino di
una società. Non sfugge che la corrente funzionale si è sviluppata
in opposizione alla corrente comportamentista di Watson e Skinner,
emersa nello stesso periodo, e che sostanzia il criterio della pedagogia istruttiva.
Rosa Agazzi (1866-1951), assieme alla sorella minore Carolina,
ancor prima del Decroly e della Montessori fu una delle più grandi
rinnovatrici dell’educazione infantile in senso attivistico. Nel 1892
istituì un Asilo modello in cui operò una geniale riforma pedagogica.
Essa fu sostenuta da vivi interessi psicologici, biologici, e spirituali-religiosi che la guidarono al rispetto di impegni pedagogici e didattici, e nell’individuare valide risorse nell’ambiente. Per l’Agazzi
il bambino è un essere attivo, stimolato nel suo intimo da forze che
ne determinanolo sviluppo, perciò scopo dell’educazione è quello di
promuovere il libero sviluppo di queste forze in un ambiente in cui
egli si abitua ad operare da sé. Il nome di Asilo viene poi mutato in
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“Scuola materna” e ciò indica l’orientamento dello spirito educativo: «creare attorno al bambino un ambiente il quale s’accordi con la
vita domestica e sociale, fonte inesauribile di mezzi educativi». La
maestra assume il ruolo di madre che vive con i suoi bambini, in un
ambiente che intende rispecchiare la vita familiare, il rispetto dell’ordine, di pulizia, il senso di responsabilità personale e solidarietà
collettiva. Il materiale didattico, che costituisce il «museo didattico» o «museo delle cianfrusaglie», è quello raccolto dalle tasche dei
bambini, quindi semplice; cianfrusaglie che si potevano trovare dappertutto, come biglie, bottoni, chiodi, sassi... inserito in dei sacchetti
o delle scatole, distinto per forma, materia dimensione, numero, e
dato di volta in volta a ciascuno per fare enumerazioni, associazioni,
comparazioni, classificazioni.... Degno di rilievo è anche il sistema
dei contrassegni con cui si introduce l’apprendimento del nome o
della cosa esposta, il gioco e l’educazione fisica, giochi di movimento con ritmi e canti, l’educazione igienica con il «regno dell’acqua»,
la vita operosa, con le occupazioni di casa, il giardinaggio, o «l’arte delle piccole mani», l’educazione intellettuale, lezioni di cose e
esercizi di lingua parlata, l’educazione religiosa e morale, profondamente sentita e sapientemente realizzata. Tutto mirabilmente fuso
col naturale svolgersi giornaliero della vita del bambino.
Maria Montessori (1870-1952), è una grande rinnovatrice dell’educazione infantile in senso attivistico. Anche lei, come il Decroly,
giunge alla pedagogia dalla medicina, interessata all’educazione dei
bambini ed in particolare dei bambini disabili. Impegnata ad aiutare
i bambini disabili segue i metodi di Séguin e del Gonnelli-Cioni e si
rende conto che non avevano nulla di specialee che sarebbero stati
convenienti per tutti i bambini. Il metodo che ne scaturì venne realizzato nella Casa dei bambini, una scuola da lei condotta, metodo
seguito poi in tutto il mondo. Esso è esposto nell’opera “Il metodo
della pedagogia scientifica applicata all’educazione infantile”, in cui
mostra come i princìpi ispiratori siano quelli dell’attivismo, dell’autoeducazione, della libertà e spontaneità di movimento, scoperta e
rispondenza agli interessi. Essa volendo eliminare gli ostacoli che
i bambini avrebbero potuto trovare nel loro sviluppo, crea un ambiente adatto alla loro statura, alle loro esigenze, sia per proporzioni,
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peso, colore dei mobili e degli oggetti, ariosità, spaziosità, luminosità, una casa che essi amano e in cui si trovano bene. Anche il materiale didattico è inteso come necessario ai bambini per favorire la
loro libera attività rendendo possibile la libera autocorrezione. Con
questo orientamento metodologico la maestra-insegnante del passato diviene direttrice e lascia al piccolo la più ampia libertà pur stando
vicina e se necessario aiutarlo ad valersi dell’ambiente.
Metodi e Piani
Nel richiamarci alla storia della pedagogia non può sfuggirci il
significativo bilancio degli ultimi tre quarti di secolo (dal 1890 ad
oggi) in cui figura l’estensione dei metodi e dei piani, sostenuti dall’iniziativa, e dall’inventività di menti creative. Particolari metodi
e piani la cui prospettiva di rinnovamento pone l’accento contro
ogni concezione ristretta alla personalità individuale per più marcate
istanze sociali e collaborative, contro il sovraccarico nozionistico e
l’astrattismo libresco, la scuola omogena e livellatrice tesa a forme
istruttive e disciplinari grigie e monotone, per dirigere lo slancio
verso l’individualizzazione dell’insegnamento, la valorizzazione del
capitale e della responsabilità personale. Metodi e piani convalidati
dall’esperienza, cimentati con la realtà, capaci di poter continuare
ad imprimere in misura della loro fecondità, diffusione e successo, e
che adeguati ai nuovi problemi e nuove esigenze rispetto al passato
e a una costante revisione, potranno essere sempre necessarie per
nuovi problemi e nuove esigenze.
Metodo “I centri di interesse”
Ovidio Decroly (1871-1932), è l’ispiratore del metodo “I centri
di interesse”, considerati capaci di mobilitare tutte le attività dell’allievo in quanto latenti nell’individuo per le cose della natura e
corrispondenti ai bisogni fondamentali del bambino, tra cui nutrirsi,
difendersi dalle intemperie, dai nemici, di lavorare con gli altri, riposarsi e ricrearsi. Su queste linee si deve articolare, secondo Decroly,
tutto l’insegnamento che, invece di sostare su materie prestabilite,
deve saper penetrare nell’esperienza dell’allievo e sviluppare i corrispondenti centri di interesse. Le materie e le lezioni sono chiamate
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a lasciare il postoad un apprendimento che procede attraverso esperienzedi osservazione, di associazione e di espressione, istruite sugli
interessi vitali degli allievi:
- Osservazione o educazione dei sensi. Consiste nell’entrare in contatto con le cose reali, materiale vivo, come piante, animali...ma
anche materiale inerte tra cui le cianfrusaglie, per comparare le
cose fra loro, promuovere la comparazione e la classificazione, per
somiglianza e quindi per differenza concreta degli oggetti, che portano naturalmente alla misura, all’idea di numeroe a far uso delle
cifre che con gli anni serviranno di base al lavoro
- Associazione nel tempo e nello spazio. Essa comprende le nozioni
acquisite oggi con quelle di ieri, quelle relative ad un dato ordine
di fenomeni con altre affini o contrastanti, oltre che le nozioni di
geografia e di storia
- Espressione, Consiste nel tradurre le nozioni apprese,sensazioni e
idee , in atti, forme, toni, colori, parole, compreso il disegno, i lavori manuali, la musica, il canto, la lettura e la scrittura.
Tutti i rami insegnati nelle scuole elementari e che si ritrovano nel
programma vengono scelti da testi e da frasi in relazione con l’oggetto del centro di interesse e sono ben più adatti per creare qualche
cosa di nuovo come si può leggere in un esempio sul tema del freddoe sugli indumenti:
Osservazione: Il vestito della bambola. Biancheria. Biancheria personale. Lana. la pecora.il sarto. La sarta . Il cappello. Il berretto. Le
scarpe. La pelliccia. Animali da pelliccia. Il vestiario e le stagioni.
Indumenti fatti di altre materie. La moda. Come si conservano gli
indumenti. Le tarme. Vestiario e mestiere. Il vestito degli animali e
delle piante. Piante e animali che servono per il vestiario.
Associazione nello spazio: Fogge tipiche di popoli stranieri. Da dove
viene il cotone? E la lana?
Associazione nel tempo: La moda attuale. La moda dei tempi delle
mamme e delle nonne. La storia del vestiario.
Calcolo: Durata e valore comparativo degli indumenti. Come si
prendono le misure e come si confezionano gli abiti? Quante camice,
quante sottoveste, ecc. si ricavano in tanti metri di stoffa?
Espressione concreta: Disegno. Ritaglio da riviste e giornali. Compi19
lazioni di album. Espressione astratta: Lessico e costruzioni di frasi.
Composizioni spontanee.
Morale: Cura del vestiario. Ragazzi poveri mal protetti.
Il Metodo è innovativo, consiste in qualcosa di radicale, Decroly
rompe il cerchio della cultura oggettiva e intellettualistica e va diritto ai processi attraverso cui l’allievo, per le sue esigenze di vita,
apprende.
Metodo dei “Progetti”
William Heard Kilpatrick (1871-1965), dimostra la necessità di un
totale rinnovamento della scuola, nei programmi e nei metodi, di
mutare radicalmente i costumi di pensiero e di azione e sviluppare
con ricchezza di particolari la tecnica didattica. Kilpatrick vuole che
agli alunni venga assegnato, secondo la loro capacità un lavoro che
egli chiama progetto e che per essere condotto a termine, richieda
l’acquisto di particolari cognizioni che devono rientrare nell’ambito
del programma scolastico.
Il Kilpatrick distingue, rispetto al contenuto, quattro tipi di progetto:
- Il producer’s-project, che ha lo scopo di produrre qualcosa, dalla
casetta di sabbia costruita dal bambino, un giocattolo... una preghiera, non limitato perciò a cose fatte con le mani
- Il consumer’s-project, per il quale occorre, come per gli altri, un
“proposito”, lo scopo non più di produrre ma di usare ciò che è stato prodotto da altri, come ad esempio un’escursione, un viaggio...
- Il problem-project, un problema che ci si deve prefiggere realmente di risolvere mandando realmente ad effetto il “proposito”, come
ad es. lo studio di un monumento artistico, lo studio di certe situazioni periodiche di mercato, rilevamenti statistici.
- Il specific learning project o di apprendimento specifico, che ha lo
scopo di acquistare e perfezionare una tecnica.
Lo svolgimento di ciascun progetto si compie per tappe che comprendono intenzioni, preparazioni, esecuzioni, apprezzamento del
lavoro compiuto, emira a suscitare o formare nell’allievo un interesse verso le materie di apprendimento. Metodo genuinamente educativo, una risposta al problema della formazione a cui reagisce con
una attività profondamente sentita e intenzionale.
20
Metodo “Scuola del lavoro”
Georg Michael Kerschensteiner (1854-1932) è il creatore della
Scuola del lavoro con necessità e intenti di riforma dei metodi educativi. Il Metodo si ispira ad una nuova visione del processo educativo,
ad una diversa concezione della formazione dell’uomo che si vuole
inserita in una determinata struttura di società ispirata ad una finalità
etica e sociale di valore universale. La Scuola del lavoro è affermata
come comunità sociale nella quale gli allievi vengono organizzati
secondo un piano, o programma di lavoro scolastico intellettuale,
morale e manuale. Lo scopo non è tanto l’acquisizione di una abilità
pratica o formale particolare o l’apprendimento di un mestiere o professione, quanto la formazione della personalità degli allievi in tutte
le sue manifestazioni. Nella comunità di lavoro, come la concepisce
Kerschensteiner si esplica tutta intera l’attività degli alunni e alunne
secondo la libera manifestazione di interessi, di tendenze e preferenze. Una scuola realmente attiva e produttiva che mira a formare
concretamente la personalità morale sociale e professionale dei giovani, inseguendo il concetto di attività lavorativa come processo di
educazione. Lo scopo della formazione ha un significato profondo,
favorire lo sviluppo dell’orizzonte spirituale, prontezza e sensibilità
a comprendere nuovi valori e di accrescerli, ciò che si può raggiungere, secondo Kerschensteiner, con un lavoro pedagogico efficace,
con lo svolgere attività produttiva a servizio di un valore capace di
riempire lo spirito. Maturazione e sviluppo si raggiungono attraverso
il gioco spontaneo, il gioco regolato, il lavoro spontaneo e il lavoro pedagogico. Un carattere pregevole chiede di mettere alla prova
quattro forze interiori: la forza di volontà, chiarezza di giudizio, finezza di sentimento, e spirito di ricerca, qualità che vanno sviluppate
in una atmosfera di libertà e di spontaneità organizzate in modo armonico e unitario che risponde all’interiore struttura spirituale.
L’applicazione delle idee per Kerschensteiner si concretizza in
una scuola divisa in due bienni:
- Nel biennio inferiore, dopo un primo periodo nel quale si parte dai
metodi montessoriani, si insegna a leggere e a scrivere secondo il
metodo globale del Decroly e si avvia una applicazione del lavoro
pedagogico con lavori in legno.
21
- Nel biennio superiore il metodo diventa più completo, rivolgendosi
intorno a sei punti fondamentali: insegnamento relativo al paese
natale, disegno e lavoro manuale, calcolo; insegnamento linguistico; composizione; insegnamento religioso; ginnastica e canto;
insegnamento del lavoro in legno. Tutti insegnamenti impartiti secondo i principi della scuola attiva.
L’insegnamento della lavorazione del legno richiede, avanti di
cominciare ogni nuovo esercizio, una spiegazione in cui vengono
illustrati il materiale, la forma, lo scopo, come pure la composizione
e la denominazione delle parti principali e secondarie dei modelli a
mano. Prima di ogni processo di lavoro vengono spiegate le singole
fasi, raccolta l’abilità nella misurazione, abilità meccanica e familiarità con le tecniche; alle ragazze viene richiesto di dedicarsi al
ricamo maglieria ecc. Tutte tecniche lavorative che devono tradussi in uno strumento di liberazione, di esplicazione delle iniziative
dell’immaginazione giovanile. La disciplina interiore dello spirito,
della volontà, un equilibrato controllo delle proprie abitudini della
vita fisiologica, la coordinazione dei movimenti, la precisioni delle
esecuzioni ci permettono di disporre nel modo migliore delle nostre forze fisiche e psichiche,sono perciò il presupposto, il momento
necessariamente precedente, condizione prima di qualunque attività creativa dell’uomo per la realizzazione delle nostre aspirazione e
mete ideali.
Piano “Dalton”
Elena Parkhurst (1887-1973) struttura il suo metodo nel tentativo di conciliare le esigenze della cultura intesa come patrimonio
di sapere organizzato, tutelato dall’insegnante, con gli interessi individuali, le curiosità, le tendenze e le capacità degli allievi, come
pure per evitare il pericolo di arrecare danno al ragazzo per lo scarso
rispetto nei suoi confronti anziché del vantaggio che la scuola si ripromette. Il Piano Dalton, con l’impegno della Parkhurst, cerca di
dare una risposta a tutte queste attenzioni facendo sì che programma, maestro e allievo trovino ciascuno il suo posto. Il principio che
persegue è di fornire all’allievo l’occasione di imparare a studiare,
e partendo dal presupposto che gli allievi per imparare a studiare si
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devono muovere a scuola con la stessa libertà con cui si muovono a
casa, non si limita a proporre di individualizzare i singoli insegnamenti in modo da adattarli alla capacità dei singoli allievi, ma di permettere ad essi di applicarli liberamente alle singole discipline. Per
questo la Parkhurst suddivide ogni materia del programma in dieci
compiti mensili e istituisce il contratto, con cui l’allievo si impegna
di eseguire uno di questi compiti per ciascuna materia nel tempo
che ha a sua disposizione per quella materia in ciascun giorno. Poiché l’allievo può disporre liberamente del suo tempo, egli potrà per
esempio dedicarsi un giorno intero o più giorni ad una data materia,
e di curare le altre materie nei giorni seguenti. Se l’allievo non ha
eseguito tutti i suoi compiti nel limite del mese, non può passare ad
altri compiti, in modo che deve abituarsi ad organizzare il proprio
tempo secondo la maggiore o minore difficoltà che incontra nello
svolgimento delle singole materie. La scheda del contratto dell’allievo, distinta in quattro settimane, corrispondenti alla struttura delle assegnazioni, mette l’allievo nelle condizioni di controllare egli
stesso il suo cammino ed il lavoro che deve ancora compiere per
corrispondere pienamente al suo impegno. Egli può aggiornare la
sua scheda personalmente, solo però in seguito all’approvazione degli insegnanti. Il percorso di formazione può essere svolto lavorando
individualmente o unendosi ai compagni che hanno predisposto un
contratto analogo, tale attività collettiva viene privilegiata rispetto a
quella individuale. Il Piano può essere seguito da allievi in età non
inferiore ai 9 anni e la scuola invece di presentare un insieme di
classi, presenta una serie di aule o laboratori destinati ciascuno ad
un solo insegnamento, in cui l’alunno svolge il suo lavoro sotto la
guida di un insegnante specializzato. Per misurare il ritmo di lavoro
vengono utilizzati dei grafici di controllo. La scheda di laboratorio è
dotazione dell’insegnate specializzato che ne ha una per ogni classe
che frequenta il laboratorio, facilmente distinguibile per il diverso
colore. Ogni volta che l’allievo ha compiuto il lavoro, l’insegnante
traccia un trattino nella casella corrispondente alle unità di lavoro, in
modo che può facilmente con un solo sguardo cogliere il progresso e
il ritmo del singolo, e nello stesso tempo il progresso di tutta la classe in quella particolare disciplina. Tale lavoro viene poi graficamente
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rappresentato su una specie di tavola-diagramma, che ogni allievo
tiene a sua disposizione, segnando progressivamente il lavoro compiuto, a loro volta i maestri specializzati rappresentano su analoghi
diagrammi lo sviluppo del lavoro degli allievi.
