Meccanismi molecolari della SASP (fenotipo secretorio associato
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Meccanismi molecolari della SASP (fenotipo secretorio associato
Università politecnica delle Marche Laboratorio Patologia Sperimentale DISCLIMO Curriculum Scienze della sicurezza e tutela della salute negli ambienti di lavoro Meccanismi molecolari della SASP (fenotipo secretorio associato alla senescenza) Dottorando Dott. Francesco Prattichizzo Tutor Chiar.mo Prof. Antonio Procopio INDICE 1. Introduzione 1.1. Caratteristiche biologiche e molecolari generali dell’invecchiamento 1.2. Instabilità genomica 1.3. Accorciamento dei telomeri 1.4. Modificazioni epigenetiche 1.5. Perdita di proteostasi 1.6. Deregolazione di pathway sensibili ai nutrienti 1.7. Disfunzione mitocondriale 1.8. Esaurimento del pool di cellule staminali 1.9. Comunicazione intercellulare alterata 1.10. Senescenza cellulare 1.11. SASP 1.12. Interventi che hanno la SASP e la senescenza come target 1.13. Problemi e prospettive riguardanti la ricerca su SASP 1.14. Senescenza delle cellule endoteliali 1.15. Biomarcatori di senescenza endoteliale: ruolo dei microRNA 2. Scopo della Tesi 3. Materiali e Metodi 3.1. Modello Cellulare 3.2. Trattamento con Lipopolisaccaride (LPS) 3.3. Supplementazione con Adalimumab e CoQ10H2 3.4. Saggio della Vitalità Cellulare 3.5. Produzione di Citochine 3.6. Isolamento dell’RNA 3.7. RT-PCR Quantitativa di microRNA maturi 3.8. Estrazione delle Proteine ed Immunoblotting 3.9. Analisi Statistica 4. Risultati 5. Discussione 6. Bibliografia 1 Introduzione L’invecchiamento (Aging in inglese americano o Ageing in inglese britannico) è definito come la totalità dei cambiamenti che occorre in un individuo nel corso del tempo (1). Questo è un aspetto fondamentale della società moderna in quanto i cambiamenti delle caratteristiche biologiche della popolazione vivente si riflettono su cambiamenti di tipo culturale, sociale ed economico. Approssimativamente 100.000 persone su 150.000 muoiono ogni giorno per cause età-correlate in tutto il mondo, se si fa riferimento solo ai paesi industrializzati si arriva al 90% delle cause di decesso (1). L’invecchiamento della popolazione è definito come l’aumento del numero e della percentuale dei soggetti più anziani nella società. Ci sono almeno due cause che concorrono all’aumento dell’età media: un diminuito tasso di nascite ed un aumento dell’aspettativa di vita. La porzione più anziana della popolazione sta crescendo rapidamente. Quando le persone raggiungono un età avanzata, vanno incontro a disabilità dovute a patologie croniche, fragilità e perdita di indipendenza. Questa ha implicazioni sociali ed economiche molto importanti. La sfida della ricerca biomedica moderna è di comprimere, se non eliminare, questo periodo di fragilità e disabilità, aumentando la porzione di vita priva da malattie. L’invecchiamento è il principale fattore di rischio per molte condizioni croniche che limitano l’indipendenza, la sopravvivenza e il benessere (1). Alcune condizioni croniche come aterosclerosi, alcuni tipi di cancro, demenza, diabete, così come molte altre, diventano progressivamente più incidenti con l’aumentare della popolazione più anziana (Figura 1). Figura 1: L’invecchiamento è il fattore di rischio principale per la maggior parte delle patologie croniche e disabilità, inclusi infarti, patologie cardiache, cancro, demenza, osteoporosi, artrite, diabete, sindrome metabolica, insufficienza renale, cecità e fragilità. Una possibile causa che contribuisce all’insorgenza di queste condizioni è l’infiammazione cronica di tipo non infettivo che si instaura in diversi tessuti. Marcatori di infiammazione come IL 6, TNF alpha e chemochine sono associate con demenza (2), depressione (3), aterosclerosi (4-8), cancro (911), diabete (12-14), e mortalità (2,15,16). L’infiammazione è probabilmente il fattore più fortemente associato con la fragilità età- correlata (17-20), che include aumentata vulnerabilità allo stress (ad esempio infezioni, traumi ed operazioni), accoppiata alla perdita di massa muscolare (sarcopenia) e cachessia/perdita di massa grassa, patologie che diventano comuni in età avanzata (17-19, 21-29). La fragilità predispone all’insorgenza di patologie croniche, mancanza di indipendenza e mortalità, incrementando sensibilmente i costi per la spesa sanitaria (25-27). Fino a poco fa, la forte associazione tra età e morbilità cronica è stata vista con poche opportunità di intervento. Di fatto un trattamento per prevenire/curare la fragilità e le patologie croniche viste nel loro insieme ancora non esiste. Le cure ad oggi disponibili (supporto sociale, aiuti alla mobilità, trattamenti curativi della sintomatologia associata alla fine di vita) non sono dirette contro la vera radice delle disfunzioni età correlate. Trattare le malattie croniche una ad una non è sufficiente (30). Calcoli basati sul tasso di mortalità negli Stati Uniti indicano che se il cancro fosse eliminato come causa di decesso, la durata media della vita aumenterebbe del solo 3-4% (31). Lo stesso discorso è valido anche per le patologie ischemiche (30). La restrizione calorica, che ritarda il processo di invecchiamento nella sua interezza, con un meccanismo ancora parzialmente da definire, estende la durata della vita in modelli animali di una percentuale sensibilmente superiore (32). Chiaramente, la pratica clinica potrebbe risultare trasformata se potessero essere sviluppati trattamenti basati sul meccanismo dell’invecchiamento, rompendo il legame tra i processi fondamentali dell’aging e le patologie croniche, rendendo l’invecchiamento stesso un fattore di rischio modificabile. La recente consapevolezza che i disordini età correlati possono essere guidati da alcuni meccanismi di base dell’invecchiamento ha ispirato sforzi per identificare questi processi e sviluppare strategie, preferibilmente di natura farmacologica, di intervento. 1.1 Caratteristiche biologiche e molecolari generali dell’ invecchiamento L’attuale situazione della ricerca sull’invecchiamento presenta diversi paralleli con quella sul cancro nel decennio passato. La ricerca sul cancro ha raggiunto il suo massimo nel 2000 con la pubblicazione di un paper di riferimento in cui venivano elencate le sei caratteristiche fondamentali del cancro (111), e che sono stato recentemente espanse a dieci (112). Questa categorizzazione ha aiutato la concettualizzazione dell’essenza del cancro e i meccanismi importanti in questo contesto. A prima vista, cancro e invecchiamento possono sembrare processi opposti: il cancro è la conseguenza di un aberrante guadagno di “salute” da parte della cellula, mentre l’aging è caratterizzato da una perdita di “salute” della cellula. Ad un livello più profondo, tuttavia, cancro e invecchiamento possono avere origini comuni. L’accumulo di danni cellulari tempo dipendente è ampiamente accettato come causa generale di invecchiamento (113-115). Allo stesso tempo, il danno cellulare può occasionalmente provocare vantaggi aberranti ad alcune cellule, che eventualmente possono dare origine al cancro. Quindi, cancro ed aging possono essere viste come due diverse manifastezioni dello stesso processo di base, cioè l’accumulo di danni cellulari. Inoltre, diverse patologie associate con l’invecchiamento, come l’aterosclerosi e l’infiammazione, coinvolgono une crescita cellulare incontrollata o iperattività (116). Basandosi su questa struttura concettuale, una serie di questioni critiche sono sorte nel campo dell’aging riguardo le fonti fisiologiche del danno età associato, le risposte compensatorie che cercano di ristabilire l’omeostasi, le interconnessioni tra i diversi tipi di danno e le risposte compensatorie, e le possibilità di intervenire dall’esterno per ritardare l’invecchiamento. Una recente review di Kromer e colleghi ha provato ad identificare le caratteristiche molecolari cardine dell’invecchiamento. Ci sono nove caratteristiche che sono generalmente considerate come causa/contributo nel determinare il fenotipo tipico dell’aging (Figura 2). Figura 2: Schema raffigurante i nove meccanismi cardine che contraddistinguono l’invecchiamento: instabilità genomica, accorciamento dei telomeri, alterazioni epigenetiche, perdita di proteo stasi, de regolazione nutrienti dipendente, disfunzione mitocondriale, senescenza cellulare, esaurimento del pool di cellule staminali e alterata comunicazione intercellulare. Ogni meccanismo di questi sopra elencati dovrebbe idealmente soddisfare i seguenti criteri: 1 dovrebbe manifestarsi durante il normale invecchiamento; 2 la sua induzione o esacerbazione prodotta sperimentalmente dovrebbe accelerare l’invecchiamento; 3 la sua attenuazione dovrebbe ritardare il normale processo di invecchiamento e quindi incrementare la porzione della vita priva da malattie. L’ultimo criterio è il più difficile da soddisfare, anche se ristretto ad un solo aspetto dell’invecchiamento. Per questo motivo, non tutti gli interventi adottati basandosi su questi meccanismi si sono rivelati efficaci nell’attenuare l’invecchiamento. Questo fenomeno è fortificato dall’estesa interconnesione che c’è tra i vari meccanismi dell’aging, il che implica che l’attenuazione sperimentale di un particolare meccanismo potrebbe contrastare o modificare il decorso di un altro. 1.2 Instabilità genomica Un comune denominatore dell’invecchiamento è l’accumulo di danni al DNA durante la vita (117) (Figura 3). Inoltre, numerose sindromi caratterizzate da accelerato invecchiamento quali la sindrome di Werner e di Bloom, sono una conseguenza di un aumentato accumulo di danni al DNA (118), anche se la rilevanza di queste ed altre sindromi progeroidi come riferimento per lo studio del normale invecchiamento rimane da stabilire soprattutto perché queste presentano solo alcuni aspetti dell’aging. L’integrità e la stabilità del genoma è continuamente attaccata agenti esogeni di tipo fisico, chimico e biologico, così come da stress endogeni come errori nella replicazione, reazioni idrolitiche spontanee e ROS (specie reattive dell’ossigeno) (119). Le lesioni genetiche risultanti sono di diverso tipo ed includono mutazioni puntiformi, traslocazioni, perdita o guadagno di cromosomi, accorciamento dei telomeri e distruzione genica causata dall’integrazione di virus o trasposoni. Per minimizzare queste lesioni, gli organismi si sono evoluti sviluppando un complesso network di meccanismi di riparo del DNA che sono nel loro insieme capaci di limitare il danno inflitto al DNA nucleare (120). I sistemi di stabilità genomica includono meccanismi per il mantenimento dell’appropriata lunghezza e funzionalità dei telomeri, e per assicurare la stabilità anche del DNA mitocondriale (mtDNA) (121,122). Oltre a queste lesioni dirette al DNA, difetti nell’architettura nucleare, conosciute come laminopatie, possono causare istabilità genomica risultante in invecchiamento prematuro (123). Figura 3: Agenti endogeni o esogeni possono provocare una varietà di lesioni al DNA. Queste possono essere riparate grazie a diversi meccanismi. Eccessivo danno al DNA così come mancato riparo sono segni associati all’invecchiamento. DNA nucleare: accumulo di mutazioni somatiche sono state osservate sia in cellule provenienti da umani anziani che da modelli animali (124). Altre forme di danno al DNA, come aneuploidia e variazioni del numero di copie, sono state anche osservate con l’invecchiamento (125). Aumentato mosaicismo clonale per estese anormalità cromosomiche è anche stato descritto (126,127). Tutte queste alterazioni al DNA possono influenzare geni e pathway trascrizionali essenziali, portando a disfunzione cellulare e, se non eliminate per apoptosi o senescenza, ad alterazioni gravi dell’omeostasi tissutale. Ciò diventa particolarmente importante quando il danno genomico va ad impattare la funzionalità delle cellule staminali, compromettendo il loro ruolo nel rinnovamento tissutale (128,129). Evidenza causale per il link proposto tra accumulo di danno genetico durante la vita e invecchiamento è dato da studi su topi e umani, che mostrano che deficienze in meccanismi di riparo del DNA sono associate ad un accelerato invecchiamento come nelle sindromi di Werner, di Bloom, lo xeroderma pigmentosum, tricotiodistrofia, sindrome di Cockayne o di Seckel (130-132). Inoltre, topi transgenici overesprimenti BubR1, un componente di checkpoint premitotico che assicura l’accurata segregazione dei cromosomi, mostrano un’aumentata protezione contro aneuploidia e cancro, estendo la porzione di vita in salute (133). Questi risultati supportano la tesi che il rafforzamento artificiale dei meccanismi di riparo del danno al DNA possono ritardare l’invecchiamento. DNA mitocondriale: mutazioni e delezioni nel mtDNA invecchiato possono contribuire all’invecchiamento (134). Il mtDNA è stato considerato come uno dei principali bersagli delle mutazioni somatiche età associate in virtù del microambiente ossidativo presente nel mitocondrio, per la mancanza di istoni protettivi in questo DNA, e per la limitata efficacia dei meccanismi di riparo di questo DNA confrontati con quelli di riparo del genoma nucleare (135). L’implicazione causale delle mutazioni al mtDNA con l’invecchiamento è stata controversa per via della molteplicità dei genomi mitocondriali, che permette la co esistenza di genomi mutanti e wild type all’interno della stessa cellula, un fenomeno chiamato “eteroplasmia”. Tuttavia, analisi su singole cellule hanno mostrato che, nonostante il basso livello totale di mutazioni, il carico mutazionale di singole cellule invecchianti diventa significativo e potrebbe raggiungere uno stato di omoplasia in cui un genoma mutante domina quello normale (136). Degno di interesse, al contrario delle attese, la maggior parte delle mutazioni al mtDNA nelle cellule adulte o vecchie sembrano essere causate da errori di replicazione nella fase precoce della vita, piuttosto che da danno ossidativo. Queste mutazioni possono andare incontro ad espansione policlonale e causare disfunzione della catena respiratoria in diversi tessuti (137). Studi di accelerato invecchiamento in pazienti affetti da HIV trattati con antiretrovirali, che interferiscono con la replicazione del DNA mitocondriale, hanno supportato il concetto dell’espansione clonale delle mutazioni nel mtDNA che originano precocemente durante la vita (138). La prima evidenza a supporto di questa tesi deriva dall’identificazione di disordini multi organo simili per fenotipo a quelli dell’invecchiamento causati da mutazioni mitocondriali (139). Altre evidenze derivano da studi su topi con deficienza di DNA polimerasi γ. Questi topi mutanti presentano un accelerato invecchiamento e una durata della vita più breve in associazione con un accumulo di mutazioni puntiformi random e delezioni a carico del mtDNA (140-143). Cellule estratte da questi topi mostrano un alterata funzionalità mitocondriale ma, inaspettatamente, ciò non è accompagnato da un’aumentata produzione di ROS. Inoltre, le staminali prese da questi topi progeroidi sono particolarmente sensibili all’accumulo di mutazioni del mtDNA. Ulteriori studi sono necessari per determinare se manipolazioni genetiche che diminuiscono il carico delle mutazioni mitocondriali sono in grado di portare ad un’estensione della vita. Architettura nucleare: in aggiunta al danno genomico che influenza il DNA nucleare o mitocondriale, difetti nella lamina nucleare possono anche causare instabilità genomica (144). Le lamine nucleari costituiscono il principale componente della lamina nucleare, e partecipano nel mantenimento del genoma fornendo un supporto per l’ancoraggio della cromatina e dei complessi proteici che regolano la stabilità genomica (145-146). La lamina nucleare ha attirato l’attenzione dei gerontologi dopo la scoperta che mutazioni nei geni che codificano per queste proteine, o fattori che influenzano la maturazione o le dinamiche di questa struttura, causano sindromi di invecchiamento accelerato, come la progeria di Hutchinson-Gilford e la sindrome di Nèstor-Guillermo (HGPS e NGPS rispettivamente) (147-150). Alterazioni della lamina nucleare e la produzione di un’isoforma aberrante della prelamina A chiamata progerina sono anche state ritrovate nel normale aging umano (151,152). La disfunzione dei telomeri promuove anche la produzione di progerina nei normali fibroblasti umani dopo una prolungata coltura in vitro, suggerendo un legame intimo tra il mantenimento dei telomeri e l’espressione della progerina durane l’invecchiamento fisiologico (153). Oltre a questi cambiamenti età associati nelle lamine di tipo A, i livelli di lamina B1 si abbassano durante la senescenza cellulare, rendendolo un possibile candidato come marker di questo processo (154,155). Modelli animali e cellulari hanno facilitato l’identificazione dei pathway di stress sollecitati dall’ aberrazione della lamina nucleare tipica della HGPS. Questi includono l’attivazione di p53 (156), de regolazione dell’asse somatotrofico (157) e consumo di staminali adulte (158). La rilevanza causale delle anormalità nella lamina nucleare con l’invecchiamento prematuro è supportata dall’osservazione che dimunendo i livelli di prelamina A o di progerina ritarda l’insorgenza dei sintomi progeroidi e estende la durata della vita in modelli murini di HGPS. Questo può essere ottenuto o mediante l’iniezione sistemica di oligonucleotidi antisenso, o con l’uso di inibitori della farnesiltrasferasi o con una combinazione di statine e aminobisfosfonati (159,160). La restaurazione dell’asse somatotropico attraverso trattamenti ormonali così come l’inibizione di NF-kB sono capaci di allungare la durata della vita in questi topi progeroidi (161). Inoltre, una strategia basata sulla ricombinazione omologa è stata sviluppata per correggere la mutazione di LMNA nelle staminali pluripotenti (iPSCs) derivate da pazienti HGPS, aprendo una strada per la futura terapia cellulare (162). Ulteriori studi sono necessari per convalidare l’idea che il rinforzo dell’architettura nucleare possa ritardare l’invecchiamento fisiologico. In generale, ormai c’è un evidenza accertata che il danno genomico accompagni l’aging e che la sua induzione artificiale provochi l’accelerazione dell’invecchiamento. Nel caso del macchinario che assicura la segregazione fedele dei cromosomi, esiste l’evidenza genetica che il suo accrescimento possa estendere la longevità nei mammiferi (163).Inoltre, nel caso particolare delle progerie associate con difetti dell’architettura nucleare, c’è una prova di principio per utilizzare trattamenti che ritardano l’invecchiamento prematuro. Strade simili dovrebbero essere esplorate per trovare possibili interventi che rinforzino altri aspetti della stabilità genomica e mitocondriale e il loro impatto nel normale invecchiamento. 