Servizi Sociali, Ipab e federalismo del welfare

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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del welfare
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Servizi Sociali, Ipab e
federalismo del welfare
Sommario
1 INTRODUZIONE
2 I PRINCIPI GENERALI
2.1
L’universalità dei destinatari ed il Diritto alle prestazioni
2.2
La programmazione
2.3
L’integrazione socio-sanitaria
2.4
Sussidiarietà, pluralismo e decentramento amministrativo
3 IL SISTEMA INTEGRATO
3.1
Le Funzioni dei Comuni e delle Province
3.2
Il ruolo fondamentale della legislazione regionale
3.3
Le Funzioni dello Stato
3.3
La carta dei servizi sociali
4 LE IPAB
4.1
Profili storici dell’assistenza
4.2
La legge Crispi
4.3
Le Ipab ed il concetto di volontariato
4.4
Le Ipab nella legge di riforma dell’assistenza
4.5
Autonomia, gestione dei patrimoni ed erogazione dei servizi
4.6
Le nuove aziende pubbliche di servizi alle persone
4.7
Le Ipab depubblicizzate
4.8
Lo scioglimento delle Ipab
4.9
Le Ipab e le regioni
5 INTEGRAZIONE E SOSTEGNO SOCIALE
5.1
Tipologie di interventi
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5.2
Considerazioni
6 IL FUNZIONAMENTO DEL SISTEMA INTEGRATO
6.1
Premessa
6.2
Il Piano nazionale ed i livelli essenziali delle prestazioni
6.3
Il Fondo nazionale per le politiche sociali
6.4
Il Piano sociale regionale ed i Piani di zona
6.5
Il Sistema informativo dei servizi sociali
7 INTERVENTI SOCIALI E LOTTA ALLE POVERTÀ
8 PROBLEMI E PROSPETTIVE
8.1
Le Leggi-quadro regionali preesistenti
8.2
Il Federalismo del welfare e l’esigibilità dei diritti
8.3
Eccessivo numero di comuni singoli
8.4
I mezzi finanziari, la “welfare-comunity” ed il volontariato
8.5
Le ASP come modello residuale?
BIBLIOGRAFIA
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1
Capitolo
Introduzione
Il sistema di welfare locale è oggi al centro di una serie di processi di
cambiamento mentre è cresciuta la domanda di servizi e prestazioni,
soprattutto di quelle da destinarsi alle componenti fragili della
popolazione.
La legge 8 novembre 2000, n. 328, all’articolo 10, delegando al Governo
l’emanazione di un decreto legislativo (decreto
legislativo 4 maggio
2001, n. 207) realizza un sistema integrato di interventi e servizi sociali in
cui si raggiunge l’obiettivo di affermare l’universalità delle prestazioni, e
il diritto all’assistenza privata cosi come è definito dalla Costituzione..
Si provvede, inoltre, a regolare nel dettaglio la nuova disciplina delle
IPAB: con questa sigla (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza)
si indicano quelle opere benefiche presenti nel territorio che svolgono
una meritoria attività solidale di sostegno alla “fragilità” della
popolazione locale.
Già disciplinate con la legge 17 giugno 1890, n. 6972 (Legge Crispi),
ora, a più di cento anni di distanza, assistiamo ad un processo di riforma
che riconosce e agevola le attività e le organizzazioni assistenziali
private, senza trascurare gli enti riconosciuti delle confessioni religiose
che operano nel sistema integrato di interventi e servizi sociali.
Peraltro, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione,
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operata
con
la
legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001,
l’ordinamento di tali enti non si colloca più nel campo della competenza
concorrente fra Stato e Regioni, ma rientra tra le materie di
competenza residuale delle Regioni.
Quando si fa riferimento al mondo delle Istituzioni Pubbliche di
Assistenza e Beneficenza ci si trova di fronte a circa 4200 enti pubblici
diffusi in tutto il territorio nazionale, ad una realtà numericamente pari
alla metà dei Comuni italiani: le IPAB rappresentano uno dei motori
portanti del sistema di welfare in Italia e non gestiscono soltanto
servizi sociali, ma anche servizi socio-sanitari e, in alcuni casi,
servizi sanitari.
Le IPAB hanno rappresentato per più di un secolo il caposaldo, in
tutto il territorio nazionale, di un sistema di welfare che trova la
propria origine nella legislazione del 1800.
Questi enti vennero infatti istituiti con la già citata legge Crispi1, che
riconobbe come istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza delle
realtà preesistenti da secoli: le Opere Pie.
La legge Crispi, potendo scegliere il creare delle realtà completamente
nuove il di riconoscere realtà che già esistevano, chiamandole in maniera
diversa, scelse questa seconda possibilità.
Le Opere Pie, esistenti da secoli quale frutto della beneficenza privata e
religiosa, andavano ad essere disciplinate dando loro ampi margini di
autonomia e delegando le funzioni di controllo e di vigilanza alle
1 Tale legge non si limitava a definire l’ordinamento delle istituzioni di assistenza e beneficenza, ma dettava la
disciplina, in alcuni casi puntigliosamente, del sistema socio-sanitario del tempo, rappresentando fino all’avvento
della legge n. 328 del 2000, l’unico testo organico in materia sociale; un testo legislativo sicuramente datato
che non è mai stato sostituito fino all’approvazione della citata legge n. 328 del 2000 anche se, nel
corso degli anni, sono intervenute numerose modificazioni e piccole riforme di settori del welfare.
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province2.
Oggi l’alternativa alla pubblicizzazione forzosa è rappresentata dalla via
della
depubblicizzazione
o
riprivatizzazione,
o
dalla
via
della
permanenza della personalità giuridica di diritto pubblico con riflessi
privatistici circa la gestione delle risorse e del personale attraverso
l’istituzione di nuove figure: le aziende di servizi alle persone ASP.
La trasformazione delle Istituzioni assistenziali pubbliche (IPAB)
nelle Aziende pubbliche di servizi alla persona rivoluziona un settore di
primaria importanza in un processo di integrazione tra servizi sanitari
ed assistenziali previsto dalla legge quadro nazionale 328/2000.
Si è in procinto di aprire un processo che presenta prospettive
interessanti, in
ordine
pure
alla
possibile,
futura
estensione
a
soggetti e servizi ulteriori rispetto a quelli previsti in partenza.
Certo è che il compito da assolvere è molto impegnativo: il dato
saliente può essere ritrovato nella individuazione dei presupposti per
poter addivenire alla trasformazione in azienda pubblica ovvero in
persona giuridica privata.
La novità delle “Aziende pubbliche di servizi alla persona” consente
altresì una più stretta e convinta collaborazione ed integrazione tra i
diversi soggetti, pubblici e privati, partecipanti alla rete degli interventi e
dei servizi sociali e integrazione altresì tra le politiche socio-sanitarie
e le altre politiche sociali, come quelle dell’istruzione, della formazione
e del lavoro, della casa e dei trasporti.
2 Le suddette istituzioni potevano essere disciplinate così come la fantasia dei fondatori disponeva, ma venivano
controllate con molta precisione, nel senso che la funzione di controllo veniva affidata non più alle province
bensì alle Prefetture, che si occupavano di controlli formali molto precisi (non esistevano ancora i controlli di
efficacia ed efficienza). Se questa disomogeneità ha potuto protrarsi nel tempo è altresì merito della
elasticità normativa della legge Crispi, che si è adattata nel tempo a contesti istituzionali radicalmente
diversi.
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Occorre passare compiutamente dalla fase dell’assistenza a quella dei
diritti e promuovere le numerose e qualificate esperienze in materia
di “welfare di comunità” maturate, negli ultimi anni, grazie al lavoro
fatto dai Comuni, dagli Ambiti, dalle Associazioni del terzo settore, dalle
Aziende sanitarie e dai Distretti socio-sanitari.
La trasformazione delle IPAB serve a rinforzare il ruolo degli enti locali
nel complesso sistema della
protezione
sociale
e
cioè
verranno
definiti compiutamente i rapporti tra i Comuni e le ASP alle
persone attraverso un concreto inserimento di quest’ultime nella rete
dei servizi.
In base all’art.10 della legge 328 le IPAB trasformate
in
Aziende
pubbliche di servizi alla persona o in soggetti privati formano parte
della rete integrata degli interventi e dei servizi sociali, dando il loro
contributo tanto sul piano dell’offerta e gestione dei servizi e delle
prestazioni quanto a livello programmatorio.
Le Asp, inoltre, possono realizzare forme di collaborazione tra di loro e
con altri enti, associare servizi e partecipare o costituire società: crescerà
quindi l’autonomia di azione degli enti locali assieme ad una
maggiore uniformità di gestione delle strutture per anziani in modo da
garantire a questa fascia di popolazione un’assistenza sociosanitaria
integrata e coerente.
La riforma delle IPAB fissa degli obiettivi chiari da raggiungere:
• riaffermare l’importanza di una concertazione tra i vari
livelli istituzionali;
• compiere un percorso che tenga conto delle peculiarità
territoriali perché i problemi sono diversi e assumono una
forte valenza locale.
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Sul fatto che le IPAB dovessero essere riformate non c’erano dubbi3; la
328/2000 ha rimodulato ben sedici progetti di legge distinti, con un iter
temporale di quasi 5 anni, parte dei quali sono stati spesi sull’articolo 10
che si occupa proprio di IPAB.
L’articolo 10 della legge n. 328 del 2000 prevede l’evoluzione delle IPAB
secondo un sistema binario. Le
(sarebbe
meglio
dire
IPAB possono essere privatizzate
depubbliccizzate
perché
ritornerebbero
all’originaria natura giuridica di tipo privato) oppure possono essere
trasformate in aziende pubbliche di servizi alla persona.
Di fatto l’azienda pubblica di servizi, nella naturale evoluzione delle
IPAB, rappresenta un prototipo. Solo la piena attuazione della riforma e
un congruo periodo di verifica potranno stabilirne una funzionalità
soddisfacente.
A tutt’oggi la riforma non può considerarsi completamente attuata:
l’articolo 10 della legge n. 328 del 2000, che sancisce i principi
fondamentali, deve essere attuato tenendo in considerazione il decreto
legislativo n. 207 del 2001, il recepimento del decreto stesso da parte
delle Regioni e la riforma del titolo V della Costituzione, con i novellati
articoli 117 e 118, che riservano la materia all’esclusiva potestà legislativa
regionale.
Quest’ultimo passaggio ha determinato nelle regioni una situazione di
incertezza. Alcune hanno valutato le disposizioni contenute nella legge
3 Già con l’emanazione del decreto legislativo 616 del 1977 si era cercato di porre rimedio all’incongruenza di
un ente che nasce privato, viene poi pubblicizzato e si trova in contrasto con la Costituzione. Si era anche
cercato di risolvere l’incongruenza estinguendo dette istituzioni, ma ciò non fu possibile per l’intervento della
Corte Costituzionale. Il problema sollevato all’epoca era di natura sostanziale e riguardava la destinazione di
ingenti patrimoni e di personale.
Sulla riforma delle IPAB vi erano, a livello politico, diversi orientamenti: alcuni proponevano la definitiva
privatizzazione (corrente assolutamente minoritaria), altri invece auspicavano la loro trasformazione in modelli
organizzativi già sperimentati, il principale dei quali era l’azienda speciale, disciplinata dalla legge 142
del 1990, un ente strumentale del comune o della provincia.
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n. 328 e nel decreto legislativo n. 207 alla stregua di meri orientamenti,
potendo la regione operare anche in termini difformi da questi
orientamenti, fatti salvi i livelli essenziali di assistenza che devono essere
uguali in tutto il territorio nazionale.