Piano di Winnetka
Carleton Wolsey Washburne (1889 - 1968) è l’ideatore del Piano
di Winnetka che a differenza di altri sistemi si fonda su basi rigorosamente scientifiche proprie della pedagogia sperimentale. Il Piano tiene conto delle idee del Dewey sul carattere individualizzato
e sociale dell’educazione e ne sperimenta il programma scolastico
dividendolo in due parti:
- Programma minimo, che comprende il così detto sapere strumentale, ossia le conoscenze indispensabili, che devono essere uguali
per tutti, tra cui la lettura, scrittura calcolo..., tale programma è
estremamente individualizzato in modo non solo di adattarlo alle
capacità dei singoli allievi, ma di risolvere l’apprendimento in una
specie di autodidattismo. Washburne a tale scopo ha ideato un complesso sistema di auto controlli, tra cui quaderni chiave, quaderni
controllo o test, questionari ecc., con controllo finale da parte dell’insegnante, da permettere di seguire, con precisione scientifica,
i progressi della preparazione e passare agli esercizi della classe
successiva. In tal modo un allievo, pur restando nella sua classe
può in un determinato momento e per una data materia cominciare
già il lavoro della classe seguente, nella quale entrerà quando avrà
superato i relativi controlli nelle altre materie. Allo scopo naturalmente la scuola, invece di presentare un insieme di classi presenta
una serie di aule destinate a un solo insegnamento in cui l’alunno
svolge ad ore fisse il suo lavoro sotto la vigilanza di un insegnante specializzato, che interviene solo quando gli venga richiesto o
quando lo ritenga necessario. Il sistema offre il vantaggio di eliminare ogni forma di ripetenza e di rispettare la legge dello sviluppo
biogenetico dell’allievo, comunque diverso da individuo a individuo.
- Programma di sviluppo, che comprende le attività collettive e
creative, ossia le attività e le materie che forniscono lo stimolo
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all’espansione e alla differenzzazione dei singoli allievi, musica,
lavori manuali, giuochi... Tale programma vuole avere un carattere
sociale e perciò viene svolto con un sistema che ricorda molto i
“Progetti” di Kilpatrick.
I progressi di ciascun alunno vengono registrati sul Registro dei
progressi che sostituisce la pagella tradizionale. Il Registro ogni sei
settimane viene inviato alle famiglie, per informarle sulla situazione
in cui si trovano i loro ragazzi nell’apprendimento di ciascuna materia, registro che serve anche di guida per gli stessi insegnanti.
Il Washburne afferma che ogni allievo ha diritto alla salute fisica e
mentale ed alla felicità e perciò deve vivere la sua vita spensierata e
gioiosadi fanciullo, senza preoccupazioni e senza dolorose costrizioni. La scuola deve essere attraente, accogliente, ed aiutare i fanciulli
a vivere una vita sana e piacevole. L’allievo ha bisogno di svilupparsi
felicemente, di sentirsi protetto, di stare a proprio agio e di avere
certezza di essere amato. Per raggiungere questi obiettivi la scuola
deve collaborare, tenendo conto che nelle scuole progressiste scopo
dell’insegnante è più quello di capire il bambino e rendergli la vita
felice che non di riempirgli la testa di nozioni. Per questo motivo gli
alunni non devono mai essere obbligati o sforzati a fare cose superiori alle loro possibilità.
Conoscere questi ed altri metodi pedagogici così come i principi
e le azioni pedagogiche incontrate nel percorso storico, permette al
pedagogisti di esporre il proprio pensiero sulle iniziative e modalità da seguire attualmente in tutti i contesti, e non solo quello della
scuola, in cui si trova ad operare. Un personale contributo da cui
trasparirà il dover tener conto del graduale sviluppo della persona,
delle sue capacità, della necessaria relazione e il clima che deve saper promuovere e sviluppare nell’ambiente. La pedagogia è forma
e organismo, con impronta di vitalità e con il potere di riuscire ad
intessere percorsi in tutta la sua estensione che la vuole apprezzata
come scienza dell’educazione dell’uomo.
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PEDAGOGISTA... IN AIUTO*
Il pedagogista ha sempre aiutato l’uomo a sviluppare le proprie
potenzialità, superare difficoltà, acquisire conoscenze e competenze
adatte per fronteggiare i problemi della vita. L’arte pedagogica nasce
e si esprime contemporaneamente a quella medica, ambedue trovano
le loro radici alle origini della civiltà e danno vita a professioni che
maturano contestualmente alla presa di coscienza dell’importanza di
“prendersi cura” dell’altro (Pesci, Pesci, 2005).
La storia della pedagogia, intesa come “guida” e “accompagnamento”, può essere ricostruita partendo dalla scuola, dai diritti del
fanciullo, dal sostegno e dall’aiuto che la persona in difficoltà poteva
ricevere per mezzo di attenzioni educative. Il pedagogista in Italia si
è trovato a dare risposte utili per la crescita di soggetti normali come
anche dei diversi, ossia di coloro che a seconda dei periodi storici e
delle relative culture la società ha definito “mostri” o “spiriti del
male” (Pesci, 1977).
Nel XIV secolo alcuni pedagogisti italiani iniziarono ad impegnarsi a favore dei “sordomuti”, giudicati nel mondo antico individui
inferiori, mentecatti e ineducabili perché incapaci di pensare e di
apprendere (Cantagalli, 2000). Bartolo della Marca d’Ancona (13141357), in particolare, ipotizzò che i non udenti potessero essere educati sia con il linguaggio articolato che con quello dei segni. In seguito Girolamo Cardano (1501-1576) si disse convinto che si potesse
insegnare ai sordi a comprendere leggendo e a parlare scrivendo.
Anche in altre nazioni in questo periodo i pedagogisti intervengono
* Tratto da Pesci G., Bruni S., (2006). Il pedagogista. Innovazione e rivalutazione
di un ruolo, Roma, Armando.
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in aiuto di questi soggetti, confermando così la possibilità di una loro
educabilità.
Le iniziative per consentire ai sordomuti un’abilità comunicazionale adeguata si diffusero un po’ ovunque, prima in forma individuale – per lo più con precettori privati – poi a più persone possibile. Gli
educatori dediti al recupero dell’organizzazione e dell’espressione
verbale erano molti; seguivano il metodo di Rodrigues Pereire che
prevedeva l’uso della scrittura, del gesto e della dattilologia, o quello
“mimico”, di Charles Michel de l’Epée detto Abbé de l’Epée, che si
basava sulla comunicazione gestuale non trascurando però il valore
della parola parlata. Questo metodo fu adottato anche dall’italiano
Tommaso Silvestri il quale più tardi, in alternativa a l’Abbé de l’Epée,
applicò e definì il principio della differenziazione didattica, esaltando il metodo orale, e scrisse il primo trattato italiano sull’educazione
dei sordomuti, dal titolo Sulla maniera di far parlare e di istruire
speditamente i sordomuti di nascita.
Intanto in Italia sorgevano nuove scuole, una a Roma, nel 1784, e
un’altra a Napoli nel 1788, ambedue con il riconoscimento regio e con
la sovvenzione dallo Stato. Più tardi, nel 1805, Ottavio Assarotti, un
precursore che si dedicò lungamente al perfezionamento del metodo
improntato sulla dattilologia sostenuta dalla mimica e dalla scrittura,
fondò l’Istituto per sordomuti di Genova. Nello stesso anno venne aperto un istituto per sordomuti a Milano, poi un altro a Modena (1821),
quindi, ad opera di Tommaso Pendola, a Siena (1828). Più tardi ne furono aperti altri, a Torino (1835), a Verona (1838) e a Palermo (1842).
Nel 1872 il Pendola fondò la rivista «L’ Educazione dei Sordomuti in Italia». L’ anno successivo, i maestri italiani dei sordomuti (Siena 1873), chiamati a Congresso, posero le basi della loro intesa, sancita in seguito dal Congresso Internazionale di Milano (1880), dove
venne definitivamente deciso il ripristino del metodo orale nelle
scuole italiane per sordomuti, in quanto ritenuto il più efficace per
rendere a questi soggetti una voce capace di comunicare.
Dal Novecento in Italia, l’impegno pedagogico a favore dei sordomuti è ampio e la teoria e la pratica della surdopedagogia promuovono opportunità tali da soddisfare, assieme all’educazione linguistica, quella globale di queste persone.
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Nel passato era opinione comune che anche i ciechi non fossero
suscettibili di educazione e di istruzione, ma i pedagogisti, specie a
partire dal XVIII secolo si trovarono impegnati a definire anche per
loro percorsi educativi utili al fine di garantire una vita di relazione
(Pesci, Pesci, 2005, pp. 42-45). Sarà Valentino Haùy, ad aprire una
scuola per ciechi a Parigi e, contemporaneamente, Rodolfo Klein ne
fondò una a Vienna dotata di fondi statali. Due importanti punti di
riferimento per i promotori di istituti per ciechi di tutto il mondo così
come di quelli italiani.
In Italia i primi istituti per non vedenti si basarono infatti sulle
metodologie di Haùy, il primo fu fondato a Napoli nel 1818, seguito
da quelli di Padova (1838), di Milano (1840), Firenze (1868), Genova (1870) e Torino (1875). Nel 1876 a Roma venne aperto l’Ospizio
Margherita con funzioni di ospedale oftalmico e scuola per gli educabili.
In questo periodo molti pedagogisti italiani, tra cui l’Ansaldi,
l’Armitage, l’Alessi, il Martuscelli, il Vignali, illustrarono la loro
maturata esperienza in importanti opere.
Diversi periodici non mancarono di portare il loro contributo, ricordiamo in particolare «L’ amico dei ciechi», organo della Società
Nazionale Margherita, «Il Patronato pei Ciechi» (Roma, Aracoeli),
la «Rivista di Tiflologia e di igiene oculare» (Roma, Aracoeli). Contemporaneamente furono fondate la Società degli Insegnanti Ciechi
e la Società pro-cultura degli insegnanti ciechi e fu avviato a Napoli
il Corso Magistrale di Tiflologia, orientato a fornire agli insegnanti
una precisa conoscenza del cieco e della sua educabilità.
La tiflopedagogia divenne così un’educazione metodica capace di
migliorare gli equilibri psico-emozionali e fornire abilità al cieco
affinché potesse essere ben inserito nel mondo del lavoro.
Le risposte pedagogiche di aiuto alla persona hanno sempre dimostrato la loro insostituibilità anche a favore di soggetti con difficoltà psichiche; una palese dimostrazione di questo si ebbe a partire
dal XVII secolo, periodo in cui l’oscurantismo, la superstizione e
l’atmosfera culturale consentivano di accusare di possessione demoniaca, torturare e uccidere le persone vittime di handicap mentale,
considerate “diverse”, stolte o “viziose”. Fu in queste situazioni di
29
grande disagio che la filantropia dell’illuminismo trovò la sua grande esposizione in una pedagogia teorica e operativa intesa a prodigare cure e attenzioni con la convinzione e la certezza che ogni soggetto in difficoltà fosse suscettibile di miglioramento. La carità privata
grazie all’opera di abili precettori organizzò orfanotrofi, pensionati
ed ospedali e diede prova della possibilità del reinserimento degli
anormali e degli antisociali. L’Illuminismo suscitò ulteriori feconde
iniziative di privati doviziosi e della Chiesa, nuove forme di assistenza che diedero vita alle piaecausae per l’ospitalità degli abbandonati, la cura degli infermi, il ricovero di anziani e ad organismi di mutuo soccorso, confraternite, corporazioni, compagnie (Paisio, 1998).
Alla fine del Settecento, la fede nella scienza e nei lumi della ragione portò a una svolta nell’atteggiamento sociale verso gli handicappati, compresi quelli internati nei manicomi.
È a Philippe Pinel che, nominato direttore della Bicêtre, il più
grande manicomio di Parigi, si deve un cambiamento radicale nel
trattamento dei pazienti dei manicomi. Egli fu il primo a ritenere che
questi ultimi erano persone normali, che dovevano essere avvicinate
con compassione e comprensione e trattate con dignità, perché secondo lui avevano perso la ragione in conseguenza di gravi problemi
di ordine sociale e personale e pertanto potevano riacquistarla solo se
sostenute con attenzioni adeguate. Due anni dopo essere stato nominato direttore alla Bicêtre, Pinel prese servizio alla Salpêtrière dove
compì con successo le stesse riforme, basate sul principio che una
malattia morale esigesse un trattamento morale, consistente nel porre
il paziente sotto l’influenza di un uomo che, in virtù delle sue qualità
morali, fosse in grado di orientarne il corso dei pensieri e il comportamento. Questa persona di buona volontà, doveva poter guarire i
pazzi con parole incoraggianti, con saggi consigli tratti dalle opere di
antichi filosofi e con l’aiuto della musica; anche nei casi di delirio, il
ragionamento avrebbe dovuto mitigare l’idea dominante. Il proposito
era di scoprire la “chiave” del carattere tramite lo studio della tendenza ad impedire che essa invadesse il campo della coscienza cercando
di ristabilire così la felice armonia nella mente (De Groote, 1973).
Jean Etienne Dominique Esquirol, allievo preferito di Pinel, lo
sostituì alla Salpêtriere e ne continuò l’operato con lo stesso spirito
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e zelo. Come il suo maestro, si dedicò allo studio delle passioni, in
quanto causa di disordini intellettuali e morali, considerò l’importanza di sottoporre i pazienti a forti emozioni per vincere le idee
fisse, di interrompere le abitudini, eliminando così le cause di eccitamento alla base della loro condizione di alienati e di consigliare
perfino dei viaggi. Una sua ulteriore convinzione era che anche
un’occupazione manuale fosse importante e per questo furono create
delle sartorie dove i “folli” passavano la giornata e stavano in compagnia.
Nei manicomi, a condividere il destino dei “folli”, c’erano anche
gli idioti, più tardi definiti frenastenici. L’esperienza condotta da
Jean-Marc Gaspard Itard con il ragazzo selvaggio dell’Aveyron, permetterà di iniziare a capire le modalità idonee al loro recupero (Itard,
1970). Per Itard, Victor – questo era il nome che Itard diede all’enfant sauvage che seguiva – era un ragazzino con manifestazioni di
profondo ritardo, determinato dalla lunga permanenza isolata nei boschi, che poteva essere aiutato con un valido progetto educativo.
L’educazione che Itard impartì al suo allievo era di tipo sensoriale, condotta con grande precisione e con costante inventiva, nell’intenzione di recuperare funzioni sensoriali attutite o deviate. Itard
riuscì a sollecitare nel giovane Victor nuovi bisogni, a fargli fare progressi negli apprendimenti ed a farlo divenire capace di slanci affettuosi.
A Edouard Séguin, pedagogista, collaboratore di Itard e suo successore, è riconosciuto comunemente l’aver sostanziato ulteriormente l’educazione degli “idioti” con metodi ampiamente provati dalle
sue lunghe ricerche, condotte fino al 1850 a Parigi e poi negli Stati
Uniti.
Gli “idioti”, afferma Séguin nel Traitement moral, hygiène et éducation des idiots et desautres enfants arriérés (1846) sono soggetti
con «infermità del sistema nervoso che ha per effetto radicale quello
di sottrarre tutti o parte degli organi e delle facoltà del bambino all’azione regolare della volontà e lo abbandona agli istinti sottraendolo al mondo morale» (trad. it. 1970). Egli studiò e sperimentò un
metodo che, partendo da un’accurata diagnosi del soggetto, tendeva
a riattivare, con rigorosa precisione ma anche con grande capacità di
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adattare gli interventi alle singole situazioni, i settori muscolare,
neurologico, sensoriale, intellettivo e morale, senza perdere mai di
vista la connessione fra di essi (Pioli, 1987).
Attraverso opportuni esercizi, una grande varietà di giochi educativi da lui inventati e una collezione di oggetti chiamata “forcipi dell’intelligenza”, Séguin provocava l’attivazione dell’apparato muscolare e dei sensi per giungere a risvegliare l’intelligenza e ad esercitare la volontà, un sistema di recupero che definì “educazione fisiologica”, il cui obiettivo era quello di rendere l’insufficiente mentale più
adeguato ad affrontare le situazioni esistenziali quotidiane.
Il metodo del Séguin seguiva il principio dell’educabilità: «Aspettando che la medicina guarisca gli idioti ho cominciato a farli partecipi del fatto di beneficiare della educazione», con un metodo che
«ricerco in me stesso», mentre altri «prendono a prestito dalla scienza bella e pronta nei libri».
L’intervento di aiuto pedagogico si sostanziava in gran parte di
attività di gruppo per evitare all’allievo la ripetizione sterile dello
stesso esercizio e mirava a sviluppare il potere, il sapere e, soprattutto, il volere; un’educazione globale, dunque, per maturare tutti gli
aspetti della personalità (Canevaro, 1993).