1.3 Accorciamento dei telomeri L’accumulo di danno al DNA che avviene con l’età sembra influenzare praticamente tutto il DNA, ma ci sono alcune regione cromosomiche, come i telomeri, che sono particolarmente suscettibile al deterioramento età associato (164). La DNA polimerasi manca della capacità di replicare completamente le porzioni terminali delle molecole di DNA lineare, una funzione che è propria di una polimerasi specializzata nota come telomerasi. Purtroppo, la maggior parte delle cellule somatiche dei mammiferi non esprimono questo enzima e ciò porta ad una progressiva perdita dei telomeri che sono sequenze protettive poste alla fine dei cromosomi. Il consumo dei telomeri spiega la limitata capacità proliferativa di alcuni tipi cellulari coltivati in vitro, che vanno incontro a senescenza replicativa o limite di Hayflick (165). Inoltre, l’espressione ectopica delle telomerasi è sufficiente per conferire immortalità alle cellule, senza causare trasformazioni oncogeni che (166). Non meno importante, l’accorciamento dei telomeri è stato anche osservato durante il normale invecchiamento sia nei topi che nell’uomo (166). I telomeri possono essere considerati come rotture del DNA che sono invisibili ai meccanismi di riparo grazie alla formazione di particolari complessi nucleo proteici noti come shelterin (167). Quindi non solo i telomeri sono progressivamente accorciati dall’assenza di telomerasi, ma, anche in presenza di queste, l’eventuale danno ai telomeri non può essere riparato a causa di questo meccanismo. Ciò porta al persistere di un danno al DNA che conduce a effetti cellulari dannosi, senescenza ed apoptosi (168,169). La deficienza di telomerasi nell’uomo è associata con lo sviluppo precoce di alcune patologie quali fibrosi polmonare, discheratosi congenita e anemia aplastica, patologie che coinvolgo la perdita di capacità rigenerativa di diversi tessuti (170). Un severo uncapping dei telomeri può anche derivare da carenze di componenti del complesso shelterin (171). Mutazioni del complesso shelterin sono state trovate in alcuni casi di anemia aplastica e discheratosi congenita (172,173) . Vari modelli di perdita di funzione per i componenti di shelterin sono caratterizzati da un rapido declino della capacità rigenerativa dei tessuti e invecchiamento accelerato , un fenomeno che si verifica anche in presenza di telomeri di lunghezza normale (174) . Modelli animali geneticamente modificati hanno stabilito un nesso causale tra la perdita dei telomeri e la senescenza cellulare e l'invecchiamento dell’organismo. I topi con telomeri accorciati o allungati mostrano diminuita o aumentata durata della vita , rispettivamente (175-177) . Recenti evidenze indicano inoltre che l'invecchiamento può essere bloccato attraverso l'attivazione della telomerasi . In particolare , l' invecchiamento precoce dei topi telomarasi deficienti può essere invertito quando la telomerasi è geneticamente riattivata in questi anni topi (178) . Inoltre , il normale invecchiamento fisiologico può essere ritardato senza aumentare l'incidenza di cancro in topi adulti wild-type tramite attivazione farmacologica o trasduzione virale sistemica della telomerasi (179,180) . Negli esseri umani , recenti meta-analisi hanno indicato una forte relazione tra telomeri corti e rischio di mortalità , soprattutto in giovane età (181) . Il normale invecchiamento è accompagnato da logoramento dei telomeri nei mammiferi . Inoltre , la disfunzione patologica dei telomeri accelera l'invecchiamento nei topi e nell'uomo , mentre la stimolazione sperimentale della telomerasi può ritardare l'invecchiamento nei topi , soddisfacendo così tutti i criteri richiesti ad una caratteristica fondamentale dell’invecchiamento. 1.4 Alterazioni epigenetiche Una varietà di alterazioni epigenetiche influenza tutte le cellule e i tessuti durante la vita (182) (Figura 4). Cambiamenti epigenetici coinvolgono alterazione nei pattern di metilazione, modificazioni post traslazionali degli istoni e rimodellamento della cromatina. Aumentata acetilazione dell’istone H4K16, trimetilazione di H4K20 e di H3K4 così come una diminuita metilazione di H3K9 o trimetilaione di H3K27 costituiscono tutti marker di invecchiamento epigenetici (183,184). Figura 4: Alterazioni epigenetiche. Alterazioni nell’acetilazione e nella metilazione del DNA o degli istoni, così come delle proteine associate alla cromatina, possono indurre cambiamenti epigenetici che portano all’invecchiamento I molteplici sistemi enzimatici che assicurano la genesi ed il mantenimento dei pattern epigenetici includono DNA metiltransferasi , istone acetilasi, deacetilasi, metilasi e demetilasi , così come complessi proteici implicati nel rimodellamento della cromatina . Modificazioni degli istoni. La metilazione degli istoni soddisfa i criteri richiesti ad una caratteristica dell’ invecchiamento negli invertebrati . La soppressione di componenti di complessi di metilazione estende la longevità nei nematodi e nelle mosche ( 185,186 ) .Inoltre, le iston demetilasi modulano la durata della vita interagendo con componenti di pathway chiave per la longevità come ad esempio quello dell’isulina/IGF1 (187). Non è ancora chiaro se le manipolazioni di enzimi modificanti gli istoni siano in grado di influenzare l'invecchiamento attraverso meccanismi puramente epigenetici , incidendo sulla riparazione del DNA e la stabilità del genoma , o attraverso alterazioni trascrizionali che influenzano il metabolismo o pathway fuori dal nucleo. La famiglia delle sirtuine che sono deacetilasi NAD - dipendenti o ADP - ribosiltransferasi è stata ampiamente studiata come potenziale fattori anti - invecchiamento . L’interesse in questa famiglia di proteine in relazione all'invecchiamento deriva da una serie di studi in lievito , mosche e vermi in cui è stato riportato che il singolo gene sirtuina di questi organismi, Sir2, ha una notevole influenza sulla longevità (187). Si è notao che la sovraespressione di Sir2 è capace di estendere la durata della vita in Saccharomyces cerevisiae (188), e relazioni successive hanno indicato che un’aumentata espressione dei suoi ortologhi nel verme (sir - 2.1) e nella mosca (dSir2 ) potrebbe estendere la durata della vita in entrambi i sistemi invertebrati (189,190). Questi risultati sono stati recentemente oggetto di discussione, perchè l'estensione di durata della vita originariamente osservata nel verme e nella mosca era dovuta principalmente a differenze di background genetico confondenti e non alla sovraespressione di sir- 2.1 o dSir2 rispettivamente (191). Infatti , una rivalutazione attenta indica che la sovraespressione di sir- 2.1 si traduce in una estensione della durata della vita modesta in C. elegans (192). Per quanto riguarda i mammiferi, diversi studi hanno dimostrato che mo-lte delle sette sirtuine dei mammiferi possono ritardare diversi parametri di invecchiamento nei topi (193,194). In particolare , la sovraespressione di SIRT1 in mammiferi transgenici, che è il più vicino omologo di Sir2 degli invertebrati, migliora alcuni aspetti della salute durante l'invecchiamento , ma non aumenta la longevità (195). I meccanismi coinvolti negli effetti benefici di SIRT1 sono complessi ed interconnessi e comprendono una vasta gamma di azioni cellulari, da miglioramento della stabilità genomica (196) a maggiore efficienza metabolica (197). Evidenze più consistenti per un ruolo pro - longevità delle sirtuine nei mammiferi sono state ottenute per SIRT6 , che regola la stabilità genomica, il signaling di NF -kB e l’omeostasi del glucosio attraverso la de acetilazione dell’ istone H3K9 (198-200). Topi mutanti carenti in SIRT6 mostrano invecchiamento accelerato (201) , mentre topi transgenici maschi che iperesprimono SIRT6 hanno una maggiore durata della vita rispetto agli animali di controllo, associata con ridotti livelli serici di IGF - 1 e altri marcatori del signaling di IGF - 1(202). È interessante notare che SIRT3 che è localizzata nei mitocondri sembra mediare alcuni degli effetti benefici della restrizione dietetica (DR) nella longevità, anche se i suoi effetti non sono dovuti a modificazioni degli istoni, ma alla deacetilazione di proteine mitocondriali (203). Molto recentemente, è stato dimostrato che la sovraespressione di SIRT3 è capace di rinstaurare la capacità rigenerativa delle cellule staminali ematopoietiche invecchiate (204). Pertanto , nei mammiferi, almeno tre membri della famiglia delle sirtuine, SIRT1, SIRT3 e SIRT6 , contribuiscono ad un sano invecchiamento tramite metilazione del DNA. La relazione tra la metilazione del DNA e l'invecchiamento è complessa. I primi studi hanno descritto una ipometilazione globale associata all'età , ma successive analisi hanno rivelato che diversi loci , compresi quelli corrispondenti ai vari geni soppressori tumorali e geni target di Polycomb, in realtà vengono ipermetilati con l'età (205). Cellule da pazienti e topi affetti da sindromi progeroidi presentano modelli di metilazione del DNA e modifiche degli istoni che in gran parte rappresentano quelli trovati nel normale invecchiamento (206). Tutti questi difetti epigenetici o epimutazioni accumulati nel corso della vita possono specificatamente influenzare il comportamento e la funzionalità delle cellule staminali (207). Tuttavia, finora non c'è dimostrazione sperimentale diretta che la durata della vita di un intero organismo può essere estesa modificando pattern di metilazione del DNA . Rimodellamento della cromatina. Enzimi che modificano gli istoni e il DNA agiscono di concerto con le proteine cromosomiche chiave, quali come la proteina 1α eterocromatina ( HP1α ), e fattori di rimodellamento della cromatina, come proteine del gruppo Polycomb o il complesso nurd , i cui livelli sono diminuiti in cellule normalmente o patologicamente invecchiate (208,209). Alterazioni in questi fattori epigenetici, insieme con le modifiche della metilazione di istoni e DNA determinano cambiamenti nell’architettura della cromatina, come la perdita globale di eterocromatina o la sua redistribuzione, che costituiscono caratteristiche dell’invecchiamento (210,211). La rilevanza causale di queste alterazioni della cromatina nell'invecchiamento è supportata dall'osservazione che mutazioni causanti perdita di funzione in HP1α nella mosca causa una vita più breve, mentre la sovraespressione di questa proteina ne estende la longevità e ritarda il deterioramento muscolare tipico della vecchiaia (212). A supporto della rilevanza funzionale delle alterazioni della cromatina nell’invecchiamento, c'è una connessione notevole tra formazione di eterocromatina in domini ripetuti del DNA e stabilità cromosomica. In particolare, l’assemblamento dell’eterocromatina nelle regioni pericentriche richiede la trimetilazione degli istoni H3K9 e H4K20, così come il legame di HP1α, ed è importante per la stabilità cromosomica (213). Ripetizioni telomeriche nei mammiferi sono inoltre arricchite di queste modificazioni della cromatina , indicando che estremità cromosomiche sono assemblate in domini di eterocromatina (214). Anche regioni subtelomeriche mostrano caratteristiche costitutive di eterocromatina come ad esempio trimetilazione di H3K9 e H4K20, legame di HP1α, e ipermetilazione del DNA. Così, alterazioni epigenetiche possono incidere direttamente sulla regolazione della lunghezza dei telomeri, uno dei tratti distintivi dell’invecchiamento. Inoltre, in risposta al danno al DNA, SIRT1 e altre proteine che modificano la cromatina si rilocalizzano nelle zone di rottura del DNA per promuovere la riparazione e la stabilità genomica (215). Oltre al sua ruolo nel rimodellamento della cromatina e riparazione del DNA , SIRT1 modula anche la proteostasi, la funzione mitocondriale, pathway nutrienti sensibili e l'infiammazione, il che indica l'interconnessione tra i tratti distintivi dell’ invecchiamento. Alterazioni trascrizionali. L'invecchiamento è associato ad un aumento del rumore trascrizionale (216), ed ad una produzione aberrante o errata maturazione di molti mRNA (217). Confronto tra microarray di tessuti giovani e vecchi provenienti da diverse specie hanno identificato cambiamenti trascrizionali legati all'età di geni che codificano per componenti chiave dell’infiammazione, mitocondri e pathway di degradazione lisosomiale (218). Queste caratteristiche trascrizionali invecchiamento-associate interessano anche RNA non codificanti, compresa una classe di miRNA (Gero - MIRS ), che è associata con il processo di invecchiamento e influenza la durata della vita modulando componenti dei network di longevità o regolando il comportamento delle cellule staminali ( 219,220). Studi di guadagno o perdita di funzione hanno confermato la capacità di più miRNA di modulare la longevità in Drosophila melanogaster e C. elegans (221,222). Inversione di cambiamenti epigenetici. A differenza di mutazioni del DNA, le alterazioni epigenetiche sono - almeno teoricamente - reversibili, quindi offrono opportunità per la progettazione di nuovi trattamenti anti-aging (223). Il ripristino dell’acetilazione fisiologica di H4 attraverso la somministrazione di inibitori delle istone deacetilasi , evita la manifestazione di disturbi età –associati della memoria nei topi (224), indicando che la reversione di Cambiamenti epigenetici potrebbero avere effetti neuroprotettivi. Gli inibitori dell’istone acetiltransferasi migliorano inoltre il fenotipo di invecchiamento precoce e prolungano la longevità in topi progeroidi (225). Peraltro, la recente scoperta di ereditarietà epigenetica transgenerazionale di longevità in C. elegans suggerisce che la manipolazione di specifiche modificazioni della cromatina nei genitori possano indurre una memoria epigenetica di longevità nei loro discendenti (226). In modo concettualmente simile agli inibitori dell’istone acetiltrasferasi, gli attivatori dell’ istone deacetilasi possono plausibilmente promuovere la longevità. Il resveratrolo è stato ampiamente studiato in relazione all'invecchiamento e uno tra i suoi molteplici meccanismi d’azione è l'aumento dell’ attività di SIRT1, ma anche altri effetti connessi con deficit energetici. Ci sono diverse prove che suggeriscono che l'invecchiamento è accompagnato da modifiche epigenetiche e che perturbazioni dell’epigenetica possono provocare sindromi progeroidi. Inoltre , SIRT6 esemplifica un’enzima che agisce a questo livello la cui perdita di funzione riduce la longevità e il cui guadagno di funzione estende la longevità nei topi (227,228). Collettivamente , questi lavori suggeriscono che la comprensione e la manipolazione dell’epigenoma è un campo promettente per migliorare le patologie legate all'età e estendere la durata della vita in buona salute. 