La riforma
del titolo
V della Costituzione ha
determinato
una
applicazione piuttosto disomogenea dell’articolo 10 della legge n. 328 del
2000 e del decreto legislativo n. 207 del 2001, tanto che le Regioni hanno
operato scelte autonome perfino in relazione all’individuazione dello
strumento normativo di attuazione della legge di riforma, che meglio
si adatta alle rispettive realtà. Pertanto, risulta difficile comprendere
quale sarà il destino delle IPAB riformate, perché difficile è scorgere un
unico filo conduttore nei provvedimenti sin qui delineati.
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2
Capitolo
Principi Generali
La legge di riforma si ispira ad una serie di principi fondamentali, cui
dovranno ispirarsi le regioni nella approvazione delle rispettive leggi
quadro sul sistema integrato dei servizi sociali, che enuncia nei primi
cinque articoli e poi sviluppa ulteriormente negli articoli successivi e
negli atti applicativi ivi indicati.
Tali principi sono fondamentalmente:
- l’accessibilità ai servizi da parte di tutta la popolazione con
priorità per le fasce più deboli (stato di povertà e disabilità);
- la programmazione della rete dei servizi di competenza
prevalente degli enti pubblici ai diversi livelli territoriali, la
progettazione degli stessi e la verifica della loro qualità;
- il diritto all’esigibilità delle prestazioni, che però in concreto va
ridimensionata a causa della scarsità di risorse finanziarie
disponibili;
- il decentramento dallo stato e dalle regioni agli enti locali,
secondo il principio della sussidiarietà verticale;
- l’integrazione dei servizi socio-sanitari;
- la
sussidiarietà
“orizzontale”
con
il
riconoscimento
del
pluralismo e dell’autonomia dei soggetti non pubblici (terzo
settore o “privato sociale”);
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- il perseguimento, nell’affidamento degli interventi, della qualità
dei servizi e non del semplice “maggior ribasso dei costi”.
2.1
L’universalità dei destinatari ed il Diritto alle prestazioni
La legge di riforma introduce il principio del superamento della logica
assistenziale basata sulle “categorie”: il sistema integrato di interventi e
servizi sociali viene offerto a tutti i cittadini, ed in taluni casi anche agli
stranieri ed agli apolidi, che versino in particolari situazioni di vita4.
Si è invece voluto lasciare agli Enti Locali, divenuti titolari della gestione
delle politiche sociali, libertà di scelte programmatorie di interventi.
Il Parlamento ha voluto adeguare, e non solo per questo aspetto, la
riforma sociale a quella sanitaria già operante, avente carattere
universalistico: per questo nuovo criterio di interventi, è possibile
utilizzare il termine di “welfare universalistico selettivo”, per contrapporlo
a quelle di “welfare residuale”, che affida al mercato la soluzione dei
problemi sociali ed ai servizi promossi dai soggetti del privato sociale
accreditati dagli enti pubblici gli interventi a favore di quanto viene
escluso dal mercato e rimane nella società.
L’’art. 2 della legge affronta l’esigibilità dei diritti alle prestazioni. E’ noto
che si può parlare di un diritto esigibile solo quando il legislatore abbia
individuato, non solo il titolare del diritto affermato ed il debitore della
prestazione dovuta, ma anche l’ammontare esatto di tale prestazione, le
modalità di tempo e di luogo della spontanea esecuzione della
prestazione ed i mezzi coattivi di realizzazione dell’interesse del
creditore in caso di inadempienza del debitore.
4 Il legislatore ha ritenuto di inserire nell'art. 2, comma 3, il criterio della priorità obbligatoria di intervento a
favore di talune tipologie di utenti, quali poveri, disabili non in grado di lavorare, nonché persone sottoposte ad
interventi dell'autorità giudiziaria.
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Di tutto questo si può parlare solo per le prestazioni economiche di
competenza dello Stato, quali pensioni ed assegni. Nulla invece è detto
per quanto riguarda le prestazioni e gli interventi relativi ai servizi
sociali di competenza dei Comuni. E’ vero che la legge ricomprende
nell’unica locuzione “interventi e servizi sociali” sia le prestazioni
economiche che i servizi sociali propriamente detti, secondo quanto
stabilito dall’art. 128 del decreto legislativo 112/98. Però la differenza fra
questi due tipi di prestazioni è enorme. Infatti le prestazioni economiche
statali sono rigidamente regolate da leggi che fissano i requisiti per
l’acquisto del diritto, l’ammontare economico del suo contenuto, la
copertura finanziaria, i rimedi giudiziari in caso di violazione.
Quanto ai servizi sociali a carico dei Comuni, invece la legge ribadisce
che essi dipendono dalle disponibilità di bilancio. Non si ha quindi la
certezza della realizzazione del diritto alla loro erogazione e quindi non
può tecnicamente parlarsi di esigibilità del diritto.
Solo il riferimento alla normale dialettica politica che si concretizza nei
bilanci dei Comuni sostiene una possibile realizzazione, se la sensibilità
politica degli amministratori o la forza contrattuale dei cittadini sono tali
da inserire nell’agenda politica l’urgenza di certi servizi sociali, si
avranno stanziamenti in grado di far fronte alle spese di attivazione dei
servizi. In taluni casi potrebbe bastare una diversa allocazione interna
delle risorse di bilancio, ivi comprese le somme trasferite dalle regioni.
Sono però soluzioni aleatorie, che confermano il giudizio di ritenere
improprio
per
queste
prestazioni
il
riferimento
al
principio
dell’esigibilità del diritto.
Presupposto essenziale per la fruibilità dei diritti è la loro conoscenza da
parte di chi dovrà esercitarli. Infatti, l’art. 2, comma 5, della legge di
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riforma, stabilisce che gli erogatori dei servizi, quindi i comuni e gli enti
con essi in rapporto di collaborazione, tramite accreditamento e
convenzioni, “sono tenuti… ad informare i destinatari degli stessi sulle
diverse prestazioni di cui possono usufruire, sui requisiti per l’accesso e
sulle modalità di erogazione per effettuare le scelte più appropriate”.
Il termine tecnico “sono tenuti” è il segno inequivocabile che la legge
pone un obbligo di informazione a carico degli erogatori dei servizi e un
corrispondente diritto soggettivo pieno ed esigibile a favore dei
potenziali utenti, che nella logica universalistica della legge, sono tutti
cittadini e, per taluni aspetti, anche gli stranieri.
Di questo diritto la stessa legge fissa i contenuti, oltre che i soggetti, e
cioè le diverse prestazioni, cui si può avere diritto, i requisiti che i titolari
del diritto devono dimostrare di possedere (ad es. situazione di
handicap, minore a rischio, immigrato, etc.), ed infine tempi, luoghi e
modi di erogazione.
Con tale configurazione legislativa, non può dubitarsi che siamo qui in
presenza di un diritto soggettivo effettivo e non semplicemente
proclamato, di cui gli utenti, ma soprattutto le associazioni, ai sensi della
legge n. 281/98, possono pretendere la piena attuazione. Quanto alla
esigibilità delle prestazioni, la stessa legge stabilisce all’art. 2, comma 2,
secondo periodo, che gli enti locali, le regioni e lo Stato “sono tenuti a
realizzare il sistema di cui alla presente legge”.
Qui il termine “sono tenuti” va chiarito con due precisazioni:
• fra tutte le prestazioni contenute nell’art. 22, quelle indicate nel
comma 4 debbono assolutamente essere attuate, in ogni ambito
territoriale adeguato (cioè possibile distretto sociale), tramite le
leggi regionali e, cioè, il “segretariato sociale”, pronto intervento
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sociale,
assistenza
domiciliare,
strutture
residenziali
e
semiresidenziali, centri diurni;
• nell’accesso ai servizi alcune tipologie di soggetti hanno
“priorità” rispetto a tutti i potenziali utenti. Tali servizi
essenziali e tali priorità di utenti debbono essere indicati sia nel
piano sociale nazionale, sia in quelli regionali e, soprattutto, nei
“Piani di Zona”. Ciò riesce a rendere effettivamente esigibili i
diritti
che
la
legge
di
riforma,
da
sola,
non
riesce
immediatamente a realizzare.
2.2
La programmazione
La programmazione, espressamente enunciata nell’art. 3, è il principio
che attraversa tutto il testo legislativo: essa si snoda attraverso successivi
livelli istituzionali e territoriali. Lo Stato fissa, nel Piano sociale
nazionale, i livelli quantitativi e qualitativi minimi delle prestazioni e dei
servizi sociali; le regioni nel Piano sociale regionale individuano
l’ammontare delle risorse idonee a garantire livelli di interventi sociali;
per la realizzazione coordinata di tutti gli interventi (sociali, sanitari,
educativi, di politiche attive del lavoro…) i Comuni si avvalgono di tutti
i mezzi negoziali che favoriscono l’attuazione di servizi in rete far diversi
piccoli Comuni e fra gli stessi ed i soggetti del terzo settore5.
La programmazione pertanto non si realizza solo con riguardo ai livelli
territoriali, ma anche ai soggetti del “privato sociale”, secondo un
dialogo interistituzionale che vede il ruolo di questi ultimi riconosciuto a
5 Fra tali mezzi viene privilegiato il Piano di zona, che viene approvato o tramite accordi di programma o tramite
“intese istituzionali di programma”, che, a differenza dei primi, possono essere sottoscritte anche da soggetti
privati.
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doppio titolo sia come soggetti che avanzano autonome proposte, sia
come soggetti cui gli enti locali affidano la realizzazione di interventi.
Certo,
la
responsabilità
istituzionale
delle
decisioni
finali
di
programmazione è attribuita ai soggetti pubblici per il loro ruolo di
tutela di tutti gli utenti dei servizi. Si indica l’obbligo dei soggetti
pubblici di assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, economicità,
coordinamento dei diversi servizi in forma unitaria ed integrata secondo
specifici progetti di verifica dei risultati secondo criteri di efficienza,
efficacia e qualità.
I soggetti responsabili dell’attivazione degli interventi e dei servizi
sociali integrati sono i comuni singoli ed associati, i quali si avvalgono di
risorse proprie e di quelle assegnate dalle Regioni, che comprendono i
trasferimenti finanziari operati dallo Stato tramite il fondo sociale
nazionale, appositamente istituito. Anche le Regioni debbono istituire
un fondo sociale regionale.
2.3
L’integrazione socio-sanitaria
L’integrazione fra interventi sociali e sanitari è un altro principio
fondamentale della legge di riforma: si tratta di prestazioni in cui è
difficile distinguere l’incidenza sulla salute degli interventi sociali
rispetto a quelli sanitari. Anzi la salute psicofisica è meglio garantita
dall’intreccio dei due tipi di interventi. L’atto di indirizzo si riferisce
espressamente agli interventi nei confronti dei minori, dei disabili, degli
anziani, dei dipendenti da droga, alcool e farmaci, degli effetti da
patologie psichiatriche, per i pazienti terminali…
2.4
Sussidiarietà, pluralismo e decentramento amministrativo
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La legge di riforma individua nella “sussidiarietà”6 uno dei principi cui
la programmazione del sistema integrato dei servizi sociali dovrà
ispirarsi.
Il fulcro del dibattito si incentra sul ruolo che il settore pubblico deve
svolgere rispetto all’erogazione dei servizi sociali alla persona: quale
rapporto di priorità esista tra agli interventi degli Enti locali rispetto a
quelli dello Stato centrale, e quale comportamento normativo debba
tenere il settore pubblico rispetto alla libera iniziativa privata nel campo
dei servizi sociali.