Mentre il Séguin gettava in Francia e negli Stati Uniti i semi di
una pedagogia innovativa a favore dei soggetti in difficoltà, in Italia,
Antonio Gonnelli-Cioni, antesignano della pedagogia ortofrenica,
lottava contro i pregiudizi e l’emarginazione delle persone sfortunate
e comprese l’importanza della loro educazione. Egli fondò il primo
istituto italiano per frenastenici sostituendo questo termine a quello
di “idioti” e dando così inizio all’opera del loro recupero e della loro
integrazione nella società. Per frenastenici si intendono, diceva, «tutti coloro che manifestano uno stato di infermità congenita o acquisita che ostacola lo sviluppo organico e funzionale» (cit. in Pesci,
1999).
Nel libro Il primo istituto italiano dei frenastenici (Gonnelli-Cioni, 1891), si legge che l’Istituto aveva lo scopo di “accogliere i fanciulli e i giovanetti che – affetti da imperfezioni intellettuali e comunemente chiamati idioti o imbecilli – non sono ammissibili nelle altre scuole od istituti; di compartir loro un’educazione ed istruzione
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adeguate alle forze intellettive, e di trarli così da uno stato miserevole, procurando loro un’esistenza meno disgraziata e meno gravosa
per le famiglie alle quali appartengono”.
L’educazione degli allievi era basata essenzialmente sul metodo
intuitivo-pratico-razionale e divisa in fisica, intellettuale e tecnica.
Il metodo di Gonnelli Cioni era individualizzato, predisposto in
base alle capacità e potenzialità di ogni persona, realizzato attraverso
attività rese divertenti, e quindi produttive, da sollecitazioni diverse.
Queste comprendevano esercizi orientati a rendere il soggetto maggiormente consapevole delle sue rappresentazioni motorie, a fargli
conseguire capacità sensoriali nuove e a migliorare quelle di osservazione e di attenzione (Pesci, 1999).
L’intervento educativo personalizzato partiva dalla conoscenza di
ogni allievo e si sviluppava secondo un progetto che considerava il
modo di essere e di rappresentarsi di ciascuno. Per esempio per gli
“inerti” e “torpidi” erano previste attività educative come saltare,
correre, lanciare, battere, suonare ecc., gli “inquieti” ed “eccitabili”
venivano sollecitati a camminare in maniera corretta, ad assumere
una postura e mantenerla, a ordinare gli oggetti, ecc. L’educatore ad
alta voce invitava ad eseguire le attività, che venivano svolte singolarmente o in piccoli gruppi. Parlare era importante perché ogni allievo potesse essere incoraggiato alla conoscenza e al bisogno della
parola ed indotto ad apprendere le norme.
Gonnelli-Cioni fu il precursore dei corsi sulla genitorialità, egli
riteneva che la famiglia avesse un ruolo fondamentale nella prevenzione e nel recupero del disagio e sosteneva che solo partendo dalla presa di coscienza delle preoccupazioni per le difficoltà che un
soggetto frenastenico può creare all’interno del nucleo familiare è
possibile individuare modalità di intervento di aiuto. Rivolgersi ai
genitori, era per Gonnelli-Cioni l’unico modo per attuare un intervento preventivo ed educativo, necessario per evitare l’aggravarsi
del problema e, al tempo stesso, per preparare le basi per un miglioramento.
Nel 1894 egli fondò la rivista «L’Ortofrenia» e ottenne dal Ministero della Pubblica Istruzione la libera docenza per aprire a Milano,
la prima Scuola Ortofrenica, dando inizio al corso di ortofrenia, ri33
volto a quegli insegnanti che intendevano intraprendere la carriera di
educatori dei frenastenici. Questo corso anticipava le Scuole Magistrali Ortofreniche, la prima delle quali fu fondata nel 1900 a Roma
da Giuseppe Ferruccio Montesano e diretta da Maria Montessori.
Nella storia della pedagogia un posto importante spetta a Maria
Montessori, medico e pedagogista, la quale si dedicò inizialmente
alle ricerche per il recupero dei bambini frenastenici e per questo
approfondì la conoscenza degli impegni operativi di Pinel, Itard, Séguin. Sicuramente conosceva anche le modalità di intervento del
Gonnelli-Cioni e il suo orientamento a favore dell’educazione della
famiglia e della specializzazione del personale insegnante.
Attraverso l’osservazione dei bambini “subnormali”, la Montessori era in grado di valutare come intervenire nella maniera più idonea e quando. Si rese conto che i livelli di sviluppo erano diversi per
ogni bambino e che l’apprendimento migliore avveniva quando il
bambino era pronto per apprendere. Per questo anche l’insegnante
doveva a sua volta essere pronto e sempre attento ai segnali ricevuti,
per presentare nuovi materiali educativi. La Montessori comprese
altresì che il problema dei bambini frenastenici non era solo una questione medica, bensì aveva rilevanza sociale e soprattutto – specie
dopo aver constatato che con il trattamento educativo si ottenevano
maggiori risultati rispetto alle cure mediche tradizionali – pedagogica. Ella adottò il metodo del Séguin, che prevedeva lo studio individuale dell’allievo e mirava a riattivare abilità e disponibilità attraverso l’educazione dei sensi. Poiché secondo lei i soggetti frenastenici,
non potevano trarre beneficio dalla scuola comune, propose l’istituzione di classi aggiunte nelle scuole elementari e per i più gravi,
suggerì la creazione di speciali istituti medico-pedagogici dove sarebbero stati seguiti da educatori con una preparazione adeguata,
maturata nelle Scuole Magistrali Ortofreniche.
Dalla lettura delle lezioni di didattica tenute nella Scuola Magistrale Ortofrenica di Roma nel 1900, si possono apprendere i principi e il metodo definito dalla Montessori “medico­-pedagogico” (1916,
p. 639). Esso prevede attenzioni rivolte all’educazione igienica, all’importanza dei bagni considerati utili per sviluppare la sensibilità
delle papille nervose, dare tono ai tessuti cellulari e muscolari, in
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particolar modo alla pelle, alle frizioni e al massaggio, all’alimentazione, alle escrezioni, all’educazione muscolare e dei sensi, alla
grammatica e alle materie curriculari e all’educazione morale.
L’alimentazione è regolata da alcune norme: non dare nulla ai
bambini fuori dei pasti, regolare il nu­mero di questi ultimi, la quantità e la qualità dei cibi. I pasti inoltre devono essere seguiti sempre
da un regolare “riposo intellet­tuale”. Una considerazione particolare
viene rivolta alle escrezioni, le perdite involontarie di feci e di urine
e viene indicato il modo per regolarizzarle.
Il massaggio è ritenuto molto importante, in quanto agisce in
modo sorprendente sui muscoli degli arti, va a colpire le fibre muscolari nella loro intima struttura e le mette in movimento; regolarizza la funzione muscolare facendo perdere l’eccessiva contrattilità o
facendo acquistare quella man­cante. I muscoli emaciati si rigenerano; le masse muscolari si svi­luppano rigogliose; mentre i tessuti
grassi si riassorbono.
Ampio spazio viene dato all’educazione muscolare. La preparazione è mirata ad ottenere “l’immobilità tonica” del bambino, con la
stazione eretta, la testa alta, gli occhi fissi in quelli del maestro. Da
questa posizione, si chiede di passare agli esercizi “d’imitazione”.
A proposito del movimento vengono date indicazioni su come
intervenire per favorire nel bambino la conoscenza di se stesso, mo­
strandogli e facendogli toccare le varie parti del suo corpo, fino a
giungere alla nozione di destra e sinistra. Si comincia dalle parti più
grossolane: braccia, gambe, tronco, testa, per arrivare alle più fini:
dita, falangi, organi dell’apparato orale, nominate nella educa­zione
della mano e del linguaggio e che comprendono le esperienze di
prensione. Seguono i movimenti coordinati relativi al camminare,
correre, saltare, spingere con le braccia.
Tra gli altri impegni educativi la Montessori definisce come stimolare i sensi del gusto e dell’olfatto, il senso cromatico e stereognostico, la distinzione e l’associazione di colori, forme e dimensioni, intensità, timbro e altezze dei suoni.
Giochi specifici sono previsti per la preparazione alla lettura, al
disegno, alla scrittura e all’aritmetica, senza trascurare nessun altra
materia curriculare (ibidem, pp. 639-675).
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Come il Gonnelli-Cioni, anche la Montessori ci ha offerto alcuni
riferimenti interessanti sulle abilità pedagogiche richieste agli educatori per essere capaci di attrarre l’attenzione del bambino deficiente. A suo parere il maestro deve possedere un forte potere suggestivo,
essere fisicamente bello, imponente, avere una voce limpida, modulata, un’articolazione della parola perfetta, uno sguardo potente, il
gesto energico ed una mimica del volto espressiva. Cose che in gran
parte possono essere acquisite studiando la mimica e la declamazione, arti necessarie a un perfetto maestro di deficienti.
Un impegno pedagogico, quello montessoriano, il cui valore educativo non ha confini, rivolto com’era ad aiutare la persona a seguire
il proprio percorso evolutivo, a migliorarsi per una esistenza più
equilibrata.
Un’altra straordinaria pedagogista è Jolanda Cervellati (18971966), sensibile ai problemi relativi all’opera di recupero delle persone in difficoltà.
La Cervellati era convinta della necessità di organizzare per il
soggetto in condizioni di disagio psichico un ambiente rispondente
alle sue necessità nel quale egli possa trovare stimoli per lo sviluppo
delle sue potenzialità fisiche e mentali. L’ambiente deve favorire una
attività intellettuale per mezzo dell’educazione dei sensi, dell’educazione motoria, di occupazioni pratiche, di esercizi spesso associati
alla musica, capaci di coinvolgere varie parti del corpo. Ella considerava importante il rispetto della gradualità e dell’individualizzazione
degli interventi, il ricorso ad attività aventi l’aspetto di giochi, la
necessità di un’educazione ed un orientamento professionale da adeguare alle capacità di ognuno. Non sfuggì alla Cervellati la necessità
di un’educazione senso-motoria condotta con materiale sensoriale
analitico al fine di realizzare il principio dell’autoeducazione, già
sostenuto dalla Montessori. L’intervento di aiuto può, a suo parere,
essere offerto da un educatore capace di accogliere la persona disagiata affidatagli, correggerla e aiutarla, realizzando così una sorta di
rigenerazione che la rende autonoma e in grado di partecipare alla
vita sociale (Cervellati, 1936).
L’educatore, per la Cervellati, deve saper osservare, fornire al
soggetto le stimolazioni (relative alla sensibilità e all’intelligenza)
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attraverso il contatto diretto con la realtà e l’uso di materiale adeguato e, soprattutto, ed essere capace di umanità mostrando affetto nei
confronti dei suoi bisogni.
La modalità educativa di Jolanda Cervellati è basata sulla conoscenza del “caso”, possibile attraverso indicazioni di varia provenienza (rilievi somatici, valutazioni psicologiche). Il procedimento,
graduale, si propone di stabilire delle basi sicure per l’apprendimento della lettura, scrittura, calcolo, attraverso l’educazione senso-percettiva, del linguaggio e della motricità, e con esercizi di “ortopedia
mentale” destinati a correggere e a potenziare le funzioni più compromesse. Particolare attenzione è attribuita a tutte le forme di educazione sociale attraverso le attività pratiche e le esperienze di collaborazione, che risultano finalizzate allo sviluppo della più ampia
autonomia personale.
Si parte da uno studio del soggetto“irregolare”, ampliandolo con
un’anamnesi remota (antecedenti familiari e personali) e un’indagine
sull’ambiente in cui vive e sulle sue capacità. Quest’ultima si realizza
attraverso l’esame morfologico relativo ai caratteri antropometrici e
morfologici, l’esame fisiologico inerente le varie funzioni del corpo,
l’esame dei sensi, delle varie forme del linguaggio, l’esame psicologico relativo ai vari sentimenti presenti nella persona, alla sua volontà e
al suo carattere. A questa analisi segue l’osservazione diretta delle sue
manifestazioni tipiche, tra cui: il modo di atteggiare il volto, di scarabocchiare, di ridere, di camminare e di usare le mani, di ascoltare la
musica, di giocare. Però prima di trarre qualsiasi indicazione di intervento, la Cervellati riteneva che fosse necessaria anche l’applicazione
dei reattivi mentali attraverso i quali può essere stabilita l’età mentale.
I test di cui faceva uso la pedagogista sono quelli del De Sanctis, del
Binet e Simon, del Terman. Tutti i risultati venivano raccolti nella
cartella biografica che costituiva la storia e il documento di personalità di ogni soggetto irregolare (Aliprandi, Beltrami, 1970). Solo dopo
lo studio di questo si poteva pensare alla tecnica e al materiale idonei
a soddisfare le esigenze di ognuno e per questo modificabili.
Il metodo della Cervellati prevede l’educazione motoria, l’educazione sensoriale, l’ortopedia mentale, l’avviamento alla scolarità e
l’introduzione alla vita del lavoro.
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Lo stretto rapporto fra funzioni psichiche e condizione fisica generale del soggetto, orientò la pedagogista a predisporre un trattamento
correttivo che tenesse conto degli esercizi di equilibrio, di respirazione, di ritmizzazione dell’emissione del fiato e di euritmia, importanti
«per correggere anche certi tipi di balbuzie» (Cervellati, 1936).
La Cervellati era inoltre convinta che la normalizzazione della
vita sensoriale fosse la base per un solido sviluppo intellettivo e
quindi propose un’educazione sensoria con materiali ed esercizi appositamente preparati, volti a risvegliare ogni senso, utilizzati procedendo con lo stesso ordine «con cui il mondo esterno giunge all’io e
si esprime attraverso tre elementi costitutivi: segno, suono, colore,
captati dall’io per mezzo del tatto, l’udito e la vista» (ibidem).
Sempre in obbedienza al principio di un’azione pedagogica capace di
suscitare interessi e stimolare la curiosità dell’individuo, la Cervellati
incoraggiò l’attività di ortopedia mentale, il cui scopo è quello di migliorare il profilo psicologico esercitando le facoltà carenti, provocando fenomeni di compensazione, impegnando il soggetto con sforzi graduali;
un’attività mirante dunque a incrementare la capacità ideativa e a realizzare associazioni di pensiero sempre più complesse, subordinate allo
stato della memoria, la quale diviene oggetto di attenzione e di cura da
parte del pedagogista, che per intensificarla ricorre a specifici esercizi.
Altre importanti attività furono predisposte per favorire nell’altro l’acquisizione dei vari rapporti di causalità, contiguità, strumentalità, somiglianza, differenza. La ricerca di questi rapporti agevola la formazione del
giudizio e l’articolarsi del ragionamento che viene ulteriormente stimolato con materiale didattico specifico. Alla formazione dell’immagine tipica, dell’astrazione e del giudizio segue l’apprendimento delle cognizioni
astratte di spazio e tempo, con le quali si completa l’ortopedia mentale.
Anche le occupazioni scolastiche sono state oggetto di studio e di
ricerca da parte della Cervellati, la quale ha saputo ben fronteggiare
i problemi di quanti si trovavano in difficoltà nell’accedere agli apprendimenti. Gli interventi preventivi di avviamento alla scolarità si
sono avvalsi del suggerimento di esercitazioni graduali per ciascuna
materia, un periodo “preparatorio” all’apprendimento della lettura,
della scrittura e dell’aritmetica, conferendo ai numeri perfino una
loro fisionomia e una vitalità personificata.
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La pedagogista inquadra ogni disciplina scolastica in una visione
unitaria che elimina le barriere nell’insegnamento; tutta la giornata
trascorsa a scuola risulta sintesi armonica di attività strettamente collegate fra loro, tra cui la musica e il canto, la danza, il disegno e il
lavoro manuale. Strumentalità utili per affinare le sonorità espressive, la pronuncia, e perciò ortofoniche, adatte per favorire l’organizzazione ritmo-respiratoria, una buona struttura ed espressione euritmica, facilitare le associazioni mentali e ravvivare la memoria.
Nel prendersi cura della persona in difficoltà, il pedagogista non
ha mai trascurato i soggetti anormali nella condotta, i traviati e i delinquenti, che in passato eranoconsiderati esseri puniti da Dio, stregati, indemoniati, mostri. Individui ritenuti pericolosi per sé e per gli
altri e di pubblico scandalo che venivano ricoverati nei manicomi o
in appositi istituti di isolamento e detenzione.
Al Majetti, giudice animato da intenti pedagogici dobbiamo
l’apertura a Roma del primo Rifugio (11 novembre 1909) – ne aprì
un secondo nel 1910 –, «unico nel suo genere e che di minorenni
redimeva a centinaia! Strappati dall’ozio della cella», «luogo dove si
va per sfuggire ai pericoli, un posto di pronto soccorso, dove vi passarono tutti i piccoli malviventi della capitale» (Majetti, 1932, p. 79),
con all’interno un laboratorio di giocattoli.Per il Majetti i “delinquenti” hanno bisogno di ritrovare «le radici dell’ordine e della retta
attività in un lavoro onesto, utile, sereno e soprattutto gioioso come
è quello della creazione del giocattolo» (ibidem, p. 97).
Sull’esempio di quelli aperti dal Majetti, i rifugi furono sempre più
numerosi e così anche i laboratori di educazione professionale, come si
apprende da alcuni articoli di F. Mastrigli e I. Bastioni (1931; 1932).
Inoltre, per tentare il recupero pedagogico del delinquente al fine
di “correggerlo ed emendarlo anziché punirlo” fu istituita una casa di
correzione che non superava i 15 ricoverati: sistema famiglia, poi
definita “Casa-Famiglia”.
