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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLII n. 64 (46.010) Città del Vaticano venerdì 16 marzo 2012 . Prospettive negative per la Gran Bretagna Come il tracollo dell’economia mondiale sta colpendo i Territori palestinesi Sempre più disoccupati tra i sudditi di Sua Maestà La crisi che non fa notizia LONDRA, 15. Guai in vista per i sudditi di Sua Maestà. Il tasso di disoccupazione è al livello più alto dal 1995 e anche le agenzie di rating cominciano a lanciare segnali negativi. Pur confermando ieri la tripla A sul debito sovrano della Gran Bretagna, Fitch ha infatti rivisto le prospettive, trasformando l’outlook da stabile a negativo. Segno che la crisi del debito in Europa sta iniziando a coinvolgere anche le economie considerate più sicure. «La conferma del rating AAA per la Gran Bretagna — spiega Fitch — riflette i progressi fatti nell’ambito della riduzione del deficit strutturale e degli sforzi per consolidare la credibilità delle finanze pubbliche». L’agenzia di rating sottolinea quindi i vantaggi che derivano da un’economia flessibile e da una situazione di stabilità politica e sociale. Nonostante questo — affermano ancora gli analisti di Fitch — l’ammontare del deficit di bilancio strutturale della Gran Bretagna resta secondo solo a quello degli Stati Uniti e il livello di indebitamento è significativamente sopra la media di un Paese con la tripla A. Per questo le prospettive sono state portate da stabili a negative. Anche perché ci sono sempre i rischi legati all’evolversi della crisi dell’Eurozona. La Grecia non è vicina, ma non è nemmeno lontanissima. Al problema dei conti si aggiunge poi una grave crisi del mercato del lavoro. Continua infatti a crescere il tasso di disoccupazione in Gran Bretagna che nell’ultimo trimestre del 2011 è salito dello 0,1 per cento all’8,4 della forza lavoro: si tratta del livello più alto dal 1995. I dati diffusi ieri dall’O ffice for National Statistics mostrano un aumento di 28.000 unità che porta a 2,67 milioni il numero di persone in cerca di occupazione alla fine del 2011. Nel caso occupazionale, va detto che la Gran Bretagna risente dello scenario globale, ed europeo in particolare. Al 10,7 per cento la disoccupazione dell’area euro è aumentata ai massimi da 15 anni a questa parte e rischia di «peggiorare ulteriormente nei trimestri a venire»: a lanciare l’allarme è la Banca centrale europea, che di recente ha rilevato come «le condizioni del mercato del lavoro si siano indebolite sulla scia del calo della crescita economica». Fra dicembre 2011 e gennaio 2012 il tasso di disoccupazione dell’eurozona è passato dal 10,6 al 10,7 per cento, superando l’ultimo massimo registrato nel secondo trimestre del 2010. Di fatto, un livello di disoccupazione come quello attuale non si registrava più dalla metà del 1997. Considerata la crescita sottotono dell’occupazione — ha aggiunto l’istituto di Francoforte — il tasso di disoccupazione dovrebbe rimanere elevato, se non addirittura aumentare nel breve periodo. Per migliorare la situazione complessiva il Governo britannico, che il prossimo 21 marzo presenterà la finanziaria, sta valutando l’ipotesi di emettere titoli di Stato a lungo termine (cento anni e più) per sfruttare i bassi tassi d’interesse di cui può godere al momento. Stando a quanto riporta la Bbc alcuni Una congiuntura negativa dovuta anche al calo degli aiuti internazionali funzionari del Tesoro avrebbero paragonato l’operazione all’accensione di un mutuo a tasso fisso. Nel caso in cui dovessero incontrare il favore degli investitori l’erario potrebbe risparmiare — dicono stime ufficiali — circa venti miliardi di sterline nell’arco dei prossimi cinque anni grazie ai minori tassi d’interesse. Ma l’appetito per questo tipo di maxi-bond è tutto da verificare. «Una maturazione di cento anni sarebbe troppo lunga per la maggior parte dei fondi pensione e noi crediamo che non sarebbero in molti ad acquistare questi titoli» ha commentato Joanne Segars, amministratore delegato della National Association of Pension Funds (Napf), ovvero l’associazione dei «clienti naturali» dei titoli di Stato britannici. «I fondi pensioni hanno un orizzonte di lungo termine ma non così tanto; quel che cercano sono titoli legati all’inflazione a trenta, quaranta e cinquant’anni e vorrebbero che il Governo emettesse una maggior quantità di questi bond». A ogni modo l’idea del prestito perpetuo non è del tutto nuova. Al momento, infatti, il Tesoro possiede nel suo portafoglio otto debiti di lungo termine il più anziano dei quali risale al 1853. In totale valgono due miliardi di sterline. L’ultimo bond perpetuo è stato emesso per pagare i costi della prima guerra mondiale. Raccolta del grano nei pressi di Jenin (LaPresse/Ap) Thomas Lubanga Dyilo riconosciuto colpevole di crimini di guerra dai giudici della Corte penale internazionale dell’Aia Giustizia per i bambini soldato L’AJA, 15. L’ex capo ribelle congolese Thomas Lubanga Dyilo, attivo tra il 2002 e il 2003 nel conflitto nell’Ituri, la provincia orientale della Repubblica democratica del Congo al confine con l’Uganda e il Rwanda, è stato riconosciuto all’unanimità colpevole di crimini di guerra dai giudici della prima Camera della Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aia. Secondo i magistrati, Lobanga Dyilo avrebbe reclutato e impiegato nel conflitto minorenni al di sotto dei 15 anni. La sentenza completa sarà resa nota in un secondo tempo, così come la condanna inflit- ta a Lubamga Dyilo. «La Camera ha concluso all’unanimità che l’accusa ha dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che Thomas Lubanga è colpevole di avere arruolato bambini di meno di 15 anni e di averli coinvolti in un conflitto armato», ha detto il giudice britannico Adrian Fulford, leggendo la sentenza, che il procuratore della Cpi, Luis Moreno Ocampo, ha definito storica. I magistrati hanno dunque accolto completamente le tesi di Ocampo, pur criticandone la scarsa supervisione sui bambini soldato che hanno testimoniato durante le y(7HA3J1*QSSKKM( +?!"!%!=!. Da ricerche di archivio emerge la vicenda biografica di Giuseppe Bastia primo direttore dell’«Osservatore Romano» con Nicola Zanchini Dalla provincia ma per nulla provinciale ALLE PAGINE 4 E 5 udienze, alcuni dei quali potrebbero essere stati indotti a dire il falso. Si tratta della prima sentenza mai espressa dai giudici della Cpi, davanti ai quali sono aperti altri 14 processi, compreso quello che vede imputato l’ex vice presidente congolese Jean-Pierre Bemba, leader del Movimento di liberazione del Congo, oggi all’opposizione del Gover del presidente Joseph Kabila. Lubanga Dyilo era stato trasferito all’Aia nel 2006 e il processo si era aperto nel gennaio del 2009. Le ultime udienze si erano tenute il 26 agosto 2011. L’ex capo miliziano si è sempre dichiarato non colpevole delle accuse che gli vengono mosse. I suoi legali dispongono di trenta giorni per presentare ricorso. Il verdetto è stato accolto con soddisfazione sia da istituzioni internazionali sia da organizzazioni non governative. «Questa è una vittoria di immenso valore per la protezione dell’infanzia nei conflitti», ha dichiarato il direttore generale dell’Unicef, Anthony Lake, mentre di «tappa decisiva per la giustizia internazionale» ha parlato l’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Catherine Ashton. Soddisfazione ha espresso anche il Governo degli Stati Uniti, che pure non riconosce formalmente la Cpi. Anche in riferimento a ciò, Paul Nsapu, presidente della Federazione internazionale dei diritti dell’uomo, ha detto di sperare che questo verdetto aiuti la Cpi a consolidare la sua legittimità. Anche secondo JeanClaude Katende, presidente dell’Associazione africana dei diritti dell’uomo, «questo processo ha contribuito a fare conoscere meglio la pratica del reclutamento e dell’uso dei bambini soldato nella Repubblica Democratica del Congo, ma anche in altre regioni in guerra». Attese dell’arcivescovo di Dublino per la Chiesa in Irlanda Era avvocato a Cento e, insieme al forlivese Zanchini, avrebbe avuto il coraggio di intraprendere per la Chiesa e per il Papa, in anni e in un contesto difficili, una dura battaglia sul terreno del giornalismo. PAOLO POPONESSI TEL AVIV, 15. La crisi economica internazionale pesa sui conti dell’Autorità palestinese (Ap). Le croniche difficoltà economiche affrontate da Ramallah a causa del calo degli aiuti internazionali si inaspriscono mettendo in pericolo i buoni risultati registrati negli ultimi anni, quando un certo sviluppo economic0 ha iniziato a prendere piede, soprattutto in Cisgiordania. A denunciare questo stat0 di cose è la Banca mondiale in un rapporto presentato ieri a Bruxelles nella conferenza dei ventuno Paesi donatori dell’Autorità palestinese. Le soluzioni indicate dall’istituto di Washington sono fondamentalmente due: l’applicazione rigorosa dell’accordo con Israele sulla lotta all’evasione fiscale; l’incremento degli aiuti da parte dei Paesi donatori «per consentire ai servizi di base di continuare a funzionare». Il budget palestinese annuale — stando alle stime pubblicate dalla Banca mondiale — non è ancora stato compilato, ma «dovrebbe comportare un deficit di circa 1,1 miliardi di dollari». Le imposte doganali raccolte dal Governo israeliano «e consegnate mensilmente all’Autorità palestinese costituiscono la principale fonte di reddito di quest’ultima» — si legge nel rapporto della Banca mondiale. Tali imposte hanno coperto nel 2011 il settanta per cento delle entrate palestinesi e finanziato oltre il quaranta per cento delle spese. Verso il congresso eucaristico internazionale Un bambino soldato nella città congolese di Bunia (LaPresse/Ap) MARIO PONZI A PAGINA 8 Maggiori perplessità hanno espresso alcuni responsabili di associazioni operanti nella Repubblica Democratica del Congo, che ritengono la sentenza importante, ma non sufficiente. In particolare, Dolly Ibefo-Mbunga, direttore di Voix des sans voix, ha parlato alla all’agenzia Misna, di «un primo passo che salutiamo», ma ha aggiunto che «la strada per rendere pienamente giustizia ai congolesi è ancora lunga», sostenendo che nei tre Paesi coinvolti nel conflitto nell’Ituri — Repubblica democratica del Congo, Uganda e Rwanda — Lubanga Dyilo «godeva di sostegni ad alto livello che gli hanno dato i mezzi per seminare morte e desolazione». Di conseguenza, la Banca mondiale insiste sulla necessità dell’applicazione dell’accordo già concluso tra Israele e Autorità palestinese che «potrebbe ridurre sostanzialmente l’evasione fiscale» in proporzioni ancora impossibili da valutare, e che potrebbe comunque «contribuire a diminuire la decrescita degli aiuti internazionali». L’impulso positivo dell’economia dei Territori nel 2011 dovrebbe comunque arrivare al cinque per cento — sempre secondo i dati della Banca mondiale — grazie al ristabilimento della Striscia di Gaza, il cui sistema ha registrato un più venticinque per cento contro il 5,8 per cento della Cisgiordania. Chiuse in Siria le ambasciate di Italia, Olanda e Arabia Saudita DAMASCO, 15. Arabia Saudita, Olanda e Italia hanno deciso ieri di chiudere le rispettive ambasciate a Damasco a causa delle violenze in corso nel Paese. Secondo fonti degli attivisti, ieri a Deraa sono morte almeno venti persone. «Non è questione di se, ma di quando il presidente siriano, Bashir Al Assad, lascerà il potere» ha affermato il presidente americano, Barack Obama, in una conferenza stampa con il premier britannico David Cameron, aggiungendo che sul regime di Damasco verrà esercitata ulteriore pressione, anche economica. «Noi dobbiamo essere chiari, quello che vogliamo è fermare i massacri nel modo più veloce possibile e questo è attraverso la transizione e non la rivoluzione o la guerra civile» ha detto Cameron. «Siamo pronti a lavorare con chiunque voglia costruire una Siria stabile, democratica e inclusiva» ha detto il premier britannico. Sul fronte umanitario, la Fao ha lanciato ieri un allarme sulla sicurezza alimentare in Siria, esprimendo «grave preoccupazione» soprattutto per «i gruppi più vulnerabili». Secondo la Fao, «è sempre più difficile ottenere cibo, acqua e carburante in molte aree». NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Beatitudine Gregorios III Laham, Patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti (Siria). Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Daniel N. DiNardo, Arcivescovo di Galveston-Houston (Stati Uniti d’America), con l’Ausiliare, Sua Eccellenza Reverendissima George A. Sheltz, Vescovo titolare eletto di Irina, in visita «ad limina Apostolorum»; le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori: — Joe Steve Vasquez, Vescovo di Austin (Stati Uniti d’America), in visita «ad limina Apostolorum»; — Curtis John Guillory, Vescovo di Beaumont (Stati Uniti d’America), in visita «ad limina Apostolorum»; — Daniel E. Flores, Vescovo di Brownsville (Stati Uniti d’America), con il Vescovo emerito, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Ray- mundo Joseph Peña, in visita «ad limina Apostolorum»; — William Michael Mulvey, Vescovo di Corpus Christi (Stati Uniti d’America), in visita «ad limina Apostolorum»; — Alvaro Corrada del Río, Vescovo di Mayagüez (Puerto Rico), in visita «ad limina Apostolorum»; — David Eugene Fellhauer, Vescovo di Victoria in Texas (Stati Uniti d’America), in visita «ad limina Apostolorum». Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Robert Zollitsch, Arcivescovo di Freiburg im Breisgau (Repubblica Federale di Germania). Il Santo Padre ha nominato Gran Maestro dell’O rdine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Edwin Frederick O’Brien, finora Pro-Gran Maestro del medesimo Ordine. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 venerdì 16 marzo 2012 L’eurozona dà il via libera definitivo al secondo piano da 130 miliardi di euro Pesanti accuse ai vertici dell’istituzione La Grecia salva ma sotto controllo Si dimette il direttore esecutivo di Goldman Sachs ATENE, 15. La Grecia è salva, ma resta sotto un serrato controllo della Ue che non ammette deroghe ora che il Governo ha ottenuto gli aiuti. L’eurozona ha dato ieri il via libera definitivo al secondo piano da 130 miliardi di euro, ma l’esborso avverrà attraverso numerose tranche, che consentiranno alla Ue una verifica puntuale degli impegni del Governo per risanare i conti. L’Europa — ha fatto capire il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker — è pronta a chiudere il rubinetto in qualsiasi momento. Mancava solo l’approvazione formale da parte dei parlamenti nazionali, per l’ok definitivo al secondo piano salva-Grecia che porterà l’ammontare complessivo dello sforzo europeo per Atene alla cifra record di 214 miliardi di euro. I 130 miliardi saranno versati entro il 2014. «Gli Stati della zona euro hanno approvato formalmente il secondo programma, tutte le procedure nazionali sono state completate» si legge in una nota di Juncker. I Paesi — spiega il documento — «hanno anche autorizzato il fondo salva-Stati a mettere in campo la prima parte degli aiuti, cioè 39,4 miliardi, che saranno versati in diverse tranche». Questi primi aiuti andranno, come una sorta di incentivo, ai creditori privati che hanno accettato di partecipare al piano di swap dei titoli, perdendo fino al settanta per cento del valore dei loro titoli greci. Mentre per gli altri fondi la scaletta dei versamenti non è ancora fissata e dipenderà anche dal contributo del Fondo monetario internazionale, che domani dovrebbe fissare la sua quota. Si pensa che arriverà almeno a diciotto miliardi, molto meno di quelli stanziati per il primo piano. Il primo salvataggio, varato a maggio 2010, prevedeva un pacchetto da 110 miliardi, diviso in parti uguali tra Fmi, prestiti bilaterali degli Stati di eurozona e budget Ue. Ma per questo secondo piano l’Fmi non ha voluto esporsi troppo, e ha fatto pressione sull’eurozona perché fossero i Paesi dell’euro a fare lo sforzo maggiore. E secondo alcune analisi, non è da escludere nemmeno un terzo piano, forse più leggero, nel 2015, se la Grecia non riuscirà a tornare sui mercati nel 2015 e se Scena di povertà al centro di Atene (LaPresse/Ap) non uscirà dalla recessione in cui è piombata da cinque anni. Per Juncker «questo secondo programma di aiuti è un’opportunità unica per la Grecia, e non deve sprecarla», e la preoccupazione dell’eurozona è tutta per il Governo e i giochi dei suoi politici, che negli ultimi mesi, con i litigi e le mosse da campagna elettorale, hanno perso la fiducia degli altri partner dell’euro. Le autorità greche, ha spiegato Juncker, «devono quindi Rallenta la crescita nei Paesi membri del G20 PARIGI, 15. Nel gruppo delle grandi economie