Il primo problema viene indicato col termine “sussidiarietà verticale”,
designando esso lo spostamento dei poteri decisionali dallo Stato
centrale verso gli Enti locali territoriali, centri più vicini ai cittadini che
sono i destinatari dei servizi. Il secondo problema viene designato col
termine “sussidiarietà orizzontale”, intendendosi con esso il fatto che gli
stessi enti locali, pur essendo i soggetti rappresentanti delle comunità
locali dei cittadini debbono lasciare ad essi la priorità nella scelta delle
risposte ai propri bisogni sociali.
Il problema della “sussidiarietà verticale” ha tardato a trovare soluzioni,
condizionato prima dalla visione dello stato centrale ottocentesco e poi
dall’affermarsi, dei totalitarismi assolutistici, che hanno fatto sentire i
loro effetti ideologici sino ai giorni nostri: ormai, in genere i rapporti, le
funzioni e le attribuzioni tra Stato ed enti locali sembrano essersi
cristallizzati con le spinte al decentramento, che riduce sempre più le
funzioni prima accentrate nello Stato.
6 L'origine latina del termine “sussidiarietà” sta ad indicare due significati prossimi, ma distinti: “stare seduti,
pronti ad intervenire”, “intervenire per sostenere”. Queste azioni, nel campo delle politiche sociali, sono rivolte a
vantaggio della Persona umana e dei suoi diritti fondamentali. Chi deve realizzare la “sussidiarietà” è, soprattutto
nell'ambito dell'Ottocento, lo Stato; oggi diciamo il potere pubblico nel suo complesso e nelle sue varie
articolazioni, specie territoriali.
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I problemi legati alla “sussidiarietà orizzontale”, invece, sono sorti già il
secolo scorso, specie in Europa, per l’emergere degli stati nazionali, che
avocavano alle loro burocrazie centrali la regolazione ed il controllo dei
servizi alla persona, sino ad allora fortemente realizzati dalla Chiesa7.
Dopo la seconda guerra mondiale due furono gli avvenimenti che
rilanciarono il principio di “sussidiarietà”:
• la formazione dei due “blocchi” sovietico ed atlantico, a causa
dei quali per i singoli stati si ridusse il margine di manovra
politica internazionale ed anche interna, rispetto ai blocchi di
appartenenza;
• la costituzione della Comunità
economica europea, che, pur
voluta dagli stati fondatori, generava una istintiva ripulsa per la
titolarità di poteri “sovranazionali” che si voleva fossero i meno
invasivi possibili8.
Nell’ambito della Costituzione, inoltre, sono stati inserito dei concetti
giuridici che possono oggi aiutarci ad una prospettazione equilibrata del
principio di “sussidiarietà”: nell’art.2 si riconoscono i diritti inviolabili
dell’uomo sia come singolo, sia “nelle informazioni sociali ove si svolge
la sua personalità”9.
L’attuale traslazione della titolarità delle funzioni pubbliche dallo Stato
agli Enti locali è giustificata non solo perché essi sono una entità più
7 Fu proprio nel clima di questo scontro, in cui la Chiesa cattolica fu perdente, che con la Legge-Crispi del 1890
ci fu la pubblicizzazione delle “opere pie”.
8 Si accentuò il significato della sussidiarietà come riduzione al minimo dei poteri sovrastatali rispetto agli stati
nazionali. Questa interpretazione del principio di sussidiarietà, a ben vedere, si pone in ambiti diversi da quelli
del rapporto “pubblico-privato”, che erano venuti a svilupparsi all'interno dei singoli stati.
9 Sono queste le “comunità intermedie” della famiglia, delle associazioni, le confessioni religiose, etc., a difesa
delle quali la Chiesa cattolica aveva rivendicato da sempre la non ingerenza dello Stato ed aveva sviluppato il
principio di “sussidiarietà orizzontale”.
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vicina agli utenti dei servizi sociali, ma ancor di più perché essi sono
rappresentativi delle “comunità locali dei cittadini” che, attraverso
questa forma di sussidiarietà, possono più democraticamente ed
attivamente “partecipare” alla vita della Comunità stessa.
L’irresistibile ascesa del principio di sussiadiarietà che, introdotto nella
142/90 sulla riforma delle autonomie locali, acquista definitivamente
peso giuridico nella Legge Bassanini n.59/97.
In esso sono espressi i due aspetti della sussidiarietà: quello verticale
dello spostamento dei poteri decisionali amministrativi in ambito più
vicini ai cittadini (decentramento di funzioni) e quello orizzontale, sia
pur espresso in un inciso della norma10. La sussidiarietà, orizzontale
viene vista nel suo significato positivo di intervento del settore pubblico
a sostegno delle comunità intermedie e non in quello negativo di
semplice astensione da interventi sociali: qualora un utente lamenti
l’inadeguatezza, per quantità o qualità, di talune prestazioni sociali, è da
ritenere che il Comune debba intervenire.
Il potere pubblico non solo deve aiutare gli interventi dei privati sul
mercato, ma ha compito di intervenire per garantire “l’adeguatezza” dei
servizi rispetto ai bisogni degli utenti ed evitare il rischio di un “welfare
fai da te”.
Nella Legge Turco n. 328/2000 di riforma dei servizi sociali, tale visione
della sussidiarietà è stato cristallizzata all’art.. 1, comma 3: “La
programmazione e l’organizzazione
del sistema integrato degli interventi e
servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato, …., secondo i
principi di sussidiarietà…..”.
10 Nel corpo della frase in cui si attribuiscono alle autorità locali le responsabilità pubbliche, si afferma che ciò
avviene “anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle
famiglie, associazioni e comunità”.
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Al concetto di sussidiarietà verticale è affiancata, nei successivi due
commi, quella orizzontale: nel comma 4 si dichiara che “gli enti locali, le
regioni e lo Stato… ( cioè i soggetti che hanno il potere della
programmazione) riconoscono ed “agevolano” il ruolo del soggetti del terzo
settore”, limitatamente, però,
alla loro qualità di soggetti attivi nella
“progettazione” e nella concertazione degli interventi11.
Di conseguenza le funzioni in materia di servizi sociali sono dislocate e
graduate diversamente a seconda del livello territoriale:
• lo Stato centrale ha l’attribuzione delle prestazioni economiche
di assegni e pensioni, fissa gli indirizzi generali del sistema, i
livelli essenziali delle prestazioni ed eventuali interventi
sostitutivi;
• le Regioni programmano, con il piano sociale regionale, gli
interventi ed i flussi finanziari a favore dei Comuni, fornendo le
coordinate di funzionamento dei servizi;
• i Comuni, titolari effettivi, si occupano dell’effettiva gestione dei
servizi sociali: ad essi compete la programmazione coordinata e
la gestione partecipata dei servizi sociali sul territorio12.
Un punto debole del sistema potrebbe essere causato dalla presenza di
migliaia di piccoli comuni, che, per via delle loro ridotte dimensioni, non
sono in grado di gestire da soli servizi sociali di un certo livello
qualitativo (servizi efficienti ed efficaci).
11 La struttura della legge si fonda su questa visione della solidarietà. Si vedano, ad esempio, il capo II dove
sono indicate le competenze istituzionali dei poteri pubblici, ed il Capo IV, dove si parla del ruolo dei soggetti
del privato sociale nel piano di zona.
12 Il territorio dovrà essere ripartito in aree omogenee che consentano una erogazione di servizi quanto più
possibile vicina agli utenti. Questi ambiti territoriali potrebbero essere, coincidenti con quelli sanitari, in cui sono
suddivise le Aziende Unità Sanitarie Locali.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
Altri aspetti degni di riflessione sono la variabilità di cultura dei servizi
che si ha nelle diverse regioni, la diversa quantità di flussi finanziari da
esse impegnati, e l’eterogeneità economico-sociale nella quale versa il
sistema-Italia: c’è il rischio di dare risposte differenti ai medesimi bisogni
a seconda della residenza regionale degli aventi diritto…
La legge di riforma ha implementato le garanzie volte a creare un
effettivo pluralismo dei soggetti privati che intervengono nel campo dei
servizi sociali.
Ad una vecchia logica statalista, si è sostituito il principio del
decentramento o comunque del riconoscimento di spazi di libertà a
soggetti privati da parte delle pubbliche istituzioni13, con la sempre più
diffusa prassi dell’affidare a soggetti privati la gestione di servizi prima
gestiti direttamente dal settore pubblico.
La crescente presenza di soggetti privati nel campo dei servizi sociali è
dovuta anche all’affermarsi del principio del pluralismo associativo e
della sussidiarietà orizzontale: al “pluralismo nelle istituzioni” si è ormai
sostituito il “pluralismo delle istituzioni”.
13 Questo riconoscimento è andato di pari passo alla maturazione del bisogno di decentrare in tutte le direzioni
funzioni troppo accentrate nel settore pubblico, che non riusciva più ad esercitarle con soddisfazione dei
cittadini.
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3
Capitolo
Il Sistema Integrato
La nuova legge di riforma individua nei comuni gli enti di gestione dei
servizi sociali, nelle province gli enti di programmazione territoriale,
nelle regioni gli enti di programmazione politica e finanziaria. Questo
orientamento segna l’affermarsi crescente del ruolo del decentramento e
degli enti locali nella nuova cultura politica venata di federalismo.
Agli enti locali sono affiancate, per l’erogazione di servizi, le IPAB, che
comunque non hanno natura di Enti Territoriali; esse possono
trasformarsi o in aziende di diritto pubblico, come enti strumentali dei
comuni o in associazioni o fondazioni di diritto privato, quando risulti
chiaro dall’atto costitutivo o dalle tavole di Fondazione che la volontà
dei fondatori era indirizzata alla creazione di soggetti privati.
La rilevanza data alle IPAB si spiega con la loro storia travagliata e col
fatto che, dati i loro rilevanti patrimoni, esse costituiscono un tipo di
soggetti pubblici di notevole importanza per la realizzazione del sistema
integrato: pur rimanendo immutabile il vincolo di destinazione voluto
dai fondatori a favore di determinate fasce deboli di popolazione, le
IPAB debbono inserirsi organicamente nel sistema integrato di interventi
e prestazioni sociali.
Per garantire la qualità dei servizi sociali da chiunque erogati, la legge,
inoltre, prevede la definizione dei profili professionali degli operatori
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
sociali e la adozione di carte dei servizi sociali da parte di ciascun ente
erogatore.
3.1
Le Funzioni dei Comuni e delle Province
I Comuni sono protagonisti della riforma, spetta loro infatti la titolarità
delle funzioni in materia di servizi sociali locali e concorrono alla
programmazione regionale. Data la loro diversa dimensione territoriale e
di popolazione, essi possono programmare i servizi da soli, associandosi
con gli altri comuni o decentrando alle circoscrizioni le funzioni dei
grandi comuni14.
Ai Comuni spetta, oltre alla programmazione e progettazione dei servizi
sociali, anche la loro erogazione; spetta loro anche l’erogazione delle
prestazioni economiche diverse da quelle statali e dei buoni servizio.
Compete inoltre ai comuni concorrere alla determinazione degli ambiti
territoriali minimi ove erogare i servizi sociali di base in modo unitario
ed in rete. Tra le funzioni attribuite dalla legge di riforma dei Comuni si
segnalano quelle di reperimento di risorse umane e sociali quali forme di
auto-aiuto, di coordinamento dei diversi servizi propri ed altrui tramite
intese ed accordi operativi. Si ribadisce la necessità di controlli di qualità
dei servizi, mediante la predisposizione di strumenti di misurazione
della stessa, di consultazione dei soggetti erogatori, acquisizione di
pareri degli utenti per acculare il loro grado di soddisfazione.