Le esperienze fin qui richiamate evidenziano l’impegno costante
e instancabile che il pedagogista ha sempre mostrato nei confronti
delle persone in condizioni di disagio; un chiaro segno delle conoscenze, abilità e disponibilità che debbono essere riconosciute a questo professionista.
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IL PEDAGOGISTA DIPENDENTE
O LIBERO PROFESSIONISTA*
Il primo istituto per frenastenici (1891) aveva lo scopo di accogliere fanciulli e giovanetti affetti da imperfezioni intellettuali, comunemente chiamati idioti, i quali venivano aiutati con un metodo
che il Gonnelli-Cioni aveva ampiamente sperimentato e che aveva
riscosso ampi consensi presso insigni medici psichiatri come il Lombroso, il Fumaioli, il Morselli, il Buonuomo, il Verga, tutti favorevoli a che questi soggetti, per il superamento delle loro difficoltà, fossero affidati all’educatore piuttosto che alle cure dell’alienista.
Lo stesso Verga nel suo studio Frenastenici ed imbecilli, sosteneva che il frenastenico non era di competenza del medico ma di chi
poteva offrirgli un’educazione paziente e ben intesa. Anche il Gilforti era dell’avviso che l’opera del pedagogista fosse insostituibile.
Egli affermava che il medico «può dettare le regole dietetiche ed
igieniche, mentre l’ufficio del pedagogista è tale che giornalmente e
in ogni istante può esercitare la più salutare influenza su quei disgraziati, educandoli ed istruendoli può restituirli alla nobiltà della nostra
specie» (Pesci, 1986a).
Il Gonnelli-Cioni dichiarava altresì apertamente di accettare e ricercare in certi casi la cooperazione del medico e dello specialista
psichiatra, ma rifiutava che si dicesse che il buon andamento di un
istituto per frenastenici fosse reso possibile solo dallo psichiatra alla
direzione.
Della stessa opinione era anche il prof. Lucchini, specialista psichiatra presso l’istituto per frenastenici del Gonnelli-Cioni.è eviden* Tratto da Pesci G., Bruni S., (2006). Il pedagogista. Innovazione e rivalutazione
di un ruolo, Roma, Armando.
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te che vi era una frattura fra gli stessi psichiatri anche se non fra
quelli più illuminati e autorevoli che si erano già espressi unanimemente a favore del pedagogista quale direttore di istituto per frenastenici. Una lotta sotterranea, ma non troppo, per l’espansione del
potere medico, che non si è fermata neppure di fronte alle lamentele
del Vygotskij il quale affermava: «Un altro aspetto, anch’esso non
meno deludente per un reale processo di integrazione, è quello di
vedere gli addetti ai lavori conformarsi all’opinione comune che
l’handicappato è un malato e ritenere di affrontare in termini rozzamente organici, medici, i problemi pedagogici» (Pesci, 1986b).
Nonostante le critiche, i richiami in attenzione sull’importanza e la
validità di una guida pedagogica, gli istituti che fino alla fine dell’Ottocento, in Europa, erano diretti da pedagogisti, vennero successivamente cooptati dai medici che ne assunsero la direzione e ne cambiarono la denominazione in istituti medico-pedagogici. In essi però si
sono distinti anche i pedagogisti che con il loro contributo educativo
hanno dato prova dell’insostituibilità dell’operato pedagogico.
Gli istituti medico-pedagogici
Nel 1899 furono fondati due istituti medico-pedagogici, uno in
San Giovanni in Persiceto, sotto il patrocinio dell’Associazione Emiliana per la Protezione dei Fanciulli Deficienti, e l’altro a Firenze,
con il nome di Istituto medico-pedagogico Umberto I, dove la validità dell’impegno del pedagogista nei confronti dei frenastenici è
stata ampiamente testimoniata.
L’Istituto medico-pedagogico di San Giovanni in Persiceto, trasferito a Bertalia nel 1902, era destinato alla cura e all’educazione
dei fanciulli deficienti o tardivi nello sviluppo mentale (affetti da
idiotismo, imbecillità, semplicità di spirito, epilessia ecc) e di quelli
che, per condizioni congenite anormali della loro mente, non potevano essere educati nelle scuole e nei collegi comuni.
I limiti ordinari d’età per l’ammissione a questo istituto la permanenza in esso erano dai 5 ai 16 anni e di età o più se si trattava di
frenastenici “suscettibili di una qualche cura ed educazione”.
L’istituto era fornito di scuole speciali, officine e laboratori d’arti
e mestieri, un impianto agricolo, una palestra con apparecchi di gin42
nastica medica ed ortopedica, una sezione idroterapica, gabinetti di
massoterapia ed elettroterapia, oltre che di tutti i mezzi necessari “per
l’esame antropologico, psichico e clinico”.Vi erano poi ambienti per
ricreazione, teatro, sale per musica, giardini per passeggio e giochi
all’aperto, refettori e dormitori in comune e a camere separate.
Ferrari riteneva inoltre che, superata la terza classe elementare, i
soggetti dovessero trovare accesso nell’agricoltura, nel giardinaggio
e nell’impiego industriale. Anche le bambine potevano, a suo parere,
essere educate ad un lavoro utile come condurre a termine la lavorazione della canapa, iniziata dai maschi, cioè filare, tessere, far le calze, rammendare, cucire, oltre a mille piccole industrie, come quella
di fare le scarpe di cimosa e con le suole di corda.
Nel 1911 l’istituto di Bertalia prese il nome di Istituto medicopedagogico emiliano e in una pubblicazione dal titolo Programma,
si ha conferma che alla direzione vi era un medico e che nell’area
pedagogica agivano specialisti con abilità di osservazione, in ortofonia, per la correzione dei difetti del linguaggio, in lavori manuali, in
educazione fisica, del canto e della musica, in lezioni collettive ed
individuali. Questi operatori appositamente specializzati provvedevano, sotto la guida della direzione, a svolgere visite e stilare relazioni, oltre ad intervenire con metodi e sistemi particolarmente adatti
per i soggetti che venivano loro affidati, evitando di costringerli a
fatiche fisiche o intellettuali.
L’Istituto medico-pedagogico Umberto I di Firenze, voluto nel
1899 da Eugenio Modigliano, pediatra fiorentino, eretto in Ente Morale nel 1910 e convenzionato nel 1934 con il Ministero della Pubblica Istruzione accoglieva sia anormali psichici esterni che quelli già
presenti nel reparto pedagogico dell’ospedale psichiatrico. Era specializzato per la cura, l’educazione, l’istruzione scolastica, l’apprendistato di fanciulli insufficienti mentali e caratteriali “recuperabili”.
L’ammissione era subordinata alla età, alla curabilità, alla scolarizzabilità; non venivano comunque ammessi fanciulli “affetti” da
deformità fisiche rilevanti, e neppure da lesioni neurologiche «che
impediscano una autonoma esplicazione di normali attività e richiedano particolare assistenza». L’età di ammissione era com­presa fra i
4 e i 12 anni, salvo deroghe per esclusivi criteri medico-pedagogici.
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L’istituto disponeva di una direzione medica e di due servizi, uno
psi­cologico e uno pedagogico.
In stretto collegamento con l’Istituto medico-pedagogico Umberto I, dal 1925, seconda in Italia, era attiva la Scuola Magistrale Ortofrenica di Firenze che aveva il compito di preparare gli insegnanti
che intendevano dedicarsi alla educazione dei fanciulli anormali psichici, e forniva un diploma di specializzazione ortofrenica che autorizzava all’insegnamento in classi differenziali e in scuole speciali.
Più tardi fu aperto l’Istituto medico-pedagogico “Stella Maris” di
Calambrone (PI), inizialmente privato, poi riconosciuto mediante
una convenzione-statuto dalle Cliniche delle Malattie Nervose e
Mentali e Pediatrica della Università di Pisa e dall’Opera Diocesana
di Assistenza di San Miniato (PI). Era un internato per il recupero
degli insufficienti mentali che accoglieva circa 200 bambini e adolescenti ed aveva una sede distaccata per l’addestramento professionale a Montalto di Faglia (PI). Nella sede di Calambrone operava anche
un centro medico-psico-pedagogico con compiti di consulenza scolastica provinciale e svolgeva in esternato terapie del linguaggio e
della psicomotricità per la riabilitazione dei disturbi neurofunzionali
in vari settori.
L’istituto “Stella Maris” era sede di una Scuola Magistrale Ortofrenica autorizzata dal Ministero della Pubblica Istruzione. Fece proprio, fin dalla sua fondazione, il principio del lavoro in équipe tra vari
specialisti compreso il pedagogista, affiancati strettamente, con intese comuni per un’opera paziente e prolungata, rivolta «a ridare la luce
dello spirito a quanti si trovano in difficoltà» (Pfanneret alii, 1964).
La direzione, sebbene medica, si è sempre dimostrata disponibile ad
accogliere i nuovi orizzonti aperti della neurofisiologia, della psicodinamica e delle nuove tecniche pedagogiche di recupero scientificamente provate. Un intento perseguito con la pubblicazione dei «Quaderni» dell’istituto, il cui primo numero, a firma dei neuropsichiatri P.
Pfanner e M. Marcheschi e del pedagogista Mario Brotini, dal titolo
Il recupero dell’insufficiente mentale, fu pubblicato nel 1964, e della
rivista, uscita nella primavera del 1972, «Rassegna Ortopedagogica»,
diretta da S. R. Catalano, in cui non mancavano importanti contributi
scientifici dei pedagogisti impegnati in varie strutture.
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Gli istituti medico-psico-pedagogici
Quarant’anni dopo la fondazione degli istituti medico-pedagogici
sorsero gli istituti medico-psico-pedagogici caratterizzati anch’essi
dalla presenza del pedagogista. Fra i tanti, situati in aree geografiche
diverse, ma similari nella conduzione di aiuto ai soggetti ospiti, ricordiamo quelli di Ostuni e di Sarsina.
L’Istituto medico-psico-pedagogico “Villa Nazareth” di Ostuni
era una istituzione privata fondata nel 1958, per l’osservazione, la
diagnosi e il tratta­mento di minori caratteriali con disturbi nella struttura intima della personalità e comportamento anor­male.
L’istituto curava i rapporti con l’Ente e con la fa­miglia informandoli mediante relazioni trimestrali e globali a fine anno sull’andamento del trat­tamento pedagogico applicato al minore. Il programma
veniva stabilito di volta in volta dall’équipe specia­listica, durante le
sedute di sintesi e le sedute periodiche psico-pedagogiche. Problemi
pedagogici, didattici ed esperienze quo­tidiane venivano discussi tra
in­segnanti e pedagogista in gruppi di studio quo­tidiani.
I minori giornalmente si applicavano alle at­tività manuali ed erano guidati gradualmente alla produzione rifinita di oggetti di rafia,
mosaico, truciolato, ferro, corda, collage, traforo, das, rame, ecc. I
ragazzi più grandi, secondo le esigenze, venivano av­viati in botteghe
artigianali della città.
L’istituto prevedeva attività ricreative ed esperienze sportive grazie a vari impianti.
“Villa Nazareth” si distingueva per l’organizzazione degli ospiti
in gruppi-famiglia, ognuno dei quali aveva il suo appartamento ed
era seguito da un’insegnante specializzata. I gruppi-famiglia garantivano lo sviluppo dei rapporti affettivi, offrivano opportunità propositive, fino a concordare e a prendere decisioni comuni nel programmare alcuni spazi della giornata.
Dell’Istituto medico-psico-pedagogico di Sarsina parla Antonio
Cialabrini in un lavoro dal titolo Obiettivo: una problematica pedagogica per la comunità (1974). Gli ospiti dell’istituto erano 60 ragazzi dai 6 ai 14 anni, orfani di padre o di madre provenienti da diverse parti d’Italia, assistiti dall’ENAOLI (Ente Nazionale Assistenza Orfani Lavoratori Italiani).
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Lo staff educativo era composto da sei educatori, cinque assegnati ai gruppi-famiglia ed un turnista, e da un coordinatore del tempo
libero con compiti di preparazione delle cosiddette attività del tempo
libero. In totale sette persone (quattro ragazze e tre ragazzi) coordinate dall’équipe formata dal direttore, con compiti prevalentemente
di coordinamento generale e di amministrazione, da un ortopedagogista, da uno psicologo e da un assistente sociale che coadiuvava il
direttore nel settore delle attività interne ed in quello dei rapporti con
le famiglie.
All’interno dell’istituto operavano anche cinque insegnanti elementari titolari delle cinque classi “differenziali” presenti nella struttura stessa dell’istitu­to. A questo personale si aggiungeva quello ausiliario. Il nucleo chiave anche di questo istituto era il gruppo-famiglia,
composto da una decina di ragazzi, da un educatore e da una collaboratrice. Ogni gruppo mangiava, giocava, studiava ed era autonomo.
L’ortopedagogista in questo contesto si inserì a partire dal settembre 1970 e la direzione gli lasciò “carta bianca” per tutto il settore
pedagogico.
L’esperienza che Cialabrini narra nel suo saggio ci è parsa estremamente significativa ed abbiamo ritenuto indispensabile riportarne
alcuni stralci che assai bene evidenziano l’importante compito specialistico del pedagogista in queste strutture rivolte ad aiutare soggetti in difficoltà.
Importanti ai fini della ristrutturazione della vita dell’istituto furono alcune condizioni operative, quali includere nelle diverse attività, da svolgere in luoghi differenti, una gamma di varianti più ampia
possibile, garantire una effettiva possibilità di scelta al singolo ed ai
gruppi, evitare un susseguirsi ciclico e perciò monotono delle attività, nonché giochetti pregni di infantilismo per attività realmente interessanti, rispettare pienamente i tempi e i modi di attuazione pratica senza che l’adulto dovesse mai sostituirsi al ragazzo.
All’ortopedagogista venne data anche l’opportunità di offrire
un’impostazione nuova a quelle che erano definite classi “differenziali” all’interno dell’istituto.
Tale impostazione verteva su due punti. Il primo considerava la
scuola stessa uno dei fattori del processo di “crescita”, alla pari con
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tanti altri, per cui non doveva esservi assolutamente predominanza di
argomenti scolari all’interno della vita dell’istituzione, anzi, dovevano essere le attività svolte durante la giornata a stimolare il momento
scuola e a fornirgli anche gli strumenti didattici opportuni per realizzare dei normali programmi d’istruzione di base, ma attraverso una
vera e propria didattica del concreto.
Il secondo punto riguardava il coinvolgimento della direzione didattica e degli insegnanti nella dinamica della vita dell’istituto.
Fra i contributi pedagogici l’atto più significativo è stato l’abolizione del termine “differenziale” per dare spazio a stimoli in cui tutte le tipiche attività scolari potessero ritrovarsi, svilupparsi, ampliarsi, senza cadere nel mnemonico puro, nell’astratto e nel noioso ripetitivo.
Uno dei temi fondamentali affrontati nelle ipotesi programmatiche dell’ortopedagogista è stato quello delle famiglie. Si riteneva
infatti giusto che fossero coinvolte nel processo educativo. A questo
scopo si diede inizio a uno scambio epistolare che permetteva una
comunicazione continua fra ragazzi, famiglie ed educatori. Venne
favorito il rientro dei ragazzi in famiglia per il fine settimana e per
tutte le festività scolastiche e furono incoraggiate il più possibile le
visite dei genitori in istituto; un modo, questo, per colmare le carenze affettive.
Cialabrini scrive che l’istituto doveva essere inteso come un “servizio aperto” alla comunità (quartiere-paese-comprensorio territoriale), servizio autentico da esplicarsi nella libertà e nel rispetto della
personalità dell’individuo, del suo contesto socio-culturale e dei suoi
tempi di maturazione bio-psichica.
All’educatore veniva riconosciuta una preparazione professionale
e non di badante, un’etica professionale paragonabile benissimo a
quella del medico con il vincolo del segreto professionale e del dover
“far crescere” il fanciullo usando tutti i mezzi che la scienza in generale, e le scienze dell’educazione in particolare, potevano offrire.
I fini della pedagogia, contrari ad una tendenza socio-psicologica
volta alla cura di turbe d’ordine psichico, motorio, socio-affettivo o
sensoriale, considerate quali singole unità, sono quelli di strutturare
metodologie che, con vigore, si rivolgono alla complessità della per47
sonalità. Una prospettiva pedagogica che scaturisce da un’analisi
metodologica degli aspetti soggettivi ed oggettivi, storici e culturali
della persona, superando la parzialità di particolari sistemi.
I pedagogisti negli istituti assistenziali
Un’esperienza educativa alla direzione di un istituto assistenziale
viene illustrata dal pedagogista Riccardo Massa in un lavoro dal titolo Pedagogia extrascolastica e istituzioni assistenziali (1974).
Il suo è stato un impegno professionale condotto a convenzione
con la mansione di direttore presso l’Ospizio dei Poveri di Vercelli,
un Ente autonomo, che ospitava un centinaio di soggetti di ambo i
sessi dai 6 ai 24 anni, in precarie condizioni economiche e familiari.
L’intento era quello di modificare dall’interno una istituzione totale
con esperienze che avessero una significatività pedagogica rilevante,
contro una tradizione assistenziale o addirittura predickensiana, dal
momento che affondava le sue radici in pieno Settecento.
