Dal cemento ai vini di pregio i business controllati dai boss
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Dal cemento ai vini di pregio i business controllati dai boss
La Repubblica 11 Giugno 2010 Dal cemento ai vini di pregio i business controllati dai boss nuovi affari di Cosa nostra spaziavano dalla produzione di vini pregiati alle grandi ristrutturazioni immobiliari nel centro di Palermo. A gestire gli investimenti erano imprenditori davvero particolari. Noni soliti insospettabili, ma qualcosa di più: il costruttore Vincenzo Rizzacasa, ad esempio, si vantava di essere un campione della legalità con le sue settanta e passa denunce contro il racket del pizzo. Per non parlare delle amicizie con diversi magistrati antimafia. E a chi gli faceva notare che il coordinatore dei suoi cantieri era il figlio di un mafioso, anche lui condannato per mafia, Rizzacasa rispondeva a gran voce di essere un benefattore di Santa romana Chiesa, sempre pronto a dare ti n'altra possibilità a chi ha smarrito la via. Così, dopo essere stato espulso da Confindustria, l'imprenditore era stato reintegrato dite giorni fa, per ordine di un giudice civile. E già meditava altri investimenti immobiliari coni patrimoni che secondo i pm sarebbero stati degli Sbeglia. Racconta il pentito Antonino Nuccio che Rizzacasa era «socio di Sbeglia». Un giorno, i boss di Tommaso Natale furono messi in allerta perché «l'architetto» aveva subito una rapina a Tommaso Natale, proprio mentre andava in un cantiere. «Anche altre volte Andrea Gioè ci aveva interessato per problemi di questo cantiere — racconta Nuccio —perché gli rubavano rame. Una volta gli hanno rubato anche la ceramica che era tutta firmata e noi sempre ci attivavamo per cercarla, per ritrovarla». Salvatore Sbeglia stava spesso nel cantiere della Aedilia Venusta spa di Rizzacasa, in via Generale Di Maria, dove si stava ristrutturando la sede del Monopolio tabacchi. I magistrati hanno messo agli atti la deposizione dell'imprenditore Ettore Artioli: «Sbeglia era, nelle fasi dei lavori iniziali, presente in cantiere, a che fare non lo so... era una sorta di referente, credo degli operai». Artioli aggiunge: «Mi sembrava, come dire, il vecchio uomo di cantiere, che sapeva dare le indicazioni tecniche agli operai. Il responsabile del cantiere era il figlio Francesco». Secondo il gip Maria Pino le denunce presentate da Rizzacasa su presunti attentati del racket erano state «studiate nel tentativo di preservarsi dagli sviluppi, prevedibili e temuti, dell'intensa attività d'indagine». Gli Sbeglia potevano contare anche su un altro insospettabile, l'imprenditore Filippo Chiazzese, che si era aggiudicato con altre due ditte l'appalto comunale da 11 milioni di euro per la realizzazione del giardino d'Orleans, invia Ernesto Rasile. Chiazzese è risultato anche socio del consorzio nazionale "Generale appalti pubblici" di Firenze, di cui è stato anche presidente del consiglio di amministrazione. Il business dei vini pregiati sarebbe stato invece solo l'ultimo affare messo a disposizione da Francesco Lena. li pentito Calogero Ganci, un tempo uomo d'onore della Noce, racconta che l'ingegnere, un tempo imprenditore edile, era «riconoscente»: «Fra il 1991 e il 1992 aveva avuto dei problemi finanziari e si era rivolto a Salvatore Sbeglia per vendere alcuni immobili. Sbeglia s'interessò perché Lena non fallisse». E così fu. li gruppo, Sbeglia e altri mafiosi della Noce acquistarono una serie di immobili dell’ingegnere nel giro di pochi mesi, sarebbero arrivate nelle sue casse quasi 4 miliardi delle vecchie lire. Tanto bastò per risalire la china. Adesso, le indagini della squadra mobile dicono che già allora Lena era inserito bene nelle dinamiche di Cosa nostra. Riascoltando un dialogo intercettato anni fa nell'ufficio dell'imprenditore Salvatore Gottuso è emerso che Lena era già vicino ai Lo Piccolo addirittura nel 1978. Così diceva Gottuso: «Io è che non vedo a Totuccio Lo Piccolo per lo meno venticinque anni, perché l'ultima volta che l'ho visto era nel settantotto, quando lui era socio con l'impresa Lena». Per anni è rimasto il segreto. Mai Francesco Lena era stato sfiorato dal sospetto e il suo relais di lusso, il Santa Anastasia di Castelbuono, era ormai meta delle gite %delle feste della Palermo bene. Adesso, anche un'altra intercettazione ha messo nei guai l'ingegnere che si era ormai dato alla produzione del vino di qualità. Nel 2004, il boss Nino Rotolo diceva all'amico Nino Cinà, capofamiglia di San Lorenzo: «Ora Lena ha cose intestate di Nino, che le deve ritornare indietro, ora questo ha palliato... quattro appartamenti». Anche Cinà, il medico di Riina e Provenzano, sapeva: «Lena ha fottuto, si è fottuto un miliardo». Più avanti nel dialogo i due boss chiarivano che «Nino» era Nino Madonna, storico capomafia di Resuttana. Una terza intercettazione nel box di Rotolo getta l'ombra più pesante sull'ingegnere Francesco Lena. Rotolo e Gaetano Sansone parlano di un favore che Lo Piccolo avrebbe fatto a Provenzano: la «cortesia del feudo», la chiamano. «Lui ha chiesto un favore a Lo Piccolo — diceva Rotolo, e non sospettava di essere intercettato — e il Lo Piccolo gli si è messo a disposizione, un favore grosso di cose di soldi e io lo so». Rotolo sottolineava: «Gli ha fatto il favore, ma con la persona sbagliata. Cioè lui gli vuole affidare, fai conto questa radio che ha un valore, e questo gli trova ad uno... a sua volta, questo è uno che ha fottuto cose di altri, però lui non è che lo sa». Per i magistrati non ci sono dubbi: «Lui», sarebbe Provenzano. E Lena, «quello che si era fottuto i soldi dei Madoma», l'imprenditore che Lo Piccolo avrebbe utilizzato per fare un favore a Provenzano. Ma quale? Dietro la «cortesia del feudo» ci sarebbe un acquisto, evidentemente fittizio, fatto da Lena. Le indagini dicono che nel 2005 la società dell'ingegnere acquistò un vasto appezzamento di terreno in contrada Zurrica, a Pollina. La Procura sostiene che quel feudo sarebbe in realtà di Bernardo Provenzano. Salvo Palazzolo EMEROTECA ASSOCIAZIONE MESSINESE ANTIUSURA ONLUS