del G20 nel quarto trimestre del 2011 la crescita del pil è scesa al più 0,7 per cento, portando l’aumento per l’intero anno al 2,8 per cento, con una netta frenata rispetto al 5,0 di crescita registrato nel 2010. È quanto emerge dai dati diffusi ieri dal Fondo monetario internazionale e dall’Ocse (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), che mostrano Chiusa la guerra della bistecca tra Stati Uniti e Unione europea LISBONA, 15. «Il Portogallo è sulla buona strada per correggere le proprie finanze e riconquistare la fiducia» dei mercati. Lo ha detto ieri il commissario europeo per gli Affari economici e finanziari, Olli Rehn, in una conferenza stampa con il ministro delle Finanze portoghese, Victor Gaspar, a Lisbona, dopo l’incontro con il premier lusitano, Pedro Passos Coelho. Le riforme su cui si è impegnato il Portogallo — terzo Paese dell’eurozona a beneficiare di un piano di salvataggio — «deve proseguire per rafforzare la fiducia e centrare l’obiettivo di un disavanzo al 3 per cento del prodotto interno lordo l’anno prossimo», ha precisato Rehn. Per il piano di aiuti al Governo del Portogallo, l’Eurozona ha già messo a disposizione (maggio dello scorso anno) 78 miliardi nel 2011. Nelle scorse settimane, il ministro Gaspar aveva annunciato che nel 2013 — come conseguenza del piano di austerità — il prodotto interno lordo del Portogallo sarebbe cresciuto dell’1,2 per cento, dopo due anni di contrazione (meno 2,2 per cento nel 2011 e meno 1,8 per cento nel 2012). «Sono certo che ci sarà un esito positivo per il Portogallo, e ciò sulla base del programma concordato dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale», ha aggiunto Rehn. BRUXELLES, 15. Dopo vent’anni, si è conclusa la cosiddetta guerra della bistecca tra Unione europea, Stati Uniti e Canada. Con 650 voti a favore, undici contrari e undici astensioni, la plenaria del Parlamento europeo ha infatti convalidato ieri l’accordo che permette all’Europa di mantenere il blocco alle carni con ormoni prodotte in Nord America, in cambio di un aumento delle quote di importazioni di carni di alta qualità. Il contenzioso era iniziato con il divieto europeo del 1989 alla commercializzazione di carni di bovini trattati con ormoni. Di fronte al blocco delle importazioni di carne dal nordamerica, dove è prassi abituale trattare i bovini con ormoni per accelerare la crescita del bestiame, Stati Uniti e il Canada — per ritorsione — fecero ricorso alla Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e nel 1999 hanno imposto dazi doganali su un centinaio di prodotti tipici europei. L’accordo approvato ieri è stato raggiunto nel 2009 e consente un aumento di 25.000 tonnellate all’anno delle carni di alta qualità _ ovvero senza trattamento ormonale _ che possono essere importate dagli Stati Uniti in Europa (3.200 tonnellate per il Canada) senza dazi doganali, in aggiunta alle 20.000 tonnellate della quota attuale. L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt continuare a dimostrare forte impegno verso le riforme e proseguire anche lo sforzo di risanamento dei conti, e le privatizzazioni, per restare in linea con il secondo programma». Ma con le elezioni politiche previste forse già in aprile, il dubbio sullo scenario post-elettorale resta, tanto che la Ue vuole lasciarsi un’uscita d’emergenza al secondo piano di aiuti, dividendoli in numerose tranche, a cui l’Eurogruppo dovrà dare il vie libera ogni volta. fa a pugni con la storia del prestigioso gruppo, che per gli esperti del settore ha sempre fatto della cultura dell’etica una delle priorità, che sono sempre state apprezzate dai suoi clienti in oltre un secolo di attività. Poi non è mancato l’attacco frontale ai vertici della banca d’affari, l’amministratore delegato, Lloyd Blankfein, e il presidente, Gary Cohn: «Quando i libri di storia saranno riscritti su Goldman Sachs potranno mostrare come hanno lasciato cadere la cultura dell’impresa mentre loro tenevano le redini del gruppo. E un declino dello spessore morale dell’impresa — ha avvertito ancora Smith — nel lungo termine rappresenta una serissima minaccia per la sua sopravvivenza». I responsabili del gruppo bancario hanno immediatamente respinto con forza tutte le accuse. «Non concordiamo con le opinioni espresse e non potremmo avere successo senza il successo dei nostri clienti. E questa verità è alla base dei nostri comportamenti», ha infatti replicato un portavoce di Goldman Sachs in una nota. E in questo momento molto delicato per la banca d’affari statunitense, approda a Goldman Sachs Jake Siewert, l’ex portavoce della Casa Bianca all’epoca della presidenza di Bill Clinton. L’incarico di Siewert sarà quello di responsabile dei rapporti con la stampa. Secondo i dati elaborati da Ocse e Fmi in vista delle prossime riunioni del vertice Portogallo sulla buona strada per riconquistare la fiducia GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum NEW YORK, 15. Si è dimesso ieri il direttore esecutivo di Goldman Sachs, Greg Smith, responsabile dei prodotti derivati in Europa e in Asia. In un intervento pubblicato sul «New York Times», Smith ha descritto senza tanti giri di parole il clima che si respira all’interno di una delle più grandi banche d’affari al mondo. Un ambiente tossico e distruttivo, ha precisato sul quotidiano, dove l’etica viene accantonata e i profitti continuano ad essere messi al di sopra di tutto, anche degli interessi dei clienti. L’ex direttore esecutivo di Goldman Sachs — da ben dodici anni nel gruppo — ha sottolineato con dovizia di particolari come «nel modo in cui la banca funziona e pensa di fare soldi, l’interesse dei clienti continua a passare in secondo piano». Clienti — rileva l’agenzia Ansa — che molti manager tra di loro non hanno esitato a chiamare muppets, termine che negli Stati Uniti richiama alla mente i celebri pupazzi della televisione, ma che nello slang indica una persona facile da manipolare. Smith ha raccontato di essersi sentito «disgustato dalla freddezza con la quale la gente parla di come truffare i clienti». Come se la lezione dei guasti provocati negli ultimi anni dalla spregiudicata gestione del sistema finanziario globale non abbia insegnato nulla. Una logica che comunque forti divergenze tra le principali economie mondiali. Negli Stati Uniti, la crescita del pil ha registrato nel quarto trimestre un’accelerazione al più 0,7 per cento rispetto al più 0,5 del terzo trimestre. Alla forte crescita di India e in Indonesia (più 1,8 e più 2,1 per cento sul precedente trimestre) si contrappone il rallentamento della Cina (più 2,0 per cento, rispetto al più 2,3 del terzo trimestre). In Giappone, il Pil è sceso dello 0,2 per cento, dopo il forte rimbalzo (più 1,7) del terzo trimestre. Nell’Ue e nell’Eurozona il dato è diminuito dello 0,3 per cento, il primo calo dal secondo trimestre del 2009. Ma nell’eurozona l’Italia fa registrare un meno 0,7, che segue il meno 0,2 per cent0 del terzo trimestre: rispetto allo stesso periodo del 2010, il quarto trimestre 2011 ha visto un calo dello 0,4 del pil italiano. L’Ocse, sempre ieri, è intervenuta affermando che «l’elevata corruzione è un freno per la crescita» e che quindi resta «essenziale» una «lotta» contro questo fenomeno che «produce un costo in termini di competitività». L’avvertimento è giunto dal capo economista dell’O cse, Giancarlo Padoan, alla Camera del Parlamento italiano per un’audizione in commissione Bilancio. La corruzione, ribadisce «è tra le cause che spiegano la bassa crescita in Italia». Cordoglio di Benedetto GIOVANNI MARIA VIAN don Sergio Pellini S.D.B. Carlo Di Cicco Segreteria di redazione direttore responsabile vicedirettore 00120 Città del Vaticano [email protected] Antonio Chilà http://www.osservatoreromano.va TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE «L’OSSERVATORE ROMANO» Piero Di Domenicantonio redattore capo redattore capo grafico direttore generale telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Gaetano Vallini segretario di redazione La Santa Sede e la Repubblica di Mozambico, con rispettive Note Verbali del 12 marzo corrente, hanno notificato l’avvenuta ratifica dell’«Accordo su Principi e Disposizioni Giuridiche per il Rapporto tra la Santa Sede e la Repubblica di Mozambico», che era stato firmato a Maputo il 7 dicembre 2011. L’Accordo si compone di un Preambolo e di ventitré Articoli, che regolano vari ambiti, tra i quali lo statuto giuridico della Chiesa cattolica in Mozambico, il riconoscimento dei titoli di studio e del matrimonio canonico e il regime fiscale. Con la sua entrata in vigore saranno consolidati i vincoli di amicizia e di collaborazione esistenti tra le due Parti. Bernanke e le banche locali WASHINGTON, 15. In un videointervento fatto pervenire alla Independent Community Bankers of America, il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha detto che le nuove norme e i nuovi parametri di controllo possono imporre un costo sproporzionato alle banche locali. Bernanke ha sottolineato come i dirigenti degli istituti più piccoli e vicini al territorio continuano a essere preoccupati per le modifiche delle normative e in particolare per la Dodd-Frank Wall Street Reform e per il Consumer Protection Act. Ma questi interventi, ha sottolineato, «sono stati varati dal Congresso soprattutto per risolvere il problema delle banche troppo grandi per fallire e la maggior parte delle richieste, come quelle ad esempio su capitale, liquidità e gestione del rischio, si applicano solo o soprattutto alle banche più grandi, complesse e attive a livello internazionale». In questo senso, Bernanke ha ribadito l’impegno della Fed “a mantenere una chiara differenziazione” fra i due tipi di banche nell’applicazione delle nuove normative. Mercato europeo dell’automobile ancora in rosso Il segretario generale dell’Ocse Angel Gurría (Afp) XVI per le vittime della sciagura stradale avvenuta in Svizzera Il Belgio piange i suoi bambini BRUXELLES, 15. Il Belgio è sotto shock dopo il tragico incidente stradale, avvenuto in Svizzera in cui sono morte 28 persone, di cui 22 bambini. Sentimenti di cordoglio e di profonda partecipazione al dolore delle famiglie coinvolte sono stati espressi da Benedetto XVI in un telegramma, a firma del cardinale Tarcisio Bertone, indirizzato all’arcivescovo di Mechelen-Brussel, André Léonard. Il presidente della Confederazione elvetica, Eveline WidmerSchlumpf, ha presentato al Belgio le condoglianze e ha assicurato che la Svizzera farà tutto il possibile per Ratifica di Accordo tra Santa Sede e Repubblica di Mozambico assistere i 24 feriti e le famiglie delle vittime. E in Svizzera sono arrivati con il loro carico di dolore indicibile i genitori dei bambini coinvolti nella sciagura del tunnel di Sierre, nel cantone Vallese. Il re Alberto II e la regina Paola del Belgio erano andati a incontrarli alla partenza, dalla base militare di Melsbroek, a Bruxelles. All’indomani della notizia del tragico incidente la stampa belga descrive lo stato di incredulità e sgomento in cui si trova il Paese. Tutti i bambini coinvolti vivevano nella regione fiamminga del Belgio e questa Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va mattina i giornali dedicano decine e decine di pagine alla tragedia. «Consideriamo principalmente tre cause: una causa tecnica, un difetto del veicolo che è possibile», ha detto il procuratore Olivier Elsig in conferenza stampa in Svizzera, precisando che l’esame in corso del veicolo, quasi nuovo, potrà stabilirlo. «Un’altra ipotesi è quella di un malessere o di un problema di salute del conduttore», e l’autopsia dovrebbe consentire di «confermare o smentire questa ipotesi». La terza pista, come in tutti gli incidenti, è una causa umana, legate a un errore. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Ufficio diffusione: telefono 06 698 99470, fax 06 698 82818, [email protected] Ufficio abbonamenti (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, fax 06 698 85164, [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 BRUXELLES, 15. Nuovo calo delle immatricolazioni delle autovetture in Europa. A febbraio, nei 27 Paesi dell’Ue più quelli dell’Efta, sono infatti state immatricolate 923.381 vetture, in calo del 9,2 per cento rispetto allo stesso mese del 2011. Lo comunica l’Acea, l’Associazione che riunisce le case costruttrici europee. A gennaio, la flessione era stata del 6,6 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, a 1.003.313 unità. Nella sola Unione europea, la flessione delle vendite di automobili a febbraio è stata del 9,7 per cento a 888.878 unità. Tra i cinque principali mercati europei, in forte flessione Francia (meno 20,2 per cento, a 163.010 immatricolazioni) e Italia (meno 18,9 per cento, a 130.661 unità). Risultano invece invariate le vendite in Germania (a 224.318 unità), mentre registrano una flessione più contenuta Gran Bretagna (meno 2,5 per cento, a 61.868 unità) e Spagna (meno 2,1 per cento, a 64.732 unità). Il progresso maggiore è invece stato messo a segno dall’Estonia (più 29,7 per cento). I tre maggiori gruppi europei si confermano Volkswagen, Psa Peugeot-Citroen e Renault. Concessionaria di pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A System Comunicazione Pubblicitaria Gianni Vallardi, direttore generale Romano Ruosi, vice direttore generale Sede legale Via Monte Rosa, 91 - 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese Assicurazioni Generali S.p.A. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 16 marzo 2012 pagina 3 In un aeroporto nel sud dell’Afghanistan L’imminente arrivo della stagione delle piogge minaccia la sopravvivenza di decine di migliaia di persone Fallito attentato a Panetta Il Sudan dei profughi KABUL, 15. Un’auto ha sfondato a tutta velocità una recinzione, si è trasformata in una palla di fuoco e ha raggiunto la pista dove proprio in quel momento era in atterraggio in una base nel sud dell’Afghanistan l’aereo con a bordo il segretario alla Difesa statunitense, Leon Panetta. Le fonti ufficiali parlano di incidente, ma diverse altre dicono che si è trattato di un fallito attentato. Protagonista della vicenda è stato un civile afghano, che ha sottratto il veicolo con la forza a un militare dell’Isaf all’interno della base militare, il Camp Bastion, nella provincia di Helmand, e che è morto in ospedale a seguito delle gravi ustioni riportate. Secondo un ufficiale dell’esercito statunitense l’attentatore ha cercato di colpire un gruppo di soldati americani che si trovavano sul posto ad accogliere il capo del Pentagono. Panetta e gli altri occupanti dell’aereo non sono stati «in alcun momento in pericolo», ha poi precisato in una nota l’Isaf, e il segretario alla Difesa ha continuato la visita, che era in programma da tempo ma che, come sempre, non era stata annunciata per motivi di sicurezza. «Al momento non ci sono prove che il conducente sapesse chi c’era sull’aereo», ha affermato un portavoce del Pentagono, il capitano John Kirby, aggiungendo che «non ci sono indicazioni che si sia trattato di un attacco intenzionale». Di certo, dopo il massacro domenica scorsa di 16 civili afghani da parte di un sergente americano (che ieri è stato peraltro portato via dall’Afghanistan) e dopo il rogo di alcune copie del Corano in una base americana, la missione di Panetta è stata circondata da una forte tensione, scandita anche da due attentati in cui ieri hanno perso la vita una decina di persone, di cui otto a Helmand, proprio vicino alla base dove si trovava Panetta. In quest’atmosfera, il capo del Pentagono ha però detto ai soldati nella base che «non lasceremo che singoli incidenti minino la nostra determinazione in questa missione, o di allontanarci dalla strategia che abbiamo messo a punto». Un messaggio chiaro, ripetuto negli ultimi giorni più volte anche dal presidente statunitense Barack Obama, e che lo stesso Panetta ribadirà di persona anche al presidente afgha- no, Hamid Karzai, e ai massimi dirigenti del Paese che incontrerà oggi a Kabul nella sua visita di due giorni in Afghanistan. Certo, le manifestazioni di ostilità e per chiedere agli americani di andarsene prima della fine del 2014 si susseguono da tempo in varie zone del Paese — anche oggi migliaia di afghani sono scesi in piazza nella città di Qalat, nella provincia di Zabul, vicino Kandahar — mentre persino nelle basi militari americane l’atmosfera è sempre più pesante, di sospetto. Come ha riferito il quotidiano «New York Times», ai marines e ad altri soldati che a Camp Bastion volevano ascoltare il discorso del segretario alla Difesa è stato chiesto ieri dal loro comandante di deporre tutte le loro armi personali — fucili d’assalto e anche le pistole — prima di entrare nella tenda dove parlava Panetta. Che gli afghani