Gli utenti non erano più soltanto ed esclusivamente poveri, ma
anche orfani, rifiutati, illegittimi, appartenenti a famiglie con una
gravissima situazione culturale, dedite alla prostituzione, disgregate
e ricostituite senza alcuna collocazione giuridica. Non erano presenti soggetti con gravi handicap fisici e mentali.
Nonostante i condizionamenti dovuti all’organizzazione burocratica e politica, la direzione pedagogica, con l’appoggio del Comitato
e la disponibilità degli educatori, ha avviato un autentico rinnovamento. Una gestione il cui orientamento pedagogico alternativo ha
permesso di trasformare una istituzione totale in una comunità educativa fondata su un rapporto empatico e identificatorio, su un linguaggio delle cose concrete esigente e prospettico, su uno stile di
lavoro e di avventura, su un esercizio liberante della propria corporeità, su una organizzazione comunitaria e responsabilizzante, su
una apertura politicizzata alla dinamica sociale, su un inserimento
attivo nella cultura giovanile attuale.
L’attivazione di occasioni stimolanti e gratificanti, un atteggiamento di animazione educativa intenzionalmente sistematica, un tipo
di rapporto educativo improntato al rispetto della persona e all’accettazione delle esigenze ha ricreato una nuova atmosfera attivistica, in
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un clima di ampia autonomia. La riorganizzazione dell’internato,
tradizionalmente passivo, si è basata su principi educativi che hanno
tenuto conto di un riassetto ambientale domestico e casalingo in
modo da promuovere l’identificazione interpersonale e l’intimità socializzante, l’identità individuale, un tono di familiarità comunitaria
e di appagamento materiale, il gusto estetico e la libera iniziativa.
Le esperienze educative, positivamente verificate, sono state ritenute assai significative poiché hanno consentito la sperimentazione
di metodologie e di organizzazioni educative intese come azione politica capace di inverare socialmente il lavoro politico, nonché capaci di fondare un processo educativo qualitativamente motivazionale,
in grado di contribuire a propri caratteri innovativi. Fenomeni, questi, molto rilevanti, che convergono nella necessità sociale di promuovere interventi educativi basati sulla animazione pedagogica,
autonomamente politicizzata, di comunità educative aperte in reale
situazione di prassi e in contatto vitale con la cultura giovanile contemporanea.
Il crollo del sistema assistenziale tradizionale, secondo il Massa,
ha posto il problema pedagogico delle soluzioni organizzative e metodologiche con cui soddisfare i bisogni sociali, favorendo la consapevolezza che le soluzioni come quelle dell’affidamento e dell’adozione speciale non risultano soddisfacenti.
Un’altra questione pedagogica si pone a proposito dell’analisi sociologica delle istituzioni totali e della legittimità politica e pedagogica di soluzioni collettivistiche non emarginanti, ma anzi autenticamente liberanti e decondizionanti del processo educativo. L’internato
stigmatizzante e l’individualismo massificato della scuola normale,
dovrebbero trasformarsi in una animazione pedagogica unitaria di
comunità educative aperte.
Le esigenze educative attuali suggeriscono inoltre una chiara convergenza del loro soddisfacimento, non solo in determinate soluzioni
metodologiche e organizzative, ma anche nella figura di un educatore che deve gestirle e in un particolare tipo di staff educativo. Da qui
il problema pedagogico, e come sempre anche politico ed economico, di situazioni e di programmazioni educative che comportino l’acquisizione sociale e professionale di un simile ruolo specialistico e lo
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istituiscano nella concretezza delle sue mansioni, del suo status e
delle sue aspettative.
Gli istituti medico-pedagogici provinciali
Negli anni 1961-1962 vennero aperti in Italia molti istituti medico-pedagogici provinciali per accogliere i bambini che si trovavano
nei reparti per minori degli ospedali neuropsichiatrici, uno fra questi
era l’Istituto medico-pedagogico provinciale di Firenze, diretto dalla
professoressa Virginia Giliberti Tincolini, medico, affiancata in seguito dal dottor Edo Bonistalli, un pedagogista specialista (ortopedagogista) chiamato a coordinare gli interventi di recupero condotti dai
vari operatori pedagogici, come accadeva in vari altri istituti provinciali sorti in tutta Italia.
In quegli stessi anni le Amministrazioni Provinciali si rivolgevano
agli specialisti, tra cui i pedagogisti, per trovare soluzioni agli interventi di addestramento professionale e al lavoro protetto dei minorati fisici e psichici.
Il lavoro interdisciplinare intrapreso negli istituti medico-pedagogici provinciali in cui era presente il pedagogista, è stato molto significativo e proficuo, come confermano anche i tanti contributi, frutto della
collaborazione di medici e pedagogisti, pubblicati in riviste specializzate o negli “Atti” di importanti congressi nazionali ed internazionali.
In questi anni anche gli istituti di Pedagogia delle Università si
proponevano per lavori interdisciplinari importanti, come l’Istituto
di Pedagogia dell’Università e Ospedali Riuniti di Firenze (Bonistalliet al., 1971).
I pedagogisti responsabili dei centri di recupero e di riabilitazione
Dal 1972 – anno della loro istituzione – i centri di recupero e di
riabilitazione privati, sovvenzionati con il contributo delle amministrazioni pubbliche, sono sorti ovunque. Si tratta di istituzioni in gran
parte ancora attive e operative, presso le quali il pedagogista è ampiamente presente, sia come dipendente che a convenzione o in veste di
specialista esterno chiamato a formare gli operatori delle strutture.
Tra i tanti centri ricordiamo in particolare quelli gestiti dall’AIAS,
dall’ODA, dall’ANFFAS e dai Comuni. Una menzione a parte merita
50
il Centro Ortopedagogico Sperimentale delle Volte Basse, programmato dalla Commissione Provinciale sugli “Interventi a favore degli Handicappati”, costituitasi nel 1970, il cui onere è sostenuto dal Comune
di Siena, dall’Amministrazione Provinciale e dall’ospedale regionale.
Il centro, inaugurato il 7 luglio 1973, ha suscitato subito grande interesse nell’opinione pubblica e ha ottenuto ampi spazi sui quotidiani
anche perché la direzione è stata affidata ad un pedagogista (Realizzato
a Volte Basse il centro ortopedagogico, «La Nazione», Cronaca di Siena, 7 luglio 1973; Il centro ortopedagogico affronta il problema degli
“svantaggiati”, «La Nazione», Cronaca di Siena, 10 luglio 1973).
Il pedagogista dipendente delle Amministrazioni Locali
Il pedagogista con la sua professionalità ha, come si è avuto modo
di evidenziare, sempre occupato ruoli importanti all’interno di strutture educative, rieducative e riabilitative come gli istituti medico-pedagogici o medico-psico-pedagogici. Ha assunto la direzione di istituti
assistenziali, è stato chiamato come specialista a convenzione nei centri di recupero e addestramento, incaricato a prestazione presso enti
pubblici come i Comuni, enti privati e come libero professionista.
A partire dagli anni Settanta, un chiaro segno della rilevanza sempre più ampia di questa figura professionale ci viene offerto dalle
Amministrazioni Locali, che hanno iniziato a bandire concorsi esclusivi per la copertura di posti di “dirigente della sezione scuola e cultura” per chi era in possesso della laurea in pedagogia, come si legge
nella delibera del Consiglio Comunale del Comune di Castelfiorentino (FI), del giorno 7 dicembre 1972, dal cui bando si apprende che
la prova scritta si basava sulle seguenti materie: «Storia della pedagogia, Tecniche educative, Metodologia e didattica».
Da allora i Comuni hanno continuato a prevedere il pedagogista
nelle varie équipe di lavoro e come coordinatore dei servizi educativi.
I pedagogisti nelle Commissioni medico-psico-pedagogiche dei
Comuni
Dalla metà degli anni Sessanta i pedagogisti presenti nelle Commissioni medico-psico-pedagogiche dei Comuni sono sempre più
numerosi e guadagnano ampi riconoscimenti. Ricordiamo in parti51
colare la Commissione medico-psico-pedagogica per “il controllo
dei ragazzi delle scuole pubbliche e degli istituti di ricovero”, composta da un neuropsichiatra infantile, uno psicologo, un pedagogista,
un assistente sociale, istituita con delibera del Consiglio Comunale
di Prato (n. 715-dicembre 1967). La Commissione iniziò la propria
attività nel settembre 1968 e, in seguito al moltiplicarsi di richieste
di intervento da parte del sociale, nell’aprile del 1970 si rese necessaria un’ulteriore delibera per incrementare le ore di presenza degli
specialisti, impegnati insieme in una costante lotta contro ciò che
provocava l’insorgere di condizioni patologiche e disadattanti per la
salute fisica e psichica dell’individuo.
Ai membri dell’èquipe, che svolgevano l’attività di selezione degli alunni con ipodotazione da avviare alle classi differenziali, era
consentito anche di prestare un’assistenza medico-psico-pedagogica
ai soggetti bisognosi di interventi speciali nell’ambito della scuola
normale. La Commissione, in seguito, si è mossa su linee di attività
di un servizio rivolto alla prevenzione, alla diagnosi e al trattamento
dalla nascita all’adolescenza, arginando l’esclusione e la selezione.
Il pedagogista libero professionista
Nella diffusione della libera professione, fin dai primi anni Settanta, hanno avuto un ruolo importante i pedagogisti Edo Bonistalli,
Anna Pesci e Guido Pesci, direttori del Centro Studi Antiemarginazione (CSA), coadiuvati da un folto gruppo di collaboratori pedagogisti, insegnanti specializzati e tecnici della riabilitazione.
Il centro aveva come scopo il recupero dei soggetti in difficoltà di
ogni età, perseguito con interventi di aiuto al singolo o al gruppo,
con tecniche e metodologie nuove o innovative che scaturivano da
una costante ricerca e una formazione personale nelle nazioni allora
più rappresentative.
Da una pubblicazione del 1978, edita a Firenze dal CSA, si apprende che il centro offriva le seguenti prestazioni:
- per i bambini: la ricerca e la messa a punto di ipotesi di lavoro sul
piano metodologico, per interventi educativi finalizzati in senso
orto-psico-pedagogico nei diversi deficit di sviluppo e nelle differenti forme di devianza;
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- per gli adulti: diagnosi e conseguenti trattamenti che si caratterizzano in tecniche di rilassamento, musicoterapia, tecniche respiratorie, terapia natura, imagerie, relax psicofisico, ecc.;
- corsi teorico-pratici sulle tecniche adottate nel Centro;
- consulenza a comunità educative, terapeutiche, scuole, enti ed istituzioni pubbliche e private, su problemi pedagogici e orto-pedagogici;
- formazione.
Testimonianza dell’ininterrotta attività di ricerca dei pedagogisti
del CSA, docenti della Scuola Magistrale Ortofrenica di Firenze
sono le seguenti opere:Introduzione alla didattica speciale (1973);
Prevenzione e trattamento della dislessia (1973); Esperienze nella
scuola comunale d’infanzia di Certaldo (1974); I linguaggi della
psicologia pedagogica (1977); Handicappati e scuola in sette paesi
europei (1977); I nostri giochi, raccolta ordinata per finalità (1978);
Vincere o giocare? (1978).
Negli stessi anni, la partecipazione di questi specialisti a congressi, convegni e seminari di studio in Italia e all’estero ha visto la pubblicazione in “Atti” di alcuni loro lavori.
L’attività di consulenza presso comunità educative, terapeutiche,
scuole, enti ed istituzioni pubbliche e private su problemi pedagogici
e orto-pedagogici, svolta dai direttori e dai collaboratori del CSA è
stata rivolta, tra gli altri, alla Scuola Svizzera (FI), alle sedi ANFFAS, al Centro di Recupero e di Addestramento di Cerbaiola (FI),
alla Comunità Giovanile di Agazzi (AR), ai Comuni di Certaldo, di
Castelfiorentino, di Empoli, all’ospedale di Siena, alle Direzioni didattiche e ai Provveditorati agli Studi.
In quegli anni il clima di collegialità e di scambio culturale e
scientifico fra i diversi specialisti offriva ai pedagogisti ampie opportunità; essi potevano iscriversi alla Società Italiana per l’Assistenza
Medico-Psico-Pedagogica all’Età Evolutiva (SIAME), come anche
alla Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile (SINPI), partecipare a pieno titolo ai congressi tenuti dalle organizzazioni degli psichiatri ed avere spazio per i lavori pedagogici sulle riviste: «Rassegna di Studi Psichiatrici», «Neuropsichiatria», «Il Lavoro Neuropsichiatrico», «Minerva Pediatrica», «Infanzia anormale», «Rivista di
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neurobiologia», «Rivista di biologia», «Rivista di Psichiatria» ecc.
Attraverso questa breve rassegna abbiamo avuto modo di evidenziare il percorso che ha portato il pedagogista ad un’ampia affermazione professionale ed al suo riconoscimento quale figura indispensabile nel realizzare interventi di aiuto a favore delle persone con
disagi e difficoltà.
Questo specialistaha contribuito a rinnovare il sistema di assistenza sociale sostenendo la necessità di indirizzi diversi a vantaggio
delle componenti positive della personalità. Una scelta dal profondo
significato umano e civile capace di promuovere nel sociale una nuova coscienza delle necessità e la consapevolezza dell’esistenza di
interventi pedagogici idonei.
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PROFESSIONE PEDAGOGISTA
Il pedagogista è l’esperto dei processi educativi e della formazione. L’esercizio della professione di pedagogista comprende l’uso di
strumenti conoscitivi, metodologici e di intervento per la prevenzione, la valutazione e l’educazione-rieducazione delle difficoltà manifestate da persone di ogni età, coppie, gruppi e comunità. Il pedagogista svolge altresì attività didattica, sperimentazione e ricerca nello
specifico ambito professionale.
I pedagogisti nel corso degli anni hanno dato ampiamente prova
di essere in grado di realizzare, in teoria e in pratica, interventi educativi volti a dare ausilio alla persona, sviluppare talenti, potenzialità
creative e favorire la conquista di obiettivi personali.
Le esperienze del passato, così come quelle recenti e attuali, assai
bene contribuiscono, in corrispondenza al mutare della cultura e delle necessità, a definire l’esercizio della professione di pedagogista e
la capacità di quest’ultimo di soddisfare le numerose esigenze educative della persona e della collettività.
Egli è un professionista (dal latino pro-fiteor, “manifestare”), che
dichiara pubblicamente, in modo costante, le proprie competenze, il
patrimonio dei proprio sapere, la ricchezza dei propri metodi e delle
proprie tecniche. L’intento è quello di un agire, in funzione sociale
con un proprio ruolo, conoscenze e capacità specifiche che, con l’affermarsi del concetto di “educazione permanente”, abbracciando le
tante esigenze dell’individuo nell’intero arco della vita, fanno ben
comprendere l’insostituibilità di questa figura professionale.
Il pedagogista, nella sua autonomia e in contesti di co-progettualità e co-decisionalità, svolge un’attività con padronanza di abilità, un
saper fare e un saper essere a cui si aggiunge la specificità pedagogica
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del dare nel fare. È un professionista che alle competenze procedurali
legate alle modalità di svolgimento dell’attività, associa la conoscenza teorica e la capacità di individuare traguardi, finalità, obiettivi, padroneggiare il fare in situazioni diverse, orientato da un valido equilibrio emotivo-affettivo e sostenuto da abilità nelle relazioni di aiuto.
Specialista dell’educazione rivolta in aiuto alla persona in contesti diversi, il pedagogista necessita di una personalità matura, adatta
a fronteggiare situazioni difficili, strettamente legate alla cultura e
alle circostanze di vita dei soggetti, consapevole che ogni esperienza
può essere motivo di apprendimento e di crescita personale.
Ambiti di intervento
Nei disegni di legge presentati in questi ultimi anni si sostiene che
il pedagogista è lo specialista che con la sua attività può soddisfare i
tanti bisogni educativi presenti nella comunità, come quelli connessi
alla droga, alla tossicodipendenza, all’handicap, all’AIDS, alla violenza sui minori, al disagio giovanile, all’emarginazione sociale, alla
“mortalità scolastica”, all’integrazione degli extracomunitari. Inoltre
può essere d’aiuto alla persona che si trova in una condizione di disagio psico-sociale o psico-fisico e a chi ha necessità di migliorarsi
professionalmente; può altresì far fronte alle necessità delle imprese
provvedendo, in quanto esperto dei processi formativi, alla riqualificazione professionale e all’aggiornamento in servizio del personale.
A questa figura professionale si riconoscono anche le abilità necessarie per operare nel campo della progettazione, gestione e verifica di interventi di carattere educativo e formativo rivolti alla persona,
alla coppia, alla famiglia, al gruppo. La sua attività comprende
l’orientamento scolastico e professionale, la formazione culturale
dei cittadini e la gestione del tempo libero. Gli vengono riconosciuti
i compiti e le funzioni di consulenza tecnico-scientifica altamente
specializzata, nonché il coordinamento delle équipe di aggiornamento, la direzione, il monitoraggio e la supervisione degli interventi a
valenza pedagogica e formativa presso le Pubbliche Amministrazioni e nei servizi pubblici e privati.