1.5 Perdita di proteostasi L’invecchiamento e alcune malattie legate invecchiamento sono anche legati alla alterata omeostasi delle proteine o proteostasi (229) (Figura 5). Figura 5: Stress endogeni o esogeni causano lo srotolamento delle protein (o danneggiano il corretto ripegamento durante la sintesi). Le proteine non avvolte sono solitamente riavvolte dalle heat shock proteins o degradate dal sistema ubiquitina-proteasoma o da pathway lisosomi ali (autofagici). I pathway autafagici includono il riconoscimento di proteine disavvolte da parte del chaperone Hsc 70 e il seguente import all’interno del lisosoma (autofagia chaperone mediata) oppure avviene il sequestro di proteine e organelli danneggiati all’interno di autofagosomi che poi fondono coi lisosomi (macroautofagia). Fallimenti nel processo di riavvolgimento o di degradazione delle proteine srotolate può portare al loro accumulo e conseguente aggregazione, con effetti proteo tossici. Tutte le cellule usufruiscono di un array di meccanismi di controllo di qualità per preservare la stabilità e la funzionalità dei loro proteomi. La proteostasi coinvolge meccanismi per la stabilizzazione di proteine ripiegate correttamente, prevalentemente proteine della famiglia heat shock, e meccanismi di degradazione di proteine da parte del proteosoma o lisosomi (230-232) . Inoltre, ci sono regolatori di proteotossicità legati all'età, come MOAG-4, che agisce tramite una via alternativa distinta da chaperon molecolari e proteasi (233). Tutti questi sistemi funzionano in modo coordinato per ripristinare la struttura di polipeptidi mal ripiegati o per rimuoverli e degradarli completamente, così da impedire l'accumulo di componenti danneggiati e assicurando il continuo rinnovamento di proteine intracellulari. Molti studi hanno dimostrato che la proteostasi è alterata con l'invecchiamento (234). Inoltre, l'espressione cronica di proteine dispiegate, malripiegate o aggregate contribuisce allo sviluppo di una certe patologie età - correlate, come il morbo di Alzheimer, morbo di Parkinson e la cataratta (235). Folding chaperone - mediato delle proteine e stabilità. La sintesi indotta da stress di chaperon citosolici e organello - specifici è significativamente alterata durante l’invecchiamento (236). Un certo numero di modelli animali supportano l’idea di un impatto causale del declino chaperone sulla longevità. In particolare, vermi e mosche transgenici che iperesprimono proteine chaperon hanno lunga durata della vita (236). Inoltre, topi mutanti carenti in una co- chaperone famiglia heat-shock mostrano fenotipi di invecchiamento accelerato, mentre ceppi longevi di topi mostrano una marcata up-regulation di alcune proteine da shock termico (237). Inoltre, l'attivazione del principale regolatore della risposta heat-shock , il fattore di trascrizione HSF - 1, aumenta longevità e termotolleranza nei nematodi (238), mentre componenti leganti l’amiloide possono preservare la proteostasi durante l'invecchiamento e prolungare la durata della vita (239). In cellule di mammifero, la deacetilazione di HSF - 1 da parte di SIRT1 potenzia la transattivazione dei geni heat-shock come Hsp70, mentre la down-regulation di SIRT1 attenua la risposta heat-shock (240). Diversi approcci per mantenere o migliorare la proteostasi mirano ad attivare il folding proteico e la stabilità chaperon mediata. Induzione farmacologica di HSP72 preserva la funzione muscolare e ritarda la progressione della patologia distrofica in modelli murini di distrofia muscolare (241). Piccole molecole possono anche essere impiegate come chaperon farmacologici per assicurare il ripiegamento delle proteine danneggiate e migliorare fenotipi legati all'età in diversi modelli (242). Sistemi proteolitici. Le attività dei due principali sistemi proteolitici implicati nel controllo di qualità delle proteine, vale a dire, il sistema di autofagia - lisosomiale ed il sistema ubiquitina proteasoma, diminuiscono con invecchiamento (243), sostenendo l' idea che il collasso della proteostasi costituisce una caratteristica comune della vecchiaia. Per quanto riguarda l'autofagia, in topi transgenici con una copia extra del recettore per l’autofagia chaperone – mediata LAMP2a non si verifica il declino associato all'invecchiamento dell’attività autafagica e viene preservato un miglioramento della funzione epatica con l'invecchiamento (244). Interventi che utilizzano induttori chimici di macroautofagia (un altro tipo di autofagia diversa da quella chaperone - mediata) hanno stimolato un interesse straordinario dopo la scoperta che la somministrazione costante o intermittente della rapamicina (inibitore mTOR) può aumentare la durata della vita dei topi di mezza età (245,246). In particolare, la rapamicina ritarda molteplici aspetti dell'invecchiamento nei topi (247). L’effetto della rapamicina sull’estensione della durata della vita è strettamente dipendente dall’induzione di autofagia nel lievito, nei nematodi e nelle mosche (248,249). Tuttavia, non esistono prove analoghe riguardo gli effetti della rapamicina sull'invecchiamento dei mammiferi, e altri meccanismi quali inibizione della S6 protein chinasi 1 ribosomiale (S6K1), implicata nella sintesi proteica (250), potrebbero contribuire a spiegare gli effetti pro - longevità della rapamicina. La spermidina, un altro induttore di macroautofagia che, diversamente dalla rapamicina, non ha effetti collaterali immunosoppressivi, promuove anch’esso la longevità nel lievito , mosche e vermi tramite l'induzione di autofagia (251). Allo stesso modo , la supplementazione di nutrienti con preparati poliammidici contenenti spermidina o la somministrazione di flora intestinale che produce poliammine aumenta la longevità nel topo (252,253). La supplementazione dietetica con acidi grassi polinsaturi ω -6 estende anche la durata della vita nei nematodi attraverso l'attivazione dell'autofagia (254). In relazione al proteasoma, l'attivazione del signalind di EGF estende la longevità nei nematodi aumentando l'espressione dei vari componenti del sistema ubiquitina -proteasoma (255). Allo stesso modo , il potenziamento delle attività del proteasoma tramite inibitori della deubiquitilasi o attivatori del proteasoma accelera la clearance di proteine tossiche in cellule di derivazione umana in coltura (256), ed estende la durata della vita replicativa nel lievito (257). Inoltre, un’aumentata espressione della subunità del proteasoma RPN -6 da parte del fattore di trascrizione FOXO DAF -16 conferisce resistenza allo stress proteotossico ed estende la durata della vita in C. elegans (258). Ci sono prove che l'invecchiamento è associato ad una proteostasi alterata, e la perturbazione sperimentale della stessa può aggravare patologie età-associate. Degno di nota, esempi promettenti di manipolazioni genetiche che migliorano la proteostasi sembrano in grado di ritardare l'invecchiamento nei mammiferi (250). 1.6 Deregolazione di pathway sensibili ai nutrienti L'asse somatotropo nei mammiferi comprende l' ormone della crescita (GH), prodotto dalla pituitaria anteriore, ed il suo mediatore secondario, il fattore di crescita insulino-simile (IGF - 1), prodotto in risposta al GH da molti tipi di cellule, più in particolare dagli epatociti. La via di segnalazione intracellulare di IGF - 1 è la stessa di quella indotta dall’insulina, che informa le cellule della presenza di glucosio. Per questo motivo, IGF -1 e signaling dell'insulina sono conosciuti come un unico ' insulina e IGF-1 signaling ' (IIS) pathway. Sorprendentemente , questo IIS pathway è il più conservato tra le vie di controllo dell’invecchiamento e tra i suoi multipli target ci sono la famiglia di fattori di trascrizione FOXO e complessi mTOR, anch’essi coinvolti nell'invecchiamento e conservati attraverso l'evoluzione (251-253). Polimorfismi genetici o mutazioni che riducono le funzioni del GH, del recettore per IGF - 1, del recettore insulinico o effettori intracellulari a valle, come AKT , mTOR e FOXO , sono state collegate alla longevità , sia nell'uomo che in modello di organismi, illustrando il forte impatto di pathway trofici e bioenergetici sulla longevità (254,255). (Figura 6). Figura 6. Deregolazione associata ai nutrienti. Panoramica dell’asse somatrofico che coinvolge GH, IGF-1 e la sua relazione con la restrizione dietetica e l’invecchiamento. Molecole che producono invecchiamento sono rappresentate in arancio, mentre quelle con proprietà anti-aging sono in verde chiaro. Coerentemente con la rilevanza della deregolazione nutrienti sensibile come un segno distintivo dell'invecchiamento, la restrizione dietetica (DR) aumenta la durata della vita e la durata del periodo in salute in tutte le specie eucariote indagate, compresi gli organismi unicellulari e pluricellulari di diversi phyla, inclusi primati non umani (256-258). Pathway insulina/IGF-1. Manipolazioni genetiche multiple che attenuano l'intensità di segnalazione a diversi livelli del pathway IIS prolungano la durata della vita di vermi, mosche e topi (259). Le analisi genetiche indicano che questa via media parte degli effetti benefici della DR riguardo la longevità nei vermi e mosche (259). Tra gli effettori a valle del pathway IIS, quello più rilevante per la longevità nei vermi e mosche è il fattore di trascrizione FOXO (260). Nei topi, ci sono quattro membri della famiglia FOXO, ma l'effetto della loro sovra-espressione sulla longevità e il loro ruolo nel mediare l’aumento della salute durante la vecchiaia tramite la riduzione del signaling IIS non è ancora stato determinato. FOXO1 murino è richiesto per l'effetto oncosoppressore della DR (261), ma non è ancora noto se questo fattore è coinvolto nell’estensione della durata della vita DR mediata. I topi con aumentata espressione dell’oncosoppressore PTEN mostrano una generale down- modulazione del pathway IIS e un maggiore consumo energetico associato al miglioramento del metabolismo ossidativo mitocondriale, nonché una maggiore attività del tessuto adiposo bruno (262). In linea con altri modelli di topo con attività IIS diminuita , topi iperesprimenti PTEN, nonché topi ipomorfici PI3K mostrano un aumento della longevità (263). Paradossalmente, i livelli di GH e IGF - 1 diminuiscono durante l'invecchiamento normale, così come in modelli di invecchiamento precoce murino (264). Così , una diminuzione del IIS è una caratteristica comune dell'invecchiamento fisiologico e accelerato, mentre una diminuzione costitutiva del IIS estende la longevità . Queste osservazioni apparentemente contraddittorie potrebbero coesistere nell'ambito di un modello unificante con il quale una down- modulazione di IIS riflette una risposta difensiva volta a minimizzare la crescita cellulare e il metabolismo nel contesto di danno sistemico (265). Secondo questo punto di vista, organismi con una diminuzione costitutiva del IIS possono sopravvivere più a lungo perché hanno minori tassi di crescita cellulare e del metabolismo, e quindi tassi più bassi di danno cellulare. Sulla stessa linea, gli organismi, fisiologicamente o patologicamente hanno diminuzione del IIS con l’età nel tentativo di estendere la loro durata di vita. Tuttavia, risposte difensive contro l'invecchiamento possono avere il rischio di diventare deleterie, aggravando l'invecchiamento. Così, livelli estremamente bassi del signaling IIS sono incompatibili con la vita, come esemplificato dal topo con mutazioni di PI3K o della chinasi AKT, entrambe letali per l’embrione (266). Inoltre , ci sono casi di topi progeroidi con livelli molto bassi di IGF - 1, in cui la supplementazione di IGF -1 può migliorare l'invecchiamento precoce (267). Altri sistemi sensibili ai nutrienti: mTOR , AMPK e sirtuine. Oltre al pathway IIS che partecipa al rilevamento del glucosio, tre ulteriori sistemi nutrient – sensing tra loro interconnessi sono al centro di intense ricerche: mTOR , per il rilevamento delle alte concentrazioni di aminoacidi , AMPK , che avverte gli stati di bassa energia rilevando alti livelli di AMP, e le sirtuine, che sentono gli stati di bassa energia rilevando alti livelli di NAD + (268) (Figura 6). La chinasi mTOR è parte di due complessi multiproteici, mTORC1 e mTORC2, che regolano sostanzialmente tutti gli aspetti del metabolismo anabolico (269). La down- regolazione genetica dell'attività mTORC1 in lieviti, vermi e mosche estende la longevità e attenua gli ulteriori benefici di longevità della DR, suggerendo che l'inibizione di mTOR mima fenotipicamente DR (270). Nei topi, il trattamento con rapamicina estende anche la longevità ed è quello che è considerato l'intervento chimico più robusto per aumentare la durata della vita in mammiferi (271). Topi geneticamente modificati con bassi livelli di attività di mTORC1, ma normali livelli di mTORC2, hanno durata della vita aumentata (272), e topi carenti in S6K1 (un substrato di mTORC1) hanno anche vita lunga (273), indicando così la down-regulation di mTORC1/S6K1 come mediatore critico di longevità in relazione ad mTOR. Inoltre, l'attività di mTOR aumenta durante l'invecchiamento nei neuroni ipotalamici murini, il che contribuisce all'obesità legata all'età, e ciò è invertito dall’infusione diretta di rapamicina nell'ipotalamo (274). Queste osservazioni, insieme con quelle che coinvolgono il pathway di IIS, indicano che attività anabolica e trofica intensa, segnalata tramite IIS o le vie mTORC1, sono i principali acceleratori di invecchiamento. Sebbene l'inibizione dell'attività TOR ha evidentemente effetti benefici durante l'invecchiamento, ha anche effetti collaterali indesiderabili, come guarigione delle ferite alterata, insulino-resistenza , cataratta e degenerazione testicolare nei topi (275). Sarà quindi importante capire i meccanismi coinvolti, al fine di determinare se effetti dannosi e vantaggiosi dell’inibizione di TOR possano essere separati l'uno dall'altro. Gli altri due sensori di nutrienti, AMPK e sirtuine, agiscono nella direzione opposta a IIS e mTOR , nel senso che segnalano la scarsità di nutrienti e catabolismo invece dell’abbondanza e l’ anabolismo. Di conseguenza, la loro up -regulation favorisce un invecchiamento sano. L’attivazione di AMPK ha molteplici effetti sul metabolismo e, straordinariamente, spegne mTORC1 (276). Ci sono prove che indicano che l'attivazione di AMPK possa mediare l’estensione della vita osservata a seguito della somministrazione di metformina a vermi e topi (277,278). Oltre alle funzioni già menzionate, SIRT1 può deacetilare ed accendere l'attivatore PPAR co-1α ( PGC - 1α) (279). PGC- 1α orchestra una risposta metabolica complessa che comprende mitocondriogenesi, potenziamento delle difese anti- ossidanti, e miglioramento dell'ossidazione degli acidi grassi (280). Inoltre, SIRT1 e AMPK possano impegnarsi in un ciclo di feedback positivo, collegando così entrambi i sensori di stati a basso consumo energetico in una risposta unitaria (281). Collettivamente, evidenze attualmente disponibili sostengono fortemente l'idea che i signaling anabolizzanti accelerano l'invecchiamento mentre il signaling innescato da un basso apporto di nutrienti estende la longevità (270). Inoltre, una manipolazione farmacologica che simula uno stato di limitata disponibilità di nutrienti, come accade con la rapamicina, può estendere la longevità nei topi. 1.7 Disfunzione mitocondriale Durante l’invecchiamento di cellule ed organismi, l'efficacia della catena respiratoria tende a diminuire, con una crescente perdita di elettroni e riduzione della produzione di ATP (271) (Figura 7) . La relazione tra la disfunzione mitocondriale e l'invecchiamento è stato a lungo ipotizzata ma analizzarne i dettagli rimane ancora una sfida importante per la ricerca sull'invecchiamento. Le specie reattive dell'ossigeno ( ROS ). La teoria di invecchiamento mitocondriale dei radicali liberi propone che la progressiva disfunzione mitocondriale che si verifica con l’età risulta in un aumento della produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS), che a loro volta causano l’ ulteriore deterioramento mitocondriale e danno cellulare globale (272). Diversi dati supportano un ruolo dei ROS nell'invecchiamento, ma gli sviluppi degli ultimi cinque anni hanno costretto ad un’ intensa rivalutazione della teoria mitocondriale dei radicali liberi nell’invecchiamento (273). Di particolare impatto è stata l'osservazione inattesa che l’aumento dei ROS può prolungare la durata della vita in lievito e C. elegans (274,275). In modelli murini, manipolazioni genetiche che aumentano la produzione di ROS a livello mitocondriale ed il danno ossidativo non fanno accelerare l' invecchiamento (276), manipolazioni che aumentano le difese antiossidanti non estendono la longevità (277), ed inoltre manipolazioni genetiche che alterano la funzione mitocondriale senza aumentare la produzione di ROS accelerano l'invecchiamento (278-280). Questi e altri dati simili hanno aperto la strada ad una riconsiderazione del