A tali compiti l’art.6 ne aggiunge altri, quali:
14 Il problema più delicato riguarda le migliaia di piccoli comuni che non sono in grado di realizzare da soli il
sistema integrato. Era stata proposta da taluni l'associazione obbligatoria tra i piccoli comuni, ma per evitare
problemi legati alla difficoltà di ottenere l'obbligatoria associazione di comuni che retti da maggioranze politiche
di diverso colore, si preferito il ricorso a forme di incentivazione economico-finanziaria a favore dei piccoli
comuni che si associano spontaneamente.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
• La promozione di forme collaborative nell’ambito della società
locale. Si indicano forme di auto-aiuto, quali ad esempio
associazioni di ex tossicodipendenti, disabili, ecc.. forme di
“reciprocità”, quali ad esempio le “banche del tempo”,
• Collegamento fra interventi di carattere sociale con quelli di
carattere sanitario, anche tramite intese fra comuni ed ASL;
• Adozione di strumenti amministrativi semplificati e finalizzati
alla valutazione ed efficacia dei risultati, anche tramite la
consultazione dei soggetti erogatori dei servizi e di controllo da
parte degli utenti.
Essi provvedono inoltre all’autorizzazione dei soggetti erogatori di
servizi, e, soprattutto al loro accreditamento15: con questo sistema cioè si
supera la tradizionale logica delle convenzioni dei Comuni con soggetti
pubblici e privati o del privato sociale, per accedere ad una logica più
pluralista e di rispetto delle scelte dei cittadini16.
Le provincie, al contrario degli enti comunali, hanno un ruolo che è
sicuramente più marginale; alcuni hanno fatto notare, non a torto, come
l’art. 7 della legge di riforma fornisca della provincia un’immagine
istituzionale molto sbiadita17.
Le sue funzioni vengono ricondotte a quella di raccogliere informazioni
sui bisogni e le risorse a livello provinciale, di fornire tali informazioni ai
15 Mentre l’autorizzazione fa riferimento al controllo di requisiti minimi formali, con l’accreditamento
verificano - preventivamente e, a seguire, con periodicità - il possesso di livelli di qualità di servizi superiore,
secondo standard normalmente indicati da “regole” di buone prassi fissate da organismi spesso soprannazionali:
l’accreditamento è, pertanto, una garanzia di qualità per i cittadini ed è una forma di tutela dei loro diritti sociali.
16 I cittadini infatti non sono più obbligati a rivolgersi ai soli soggetti convenzionati, ma possono scegliere fra
tutti quelli che hanno ottenuto l'accreditamento, spendendo così la quota o il buono servizio posto a loro
disposizione dal Comune.
17 Si vedano gli scritti di Salvatore Nocera.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
comuni, di partecipare ai piani di zona stipulati dai Comuni ed infine di
realizzare corsi di formazione professionale di base.
3.2
Il ruolo fondamentale della legislazione regionale
Se i Comuni sono individuati come centri di realizzazione dei servizi,
l’art. 8 della legge di riforma assegna alle Regioni il ruolo primario di
centri di programmazione del sistema integrato.
Il ruolo programmatorio si estende anche alla consultazione dei soggetti
del terzo settore per ottenere la partecipazione alla realizzazione del
sistema integrato, anzi si è già visto come questo aspetto sia uno degli
snodi fondamentali della riforma.
La legislazione dell’ultimo decennio è andata sempre più orientandosi
verso l’accentuazione del ruolo programmatorio delle Regioni.
La diversificazione di maggioranze politiche fra le regioni, specie negli
ultimi anni, ha prodotto anche una diversificazione nelle politiche di
welfare regionale con una più accentuata scelta di sussidiarietà verticale
a favore degli enti locali.
Si è però aperto un nuovo fronte di confronto fra gli stessi Enti locali,
divenuti il centro dell’organizzazione dei servizi e le Regioni che sempre
più rivendicano il ruolo programmatorio non semplicemente orientativo,
ma anche talora penetrante: il tema dei rapporti fra Regioni ed Enti locali
è il problema più delicato che dovrà essere risolto nelle singole realtà.
Il compito più importante che è affidato alle regioni è quello della
suddivisione del territorio in “ambiti omogenei” per la realizzazione dei
servizi sociali in rete, al fine di facilitare l’aggregazione di piccoli comuni
in un unico bacino di utenza sufficientemente ampio da permettere la
riduzione delle spese generali. La legge è orientata a far, possibilmente,
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
coincidere l’ambito territoriale dei servizi sociali in rete con quello dei
distretti sanitari di base, già operanti da tempo.
Le regioni hanno anche il compito regolare le modalità di finanziamento
dei servizi, anche col concorso alla spesa da parte degli utenti ed il
ricorso a buoni-servizio, nonché le tariffe previste a favore dei soggetti
accreditati all’erogazione di servizi di qualità.
Per rendere operante la riforma, le leggi regionali devono trasferire agli
Enti locali le funzioni prima da esse esercitate direttamente o per delega,
con il conseguente corredo finanziario e di personale. Ciò renderà
effettiva la titolarità delle funzioni attribuite direttamente agli Enti locali,
che potranno così esercitare concretamente la propria autonomia.
Opportunamente la legge prevede che, in caso di inadempienze da parte
degli Enti locali, intervenga la regione con il potere di sostituirsi nel
porre in essere gli atti non adempiuti. Le condizioni e le modalità di
esercizio di un tale potere di controllo sostitutivo sono rimesse alle leggi
regionali.
3.3
Le Funzioni dello Stato
Il decentramento non deve far pensare che le competenze statali siano
quasi scomparse. E’ bene tener presente che in capo allo Stato, con
riguardo specifico alle politiche sociali del sistema di servizi, rimangono
ancora notevoli funzioni di indirizzo e coordinamento, tra cui:
• coordinamento e circolazione dei dati informativi necessari alla
programmazione delle politiche sociali;
• fissazione dei principi e degli obiettivi delle politiche sociali
nazionali, attraverso l’approvazione del Piano sociale nazionale;
• fissazione dei livelli essenziali dei servizi;
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
• fissazione dei requisiti minimi strutturali ed organizzativi per le
autorizzazioni all’esercizio dei servizi sociali e delle strutture a
ciclo residenziale e semiresidenziale;
• ripartizione fra le Regioni delle risorse finanziarie del Fondo
sociale nazionale.
• interventi di controllo sostitutivo in caso di inadempienze delle
regioni ai propri compiti istituzionali18.
3.4
La carta dei servizi sociali
L’assenza della carta dei servizi era da lungo tempo lamentata a
proposito dei servizi sociali ed è merito della legge di riforma averne
posto le fondamenta.
18 Questa ultima funzione evita il blocco del funzionamento del sistema integrato, in caso di omissioni da parte
delle Regioni che sono i centri di programmazione di tali politiche.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
Ciascun ente erogatore di servizi sociali ha un termine massimo di altri
sei mesi per adottare la propria carta dei servizi, di cui la legge fissa i
contenuti minimali, quali le modalità di accesso ai servizi sociali e di
funzionamento, i criteri per valutarne la qualità e le norme di tutela degli
utenti.
Si tratta di sistema normativo similare ad una proposta di un contratto
che si perfeziona con l’accettazione dell’utente diventando vincolante
per l’ente erogatore: la carta dei servizi costituisce per un verso una
specie di “biglietto da visita” dell’ente erogatore.
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4
Capitolo
Le Ipab
4.1
Profili storici dell’assistenza
Già con la tradizione romana, i cittadini, da soli o associati, hanno
costituito
organizzazioni finalizzate alla realizzazione di attività
finalizzate a perseguire interessi sociali condivisi dagli aderenti al
sodalizio oppure da una parte più o meno ampia della collettività quali
le o corporazioni e le fondazioni.
Su questa base culturale, nel medioevo, sorgono così ulteriori e nuove
forme istituzionali con una più marcata tendenza all’assistenza degli
indigenti e, in seguito, all’assistenza ospedaliera ed ai minori.
Il periodo del tardo Rinascimento e dell’Illuminismo registra forme
sempre più diffuse di intervento che originano dalla libera volontà dei
singoli o delle organizzazioni religiose e che danno vita a forme di
mecenatismo e filantropia secondo il modello delle Opere Pie.
Nel corso dei secoli si sono, dunque,
sviluppate varie forme
organizzative in grado di concretizzare modalità di intervento in favore
dei soggetti svantaggiati secondo uno schema operativo che, a partire
dalla fase iniziale fino alla fine dell’800, ha rivelato l’origine e la
connotazione privata delle iniziative di assistenza e beneficenza.
Il nostro paese ha visto nascere opere di assistenza fin nel medioevo, e
nel corso degli anni, molti benefattori attraverso i loro lasciti hanno
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
permesso la costituzione di Enti che nel tempo hanno mantenuto la loro
ragione d’opera.
Con la legge 17 luglio 1890 n. 6972 si palesa l’interesse dello Stato
unitario a disciplinare e controllare il funzionamento di tutte le
organizzazioni che a vario titolo sono impegnate nel settore che oggi
definiamo dell’assistenza sociale e sanitaria.
4.2
La legge Crispi
La “legge Crispi” promana da una serie di esigenze e necessità ormai
comuni nei paesi economicamente e culturalmente più evoluti:
• sono cambiate le condizioni sociali a seguito del processo di
industrializzazione internazionale che hanno posto fine alla
pressoché
completa
autosufficienza
delle
comunità
agricolo/alimentari preesistenti alla rivoluzione industriale che
si è imposta in Europa;
• sono cambiate le situazioni politiche in quanto il definitivo
affermarsi degli stati unitari ha raccolto, entro gli stessi ambiti
territoriali, popolazioni con esigenze e formazione culturale
assimilabili;
• i nuovi stati unitari europei si sono fatti portatori di nuovi
interessi collettivi che vanno ad aggiungersi alle finalità tipiche
delle monarchie del settecento e dell’ottocento (la difesa esterna,
la sicurezza e la polizia interna, le politiche monetarie e fiscali).
La “legge Crispi” si presenta come una legge complessa, organica, ben
articolata e sicuramente in grado di affrontare le esigenze di
funzionamento della macchina amministrativa pubblica.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
Nonostante i suoi pregi intrinseci la legge Crispi si presenta nella realtà
come uno strumento atto ad indirizzare la volontà filantropica dei privati
entro i binari di un sistema regolato e controllato dagli organi centrali e
periferici dello Stato: la “Crispi” ha realizzato una trasformazione coatta,
obbligatoria ed irreversibile della natura giuridica di tutte le preesistenti
istituzioni assistenziali esistenti sul territorio nazionale le quali da enti
con personalità giuridica di diritto privato sono state convertite in
istituzioni pubbliche con conseguente uniformazione dei criteri di
funzionamento, della disciplina amministrativa e del sistema dei
controlli.
4.3
Le Ipab ed il concetto di volontariato
È da evidenziare con estrema importanza come l’assoluta gratuità delle
prestazioni rese dagli amministratori delle IPAB. unitamente a forme di
intervento verso soggetti bisognosi che, almeno fino alla fine del secondo
conflitto mondiale, fruivano gratuitamente dei servizi sociali e sanitari
erogati dalle istituzioni pubbliche, ci permettono di affermare che le Ipab
hanno precorso i tempi realizzando ante litteram le basi di quanto al
giorno d’oggi viene accomunato nei concetti di “volontariato” e “no
profit”.Tuttavia nel corso degli oltre 110 anni durante i quali la legge
Crispi ha spiegato i propri effetti, lo sviluppo del diritto amministrativo
ha reso sempre più onerosa l’amministrazione di queste istituzioni che,
qualificandosi come enti pubblici, hanno dovuto sottostare alla disciplina
comune a tutte le amministrazioni pubbliche.