in situazioni del genere siano disarmati è normale, ma che lo siano anche i soldati statunitensi non lo è. Nel frattempo, nonostante il deterioramento della situazione sul terreno, Stati Uniti e Gran Bretagna, non cambiano la propria exit strategy in Afghanistan, che prevede l’uscita completa delle truppe solo nel 2014. Il presidente Obama, ha ribadito che non ci sarà alcun improvviso cambiamento nei piani, come invece era stato richiesto da più parti sull’onda di un serie di brutti incidenti. Nella conferenza stampa congiunta con il premier britannico, David Cameron, il presidente statunitense ha detto che rimane inalterata la tabella di marcia attuale (il piano di transizione Nato, che comporta prima il passaggio delle truppe a un ruolo di supporto nel 2013, poi il completo ritiro nel 2014, il tutto anticipato dal rientro nella prossima estate di altri 23.000 soldati statunitensi). «Non possiamo perdere di vista che le nostre forze hanno fatto progressi in Afghanistan», ha osservato, escludendo però qualsiasi tipo di «repentino cambiamento al piano già in piedi». Obama ha definito «tragico» il massacro dei 16 civili afghani, ma ha aggiunto che la strage è un segnale della natura estremamente complessa della missione in Afghanistan e ha sottolineato che entrambi i Paesi rimangono impegnati a completarla «responsabilmente». Negoziato faticoso e dall’esito incerto tra i Governi di Khartoum e Juba Una famiglia sudanese sfollata (Reuters) Al Shabaab rivendica un attacco suicida al palazzo presidenziale Strategia del terrorismo a Mogadiscio La deflagrazione durante la visita del ministro degli Esteri kenyano MO GADISCIO, 15. Le milizie radicali islamiche di al Shabaab, che guidano l’insurrezione contro il Governo somalo, internazionalmente riconosciuto, del presidente Sharif Ahmed, hanno rivendicato l’attentato sferrato ieri da un terrorista suicida nel complesso di Villa Somalia, il palazzo presidenziale a Mogadiscio. Secondo la polizia, l’attentato ha provocato cinque morti e dieci feriti. Di 17 morti e trenta feriti ha parlato invece il portavoce di al Shabaab, Abdiasis Abu Musab, rivendicando l’attentato con una telefonata all’agenzia di stampa britannica Reuter e annunciando altri attacchi di uguale tenore. Le milizie di al Shabaab, costrette nei mesi scorsi a ritirarsi da Mogadiscio dai contingenti dell’Amisom, la missione dell’Unione africana in Somalia, appoggiati dalle forze governative, hanno messo in atto da allora una strategia di at- Nell’esplosione di un ordigno Lettera di Jalili all’Unione europea Ucciso il capo della polizia di Peshawar L’Iran auspica la ripresa dei colloqui sul nucleare ISLAMABAD, 15. Il comandante della polizia di Peshawar, Kalam Khan, è stato ucciso oggi in un attentato suicida in città, a Pishta Khara Chowk. «Il sovrintendente della polizia Kalam Khan è morto nell’esplosione e la sua guardia del corpo è rimasta ferita», ha riferito l’agente di polizia Tahir Ayub all’emittente Geo News. «L’attentatore ha azionato l’esplosivo che aveva addosso vicino alla jeep di Khan», ha aggiunto il capo della squadra per la disattivazione degli ordigni Hukum Khan. L’attentato si è verificato su una strada in costruzione a Peshawar, nel quartiere Pishta Khara, dove i lavori imponevano all’auto di Khan di viaggiare lentamente. Domenica scorsa Khan era sfuggito a un attentato mentre si recava al lavoro, a Badaber, e un attentatore suicida aveva colpito un funerale uccidendo 15 persone. Due degli agenti feriti nell’attentato a Khan sono morti successivamente in ospedale per le ferite riportate nell’attentato suicida. Lo ha riferito il vice ispettore generale della polizia di Peshawar, Shafqat Malik, che ha aggiornato quindi a tre agenti uccisi il bilancio delle vittime dell’assalto odierno. La polizia ha circondato la zona dove è stato compiuto l’attentato, alle 9 e 30 di questa mattina ora locale, e sei sospetti sono stati arrestati. Dalle prime indagini emerge che sono stati usati sei chilogrammi di esplosivo per compiere l’attentato. Al momento non ci sono rivendicazioni e l’attentatore suicida non è stato identificato. Nel frattempo, due cittadini svizzeri sono stati liberati dai talebani pakistani che li tenevano in ostaggio da otto mesi. Lo riferiscono oggi i media a Islamabad. L’annuncio del rilascio è stato fatto dal porta- voce dell’ufficio stampa dell’esercito, il generale Athar Abbas. Un portavoce dell’Ufficio stampa dell’esercito pakistano (Ispr) ha confermato all’Ansa il rilascio di Olivier David Och, 31 anni e di Daniela Widmer, 28 anni. «Sono stati recuperati a Miranshah (Waziristan settentrionale) e poi sono stati trasferiti a Peshawar. Stanno bene». I due erano stati sequestrati il primo luglio 2011 nella provincia pakistana del Baluchistan dal movimento denominato Tehreek-e-taleban Pakistan (Ttp), considerato vicino ai terroristi di Al Qaeda. TEHERAN, 15. Il negoziatore iraniano Saeed Jalili ha detto che Teheran guarda con favore a una prossima ripresa dei negoziati sul suo programma nucleare con il gruppo cinque più uno (i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina; più la Germania) e ha invitato a regolari contatti tra le due parti per fissare sede e date dei nuovi colloqui. È quanto Jalili ha scritto in una lettera all’alto rappresentante per la politica Estera e di sicurezza comune dell’Ue, Catheri- ne Ashton. Jalili, segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale, ha anche ribadito l’interesse dell’Iran in colloqui «costruttivi e senza precondizioni», in linea con una crescente collaborazione tra le due parti. Intanto, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e il premier britannico, David Cameron, sono d’accordo sul proseguire l’azione diplomatica con l’Iran. «C’è tempo e spazio» per l’azione diplomatica, ha detto il capo della Casa Bianca durante una conferenza stampa congiunta a Washington. tacchi terroristici nella capitale somala. L’attentato di ieri è avvenuto poco dopo l’arrivo a Villa Somalia del ministro degli Esteri kenyano, Moses Wetangula, per una visita, non annunciata, per discutere con le autorità di transizione somale i termini del previsto inquadramento nell’Amisom delle truppe kenyane presenti in Somalia. Mesi fa, il Governo di Nairobi ha avviato una sua operazione militare con il dichiarato intento di mettere in sicurezza le aree somale a ridosso della sua frontiera fino a quel momento controllate da al Shabaab. La scorsa settimana, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato un aumento degli effettivi e un’estensione del mandato dell’Amisom. Due giorni fa, il primo ministro kenyano, Raila Odinga, ha incontrato a Bruxelles il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, da quale ha avuto assicurazione dell’impegno dell’Unione europea a portare a cento milioni di euro il suo contributo economico all’Amisom per il 2012. Van Rompuy ha anche confermato la disponibilità europea a «prorogare fino al 2014 nel Corno d’Africa e nell’Oceano Indiano la presenza di unità militari degli Stati membri, con l’obiettivo di contrastare l’attività di pirati e terroristi». Morti e feriti durante una manifestazione a Puerto Maldonado Scontri tra polizia e minatori in Perú Un momento dei disordini a Puerto Maldonado (LaPresse/Ap) LIMA, 15. Almeno tre manifestanti sono morti e più di trenta sono stati feriti in scontri scoppiati ieri tra minatori indipendenti e forze di polizia peruviane a Puerto Maldonado, nella regione amazzonica sudorientale di Madre de Dios, a ridosso della frontiera con il Brasile, 1.200 chilometri a est di Lima. Un comunicato del ministero degli Interni, nel riferire sugli scontri, ha precisato che sono rimasti feriti anche nove agenti e che sono state arrestate una sessantina di persone quando i manifestanti hanno incendiato veicoli e tentato di occupare il mercato e l’aeroporto locale. Il comunicato ministeriale accusa i manifestanti di aver utilizzato armi da fuoco ed esplosivi e specifica, comunque, che per ora non sarà disposto lo stato d’emergenza nella zona, come avevano ipotizzato fonti di stampa. I minatori protestano da tempo contro decreti che pongono fine alla loro attività nella regione di Madre de Dios, considerata illegale dal Governo che ha deciso una riorganizzazione del settore. Tra le motivazioni addotte dal Governo c’è la tutela ambientale della regione di Madre de Dios, ricca di biodiversità, dove i minatori indipendenti utilizzano il mercurio per estrarre oro dai sedimenti dei fiumi, arrecando gravi danni all’ambiente. Secondo la Federación Minera de Madre de Dios, che raccoglie i minatori, i provvedimenti governativi — varati con un decreto dell’aprile 2010, che prevede anche fino a dieci anni di carcere per il reato di estrazione illegale – punta in realtà a cancellare un’attività di sussistenza largamente diffusa in tutto il Perú, lasciando campo libero alle grandi aziende minerarie straniere per lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo della regione. JUBA, 15. L’imminente arrivo della stagione delle piogge minaccia di rendere insostenibile la condizione delle almeno ottantamila prersone rifugiatesi in Sud Sudan per sottrarsi ai combattimenti in atto da mesi nello Stato sudanese del Nilo Azzurro tra le forze governative di Khartoum e i ribelli del Movimento di liberazione del popolo sudaneseNord. Agenzie dell’Onu e organizzazioni non governative attive nell’area parlano di difficili sfide dal punto di vista logistico per avere accesso ai rifugiati nei campi di Doro e Jaman e portare loro assistenza. I profughi, che raccontano di continui bombardamenti e combattimenti nel Nilo Azzurro, a Doro e Jamam hanno trovato un rifugio, ma si tratta di un ambiente difficile in una località desertica, dove la loro capacità di sopravvivenza è messa a dura prova. Con l’inizio delle piogge, di solito a fine aprile, la zona si trasforma in una vasta palude nella quale saranno destinati ad accrescersi gli ostacoli all’azione di assistenza umanitaria. Resta intanto faticoso e incerto il negoziato tra Sudan e Sud Sudan sui contrasti lasciati irrisolti dalla proclamazione dell’indipendenza sudsudanese, lo scorso 9 luglio. Nessun passo in avanti si è registrato nelle trattative ad Addis Abeba, con la mediazione dell’Unione africana, sul nodo cruciale della divisione delle risorse petrolifere, situate in massima parte in Sud Sudan. Da tempo, il Governo sudanese pretende che la divisione rimanga quella ipotizzata dall’accordo di pace del 9 gennaio 2005, che pose fine all’ultraventennale conflitto civile, mentre le autorità di Juba intendono invece gestire in proprio le perforazioni, limitandosi a pagare a Khartoum l’utilizzo degli oleodotti. In risposta Khartoum ha fissato un prezzo di 32 dollari al barile, mentre il Governo di Juba è disposto a pagare solo in linea con le tariffe internazionali, cioè circa un dollaro al barile. Da mesi è in atto un braccio di ferro, con il Governo di Juba che ha bloccato la produzione e ha avviato trattative con Kenya, Uganda ed Etiopia per la costruzione di oleodotti che lo affranchino dalla dipendenza da quelli di Khartoum. Il capo dei negoziatori sudanesi ad Addis Abeba, Idriss Mohamed Abdul Gadir, ha detto che «sono necessari ancora molti negoziati sul trasporto del petrolio prodotto nel sud attraverso gli oleodotti di proprietà del nord», confermando che il suo Governo chiede il pagamento degli arretrati. Sviluppi positivi, invece, ci sono stati sul versante della libera circolazione dei cittadini dei due Stati e per avviare la demarcazione dei confini. Secondo Gadir, accordi in merito saranno firmati in una cerimonia ufficiale durante l’incontro previsto a Juba nei prossimi giorni tra il presidente sudanese, Omar Hassam el Bashir, e quello sudsudanese, Salva Kiir Mayardit. L’accordo sulla libertà di movimento, residenza, lavoro e proprietà dei cittadini nei due Stati prevede la creazione di una commissione copresieduta dai due ministri dell’Interno che ne definisca i dettagli. La commissione accelererà anche i processi di rimpatrio volontario nei due Stati. Primo comune sminato in Colombia BO GOTÁ, 15. Il comune di San Carlos, nel dipartimento nordoccidentale di Antioquia, è il primo della Colombia a essere dichiarato ufficialmente libero dalle mine antipersona. San Carlos è stato formalmente riconosciuto dal presidente colombiano Juan Manuel Santos come il primo municipio che è riuscito a bonificare totalmente il suo territorio, nel quale sono stati individuati e rimossi settecento ordigni. L’opera di sminamento ha consentito il rientro di circa 2.700 sfollati costretti negli ultimi anni ad abbandonare le proprie case. La Colombia ha ratificato nel 2000 la Convenzione di Ottawa sulle mine antipersona, che dal 1990 hanno causato 2.028 morti e 7.614 feriti accertati in tutto il Paese. Secondo il Governo, la guerriglia continua però a usarle. pagina 4 L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 16 marzo 2012 venerdì 16 marzo 2012 Da ricerche di archivio emerge la vicenda biografica di Giuseppe Bastia, primo direttore dell’«Osservatore Romano» con Nicola Zanchini Il linguaggio di cinema, musica e televisione Dalla provincia ma per nulla provinciale C’è un solo modo di essere credibili quando si parla di etica La sua figura e la sua storia dimostrano anche la vitalità della presenza dei cattolici nelle terre emiliane e romagnole di PAOLO POPONESSI embra quasi un segno potente che indica il percorso di una vita il fatto che Giuseppe Bastia, cattolico convinto e “intransigente”, compagno di Nicola Zanchini nella fondazione e nella direzione dell’«Osservatore Romano», abbia aperto gli occhi nell’ormai lontano 1827 a Cento, attualmente in provincia di Ferrara, in una casa posta di fronte alla chiesa del Rosario. Dinnanzi a questo luogo, scrigno che racchiude le testimonianze dell’arte di uno dei grandi della pittura, il Guercino, dove si esprime da secoli la devozione dei centesi, nacque il 28 dicembre 1827 Giuseppe Ercole Bastia che, insieme al forlivese Zanchini, avrebbe avuto il coraggio di combattere per la Chiesa e per il Papa una dura battaglia sul terreno del giornalismo. Anche Bastia, come del resto Zanchini, proveniva dai territori delle cosiddette ex legazioni, nel caso del centese da quella di Ferrara, che, a seguito della vittoriosa campagna franco piemontese contro gli austriaci del 1859, sarebbe stata strappata al Papa per entrare a far parte del nascente Regno d’Italia. La figura e la storia di Bastia ci confermano l’esistenza di un contesto assai significativo di laici, non liquidabili come isolate personalità filopapaline, ma segnali di una vitalità della presenza dei cattolici; si confuta così una immagine ideologicamente viziata e totalizzante che assegna tout court a queste terre emiliane e romagnole la palma dell’anticlericalismo. Bastia, con la sua aperta scelta di campo per la Chiesa e per il Papa è in qualche modo agli antipodi di un altro personaggio centese, di lui molto più noto e ricordato, comunque anch’esso riconducibile al mondo cattolico, almeno come origine, che è Ugo Bassi (1801-1849). Frate barnabita, seguace di Garibaldi che seguì durante la Repubblica Romana, catturato dagli austriaci dopo la caduta di Roma, venne poco dopo fucilato a Bologna. In proposito è curioso ricordare che la strada di Cento ove si trovava la casa natale S due servitori. Come per il forlivese Zanchini, al quale è paragonabile per la personalità poliedrica, anche su Bastia è sceso l’oblio, rendendo non molto agevole ricostruirne la vicenda personale. In questo senso un contributo estremamente significativo per ricostruire la vita e le opere del centese che, come vedremo, sarebbe riduttivo definire semplicemente solo un pioniere della informazione cattolica, è La Selva alfabeticamente disposta di nomi e cose centesi e di quant’ altro in richiamo a Cento appartiene di Antonio Orsini (1858-1928). Si tratta di una monumentale opera storica (ottantasette quaderni manoscritti raccolti in sei voLa casa di Bastia si trovava di fronte alla chiesa del Rosario a Cento lumi) riscoperta da due ricercatori di Cento, Guido Vancini e Giuseppe di Bastia è oggi intitolata proprio a Sitta, di prossima pubblicazione Ugo Bassi. (grazie all’impegno finanziario della Come scopriamo consultando il Fondazione Cassa di Risparmio di registro dei battesimi della collegiata Cento, Amministrazione comunale, di San Biagio che si trova nel cuore Lions e Leo Club, Associazione di Cento, i genitori di Bastia erano Amici della Pinacoteca e AssociazioAntonio, che si sarebbe spento nel ne Imprenditori Centesi per la Cul1835 lasciando cinque figli piccoli, e tura). In questa sorta di enciclopedia Annunziata Farnè. Il padre era un centese, attendibile e assai considerericco macellaio al quale