ruolo dei ROS nell'invecchiamento. Infatti, parallelamente e separatamente ai lavori sugli effetti dannosi dei ROS, il campo del signaling intracellulare sta accumulando solide prove riguardo il ruolo dei ROS nell'innescare segnali proliferativi e di sopravvivenza, in risposta a segnali fisiologici e a condizioni di stress (281). Le due linee di evidenza possono essere armonizzate se i ROS sono considerati come un segnale di sopravvivenza indotto dallo stress volto a compensare il deterioramento progressivo associato all'invecchiamento. Con l’avanzamento dell’età cronologica, i livelli di ROS aumentano nel tentativo di mantenere la sopravvivenza finché non tradiscono la loro funzione originaria, aggravando, anziché alleviando , i danni età – associati (282). Questo nuovo quadro concettuale può ospitare prove apparentemente contrastanti per quanto riguarda gli effetti positivi, negativi o neutri di ROS nell’invecchiamento. Integrità mitocondriale e biogenesi. Mitocondri disfunzionali possano contribuire all'invecchiamento indipendentemente dai ROS, come esemplificato dagli studi con i topi con deficit di DNA polimerasi γ (283). Ciò può avvenire attraverso una serie di meccanismi, per esempio carenze mitocondriali possono influenzare segnali apoptotici aumentando la propensione dei mitocondri a permeabilizzarsi in risposta allo stress (284), e scatenare reazioni infiammatorie favorendo l’attivazione dell’inflammasoma ROS - mediato e / o facilitato dalla permeabilizzazione (285). Inoltre, la disfunzione mitocondriale può influire direttamente sulla segnalazione cellulare e sul crosstalk tra organelli, influenzando le membrane mitocondrio associate che costituiscono l'interfaccia tra la membrana mitocondriale esterna ed il reticolo endoplasmatico (286). La ridotta efficienza della bioenergetica mitocondriale con l'invecchiamento può derivare da molteplici meccanismi convergenti tra cui ridotta biogenesi dei mitocondri, per esempio, come conseguenza del logoramento dei telomeri nei topi telomerasi - carenti, con conseguente repressione p53 mediata di PGC- 1α e PGC - 1β (287). Questa flessione mitocondriale si verifica anche durante l'invecchiamento fisiologico in topi wild-type e può essere parzialmente invertita mediante attivazione della telomerasi (288). SIRT1 modula la biogenesi mitocondriale attraverso un processo che coinvolge il co-attivatore trascrizionale PGC - 1α (289) e la rimozione dei mitocondri danneggiati tramite autofagia (290). SIRT3, che è la principale deacetilasi mitocondriale (291), ha come target molti enzimi coinvolti nel metabolismo energetico, compresi i componenti della catena respiratoria, del ciclo degli acidi tricarbossilici, della chetogenesi e del pathway della β – ossidazione dei grassi (292). SIRT3 può anche controllare direttamente il tasso di produzione di ROS tramite de acetilazione della manganese superossido dismutasi, un importante enzima antiossidante mitocondriale (293). Collettivamente, questi risultati supportano l'idea che le sirtuine possono agire come sensori metabolici per controllare la funzione mitocondriale e giocare un ruolo protettivo contro le malattie età-associate. Altri meccanismi che causano difetti bioenergetici comprendono accumulo di mutazioni e delezioni del mtDNA, ossidazione delle proteine mitocondriali, destabilizzazione dell’organizzazione macromolecolare dei (super) complessi della catena respiratoria, cambiamenti nella composizione lipidica delle membrane mitocondriali, alterazioni delle dinamiche mitocondriali derivanti da uno squilibrio tra eventi di fissione e fusione, e il difettoso controllo di qualità della mitofagia, un forma organello – specifica di macroautofagia che ha come obiettivi di mitocondri ineficcienti portandoli a degradazione proteolitica (294). La combinazione tra una maggiore danno e la riduzione del turnover nei mitocondri, a causa della minore biogenesi e della clearance ridotta, può contribuire al processo di invecchiamento (Figura 7). Figura 7: La funzionalità mitocondriale viene perturbata da mutazioni al mtDNA associate all’invecchiamento, da ridotta mitocondriogenesi, da destabilizzazione dei complessi della catena di trasporto degli eletteroni (ETC), dinamiche mitocondriale alterate e controllo qualitative difettoso della mitofagia. Segnali di stress e funzionalità mitocondriale difettosa generano ROS che, al disotto di una certa soglia, generano segnali pro sopravvivenza al fine di ristabilire l’omeostasi cellulare, ma che a livelli alti e continuativi possono contribuire all’invecchiamento. In modo simile, un lieve danno mitocondriale può indurre una risposta ormetica (mitormesi) che promuove processi adattativi compensatori. È interessante notare che, allenamento di resistenza così come giorni di digiuno alternati possono migliorare la durata del periodo di salute attraverso la loro capacità di evitare la degenerazione dei mitocondri (295). Si è tentato di ipotizzare che questi effetti benefici sono mediati, almeno in parte, da un’induzione di autofagia, per la quale sia l'allenamento di resistenza che il digiuno costituiscono potenti attivatori (296). Tuttavia, l'induzione di autofagia non è probabilmente l'unico meccanismo attraverso il quale uno stile di vita sano può ritardare l'invecchiamento in quanto, a seconda del preciso regime DR , percorsi di longevità aggiuntivi possono essere attivati (297). Mitormesi. Disfunzioni mitocondriali che si verificano durante l' invecchiamento sono anche collegate con l’ormesi, un concetto su cui un certo numero di linee di ricerca sono recentemente confluite (298). Secondo questo concetto, trattamenti tossici lievi innescano risposte compensatorie benefiche che superano la riparazione del danno generato, e in realtà producono un miglioramento della salute cellulare rispetto alle condizioni di partenza pre - danno. Così, sebbene la grave disfunzione mitocondriale è patogenica, carenze respiratorie lievi possono aumentare la durata della vita, forse a causa di una risposta ormetica (299). Tali reazioni ormetiche potrebbero consistere nell'induzione di una risposta allo stress mitocondriale, o nello stessa tessuto in cui i mitocondri sono difettosi, o anche in tessuti distanti, come mostrato in C. elegans (300). Ci sono prove convincenti che composti come metformina e resveratrolo sono veleni mitocondriali lievi che inducono uno stato di basso consumo energetico caratterizzato da aumento dei livelli di AMP e l'attivazione di AMPK (301). È importante sottolineare che, la metformina estende la durata della vita in C. elegans tramite l'induzione di una risposta compensatoria allo stress mediata dalla AMPK e dall’importante regolatore antiossidante Nrf2 (302). Recenti studi hanno inoltre dimostrato che la metformina ritarda l'invecchiamento nei vermi compromettendo il metabolismo di folati e metionina del loro microbioma intestinale (303). Per quanto riguarda i mammiferi, la metformina può aumentare la durata della vita del topo quando somministrato sin dai primi anni di vita (304). Nei casi di resveratrolo e dell'attivatore di sirtuine SRT1720, ci sono prove convincenti che proteggono dai danni metabolici e migliorano la respirazione mitocondriale in maniera PGC - 1α - dipendente (304-307), anche se il resveratrolo non estende la durata della vita nel topo in condizioni alimentari normali (308). Ulteriore supporto per il ruolo di PGC - 1α nella longevità deriva dalla constatazione che la sovra espressione di PGC - 1α è sufficiente per estendere la durata della vita in Drosophila, fenomeno associato ad una migliore attività mitocondriale (309). Infine, il disaccoppiamento mitocondriale , sia ottenuto geneticamente attraverso la sovraespressione della proteina UCP1 disaccoppiante o mediante somministrazione del disaccoppiante chimico 2-4- dinitrofenolo può aumentare la durata della vita in mosche e topi (310,311). La funzione mitocondriale ha un profondo impatto sul processo di invecchiamento. La disfunzione mitocondriale può accelerare l'invecchiamento nei mammiferi (312), ma è meno chiaro se il miglioramento della funzione mitocondriale, per esempio attraverso la mitormesi, può estendere la durata della vita nei mammiferi, anche se suggestive prove in questo senso esistono già. 1.8 Esaurimento del pool di cellule staminali La diminuzione del potenziale di rigenerazione dei tessuti è una delle caratteristiche più evidenti dell'invecchiamento (Figura 8). Ad esempio, l’ematopoiesi diminuisce con l'età, con conseguente diminuita produzione di cellule immunitarie, un processo chiamato immunosenescenza, portando anche ad una maggiore incidenza di anemia e leucemie mieloidi maligne (313). Un simile logoramento funzionale delle cellule staminali è stato trovato sostanzialmente in tutti i compartimenti di cellule staminali adulte, compreso il proencefalo del topo (314), l'osso (315), o le fibre muscolari (316). Studi su topi anziani hanno rivelato una diminuzione complessiva dell’attività del ciclo cellulare delle cellule staminali ematopoietiche (HSC), HSC vecchie in compiono meno divisioni cellulari di cellule staminali emopoietiche giovani (317). Questo comportamento correla con l'accumulo di danno al DNA, e con la sovraespressione di proteine inibitorie del ciclo cellulare come p16INK4a (318). Infatti , HSC vecchie INK4a - / - mostrano una migliore capacità di attecchimento e un aumento dell'attività del ciclo cellulare in confronto con le vecchie cellule staminali emopoietiche wild-type (318). L’accorciamento dei telomeri è anche un importante causa del declino delle cellule staminali osservato con l’invecchiamento in diversi tessuti (319). Questi sono solo esempi di un quadro molto più ampio in cui il declino delle cellule staminali adulte emerge come una conseguenza di molteplici tipi di danni. Sebbene la proliferazione carente di cellule staminali e progenitrici è ovviamente dannosa per il mantenimento a lungo termine dell'organismo, un'eccessiva proliferazione di staminali e cellule progenitrici può anche essere deleteria in quanto accelera l'esaurimento delle nicchie staminali. L’importanza della quiescenza delle cellule staminali per la loro funzionalità a lungo termine è stata convincentemente dimostrata nel caso delle cellule staminali intestinali di Drosophila, dove un’eccessiva proliferazione porta ad esaurimento e invecchiamento precoce (320). Una situazione simile si incontra nei topi p21 - null, che presentano esaurimento prematuro delle cellule staminali emopoietichi e neuronali (321). A questo proposito, l'induzione di INK4a durante l'invecchiamento e la diminuzione di IGF – 1 serica, potrebbero entrambi riflettere un tentativo dell'organismo di preservare la quiescenza delle cellule staminali. Inoltre , recenti studi hanno dimostrato che un aumento del signaling di FGF2 nella nicchia di staminali del muscolo invecchiate provoca perdita di quiescenza, ed eventualmente deplezione delle cellule staminali e diminuita capacità rigenerativa, mentre la soppressione di questa via di segnalazione allevia questi difetti (322). Questo apre la possibilità di progettare strategie volte a inibire il signaling di FGF2 per ridurre l’esaurimento di cellule staminali durante l'invecchiamento. Un dibattito importante per quanto riguarda il declino della funzione delle cellule staminali è il ruolo relativo di pathway intriseci alla cellula rispetto a quelli estrinseci (323). Lavori recenti hanno fornito un forte sostegno per i secondi. In particolare, la DR aumenta la funzionalità delle staminali intestinali e muscolari attraverso meccanismi cellule estrinseci (324). Allo stesso modo, il trapianto di cellule staminali derivate dal muscolo di topi giovani a topi progeroidi estende la durata della vita e migliora cambiamenti degenerativi di questi animali anche in tessuti in cui cellule donatrici non vengono rilevate, suggerendo che il loro beneficio terapeutico può derivare da effetti sistemici causati da fattori secreti (325). Inoltre, esperimenti di parabiosi hanno dimostrato che il declino della funzione delle cellule staminali neuronali e muscolari di vecchi topi può essere invertito da fattori sistemici di topi giovani (326). Interventi farmacologici sono inoltre in fase di studio per migliorare la funzione delle cellule staminali. In particolare, l'inibizione di mTORC1 con la rapamicina, che può ritardare l'invecchiamento, migliorando proteostasi e influenzando il rilevamento di energia, può anche migliorare la funzione delle cellule staminali nell’ epidermide, nel sistema ematopoietico e nell'intestino (326,327). Questo illustra la difficoltà di districare la base meccanicistica per l'attività anti -invecchiamento della rapamicina, e sottolinea l'interconnessione tra le diverse caratteristiche di invecchiamento. E' anche opportuno ricordare che si parla della possibilità di ringiovanire cellule senescenti umane attraverso l'inibizione farmacologica della GTPasi CDC42, la cui attività è aumentata nelle HSC vecchie (328). L’esaurimento delle cellule staminali si spiega come conseguenza integrativa di diversi tipi di danni età associati e probabilmente costituisce uno dei principali responsabili dell’invecchiamento di tessuti e organismi. Recenti studi promettenti suggeriscono che il ringiovanimento della cellula staminale può invertire il fenotipo di invecchiamento a livello dell’organismo (329). Figura 8. Esaurimento staminali. Esemplificazione schematica degli effetti del depauperamento dei vari compartimenti di staminali adulte. Comunicazione intercellulare alterata. Esempi di comunicazione intercellulare alterata associati all’aging. 1.9 Comunicazione intercellulare alterata Al di là di alterazioni cellulari, l'invecchiamento comporta anche modifiche a livello di comunicazione intercellulare, sia esso endocrino, neuroendocrino o neuronale (330) ( Figura 8). Ad esempio, singnaling neurormonali (ad esempio, l’asse renina - angiotensina, adrenergici, singnaling dell'insulina - IGF1 ) tendono ad essere deregolati durante l’invecchiamento all’aumentare delle reazioni infiammatorie, mentre l’immunosorveglianza contro patogeni e cellule precancerose declina, e la composizione dell’ambiente extra e peri cellulare cambia, influenzando in tal modo le proprietà meccaniche e funzionali di tutti tessuti. Infiammazione. Una alterazione associata all'invecchiamento di primo piano nella comunicazione intercellulare è l’ 'inflammaging', cioè un fenotipo pro –infiammatorio che accompagna l'invecchiamento nei mammiferi. L’inflammaging può derivare da molteplici cause quali l'accumulo di danno tissutale pro - infiammatorio, il fallimento di un sempre più disfunzionale sistema immunitario verso agenti patogeni e cellule ospiti disfunzionali, la propensione di cellule senescenti a secernere citochine pro-infiammatorie (vedere la sezione sulla senescenza cellulare), la maggiore attivazione del fattore di trascrizione NF -kB , o il verificarsi di un guasto nella risposta autofagica. Queste alterazioni comportano una maggiore attivazione dell’inflammasoma NLRP3 e altri pathway pro - infiammatori, con conseguente aumento della produzione di IL - 1, fattore di necrosi tumorale e interferoni. L'infiammazione è anche coinvolta nella patogenesi dell'obesità e diabete di tipo 2, due condizioni che contribuiscono, e correlano con l'invecchiamento nella popolazione (321). Allo stesso modo , le risposte infiammatorie difettose giocano un ruolo critico nell'aterosclerosi (322) . La recente scoperta che l'infiammazione associata all'età inibisce la funzione delle cellule staminali epidermiche (323), supporta ulteriormente l' intricata concatenazione di diverse caratteristiche che rafforza il processo di invecchiamento. Parallelamente all’inflammaging, la funzione del sistema immunitario adattativo declina (324). Questa immunosenescenza può aggravare il fenotipo di invecchiamento a livello sistemico, a causa del fallimento del sistema immunitario nell’eliminare agenti infettivi , cellule infettate e cellule sull'orlo di una trasformazione maligna . Inoltre , una delle funzioni del sistema immunitario è quella di riconoscere ed eliminare le cellule senescenti, nonché le cellule iperdiploidi che si accumulano nei tessuti invecchiati e nelle lesioni precancerose (325,315). Studi globali sul paesaggio trascrizionale dei tessuti invecchiati hanno inoltre sottolineato la pertinenza delle vie infiammatorie nell'invecchiamento (326) .Iper - attivazione del pathway di NF -kB è una di questi firme trascrizionali di invecchiamento e l’espressione condizionale di un inibitore di NF -kB nella pelle invecchiata di topi transgenici provoca il ringiovanimento fenotipica di questo tessuto, così come il ripristino dell’attività trascrizionale tipica della giovane età (327). Allo stesso modo, l’inibizione genetica e farmacologica del signaling di NF -kB attenua