Da qui l’esigenza di una modifica della “legge Crispi” che rendesse
possibile una riforma della gestione amministrativa delle stesse IPAB.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
4.4
Le IPAB nella legge di riforma dell’assistenza
Il processo di riforma, auspicato dalla Legge 328/del 2000, intende
depubblicizzare le IPAB ponendole tra i soggetti attivi del Terzo Settore,
integrati nella rete dei servizi socio-sanitari e socio-assistenziali.
L’art. 10 d tale legge di riforma è totalmente dedicato alle IPAB. E’ un
articolo complesso che ha tentato di trovare delle soluzioni compatibili
col rispetto della volontà dei fondatori, con l’ossequio alle sentenze della
Corte Costituzionale, e con la necessità di inserire ingenti patrimoni nella
rete di risorse del sistema integrato dei servizi sociali.
Le IPAB rappresentano una realtà che, per la particolare natura rivestita in cui coesistono un generalizzato regime pubblicistico e forti elementi
privatistici - trae la propria disciplina da fonti normative diverse ed
eterogenee.
Sull’originario corpus normativo crispino, infatti, si sono nel tempo
innestati, sia nuovi apporti legislativi, che hanno eroso i fondamentali
principi originari sia l’opera della giurisprudenza, che ha contribuito a
plasmare una materia sempre meno somigliante a quella prefigurata dal
legislatore originario.
Le IPAB operano prevalentemente nel campo socio-assistenziale e si
alimentano con fondi di diversa provenienza: rendite patrimoniali; rette
di ricoveri; donazioni e lasciti; contributi di privati sulle rette corrisposte
dalle famiglie degli assistiti e contributi pubblici.
Pur prendendo atto dell’apporto pregevole che tali organismi rendono
alla società civile in ambito assistenziale in una funzione sociale
surrogatoria, parallela, di sostegno alle famiglie in favore di quelle
persone bisognevoli di cure, non si può nascondere che il mantenimento
di queste strutture abbia rappresentato spesso un costo da indebitamento
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
per la finanza pubblica. Un costo che con molta probabilità è stato
sempre condiviso dalla collettività per il suo ritorno in termini di utilità
sociale verso le categorie di persone svantaggiate.
La legge delega al Governo la trattazione puntuale della materia nel
rispetto di alcuni principi orientativi che seguono:
• le IPAB vanno trasformate o in soggetti strumentali di diritto
pubblico o in soggetti di diritto privato (fondazioni o
associazioni) a seconda della forma giuridica originariamente
scelta dai fondatori;
• in caso di trasformazione in soggetti di diritto pubblico, deve
essere assicurata agli stessi una particolare autonomia statutaria,
patrimoniale, contabile, gestionale, e tecnica;
• i controlli sugli statuti, sulla gestione patrimoniale e sui beni
sulle loro alienazioni o permute, sulla verifica dei risultati
debbono essere compatibili con la loro autonomia;
• le IPAB che chiedono ed ottengono la trasformazione in soggetti
di diritto privato, devono comunque continuare a rispettare i
“vincoli di destinazione” voluti dai fondatori.
Con il decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207 il processo di riforma
delle Ipab avviato dall’art. 10 della legge di riforma dell’assistenza entra
nel vivo, segnando una tappa fondamentale verso il definitivo
abbandono del modello crispino.
Tale modello, caratterizzato da una concezione caritativa dell’assistenza,
fondata sulla discrezionalità degli interventi implica una mera aspettativa di assistenza da parte dei soggetti fruitori.
La legge di riforma del welfare ha invece definitivamente consacrato il
diritto all’assistenza inteso come diritto a fruire di servizi sociali di
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
qualità, ciò che impone la conseguente trasformazione delle strutture
storicamente deputate ad erogare servizi in realtà organizzate secondo
modelli aziendali orientati alla qualità.
Le nuove IPAB sono ricondotte a due diverse tipologie: il decreto
legislativo 207/01 ha disciplinato in modo minuzioso la trasformazione
delle IPAB in “aziende pubbliche di servizi alla persona”, che
mantengono la personalità giuridica di diritto pubblico, o in
“associazioni o fondazioni di diritto privato”, che sono indirizzate verso
la “depubblicizzazione” (fondazioni private).
Il processo è stato avviato tentando di valorizzare l’esistente sia
privilegiando la continuità dei servizi sia affidando alle singole
organizzazioni la scelta di come strutturarsi per meglio operare nel
territorio.
Con la riforma dell’assistenza le Istituzioni di Pubblica Assistenza e
Beneficenza si trasformano in aziende pubbliche di servizio alla persona
o in persone giuridiche di diritto privato, passando, in ogni caso da enti
autarchici a realtà integrate a pieno titolo nel sistema territoriale dei
servizi seppur dotate di autonomia statutaria, gestionale, patrimoniale e
finanziaria, tramite un processo di concertazione assimilabile a quello
della partecipazione dei soggetti del terzo settore.
Pur prendendo atto che lo scopo della trasformazione è quello di
informare l’attività delle costituende aziende pubbliche dei servizi alle
persone ai principi imprenditoriali, mutuando dai criteri di efficienza ed
efficacia della gestione tipica delle aziende private, mediante l’equilibrio
di bilancio, non possiamo non considerare che allo stato attuale ci
troviamo in presenza di IPAB economicamente in sofferenza.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
Con la trasformazione delle istituzioni pubbliche si vuole tendere a
conseguire una politica di razionalizzazione delle risorse fondata su
un’azione gestionale mirata al pareggio di bilancio, conseguito con
l’equilibrio dei costi e dei ricavi.
La Sussidiarietà è il cuore della nuova organizzazione, anche gestionale,
delle IPAB: sono impegnati infatti i Comuni e le reti territoriali del Terzo
Settore, in armonia con l’Istituzione Regionale. E ciò vale sia nella scelta
di passaggio delle IPAB ad ASP (Aziende di Servizio alla Persona) di
natura pubblica o a Fondazioni e Associazioni private (in cui più
direttamente le stesse organizzazioni decideranno i di-versi percorsi di
servizio). Infine la libertà di scelta: i protagonisti della riforma sono le
stesse IPAB che autonomamente possono decidere il tipo di sviluppo
della propria realtà.
Le IPAB che manterranno personalità giuridica di diritto pubblico,
impatteranno con il “modello aziendale”, come è stato per le vecchie
USL; quelle che invece usciranno dal circuito pubblicistico, e come tali
transiteranno a pieno titolo nel terzo settore, sono regolamentate da una
disciplina che, ancorché volta all’erogazione organizzata di servizi, è
meno pregnante in ordine a possibili modelli aziendali di riferimento: il
mercato, secondo logiche di accreditamento, orienterà le loro scelte
organizzative.
La trasformazione delle IPAB in aziende pubbliche di servizi alla
persona nella pratica deve avvenire attraverso una riforma dello statuto
che ciascuna IPAB in possesso dei necessari requisiti deve attuare.
Gli statuti dovranno prevedere, oltre che gli organi rappresentativi,
preposti ad esprimere la gestione dell’azienda pubblica dei servizi,
attraverso il Consiglio di amministrazione, anche l’organo di revisione
Pagina 34 di 75
Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
contabile per il controllo di regolarità amministrativa e contabile sugli
atti di emanazione del Consiglio stesso.
E’ prevista una analoga procedura per la trasformazione delle IPAB in
persone giuridiche di diritto privato; tuttavia, è previsto un intervento
sostitutivo in caso di inerzia dell’Ipab più pregnante e puntuali di quello
in via generale disposto dall’art. 20 del decreto.
Tra i principi da osservare nel ridisciplinare le IPAB va infine ricordata la
“esclusione di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
Tale disposizione, ancorché opportuna in quanto indirettamente obbliga
le IPAB ad ottimizzare le rendite dei propri patrimoni, è tuttavia un
chiaro sintomo della diffidenza del legislatore nei confronti di tali realtà,
che ha determinato l’esclusione delle Ipab tanto dal novero delle
organizzazioni di volontariato che delle ONLUS, non considerando
tuttavia che la gran parte delle IPAB esistenti è dotata di patrimoni
esigui ed è retta da amministratori volontari i quali, per il miglior
espletamento della propria attività, necessitano più di strumenti concreti
di semplificazione che di vincoli.
4.5
Autonomia, gestione dei patrimoni ed erogazione dei servizi
Le ASP godono di autonomia statutaria, patrimoniale, contabile,
gestionale e tecnica ed operano con criteri imprenditoriali, legando la
propria attività di gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità,
nel rispetto del pareggio del bilancio da perseguire attraverso
l’equilibrio.
Alla luce delle forti spinte all’ aziendalizzazione, le ASP sono da ritenersi
organismi autonomi non strumentali agli enti locali: alle ASP, inoltre,
sono lasciati ampi margini decisionali nella scelta degli atti e negozi da
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
porre in essere per il miglior perseguimento delle finalità istituzionali e
per l’assolvimento degli impegni assunti in sede di programmazione
regionale.
Una rilevante novità contenuta nella norma in esame è rappresentata
dalla previsione della possibilità, per le ASP, di costituire società o istituire fondazioni di diritto privato al fine di svolgere attività strumentali a
quelle istituzionali o di provvedere alla gestione ed alla manutenzione
del proprio patrimonio.
Occorre, se possibile, scorporare l’IPAB in due entità giuridicoorganizzative distinte: da un lato, una fondazione di gestione
patrimoniale e, dall’altro, un’azienda erogatrice di servizi; la gestione dei
patrimoni è legata a criteri di redditività, quella dei servizi deve
perseguire obiettivi di efficacia e qualità crescente. Comunque i
patrimoni e la loro gestione debbono essere finalizzati alla realizzazione
del sistema integrato di servizi alla persona.
Infatti, analogamente a quanto disposto per le fondazioni di origine
bancaria, è stata portata all’attenzione degli operatori l’ipotesi di dare
vita, da un lato, ad una fondazione cui sarebbe affidato il compito
precipuo di gestire il patrimonio di cui l’IPAB dispone e, dall’altro, ad
un’unità operativa aziendale destinataria dei fondi erogati dalla
fondazione medesima.
E’ la possibile, una volta realizzato il trasferimento di cui sopra, di
separare la gestione dei servizi (modello operating) da quella dei
patrimoni (modello grantmaking), purchè finalizzata a favore della rete
integrata di interventi e servizi sociali.
Devono, comunque, essere ben distinti i beni del patrimonio
indisponibile, perché direttamente impiegati nell’erogazione dei servizi
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
assistenziali, dai beni del patrimonio disponibile, che possono essere
alienati, ma con obbligo del reinvestimento delle somme ricavate per le
finalità statutarie.
Questo possibile indirizzo, basato dunque sulla creazione di fondazioni
che, governando il patrimonio nel rispetto ed in garanzia delle finalità,
creano
strumenti
gestionali
dei
servizi
di
natura
privatistica,
consentirebbe di alleggerire il carico di responsabilità gestionali affidate
al azienda erogatrice di servizi.
La disposizione sopra richiamata risponde, dunque, all’esigenza
avvertita da più parti di procedere ad una differenziazione delle attività
funzionali delle IPAB, separando la gestione e conduzione degli
interventi di servizio alla persona dall’amministrazione del patrimonio
di dotazione.
L’ASP potrà inoltre affidare la gestione patrimoniale a soggetti esterni,
sulla base di criteri comparativi di scelta rispondenti all’esclusivo
interesse dell’azienda stessa ed al potenziamento dell’attività di fund
raising delle ASP.
Le IPAB che svolgono indirettamente attività socio-assistenziale
mediante l’erogazione delle rendite patrimoniali possono trasformarsi in
azienda pubblica di servizi alla persona, qualora statuti e tavole di
fondazione prevedano anche l’erogazione diretta di servizi e le
dimensioni dell’ente giustifichino il mantenimento della personalità
giuridica di diritto pubblico.