la grande vole fonte di conoscenza relativa a floridezza degli affari consentì di copersonaggi, luoghi e storia della citstruire un bel palazzo proprio di tà di Cento e del suo territorio, trofronte alla chiesa del Rosario; in viamo quindi numerose informazioni questa casa, secondo lo “stato delle su Bastia e il contesto nel quale opeanime” della Collegiata di San Biarò. gio, vivevano nel 1835 la vedova AnProbabilmente la condizione agianunziata e i cinque figli: Maria, la ta della famiglia consentì a Giusepprimogenita, quindi Giuseppe e i pe di accedere agli studi di giurifratellini più piccoli Giovanni, Anna sprudenza alla vicina e prestigiosa e Teresa e, a testimonianza della università di Bologna dove si laureò agiatezza della famiglia Bastia, prenel 1850. Gli anni di studio nella citstavano servizio nel palazzo anche tà petroniana avranno senz’altro avuto come effetto quello di favorire e intensificare i contatti con i cattolici bolognesi come testimonia la presenza di Bastia e di suo fratello più giovane, Giovanni, tra i fondatori nel 1850 della Associazione cattolicoitaliana che vide tra i suoi animatori Giambattista Casoni, figura significativa dell’associazionismo cattolico del tempo e giornalista attivissimo che nel 1890 sarebbe divenuto direttore dell’«Osservatore Romano», dopo una breve precedente condirezione in affiancamento al marchese Baviera. Bastia si era radicato fortemente a Bologna come è confermato dalla documentazione custodita nell’archivio anagrafico del comune bolognese tanto che vi mantenne formalmente la residenza, nonostante gli anni passati a Roma dalla quale rientrò definitivamente nel giugno del 1870 e il periodo dal 1884 al 1887 trascorso a Verona. A Bologna Bastia si sposò nel 1855 con Sofia Mei, una bolognese di sei anni più giovane e, come risulta dagli archivi dell’anagrafe, la coppia non ebbe figli. Proprio nella città emiliana Bastia si spense il 7 maggio 1893 nella sua casa di via del Poggiale, ribattezzata dopo la Grande guerra, via Nazario Sauro, mentre la moglie gli sarebbe sopravvissuta fino al 1914. La caduta del regime pontificio nei territori emiliano-romagnoli determinò un forte innalzamento della tensione tra la Chiesa e le autorità del nascente Stato unitario italiano che, ad esempio, sfociarono in clamorosi arresti in ambito bolognese di alti prelati come monsignor Ratta, vicario dell’archidiocesi, e monsignor Canzi, arcivescovo supplente, i quali pagarono a caro prezzo l’avere indicato al clero bolognese l’adozione di comportamenti non certo favorevoli al nuovo potere e a quanti lo appoggiavano. Con la sua solida preparazione giuridica e le sue capacità di avvocato, Bastia partecipò in prima linea a quella tormentata stagione vissuta dalla Chiesa bolognese assumendo il ruolo di difensore in sede processuale, come ampiamente documentato nel testo stampato a Bologna nel 1860 che illustra la strategia difensiva adottata nel caso di Ratta, vicario della diocesi bolognese. Questi, arrestato addirittura mentre si recava ad assistere l’arcivescovo Viale Prelà che Il suo certificato di battesimo (1° gennaio 1828) era in punto di morte, fu condannato a tre anni di carcere, scontandone però solo poco più di tre mesi, per non avere autorizzato il clero bolognese a partecipare alle celebrazioni per l’anniversario dello Statuto Albertino. Sempre tre anni di carcere — in questo caso effettivamente scontati — furono inflitti in seguito a monsignor Canzi, arcivescovo supplente per avere dato la disposizione di negare la comunione a quanti erano attivamente impegnati a fianco del nuovo potere. Il ruolo di difensore di parte cattolica in sede processuale e l’essere autore di un articolo nel quale si esprimeva sostegno alla ultima resistenza borbonica nella fortezza di Gaeta contro le truppe di Vittorio Emanuele II contribuirono a creare un clima molto ostile attorno a Bastia da parte dell’opinione pubblica più anticlericale inducendolo a lasciare gli ex territori pontifici per raggiungere Roma ove avrebbe dato inizio con Zanchini all’impresa dell’«Osservatore Romano». Tuttavia è probabile che questa scelta sia stata determinata piuttosto dalla convinzione della necessità di sviluppare un più deciso impegno a difendere la libertà della Chiesa che si riteneva grandemente minacciata dall’attacco al potere temporale papale. Come documenta la Selva di Antonio Orsini, Bastia evidenziò doti anche in campo letterario tanto da essere menzionato, oltre che come romanziere, anche, appena diciottenne, come autore di versi celebrativi dell’amnistia concessa da Pio IX dopo la sua elezione. Da vivace polemista, il futuro fondatore dell’«Osservatore Romano» si batté come difensore del ruolo e dei diritti della Chiesa e del Papa. Di questo suo impegno è testimonianza Il dominio temporale dei papi Per la Chiesa, nello Stato Per meglio conoscere Giuseppe Bastia, il suo impegno e le sue posizioni è utile analizzare due sue pubblicazioni che, pur appartenenti a diversi periodi, sono comunque unite dal filo ideale di un coerente schierarsi a difesa della Chiesa e della sua presenza nella realtà italiana del tempo. Difesa dell’illustrissimo e reverendissimo Monsig. Gaetano Ratta davanti al tribunale criminale di prima istanza in Bologna, pubblicato nel 1860 nella stessa città ove si era celebrato il processo, rivela conoscere come Bastia, in qualità di avvocato, difese davanti ai giudici monsignor Gaetano Ratta, protagonista di uno dei primi scontri che caratterizzarono i rapporti tra il nuovo Stato e la Chiesa. Ratta infatti pagò prima con l’arresto e la reclusione nel carcere bolognese del Torrone e poi con la condanna il rifiuto del clero bolognese (secondo le direttive del Papa), di celebrare con rito religioso l’anniversario dell’emanazione dello Statuto Albertino. Il vicario della diocesi, con l’arcivescovo Viale Prelà così gravemente malato da spirare al momento dell’arresto di Ratta, si trovò quindi in prima linea nel sostenere le conseguenze di una posizione non certo conciliante con il nuovo regime. L’apertura dell’arringa difensiva di Bastia è tutta sul filo del diritto, con la contestazione dell’arbitrarietà dell’arresto di Ratta avvenuto senza autorizzazione della magistratura, prescindendo dalla considerazione che non vi era alcun pericolo di fuga del prelato. Tutta la strategia difensiva si incentra in seguito sulla arbitrarietà dell’imposizione alla Chiesa bolognese di festeggiare lo Statuto quando la legge stessa imponeva alle autorità laiche di concertare tali celebrazioni con le autorità religiose rispettandone l’ordinamento e la gerarchia. Quello che Bastia contesta è l’intromissione dello Stato in un ambito, quello dei riti e delle cerimonie religiose, che la legge stessa attribuiva all’esclusiva competenza delle autorità ecclesiastiche. Da un livello giuridico formale l’avvocato centese si distacca per scendere su un terreno a lui altrettanto congeniale e certamente assai caro sul piano ideale. Infatti la difesa del vicario arrestato si trasforma in una appassionata apologia della libertà di coscienza e, in particolare, dei diritti del credente di fronte all’autorità dello Stato, sempre comunque supportata con consumata esperienza di uomo di legge da riferimenti al quadro normativo e allo Nel 1860 Bastia pubblicò un testo che ricostruiva la sua difesa di monsignor Gaetano Ratta Statuto Albertino. Al contrario, secondo Bastia, ci si deve chiedere se «la voce del capo della Chiesa dichiarante la soluzione di un dubbio morale deve persuadere una mente e vincolare una coscienza cattolica». La questione, allora, secondo l’appassionata difesa condotta dal futuro fondatore dell’«O sservatore Romano», è «se un sacerdote, un cattolico qualunque, possa agire contro la sua coscienza illuminata dal Capo di quella Religione che è Religione di Stato». Al di là di altre considerazioni formali questa è la fondamentale argomentazione attorno alla quale ruota la strategia difensiva messa in atto da Bastia. «La vera grandezza è la grandezza morale che sorge nell’uomo dalla coscienza dè suoi doveri e della impavida risoluzione della loro osservanza», come ha testimoniato il comportamento di monsignor Ratta coerente con la sua fede. Accanto a questo tema della libertà dei cattolici di vivere la loro fede in obbedienza al Papa, per Bastia era egualmente da difendere con vigore il principio della libertà della Chiesa e del Pontefice garantita dal potere temporale. Questa tematica fu costantemente al centro della sua riflessione e della sua opera per tutta la vita, come testimonia il suo saggio Il dominio temporale dei Papi dal 1815 al 1846 nel quale, tre anni prima di morire, raccoglieva undici articoli scritti in difesa del potere temporale papale. Nell’introduzione Bastia si dice spinto a pubblicare questo suo lavoro per l’impressione suscitata dalla lettura dell’enciclica di Leone XIII Dall’alto dell’Apostolico seggio (15 ottobre 1890) con la quale il Papa aveva nuovamente messo in guardia i cattolici sul pericolo dell’attacco ai valori del cattolicesimo condotto con particolare durezza dalla massoneria. C’è un passo dell’enciclica che deve avere colpito in misura significativa Bastia, là dove Leone XIII sottolinea come «si cominciò col rovesciare sotto colore politico il principato dei Papi: ma la caduta di esso nelle intenzioni segrete dei vari capi, apertamente poi dichiarate, doveva servire a distruggere o almeno tenere in servitù il supremo potere spirituale dei Romani Pontefici». È un tema particolarmente caro a Bastia: il potere temporale quale garanzia per la Chiesa di potere svolgere liberamente la sua missione spirituale. Così in questo saggio ripercorre i caratteri del dominio pontificio dalla Restaurazione all’elezione di Pio IX, analizzando l’opera dei quattro Papi Pio VII, Leone XII, Pio VIII e Gregorio XVI. Da raffinato polemista, Bastia utilizza alcuni giudizi di un avversario, Luigi Carlo Farini, tratti dal saggio di quest’ultimo Lo Stato Romano, per rafforzare le proprie argomentazioni a sostegno della necessità e utilità del potere temporale papale. Il futuro direttore dell’«Osservatore Romano» esprime un incrollabile giudizio incondizionatamente positivo sull’azione di governo dei quattro Papi, impegnandosi a fondo nel confutare alcuni degli argomenti utilizzati dagli anticlericali per contestare la legittimità del potere temporale. In primo luogo smentisce che vi sia mai stato uno spirito di ribellione diffuso a livello popolare nello Stato Pontificio; rivolte e insurrezioni, secondo l’autore, sono stati fenomeni perlopiù indotti dall’esterno se è vero che «i principali cospiratori negli Stati della Santa Sede sono sempre forestieri ai quali tutt’al più si consocia la feccia indige- na che mai manca in nessun paese. Il qual fatto per sé eloquentissimo in favore della fedeltà dei sudditi pontifici vien posto in sodo dal mentovato Farini, mentre pure si argomenta di calunniare come inetto e crudele il governo dei Papi». Conseguentemente Bastia cerca di mettere in evidenza il consenso del quale godeva il governo papale da parte degli abitanti dello Stato Pontificio «paghi di lor sorte e nemici di turbolenze o novità». Si trattava, per l’autore, di un consenso bollato da Farini come «Sanfedismo settario» che assumeva carattere di massa. «Non è chiaro — si chiede polemicamente Bastia — che l’opinione pubblica, come oggi la chiamerebbero, batteva all’unisono col sistema, coll’indirizzo, col pensiero, colla volontà del Governo? Che l’universalità dei sudditi stava col Principe, paga delle sue leggi e del suo reggimento, perché omogeneo e rispondente ai bisogni, agl’interessi, alla prosperità di tutto quanto lo Stato?». Frontespizio del saggio «Il dominio temporale dei Papi dal 1815 al 1846» (1890) Bastia si preoccupa anche di confutare l’accusa che lo Stato Pontificio si sia retto esclusivamente sull’appoggio politico e militare di Stati esteri, in particolare l’Austria. Sostiene che in realtà le ingerenze straniere sarebbero state causate dalla cospirazione esterna ai territori pontifici e, in particolare sotto Gregorio XVI, subite più che incoraggiate dal governo papale. Bastia si preoccupa anche di respingere l’accusa di ferocia repressiva del governo papalino nei confronti degli oppositori. Dopo avere sottolineato lo spirito di clemenza che generalmente ha permeato l’azione della giustizia pontificia, nota come «quei che accusano di ferocia politica il Governo Papale sono gli autori delle fucilazioni di massa nel Regno di Napoli; son quelli pei quali era mandato a morte chiunque fosse trovato con un tozzo di pane in tasca; sono quelli che misero a ferro e a fuoco Casalduni e Ponte Landolfo ed altri villaggi e borgate». Ma proprio al termine del saggio troviamo un interessante giudizio di Bastia, comunque rivelatore del sentimento di italianità vissuto dalla parte cattolica “intransigente”, sul compimento dell’Unità della quale non viene contestata la legittimità dell’aspirazione ma il metodo e i principi di realizzazione: «Lo Stato Pontificio non era d’ostacolo all’indipendenza e alla grandezza d’Italia, e nemmeno alla sua politica unità. Non quella ibrida e antistorica che le sette massoniche le hanno imposto, ma quella che l’indole sua, la sua struttura topografica, le sue antiche tradizioni le avrebbero indicate, e la quale, si fata deum, si mens non laeva fuisset, si sarebbe senza fallo ottenuta, rinnovellando la sapienza politica degli avi nostri, che conobbero il segreto della forza e della gloria nazionale italiana». Rileggendo queste pagine, sembra che il maturo militante cattolico scriva nella consapevolezza di dover passare il testimone di un impegno ideale a una generazione più giovane che ha, comunque, il dovere di conoscere quella che egli ritiene essere la verità storica, precisando che, in una fase della vita italiana non certo facile in primo luogo per i cattolici e la Chiesa, «queste sono le conclusioni fluenti della storia del passato, queste sono le speranze dell’avvenire. E diciamo speranze, non essendo possibile che duri eterna una condizione di cose, diametralmente opposte a tutti i principi rivelati e naturali, su cui si fonda e si svolge l’umano consorzio». (paolo poponessi) di CARLO BELLIENI Giuseppe Ercole Bastia dal 1815 al 1846, saggio pubblicato a Bologna nel 1890, a pochi anni dalla morte, segno di un forte orientamento e convincimento che lo animarono costantemente per tutta la vita. Il notevole spessore culturale di Bastia appare evidente considerando che proprio a lui si deve la traduzione dal francese del libro pubblicato a Bologna nel 1861 Roma, l’Italia e l’Europa senza il Papa, opera di Felix Antoine Philibert Dupanloup (18021878), personalità di rilievo della Chiesa dell’Ottocento, arcivescovo di Orleans, del quale si ricorda anche l’importante contributo dato alla discussione su Sillabo e infallibilità papale. Riscoprendo la figura di Bastia dobbiamo anche ricordare un altro centese suo contemporaneo che ebbe un ruolo nella fase pionieristica dell’«Osservatore Romano». Si tratta di Paolo Pultrini, citato tra i primi componenti del gruppo di redazione del giornale; la Selva orsiniana ci fornisce qualche altra informazione che permette di delineare meglio i contorni di questo personaggio. Inizialmente si dedicò all’insegnamento nella vicina cittadina di San Pietro in Casale ricoprendo l’incarico pubblico di maestro ma gli eventi successivi alla elezione a Papa di Mastai Ferretti portarono Pultrini lontano da una tranquilla carriera di insegnante in un borgo di una provincia della Stato Pontificio. Travolto, come tanti altri, dall’entusiasmo suscitato dal provvedimento di clemenza emanato da Pio IX all’inizio del suo pontificato, Pultrini compose in quei giorni del 1846 versi celebrativi dell’amnistia che furono dati alle stampe. Emergevano così le sue doti di scrittore che lo portarono in seguito a Roma ove fece parte della prima redazione dell’«O sservatore Romano». Pultrini, che si stabilì definitivamente a Roma fino alla morte, collaborò a lungo con il giornale, conquistandosi la considerazione pontificia tanto che fu «insignito di Ordini equestri pontifici, essendo d’ognora caro a Pio IX e Leone XIII» come sottolinea Orsini ne La Selva. La vicenda di Pultrini conferma ancora una volta come dalla “provincia” vennero personalità — e Bastia ne è il chiaro esempio come il collega Zanchini — le quali, con una mentalità e impostazione per nulla “provinciali”, furono capaci di realizzare un giornale come «L’O sservatore Romano» da subito caratterizzato da una tecnica giornalistica moderna e dinamica e da una grande e appassionata apertura alla conoscenza e alla discussione di quanto la realtà dei loro tempi proponeva. Essere credibili nel parlare di etica significa