caratteristiche associate all'età in diversi modelli murini di invecchiamento accelerato (258). Un collegamento tra infiammazione e invecchiamento deriva dalla recente scoperta che risposte infiammatorie allo stress attivano NF -kB nell'ipotalamo e inducono una via di segnalazione che risulta nella riduzione della produzione di ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH ) dai neuroni (302). Questo declino di GnRH può contribuire a numerosi cambiamenti legati all'invecchiamento come la fragilità ossea, debolezza muscolare, atrofia cutanea e ridotta neurogenesi. Coerentemente , il trattamento con GnRH impedisce la riduzione nella neurogenesi e rallenta l'invecchiamento nei topi. Questi risultati suggeriscono che l'ipotalamo possa modulare l'invecchiamento sistemico, integrando le risposte infiammatorie NF- kB - guidate con effetti neuroendocrini GnRH - mediati. Ulteriore evidenza in vivo che collega l'infiammazione e l'invecchiamento deriva dal lavoro sul fattore di decadimento del mRNA AUF1 , che è implicato nella cessazione della risposta infiammatoria mediante degradazione di messaggeri di citochine (328). Topi AUF1 - carenti mostrano una marcata senescenza cellulare e prematuro invecchiamento che può essere evitato dalla ri espressione di questo fattore legante l'RNA. È interessante notare che oltre a dirigere il decadimento di mRNA di citochine infiammatorie, AUF1 contribuisce a mantenere la lunghezza dei telomeri attivando l'espressione della subunità catalitica della telomerasi TERT (328), dimostrando nuovamente che un singolo fattore può avere un forte impatto su diverse caratteristiche di invecchiamento. Una situazione simile si verifica con le sirtuine, che possono anche avere un impatto sulla risposta infiammatoria associata all'invecchiamento. Diversi studi hanno rivelato che, tramite deacetilazione di istoni e componenti di vie di segnalazione infiammatorie quali NF -kB, SIRT1 può down- regolare i geni infiammazione - correlati (329). Coerentemente con questi risultati, la riduzione dei livelli di SIRT1 correla con lo sviluppo e la progressione di molte malattie infiammatorie, mentre l'attivazione farmacologica di SIRT1 può prevenire risposte infiammatorie nei topi (330). SIRT2 e SIRT6 possono anche down- regolare la risposta infiammatoria mediante deacetilazione di una subunità di NF – kB con conseguente repressione trascrizionale dei suoi geni bersaglio (330). Altri tipi di comunicazione intercellulare. Oltre l’infiammazione, prove indicano che i cambiamenti relativi all’invecchiamento in un tessuto possono portare al deterioramento aging - specifico di altri tessuti, spiegando il coordinamento inter- organo del fenotipo di invecchiamento. Oltre alle citochine infiammatorie , ci sono altri esempi di ' invecchiamento contagioso ' o effetti bystander in cui le cellule senescenti inducono senescenza nelle cellule vicine attraverso gap junction e processi cellula-cellula che coinvolgono ROS (331). Il microambiente contribuisce ai difetti funzionali età correlati delle cellule T CD4, come mostrato da un modello di trasferimento adottivo in topi (332). Allo stesso modo, la funzione renale alterata può aumentare il rischio di malattie cardiache negli esseri umani (333). Al contrario, manipolazioni di un unico tessuto possono ritardare il processo di invecchiamento in altri tessuti ( 330-333). Ripristino di comunicazione intercellulare difettoso. Ci sono diverse possibilità per ripristinare la comunicazione intercellulare difettosa tipica dei processi di invecchiamento, compresi interventi genetici , nutrizionali e farmacologici che possono migliorare le proprietà di comunicazione cellulacellula che si perdono con l'invecchiamento (280). Di particolare interesse in questo senso sono gli approcci di DR per estendere la durata della vita in buona salute (301), e le strategie di ringiovanimento basate sull'impiego di fattori sistemici ematici identificati in esperimenti di parabiosi. Inoltre , la somministrazione a lungo termine di agenti anti -infiammatori come l'aspirina può aumentare la longevità nei topi e migliorare l'invecchiamento sano nell'uomo (334). Inoltre, dato che il microbioma intestinale modella la funzione del sistema immunitario dell’ospite ed esercita effetti metabolici sistemici, sembra possibile estendere la durata della vita mediante manipolazione della composizione e della funzionalità del complesso intestinale e dell’ecosistema di batteri del corpo umano (335). Ci sono prove convincenti che l'invecchiamento non è un fenomeno biologico esclusivamente cellulare ma che è accoppiato ad una alterazione generale nella comunicazione intercellulare, il che offre opportunità di modulare l'invecchiamento a questo livello. Eccitante, una prova di principio esiste per il ringiovanimento attraverso fattori sistemici per via ematica. 1.10 Senescenza cellulare Un meccanismo fondamentale che contribuisce alle disfunzioni età correlate e all’infiammazione sterile cronica è la senescenza cellulare (Figura 9). Figura 9: Una distruzione dell’intersezione tra I meccanismi fondamentali dell’invecchiamento e I processi che portano alle patologie croniche potrebbero ritardare l’insorgenza delle stesse condizioni di cronicità età-associate e la disabilità come gruppo e di conseguenza aumentare la porzione di vita in salute. L’aumentare delle cellule senescenti contribuisce all’eziologia precoce di queste condizioni e accelera la progressione delle stesse. La patologie croniche, insieme alle vicine cellule senescenti può guidare la senescenza delle cellule sane, contribuendo ad una spirale di disfunzione ed infiammazione crescente. L’infiammazione cronica associata alla SASP, insieme a quella preclinica ed alle patologie croniche, può predisporre alla fragilità, la sarcopenia ed eventualmente alla mortalità. Il termine senescenza cellulare si riferisce essenzialmente all’arresto irreversibile della replicazione cellulare che avviene quando le cellule vanno incontro ad insulti potenzialmente oncogenici (3338), accompagnato da cambiamenti morfologici sterotipati. Ci sono oramai forti evidenze che indicano la senescenza cellulare come un potente meccanismo anticancro (39-42). Al contrario, nonostante il suo nome, la sua scoperta oltre 50 anni fa, e l’aumento dei dati che associano le cellule senescenti col fenotipo dell’invecchiamento e le patologie età-correlate, evidenze emerse solo recentemente dimostrano come eliminando le cellule senescenti si possano effettivamente ritardare la comparsa delle disfunzioni età associate (51), almeno su un modello murino progeroide. Questi risultati devono essere verificati anche in modelli di invecchiamento cronologico, ma si tratta della prima chiara evidenza in vivo che le cellule senescenti sono importanti attori di multiple patologie età associate. Come la senescenza cellulare contribuisca a queste ed in generale alla fragilità rimane una delle questioni aperte più importanti nella biologia dell’aging e della geriatria clinica. Il numero delle cellule senescenti aumenta in diversi tessuti col progredire dell’età cronologica o nelle sindromi progeroidi (43,47,50,52-55). Diversi meccanismi sono stati identificati come causa di o associati alla senescenza cellulare, e tutti questi aumentano con l’età (Figura 3). Figura 10: Un numero di induttori diversi può agire da solo o in combinazione per spingere le cellule in senescenza attraverso pathway che coinvolgono p16INK4a/Rb,p53/p21, e probabilmente altri. Cause possono includere danno al DNA (ad esempio accorciamento dei telomeri o rottura della catena); mutazioni oncogenice (Ras, Myc, B-Raf); metaboliti reattivi (ROS, ceramidi, acidi grassi, alti livelli di glucosio); alti livelli di mitogeni e nutrienti che aumentano l’attività di mTOR; stress proteotossico (aggregazione proteica e proteine non ripiegate). Tutto ciò può contribuire a un diffuso cambiamento dell’espressione genica e ad un rimodellamento della cromatina (formazione di etero cromatina) che sottolinea l’arresto replicativo associato alla senescenza, la SASP, e i cambiamenti morfologici associati. In questo contesto, la senescenza cellulare può essere visto come un destino della cellula che ricorda la differenziazione, la replicazione, o apoptosi ( ci sono induttori interni ed esterni, cascate di fattori di trascrizione, cambiamenti dell’espressione genica e rimodellamento della cromatina che possono portare al cambiamento di funzione). L’evidenza è più netta per alcuni iniziatori e mediatori di senescenza, e future ricerche mirano a scoprire altre molecole coinvolte. Loop autocrini intracellulari rinforzano la progressione dell’arresto replicativo irreversibile, la formazione di etero cromatina, e l’iniziazione della SASP che richiede da giorni a settimane per istaurarsi stabilmente. Oltre a rimuovere cellule dal pool di progenitori/staminali, la senescenza può contribuire alla disfunzione tissutale e predisporre alle patologie croniche attraverso SASP e l’infiammazione sterile associata e la degradazione di matrice extracellulare. Cause che inducono senescenza includono divisioni cellulari ripetute e forti segnali mitogenici, accorciamento dei telomeri, danni al DNA e mutazioni, aggregazione proteica e aumento dei livelli di ROS (46, 56-60). Questi insulti attivano pathway oncosoppressori quali quelli di p53 e p16INK4a e potenzialmente anche altri per iniziare una risposta che porti alla senescenza. Una volta innescata, la senescenza richiede giorni o addirittura settimane per diventare pienamente stabile e irreversibile. Il processo è rinforzato da un signaling intracellulare a loop che include DDR (risposta al danno al DNA da ROS), NF-kB, TGF, così come IL-1, IL-6 e C/EBP (CCAAT enhancer binding protein) (59, 61-64). Le cellule senescenti riorganizzano la cromatina, con la formazione di etero cromatina, cambiamenti estensivi dell’espressione genica, aumento delle dimensioni cellulari e del contenuto proteico e cambiamenti della forma della cellula e degli organelli (55,65,66). Le cellule senescenti sono metabolicamente attive, relativamente resistenti all’apoptosi, e sembrano essere rimosse dal sistema immunitario (33,67,68). La senescenza appare effettivamente come un possibile destino della cellula, al pari della replicazione, della differenziazione o dell’apoptosi e può accadere ad ogni punto della vita. Un tratto comune dei tessuti dell’anziano è l’infiammazione cronica a basso grado, denominata infiammazione sterile (ad indicare l’assenza di patogeni) o inflammaging (69-72). L’infiammazione cronica può causare patologie tramite almeno due meccanismi. Primo, le cellule immunitarie infiltrate nei tessuti ne possono causare la degradazione tramite rilascio di molecole tossiche o reattive. Secondo, citochine pro-infiammatorie possono provocare cambiamenti fenotipici che sono indipendenti dal sistema immunitario. Per esempio, IL-6 e IL-8 possono stimolare l’angiogenesi, distruggere la comunicazione cellula-cellula, impedire la funzione macrofagica, indurre risposta da parte dell’immunità innata e promuovere l’invasione e la migrazione di cellule epiteliali ed endoteliali. Poco si conosce riguardo la fonte di questa infiammazione sterile che aggrava molte patologie età associate, come quelle degenerative, oppure la perdita di funzionalità cerebrale, così come patologie iperproliferative come il cancro. Quest’infiammazione cronica potrebbe derivare in parte da un declino età associato della normale omestasi del sistema immunitario o dalla resistenza a microbi endogeni. Oppure potrebbe derivare in parte da cellule senescenti: queste infatti secernono citochine pro-infiammatorie, chemochine e proteasi e questo fenomeno è denominato SASP (senescense-associated secretory phenotype ovvero fenotipo secretorio associato alla senescenza) (80,81). 1.11 SASP La SASP è fondamentalmente un DDR (risposta al danno al DNA) (82). La SASP, attraverso i fattori infiammatori, promuoventi la crescita e il rimodellamento che produce, può spiegare come le cellule senescenti alterano il microambiente tissutale, attraggono le cellule del sistema immunitario, e inducono un fenotipo maligno nelle cellule vicine. Proteine associate a SASP, come il TNF, IL-6, MMPs, monocyte chemoattractant protein-1 (MCP-1), e IGF binding proteins (IGFBPs), aumentano in diversi tessuti durante l’invecchiamento cronologico (64) e ciò accade parallelamente all’infiammazione sterile. Inoltre, l’espressione dei componenti della SASP IL 6, IGFP-2 e PAI-1 (plasminogen activator inhibitor) è molto più elevata nelle cellule senescenti p16INK4a positive isolate da tessuto adiposo del topo progeroide vecchio rispetto alle cellule non senescenti isolate dallo stesso tessuto (51). Questi risultati suggeriscono che la SASP è il principale attore dell’infiammazione età correlata, quantomeno nel tessuto adiposo in certe condizioni. Quindi, l’eliminazione selettiva delle cellule senescenti o dei loro effetti potrebbe essere un buon modo per ridurre l’infiammazione sterile età associata, aumentare la porzione di vita priva da malattia e interrompere il legame tra invecchiamento e patologie croniche. La senescenza cellulare è un arma a doppio taglio. Ci sono due concetti fondamentali per comprendere l’impatto positivo e negativo della senescenza sulla salute dell’organismo. Il primo è l’antagonismo pleiotropico. Quest’elemento della teoria evolutiva dell’aging sostiene l’esistenza di processi che sono stati selezionati nel corso dell’evoluzione per assicurare la salute nella prima parte della vita (ad esempio controllo immunitario delle cellule cancerose), ma che risultano poi avere effetti deleteri nella porzione ultima della vita causando il fenotipo dell’invecchiamento e le patologie ad esso associate (83). Volendo semplificare il concetto solo nell’ultimo secolo è aumentata sensibilmente la durata della vita, grazie al miglioramento delle condizioni igieniche e alla scoperta di centinaia di farmaci e terapie, e nessuno ha avuto un vantaggio riproduttivo nel raggiungere un’età più avanzata in salute, rendendo quindi inesistente una selezione dovuta a questo aspetto (i meccanismi evolutivi operano in un periodo di tempo considerevolmente più lungo). Un secondo concetto importante è che la SASP può avere effetti positivi o negativi a seconda del contesto. Può causare infiammazione locale e sistemica, distruggere la normale architettura dei tessuti e stimolare la crescita di cellule maligne vicinali quando si tratta di una SASP pronunciata e persistente, come ad esempio nell’età avanzata, l’obesità massiccia e la progeria (65,84-88). Contrariamente, una SASP localizzata e limitata nel tempo può essere utile nel risolvere il danno tissutale, quantomeno nei soggetti giovani, in accordo con la teoria dell’antagonismo pleiotropico. La SASP può allertare le cellule vicinali contro pericoli potenziali e promuovere la clearance immunitaria delle cellule danneggiate (67,68,89). Inoltre le MMP rilasciata dalla SASP limitano la fibrosi in seguito ad un danno al fegato o durante la guarigione delle ferite a livello della pelle (68,90,91), portando beneficio. Citochine prodotte da SASP, quali IL6 e IL 8 rinforzano l’arresto re plicativo della senescenza, quantomeno in alcune cellule senescenti (62,63), il che è protettivo nei confronti del cancro. D’altro canto, queste citochine possono anche causare la transizione epiteliomesenchima, che promuove il tumore (77,78). Plausibilmente, la SASP può giocare un ruolo nella difesa contro le infezioni o altri insulti, possibilità che deve essere ancora esplorata. Degno di nota, la continua rimozione delle cellule senescenti per oltre 9 mesi non ha mostrato effetti avversi, quantomeno in un modello di topo progeroide cresciuto in una facility a scopo di ricerca (51). Un loop intracellulare IL 1/ miR-146a/b/ IL 6/ C/EBP così come quello correlato p38/NF-kB e i pathway mediati da mTOR sembrano tutti contribuire al cambiamento dell’espressione genica che risulta nella SASP (Figura 2 e referenze 61-64,92-94). I componenti della SASP includono proteine che sono generalmente conservate tra i diversi tipi cellulari, anche se alcune differenze sono presenti tra i vari tipi cellulari (81), e presumibilmente tra i diversi tessuti, speculazione che deve essere ancora dimostrata. Poco si sa riguardo il contributo, se presente, di fattori non proteici quali nucleotidi, bradichinine, prostanoidi, ceramidi o ROS nella SASP. La composizione di quest’ultima può variare con il tempo dopo l’inizio della senescenza e ciò può dipendere parzialmente dal meccanismo tramite il quale la senescenza è indotta. A supporto di questa ipotesi, la senescenza indotta da RAS oncogenico, overespressione di p16INK4a, o dall’attività di p53 è associata con una variabilità sia della qualità che dell’entità delle proteine secrete da SASP (81,95). Quindi, parlando di SASP, è evidente che non ne esiste un unico tipo. Piuttosto, la quantità dei componenti della SASP rilasciati dipende dal contesto cellulare. Per esempio, nei cheratinociti fibroflastoidi nell’occhio, l’IL 6 in realtà è diminuita (96). Studi sono necessari per delineare i meccanismi che a monte causano la SASP, esplorando eventuali differenze nei diversi tipi cellulari, e delucidare la natura della SASP in cellule senescenti primarie in vivo piuttosto che in vitro. Il fatto che la SASP causi patologie età associate in vivo resta ancora un fatto da dimostrare. Tentativi sono ora in corso utilizzando topi in cui le cellule senescenti possono essere selettivamente rimosse (51) che sono cresciute in modelli murini di patologie croniche età associate o che sono stati trattati con interventi dietetici o di altro tipo. La SASP sembra inoltre diffondere da cellula a cellula, amplificando il carico di cellule senescenti, l’infiammazione sterile, e la progressione delle patologie croniche, specialmente quando la capacità del sistema immunitario di rimuovere le cellule senescenti è sopraffatta. I meccanismi e le conseguenze della diffusione della senescenza merita ulteriore investigazioni. La SASP sembra avere una relazione molto ampia col sistema immunitario. Elementi del sistema immunitario, specialmente dell’immunità innata come risposte che coinvolgo infiltrazione macrofagica, sono coinvolti nella rimozione delle cellule senescenti (67, 98-100). Chemochine macrofagiche, inclusa MCP-1, sono componenti importanti della SASP (64,81). Comunque, le risposte tissutali macrofagiche sembrano diminuire con l’età (101), contribuendo potenzialmente all’accumulo di cellule senescenti che si osserva con l’età avanzata. Una grande quantità di cellule senescenti possono interferire con la funzionalità immunitaria. Consistente con questa speculazione, l’esposizione cronica all’IL 6 inibisce la funzione macrofagica (102) e le proteasi della SASP possono clivare il ligando di Fas o altre proteine di superficie richieste per la normale funzionalità immunitaria. Maggiori approfondimenti sono necessari per esplorare come le cellule senescenti influenzano il sistema immunitario e come sono rimosse da esso. La speculazione che riducendo il numero di cellule senescenti si possa effettivamente aumentare la risposta immunitaria ai patogeni deve essere testata. 