Se invece l’IPAB sia di dimensioni ridotte, o presenti un patrimonio ed
un’entità di bilancio esigui, o sia inattiva in campo sociale da un biennio,
o abbia esaurito le proprie finalità istituzionali o comunque queste
ultime debbano considerarsi non più conseguibili, si trasformano in
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
persone giuridiche di diritto privato o vengono estinte.
4.6
Le nuove aziende pubbliche di servizi alle persone
La trasformazione delle IPAB in aziende pubbliche di servizi alla
persona (ASP) rappresenta la vera peculiarità della nuova disciplina
introdotta dal decreto di riordino.
Il modello aziendale, mutuato da quello dell’azienda speciale comunale
e
provinciale,
ha
progressivamente
acquisito
una
connotazione
autonoma ed originale, fino a diventare quasi un prototipo, diverso
anche dal modello aziendale delle aziende sanitarie locali.
L’effettiva tenuta del modello aziendale proposto per le IPAB potrà
essere valutata soltanto dopo un congruo periodo di concreta operatività
dei nuovi enti, così come tutta da verificare sarà la loro capacità di autonomia e indipendenza rispetto ai comuni ed alle regioni.
Sono soggette all’obbligo di trasformazione le IPAB che svolgono
direttamente attività di erogazione di servizi assistenziali, ad eccezione
di quelle escluse poiché originariamente di natura privata o a finalità
religiose o educative.
L’azienda pubblica di servizi alla persona non ha fini di lucro, mentre ha
personalità
giuridica
di
diritto
pubblico,
autonomia
statutaria,
patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica ed il suo patrimonio è
costituito dal patrimonio esistente al momento della trasformazione e
dalle
implementazioni
che
dovessero
scaturire
in
seguito;
le
immobilizzazioni materiali che non vengano sostituite rappresentano il
patrimonio indisponibile dei beni mobili ed immobili.
Le modificazioni statutarie debbono essere deliberate dai Consigli di
amministrazione ed approvati dalle regioni. Di tali consigli non potranno
Pagina 38 di 75
Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
più far parte istituzionalmente enti pubblici. Possono esservi presenti
solo se gli enti pubblici contribuiscano finanziariamente al patrimonio o
al reddito del nuovo ente ed a condizione che non rappresentino la
maggioranza rispetto ai consiglieri liberamente scelti dai privati.
Le aziende, una volta costituite possono anche creare fondazioni e
società private strumentali al fine di svolgere le loro attività. Nella
gestione del patrimonio sono espressamente richiamate le norme
concernenti i patrimoni delle Aziende sanitarie locali ed ospedaliere.
E’ consentito infine alle IPAB che non gestiscono servizi assistenziali, ma
rendite, di trasformarsi in aziende pubbliche. In mancanza possono
trasformarsi in fondazioni di diritto privato, purché ciò non sia vietato
dai fondatori.
I nuovi enti privati debbono curare un elenco dei beni necessari allo
svolgimento delle finalità statutarie, che debbono comunque essere
rispettate e mantenute nei nuovi statuti. In caso di vendita di tali beni,
occorre una maggioranza qualificata dei membri del consiglio di
amministrazione e, al fine di evitare la dispersione dei patrimoni, la
vendita non deve ridurre del valore patrimoniale dell’ente privato
trasformato.
4.7
Le Ipab depubblicizzate
Per quanto riguarda i principi ed i criteri che informano la disciplina
delle
Ipab
depubblicizzate,
gli
stessi
possono
riassumersi
schematicamente come di seguito:
• trasformazione in persone giuridiche di diritto privato;
• estensione di alcuni benefici fiscali previsti per le ONLUS;
• possibilità di mantenere nomine pubbliche in seno al consiglio di
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amministrazione;
• sottoposizione del patrimonio a vincoli e controlli più intensi
rispetto alle altre persone giuridiche private;
• possibilità dì prevedere la separazione della gestione del patrimonio da quella delle attività istituzionali.
Ancora una volta un ruolo fondamentale è di competenza delle regioni:
in caso di inerzia è previsto l’intervento sostitutivo regionale per il
tramite di un commissario (e del prefetto in caso di inerzia regionale);
non si tratta di un semplice commissariamento, ma di una vera e propria
sostituzione del consiglio di amministrazione dell’Ipab inadempiente,
che pertanto dovrà sottostare ad una vera e propria procedura di
scioglimento.
Dalle disposizioni del decreto di riordino è possibile individuare le
seguenti categorie di Ipab destinate alla depubblicizzazione:
• Ipab per le quali sia accertato il possesso dei requisiti di cui al
d.P.C.M. 16 febbraio;
• Ipab operanti prevalentemente nel settore scolastico;
• Ipab di cui all’art. 91 della legge n. 6972 del 1890 (conservatori,
eremi, confraterie…);
• Ipab svolgenti esclusivamente attività socio-assistenziale indiretta;
• Ipab di dimensioni ridotte svolgenti attività socio-assistenziale
indiretta associata ad attività diretta.
Tuttavia, gli orientamenti regionali in materia hanno portato ad alcune
diversificazioni: per l’Emilia-Romagna sono depubblicizzabili le Ipab in
possesso dei requisiti di cui al d.P.C.M. 16 febbraio 1990, quelle svolgenti
attività socio-assistenziali ed educative prive delle dimensioni sufficienti
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
per trasformarsi in ASP, quelle che non svolgono prioritariamente
attività socio-assistenziali ed educative rispetto ad altre attività; per la
Lombardia, invece, sono depubblicizzabili le Ipab con struttura
associativa; quelle istituite o promosse da privati; quelle con finalità di
ispirazione religiosa e collegate con una confessione religiosa; quelle
riconosciute come istituzioni svolgenti prevalente attività educativoreligiosa; per la regione Liguria sono depubblicizzabili le Ipab scolastiche
o a favore di minori, e quelle che svolgono attività indiretta in campo
socio-assistenziale
mediante
destinazione
delle
rendite
derivanti
dall’amministrazione.
L’iter di depubblicizzazione, in ogni caso, si articola nelle seguenti fasi:
1. istanza dell’Ipab;
2. accertamento regionale del possesso dei requisiti;
3. riconoscimento entro 120 giorni dalla presentazione dell’istanza
con la relativa iscrizione al registro regionale delle persone
giuridiche di diritto privato.
In ordine all’iter di depubblicizzazione è interessante la previsione della
regione
Lombardia,
che
introduce
nella
procedura
l’obbligo
dell’acquisizione del motivato parere del comune sede legale dell’Ipab
anche in merito al possesso dei requisiti per 1a depubblicizzazione.
Qualora il comune esprima parere negativo, la giunta regionale convoca
un’apposita conferenza interistituzionale tra regione, ente locale ed Ipab
interessata per la decisione definitiva in merito alla trasformazione.
4.8
Lo scioglimento delle Ipab
E’ previsto lo scioglimento e, quindi, l’estinzione, delle IPAB nelle
seguenti ipotesi :
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• qualora il patrimonio ed il volume di bilancio siano insufficienti
per la realizzazione delle finalità e dei servizi previsti
statutariamente;
• nel caso di verificata inattività in campo sociale da almeno due
anni;
• qualora risultino esaurite o non più conseguibili le finalità
statutarie.
Le ipotesi sono definite dalle regioni sulla base di criteri generali
previamente determinati.
Nelle prime due ipotesi l’estinzione viene disposta dalla regione al
termine di apposito procedimento volto a consentire all’IPAB di
scongiurare il provvedimento mediante la predisposizione di un
apposito piano di risanamento.
Nel terzo caso, i beni dell’Ipab estinta vengono destinati secondo le
disposizioni delle tavole di fondazione, se in tal senso le stesse
contengano previsioni specifiche, in favore di altre istituzioni del
territorio, possibilmente con finalità simili ovvero, in ultima possibilità,
al comune territorialmente competente.
4.9
Le Ipab e le regioni
Le regioni sono tenute per legge a vigilare sul processo di
traghettamento verso la trasformazione delle IPAB in aziende pubbliche
di servizi alla persona.
L’iter di trasformazione delle vecchie IPAB in ASP è interamente rimesso
alle determinazioni legislative regionali, ed il decreto di riordino si limita
a fornire indicazioni tecniche.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
Le procedure regionali di trasformazione delle IPAB in ASP non contemplano particolari novità o peculiarità.
Le regioni hanno poteri notevoli, procedendo esse alle trasformazioni e
quindi provvedendo a facilitare la migliore efficacia della rete dei servizi
integrati: è possibile affermare che il ruolo delle regioni sarà decisivo.
Ad esse vengono infatti riservati compiti di razionalizzazione del
sistema locale delle Ipab attraverso un adeguato intervento legislativo di
attuazione dei seguenti principi e criteri dettati dal governo centrale:
• disciplina delle modalità di concertazione e cooperazione con le
aziende pubbliche di servizi alla persona;
• eventuale finanziamento regionale per il potenziamento degli
interventi delle aziende;
• definizione delle ipotesi in cui è esclusa la trasformazione delle
Ipab in aziende pubbliche di servizi alla persona;
• disciplina dei procedimenti di trasformazione delle Ipab in
aziende pubbliche di servizi alla persona o in persone giuridiche
di diritto privato;
• determinazione di disposizioni per la gestione economico-finanzìaria e patrimoniale delle aziende pubbliche di servizi alla
persona;
• disciplina
delle
procedure
di
soppressione
e
messa
in
liquidazione delle aziende pubbliche di servizi alla persona in
stato di dissesto;
• fissazione dei criteri per la corresponsione di contributi ed incentivi alle fusioni di più Ipab, e individuazione di procedure
semplificate di accorpamento.
Le regioni stabiliscono, nell’ambito di livelli territoriali ottimali
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previamente individuati, i criteri per la corresponsione di contributi ed
incentivi alle fusioni di più istituzioni e sono così chiamate ad
incentivare, anche economicamente, tali fusioni, a seguito delle quali le
istituzioni accorpate confluiranno in un’unica ASP.
Fino ad oggi, soltanto quattro regioni hanno completato l’iter di riordino
delle IPAB approvando specifici testi di legge.
Si tratta, nell’ordine, di Lombardia, Liguria, Friuli-Venezia Giulia e
Toscana.
Altre regioni quali hanno inserito alcune disposizioni relative alle Ipab in
provvedimenti di legge più articolati di riforma dell’assistenza (EmiliaRomagna, Puglia e Calabria).
Quanto all’organo tutorio competente alla trasformazione, la Lombardia
individua lo stesso nel direttore della competente direzione generale
della giunta regionale; la Liguria nella giunta regionale; il Friuli nell’assessore regionale per le autonomie locali; la Toscana nel presidente
della giunta regionale.
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5
Capitolo
Integrazione E Sostegno Sociale
5.1
Tipologie di interventi
Il capo terzo della legge, introduce alcune tipologie di interventi e
servizi, dalla cui lettura comunque si possono desumere dei principi
generali, primo fra tutti quello degli interventi realizzati sulla base di
appositi progetti per persone con disabilità.
Questa parte della legge di riforma pone l’accento su alcuni interventi
specifici quali:
• progetti personalizzati per l’integrazione sociale, lungo l’arco
della vita, delle persone con disabilità;
• progetti personalizzati per garantire la domiciliarità a persone
anziane non autosufficienti,
• interventi a sostegno del nucleo familiare,
• titoli sostitutivi di prestazioni economico in un percorso di
socializzazione di persone in difficoltà.