raccontare e mostrare la realtà. La realtà non inganna, e introduce alla natura delle cose: è un criterio fondamentale introdotto dal cristianesimo, e quando la realtà viene mostrata bene — e non spiegando solo come sfuggirla — chiunque resta colpito e affascinato. Certe trasmissioni televisive suggestivamente mostrano la realtà della fatica umana e dell’eroismo quotidiano di certe famiglie (per esempio Extreme Makeover Home Edition, prodotto dall’americana Abc) senza sentimentalismi ma con candido tratteggio della malattia e della solidarietà che la fatica umana suscita. E certe produzioni cinematografiche mostrano un ritratto dell’amore di cui difficilmente sentiamo parlare tanti esperti; tra queste, la più recente e avvincente è la saga di Twilight. È la storia di Bella Swan che si innamora perdutamente di un vampiro, e in cui troviamo, raccontato con le parole di oggi, la bellezza di un amore che potrebbe distruggere l’altro, che ne avrebbe la forza e l’impeto, e che invece si strugge e languisce per cogliere l’amore dall’altro con rispetto. Non è il “vampiro” o il sangue che attrae i ragazzi in questa serie di libri-film, ma l’amore giovane e fedele di Edward e Bella: di sangue, vampiri e amori in cui nessuno crede sono pieni i rotocalchi, ma la storia di un amore che non “usa e getta” l’altro, come invece invita a fare la cultura postmoderna, attrae e colpisce. Già questo basta a qualificare la produzione: non è casuale che da un rispetto simile, la ragazza giunga a venerare il momento del matrimonio, e a rifiutare l’aborto. Come non notare che invece il panorama televisivo è pervaso dal sentimentalismo delle lacrime facili, sotto forma di reazioni spropositate, di malattie ostentate come spettacolo da libro dei record, di scienza vista come qualcosa che ci terrorizza per i suoi rischi o spacciata come una magica risoluzione ai problemi, di catastrofi annunciate? La sofferenza diventa spettacolo e questo non è un buon modo per narrare il reale; così come la scienza che diventa magia. È la vittoria della cultura dell’opinione personale e delle sensazioni: proprio quel tipo di cultura per cui, in barba alla scienza, si chiede allo Stato nuovi modi di morire invece di sistemi forti per essere curati meglio, o il “diritto alla droga libera” invece del diritto a giornate piene di vita. L’unico rimedio a questa deriva è mostrare e raccontare con arte la realtà, l’eroismo quotidiano di chi vive con una malattia, e la colpevole trascuratezza di chi potrebbe occuparsene a livello sociale e politico; l’eroismo di un infermiere o di una maestra; la forza di mille madri e padri. Come non ricordare la poesia commovente con cui certi cantanti descrivono la realtà e che vale più di cento libri? Quella ad esempio di Lucio Dalla, da poco scomparso, che descriveva i senzatetto della metropoli, i personaggi anonimi ma veri, ritratti nelle prigioni o nei porti e che ancora affascinano i giovani? La gente, e i ragazzi in particolare, vuole incontrare la realtà, men- perché non si può costruire su un campo minato, alterato dalla paura del domani o dalla perdita di capacità di costruire e sperare. Bisogna riprendere a mostrare e raccontare con arte la grammatica etica (cfr. Occorre superare la logica delle lacrime Caritas in veritate, 48): i giovani sanno facili e della sofferenza spettacolarizzata individuare e affezioBisogna invece raccontare con arte la realtà narsi a questi lampi perché questa non inganna di verità, quando li incontrano. È compito dei media facilitare Non è prima di tutto — come vorartisti e produttori che sanno racrebbe chi vuole un’etica basata solo contare e mostrare la realtà: che sull’analisi delle conseguenze — diinevitabilmente, se raccontata con squisire sulle conseguenze o sulle sincerità, arte e verità, mostra la innovazioni, ma mostrare il tipo di legge che ha dentro, e il disegno uomo che vogliamo e che siamo, buono di cui è parte. tre troppo spesso riceve solo una serie di stimoli indotti dal mercato. Il problema etico di oggi è proprio qui: ricostruire un terreno “umano” e non di sensazioni o di paura. Bella ed Edward, i protagonisti di «Twilight» Nel prossimo numero della «Civiltà Cattolica» Intelligenza collettiva La diffusione delle tecnologie digitali permette alle persone di rimanere «connesse», di aprire cioè con immediatezza e gratuitamente canali di comunicazione senza barriere o distanze: è da questa consapevolezza che parte Antonio Spadaro, sul numero in uscita de «La Civiltà Cattolica», nell’articolo Le sfide dell’“intelligenza collettiva”. «L’intelligenza interconnessa — scrive il direttore della rivista dei gesuiti — ha fatto immaginare a qualcuno la prospettiva di un corpo unico che, vivendo di connessioni fitte, si esprime come unità pensante, intelligente. Il maggior teorico di tale visione è il filosofo francese Pierre Lévy, con il suo libro L’intel- ligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio. Leggendolo però, prosegue Spadaro, «ci si rende conto che le radici del suo pensiero sono molto antiche. L’intelligenza collettiva realizzata dalle Reti ha infatti una radice esplicitamente teologica di origine medievale. Lévy costruisce la sua teoria di comprensione dell’intelligenza in Rete basandosi sulla teologia neoplatonica dei filosofi islamici dell’XI secolo quali Al-Fârâbi e Ibn Sina, conosciuto come Avicenna. Essi hanno posto al cuore della loro antropologia l’idea di un’intelligenza unica e separata, identica per tutto il genere umano, e che dunque può essere considerata un intelletto comune, una coscienza collettiva. L’intelletto comune in tale quadro è concepito come congiunzione tra Dio e gli uomini». Ebbene, Lévy si fa ispirare da questa visione «e la ribalta, operando una conversione dal trascenden- te all’immanente, dalla teologia all’antropologia. Invertendo i termini dello schema, Dio si tramuta in una possibilità aperta per il divenire umano, il mondo angelico o celeste diviene la regione dei mondi virtuali attraverso i quali gli esseri umani si costituiscono in “intellettuali collettivi”». «Nei ragionamenti di Lévy — prosegue Spadaro — è attiva una sfida. Come pensare una intelligenza comune tra gli uomini? La soluzione da lui adottata è l’adozione dello schema teologico neoplatonico islamico, perché esso gli sembrava adatto a fornire categorie di pensiero. La sua strategia è stata quella di capovolgerne la natura teologica per farla diventare antropologica e sociologica fino a esiti di carattere marxista. Uno dei problemi maggiori dello schema è il ruolo della singola persona all’interno del sistema. La sfida è dunque la seguente: sarà possibile pensare a una forma di intelligenza comune senza che essa diventi «collettiva» in modo tale da assumere i tratti di una utopia collettivistica e spersonalizzante?». Derrik De Kerckhove «ha cercato di integrare l’approccio del suo amico Lévy, preferendo la definizione di “intelligenza connettiva” a quella “collettiva”, valorizzando la prassi, l’apertura alla connessione, piuttosto che la dimensione collettivista. Ma la sfida resta aperta». Spadaro conclude quindi citando il vescovo di Ratisbona Gerhard Ludwig Müller: «Nell’ottica della costituzione Gaudium et spes del concilio Vaticano II, internet è un’eccellente possibilità per mettere in rilievo la responsabilità della Chiesa nella formazione di una cultura umana collettiva, per la quale la società odierna, con la sua rete di connessioni internazionali — globali — fornisce del resto degli ottimi presupposti». «Il periodo filosofico dell’epoca moderna — scrive il gesuita Giovanni Cucci nell’articolo Il peccato originale nel pensiero moderno su «La Civiltà Cattolica» — appare a prima vista del tutto antitetico alle problematiche teologiche e religiose proprie dell’epoca medievale. Le sue radici vengono indicate nella rivoluzione scientifica, nell’autonomia del potere politico, nella rivendicazione della razionalità come criterio unico di verità». Eppure, continua l’autore, «se dalle impressioni globali si passa a esaminare nel dettaglio le vicende e le Il peccato non coincide con il senso di colpa psicologico il rimprovero spietato del narcisista o il tormento senza pace dello scrupoloso opere dei principali filosofi di questo periodo, si scopre con stupore che le problematiche speculative con cui si sono confrontati hanno spesso avuto come interesse di ricerca questioni proprie dell’indagine teologica». L’esempio più chiaro è il problema del male e un tema specificamente biblico e teologico come il peccato originale. Un nodo che mette in questione la supposta bontà innata dell’uomo (vedi Rousseau), e nello stesso tempo destabilizza il pensiero, interrogandolo circa il possibile fondamento di senso per il sapere, la vita, la storia. Se infatti siamo radicalmente abitati dal male, quale scopo potrebbe avere opporsi all’ingiustizia, alla malvagità, all’errore? La filosofia, e dunque l’uomo in quanto tale, può rassegnarsi al male come a un dato di fatto, così come si accetta una giornata nuvolosa? Si tratta di interrogativi che inquietano il percorso filosofico attuale; la modernità, nata con l’esaltazione entusiasta della dignità dell’uomo e del potere della ragione, finisce per constatare il declino inesorabile di entrambi, costretti a lasciare il posto alle derive dell’irrazionalità. Di fronte al male — scrive Cucci citando Finitudine e colpa di Paul Ricœur — il racconto della Genesi contiene soprattutto una promessa di salvezza, a differenza dei miti tragici e cosmogonici, o del ciclo delle reincarnazioni dell’anima esiliata. Lo sguardo di Dio, che ricorda la colpa commessa, è un elemento decisivo, perché colloca la realtà del male in un ambito relazionale, e apre alla possibilità del perdono. La relazione con Dio differenzia il peccato dal senso di colpa psicologico, dal rimprovero spietato del narcisista o dal tormento senza pace dello scrupoloso. Una conseguenza filosofica di questa lettura è che il male non può essere concepito come una sostanza in sé autonoma, contrapposta specularmente al bene; il bene rimane l’unica realtà, mentre il male è il suo venir meno, la sua distruzione. Miró al Chiostro del Bramante Un 17 marzo di festeggiamenti «Bilancio e significato delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia». È questo il titolo dell’incontro che Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica Italiana, terrà sabato 17 marzo al Palazzo del Quirinale per chiudere, nel giorno del compleanno dello Stato, l’anno di festeggiamenti per il centocinquantenario dell’unificazione. Il 17 marzo sarebbe dovuto anche essere il giorno di chiusura della mostra «Il Quirinale. Dall’unità d’Italia ai nostri giorni», apertasi il 30 novembre scorso. Il grande successo di pubblico — oltre centomila visitatori a oggi — ha però indotto gli organizzatori a prorogare fino al 1° aprile l’esposizione che illustra il contributo specifico svolto negli anni dalla Presidenza della Repubblica nello svolgimento del ruolo affidatole dall’articolo 87 della Costituzione del 1948, quello di rappresentante dell’Unità nazionale. Con la giornata di sabato, si chiude anche la mostra documentaria «Stato e Chiesa. Dal Risorgimento ai nostri giorni» allestita al Senato italiano, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Curata da Emilia Campochiaro (responsabile dell’Archivio storico del Senato) e dal nostro Raffaele Alessandrini, l’esposizione celebra il non casualmente coevo anniversario della fondazione dello Stato italiano e dell’«Osservatore Romano», attraverso documenti inediti e preziosi provenienti dagli archivi della Segreteria di Stato, dall’Archivio Segreto Vaticano, dall’Archivio storico del Senato, dalla Biblioteca del Senato, dall’Archivio centrale dello Stato e dall’archivio del nostro giornale. La questione del male e il mondo moderno Ottanta opere dell’artista catalano per la prima volta in Italia Incontri e mostre per la chiusura del centocinquantenario dell’Unità d’Italia Il palazzo del Quirinale pagina 5 Joan Miró, «Senza titolo» (1978) «L’incontro di fantasia e di controllo, di oculatezza e di generosità, che forse si può considerare una caratteristica della mentalità catalana, può spiegare, in parte almeno, la base fondamentale dell’arte e della personalità di Joan Miró» scrive Gillo Dorfles in un saggio sull’artista che lasciò un segno inconfondibile nell’ambito delle avanguardie europee; fantasia e controllo della forma si incontrano anche nella mostra «Miró! Poesia e luce» ospitata dal 16 marzo al 10 giugno nella cornice rinascimentale del Chiostro del Bramante a Roma. L’esposizione presenta oltre ottanta lavori mai giunti prima in Italia, tra cui cinquanta olii di grande formato, ma anche terrecotte, bronzi e acquerelli. Si potranno ammirare tra i capolavori, gli olii Donna nella via (1973) e Senza titolo (1978); i bronzi come Donna (1967); gli schizzi tra cui quello per la decorazione murale per la Harkness Commons-Harvard University, tutti provenienti dalla Fundació Pilar i Joan Miró di Palma di Maiorca. La curatrice, María Luisa Lax Cacho, ha voluto illustrare l’ultima fase della produzione dell’artista, quando egli finalmente concretizzò a Maiorca nel 1956 il sogno di un ampio spazio tutto suo, dove lavorare protetto dal silenzio e dalla pace. Lo studio che Miró aveva tanto desiderato è stato ricostruito scenograficamente all’interno degli spazi espositivi; il catalogo è pubblicato da 24ore Cultura - Gruppo 24ore e presenta saggi di Elvira Cámara, María Luisa Lax Cacho, Josep Luís Sert e due interviste a Miró di Yvon Taillandier. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 16 marzo 2012 Nuove prospettive di formazione presso l’Università cattolica del Pernambuco Intervista ad Al Jazeera del cardinale Tauran Sacerdoti brasiliani a scuola di ecumenismo Perché alla primavera non segua l’inverno di RICCARD O BURIGANA «La nuova missione dell’Università cattolica di Recife non è stata progettata: si è trattato di una chiamata improvvisa, perché niente lasciava immaginare la possibilità di creare un percorso di formazione filosofico-teologica per i seminaristi da parte dell’università, creando una sempre più stretta collaborazione con la Chiesa locale». Così il gesuita Pedro Rubens Ferreiro Oliveira, rettore dell’Università Cattolica del Pernambuco (Unicap), parla del progetto di formare i futuri sacerdoti dell’arcidiocesi di Olinda e Recife e degli ordini religiosi locali all’interno dell’ateneo. Il progetto è venuto maturando nel 2010, poco dopo la nomina del benedettino Antônio Fernando Saburido ad arcivescovo di Olinda e Recife. Il presule si è fatto interprete della volontà di creare un percorso comune per tutti coloro che nell’arcidiocesi si preparano all’ordinazione sacerdotale. Si è venuta così configurando una «nuova missione» dell’Università cattolica che si è trovata a operare sul piano locale con forme completamente nuove rispetto a quelle che hanno caratterizzato la sua attività di formazione fin dalla fondazione del 1951. Padre Ferreiro Oliveira, docente di teologia, che ha studiato a Parigi con Christoph Theobald, ricorda la «nuova missione» al termine di una giornata di studio dedicata all’approfondimento della lettera apostolica di Papa Benedetto XVI Porta fidei sull’Anno della fede. L’incontro è stato pensato soprattutto per gli studenti in teologia nell’ambito di questo cammino di formazione, arricchito da incontri e seminari per una sempre maggiore attenzione al presente della Chiesa cattolica. L’appuntamento è stato aperto anche al clero dell’arcidiocesi di Olinda e Recife per riaffermare l’impegno a una formazione permanente in campo teologico, con un particolare attenzione al dialogo ecumenico e a quello tra le diverse religioni. Proprio la dimensione del dialogo è stato uno dei temi più dibattuti nell’incontro, al quale hanno preso anche parte i docenti dei corsi di teologia e di storia, offrendo un contributo multidisciplinare alla riflessione sulla lettera apostolica e della nota della Congregazione per la Dottrina della Fede riguardante le indicazioni pastorali per l’Anno della fede. Da questa lettura multidisciplinare sono stati sottolineati l’importanza dell’inizio di una nuova evangelizzazione da parte della Chiesa cattolica a partire dalle realtà nelle quali si sperimenta l’assenza dei valori cristiani. Senza però circoscriverla a questi ambienti, poiché si deve promuovere un rinnovamento delle comunità locali, che in Brasile convivono con nuove forme di religiosità che, talvolta, si richiamano solo apparentemente al cristianesimo. Si è posto così l’accento sulla centralità della conoscenza dei documenti del concilio Vaticano II in un anno nel quale se ne celebra il 50° anniversario dell’apertura, con la consapevolezza che su