1.12 Interventi che hanno SASP e la senescenza cellulare come target Potenziali strategie per mitigare gli effetti deleteri delle cellule senescenti includono la possibilità di interferire con pathway che portano all’arresto replicativo associato alla senescenza, l’eliminazione delle cellule senescenti e l’interferenza con gli effetti avversi delle cellule senescenti mirando alla SASP. La prima strategia può risultare problematica se i meccanismi tramite i quali la senescenza cellulare offre protezione contro il cancro sono compromessi. Interferendo con i pathway che possono indurre arresto replicativo senescenza associato sembrano promuovere il cancro, come accade quando p16INK4a, la proteina del retino blastoma (Rb) o p53 sono diminuite di espressione o inattivate (67,103). Dall’altro lato, strategie che mirano a ritardare l’accumulo di cellule senescenti riducendo il turnover dei progenitori, il danno metabolico, o altri processi che possono causare danno cellulare potrebbe risultare benefiche. Per esempio, la restrizione calorica ritarda la senescenza cellulare (104) e ciò potrebbe essere uno dei modi in cui aumenta la durata della vita, una speculazione che merita di essere testata. Il secondo approccio, eliminare le cellule senescenti già istaurate, potrebbe non solo ridurre l’infiammazione tissutale e la disfunzione d’organo ma anche ridurre il rischio di cancro. Le cellule possono diventare senescenti quando portano mutazioni potenzialmente oncogeniche. Inoltre, le cellule senescenti possono promuovere trasformazioni maligne nelle cellule vicinanti in modelli di xenotrapianto murino (86), probabilmente attraverso un’infiammazione SASP indotta e la secrezione di MMP e mitogeni. Infatti, la quantità di vita in salute risulta aumentata dall’eliminazione delle cellule senescenti nel topo progeroide, senza interferire con pathway anticancerosi a monte della senescenza (51). Siccome le cellule che vanno incontro a differenziazione terminale condividono alcune caratteristiche con le cellule senescenti come ad esempio l’arresto replicativo, era di interesse valutare se eliminare le cellule senescenti dal topo INK-ATTAC potesse danneggiare anche cellule sane come i neuroni. Di fatto, queste ed altre cellule che vanno incontro a differenziazione terminale sembrano non essere distrutte al punto di causare sintomatologia, anche dopo un anno di rimozione continua delle cellule senescenti. Il terzo approccio, la prevenzione dello sviluppo della SASP o il contenimento dei suoi effetti, potrebbe anche migliorare la funzionalità e diminuire il rischio di cancro, pur senza la finalità di eliminare le cellule realmente senescenti che potenzialmente hanno già lesioni cancerose. Idealmente, l’attenuazione della SASP potrebbe essere raggiunta senza interferire con pathway anti oncogenici età associati o andando in arresto replicativo. L’eliminazione delle cellule senescenti potrebbe essere possibile nell’uomo. La diversa morfologia, il pattern di proteine secrete, e il profilo di espressione genica delle cellule senescenti supporta la possibilità di realizzare ciò. Almeno due approcci possono essere previsti per rimuovere le cellule senescenti: l’uso di anticorpi che selettivamente colpiscano le cellule senescenti o lo sviluppo di piccole molecole che le uccidano. Altri approcci potrebbero includere il delivery di nucleotidi con mezzi virali o vaccini. L’approccio con anticorpi dovrebbe prevedere lo sviluppo di farmaci biologici che riconoscano epitopi che sono maggiormente espressi dalle cellule senescenti in confronto con le non senescenti, accoppiati ad agenti citolitici. Questo approccio si è dimostrato complicato nel campo del cancro e potrebbe in questo caso presentare le stesse problematiche. Comunque, a differenza della terapia oncologica, l’eliminazione completa delle cellule senescenti potrebbe non essere necessaria per ottenere un effetto benefico. Per cui, bersagliare epitopi che differiscono quantitativamente tra cellule senescenti e non senescenti potrebbe essere ragionevole, senza la necessità di scoprirne altri che sono unicamente espressi dalle cellule senescenti. L’approccio basato sulle piccole molecole potrebbe essere basato su uno screening di librerie chimiche ad alta efficienza per scoprire molecole somministrabili che possano uccidere le cellule senescenti con maggior selettività rispetto alle non senescenti. Alternativamente, screening basati su target molecolari si focalizzano sull’identificazione di cambiamenti di espressione, della proteomica o della metabolomica delle cellule senescenti contro le non senescenti. Queste piccole molecole possono essere adattate per bersagliare SASP, anziché uccidere le cellule senescenti. Utilizzando uno di questi approcci, è stato scoperto che i glucocorticoidi possono attenuare la SASP (105). Sviluppare interventi diretti contro le cellule senescenti o la SASP sarà un obiettivo importante. Probabilmente, una combinazione di approcci sarà necessaria. Considerando che le cellule senescenti non si dividono, non dovrebbero esserci problemi riguardo un possibile sviluppo di resistenza ai farmaci, come accade con i tumori in fase proliferativa o i batteri. Inoltre, trovare composti o anticorpi che distruggono il 100% delle cellule senescenti e lo 0% di quelle normali potrebbe non essere necessario per avere un beneficio clinico. Quindi, potrebbe essere fattibile la scoperta di agenti diretti contro le cellule senescenti o la SASP e testarli in animali anziani per determinare se riproducono l’effetto benefico che si ottiene rimuovendo le cellule senescenti dal topo progeroide geneticamente ingegnerizzato. 1.13 Problemi e prospettive riguardanti la ricerca su SASP Questioni che devono essere risolte prima di poter portare la senolisi nella pratica clinica includono lo sviluppo di biomarker che riportino la quantità di cellule senescenti/l’attività della SASP, l’identificazione di ogni possibile effetto avverso nell’eliminazione delle cellule senescenti, e la determinazione riguardo il quando iniziare un’eventuale terapia e se la stessa deve essere continua o intermittente per avere un’efficacia ottimale. Marker del sangue che determinino il carico di cellule senescenti, possibilmente basati sull’identificazione di prodotti della SASP, faciliterebbe lo svolgimento di trial clinici. Questi marker potrebbero essere calibrati utilizzando un gold standard- ad esempio, i topi INK-ATTAC in cui le cellule senescenti sono state rimosse, l’abbondanza delle cellule senescenti nel tessuto adiposo, o la conta di quelle totali all’autopsia. La prova corretta per analizzare se la rimozione delle cellule senescenti influenza la risposta alle infezioni, la guarigione delle ferite, cicatrici o altre funzioni deve essere condotta su animali ed eventualmente nell’uomo. L’eliminazione intermittente piuttosto che continua delle cellule senescenti durante periodo di relativa salute potrebbe potenzialmente rimuovere cellule precancerose e ridurre l’infiammazione cronica dovuta alla SASP, minimizzando i possibili effetti avversi dovuti alla clearance di queste cellule. Questo approccio sembra più interessante della mera attenuazione della SASP, che dovrebbe essere condotta continuativamente, a differenza della rimozione delle cellule senescenti. Presumibilmente, trial clinici di senolitici dovranno essere condotti nei soggetti più anziani così come soggetti più giovani con patologie a cui si associano senescenza cellulare e infiammazione, come ad esempio il diabete in caso di obesità massiccia. D’altro canto, i pazienti più anziani spesso non vengono inclusi nei trial clinici, e il loro studio presenta problemi logistici e clinici particolari. Ci sono pochi geriatri che hanno profonda familiarità con la biologia di base che controlla l’aging e l’esperienza nella conduzione di trial per la scoperta di nuovi farmaci (INDs). Inoltre, pochi responsabili di trial clinici con esperienza hanno affrontato questioni geriatriche ed hanno una comprensione profonda dei bisogni degli anziani o degli outcomes rilevanti per questa popolazione. C’è una necessità urgente ci costruire un team di scienziati di base nella biologia dell’aging, geriatri e direttori di trial clinici. Sul lungo termine, c’è la necessità di ricercatori capaci di traslare i risultati ottenuti nella ricerca di base in applicazioni cliniche (106). 1.14 Senescenza nelle Cellule Endoteliali Vari fattori sembrano contribuire a ridurre le funzioni endoteliali negli anziani. Fra questi anche un possibile accumulo di cellule vascolari senescenti con l’età. Lo stato di senescenza endoteliale indotto dall’invecchiamento sembra essere accelerato in presenza di condizioni patologiche proinfiammatorie che includono CAD e CHF (17). Sebbene siano stati identificati specifici pathways attivati nelle cellule vascolari senescenti, una comprensione completa di questo processo è ancora limitata. Le cellule endoteliali senescenti sono caratterizzate dall’accorciamento dei telomeri, dovuto ad una minore attività dell’enzima telomerasi, che si verifica come conseguenza della replicazione cellulare e tale procedimento può essere accelerato da fattori ambientali nocivi come lo stress ossidativo. Quando i telomeri raggiungono una soglia critica, le cellule endoteliali diventano disfunzionali e incrementano l’espressione ed il rilascio di numerosi fattori pro-infiammatori, risultanti in un profilo noto come “fenotipo secretorio associato alla senescenza” (SASP). Le proteine pro-infiammatorie secrete, agiscono sia attraverso un meccanismo autocrino che paracrino, contribuendo all’instaurarsi del processo di senescenza. L’acquisizione di SASP non solo riduce le proprietà rigenerative dell’endotelio ma porta conseguentemente allo sviluppo di condizioni patologiche pro-infiammatorie. L’importanza di queste cellule endoteliali senescenti nei vasi, o di progenitori endoteliali senescenti, sta acquisendo un crescente interesse scientifico; tuttavia la rilevanza clinica di questo fenomeno è ridotta dalla mancanza di tecniche non invasive e dall’assenza di marcatori in vivo per individuare tali cellule. Per questo motivo, l’identificazione di nuovi marker cellulari di senescenza vascolare potrebbe avere importante rilevanza clinica, soprattutto nell’ambito delle patologie cardiovascolari più diffuse nella popolazione. 1.15 Biomarcatori di senescenza endoteliale: potenziale ruolo dei microRNA I microRNAs (miRs) sono elementi regolatori che influenzano l’espressione della maggior parte dei geni degli Eucarioti durante tutta la vita. Numerosi studi hanno indicato il ruolo critico di specifici miRs come biomarcatori di senescenza cellulare, sia durante la replicazione cellulare che nella modulazione indotta da stress (28). Un modello endoteliale in vitro molto utilizzato è costituito dalle HUVECs, cellule endoteliali ottenute dalla vena ombelicale umana. Tali cellule presentano caratteristiche morfologiche e funzionali comuni con quelle delle cellule endoteliali in vivo. Le HUVEC poste in coltura si replicano per un numero limitato di passaggi raggiungendo una condizione di senescenza replicativa. Il suddetto modello è stato utilizzato per identificare miRs e proteine target associate alla replicazione e/o alla senescenza indotta da stress (29). L’espressione di questo miR-146a, aumenta durante l’infiammazione e la risposta immune. IRAK-1 e il fattore 6 associato al recettore del TNF (TRAF-6), sono stati identificati come bersagli molecolari del miR-146a. IRAK-1 e TRAF-6 fanno parte del pathway dei Toll like receptors (TLR2,-4,-5) e del recettore dell’IL-1. Il pathway dei TLRs ha come molecola chiave il fattore di trascrizione nucleare NFkB, coinvolto direttamente nella modulazione dell’espressione dei geni che codificano per le principali citochine pro-infiammatorie, quale l’IL-6. Si ritiene quindi che l’aumento dell’espressione di miR-146a possa agire su questo sistema con un meccanismo a feedback negativo, in quanto l’attivazione del pathway induce la trascrizione del miR-146a che a sua volta riduce l’espressione delle due proteine coinvolte nell’attivazione del pathway stesso (30). Un’aumentata espressione di miR-146a è stata osservata anche nella senescenza replicativa in associazione con l’acquisizione del “fenotipo secretorio associato alla senescenza” (SASP) in vari tipi cellulari (31). Di recente un’aumentata espressione del miR-146a è stata osservata anche nelle HUVEC senescenti rispetto alle più giovani. Il profiling di oltre 300 differenti miRs in HUVEC giovani e senescenti ha dimostrato chiaramente che il miR-146a è il più iperespresso nella senescenza. È stata quindi descritta una nuova combinazione di biomarcatori, che include l’espressione di miR-146a, i livelli delle proteine bersaglio IRAK-1, TRAF-6, e la quantità di IL-6 rilasciata nel mezzo di coltura, in grado di identificare l’acquisizione di SASP nelle cellule endoteliali (HUVEC) (29). Trattamenti quali la somministrazione di CoQ10H2 si sono rivelati capace di ridurre significativamente l’espressione di miR-146a nei monociti (THP-1) (32-34), ma non sono presenti in letteratura dati inerenti le cellule endoteliali. Nonostante il ruolo importante che la senescenza delle cellule endoteliali potrebbe avere nell’insorgenza delle patologie cardiovascolari più diffuse nella popolazione anziana e nonostante i molteplici sforzi per cercare terapie innovative o comunque che possano potenziare quelle già esistenti per il trattamento delle patologie età correlate, che presentano tutte disfunzione endoteliale di vario grado, non ci sono ad oggi dati sul possibile effetto del CoQ10H2 nel ridurre infiammazione/senescenza delle cellule endoteliali. È per il suddetto motivo che parte del nostro studio è stato rivolto ad indagare gli effetti antinfiammatori del CoQ10H2 nelle HUVEC, focalizzandoci sulla modulazione di marcatori di senescenza/infiammazione, quali quelli che abbiamo definito con l’acronimo “MIRAKIL” (MicroRNA 146a, IRAK e IL-6). La modulazione di questi marcatori da parte del CoQ10H2 potrebbe spiegare il possibile ruolo del CoQ10H2 come coadiuvante nel trattamento di patologie cardiovascolari quali CHF e CAD. 2.Scopo della tesi Lo scopo di questa tesi è stato quello di identificare molecole in grado di ritardare la senescenza replicativa utilizzando modelli cellulari in vitro e la conseguente comparsa del fenotipo pro infiammatorio ad essa associato (SASP), attenuando così