Per quanto riguarda le esigenze di pianificazione degli interventi
da parte dei vari enti in settori di competenza, anche in raccordo e
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collegamento con la programmazione di altre amministrazioni, il pedagogista svolge le funzioni di “programmatore territoriale”, e, in
quanto specialista dell’educazione, rileva sistematicamente i bisogni
e le risorse proprie dell’ente di appartenenza e quelle disponibili nel
territorio, al fine di attuare gli interventi utili e soddisfare i bisogni
educativi presenti nella popolazione. Si vuole inoltre che questo professionista assolva il compito di fornire alle famiglie “l’assistenza
educativa specialistica” e la “consulenza pedagogica” sia per quanto
concerne i problemi familiari e di educazione dei figli che per quanto riguarda problemi legati a stati di svantaggio, abbandono dei figli,
o adozioni o affidi.
In relazione alle attività di orientamento scolastico e professionale, al pedagogista si riconosce l’abilità di rilevare le attitudini degli
allievi attraverso lo studio e l’osservazione delle abitudini educative
e di organizzare un “osservatorio professionale” mediante il quale
fornire gli aiuti nella preparazione personale e nelle scelte dell’attività lavorativa (Costa, 2002). Dai vari disegni di legge si evince dunque che il pedagogista può trovarsi ad operare nei servizi sociali e
culturali, nella formazione e come libero professionista.
• Servizi sociali: prevenzione e riduzione del disagio e dello svantaggio, disabilità, tossicodipendenze, alcolismo, soggetti con malattie
mentali, istituti per anziani, carceri, comunità con persone con bisogni particolari, immigrazione, emarginazione, isolamento sociale, prevenzione drop out, servizi educativi all’infanzia.
• Servizi culturali: animazione delle comunità, animazione del tempo libero (organizzazione di attività musicali, teatrali, ecc.), biblioteche, musei, valorizzazione e fruizione dei beni culturali, ludoteche, educazione ambientale e sanitaria, servizi per la terza età, servizi sportivi, centri territoriali permanenti, alfabetizzazione degli
adulti.
• Ambito della formazione: consulenza presso istituzioni ed agenzie,
formazione per il personale in servizio nelle imprese, negli enti,
nelle organizzazioni, (selezione dei nuovi dipendenti, loro avviamento al lavoro, mobilità orizzontale interna, gestione delle relazioni aziendali, dei rapporti interpersonali e dei conflitti, introduzione di nuove tecnologie, adattamento delle competenze alla tra57
sformazione dei processi produttivi, ecc.), formazione professionale, programmazione di attività di educazione permanente, ricorrente, degli adulti, formazione a distanza; orientamento scolastico e
professionale, editoria “educativa”, consulenza nei centri per l’impiego (certificazione di competenze e bilancio di competenze).
• Libera professione: consulenza di natura educativa su problemi familiari, sulle modalità per superare eventuali difficoltà nella costruzione dell’identità personale, nell’esperienza scolastica, nell’orientamento scolastico e professionale, consulenza ad imprese e
cooperative che si occupano di servizi alla persona e alle associazioni di volontariato, consulenza pedagogica ai genitori e agli insegnanti ecc.
Il pedagogista, come abbiamo avuto modo di rilevare, deve saper
rispondere ai bisogni educativi della persona e a quelli presenti nella
società, così come offrire risposte utili alle imprese con la riqualificazione e l’aggiornamento professionale; è inoltre necessario che sia
fortemente consapevole del fatto che è chiamato ad operare nei servizi sociali e culturali, nella formazione e nella libera professione,
che si rivolge alle necessità di soggetti con disagio, svantaggi, handicap o disabilità, emarginati o alla ricerca dell’identità personale ecc.,
a cui già molti altri operatori con competenze proprie e specifiche
offrono il loro aiuto. La correttezza, l’onestà e la deontologia professionale, dunque, si impongono e non sono tali se i metodi, le tecniche e le tecnologie e perfino il lemmario che viene utilizzato sono
“presi in prestito” da altre professioni.
Il pedagogista deve contribuire a rinnovare, far conoscere e rendere applicata la propria scienza.
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59
LEGGE 14 GENNAIO 2013, N. 4
(GU N. 22 DEL 26-1-2013)
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica
hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga la seguente legge:
Art. 1 Oggetto e definizioni
1. La presente legge, in attuazione dell’art. 117, terzo comma,
della Costituzione e nel rispetto dei principi dell’Unione europea in
materia di concorrenza e di libertà di circolazione, disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi.
2. Ai fini della presente legge, per «professione non organizzata in
ordini o collegi», di seguito denominata «professione», si intende
l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di
questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti
iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile, delle
professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.
3. Chiunque svolga una delle professioni di cui al comma 2 contraddistingue la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto
con il cliente, con l’espresso riferimento, quanto alla discplina applicabile, agli estremi della presente legge. L’inadempimento rientra tra
le pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori, di
cui al titolo III della parte II del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ed è sanzionato ai sensi del
medesimo codice.
61
4. L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia,
sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica, nel rispetto dei principi di buona fede, dell’affidamento del
pubblico e della clientela, della correttezza, dell’ampliamento e della
specializzazione dell’offerta dei servizi, della responsabilità del professionista.
5. La professione è esercitata in forma individuale, in forma associata, societaria, cooperativa o nella forma del lavoro dipendente.
Art. 2 Associazioni professionali
1. Coloro che esercitano la professione di cui all’art. 1, comma 2,
possono costituire associazioni a carattere professionale di natura privatistica, fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva, con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.
2. Gli statuti e le clausole associative delle associazioni professionali garantiscono la trasparenza delle attività e degli assetti associativi,
la dialettica democratica tra gli associati, l’osservanza dei principi
deontologici, nonché una struttura organizzativa e tecnico-scientifica
adeguata all’effettivo raggiungimento delle finalità dell’associazione.
3. Le associazioni professionali promuovono, anche attraverso
specifiche iniziative, la formazione permanente dei propri iscritti,
adottano un codice di condotta ai sensi dell’art. 27-bis del codice del
consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, vigilano sulla condotta professionale degli associati e stabiliscono le
sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni del
medesimo codice.
4. Le associazioni promuovono forme di garanzia a tutela dell’utente, tra cui l’attivazione di uno sportello di riferimento per il
cittadino consumatore, presso il quale i committenti delle prestazioni professionali possano rivolgersi in caso di contenzioso con i singoli professionisti, ai sensi dell’art. 27-ter del codice del consumo, di
cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, nonchè ottenere
informazioni relative all’attività professionale in generale e agli standard qualitativi da esse richiesti agli iscritti.
62
5. Alle associazioni sono vietati l’adozione e l’uso di denominazioni professionali relative a professioni organizzate in ordini o collegi.
6. Ai professionisti di cui all’art. 1, comma 2, anche se iscritti alle
associazioni di cui al presente articolo, non è consentito l’esercizio
delle attività professionali riservate dalla legge a specifiche categorie
di soggetti, salvo il caso in cui dimostrino il possesso dei requisiti
previsti dalla legge e l’iscrizione al relativo albo professionale.
7. L’elenco delle associazioni professionali di cui al presente articolo e delle forme aggregative di cui all’art. 3 che dichiarano, con
assunzione di responsabilità dei rispettivi rappresentanti legali, di
essere in possesso dei requisiti ivi previsti e di rispettare, per quanto
applicabili, le prescrizioni di cui agli articoli 5, 6 e 7 è pubblicato dal
Ministero dello sviluppo economico nel proprio sito internet, unitamente agli elementi concernenti le notizie comunicate al medesimo
Ministero ai sensi dell’art. 4, comma 1, della presente legge.
Art. 3 Forme aggregative delle associazioni
1. Le associazioni professionali di cui all’art. 2, mantenendo la
propria autonomia, possono riunirsi in forme aggregative da esse costituite come associazioni di natura privatistica.
2. Le forme aggregative rappresentano le associazioni aderenti e
agiscono in piena indipendenza e imparzialità.
3. Le forme aggregative hanno funzioni di promozione e qualificazione delle attività professionali che rappresentano, nonchè di divulgazione delle informazioni e delle conoscenze ad esse connesse e
di rappresentanza delle istanze comuni nelle sedi politiche e istituzionali. Su mandato delle singole associazioni, esse possono controllare l’operato delle medesime associazioni, ai fini della verifica del
rispetto e della congruità degli standard professionali e qualitativi
dell’esercizio dell’attività e dei codici di condotta definiti dalle stesse associazioni.
Art. 4 Pubblicità delle associazioni professionali
1. Le associazioni professionali di cui all’art. 2 e le forme aggregative delle associazioni di cui all’art. 3 pubblicano nel proprio sito
web gli elementi informativi che presentano utilità per il consumato63
re, secondo criteri di trasparenza, correttezza, veridicità. Nei casi in
cui autorizzano i propri associati ad utilizzare il riferimento all’iscrizione all’associazione quale marchio o attestato di qualità e di qualificazione professionale dei propri servizi, anche ai sensi degli articoli 7 e 8 della presente legge, osservano anche le prescrizioni di cui
all’art. 81 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.
2. Il rappresentante legale dell’associazione professionale o della
forma aggregativa garantisce la correttezza delle informazioni fornite nel sito web.
3. Le singole associazioni professionali possono promuovere la
costituzione di comitati di indirizzo e sorveglianza sui criteri di valutazione e rilascio dei sistemi di qualificazione e competenza professionali. Ai suddetti comitati partecipano, previo accordo tra le parti,
le associazioni dei lavoratori, degli imprenditori e dei consumatori
maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Tutti gli oneri
per la costituzione e il funzionamento dei comitati sono posti a carico delle associazioni rappresentate nei comitati stessi.
Art. 5 Contenuti degli elementi informativi
1. Le associazioni professionali assicurano, per le finalità e con le
modalità di cui all’art. 4, comma 1, la piena conoscibilità dei seguenti elementi: a) atto costitutivo e statuto; b) precisa identificazione
delle attività professionali cui l’associazione si riferisce; c) composizione degli organismi deliberativi e titolari delle cariche sociali; d)
struttura organizzativa dell’associazione; e) requisiti per la partecipazione all’associazione, con particolare riferimento ai titoli di studio relativi alle attività professionali oggetto dell’associazione, all’obbligo degli appartenenti di procedere all’aggiornamento professionale costante e alla predisposizione di strumenti idonei ad accertare l’effettivo assolvimento di tale obbligo e all’indicazione della
quota da versare per il conseguimento degli scopi statutari; f) assenza di scopo di lucro.
2. Nei casi di cui all’art. 4, comma 1, secondo periodo, l’obbligo
di garantire la conoscibilitàè esteso ai seguenti elementi: a) il codice
di condotta con la previsione di sanzioni graduate in relazione alle
violazioni poste in essere e l’organo preposto all’adozione dei prov64
vedimenti disciplinari dotato della necessaria autonomia; b) l’elenco
degli iscritti, aggiornato annualmente; c) le sedi dell’associazione
sul territorio nazionale, in almeno tre regioni; d) la presenza di una
struttura tecnico-scientifica dedicata alla formazione permanente degli associati, in forma diretta o indiretta; e) l’eventuale possesso di
un sistema certificato di qualità dell’associazione conforme alla norma UNI EN ISO 9001 per il settore di competenza; f) le garanzie
attivate a tutela degli utenti, tra cui la presenza, i recapiti e le modalità di accesso allo sportello di cui all’art. 2, comma 4.
Art. 6 Autoregolamentazione volontaria
1. La presente legge promuove l’autoregolamentazione volontaria
e la qualificazione dell’attività dei soggetti che esercitano le professioni di cui all’art. 1, anche indipendentemente dall’adesione degli
stessi ad una delle associazioni di cui all’art. 2.
2. La qualificazione della prestazione professionale si basa sulla
conformità della medesima a norme tecniche UNI ISO, UNI EN ISO,
UNI EN e UNI, di seguito denominate «normativa tecnica UNI», di
cui alla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 22 giugno 1998, e sulla base delle linee guida CEN 14 del 2010.
3. I requisiti, le competenze, le modalità di esercizio dell’attività
e le modalità di comunicazione verso l’utente individuate dalla normativa tecnica UNI costituiscono principi e criteri generali che disciplinano l’esercizio autoregolamentato della singola attività professionale e ne assicurano la qualificazione.
4. Il Ministero dello sviluppo economico promuove l’informazione nei confronti dei professionisti e degli utenti riguardo all’avvenuta adozione, da parte dei competenti organismi, di una norma tecnica
UNI relativa alle attività professionali di cui all’art. 1.
Art. 7 Sistema di attestazione
1. Al fine di tutelare i consumatori e di garantire la trasparenza del
mercato dei servizi professionali, le associazioni professionali possono rilasciare ai propri iscritti, previe le necessarie verifiche, sotto
la responsabilità del proprio rappresentante legale, un’attestazione
relativa: a) alla regolare iscrizione del professionista all’associazio65
ne; b) ai requisiti necessari alla partecipazione all’associazione stessa; c) agli standard qualitativi e di qualificazione professionale che
gli iscritti sono tenuti a rispettare nell’esercizio dell’attività professionale ai fini del mantenimento dell’iscrizione all’associazione; d)
alle garanzie fornite dall’associazione all’utente, tra cui l’attivazione
dello sportello di cui all’art. 2, comma 4; e) all’eventuale possesso
della polizza assicurativa per la responsabilità professionale stipulata dal professionista; f) all’eventuale possesso da parte del professionista iscritto di una certificazione, rilasciata da un organismo accreditato, relativa alla conformità alla norma tecnica UNI.
2. Le attestazioni di cui al comma 1 non rappresentano requisito
necessario per l’esercizio dell’attività professionale.
Art. 8 Validità dell’attestazione
1. L’attestazione di cui all’art. 7, comma 1, ha validità pari al periodo per il quale il professionista risulta iscritto all’associazione
professionale che la rilascia ed è rinnovata ad ogni rinnovo dell’iscrizione stessa per un corrispondente periodo. La scadenza dell’attestazione è specificata nell’attestazione stessa.
2. Il professionista iscritto all’associazione professionale e che ne
utilizza l’attestazione ha l’obbligo di informare l’utenza del proprio
numero di iscrizione all’associazione.
Art. 9 Certificazione di conformità a norme tecniche UNI
1. Le associazioni professionali di cui all’art. 2 e le forme aggregative di cui all’art. 3 collaborano all’elaborazione della normativa
tecnica UNI relativa alle singole attività professionali, attraverso la
partecipazione ai lavori degli specifici organi tecnici o inviando all’ente di normazione i propri contributi nella fase dell’inchiesta pubblica, al fine di garantire la massima consensualità, democraticità e
trasparenza. Le medesime associazioni possono promuovere la costituzione di organismi di certificazione della conformità per i settori di competenza, nel rispetto dei requisiti di indipendenza, imparzialità e professionalità previsti per tali organismi dalla normativa vigente e garantiti dall’accreditamento di cui al comma 2.
2. Gli organismi di certificazione accreditati dall’organismo uni66
co nazionale di accreditamento ai sensi del regolamento (CE) n.
765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008,
possono rilasciare, su richiesta del singolo professionista anche non
iscritto ad alcuna associazione, il certificato di conformità alla norma
tecnica UNI definita per la singola professione.
Art. 10 Vigilanza e sanzioni
1. Il Ministero dello sviluppo economico svolge compiti di vigilanza sulla corretta attuazione delle disposizioni della presente legge.
2. La pubblicazione di informazioni non veritiere nel sito web
dell’associazione o il rilascio dell’attestazione di cui all’art. 7, comma 1, contenente informazioni non veritiere, sono sanzionabili ai
sensi dell’art. 27 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo
6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.
Art. 11 Clausola di neutralità finanziaria
1. Dall’attuazione degli articoli 2, comma 7, 6, comma 4, e 10 non
devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello
Stato. Il Ministero dello sviluppo economico provvede agli adempimenti ivi previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. La presente legge, munita del sigillo
dello Stato, sarà inserita nella Raccolta Ufficiale degli atti normativi
della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addi’ 14 gennaio 2013.
NAPOLITANO
Monti, Presidente del Consiglio dei Ministri
Visto, il Guardasigilli: Severino
67
Società Nazionale Pedagogisti
(SINPE)
Costituita il 9 dicembre 1997 Rep. n. 20772 Rac. N. 3327
S TAT U TO
Art. 1 - Costituzione
È costituito con atto pubblico l’Associazione denominata “SINPE
Società Nazionale Pedagogisti”. Essa è regolata dal presente Statuto e
si ritiene indipendente da forze politiche, partitiche, religiose o altre.
Art. 2 - Sede
La Società ha sede in Italia, Firenze, viale Europa 155.
Art. 3 - Finalità
La Società, che non ha fini di lucro, persegue le seguenti finalità:
a) Ottenere il riconoscimento giuridico del ruolo professionale del
Pedagogista sia in ambito nazionale che internazionale;
b)Costituire l’Albo professionale dei Pedagogisti iscritti;
c) Costituire attraverso i suoi organi e le sue iniziative il punto di
riferimento delle istanze dei pedagogisti per quanto concerne gli
aspetti scientifici, metodologici e deontologici della professione;
d)Offrire formazione e periodico aggiornamento, promuovere e
svolgere attività di studio e di ricerca scientifica per lo sviluppo
della conoscenza e dell’esperienza professionale. Attivare congressi, convegni, manifestazioni scientifiche e seminari di studio,
in sede nazionale ed internazionale;
e) Stipulare convenzioni con enti pubblici o privati per l’espletamento di eventuali tirocini, per la gestione dei corsi, di master e
seminari di formazione post-laurea, di perfezionamento e specializzazione rivolti al pedagogista;
f) Certificare, per mezzo di appositi albi, i pedagogisti specialisti;
69
g)Promuovere iniziative editoriali, curare direttamente o indirettamente la redazione el’edizione di libri e testi, pubblicazioni periodiche e notiziari;
h) Istituire a garanzia e tutela dell’utente, uno sportello di riferimento
per i cittadini consumatori, presso il quale i committenti delle prestazioni professionali possano rivolgersi in caso di contenzioso con
i singoli professionisti nonché ottenere informazioni relative all’attività professionale e agli standard qualitativi richiesti agli iscritti.