La prima tipologia di interventi riguarda le persone con disabilità. Si
prevede che per garantire la loro piena integrazione sociale, debba essere
predisposto per ciascuno un “progetto individuale”, che contiene una
analisi diagnostica delle difficoltà, non solo sanitarie, le potenzialità
attivabili, non solo con interventi riabilitativi, ed il percorso di
integrazione nel tessuto familiare, nel mondo scolastico, in quello
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
formativo, lavorativo e sociale. La norma dell’art.14 chiaramente risente
del lavoro culturale e della conseguente elaborazione normativa che a
partire
dai
primi
anni
settanta
ha
avviato
in
Italia
la
destituzionalizzazione e l’integrazione sociale delle persone con
disabiltà, facendo leva sull’integrazione nelle scuole comuni di ogni
ordine e grado.
Il “progetto individuale”, predisposto a livello istituzionale con la
collaborazione di diversi soggetti pubblici e privati accreditati, secondo
le competenze di ciascuno, è impostato e coordinato dal comune di
appartenenza dell’interessato.
Il “progetto individuale” è da considerarsi come un contratto stipulato
tra comune e utente, il quale avrà nel primo la controparte in caso di
disservizi. E’ questo l’aspetto contrattualistico che si coglie in più punti
della legge che deve essere valorizzato ed ulteriormente esplicitato,
anche dalle associazioni degli utenti e dei consumatori19.
Per quanto riguarda le persone anziane non autosufficienti, è ribadito il
principio della spettanza al fondo sanitario per gli interventi
sociosanitari per le persone anziane non autosufficienti, con riguardo alle
“patologie acute e croniche”.
Un ruolo importante è demandato alle famiglie nel perseguire la
coesione sociale: si insiste sull’attenzione alle proposte ed ai progetti
delle famiglie per l’offerta e la valutazione dei servizi e sul
coinvolgimento diretto delle famiglie nell’organizzazione dei servizi.
19 Ogni utente con disabilità che voglia avere la certezza di diritti esigibili deve contrattare col comune, per
quanto possibile anche nei minimi dettagli, le modalità di realizzazione del progetto individuale. Solo in
presenza di un progetto ben articolato sottoscritto dal comune, che si fa garante anche delle altre parti firmatarie,
l'utente con disabilità può vantare dei diritti alle prestazioni previste e, in forma specifica di quanto promesso o il
risarcimento dei danni.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
Infine è consentito ai Comuni procedere, su richiesta degli interessati, al
rilascio di “titoli validi per l’acquisto di servizi sociali” erogati dai
soggetti accreditati, in sostituzione di prestazioni economiche20.
5.2
Considerazioni
La lettura di queste norme suscita qualche riflessione. La prima, cui si è
già accennato, concerne la regolamentazione troppo penetrante delle
modalità esecutive di competenza dei Comuni. In clima di accentuato
decentramento amministrativo e di avvio del “federalismo fiscale”
sembra eccessivo scendere in dettagli tanto minuti che senza
sopprimerla, riducono però di molto l’autonomia amministrativa
riconosciuta ai Comuni. La seconda concerne il significato tecnicogiuridico da attribuire al termine “famiglie”, cui questi articoli fanno
continuo riferimento. Ci si è infatti chiesto se tale termine debba essere
limitato esclusivamente alla “famiglia fondata sul matrimonio”, di cui
all’art. 29 della Costituzione o possa essere inteso in senso estensivo
anche alle cosiddette “famiglie di fatto”, cioè convivenze stabili di
persone di sesso diverso, spesso con figli. Mentre è da escludere, per
carenza assoluta di una normativa in materia, l’applicazione della
normativa
a
coppie
omosessuali.
Infatti
la
149/01
contempla
espressamente tali famiglie a proposito della loro idoneità a divenire
affidatarie di minori. Inoltre statisticamente sono assai numerose
famiglie simili che versano spesso in gravi situazioni economiche.
Sembrerebbe troppo riduttivo in una riforma generale dei servizi sociali,
20 Nella situazione di scarse risorse sono interessanti, perché consentono la libera scelta degli utenti fra i
soggetti accreditati, evitando per un verso l'obbligo di doversi avvalere solo delle prestazioni del soggetto
pubblico o di quello unico con esso convenzionato e per altro verso superando il rischio che l'attribuzione diretta
di una somma di denaro possa essere spesa per finalità diverse da quello per cui è stata erogata.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
che si sforza di dare risposte ai problemi sollevati da una società in
rapida trasformazione, limitare gli interventi di sostegno solo alla
famiglia legittima. Si obietta che ciò potrebbe favorire il diffondersi delle
famiglie di fatto ma è ragionevole ritenere che non siano gli scarsi
interventi economici a sollecitare la costituzione di convivenze stabili che
trovano altrove le loro ragioni.
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6
Capitolo
Il Funzionamento Del Sistema Integrato
6.1
Premessa
Questa sezione, che predispone alla luce dei principi della copertura
finanziaria, della sussidiarietà e della programmazione coordinata, gli
strumenti giuridici e finanziari per l’attuazione della riforma, è senza
dubbio la parte più innovativa della legge: sulla base delle indicazioni
contenute nel fondo sociale nazionale ogni regione approva un suo piano
sociale regionale sostenuto da un fondo sociale regionale risultante sia
dai trasferimenti statali che da risorse proprie della regione.
6.2
Il Piano nazionale ed i livelli essenziali delle prestazioni
Il governo è tenuto a redigere ed approvare il piano sociale nazionale, di
durata triennale, recante la strutturazione della rete degli interventi e dei
servizi.
Il piano sociale nazionale deve contenere alcuni elementi essenziali:
• le caratteristiche ed i requisiti dei “livelli essenziali” delle
prestazioni;
• i progetti obiettivo con priorità di intervento e le modalità di
realizzazione dei servizi sociali integrati con quelli sanitari e con
gli altri operanti nel territorio;
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
• gli indirizzi per assicurare le necessarie informazioni ai cittadini
e per la concertazione pluralistica;
• gli indirizzi per gli interventi sociali, per la formazione di base e
per le sperimentazioni innovative;
• gli indicatori di efficacia e di efficienza per la valutazione dei
risultati ottenuti;
• i criteri generali per la partecipazione economica degli utenti al
costo dei servizi ed i finanziamenti corrispondenti ai livelli
essenziali delle prestazioni sociali.
Poiché la riforma delega ampia autonomia decisionale alle regioni, è
previsto un elenco di prestazioni “essenziali” che devono essere
assolutamente garantite su tutto il territorio nazionale: è chiaro che
questi livelli minimi sono garantiti dalla individuazione di livelli di
qualità finanziati con fondi certi e sufficienti; ciascuna regione però, con
proprie risorse aggiuntive potrà elevare gli standards minimi delle
prestazioni ritenuti essenziali21.
Di tutti i servizi indicati l’articolo 22, della legge di riforma, si preoccupa
che in ogni ambito sociale in cui è suddiviso il territorio della regione
siano previsti dalle leggi regionali almeno i seguenti interventi, che
pertanto potremmo definire “irrinunciabili”:
9 segretariato sociale di informazione e consulenza22;
9 interventi di emergenza per pronto soccorso sociale;
9 “assistenza domiciliare”;
21 Diversa è la situazione per il Fondo sociale nazionale che gode di una disponibilità molto più limitata e quindi
per la realizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni ogni regione dovrà provvedere con proprie risorse
aggiuntive.
22 Ha il compito di fornire informazioni agli utenti, di prestar loro consulenza circa la messa a fuoco dei bisogni
e di seguirli nel loro percorso di fruizione dei servizi sociali.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
9 “strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con
fragilità sociali”;
9 “centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere
comunitario”.
6.3
Il Fondo nazionale per le politiche sociali
L’articolo 20, al quarto comma, stabilisce che “la definizione dei livelli
essenziali di cui all’articolo 22 è effettuata contestualmente a quella delle risorse
da assegnare al Fondo nazionale per le politiche sociali tenuto conto delle risorse
ordinarie destinate alla spesa sociale dalle regioni e dagli enti locali, nel rispetto
delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica
dal Documento di programmazione economico-finanziaria”.
La ripartizione del fondo nazionale ai fondi regionali viene effettuata,
con apposito regolamento, razionalizzando l’allocazione delle risorse in
modo tale da evitare sprechi e sovrapposizioni: sono previste forme di
controllo, procedure di revoca dei finanziamenti in caso di ritardi o
inadempienze da parte delle regioni ed incentivi per progetti frutto di
cofinanziamento tra finanza erariale e regionale e degli enti locali,
nonché di soggetti del privato sociale disposti a porre a disposizione
proprie risorse.
6.4
Il Piano sociale regionale ed i Piani di zona
Le regioni, sulla base delle indicazioni contenute nel piano nazionale,
sono tenute ad adottare il proprio piano sociale regionale entro
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
centoventi giorni dall’adozione di quello nazionale redigendolo
“nell’ambito delle risorse disponibili”23.
Quanto
a
tutti
gli
altri
vincoli
di
destinazione
derivanti
dall’appartenenza delle somme a specifici fondi confluiti nel Fondo
sociale nazionale, questi sono stati praticamente soppressi: con ciò le
regioni acquistano una piena disponibilità del fondo sociale regionale in
modo d’avere maggiore libertà nella programmazione dei servizi in rete.
Affianco al Piano sociale regionale sono posti, secondo le disposizioni
dell’articolo 19, quali strumenti innovativi di programmazione delle
politiche sociali locali i “piani di zona”.
Titolari della sua redazione sono il comune singolo, se grosso, o i comuni
associati in un ambito territoriale adeguato fissato con legge regionale;
nella definizione dei suoi contenuti i comuni collaborano con le unità
sanitarie locali e con gli altri soggetti pubblici e privati del territorio.
Nel piano sono contenuti gli obiettivi, gli strumenti per realizzarli, le
modalità organizzative dei servizi, le risorse finanziarie, strutturali e
professionali, i dati informativi relativi a bisogni e risorse e le modalità
per garantire l’integrazione tra servizi e prestazioni.
Al fine di coordinare il territorio in oggetto devono essere indicate anche
le modalità di collegamento in rete tra servizi degli enti locali e quelli
degli organi periferici delle amministrazioni centrali, le forme di
concertazione con le ASL e le modalità di collaborazione fra enti locali e
soggetti del terzo settore.
Il piano inoltre deve contenere la ripartizione delle spese ed il loro
ammontare specifico fra i diversi soggetti pubblici e privati firmatari;
23 In mancanza di chiare indicazioni sui livelli qualitativi e quantitativi minimi delle prestazioni essenziali,
tuttavia, non vi è alcuna certezza circa l’esigibilità dei diritti a tali prestazioni.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
nell’ambito di tale previsione possono essere stabiliti specifici vincoli di
destinazione voluti dalle parti: il piano è, quindi, uno strumento di
programmazione delineato in modo non generico, ma con contenuti,
obiettivi e mezzi organizzativi mirati.
6.5
Il Sistema informativo dei servizi sociali
L’articolo 21 prevede l’istituzione del sistema informativo nazionale,
quale indispensabile strumento in rete su tutto il territorio nazionale per
la conoscenza dei vari tipi di bisogni presenti e delle carenze riscontrate
a livello quantitativo e qualitativo in alcune zone.
Ovviamente, in sintonia con l’impianto generale, l’organizzazione del
sistema informativo al livello locale viene definita autonomamente da
ciascuna regione.
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7
Capitolo
Interventi Sociali e Lotta Alle Povertà
Dato l’alleggerimento dello stato sociale ed il principio universalistico
della riforma non è possibile assicurare a tutti i potenziali utenti l’accesso
gratuito al sistema di interventi e prestazioni sociali: per accedere alle
prestazioni del sistema integrato di interventi e servizi sociali occorre far
ricorso alla partecipazione degli utenti ai costi, determinata in relazione
alla capacità di contribuire ai costi di erogazione dei servizi richiesti.