gli effetti dovuti all’infiammazione sia sul rinforzo dello stesso fenotipo senescente che sulla capacità del fenotipo SASP di indurre senescenza sulle cellule circostanti. La SASP, in quanto fenotipo secretorio pro-infiammatorio, ha infatti sia un effetto autocrino, che paracrino ed addirittura sistemico. L’aumento della percentuale di cellule in SASP nell’organismo umano sembra essere una delle principali cause dell’inflammaging, ossia dell’instaurarsi di una infiammazione cronica sistemica di basso grado durante l’invecchiameto. Sostanze con effetti antiinfiammatori potrebbero quindi avere effetti antiaging di straordinaria efficacia sul rallentamento del processo di invecchiamento. Da qui la necessita di testare gli effetti antiinfiammatori di nuove sostanze sia farmacologiche che di altra natura, quali integratori, sostanze alimentari o altro ancora. Lo scopo del lavoro presentato è stato quello di testare gli effetti antinfiammatori e anti aging (in vitro) di due sostanze con meccanismo d’azione e indicazioni terapeutiche molto diverse tra loro ma accomunati entrambi da un potenziale utilizzo anti aging: una sostanza che non è classificata come farmaco, il Coenzima Q, ed un farmaco costituito da un anticorpo anti-TNF-alpha (adalimumab). Per quanto riguarda il CoQ, il razionale del suo utilizzo si basa sul fatto che la senescenza cellulare può essere indotta dal danno al DNA, che sovente è mediato dall’effetto dei radicali liberi dell’ossigeno (ROS). Ridurre i danni indotti dai ROS al genoma potrebbe plausibilmente ritardare l’ingresso delle cellule in senescenza, senza favorire al contempo la genesi di trasformazioni neoplastiche. In questo senso ci sono numerose indicazioni promettenti in vitro, ottenute per lo più con antiossidanti idrofili ( come ad esempio vitamina c e nacetil cisteina), mentre in vivo i risultati non sono ancora conclusivi. Anche se la vitamina c è in grado di allungare la durata della vita in topi progeroidi, che sono carenti di enzimi deputati al riparo del DNA (modello sindrome di Werner), questi risultati non vengono replicati nell’invecchiamento fisiologico, probabilmente a causa della complessità dei fenomeni che modulano l’aging ( i ROS possono addirittura avere un ruolo parzialmente benefico), oppure a causa della down regolazione generale che avviene nell’assetto enzimatico antiossidante dei soggetti trattati cronicamente con antiossidanti. Per quanto riguarda invece l’adalimumab (nome commerciale Humira, prodotto dalla Abbott), un anticorpo monoclonale diretto contro il TNF alfa, il cui meccanismo d’azione si basa sul blocco del legame fra TNF-alpha ed il suo recettore cellulare, il razionale per un suo utilizzo quale agente antisenescenza si basa sulla sua capacità di ridurre i fenomeni autocrini e paracrini di induzione dellsenescenza. L’aumento della produzione di citochine, compreso il TNF-alpha, durante la senescenza rinforza infatti l’acquisizione del fenotipo SASP mediante meccanismi autocrini e paracrini. Questo è valido soprattutto per l’IL-6, ma anche per il TNF-alpha. La capacità delle citochine pro infiammatorie di indurre senescenza nella cellule giovani ha addirittura indicato l’utilizzo in terapia antitumorale. La somministrazione di TNF-alpha coordinata con quella di IFN gamma, può indurre senescenza in cellule cancerose. Comunque, la presenza di un ambiente infiammato è riconosciuto essere un meccanismo favorente la progressione tumorale. Oltre a testare l’effetto di queste due sostanze sulla SASP e quindi in una situazione cronica, abbiamo anche verificato la loro potenziale attività antinfiammatoria in acuto, utilizzando come modello cellulare cellule endoteliali e linee monocitarie umane. Come induttore di infiammazione acuta abbiamo utilizzato LPS, un’endotossina batterica nota per attivare uno dei più importanti recettori dell’immunità innata, il TLR4, che è presente sia su cellule endoteliali che su monociti ed altre cellule dell’immunità innata. Abbiamo cercato inoltre di identificare i pathway modulati dalle sostanze anti aging utilizzate, allo scopo di migliorare le nostre conoscenze sui meccanismi di invecchiamento in salute o in malattia. 3 Materiali e metodi 3.1 Modello Cellulare Le HUVEC (Human Umbilical Vein Endothelial Cells) sono state acquistate da “Clonetics Corporation” (Lonza, Basel, Svizzera) e coltivate in terreno di crescita endoteliale (Endothelial Growth Medium-2-EGM, by Lonza, Basel, Svizzera). La senescenza replicativa è stata analizzata mantenendo le cellule in coltura durante numerosi cicli replicativi e in media fino ad un tredicesimo passaggio (P13). La linea cellulare monocitica umana THP-1, è stata acquistata da ATCC (ATTC, Rochville, MD, USA) e mantenuta in terreno RPMI1640 con l’aggiunta di 10% di siero bovino fetale inattivato dal calore, l’1% di penicillina Streptomyces e l’1% di L-Glutammina (Euroclone, Milano, Italia). 3.2 Trattamento con Lipopolisaccaride (LPS) THP-1 e HUVEC sono state trattate su piastre da 6 pozzetti ad una concentrazione di 80,000 cellule per pozzetto (70% di confluenza) sia in RPMI1640 (Euroclone) che in EGM (Lonza). È stato aggiunto LPS (Sigma-Aldrich, Taufkirchen, Germania) 1 g/ml nel mezzo di coltura per 30 minuti, 5 ore, 24 ore fino a 48 ore. 3.3 Supplementazione con CoQ10H2 L’Ubichinolo-10 (CoQ10H2) ci è stato gentilmente offerto da Kaneka (Kaneka Corporation, Japan); è stato solubilizzato in acqua utilizzando una miscela di glicerolo e l’agente emulsionante PEG-60 idrogenato con olio di ricino (Cremophor®, BASF SE Chemical Company, Germany) (CoQ10H2:glycerol:HCO60 0.4:0.6:1). La soluzione madre 1 mM è stata conservata a - 80 °C fino all’utilizzo. L’ossidazione in queste condizioni avveniva in maniera trascurabile per parecchi mesi. La supplementazione a breve termine di Ubichinolo nelle HUVEC prevedeva l’aggiunta di 10 M di CoQ10H2 o la sola miscela di solubilizzazione (Cremophor) per 24 h seguita dal trattamento con LPS per 30 minuti, 5, 24 o 48 ore, o mantenute per lo stesso tempo in EGM senza trattamento. La supplementazione a lungo termine invece, prevedeva l’aggiunta di 10 M di CoQ10H2 o Cremophor per circa 60 giorni fino all’acquisizione da parte delle cellule del fenotipo senescente. La concentrazione del CoQ10H2 nel mezzo di coltura, la stabilità della forma ridotta in soluzione e la capacità di essere incorporato dalle cellule è stata verificata attraverso HPLC (high-performance liquid chromatography). La miscela di estrazione è stata centrifugata per 1 minuto a 13,000 x g e 40 l di surnatante sono stati utilizzati in HPLC con rivelatore elettrochimico (ECD; Shiseido, Tokyo, Japan). Sono state utilizzate due fasi mobili: la fase mobile 1 per il caricamento e per la concentrazione del campione (50 mM di perclorato di sodio in metanolo/acqua 95/5 v/v); la fase mobile 2 è stata invece utilizzata per le varie procedure analitiche (50 mM di perclorato di sodio in metanolo/isopropanolo 95/5 v/v). Una peculiarità di questo sistema è una colonna capace di riduzione post-separazione (Shiseido CQR; 20 x 2.0 mm) in grado di ridurre completamente il picco di CoQ10 ossidato, permettendo contemporaneamente la rilevazione sia della forma ridotta che di quella ossidata (ECD oxidation potential, 650 mV). Il CoQ10H2 contenuto nel mezzo di coltura è stato poi espresso in g/ml; il contenuto cellulare è stato espresso come g CoQ10H2/1x106 cellule. 3.4 Saggio della Vitalità Cellulare MTT è un saggio colorimetrico, utilizzato per misurare l’attività di enzimi cellulari che riducono il colorante di tetrazolio, MTT, alla sua forma insolubile, dando un colore viola. È stato usato come indicatore della vitalità cellulare. Le cellule sono state fatte crescere in piastre da 96 pozzetti ad una densità di 2x103 cellule per pozzetto. Dopo 18 ore, le cellule sono state sottoposte ad un lavaggio con il terreno fresco e poi trattate con 10 M di CoQ10. Dopo 24 ore di incubazione, sono stati aggiunti 100 l di MTT (1mg/ml) e sono state incubate per altre 4 ore. Infine sono stati aggiunti 200 l di dimetilsolfossido per solubilizzare i sali formati, e tale quantità di sali è stata determinata attraverso la misurazione della densità ottica OD (optical density) a 540 nm utilizzando un lettore di micropiastre, MPT reader (Invitrogen, Milano, Italia). I dati sono stati espressi come media di almeno tre esperimenti differenti. 3.5 Produzione di Citochine I surnatanti sono stati raccolti alla fine di ogni trattamento, centrifugati e conservati a -20°C. La concentrazione di IL-6 è stata misurata attraverso un kit ELISA ad alta sensibilità disponibile in commercio (Invitrogen, Milano, Italia), seguendo le istruzioni dell’azienda produttrice. 3.6 Isolamento dell’RNA L’RNA totale proveniente dalle HUVEC e dalle cellule THP-1 è stato isolato utilizzando il kit di purificazione dell’RNA (Norgen Biotek Corporation, Thorold, ON, Canada) che permette l’isolamento di RNA. L’RNA è stato mantenuto a -80°C fino all’uso. 3.7 RT-PCR Quantitativa di microRNA maturi Le espressioni dei miR-146a e dell’RNU44 sono state quantificate usando le sonde TaqMan MicroRNA (Applied Biosystem Foster City, CA) secondo il protocollo fornito dal produttore, con qualche modificazione. L’RNA totale è stato retrotrascritto attraverso il kit di retrotrascrizione TaqMan MicroRNA. In seguito, sono stati preparati 5 l di reazione di retrotrascizione contenenti: 1 l di primers specifici per ciascun microRNA 1,67 l di RNA 0,4 l di 10 mM di dNTP 0,3 l di retrotrascittasi 0,5 l di buffer 10x 0,6 l di inibitore dell’RNA diluito 1:10 0,5 l di H2O2 La miscela è stata poi incubata a 16°C per 30 minuti, 42°C per 30 minuti e 85°C per 5 minuti. Successivamente è stata eseguita la real-time PCR quantitativa. La soluzione di 20 l utilizzata per la reazione PCR contiene: 1 l di TaqMan 20x in cui sono contenuti i primers e le sonde (5’-FAM) 10 l di TaqMan Universal Master mix no UNG (Applied Byosistem, Foster City, CA) 5 l del prodotto di RT 4 l di H2O La reazione viene per prima incubata per 2 minuti a 95°C seguito da 40 cicli a 95°C per 15 secondi e 60°C per un minuto. I dati sono stati analizzati con il programma Real Time PCR OpticonMonitor seconda versione (MJ Research, Bio-Rad, Hercules, CA) con l’impostazione automatica del Ct (ciclo soglia). Il rilevamento soglia è stato impostato a 35 Ct. La quantità relativa di microRNA146a è stata calcolata usando il metodo della differenza dei Ct (comparative threshold Ct method) cioè: Ct= Ct(microRNA-146a) - Ct(RNU44). 3.8 Estrazione delle Proteine ed Immunoblotting Le cellule sono state lavate per due volte in PBS a freddo. Le proteine totali sono state estratte utilizzando RIPA buffer (costituito da: 150 mM di NaCl, 10 mM di Tris, pH 7.2, 0,1% di SDS, 1.0% di Triton X-100, 5 mM di EDTA, pH 8) contenente un cocktail di inibitori delle proteasi (Roche Applied Science, Indianapolis, IN). La concentrazione delle proteine è stata determinata usando il Reagente di Bradford (Sigma-Aldrich, Milano, Italia). L’estratto proteico totale (40 g) è stato separato tramite elettroforesi al 10% di SDS-PAGE e trasferito sulla membrana PVDF (BioRad, Hercules, CA). Le membrane sono state incubate per tutta la notte con l’anticorpo primario anti-IRAK1 (MBL, International Corporation Inc. Woburn, MA) e anti-TRAF6 (Santa Cruz Biotechnology, Sta. Cruz, CA). In seguito, queste membrane sono state incubate con l’anticorpo secondario coniugato ad una perossidasi per un’ora a temperatura ambiente. Le proteine immunoreattive sono state visualizzate usando un substrato chemiluminescente (ECL Plus, GE Healthcare, Pittsburgh, PA). Come controllo endogeno, è stato utilizzato l’anticorpo anti--actina (Santa Cruz Biotechnology, Sta. Cruz, CA) 3.9 Analisi Statistica Il T test di Student per campioni indipendenti è stato utilizzato per determinate la significatività statistica. Valori di p inferiori a 0.05 sono stati considerati significativi. 4. RISULTATI Le HUVEC vengono definite “giovani” quando si trovano al secondo passaggio re plicativo (P2) e “senescenti” dopo il tredicesimo passaggio (P13) in coltura. Le HUVEC senescenti sono caratterizzate da un significativo incremento dell’espressione del miR-146a (P2 vs. P13, espressione relativa espressa in unità arbitrarie: 0.19 0.05 vs. 0.56 0.10, p 0.05) e da una significativa riduzione della quantità di proteina IRAK1, che è uno dei bersagli del miR-146a (P13 vs. P2, % vs. actina; 76.46 7.10 vs. 6.2 1.05, p 0.05) (Fig. 8 pannello A e C). Inoltre, le HUVEC senescenti rilasciano nel mezzo di coltura una quantità di IL-6 circa 10 volte superiore a quella rilasciata dalle cellule giovani (IL-6 pg/ml, P2 vs. P13; 7.8 2.66 vs. 95.6 25.7, p 0.05) (Fig. 11 pannello B). Figura 11: Espressione di miR-146a (A), quantità di IL-6 rilasciata (B) e livelli della proteina IRAK-1 (C) durante la senescenza replicativa delle HUVEC. P = numero di passaggi; HUVEC “giovani” al secondo passaggio (P2) e “senescenti” dopo il tredicesimo passaggio (P13). La combinazione del livello di espressione del miR-146a della quantità di IL-6 rilasciata dei livelli della proteina IRAK-1 è stata definita complessivamente con l’acronimo “MIRAKIL”. Abbiamo testato gli effetti dell’ LPS, il più potente stimolo pro-infiammatorio sia in vitro che in vivo, su MIRAKIL sia in cellule giovani che senescenti. L’LPS è stato utilizzato ad una concentrazione di 1 g/ml. I livelli di MIRAKIL sono stati valutati a due differenti tempi di trattamento con LPS: 30 minuti e 5 ore. Il tempo di incubazione con LPS a 30 minuti è stato sufficiente per indurre una significativa modulazione dell’espressione di miR-146a nelle cellule giovani ma non in quelle senescenti (espressione relativa del miR-146a al P2: non trattato NT vs. trattamento con LPS 30’, 0.11 0.05 vs. 0.32 0.10, p 0.05. P13: NT vs. 30’ trattamento con LPS, 0.53 0.19 vs. 0.72 0.28. p 0.05) mentre, l’incubazione a 5 ore è risultata essere sufficiente per indurre un significativo incremento dell’espressione di miR-146a sia nelle cellule giovani che in quelle senescenti (espressione relativa del miR-146a al P2: NT vs. trattamento con LPS 5 ore, 0.11 0.05 vs. 0.26 0.08, p 0.05. P13: NT vs. trattamento con LPS 5 ore, 0.53 0.19 vs. 1.27 0.32, p 0.05) (Fig. 9 pannello A). Risultati simili sono stati ottenuti confrontando la quantità di IL-6 rilasciata nel mezzo di coltura (IL-6 pg/ml, trattamento con LPS 30’: P2, NT vs. trattamento con LPS, 30.5 10.05 vs. 130.5 34.10, p 0.05. P13, NT vs. trattamento con LPS, 145.2 30.19 vs. 150 34.28, p 0.05. IL-6 pg/ml, trattamento con LPS 5 ore: P2, NT vs. trattamento con LPS, 30.5 10.05 vs. 170.5 34.10, p 0.05. P13, NT vs. trattamento con LPS, 145.2 30.19 vs. 250 44.6, p 0.05. (Fig. 9 pannello B). Dopo 5 ore di trattamento con LPS i livelli della proteina IRAK1 sono risultati significativamente ridotti sia nelle HUVEC giovani che in quelle senescenti (Fig. 10 pannello A e B). Inoltre, poiché una risposta LPS-indotta caratterizzata dalla modulazione di miR-146a ed IRAK1 era stata precedentemente descritta nei monociti, abbiamo comparato la risposta LPS- indotta nelle HUVEC con quella indotta in una linea monocitaria (THP-1). Il trattamento con LPS (1 g/ ml per 5 ore) è stato in grado di modulare MIRAKIL sia nelle HUVEC che in THP-1. L’espressione di miR-146a LPS-indotta è stata incrementata di circa 1.8-2.5 volte nelle HUVEC sia giovani che senescenti e di circa 140 volte in THP-1 (Fig. 12 pannello C). Dopo 5 ore di trattamento con LPS i livelli della proteina IRAK1 sono stati significativamente ridotti sia nelle HUVEC (Fig. 13 pannello A e B) che in THP-1 (Fig. 13 pannello C), mentre i livelli della proteina TRAF-6, un altro bersaglio convalidato di miR-146a, non sono risultati significativamente modulati (Fig. 13 pannello A, B e C). L’incremento di rilascio di citochine proinfiammatorie LPS-indotte, è stato osservato sia in THP-1 che nelle HUVEC, con un elevato incremento dei livelli di IL-6 nelle HUVEC rispetto a THP-1 (trattamento con LPS nelle HUVEC: il rilascio di IL-6 è aumentato di circa 5 volte nelle cellule giovani e di circa 2 volte in quelle senescenti; trattamento con LPS in THP-1: il rilascio di IL-6 è aumentato di circa 2 volte) (Fig. 12 pannello B e D). Inoltre, l’espressione di miR-146a è stata riportata ai valori basali più velocemente in THP-1 (dopo 16 ore di trattamento con LPS) e nelle HUVEC giovani (dopo 24 ore di trattamento con LPS) rispetto alle HUVEC senescenti (dopo 48 ore di trattamento con LPS) (dati non mostrati). Figura 12: Il trattamento con LPS induce livelli di espressione di miR-146a (A, C), e il rilascio di IL-6 (B, D) nelle HUVEC giovani (P2) e in quelle senescenti (P13) (A, B) nelle THP-1 (C, D). Figura 13: Il trattamento con LPS (1 g/ ml) induce un decremento dei livelli della proteina IRAK-1 e TRAF-6 sia nelle HUVEC giovani (A) e senescenti (B), che nelle THP-1 (C). Le