Art. 4 - Durata
La Società SINPE ha durata illimitata.
Art. 5 - Patrimonio
La Società trae i mezzi per conseguire i propri scopi:
a) Dalle quote annualmente versate dai soci entro il 31 gennaio, per
importi che sono determinati dal Consiglio Direttivo Nazionale;
b)Dai contributi pubblici e privati;
c) Da proventi di iniziative della Società;
d)Da donazioni e da disposizioni testamentarie;
e) Da oblazioni volontarie e da qualunque liberalità che pervenisse
alla Società per il raggiungimento dei suoi scopi sociali;
f) Da materiali mobili e immobili di proprietà della Società;
g)Dal fondo di riserva e dal residuo di gestione che alla fine di ogni
esercizio sarà erogato per l’esercizio successivo e destinato ai fini
della Società.
Detto patrimonio viene gestito dal Tesoriere secondo quanto specificato dall’art. 16 comma 12 del presente Statuto. L’esercizio finanziario del SINPE coincide con l’anno solare.
È fatto divieto di distribuzione anche in modo indiretto di utili o
avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita
della Società, salvo che la destinazione e la distribuzione non siano
imposte dalla legge.
Art. 6 - Soci
Possono presentare domanda di ammissione alla Società coloro
che abbiano conseguito, presso università italiane o straniere, lauree
70
specialistiche, magistrali o del vecchio ordinamento in Pedagogia,
Scienze dell’educazione o della Formazione, o in altre discipline, ma
con un documentato curriculum di studi ed esperienze di collaborazione o consulenza in attività attinenti alla Pedagogia, e che abbiano
superato un apposito esame di idoneità o che abbiano assunto una
specifica formazione post-laurea per la professione di Pedagogista,
promossa e riconosciuta dalla Società.
I Soci della Società sono distinti in due categorie:
a) Soci di diritto: I soci fondatori;
b) Soci ordinari: Coloro i quali, presentata la domanda e superata la
prova di ammissione o terminata la specifica formazione, sono stati
ritenuti idonei.
Possono essere ammessi come soci ordinari i professori universitari e degli istituti di formazione post-universitaria che insegnino o
abbiano insegnato discipline pedagogiche in Italia o all’estero e i
pedagogisti clinici la cui Associazione sia membro dell’EURO-ANPEC, Associazione registrata presso l’Unione Europea.
Art. 7 - Profilo professionale: identificazione dell’attività professionale
Il pedagogista è l’esperto dei processi educativi e della formazione.
L’esercizio della professione di pedagogista comprende l’uso di strumenti
conoscitivi, metodologici e di intervento per la prevenzione, la valutazione
e l’educazione-rieducazione delle difficoltà manifestate da persone di ogni
età, coppie, gruppi e comunità. Il pedagogista svolge altresì attività didattica, sperimentazione e ricerca nello specifico ambito professionale.
Art. 8 - Formazione permanente
Il SINPE garantisce la presenza di una struttura tecnico-scientifica dedicata alla formazione permanente degli associati in forma diretta o indiretta.
Art. 9 - Albo professionale dei Pedagogisti
L’idoneità di ammissione alla Società dà diritto, senza esplicita
richiesta, alla contemporanea iscrizione all’Albo Professionale dei
Pedagogisti tenuto dall’Associazione.
71
Art. 10 - Pedagogisti specialisti e Albi Speciali
È specialista il pedagogista che ha acquisito, in una delle aree della pedagogia sotto indicate, una specifica e significativa competenza
teorica e pratica, il cui possesso è certificato dal Consiglio Direttivo
Nazionale del SINPE. Il pedagogista può conseguire il diploma di
specialista in non più di due delle seguenti aree della pedagogia:
• Pedagogia Clinica
• Pedagogia Speciale
• Pedagogia Giuridica e Forense
• Pedagogia Interculturale
Al fine di tutelare le qualifiche professionali specialistiche, per
ognuna delle aree di specializzazione pedagogica, viene creato l’albo, tenuto e aggiornato dal SINPE Società Nazionale Pedagogisti.
a) Albo dei Pedagogisti Clinici
Il Pedagogista Clinico è lo specialista che, con modalità educative, si rivolge in aiuto alla persona di ogni età con differenti difficoltà
e disagi al fine di rafforzarne le capacità individuali e sociali e favorirne il processo di crescita, con metodi e tecniche proprie. Il termine
“clinico” si riferisce in questo ambito alla finalità educativa come
azione umana di aiuto alla persona e al gruppo.
Possono essere iscritti all’Albo dei Pedagogisti Clinici gli iscritti
all’albo dei pedagogisti SINPE che abbiano conseguito la Qualifica
Professionale di Pedagogista clinico. La Qualifica professionale di
Pedagogista Clinico è subordinata ad una specifica formazione da
acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea specialistica/magistrale, secondo le modalità stabilite dall’ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici, unica associazione di categoria riconosciuta dalla Società Nazionale Pedagogisti a garantire i requisiti di
conseguimento e di mantenimento del titolo di Pedagogista Clinico.
La qualifica di Pedagogista clinico è soggetta a revoca quando l’interessato, sottoposto a verifica periodica del possesso dei requisiti, non
sia più iscritto all’ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici, ovvero non adempia agli obblighi statutari, compreso quello di formazione continua in Pedagogia Clinica secondo le norme stabilite dalla suddetta ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici.
72
b) Albo dei Pedagogisti Speciali
Il Pedagogista Speciale studia e applica la Pedagogia Speciale,
ovvero metodi educativi, di scolarizzazione e di formazione, adatti a
persone di ogni età con disabilità fisiche e/o mentali, con problemi
comportamentali o difficoltà di adattamento sociale. Si occupa di
valutare il grado di difficoltà delle persone e l’aiuto di cui hanno bisogno; di sviluppare metodi pedagogici adatti alla specifica situazione di persone con varie difficoltà; di elaborare mezzi pedagogici speciali per facilitare l’apprendimento di conoscenze teoriche; di concepire e attuare esercizi che permettano l’apprendimento di gesti quotidiani; di aiutare la persona a incentivare la sua integrazione sociale,
l’autonomia personale e le sue relazioni con gli altri.
La Pedagogia Speciale mira a stimolare lo sviluppo delle potenzialità della persona con difficoltà e a promuovere condizioni favorevoli all’integrazione sociale, scolastica e professionale. L’obiettivo è
di migliorare la qualità di vita a livello individuale e comunitario
come pure il grado di autonomia.
Possono essere iscritti all’Albo dei Pedagogisti Speciali gli iscritti all’Albo dei pedagogisti SINPE che abbiano conseguito la Qualifica Professionale di Pedagogista Speciale.
La Qualifica professionale di Pedagogista Speciale è subordinata
ad una specifica formazione da acquisirsi, dopo il conseguimento
della laurea specialistica/magistrale, secondo le modalità stabilite dal
Consiglio Direttivo Nazionale SINPE e realizzata presso uno degli
enti di formazione post-laurea accreditati o riconosciuti dal SINPE:
dovrà avere la durata minima di 200 ore, di cui almeno 120 specifiche in Pedagogia Speciale, Pedagogia Curativa o in Difettologia.
Possono iscriversi all’Albo dei Pedagogisti Speciali anche coloro
che sono in possesso dei titoli di Professore Ordinario, Professore
Associato o Professore a contratto nei settori disciplinari “M-PED/03:
didattica e pedagogia speciale” o equivalenti.
La Qualifica di Pedagogista Speciale è soggetta a revoca quando
l’interessato, sottoposto a verifica periodica del possesso dei requisiti, non adempia agli obblighi statutari, compreso quello di formazione continua in Pedagogia Speciale secondo le norme stabilite dal
SINPE.
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c) Albo dei Pedagogisti Giuridici e Forensi
Il Pedagogista Giuridico e Forense è lo specialista della valutazione, progettazione e gestione degli aspetti educativi in ambito giuridico, forense e penitenziario nonché le implicazioni educative negli
interventi giurisdizionali e istituzionali. È un professionista che introduce ed utilizza la propria professionalità pedagogica all’interno
del contesto giuridico, forense o in ambito penitenziario.
Possono essere iscritti all’Albo dei Pedagogisti Giuridici e Forensi gli iscritti all’albo dei pedagogisti SINPE che abbiano conseguito
la Qualifica Professionale di Pedagogista Giuridico, Pedagogista Forense o Pedagogista Penitenziario, subordinata ad una specifica formazione da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea specialistica/magistrale, per una durata minima di 120 ore, di cui almeno 70
ore specifiche in Pedagogia Giuridica, Forense o Penitenziaria.
La Qualifica di Pedagogista Giuridico e Forense è soggetta a revoca quando l’interessato, sottoposto a verifica periodica del possesso dei requisiti, non adempia agli obblighi statutari, compreso quello
di formazione continua in Pedagogia Giuridica, Forense o Penitenziaria, secondo le norme stabilite dal SINPE.
d) Albo dei Pedagogisti Interculturali
Il Pedagogista Interculturale è lo specialista della valutazione,
progettazione e gestione dell’educazione e della formazione nell’ambito della interculturalità, intesa come risposta educativa relazionale alla società multiculturale e multietnica, come processo educativo intenzionale progettato per rispondere alle esigenze formative
della società.
Il pedagogista Interculturale è un professionista che studia in
modo comparato le culture, le loro strutture e la loro evoluzione dinamica e i metodi idonei a facilitare lo sviluppo della comunicazione
interculturale e la comprensione delle differenze culturali, al fine di
promuovere lo sviluppo della tolleranza e la comprensione reciproca
in contesti linguistici e socio-culturali diversi. Nel suo più ampio significato la pedagogia interculturale esprime la sua azione educativa
sia nei contesti pubblici che privati, come prevenzione e contrasto del
razzismo, della xenofobia, dell’antisemitismo e dell’intolleranza.
74
Possono essere iscritti all’Albo dei Pedagogisti Interculturali gli
iscritti all’albo dei pedagogisti SINPE che abbiano conseguito la
Qualifica Professionale di Pedagogista Interculturale.
La Qualifica professionale di Pedagogista Interculturale è subordinata ad una specifica formazione da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea specialistica/magistrale, secondo le modalità stabilite dal Consiglio Direttivo Nazionale SINPE: il percorso formativo per il conseguimento della Qualifica professionale di pedagogista
Interculturale: dovrà avere la durata minima di 120 ore, di cui almeno 70 ore specifiche in Pedagogia Interculturale.
La Qualifica di Pedagogista Interculturale è soggetta a revoca quando
l’interessato, sottoposto a verifica periodica del possesso dei requisiti,
non adempia agli obblighi statutari, compreso quello di formazione continua in Pedagogia Interculturale, secondo le norme stabilite dal SINPE.
Art. 11 - Obblighi
Ogni socio del SINPE si impegna a contribuire al perseguimento
degli scopi e finalità dell’art. 3 dello Statuto e ad attenersi alle norme
previste dal Regolamento e dal Codice Deontologico.
Art. 12 - Perdita della qualità di socio e della certificazione professionale
II Socio perde tale qualità e la certificazione professionale per:
a) Dimissioni;
b)Per quanto e come previsto dal Regolamento e dal Codice Deontologico;
c) Morosità nel pagamento della quota annuale.
Art. 13 - Sezioni periferiche
I Soci fondatori e ordinari possono chiedere la costituzione di
sezioni periferiche purché non in contrasto con lo Statuto e il regolamento del SINPE.
a) Sezioni provinciali
L’Assemblea degli iscritti dell’area provincia­le elegge ogni tre
anni a maggioranza dei presenti il Direttore di sezione la cui nomina
è ratificata dal Consiglio Direttivo Nazionale.
75
Il Direttore attua il collegamento tra la base provinciale e gli organi centrali della Società, esercita la funzione di rappresentanza
dell’organizzazione nell’ambito della Provincia, convoca le assemblee e ne esegue le deliberazioni dopo averle sottoposte al Consiglio
Direttivo Nazionale per la ratifica.
Il Direttore provinciale è membro di diritto del Consiglio regionale.
Ai Direttori Provinciali che non convocano le assemblee degli
iscritti almeno tre volte all’anno viene revocata la nomina da parte del
Consiglio Direttivo Nazionale. A seguito di questa revoca il Consiglio
Direttivo Nazionale nomina un Commissario che si premu-nirà di verificare la struttura organizzativa della sezione per indire una assemblea dei soci che preveda l’elezione di un nuovo Direttore.
b) Sezioni regionali
II Consiglio regionale, composto dai Direttori Provinciali, promuove e coordina a livello regionale tutte le iniziative che possono
essere di stimolo al potenziamento dell’organizzazione.
Il Consiglio regionale elegge, ogni tre anni, a maggioranza dei
presenti, il Direttore Regionale, la cui nomina è ratificata dal Consiglio Direttivo Nazionale.
Il Direttore Regionale è chiamato ad esercitare la rappresentanza
dell’organizzazione nell’ambito della propria competenza, convoca
il Consiglio Regionale e dà esecuzione ai suoi deliberati, dopo averli sottoposti al Consiglio Direttivo Nazionale per la ratifica.
Ai Direttori Regionali che non convocano il Consiglio regionale
almeno tre volte all’anno viene revocata la nomina da parte del Consiglio Direttivo Nazionale. A seguito di questa revoca il Consiglio
Direttivo Nazionale nomina un Commissario che si premunirà di verificare la struttura organizzativa della sezione per indire una assemblea dei soci che preveda l’elezione di un nuovo Direttore.
Art. 14 - Organi della Società
Organi della Società sono:
- l’Assemblea
- il Consiglio Direttivo
- il Presidente
- il Collegio dei Probiviri.
76
Art. 15 - Assemblee
I Soci possono essere convocati in assemblee generali ordinarie e
straordinarie, nonché in assemblee delle sezioni periferiche.
L’Assemblea ordinaria dei Soci è l’organo deliberante della Società, fatte salve le competenze specifiche del Consiglio Direttivo
Nazionale.
L’Assemblea ordinaria dei soci viene convocata come minimo
una volta all’anno, con almeno quindici giorni prima della data di
convocazione, per l’approvazione del rendiconto economico e finanziario a mezzo lettera di posta ordinaria o di posta elettronica in cui
sia specificato l’ordine del giorno, il luogo, la data, l’orario della
prima e della seconda convocazione.
Le deliberazioni dell’Assemblea in prima convocazione sono prese a maggioranza di almeno la metà dei Soci iscritti alla Società. In
seconda convocazione le deliberazioni sono valide qualunque sia il
numero dei presenti e rappresentati.
I Soci hanno la facoltà di farsi rappresentare da altri Soci affidando loro una delega scritta; ogni Socio non può rappresentare più di
cinque degli iscritti alla Società.
All’Assemblea ordinaria dei Soci, in regola con le quote sociali,
vengono demandati:
- L’approvazione della relazione del Consiglio Direttivo Nazionale
sull’attività svolta dalla Società;
- L’approvazione del rendiconto economico e finanziario da effettuarsi ogni anno entro il 30 maggio;
- Elezione e votazione fra i Soci di diritto e ordinari, dei componenti il Consiglio Direttivo Nazionale (ogni quattro anni);
- Delibera sulle proposte presentate dal Con­siglio Direttivo Nazionale.
L’Assemblea straordinaria dei Soci è convocata dal Consiglio Direttivo Nazionale per deliberare sulle modifiche dello Statuto e su
specifici provvedimenti urgenti, salvo quanto previsto dagli art. 20 e
21, con le stesse modalità dell’Assemblea ordinaria.
L’ordine del giorno dell’Assemblea straordinaria dovrà indicare
gli argomenti su cui deve essere deliberato ed esclude la dizione «varie ed eventuali».
77
Le Assemblee sono presiedute dal Presidente e, in sua assenza, da
uno dei membri del Consiglio Direttivo Nazionale; in caso di votazione di fronte ad un risultato di parità, il voto del Presidente viene
calcolato al doppio.
Le Assemblee delle Sezioni periferiche possono essere convocate
dal rispettivo Direttore di Sezione, il quale dovrà informare per scritto
il Consiglio Direttivo Nazionale almeno un mese prima, sulla data, il
luogo e l’ora dell’Assemblea, nonché sull’ordine del giorno previsto.
Il Consiglio Direttivo Nazionale si riserva di presiedere detta Assemblea con un proprio membro.
Quando le Assemblee di Sezione sono convocate dal Consiglio
Direttivo Nazionale, un suo membro le presiederà.