Al fine della ammissione alle prestazioni agevolate è previsto che i
comuni formulino una scala di scaglioni per redditi crescenti e, a seconda
che il richiedente si collochi, in forza di condizioni di reddito e di
patrimonio24, nella fascia più bassa o in quella più alta, goda di
agevolazioni maggiori, minori o nulle, contribuendo in parte o
totalmente all’ammontare dei costi di erogazione dei servizi richiesti.
Sono garantiti, inoltre, emolumenti economici alle persone disabili gravi
o agli anziani ricoverati in strutture residenziali.
La parte conclusiva della legge di riforma è stata destinata ad affrontare i
problemi
della
povertà
estrema:
è
stata
istituzionalizzata
una
“Commissione di indagine sulla esclusione sociale” a cui si sono voluti
affiancare stanziamenti a copertura di una serie di interventi urgenti, già
24 Il principio che regola la materia è fondato sul presupposto che nell’ambito di un nucleo familiare si debba
tener conto non solo della situazione di reddito, ma anche del patrimonio disponibile e che la situazione
economica di una persona è influenzata da quella economica complessiva del nucleo familiare di appartenenza.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
in fase di espletamento immediatamente dopo l’entrata in vigore della
legge stessa.
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8
Capitolo
Problemi E Prospettive
Sono molti i problemi da affrontare per una piena attuazione della
328/2000: ogni legge arreca al sistema normativo nel suo complesso un
valore aggiunto, poiché impone di rimodulare tutta la vecchia normativa
alla luce delle novità, sia pur piccole, intervenute. L’ordinamento
giuridico è un insieme in continua mutazione che risente nel suo
complesso delle norme che vengono abrogate e di quelle che si
aggiungono, e delle problematiche interpretative ed applicative per ogni
nuova norma che non poggia ancora su una consolidata prassi
applicativa o su una consolidata giurisprudenza.
8.1
Le Leggi-quadro regionali preesistenti
La 328/2000 è una legge-quadro, che per la sua attuazione ha bisogno di
leggi regionali, che provvedano ad attribuire agli enti locali le
competenze amministrative ed a dotarli di risorse economiche.
Si è posto il problema se l’approvazione della Legge-quadro n. 328/2000
abbia implicitamente abrogato le norme delle singole leggi-quadro
preesistenti concernenti
diversi settori, quali la legge n. 104/92,
concernente i diritti delle persone handicappate, la 285/97 sulle politiche
giovanili, le leggi di contrasto alle tossicodipendenze, etc.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
Secondo i principi generali dell’interpretazione delle norme giuridiche
fissate nelle “disposizioni preliminari al Codice civile “, si deve ritenere
che ciò non sia possibile, giacchè quelle leggi sono “norme speciali”, che
non possono essere abrogate da una legge “generale”, qual è certamente
la 328/2000.
Si pongono certo problemi di coordinamento, in modo che i principi
generali della nuova legge di riforma prevalgano su tutti gli altri
principi, mentre i principi sanciti dalle singole leggi regolerebbero gli
ambiti dei rispettivi “progetti-obiettivo”
contenuti o conseguenti al
Piano sociale nazionale.
8.2
Il Federalismo del welfare e l’esigibilità dei diritti
Con il rafforzarsi del ruolo delle regioni, si apre concretamente specie
nelle politiche sociali, il problema dello scontro fra la volontà politica di
autonomia e diversificazione di ciascuna regione e la necessità che sia
garantito a tutti i cittadini un livello essenziale di servizi sociali.
La cultura dei servizi sociali si è imposta, nelle diverse regioni italiane, in
modo assai differenziato: fra le regioni del Nord e quelle del Sud c’è
spesso una notevole differenza sia circa l’efficienza dei servizi, sia per
l’ammontare delle risorse investite.
Poiché la 328/2000 punta proprio sulla capacità organizzativa e
sull’efficienza dei servizi territoriali, i residenti nelle regioni del Sud
avranno un welfare-regionale molto più povero ed insoddisfacente, non
tutelato sufficientemente dalla generica previsione dei “livelli essenziali
delle prestazioni”. E’ questo il problema più delicato, perché non si
gioca solo sul tavolo dei sommi principi delle autonomie locali, ma va ad
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
incidere concretamente sulla vita di ciascuna persona e sul suo diritto di
eguaglianza non tanto formale, quanto sostanziale .
Nel concreto si pone il problema dell’esigibilità dei servizi che, sebbene
sia un elemento cardine della legge, non è semplice da realizzare
direttamente: sarà necessario basarsi su accordi di programma specifici e
dettagliati, soprattutto nel recepire i “piani di zona”, che siano valida
tutela dei diritti degli utenti.
8.3
Eccessivo numero di comuni singoli
Un altro elemento di criticità è, senza dubbio, l’altissimo numero dei
comuni piccoli, i quali non saranno mai in grado di programmare ed
erogare da soli servizi efficienti ed efficaci per i propri cittadini in stato
di bisogno, a causa degli alti costi.
La legge di riforma ha individuato nei comuni spontaneamente associati
il fulcro di attuazione del sistema integrato dei servizi sociali; ma è
proprio nell’eventualità di tale spontanea associazione il tallone di
Achille di tutta la riforma. Si è forse temuto di invadere la sfera
dell’autonomia degli enti locali; ma così facendo, si è posta una
pesantissima ipoteca sul suo successo. Infatti, probabilmente le regioni
del Nord, con maggiore esperienza dei servizi e con maggiori risorse
pubbliche e private, potranno più agevolmente trovare delle soluzioni a
questo problema. Nelle regioni del Sud è da temere un grave ritardo
nell’attuazione della riforma anche a causa delle maggiori difficoltà a
raggiungere ambiti territoriali accettabili in cui la riforma possa trovare
soddisfacenti soluzioni.
8.4
I mezzi finanziari, la “welfare-comunity” ed il volontariato
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
La scarsità dei mezzi finanziari è l’aspetto più delicato che rende
inesigibili numerosi dei diritti sociali proclamati, specie alla luce della
necessità di arginare il forte debito pubblico e dei relativi accordi
sopranazionali (patto di stabilità).
Sono in molti a sostenere che il welfare state deve sempre più
rapidamente essere sostituito dal “welfare-comunity”, che la spesa
pubblica per il sociale vada integrata/sostituita in percentuale crescente
con l’intervento dei privati.
Pur non volendo generalizzare, è possibile affermare che le istituzioni
pubbliche stiano appaltando alle organizzazioni di volontariato un
crescente numero di servizi alla persona. Questa visione produce,
inevitabilmente, una forte variabilità dei costi dei servizi, legati ai
soggetti che li offrono25; gli utenti saranno sempre più chiamati a
concorrere alle spese dei servizi sociali richiesti.
In queste situazioni problematiche si accentua il rischio, che si deleghino
ed appaltino alle organizzazioni del terzo settore ed in particolare al
volontariato organizzato, dati i suoi più bassi costi, quasi tutti i servizi
alla persona, trattenendo la gestione diretta solo di quei servizi di bassa
qualità rivolti alle persone con maggiori bisogni.
In questa logica anche le organizzazioni di volontariato possono esser
risucchiate nel vortice del sistema delle imprese sociali tradizionali,
snaturando i valori su cui era nato e si era sviluppato il mondo del
volontariato ed annullando il secolare cammino per emergere come
nuovo soggetto “sociale”.
25 Se il volontariato organizzato chiederà la sola copertura delle spese vive e delle quote di ammortamento, le
associazioni di promozione sociale chiederanno anche la copertura dei costi dei possibili dipendenti; le
cooperative sociali avranno, tra gli elementi di costo anche la remunerazione dei soci lavoratori e la copertura
degli investimenti; il privato profit si regolerà secondo la libera legge della domanda e dell’offerta.
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
Emerge, pertanto, la necessità di distinguere fra questi tipi di soggetti: la
383/2000 s impone di far chiarezza ulteriore proprio nell’ambito del
mondo associativo fra le organizzazioni di volontariato ed in particolar
modo le cooperative sociali.
I due organismi, pur avendo in comune la finalità di perseguire la
solidarietà sociale, si differenziano nettamente per alcuni aspetti socioeconomici.
Le organizzazioni di volontariato sono organismi senza fine di lucro, i
cui aderenti non possono conseguire per le loro attività introiti economici
o vantaggi di alcun tipo (lucro indiretto).
Le cooperative sociali invece, pur non essendo imprese commerciali,
sono imprese e quindi i soci, ad eccezione di quelli volontari, hanno lo
scopo di ricevere compensi che, pur non essendo il massimo profitto
possibile, devono rappresentare una forma di salario.
Conseguentemente non è corretto che gli enti pubblici affidino ad
organizzazioni di volontariato l’attivazione dei cosiddetti “servizi
pesanti”, svolti in modo fortemente organizzato e che richiedono
un’organizzazione aziendale, in modo da assicurarne la continuità e
l’efficienza, oltre che l’efficacia, delle prestazioni.
Servizi di tal genere richiedono una complessa organizzazione che
persone impegnate altrove nel proprio lavoro, difficilmente possono
garantire: se il servizio ha carattere sperimentale per la sua novità è bene
che sia sperimentato da un’organizzazione di volontariato; ma ultimato
il periodo di sperimentazione, se la gestione è possibile in termini di
efficienza, efficacia, economicità e qualità, è opportuno che questo
servizio venga assunto dall’ente locale competente ed eventualmente
affidato ad una cooperativa sociale, e che l’organismo di volontariato
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Servizi Sociali, Ipab e federalismo del Wellfare
possa dedicarsi ad altre sperimentazioni e garantendo un processo
continuo di miglioramento dei servizi legati al sociale.
8.5
Le ASP come modello residuale?
Ultimo, ma non irrilevante, problema è legato alle eventuali future
istituzioni di nuove ASP oltre a quelle derivanti dalle vecchie Ipab.
Se così fosse, ci troveremmo, sostanzialmente, di fronte ad una riforma di
portata ridotta, funzionale solo all’inquadramento dellele Ipab già
esistenti in una disciplina aggiornata e più congrua rispetto a quella
Crispina.
In realtà, invece, l’articolato processo che riforma il mondo delle Ipab è
volto, soprattutto alla creazione di un nuovo modello aziendale, coerente
con le logiche e le dinamiche odierne: anche se, effettivamente, viene
disciplinata dettagliatamente l’urgente ipotesi di trasformazione in ASP
delle vecchie IPAB, non esistono elementi per ritenere l’introduzione del
nuovo modello aziendale come residuale .
La legge di riforma delle IPAB, oltre a consentire l’autodeterminazione,
della natura giuridica degli enti assistenziali pubblici, vuole dare
ulteriore e nuovo stimolo al settore pubblico fornendo uno strumento in
grado di sviluppare le capacità gestionali per migliorare l’erogazione dei
servizi dimostrando di saper reggere il confronto con gli enti gestori
privati del “terzo settore” e con l’imprenditoria privata che opera nel
settore con finalità molteplici.
Nel rinviare alla legislazione regionale la disciplina della fusione tra più
istituzioni, si afferma l’obiettivo l’“incentivare e potenziare la prestazione di
servizi alla persona nelle forme dell’azienda pubblica di servizi alla persona di
cui al presente decreto”.
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Fino ad oggi le sole regioni ad aver previsto la possibilità di istituire di
nuove ASP, in forma palese o indiretta, sono il Friuli Venezia Giulia e la
Lombardia; pertanto è possibile, e logico, ritenere che le regioni possono
prevedere esplicitamente la possibilità di istituzione autonoma di nuove
ASP, quali soggetti maggiormente idonei nella gestione dei servizi socioassistenziali.
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