HUVEC giovani e senescenti trattate con LPS sono state utilizzate per dimostrare gli effetti anti-infiammatori del CoQ10H2. Prima di somministrare il CoQ10H2, abbiamo verificato la capacità delle HUVEC sia giovani che senescenti di internalizzare il CoQ10H2 (Fig. 11). I livelli intracellulari di CoQ10H2 sono risultati significativamente incrementati (di circa 9 volte) dopo la supplementazione sia in cellule giovani che senescenti (Fig. 11). Figura 14: Livelli intracellulari di CoQ10H2 nelle HUVEC giovani (P2) e in quelle senescenti (P13) in assenza o in presenza della supplementazione con CoQ10H2. Le HUVEC sono state incubate con concentrazioni crescenti di CoQ10H2 da 0.1 a 100 M per 24 ore, per testare il suo effetto sulla vitalità cellulare. Non è stato osservato alcun effetto dannoso del CoQ10H2 sulla vitalità cellulare (Fig. 12). Figura 15: Effetto del CoQ10H2 sulla vitalità cellulare delle cellule HUVEC giovani (P2) e in quelle senescenti (P13). Abbiamo scelto di usare CoQ10H2 10 M in vitro poiché questa concentrazione corrisponde alla concentrazione presente nel plasma dopo trattamento con CoQ10H2 nell’uomo. L’effetto antiinfiammatorio indotto dalla concentrazione di 10 M è stato valutato sia in HUVEC giovani che senescenti in presenza della stimolazione con LPS (Fig. 16).Una pre-incubazione con CoQ10H2 riduce significativamente l’over-espressione di miR-146a LPS-indotta sia dopo 30’ che dopo 5 ore di trattamento con LPS. Tuttavia, un rapido ed efficiente effetto anti-infiammatorio del CoQ10H2 tramite l’espressione di miR-146a, è stato osservato già dopo 30’ di trattamento con LPS nelle cellule giovani, in cui l’espressione di miR-146a LPS-indotta è stata ridotta di circa il 50% in presenza di CoQ10H2 (P2 con trattamento con LPS per 30 minuti, fold-change – CoQ10H2 vs. + CoQ10H2, 2.3 0.31 vs. 0.8 0.25, p 0.05). Una riduzione significativa è stata osservata nelle cellule senescenti solo dopo almeno 5 ore di trattamento con LPS (P13 con trattamento LPS 5 ore, fold-change – CoQ10H2 vs + CoQ10H2, 2.01 0.25 vs. 0.95 0.21, p 0.05) (Fig. 16). Figura 16: Effetto dell’incubazione con CoQ10H2 sull’espressione di miR-146a nel trattamento con LPS nelle cellule HUVEC giovani (P2) e senescenti (P13). In concomitanza, la pre-incubazione di cellule con CoQ10H2, induce un decremento significativo dei livelli della proteina IRAK1 LPS-indotta dopo 5 ore di trattamento con LPS, sia nelle cellule giovani che in quelle senescenti (Fig. 17). Figura 17: Effetto dell’incubazione di CoQ10H2 sull’espressione di IRAK-1 nel trattamento con LPS nelle HUVEC giovani (P2) e senescenti (P13). La pre-incubazione di cellule giovani con CoQ10H2 induce una riduzione significativa del rilascio di IL-6 sia dopo 30’ che dopo 5 ore di stimolazione con LPS, mentre nelle cellule senescenti è stata osservata solo una debole e insignificante riduzione a 5 ore (Fig. 18). Figura 18: Rilascio di IL-6 nelle HUVEC giovani (P2) e senescenti (P13) stimolate con LPS in assenza o in presenza dell’aggiunta di CoQ10H2. È bene notare che i livelli di MIRAKIL mostrano un’elevata variabilità nelle cellule senescenti rispetto a quelle più giovani. Un’elevata variabilità dei livelli di IL-6 è stata riportata in vivo negli anziani. Infatti, i livelli sistemici di IL-6 negli anziani e la quantità di IL-6 rilasciata dalle cellule provenienti dalle persone anziane hanno mostrato un elevato grado di variabilità rispetto alla quantità rilasciata nelle persone giovani. Infine, per valutare l’effetto dell’incubazione prolungata con il CoQ10H2 su MIRAKIL, le HUVEC sono state trattate sia in assenza che in presenza dell’aggiunta di CoQ10H2. La percentuale di cellule che risultano positive al saggio della -galattosidasi (-gal) e i livelli di espressione di miR146a di HUVEC in assenza o in presenza dell’aggiunta di CoQ10H2 durante i passaggi replicativi sono stati riportati in (Fig. 16). La percentuale di cellule positive alla -gal in presenza di CoQ10H2 si è ridotta significativamente passando da P9 a P10, dato che non viene riportato nelle cellule senza l’aggiunta di CoQ10H2 (%di cellule positive al saggio della -gal, - CoQ10H2 vs + CoQ10H2, P9: 20 3 vs. 10 2, p 0.0; P10: 23 3 vs. 12 2, p 0.05) (fig. 19 pannello A). Una riduzione significativa dell’espressione di miR-146a è stata osservata in cellule supplementate con CoQ10H2 al P9 (espressione relativa di miR-146a in unità arbitrarie, - CoQ10H2 vs. + CoQ10H2, P9: 0.06 0.02 vs. 0.14 0.3, p 0.05) (Fig. 19 pannello B). Figura 19: Percentuale di cellule positive (A) alla -Gal ed espressione di miR-146a (B) nelle HUVEC durante la senescenza replicativa in assenza o in presenza di CoQ10H2. Questi risultati indicano che una modulazione di MIRAKIL, seppur debole, è stata osservata durante l’aggiunta a lungo termine di CoQ10H2. Si è infatti osservato un ritardo nell’aumento dell’espressione del miR-146a. Inoltre, l’effetto di una supplementazione prolungata di CoQ10H2 sulle cellule endoteliali in coltura ha leggermente ritardato l’acquisizione del fenotipo senescente, come dimostrato dall’espressione della -galattosidasi. Il rilascio di IL-6 non è risultato significativamente ridotto nelle cellule trattate con CoQ10H2, confermando che l’incrementata espressione del miR-146a non è sufficiente per contrastare l’aumentato rilascio di citochine da cellule endoteliali senescenti. I risultati preliminari ottenuti mediante trattamento con adalimumab indicano che l’effetto di questo farmaco sull’espressione del miR-146 a e sul rilascio di IL-6 è importante soprattutto nelle cellule senescenti, che producono discreti livelli di TNF alpha, mentre le giovani, anche dopo stimolazione con LPS, rilasciano comunque bassi livelli di TNF (0.8 vs 0.0 in condizioni di riposo e 1.8 vs 0.6 dopo stimolazione con LPS a 24h, dati non mostrati). Nello specifico il trattamento con adalimumab 8 ug/ml (la massima concentrazione che si raggiunge nel siero dei pazienti trattati col farmaco) è in grado di abbassare significativamente i livelli di miR146a in cellule endoteliali vecchie in 24h in condizioni basali, mentre l’abbassamento in cellule giovani non risulta significativo (0.37 +/- 0.09 VS 0.03 +/- 0.03 nelle vecchie e 0.18+/-0.09 VS 0.08+/-0.05 nelle giovani) (Figura 20 A). Risultati simili si ottengono dopo somministrazione di LPS (che causa un’ulteriore rilascio di TNF alpha) a 24h ore dal trattamento con l’endotossina (5.2+/-0.5 VS 1.7+/-0.1 nelle vecchie e 1.9 +/-0.3 vs 1.3+/-0.2 nelle giovani) (Figura 20 B). Questi risultati sono coerenti con la considerazione che il mezzo in cui vivono le cellule giovani è sostanzialmente privo di citochine pro-infiammatorie, in particolare di TNF alpha, mentre invece la presenza di questa citochina diventa importante nelle cellule senescenti, con conseguente attivazione di pathway infiammatori che convogliano in ultimo nella traslocazione di NF-kB nel nucleo, fattore fondamentale per l’innesco della risposta infiammatoria. NFKB controlla infatti l’espressione di decine di geni coinvolti nell’immunità, incluso il miR-146 a che è un miR che viene espresso contemporaneamente alle citochine pro infiammatorie probabilmente allo scopo di cercare di contenere l’eccessivo dilagare della risposta infiammatoria, con un meccanismo a feedback negativo. B 0.5 0.45 0.4 0.35 0.3 0.25 0.2 0.15 * 0.1 0.05 0 ctrl ad 8 ctrl 7 6 5 4 vecchie 3 * giovani 2 1 0 lps30' +ad lps5h +ad lps24h +ad vecchie C IL 6 relesead in medium per 10^5 cells (pg/ml) giovani ad 8 LPS induced X Fold change VS NT Mir 146 a relative expression (a.u) A 300 250 * 200 150 100 50 0 nt ad lps5h lps5h+ad lps24h lps24h+ad Figura 20. Effetto dell’adalimumab sull’espressione del miR 146 a e sul rilascio di IL 6. Effetto della somministrazione di adalimumab sull’espressione basale del mir 146a in cellule endoteliali giovani e vecchie (A) e dopo trattamento con LPS (B). Rilascio di IL 6 in condizioni basali e dopo 5 e 24h dal trattamento con LPS in cellule giovani e vecchie. Per quanto riguarda il rilascio di IL 6 (che è il principale componente della SASP), questo non viene impedito dalla singola somministrazione di anti TNF alpha nelle cellule vecchie. Le cellule vecchie presentano dei livelli basali di IL 6 più alti delle cellule giovani stimolate con un agente che mima un’infezione batterica, e quindi un’ulteriore stimolazione con LPS non induce un aumentato rilascio. Un piccolo effetto protettivo sotto questo punto di vista si osserva solo nelle cellule giovani a 24h dal trattamento con LPS (248 +/- 5.9 VS 190.6+/-6.9). Volendo valutare invece gli effetti di questo farmaco biologico nella genesi della senescenza e dell’infiammazione ad essa associata, abbiamo somministrato continuativamente il farmaco durante la crescita delle cellule in coltura, iniziando con cellule al 7° passaggio (quando la percentuale di positività alla SA Beta Gal è 0 e le citochine prodotte sono scarse o assenti, dati non mostrati) fino all’ottenimento dell’arresto replicativo. Long term treatment A B x Gal mir146a 60 1.2 50 0.8 %positive Titolo asse 1 ctrl 0.6 adal 0.4 40 crem 30 adal 20 10 0.2 0 0 p7 p8 p9 p12 p13 p8 p14 C p9 p10 p11 p12 p13 p14 p15 p16 400 eNOS fold change expression at p15 IL 6 relesead in medium per 10^5 cells (pg/ml) E D 350 300 250 200 150 100 50 0 NT AD 5 4.5 4 3.5 3 2.5 2 1.5 1 0.5 0 NT Ad Figura 21. Trattamento cronico con adalimumab. Grafico raffigurante l’andamento dell’espressione del mir 146a durante i vari passaggi con e senza trattamento con Adalimumab (mir espresso come relative expression ovvero 2-dct, in unità arbitrarie a.u) (A) e percentuale di cellule positive alla SA Beta Gal ad esso associate (B). Immagine (20x) catturata al microscopio ottico rappresentativa della morfologia cellulare al termine della curva nei due trattamenti (C). Rilascio di Interleuchina 6 (D) ed espressione della eNOS (E) nei due gruppi all’ultimo passaggio della curva. La percentuale di cellule positive alla SA Beta Gal (marcatore di senescenza re plicativa) non è risultata significativamente diversa fra cellule con trattamento ed il controllo (Figura 21 B), nonostante l’espressione del miR-146a sia costantemente più bassa laddove è stato aggiunto l’adalimumab alla coltura cellulare (Figura 21 A). E’ molto interessante notare però, che le cellule al termine della loro vita replicativa (p16) presentano morfologie differenti: quelle dove l’effetto del TNF alpha è bloccato dalla somministrazione di adalimumab sono più piccole, meno appiattite ed allargate, tutte caratteristiche morfologiche tipiche delle cellule più giovani (Figura 21 C). Per valutare se effettivamente questa differenza morfologica si riflettesse sul fenotipo SASP e magari sulla funzionalità della cellula endoteliale, sono stati dosati i livelli di IL 6 rilasciati nel mezzo all’ultimo passaggio e l’espressione della eNOS (nitrossido sintasi endoteliale, principale responsabile della vasodilatazione endotelio dipendente e indicatore di salute endoteliale) nelle stesse cellule. Le HUVEC trattate continuativamente con adalimumab rilasciano effettivamente una minor quantità di IL 6 (350.1 +/- 5.9 VS 248.6+/- 6.3) rispetto alle cellule non trattate ed allo stesso tempo presentato livelli 4 volte superiori del messaggero di eNOS (X Fold 4.1), indicando che il trattamento cronico con anti TNF alpha può effettivamente preservare la funzionalità endoteliale, nonché attenuare gli effetti infiammatori sistemici dovuti alla senescenza di queste cellule. 5 Discussione E’ ormai noto come uno stato pro infiammatorio età dipendente possa contribuire negativamente alla progressione delle patologie croniche età associate e alla fragilità tipica dell’anziano. Trovare strategie in grado di ritardare l’acquisizione del fenotipo senescente o che attenuino gli effetti deleteri innescati sulle cellule vicine può essere utile per posticipare l’insorgenza delle patologie età correlate ed aumentare quindi la porzione della vita libera da malattie. Uno degli aspetti più innovativi del presente lavoro è quello di aver testato l’effetto antiinfiammatorio di due sostanze con meccanismo d’azione diverso, tenendo in considerazione lo stato replicativo dei modelli cellulari utilizzati. Sia dati di letteratura che nostri dati preliminari suggerivano come cellule che si trovano in diversi stadi della vita replicativa rispondono in maniera differenziale a stimoli pro infiammatori. Le sostanze testate sono state il Coenzima Q10 e l’Adalimumab. Nel caso del CoQH2 si è cercato di limitare i danni al DNA dovuti ai ROS per verificare se questo contribuisse a ritardare l’ingresso in senescenza delle cellule endoteliali. I risultati sembrano suggerire un ruolo antinfiammatorio e anti aging di questa molecola, considerando la diminuita percentuale di cellule positive alla SA Beta Gal che si ha col trattamento cronico e l’abbassamento del miR-146a ad esso associato (marker universale di infiammazione sia acuta che associata alla senescenza). In acuto, il CoQ si è dimostrato anche efficace nel prevenire il rilascio di IL 6 e la traslocazione nel nucleo di NF-kB in cellule giovani, mentre questi effetti non sono visibili nella cellula vecchia, probabilmente a causa dell’ambiente diverso in cui le cellule si trovano. Infatti le cellule senescenti vivono in un milieu ricco di citochine pro infiammatorie e l’attenuazione dei ROS (che pur giocano una ruolo decisivo durante la risposta infiammatoria anche in acuto) non è sufficiente per ottenere un effetto anti inflammaging consistente, come dimostrato dalla mancata riduzione del rilascio di IL 6, anche in seguito a trattamento cronico. Di fatto diverse citochine e diversi pathways sono coinvolti nell’instaurazione e nel rinforzo/mantenimento del fenotipo senescente, il blocco solo parziale dato dal CoQ è evidentemente insufficiente (pur diminuendo la traslocazione di NF-kB che ha un ruolo fondamentale nelle cellule che hanno acquisito SASP sia in vitro che in vivo). Resta l’evidenza dell’efficacia nelle cellule giovani ed un effetto, seppur debole, di ritardo dell’innesco della senescenza. Queste evidenze in vitro potrebbero eventualmente rappresentare un’indicazione terapeutica di inizio della terapia antiossidante in età non troppo avanzata, quando il carico di cellule senescenti non è ancora troppo massiccio. I risultati preliminari ottenuti con l’anti TNF alpha sembrerebbero indicare un discorso opposto. Di fatto una terapia di questo tipo non ritarda l’ingresso in senescenza delle cellule endoteliali, ma sembra prevenire gli effetti deleteri della SASP ad esso associata. Anche se può apparire banale, una diminuzione della secrezione di IL 6 da parte di cellule senescenti può portare a grandi benefici a livello sistemico. L’IL-6 sistemica è stata infatti dimostrata essere uno dei predittori più forti di mortalità nei soggetti anziani. Inoltre, il dato che indica un’aumentata espressione della eNOS con l’adalimumab offre un supporto molecolare a risultati già osservati in vivo. Infatti, pazienti psoriasici (che presentano alti livelli di TNF alpha, nonché disfunzione endoteliale e rischio di sviluppare patologie cardiovascolari aumentato) sottoposti a questa terapia, mostrano una migliore vasodilatazione endotelio dipendente e un profilo infiammatorio sistemico migliore. Questi effetti si manifestano tra l’altro in tempo breve dall’inizio della terapia, senza poi incrementare nel tempo, ad indicare che probabilmente non c’è una diverso rate di ingresso in senescenza delle cellule endoteliali, in linea con i risultati qui presentati. E’ inoltre importante sottolineare come gli effetti di questo farmaco potrebbero essere sottostimati in vitro, in quanto, anche se il TNF alpha è una citochina molto potente, questa è ben lontana dall’essere quella prodotta in maggiori quantità nella SASP dell’endoteliali. Questo ruolo è sicuramente a carico dell’IL 6 che negli ultimi passaggi della vita re plicativa delle HUVEC raggiunge i 350 pg/ml per 100.000 cellule in coltura. In una situazione di inflammaging in vivo come può essere quella di un paziente anziano, invece, il profilo infiammatorio è più variegato e il TNF alpha è sicuramente molto importante e presente, il che porta a pensare che possano esserci effetti benefici ancora più sostanziosi in un eventuale utilizzo nel paziente geriatrico. Ovviamente questo farmaco può indurre nei pazienti in trattamento effetti collaterali, specialmente di tipo immunosoppressivo (infatti non può essere somministrato in pazienti positivi al test di Mantoux che potrebbero avere focolai micobatterici non sintomatici), anche se in generale è stato dimostrato essere un farmaco ben tollerato sia in pazienti psoriasici che in altri pazienti con tipi diversi di patologie autoimmuni, tutte patologie associate ad un aumentato rischio vascolare. 6 Bibliografia 1. 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