Il Presidente dell’Assemblea provvede alla redazione e trascrizione
del verbale sul libro delle assemblee, da tenere presso la sede della
Società a disposizione di qualunque socio faccia richiesta di consultazione e copia; copia fotostatica di ciascuna delibera assembleare rimarrà affissa presso la sede della Società della sezione per 15 giorni a
partire dalla settimana successiva al giorno in cui si è tenuta l’Assemblea.
Art. 16 - Consiglio Direttivo Nazionale
La Società è retta e amministrata da un Consiglio Direttivo Nazionale composto da cinque a sette membri eletti dall’Assemblea ordinaria; tali membri durano in carica quattro anni e sono rieleggibili.
I membri del Consiglio Direttivo Nazionale sono:
- il Presidente
- il Vice-presidente
- il Segretario
- il Tesoriere
- Consigliere/i.
Queste cariche, come tutte le cariche del SINPE, sono a titolo
gratuito, salvo rimborsi di spesa preventivamente avallata dal Consiglio Direttivo Nazionale.
I membri del Consiglio Direttivo Nazionale che per tre volte consecutive non intervengono alle riunioni senza giustificato motivo,
sono dichiarati dimissionari.
78
Rendendosi vacante una carica sociale, il Consiglio Direttivo Nazionale elegge al posto vacante un socio ordinario che conserva la
carica fino alla scadenza del mandato.
Risultano eletti i soci che raccolgono il maggior numero dei voti;
in caso di parità si ricorrerà al ballottaggio.
Il Consiglio Direttivo Nazionale nella sua prima riunione sceglie
nel proprio seno il Presidente, il Vice­presidente, il Segretario, il Tesoriere e il/i Consigliere/i.
Il Consiglio Direttivo Nazionale è convocato dal Presidente o, in
sua assenza, dal Vice-presidente o, per loro incarico, dal Segretario.
II Presidente rappresenta la Società, anche di fronte a terzi ed in
giudizio; convoca e presiede le adunanze delle Assemblee e del Consiglio Direttivo Nazionale, ne fa eseguire le deliberazioni, firma gli
atti ufficiali; cura e mantiene i rapporti con le altre istituzioni e le
sezioni periferiche del SINPE; ha cura delle iniziative editoriali.
Nell’adempimento di tali funzioni il Presidente può, di volta in
volta, delegare un membro del Consiglio Direttivo Nazionale.
Il Vice-presidente cura l’attuazione dei deliberati del Consiglio Direttivo
Nazionale; sostituisce il Presidente su sua delega o in caso di necessità.
Il Segretario coadiuva il Presidente e il Vicepresidente, provvede
alla stesura dei verbali delle riunioni e alla loro trasmissione al Presidente del SINPE; conserva l’archivio sociale.
Il Tesoriere conserva i fondi sociali, provvede agli incassi e ai pagamenti, tiene in regola i registri amministrativi e completa i bilanci da
sottoporre all’Assemblea generale ordinaria dei Soci (per questo può
avvalersi di un commercialista); abbina la sua firma a quella del Presidente del SINPE negli atti di disposizione patrimoniale ed è autorizzato
ad operare con firma singola presso Istituti Bancari e/o Postali, sui Conti intestati alla Società o al Tesoriere stesso ed esattamente è autorizzato
ad aprire conti correnti, versare e girare assegni bancari, circolari e vaglia, prelevare sull’avere liquido e su eventuali crediti accordati.
Il Consiglio Direttivo Nazionale coordina e promuove tutta l’attività e l’organizzazione della Società e, in particolare:
a) Stabilisce annualmente l’ammontare delle quote associative;
b)Istituisce le pratiche di ammissione di nuovi soci ai sensi dell’art.
6 dello Statuto e dell’art. 1 e 2 del Regolamento;
79
c) Redige annualmente un rendiconto economico e finanziario da presentare all’approvazione dell’assemblea ordinaria dei soci entro il 30 maggio di ogni anno e da restare depositato presso la sede della Società
almeno 15 giorni prima della data fissata per l’approvazione a disposizione di tutti i soci che abbiano motivato interesse alla sua lettura;
d)Stabilisce il Regolamento della Società e può modificarlo con efficacia vincolante per tutti i soci;
e) Definisce le norme del Codice Deontologico e può modificarle
con efficacia vincolante per tutti i soci;
f) Ratifica le nomine dei Direttori delle sezioni periferiche;
g) Promuove e coordina le manifestazioni scientifiche del SINPE, approva le manifestazioni scientifiche e le attività proposte dalle Sezioni periferiche e, se necessario, vi collabora; promuove e coordina ogni qualsivoglia altra attività prevista dall’art. 3 dello Statuto;
h) Nomina una Commissione per l’esame d’idoneità composta da tre
membri scelti tra i Soci ordinari che possono essere riconfermati;
i) Nomina e licenzia il personale dipendente e ne determina il trattamento economico;
l) Vigila sull’amministrazione ed in genere su quanto può interessare il buon andamento della Società.
Art. 17- Collegio dei Probiviri
La vigilanza dell’ordine è esercitata dal Collegio dei Probiviri
composto di tre Soci, eletti dall’Assemblea ogni qualvolta elegge i
membri del Consiglio Direttivo Nazionale; Presidente del Collegio
risulterà il Socio la cui iscrizione alla Società è più remota. Il Collegio
funziona anche come Collegio Sindacale per il controllo dei bilanci.
Il Collegio dei Probiviri inoltre ha la facoltà di adottare, di diritto
o dopo apertura di procedimento disciplinare, sanzioni nei riguardi
degli iscritti al SINPE come disposto dal Codice Deontologico.
Il proboviro non può essere membro del Consiglio Direttivo Nazionale.
Nel caso in cui un proboviro si renda responsabile di mancanze
che prevedano l’intervento del Collegio, il Presidente della Società
nomina temporaneamente, in sostituzione del proboviro indagato, il
Socio la cui iscrizione alla Società è più remota.
80
Rendendosi vacante una carica sociale del Collegio dei Probiviri,
il Collegio dei Probiviri elegge al posto vacante un socio ordinario
che conserva la carica fino alla scadenza del mandato.
Art. 18 - Regolamento
Per l’ordinamento e il funzionamento della Società, nonché per la
specificazione di alcune norme particolari più facilmente suscettibili
di modificazioni, lo Statuto del SINPE è integrato da apposito Regolamento interno.
Art. 19 - Codice Deontologico
L’etica professionale del Pedagogista iscritto alla Società e le norme a cui attenersi, sono richiamate nel Codice Deontologico.
Art. 20 - Scioglimento della Società
Lo scioglimento della Società è deliberato dall’Assemblea col voto
favorevole di almeno quattro quinti in prima convocazione e di due terzi
in seconda convocazione, dei Soci aventi diritto. L’Assemblea provvederà alla nomina di uno o più liquidatori che delibereranno in ordine alla
devoluzione del patrimonio ad altra Società con finalità analoghe o a fini
di pubblica utilità, salvo diversa destinazione imposta dalla legge.
Art. 21 - Modifiche di Statuto
Lo Statuto può essere modificato solo su approvazione da parte di
due terzi dei Soci presenti o rappresentati ad una Assemblea straordinaria appositamente indetta.
Art. 22 - Assicurazione RC per danni arrecati nell’esercizio dell’attività professionale
Tutti gli associati, pena l’esclusione dall’associazione, devono
contrarre una polizza RC per danni arrecati nell’esercizio dell’attività professionale.
Art. 23 - Varie
Per tutto quanto non previsto nel presente Statuto valgono, se e in
quanto applicabili, le disposizioni del Codice Civile e ogni altra normativa in materia di Associazioni.
81
REGOLAMENTO
Art. 1 - Ammissione
Per essere ammesso alla Società il candidato dovrà presentare domanda al Consiglio Direttivo Nazionale SINPE. La domanda dovrà
essere corredata da:
a) La dichiarazione di accettazione integrale dello Statuto della Società, del Regolamento e del Codice Deontologico;
b) La dichiarazione e la prova di requisiti e titoli accademici, culturali, scientifici e professionali, che giustifichino la domanda stessa;
c) La dichiarazione di cittadinanza e di residenza;
d)La prova del versamento della quota associativa.
Sulla base dei requisiti e dei titoli il Consiglio Direttivo Nazionale
può accogliere la domanda. Per le domande accettate con riserva, indicherà le condizioni ancora necessarie per l’ammissione del candidato.
Art. 2 - Esame di idoneità
L’idoneità per l’ammissione alla Società e l’iscrizione all’Albo
dei Pedagogisti è acquisita a seguito del superamento di un esame di
idoneità che verrà predisposto dal Consiglio Direttivo Nazionale.
Art. 3 - Soci
In riferimento all’art. 6 dello Statuto si specifica che:
a) Soci di diritto: sono i Soci che hanno partecipato alla fondazione
della Società, sottoscrivendo l’Atto notarile;
b)Soci ordinari: si rimanda all’art. 6 lettera b) dello Statuto;
c) I Soci di diritto e i Soci ordinari saranno registrati nell’elenco dei
Soci e nell’Albo professionale dei Pedagogisti.
Art. 4 - Cariche sociali
Nessun Socio può ricoprire più di una carica sociale fatta eccezione per quella di Direttore di sezione periferica.
Art. 5 - Sezioni periferiche
Le sezioni periferiche sono organismi di rappresentanza chiamati a promuovere e coordinare iniziative ed attività volte allo svilup82
po della conoscenza sul proprio territorio dell’esperienza professionale del pedagogista. Per lo svolgimento di questi obbiettivi il
Direttore, di concerto con gli iscritti alla sezione, fissa una quota
annuale.
La gestione economica è di competenza del Direttore di sezione.
Art. 6 - Morosità
Il Tesoriere in riferimento all’art. 10 lettera c) dello Statuto, rilevato il mancato versamento annuale di un socio, fa a questo richiesta
scritta. Se il socio rimane ancora inadempiente il Tesoriere informa
di ciò il Consiglio Direttivo Nazionale che delibera di richiedere al
Socio, per mezzo di raccomandata R/R, il versamento da effettuare.
Nel caso che persista la morosità oltre 30 giorni dal ricevimento di
questo secondo avviso, firmato congiuntamente dal Presidente e dal
Tesoriere, il Socio verrà automaticamente considerato moroso e
quindi cancellato dal libro dei Soci e dall’Albo Professionale dei
Pedagogisti. Questo stesso provvedimento nei confronti del Socio,
sarà adottato anche quando risultasse moroso nei confronti dell’Ente
formatore riconosciuto dal SINPE e quando tale Ente ne abbia fatta
denuncia alla Società.
La regolarizzazione delle quote arretrate richieste, prevede una
maggiorazione del 10% sull’importo dovuto.
Art. 7 - Tariffe professionali
II Pedagogista è tenuto a praticare, se previste dalla Legge, gli
onorari indicati dal tariffario di categoria, periodicamente rivisto e
approvato dal Consiglio Direttivo Nazionale e diffuso ai Soci.
Art. 8 - Cancellazione
II Socio iscritto al SINPE e all’Albo Professionale di Pedagogista
può chiedere la cancellazione solo a mezzo lettera raccomandata con
R/R.
Art. 9 - Reiscrizione
Alla richiesta di reiscrizione provvede il Consiglio Direttivo Nazionale in conformità delle disposizioni previste per l’iscrizione.
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CODICE DEONTOLOGICO
II Codice Deontologico, previsto dall’art. 19 dello Statuto del
SINPE, ha lo scopo di precisare l’etica professionale e le norme a cui
il Pedagogista deve attenersi nell’esercizio della propria professione.
Norme deontologiche:
Principi generali
1)Le regole del presente Codice Deontologico sono vincolanti per
tutti gli iscritti al SINPE.
2)L’inosservanza dei precetti stabiliti nel presente Codice Deontologico ed ogni azione od omissione comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al corretto esercizio della professione, sono puniti con le sanzioni disciplinari previste dal presente Codice
Deontologico.
Funzioni e competenze
1)II Pedagogista è tenuto a mantenere un livello adeguato di competenza professionale.
2)II Pedagogista deve respingere ogni collaborazione che dovesse
comportare una limitazione alla sua indipendenza e autonomia
tecnico-scientifica e alla sua serietà professionale.
Rapporti con gli utenti
1)II Pedagogista, nel rapporto con gli utenti, non deve essere influenzato da pregiudizi relativi al sesso, alla razza, alla politica,
alla classe sociale ed alla religione.
2)II Pedagogista deve avere acquisito abilità nella conduzione dell’assessment pedagogico e nel rispondere con interessamento alle
richieste che gli vengono formulate.
3)II Pedagogista deve poter dimostrare abilità e competenza professionale nella progettualità e nella definizione del contratto pedagogico.
4)II Pedagogista deve informare l’utente sull’ipotesi progettuale e
sui relativi criteri di spiralizzazione dell’intervento pedagogico.
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5)II Pedagogista si impegna ad astenersi da procedimenti che ledono l’integrità psico-fisica e la libertà o dignità morale della persona umana.
6)II Pedagogista si impegna a custodire rigorosamente il segreto
professionale, perciò si impegna ad avere cura del materiale che
si riferisce agli utenti, salvaguardandolo da ogni indiscrezione.
7)II pedagogista può usufruire del materiale in suo possesso per una
eventuale pubblicazione solo se tutela la non riconoscibilità dell’utente.
8)II Pedagogista deve attenersi alle tariffe stabilite dal tariffario,
come richiamato dall’art. 7 del Regolamento.
Rapporto con colleghi ed altri professionisti
1)II Pedagogista promuove e favorisce gli scambi e la collaborazione fra i colleghi.
2)II Pedagogista può avvalersi dei contributi e della collaborazione
di altri specialisti, con i quali cercherà sempre di realizzare delle
opportunità di scambio e di integrazione.
3)II Pedagogista è tenuto al rispetto della professionalità dei colleghi e a mantenere rapporti basati su lealtà e correttezza.
Funzioni, procedimento e sanzioni disciplinari:
Funzioni disciplinari
Il SINPE vigila sulla tutela del titolo professionale ed ha facoltà
di adottare, di diritto o dopo apertura di procedimento disciplinare,
sanzioni nei riguardi dei propri iscritti.
II Collegio dei Probiviri sottopone a procedimento disciplinare e
ad eventuali conseguenti sanzioni gli iscritti al SINPE e conseguentemente gli iscritti all’Albo dei Pedagogisti che si rendano responsabili di mancanze o abusi nell’esercizio della professione o che, comunque, si comportino in modo non conforme alla dignità e al decoro della professione o in presenza di esplicite disposizioni di legge.
Procedimento disciplinare
Quando pervengano esposti nei confronti di un iscritto, assunti in
piena responsabilità dal denunziante e/o circostanziati nei fatti, ri85
guardo ad atti e condotte che possono avere rilevanza deontologica e
formare oggetto di provvedimento disciplinare, il Collegio dei Probiviri valuta la necessità di una istruttoria. L’istruttoria se attivata
dovrà essere svolta entro trenta giorni.
A seguito dei dati scaturiti dall’istruttoria, il Collegio dei Probiviri delibera l’apertura del procedimento disciplinare del quale viene
data notizia all’interessato a mezzo lettera raccomandata R/R in cui
viene menzionata la sede e la data del dibattimento, l’interessato può
essere assistito da un legale e chiedere la presenza di testimoni.
Il dibattimento viene tenuto in seduta giudicante dal Collegio dei
Probiviri, i quali al termine dello stesso dovranno redigere il verbale
con i relativi provvedimenti e motivazioni. Entro i venti giorni successivi al dibattimento, all’interessato deve pervenire un atto di notifica del provvedimento assunto.
Il provvedimento può essere impugnato. Il riesame verrà effettuato dal Collegio dei Probiviri unitamente al Consiglio Direttivo Nazionale. I provvedimenti disciplinari precedentemente assunti possono essere modificati, confermati o annullati sia per motivi di illegittimità che per motivi di merito.
Sanzioni disciplinari
Le sanzioni che il Collegio dei Probiviri può comminare sono:
a) Avvertimento, ovvero la contestazione della mancanza o dell’abuso e il richiamo all’interessato ai doveri e alla dignità professionale per infrazioni modeste, compiute più per leggerezza che per
deliberato proposito. L’Avvertimento viene comunicato con lettera raccomandata R/R dal Presidente del Collegio dei Probiviri.
b)Censura: consiste in una contestazione e biasimo formale per la
mancanza o l’abuso commesso e deve essere notificata all’interessato per mezzo di lettera raccomandata R/R a firma del Presidente del Collegio dei Probiviri.
c) Sospensione dell’esercizio professionale si riferisce ad ogni circostanza prevista dal codice penale, come l’emissione di un mandato o di un ordine di cattura, l’interdizione dei pubblici uffici o
dalla professione per effetto di una sentenza passata in giudicato
con condanna penale di durata inferiore ai due anni. La sospen86
sione è assunta in forma deliberativa e può avere la durata massima di un anno; viene notificata all’interessato per mezzo di lettera
raccomandata R/R a firma congiunta del Presidente della Società
e del Presidente del Collegio dei Probiviri.
d)Radiazione dall’Albo, che può essere pronunciata quando l’iscritto abbia gravemente compromesso la propria reputazione e/o la
dignità della categoria professionale. La radiazione dall’Albo viene notificata all’interessato per mezzo di lettera raccomandata
R/R a firma congiunta del Presidente della Società e del Presidente del Collegio dei Probiviri.
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Tipolitografia IT.COMM. - Firenze