questo aspetto ancora molto deve essere fatto per la scoperta del suo ricco patri- monio dogmatico, pastorale e spirituale. Sulla conoscenza dei testi del Vaticano II, il rettore della Unicap ha successivamente insistito ricordando che «i documenti del concilio non devono essere semplicemente letti o citati, ma devono essere conosciuti in profondità», poiché essi rappresentano una straordinaria fonte per la riflessione e per l’insegnamento della teologia. Si devono immaginare delle occasioni, soprattutto nell’ambito dell’insegnamento della teologia, in grado di favorire la conoscenza dei documenti conciliari per i giovani studenti che sono ormai lontani cronologicamente dai tempi della celebrazione del Vaticano II. Nell’incontro dedicato alla Porta fidei si è anche parlato della testimonianza quotidiana per l’unità dei cristiani alla quale i cattolici sono chiamati per una fedeltà alle parole rivolte da Cristo alla Chiesa, così come è stato chiaramente indicato dal Vaticano II e dai Pontefici, da Paolo VI a Benedetto XVI. Aspetto, sottolineato in numerosi interventi, nei quali non sono mancate le precisazioni sulla diversa natura del dialogo ecumenico rispetto al dialogo tra le religioni. Queste precisazioni hanno costituito un passaggio particolarmente importante dell’incontro, tenuto conto della situazione religiosa del Brasile dove la Chiesa cattolica è chiamata a confrontarsi non solo con un sempre maggior numero di comunità dell’universo pentecostale, spesso in contrasto al loro interno, ma con espressioni di sincretismo religioso che niente hanno a che vedere con il cristianesimo, se non per il richiamo alla figura di Gesù in un pantheon di maestri di vita, senza alcun riferimento teologico alla missione salvifica di Cristo. Come ha ricordato padre Ferreiro Oliveira il tema della vocazione al dialogo della Chiesa cattolica è centrale nell’esperienza della Unicap, che chiede a tutti gli studenti iscritti la frequenza a almeno due corsi di teologia, uno dedicato al rapporto della Chiesa con la società e l’altro alla trascendenza di Dio nella storia dell’uomo. L’impegno per la conoscenza della dottrina riguardante il dialogo ecumenico e interreligioso ha assunto sempre nuove forme nella Unicap nel tentativo di arricchire la formazione filosofico-teologica e di operare con maggiore efficacia nella Chiesa e nella società contemporanea del nord-est del Brasile. Tra le iniziative va segnalato il master in Scienza delle religioni, coordinato da Gilbraz de Souza Aragão. Questo corso, che è riconosciuto come una delle realtà più dinamiche e propositive nel campo delle scienze della religione in Brasile, si propone di offrire una conoscenza scientifica della situazione religiosa brasiliana in relazione al mondo della cultura e alla società e delle tradizioni giudaico-cristiane, con una prospettiva che non vuole essere circoscritta al pur articolato contesto brasiliano. Anche per questo il presente anno accademico è stato aperto da una prolusione sulle dinamiche interconfessionali, interreligiose e interculturali del Mediterraneo, alla luce del confronto tra cristiani e istituzioni europee sul tema dell’unità e del contributo delle religioni alla «primavera araba». Con questa offerta formativa e culturale per il dialogo nella tradizione dell’insegnamento della Chiesa cattolica l’Unicap intende prendere parte al dibattito che caratterizza il presente della società brasiliana, che per padre Ferreiro Oliveira «vive una stagione nella quale è fondamentale offrire non solo conoscenze per il dialogo, ma soprattutto una metodologia del dialogo senza il quale si rischia di perdere di vista la vera natura del dialogo». In questa stagione la Chiesa è chiamata «a prendere parte alla riflessione sui diritti umani, tanto viva in Brasile, ma soprattutto a testimoniare la scelta irreversibile in favore dell’unità della Chiesa, così come è stato affermato dal Vaticano II». ROMA, 15. Se i cristiani saranno costretti ad abbandonare il Medio Oriente sarà una «tragedia»: è uno scenario di desolazione che va assolutamente scongiurato quello che il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Jean-Louis Tauran, delinea in un’intervista ad Al Jazeera, l’emittente televisiva più seguita nel mondo islamico. Un’occasione inedita per affrontare temi spinosi come le persecuzioni religiose e l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente, la complessa situazione dei Luoghi Santi, come pure le prospettive della cosiddetta Primavera araba e l’intolleranza verso i musulmani immigrati in Europa, dove lo «scontro di civiltà» rischia di diventare uno «scontro di ignoranze». I contenuti dell’intervista, realizzata il 24 febbraio scorso a Roma dal giornalista saudita di nazionalità britannica Sami Zeidan, sono stati anticipati oggi sul «Corriere della Sera» da Marco Ventura, il quale sottolinea come sia «la prima volta che un ministro della Curia si rivolge all’universo arabo-musulmano in un faccia a faccia televisivo». In pratica, «una svolta comunicativa» afferma Ventura. La parte centrale dell’intervista — che da sabato andrà in onda per tre giorni nel programma «Talk to Al Jazeera» e sarà accessibile gratuitamente sul sito (http: //english.aljazeera.net/programmes/ talktojazeera) — riguarda le violenze subite dai cristiani in diversi Paesi. Spariranno, dunque, le comunità cristiane dal Medio Oriente? «I cristiani — dice il cardinale nell’intervista secondo le anticipazioni del quotidiano italiano — condividono il destino dei popoli di quella regione e dove non c’è pace, la gente soffre. Per me la grande tentazione per i cristiani in Medio Oriente è quella di emigrare». Tuttavia, «se i cristiani lasciano il Medio Oriente — continua il porporato — sarà una tragedia, perché lasciano la terra in cui sono nati. I cristiani hanno sempre vissuto in Medio Oriente, se vanno via i Luoghi Santi diventeranno musei, e sarebbe una catastrofe». Attualmente però, i cristiani sono «bersagli di una specie di opposizione, si sentono cittadini di seconda classe in Paesi in cui i musulmani sono la maggioranza». Un’altra importante questione riguarda la tutela dei Luoghi Santi. Per il cardinale Tauran — secondo l’anticipazione dell’intervista all’emittente — la posizione della Chiesa «a volte è stata ignorata, ma se il problema dei Luoghi Santi non viene adeguatamente risolto, non ci sarà pace in Medio Oriente. La Santa Sede è l’unica che ha sempre detto: per favore, non lasciate questo tema per l’ultimo minuto, è un problema molto complesso, va trattato con grande intelligenza e buona conoscenza della storia. La Santa Sede è favorevole a uno status sociale internazionalmente garantito per la parte di Gerusalemme in cui i Luoghi Santi delle tre fedi monoteistiche siano aperti ai credenti». Infine, una battuta sulla Primavera araba: «Le aspirazioni sono buone, è nata da giovani in cerca di dignità, libertà e lavoro, valori condivisi da cristiani e musulmani, ma speriamo che vada verso l’estate, non verso l’inverno». Padre Pizzaballa sulla basilica della Natività Terra Santa e tutela dell’Unesco BETLEMME, 15. Il possibile inserimento della basilica della Natività di Betlemme tra i siti tutelati dall’Unesco suscita «perplessità» tra i rappresentanti delle Chiese cristiane di Terra Santa. A confermarlo è padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, che annuncia su questo tema una presa di posizione comune con il Patriarcato greco e quello armeno, con cui quotidianamente viene divisa la gestione della basilica. «Non abbiamo nessun problema per il riconoscimento della città di Betlemme come patrimonio Unesco — ha dichiarato il padre custode all’agenzia Sir — non siamo invece molto entusiasti per ciò che riguarda la Natività». Infatti, «si tratta di un’iniziativa che ci complica la gestione perché secondo le norme dell’Unesco il responsabile della gestione dei luoghi, davanti all’agenzia Onu, è il Governo e non il proprietario del sito». Secondo i programmi, da parte delle Autorità palestinesi verrà pre- sto presentato all’Unesco un elenco di venti siti di rilevanza storica e archeologica in vista di un eventuale riconoscimento come patrimonio dell’umanità. La presentazione è resa possibile dopo che lo scorso 8 marzo è entrato in vigore l’ingresso della Palestina nell’O rganizzazione delle Nazioni Unite per l‘educazione, la scienza e la cultura, votato il 31 ottobre 2011. La lista, che verrà discussa dall’Unesco nel prossimo giugno, a San Pietroburgo, dovrebbe contenere, secondo quanto riferisce il Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, siti quali la basilica della Natività di Betlemme, Hebron, le grotte di Qumran e le zone costiere di Gaza. «Come Custodia, Patriarcato greco e armeno abbiamo ufficialmente chiesto all’Autorità palestinese di fare richiesta solo per la città lasciando fuori la basilica. Nei prossimi giorni ci incontreremo per redigere un testo comune ufficiale». In Ucraina i presuli cattolici chiedono l’intervento dello Stato Per salvaguardare il diritto di nascere KIEV, 15. L’aborto non è mai una soluzione. Per quanto difficili e complesse possano risultare le circostanze, la soppressione di una vita umana innocente nel grembo materno non può mai essere considerata una via d’uscita moralmente accettabile. È quanto ribadiscono i presuli cattolici — il sinodo della Chiesa greco-cattolica e la Conferenza episcopale ucraina di rito latino — in un messaggio congiunto, in cui espressamente si chiede alle istituzioni governative di difendere il diritto alla vita, vietando per legge l’interruzione volontaria di gravidanza. Messaggio, in cui i vescovi ricordano anche gli effetti negativi prodotti sulla società ucraina da un massivo ricorso alla pratica abortiva. E nel quale si richiamano i medici alla coerenza con la nobiltà della lo- ro professione, il cui compito è, sempre e unicamente, quello di salvaguardare la vita umana. I presuli cattolici affermano pertanto che «la comunità cristiana si trova di fronte a una grande responsabilità morale nei riguardi di coloro che considerano l’aborto come una via d’uscita alle situazioni difficili». In questa prospettiva, si rinnova l’appello alle istituzioni. «Chiediamo che lo Stato ucraino confermi a livello legislativo il diritto alla vita degli esseri umani non ancora nati, ma concepiti, vietando l’aborto». Nel documento vengono poi richiamati i principi dottrinali fondamentali che la Chiesa pone alla base del suo insegnamento. In particolare, si ribadisce come la vita umana sia «sacra e intoccabile», in quanto proviene e appartiene soltanto a La festa di san Benedetto nella tradizione bizantina «Il 14 del mese di marzo, memoria del nostro santo padre Benedetto. Per la sua santa intercessione, o Dio, abbi pietà di noi e salvaci. Amen». Con questa indicazione il sinassario bizantino segna la celebrazione di san Benedetto, celebrazione molto vicina a quella occidentale del 21 marzo, fatto che indica una tradizione molto arcaica della commemorazione a marzo del transito di san Benedetto. Nella ricorrenza, proprio la sera di mercoledì 14 si è celebrata nella chiesa di Sant’Atanasio in via del Babuino, accanto al Pontificio Collegio Greco di Roma, la Liturgia dei Doni Presantificati, che è una liturgia del vespro con la comunione con i Santi Doni del Corpo e del Sangue di Cristo consacrati la domenica precedente, come avviene in quaresima. Alla liturgia, celebrata dal rettore archimandrita Manuel Nin e cantata dai seminaristi del Collegio Greco, hanno preso parte nu- merosi fedeli. Tra gli altri, erano presenti il Patriarca melchita di Antiochia Gregorio III Laham, il vescovo Hilarion Capucci, della stessa Chiesa melchita, l’abate Bruno Marin, presidente della Congregazione benedettina sublacense, monsignor Maurizio Malvestiti, sottosegretario della Congregazione per le Chiese orientali, l’archimandrita padre Sergio Gajek, della Chiesa greco-cattolica della Bielorussia, padre Gabriel Buboi, rettore del Pontificio Collegio Pio Romeno, l’archimandrita Simeon Katsinas, alcuni esponenti della Chiesa greco-ortodossa a Roma e il direttore del nostro giornale. Hanno preso parte alla suggestiva celebrazione liturgica anche numerosi monaci benedettini e cistercensi provenienti dai diversi monasteri romani e molti altri fedeli assidui alle liturgie di Sant’Atanasio. La celebrazione si è conclusa con un’agape fraterna nel Pontificio Collegio Greco. Dio. In questa luce, la tradizione ecclesiale ha sempre vietato l’aborto, indipendentemente dalla settimana di gestazione. Infatti, la Chiesa considera «la distruzione di una vita umana attraverso l’aborto alla stregua dell’omicidio intenzionale di una persona». Una posizione che non scaturisce solo dalla fede religiosa, ma che trova anche un’autorevole conferma nella scienza medica. In particolare, i presuli citano i risultati dei moderni esami prenatali effettuati attraverso test a ultrasuoni, i quali mostrano chiaramente come il feto, sin dai primissimi stadi di vita, reagisca alle sollecitazioni e sia estremamente sensibile al dolore. Di qui anche l’invito rivolto ai medici a tenere in maggiore considerazione l’etica professionale. Infatti l’aborto, viene sottolineato, rappresenta anche una grave violazione dell’«alta vocazione dei medici», il cui compito è quello di «occuparsi della vita umana non per distruggerla, ma per salvarla». Nel documento vengono poi citate le conseguenze dannose che la pratica abortiva produce nella società ucraina. In particolare, viene citato l’alto tasso di sterilità delle famiglie (problema che riguarda circa un milione di coppie) in gran parte conseguente al ricorso all’interruzione di gravidanza. In Ucraina, infatti, la mentalità abortiva è assai diffusa e radicata. Nel Paese la legislazione abortista è stata introdotta sin dagli anni Venti del secolo scorso, quando l’Ucraina era parte dell’ex Unione Sovietica. Attualmente, secondo dati ufficiali, nel Paese, che conta poco più di 46 milioni abitanti, vengono praticati ogni anno circa 200.000 aborti, quasi il doppio della media europea. E uno su dieci viene effettuato su ragazze con meno di 19 anni. Nei fatti l’aborto è largamente considerato alla stregua di un comune metodo contraccettivo. Tanto che quando è effettuato nell’arco delle prime sei o sette settimane di gestazione non viene neppure considerato come aborto e, pertanto, non viene nemmeno inserito nei conteggi statistici. Si comprende allora come i reali tassi di abortività siano ancora più allarmanti. Una recente ricerca condotta da una clinica cattolica della cittadina di Mukacheve su migliaia di donne ucraine ha messo in rilevo come il tasso di recidività raggiunga quasi il 90 per cento. † La Segreteria di Stato comunica che è deceduta la Signora MADELEINE ROBIN madre della Dott.ssa Monique Robin, Addetto di Segreteria della Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato. I Superiori ed i Colleghi partecipano al dolore della Dott.ssa Robin e dei suoi Familiari, assicurando la vicinanza nella preghiera per la cara defunta, che affidano all’amore misericordioso del Signore risorto. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 16 marzo 2012 pagina 7 L’episcopato cattolico in Argentina su una recente decisione della Corte Suprema di Giustizia Le priorità del piano quadriennale di Caritas Brasile La vita è sempre un dono meraviglioso Sviluppo solidale e tutela ambientale BUENOS AIRES, 15. «Non c’è nulla che possa giustificare l’eliminazione di una vita innocente». L’episcopato cattolico in Argentina torna con forza a ribadire la ferma opposizione alla diffusione dell’aborto, in una dichiarazione del presidente, l’arcivescovo di Santa Fe de la Vera Cruz, monsignor José María Arancedo, a commento della recente decisione della Corte Suprema che ha ratificato una sentenza emanata da un tribunale distrettuale con la quale si riconosce la possibilità, senza alcuna eccezione, di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza per le donne vittime di violenze sessuali. Il presule, che ha anche avuto un incontro con il presidente della Corte Suprema, Ricardo Lorenzetti, ha aggiunto, al termine del colloquio, che si tratta di una decisione che «indebolisce la difesa della vita e che ora praticare un aborto è più facile». La Corte Suprema, in particolare, ha ratificato la sentenza di un tribunale della provincia settentrionale di Chubut che riguarda il caso di una minorenne vittima di abusi familiari. Il Codice penale argentino stabilisce che l’aborto non è punibile se la gravidanza è frutto di atto commesso contro una donna affetta da disturbi mentali o nei casi in cui sia a rischio la vita o la salute della donna, ma nello specifico è stata riconosciuta dal tribunale la legittimità della volontà di abortire anche in assenza di disturbi mentali della minorenne. L’aborto nel Paese continua comunque a essere illegale, salvo in alcuni casi specifici e i medici che non rispettano la legge sono punibili con il carcere, tuttavia si osserva che la ratifica da parte della Corte Suprema consente ora di accogliere nella giurisprudenza il principio che l’aborto causato da abuso è legittimo in ogni caso. Dall’episcopato — riferisce l’agenzia Aica — si esprime sorpresa per la decisione dell’organo supremo di giustizia che di fatto legalizza l’aborto frutto di violenza sia nel caso si tratti di donne sane che affette da disturbi mentali. Nella dichiarazione del presidente della Conferenza episcopale si sottolinea che «l’aborto è la soppressione di una vita innocente e non esiste alcun motivo o ragione che giustifichi l’eliminazione di una vita innocente, neppure nel caso triste e deplorevole di violenza». Dall’episcopato, inol- tre, si richiama il messaggio pubblicato lo scorso agosto dalla commissione permanente in occasione dell’Anno della vita che si è celebrato nel 2011. I vescovi ribadiscono che è assolutamente prioritario proteggere le madri, soprattutto quelle che si trovano in uno stato di emarginazione sociale o di gravi difficoltà al momento della gravidanza». La vita, è aggiunto nel messaggio, «è un meraviglioso dono di Dio e che rende possibili tutti gli altri beni umani». Secondo i presuli quando una donna è incinta non si parla di una sola vita, ma di due: quella della madre e quella del nascituro. «Entrambi — si puntualizza — devono essere tutelati e rispettati. La biologia lo indica in modo sorprendente: lo si vede attraverso il DNA, con la sequenza del genoma umano, che mostra come dal momento del concepimento ci sia una nuova vita umana, che deve perciò essere protetta giuridicamente. Il diritto alla vita è il diritto umano fondamentale». I vescovi si dicono anche disponibili «ad ascoltare, seguire e capire ogni situazione, assicurando che tutte le parti sociali interessate siano corresponsabili nella tutela della vita sia per il bambino sia per la madre e siano rispettati, senza cadere in scelte false. L’aborto non è mai una soluzione». E nel concludere, fra l’altro, auspicano: «Siamo convinti che non possiamo costruire una nazione per tutti, se nel nostro progetto di Paese non prevale il diritto primario di tutti, senza eccezione: il diritto alla vita dal concepimento, proteggendo la vita della madre incinta, fino alla morte naturale. Dobbiamo trovare il modo di vigilare sulla vita della madre e del bambino non ancora nato». Il Presidente della Corte Suprema, Ricardo Lorenzetti, ha tenuto a sottolineare che la sentenza «non apre la strada» alla legalizzazione dell’aborto, su cui può pronunciarsi solo il Parlamento. Da parte sua, il ministro della Giustizia, Julio Alak, ha dichiarato che il Governo non ha nessuna intenzione di presentare una legge che legalizzi l’aborto, sottolineando che si tratta di «una questione che richiede un approfondito dibattito». Tuttavia, a seguito della decisione, è spiegato «i medici non avranno più bisogno dell’approvazione dei tribunali. Dovranno solo avere una dichiarazione delle vittima o del suo legale in cui si afferma che la gravidanza è l’esito di una violenza». Dalla Corte Suprema si puntualizza anche che la decisione «ha posto fine ad alcune incertezze in merito all’applicazione della legge» e che le vittime di abusi «non possono essere esentate dall’esercitare i loro diritti». La decisione della Corte è sostenuta da diverse organizzazioni e istituti. Secondo alcune stime in Argentina ogni anno vengono praticati circa 500.000 aborti. Numerose sono le donne che muoiono, soprattutto le più povere e le più giovani, che si sottopongono alla pratica in condizioni spesso di degrado. L’aborto clandestino è la prima causa di morte materna: dal 1983 a oggi sono morte oltre tremila donne. RIO DE JANEIRO, 15. Impegno nella costruzione dello sviluppo solidale sostenibile e territoriale, nella prospettiva di un progetto popolare di società democratica. Questo, in sintesi, quanto stabilito nel piano quadriennale (2012-2015) di Caritas Brasile. Numerosi operatori provenienti da tutto il Paese hanno preso parte, nei giorni scorsi, al forum nazionale organizzato dall’ente caritativo. A differenza del precedente piano quadriennale, la rete Caritas ha definito come linea guida generale di azione il proprio impegno nella tutela e nella salvaguardia dell’ambiente e delle popolazioni indigene. Nello specifico, sono state stabilite tre priorità che guideranno le azioni nei prossimi quattro anni. La prima riguarda la «promozione e il rafforzamento delle iniziative locali e territoriali di sviluppo solidale e sostenibile». A tal fine sono stati individuati i seguenti obiettivi: promuovere la critica e la denuncia del modello di sviluppo capitalistico e dei suoi effetti sociali e ambientali; riaffermare la costruzione del progetto popolare per il Brasile a partire dalle esperienze locali e territoriali; contribuire allo sviluppo di strategie di convivenza con l’ambiente naturale e il suo ecosistema, tutelando e difendendo i territori dei popoli e delle comunità tradizionali; promuovere e rafforzare le iniziative di sovranità e sicurezza alimentare e nutrizionale; infine favorire lo sviluppo e il coordinamento di iniziative di economia popolare solidale. I programmi nei quali è impegnata la Caritas brasiliana includono altresì corsi di formazione sulla salvaguardia dell’ambiente. Questo genere di programmi vertono sull’educazione delle persone riguardo l’importanza di conservare il patrimonio naturale, in particolare le foreste e i bacini fluviali. La seconda priorità prevede l’impegno della Caritas per la «tutela e la promozione dei diritti, nonché la mobilitazione e il controllo sociale delle politiche pubbliche». A tal riguardo l’ente caritativo ha definito altri quattro obiettivi: promuovere e sostenere iniziative di tutela dei diritti delle popolazioni più vulnerabili in stato di emergenza; rafforzare la mobilitazione sociale e la capacità di influenzare le politiche pubbliche; sviluppare il coordinamento della rete Caritas con le organizzazioni della società civile e i movimenti sociali; articolare azioni della rete Caritas nelle aree urbane nella prospettiva del diritto alla cittadinanza. La terza priorità riguarda l’organizzazione e il rafforzamento di Caritas Brasile. Nello specifico, ampliare la rete Caritas, con particolare attenzione alle realtà diocesane e regionali; incorraggiare il coordinamento tra le entità-membro già esistenti; rafforzare la comunicazione per una mobilitazione sociale e delle risorse; garantire processi di formazione nell’ambito della rete Caritas; favorire la gestione condivisa tra tutti gli organismi; rafforzare e articolare la rete con le pastorali sociali, le associazioni e tutta la Chiesa; promuovere il volontariato e, infine, ravvivare l’esperienza spirituale della Caritas in una prospettiva ecumenica e di dialogo interreligioso. Per il prossimo quadriennio, il forum ha individuato e stabilito diversi gruppi di lavoro: gioventù, gestione di rischio, formazione, mobilitazione delle risorse, relazioni internazionali, volontariato e questione urbana. Inoltre, sono state stabilite le reti di agenti della comunicazione e di economia popolare solidale. A termine dei lavori del forum nazionale di Caritas Brasile si è svolta la 78ª riunione del consiglio consultivo dell’ente. Si tratta di uno spazio di dialogo tra il segreteriato nazionale e le Caritas regionali. Tra i principali temi affrontati la sostenibilità e la regolamentazione della rete di coordinamento per «Rio +20», la conferenza sul clima e la sostenibilità che si svolgerà dal 20 al 22 giugno prossimo a Rio de Janeiro. L’evento rappresenta una sfida importante che permetterà, attraverso uno sforzo congiunto da parte dei Governi e dell’intera società civile, di raggiungere obiettivi comuni e tutelare gli equilibri del pianeta, verso un nuovo assetto per lo sviluppo sostenibile globale e per l’umanità. Obiettivo finale è rafforzare l’impegno politico per lo sviluppo sostenibile con l’identificazione di un nuovo paradigma di crescita economica, socialmente equa e ambientalmente sostenibile. Accordo tra i vescovi e l’Istituto penitenziario del Perú Appello del cardinale Julio Sandoval Terrazas contro il crescere del numero di linciaggi in Bolivia Carcere e dignità della persona La risposta alla violenza non è mai la violenza LIMA, 15. Rendere più umana la vita nel carcere, promuovere, difendere la dignità e i diritti della persona, incoraggiare e sviluppare l’assistenza religiosa e le attività complementari legate al reinserimento sociale dei detenuti ospitati nelle carceri del Paese, attraverso l’azione della pastorale carceraria in ciascuna giurisdizione ecclesiastica. Con questi intenti i rappresentanti della Conferenza episcopale peruviana (Cep) e dell’Istituto nazionale penitenziario del Perú (Inpe) hanno firmato un accordo che rinnova i legami di cooperazione tra le due istituzioni. L’incontro si è svolto, nei giorni scorsi, nell’auditorium della Conferenza episcopale, a Lima, alla presenza di monsignor. Salvador Piñeiro, arcivescovo di Ayacucho e presidente della Conferenza episcopale peruviana; di Juan Jimenez Mayor, ministro della Giustizia; di José Luis Pérez Guadalupe, capo dell’Inpe. Con l’accordo si cercherà di stabilire, attraverso i direttori delle prigioni e in coordinamento con la Commissione pastorale della Chiesa cattolica, quali siano i meccanismi e i requisiti necessari perché «il programma di lavoro per la promozione umana e lo sviluppo personale integrale sia accettato come parte del trattamento dei detenuti, maschi e femmine, e la loro partecipazione possa essere considerata nelle relazioni psicologiche e sociali». La nota inviata dalla Conferenza episcopale del Perú all’agenzia Fides conclude affermando che questi, tra gli altri, sono gli impegni che «uniscono per la cura di ogni fratello e sorella, fatti ad immagine di Dio e con pari dignità, che per varie ragioni finiscono nelle carceri del Perú». Le carceri del Paese sono assai affollate. Ve ne sono alcune fornite di qualche comodità, ma in altre le condizioni di vita sono assai precarie, per non dire indegne dell’essere umano. I dati — hanno denunciato, in più occasioni, i vescovi — sono sotto gli occhi di tutti e «ci dicono che questa forma punitiva in genere riesce solo in parte a far fronte al fenomeno della delinquenza. Anzi, in vari casi, i problemi che crea sembrano maggiori di quelli che tenta di risolvere». In questa realtà, i presuli peruviani, dando voce ai forti e ripetuti appelli giunti dalle carceri del Paese, hanno sollecitato soprattutto un adeguamento delle strutture carcerarie insieme con una revisione della legislazione penale. Per i vescovi dovrebbero essere finalmente cancellate dalla legislazione tutte quelle norme «contrarie alla dignità e ai fondamentali diritti dell’uomo», come pure le leggi che ostacolano l’esercizio della libertà religiosa per i detenuti. Saranno anche da rivedere i regolamenti carcerari che «non prestano sufficiente attenzione ai malati gravi ed a quelli terminali; ugualmente andrebbero potenziate le istituzioni preposte alla tutela legale dei più poveri. Le problematiche relative alla carcerazione — evidenziano i presuli — non riguardano solamente le condizioni di detenzione ma si riferiscono alla fase del reinserimento sociale degli ex-detenuti. In questo senso il carcere dovrebbe aprirsi sempre di più al territorio. È cresciuta l’esigenza di stabilire una rete di contatti tra il carcere e il territorio, anche in vista della liberazione del detenuto e del suo reinserimento nella società. SANTA CRUZ, 15. «Siamo chiamati a dare risposte concrete e urgenti a tutto ciò che si oppone alla vita, perché la Parola del Signore è chiara quando dice “non uccidere”. In questo, Dio è determinato, chiaro e preciso, non si può reinterpretare la volontà di Dio, il Dio della vita non vuole la morte». È quanto ha sottolineato il cardinale Julio Sandoval Terrazas, arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra e presidente della Conferenza episcopale boliviana (Ceb), deplorando i linciaggi e gli omicidi che si sono verificati di recente nel Paese. Il porporato ha chiesto di fermare queste azioni violente, rigettando «la morte data da leggi umane, che possono sempre sbagliare e commettere ingiustizia, e la morte decisa da alcuni con le proprie mani». Una settimana fa nella comunità di Quila Quila (a 25 km da Sucre, la capitale costituzionale del Paese ), gli abitanti del luogo hanno sorpreso due persone che stavano rubando nella chiesa del paese e, dopo averle legate e picchiate, le hanno sepolte vive vicino alla chiesa. La polizia ha ritrovato i corpi dopo diversi tentativi di dialogo con la gente del posto, che continuava a ripetere «il popolo ha fatto giustizia». Inoltre, quattro giorni fa, l’intervento delle autorità avvisate da un sacerdote cattolico ha evitato il linciaggio di altri due presunti ladri, sempre da parte degli abitanti di Quila Quila. Nella zona non è la prima volta che accadono episodi del genere. Il cardinale Terrazas ha chiesto di «non ripetere quanto avvenuto nel passato, e di non lasciarsi ingannare da coloro che cercano l’odio e la vendetta, o da coloro che applaudono misure sempre più severe ma non riescono ad arrivare al cuore di ciò che provoca il danno, le lesioni, il male». Il porporato ha esortato anche di non abituarsi a sentire parole di morte e di vendetta con le proprie mani, perché in questo modo si introduce una pericolosa cultura della morte nelle famiglie e nella gente. Nel tempo privilegiato del cammino quaresimale — ha detto ancora — tutti e ciascuno, specialmente i cristiani e gli uomini di buona volontà, sono chiamati a «scrollarsi di dosso la pigrizia spirituale in cui viviamo chiedendo al Signore di purificare le menti e i cuori. Solo così è possibile ricostruire le personali relazioni con Dio e con i nostri fratelli». Il tragico e crescente fenomeno dei linciaggi in varie parti del Paese sta assumendo caratteristiche di violenza brutale e disumana, giustificandosi con argomenti insostenibili. In più occasioni la Conferenza epi- scopale boliviana (Ceb) ha espresso il dolore e l’ansia per questi atti di violenza che stanno sfilacciando la convivenza, diffondendo paura, insicurezza, diffidenze e chiusure tra la gente. «È importante notare — scrivevano i vescovi — che questi casi sono dovuti anche ad una fraintesa “giustizia comunitaria”, forse alimentata dall’ambiguità nella legislazione vigente, che non regolamenta l’ambito delle applicazioni e delle responsabilità, e nella quale si cerca di proteggere molti degli autori di tali crimini». Il testo riaffermava la validità dei principi cristiani: «Una vera democrazia non si costruisce sulla morte, bisogna avere la capacità di trovare alternative per riabilitare le persone che commettono reati gravi, ma non eliminarle mai, non è etico, non è umano, tanto meno cristiano». In tutti gli interventi i presuli hanno lanciato un appello alla comunità cristiana e alle autorità: «In quanto Chiesa cattolica, chiediamo a tutti i boliviani di sconfiggere e di bandire definitivamente dal nostro Paese queste pratiche disumane, per riscoprire i veri valori umani e cristiani che nascono dalla fede nel Dio della vita e dell’amore. Chiediamo agli organi responsabili, civili e della polizia, di sforzarsi al massimo e di prendere urgentemente tutte le misure necessarie, fondate sul diritto, per bandire questo flagello». Secondo i vescovi della Bolivia «non è possibile che Governo e istituzioni della società possano accettare queste azioni. È necessario un lavoro urgente, al quale sono chiamate tutte le componenti della società, per prevenire questo genere di fatti, evitando che le famiglie boliviane continuino a piangere. Si tratta, più in generale, di perseguire la via del bene comune». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 venerdì 16 marzo 2012 A colloquio con l’arcivescovo di Dublino sul congresso eucaristico internazionale La campana chiama a raccolta la Chiesa in Irlanda di MARIO PONZI Non evento isolato ma momento di grazia, soprattutto per un cattolicesimo che sta cercando di rinnovarsi dopo un tempo difficile e, per tanti aspetti, drammatico. Così la Chiesa che è in Irlanda intende vivere la celebrazione del cinquantesimo congresso eucaristico internazionale, convocato a Dublino dal 10 al 17 giugno prossimi sul tema «L’Eucaristia: comunione con Cristo e tra di noi». «La nostra comunità — dice l’arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin nell’intervista rilasciata al nostro giornale — è ferita, addolorata per le sofferenze che ancora oggi sopportano i minori vittime degli abusi subiti, per quelle dei loro familiari. Ma è anche una Chiesa che ha decisamente preso la strada del rinnovamento più profondo, sulle linee tracciate da Benedetto XVI nella sua lettera ai vescovi del Paese. E il congresso eucaristico che stiamo preparando, costituisce un elemento fondamentale di questo nostro cammino. Dunque lo viviamo come un evento destinato a protrarsi per noi nel tempo, proprio perché il ritrovarci attorno all’Eucaristia tutti insieme per riscoprire il senso della nostra comunione con Gesù e tra di noi, costituisce il nucleo centrale del rinnovamento della Chiesa che è in Irlanda». Dopo ottanta anni l’Irlanda ospita di nuovo un Congresso eucaristico internazionale. Quello del 1932 capitò in un periodo di profonde divisioni, dovute in gran parte agli esiti di una guerra che aveva spaccato in due il Paese. Divisioni che, nonostante fossero passati dieci anni, ancora persistevano. Trova delle analogie tra i due eventi? Certamente anche il congresso eucaristico internazionale celebrato nel 1932 fu un grande evento. Si svolse nelle forme tradizionali proprie del tempo, con grandi processioni per le vie cittadine, con una grande partecipazione di folla. Quello che stiamo per celebrare non sarà così, nel senso che si guarderà molto più alla sostanza, al contenuto piuttosto che alla forma. Ma io non credo siano queste le analogie. Effettivamente quel primo congresso giunse in un momento molto difficile per il Paese. L’allora arcivescovo di Dublino si era adoperato tantissimo per scongiurare la guerra civile che sconvolse il Paese dal 1920 al 1922. Era consapevole dei disastri che avrebbe comportato e non solo sul piano materiale. Non riuscì nel suo intento. Preoccupato per il perdurare delle divisioni a dieci anni dalla conclusione del conflitto, pensò che l’organizzazione e la partecipazione a un evento come il congresso eucaristico sarebbero state un’occasione da cogliere per riunire insieme le due anime d’Irlanda in conflitto tra di loro e ricondurle alla riconciliazione. Bene io credo che il prossimo congresso avrà i medesimi effetti. Vedrà i cattolici irlandesi lasciar da parte contrasti e divisioni causati da un periodo che io considero tra i più dolorosi della storia della nostra Chiesa, per collaborare insieme nella realizzazione di un evento che ritengo fondamentale proprio per riscoprire la necessità di stare insieme nel cammino di ricostruzione. Quali reazioni ha suscitato la notizia della celebrazione del congresso a Dublino proprio all’indomani di un momento così difficile? Inizialmente è stata accolta con molto scetticismo. In tanti hanno pensato che volevamo riportare la Chiesa indietro nel tempo per non guardare al presente. Però con il trascorrere dei giorni, ma soprattutto grazie all’insegnamento di vescovi e sacerdoti sul significato vero di questa nuova convocazione attorno all’Eucaristia, l’interesse aumenta e anche i media nazionali riservano attenzione a quello che ora viene definito un «grande evento». Direi che il cinismo che aveva accolto l’annuncio sta via via cedendo il passo alla percezione dell’importanza di questo evento, non solo per la Chiesa ma per tutto il Paese. Lei ha fatto cenno al cammino di rinnovamento intrapreso dalla Chiesa in Irlanda. Ci vuole indicare quale strada è stata scelta e in quale modo potrà contribuire il Congresso? Naturalmente il cammino intrapreso segue i passi ispirati da Benedetto XVI attraverso la lettera indirizzata ai presuli del Paese il 19 marzo suggerimenti offerti all’episcopato dal Papa stesso con la sua lettera. 2010. L’idea che ci guida è quella di chiamare a raccolta tutte le forze vive della Chiesa attorno all’Eucaristia per riscoprire il senso della nostra comunione. Dunque il congresso è l’occasione giusta per rendere esplicita la convocazione e anche per verificare la risposta dei fedeli. Per questo motivo, tanto per fare un esempio, ho voluto che a rendere l’idea della convocazione per il congresso fosse il pellegrinaggio nel Paese di una piccola campana, quella stessa benedetta dal Papa durante l’udienza generale di mercoledì scorso. Proviene da una piccola chiesa diroccata. Ci è stata donata affinché non andasse dispersa. E abbiamo pensato di farla peregrinare in tutto il Paese proprio per chiamare a raccolta i fedeli attorno a un avvenimento fondamentale per la vita nuova della nostra comunità. Non solo: l’abbiamo fatta girare anche tra gli anglicani e le altre comunità cristiane La campana è il simbolo per eccellenza della convocazione per la preghiera. Ecco, intendiamo chiamare a raccolta i fedeli per pregare. La preghiera è il viatico necessario al rinnovamento pastorale e spirituale soprattutto dopo le difficoltà procurate dagli scandali che si sono verificati. Per esempio? Il primo impegno riguarda la formazione dei futuri sacerdoti. Dunque il seminario. Ci sono norme nuove per l’ammissione dei candidati, più rigide e che conferiscono più poteri ai rettori. Si tratta soprattutto di norme che mirano non solo a una rigorosa selezione qualitativa degli aspiranti al sacerdozio ma anche alla qualità dell’insegnamento che viene dato, dunque alla qualità dell’insegnante. E su questo c’è una fitta rete di controllo. Per ciò che riguarda le singole diocesi a tutti i vescovi è stato rivolto l’invito a rivedere e a rafforzare le norme a protezione dei bambini in tutte le attività della Chiesa. È stata istituita una commissione nazionale che controlla a ogni livello che le norme siano rispettate. Lo fa attraverso verifiche periodiche, programmate e strutturate in ogni singola diocesi. È stato poi istituito l’obbligo della verifica delle qualità morali di ogni persona destinata a un lavoro pastorale con i bambini. La verifica si attua anche attraverso una specifica collaborazione con gli organi di polizia. Quello però che mi preme sottolineare è che si tratta non di singoli processi o di singoli provvedimenti: tutto rientra in un unico progetto di rinnovamento pastorale, che riguarda tutti i campi dell’operare della Chiesa e non è legato soltanto a situazioni contingenti, come appunto gli scandali che ci hanno sconvolto. In questo senso viviamo anche il Congresso eucaristico come parte integrante di questo progetto. Incentrato sull’Eucaristia esso richiama perfettamente l’attenzione sul punto centrale del rinnovamento in corso, l’Eucaristia appunto. Per una società sempre più attratta da correnti secolariste pensa sia sufficiente l’invito alla preghiera per recuperare immagine e credibilità così compromesse? Indubbiamente l’Irlanda, come del resto molti altri Paesi, è attraversata da una pericolosa corrente secolarista, e in alcuni casi addirittura anticlericale. Del resto è una cultura che sta cambiando, a prescindere dagli avvenimenti, e anche la Chiesa è coinvolta in questo cambiamento. Nessun dubbio dunque che dobbiamo puntare al rinnovamento, soprattutto a quello spirituale e dunque pastorale. E la preghiera ci da la forza necessaria per farlo. È evidente però che non ci si può limitare a questo, bisogna tradurre la preghiera e la pastorale stessa in fatti concreti. Come ho detto ci stiamo muovendo, come Chiesa, secondo le indicazioni scaturite dalla visita apostolica e contenute nella relazione finale, che sarà pubblicata a breve, e secondo i In tutto questo processo che posto occupano i minori vittime degli abusi e le loro famiglie? Costituiscono una ferita difficilmente rimarginabile nel cuore di una Chiesa addolorata per le sofferenze che devono sopportare ancora oggi tante persone. C’è un grande impegno da parte nostra per restituire loro serenità, per ottenere il perdono necessario a ricostruire un legame violato. In ogni diocesi è stato costi- tuito un centro di assistenza a loro dedicato; in ogni parrocchia ci sono centri di accoglienza, di ascolto, di sostegno. A quanti si rivolgono a questi centri viene assicurata vicinanza e assistenza immediata, di qualsiasi tipo. Ci può fare un esempio? La richiesta più frequente è quella di un aiuto a superare il trauma subito. Nel giro di una ventina di giorni viene messo a disposizione uno psicologo in modo gratuito. Diversamente si riesce ad accedere a un servizio di questo tipo in non meno di un anno. Poi inizia il lavoro di accompagnamento e condivisione di tutto il cammino che si vorrà o si dovrà compiere insieme. Quanti sino a oggi si sono rivolti alla Chiesa per essere assistiti in questo senso? È difficile dare cifre, soprattutto perché c’è di mezzo la salvaguardia dell’anonimato. Io credo però, stando almeno alle notizie a me pervenute, che si tratti di diverse centinaia di persone. E in tutto questo come è cambiato, se è cambiato, il rapporto con le autorità? Dopo un primo momento di irrigidimento, le cose vanno lentamente ma progressivamente migliorando. In pratica è come se fosse iniziato un rapporto nuovo che deve raggiungere il suo compimento. Certamente c’è considerazione del grande impegno che la Chiesa ha messo in campo. Cosa si attende in definitiva la Chiesa in Irlanda dal prossimo appuntamento eucaristico? Un forte richiamo alla corresponsabilità di tutti per andare avanti verso un rinnovamento centrato sull’Eucaristia. Che ciò sia possibile lo dimostra proprio la risposta che prima di tutti è venuta dalle Chiese locali di altre nazioni. La partecipazione annunciata dai vescovi di tutti i Paesi è straordinaria, in alcuni casi eccezionale. È un messaggio chiaro. Come risponderanno i fedeli è tutto da verificare. Però proprio grazie al pellegrinaggio della nostra campana, possiamo dire di avere fiducia. Il San Patrizio, patrono d’Irlanda, la cui memoria liturgica ricorre sabato 17 marzo congresso, si svolgerà in sette giornate incentrate su convegni, il cui momento centrale sarà comunque la messa quotidiana. Si concluderà con la celebrazione comune nello stadio di Dublino presieduta dal Legato pontificio. Qual è il programma? Il primo giorno sarà dedicato al battesimo, un sacramento che accomuna tutti i cristiani. Abbiamo invitato, per sottolineare questo aspetto, l’arcivescovo anglicano di Dublino; ci sarà anche un metropolita della Chiesa ortodossa russa, uno della Chiesa ortodossa greca, il capo della comunità dei focolari, il priore di Taizé. Il secondo giorno tratteremo il tema del matrimonio e della famiglia; il terzo il sacerdozio e il servizio nel ministero della comunione; il quarto giorno sarà dedicato alla riconciliazione, argomento molto importante per la Chiesa in Irlanda; il quinto giorno lo dedicheremo a sofferenza e guarigione; il sabato infine sarà dedicato a Maria. Sarà dunque una panoramica completa di quella missione sacerdotale che il Papa ha chiesto a tutti i vescovi per farci cre- Il cardinale Stanisław Dziwisz a Genova ricorda Giovanni Paolo scere, soprattutto noi vescovi e sacerdoti. Non bisogna dimenticare che qui ci sono tanti sacerdoti — e sono poi la maggioranza — i quali hanno lavorato bene, hanno aiutato tanti giovani a trovare il loro spazio, il loro futuro. D’altra parte questo è accaduto e non doveva assolutamente accadere. Le vittime sono quelle che portano una ferita profonda, che non guarisce in pochi giorni. Sono loro la prima, vera, grande preoccupazione ed è a loro che oggi dedichiamo tutta la nostra attenzione. Infine vorrei sottolineare il fatto che il congresso non è e non resterà un fatto isolato. Fa parte di quest’ampio progetto di rinnovamento già avviato. La partecipazione internazionale è notevole, anche ad altissimo livello. E questo è un fatto non trascurabile. Ci auguriamo di riuscire a smuovere il popolo irlandese. Noi ci poniamo come una grande fiera di idee per il rinnovamento della Chiesa al quale tutti sono invitati a partecipare. Costruire una grande Chiesa credo significhi anche offrire un contributo importante per la costruzione di una grande società. II Un Papa e un esempio per il nostro tempo di SERGIO CASALI Quarant’anni di servizio come segretario particolare di Karol Wojtyła. Una vita al fianco dell’uomo che ha viaggiato e incontrato persone come nessuno aveva mai fatto. E poi udienze, incontri, il sostegno nei momenti difficili dell’attentato e della malattia. Fino alle ultime ore, quando fu lui a impartire al Papa in punto di morte la benedizione degli infermi. «Eppure la mia avventura con Giovanni Paolo II continua ancora. Perché mi ha fatto suo esecutore testamentario, ma soprattutto perché sono rimasto il custode della sua memoria». Stanisław Dziwisz oggi è un cardinale, arcivescovo di Cracovia, ma per tanti lui rimane don Stanislao, il segretario di Papa Wojtyła: e mentre lo si ascolta tratteggiare il carattere e la spiritualità di Giovanni Paolo II, è davvero difficile non visualizzare l’immagine vivissima del Papa venu- to da lontano. Mercoledì sera il cardinale Dziwisz era a Genova, su invito dell’arcivescovo della diocesi ligure, il cardinale Angelo Bagnasco, che ha voluto centrare sul ricordo del Pontefice polacco l’ultimo incontro del fortunato ciclo «Cattedrale aperta». Nel pomeriggio, Dziwisz ha visitato la basilica dell’Annunziata, il «quartier generale» della Comunità di Sant’Egidio di Genova per un saluto alla comunità e per benedire una nuovissima icona del beato Giovanni Paolo II. Il cardinale ha ricordato il grande affetto di Papa Wojtyła per Sant’Egidio e per i movimenti ecclesiali e la sua gratitudine per il lavoro di pace, di incontro con le religioni, di amore per i poveri. «Oggi si parla di nuova evangelizzazione — ha spiegato — e questa espressione è stata coniata dal santo padre Giovanni Paolo II tanti anni fa: la Comunità di Sant’Egidio ha fatto propria questa vocazione fin dall’inizio, preoccu- pandosi dei bisognosi, della gioventù, di quelli che cercavano aiuto. Il Papa era molto unito al vostro movimento, aveva bisogno di gruppi come il vostro e anche il vostro movimento è molto legato a lui». La visita a Genova è proseguita di sera, con l’incontro nella cattedrale di San Lorenzo. Il cardinale Dziwisz ha salutato l’arcivescovo e tutta la diocesi con affetto, ricordando le due visite a Genova di Giovanni Paolo II e ha voluto donare due reliquie. Poi, la descrizione di alcuni tratti fondamentali del carattere e della spiritualità di Karol Wojtyła che resta — come ricorda il titolo della conferenza — «un Papa e un esempio per il nostro tempo». Visse un tempo difficile, sperimentando la ferocia del totalitarismo nazista come di quello comunista «la dittatura del proletariato diviene sempre dittatura sul proletariato», spiegava, e fu durante la seconda guerra mondiale che maturò la sua vocazione sacerdotale: «È l’esperienza della vita di Wojtyła che spiega la sua sensibilità sul tema della dignità dell’uomo». Il Papa si era reso conto di come tutti i regimi autoritari costruiscano il loro potere sulla paura — ha spiegato ancora il cardinale — «e per questo riteneva che l’arma più efficace fosse la liberazione dalla paura, come anche la verità e la libertà. Era convinto che non ci può essere programma di lotta migliore della solidarietà». Fine intellettuale, uomo colto e sensibile al fascino dell’arte, «Karol Wojtyła capiva il mondo della scienza e quando incontrava gli uomini di cultura parlava come uno di loro, ma sapeva anche accompagnarli nel profondo e indicare il senso ultimo, trascendente, della ricerca. Voleva una Chiesa vicina al mondo e il mondo più vicino alla Chiesa: per questo era necessario secondo lui evangelizzare la scienza, perché essa condiziona il modo di pensare degli uomini». Fu molto attento ai problemi dell’uomo contemporaneo e maturò una simpatia istintiva e profonda verso i giovani, fino all’intuizione delle Giornate mondiali della gioventù: «Che non sono solo grandi eventi — ha detto l’arcivescovo di Cracovia — ma riescono a infrangere lo spirito dell’individualismo e a far crescere nei giovani il senso di appartenenza alla famiglia umana e alla Chiesa universale». Karol Wojtyła, dunque, fu un uomo del dialogo: con la storia, con il mondo della cultura, tra le diverse generazioni, ma anche con le altre confessioni cristiane e le tradizioni religiose. L’immagine forse più nota ed eloquente fu quella dell’incontro di Assisi, nel 1986 che spiega come «Giovanni Paolo II riteneva che di fronte ai gravi problemi del mondo, le grandi religioni dovessero parlare con una voce sola». Resta comunque aperto il mistero della vita di questo grande uomo spirituale, che traeva la sua for- za da un’intensa vita di preghiera, dall’eucarestia quotidiana, da un dialogo ininterrotto con il Signore: «Un uomo — ha affermato il suo ex segretario — che ha tenuto discorsi, ha insegnato, ha scritto documenti fondamentali, ma, alla fine, ha parlato nel modo più significativo con la sua sofferenza e la sua santità». Ed è questo ricordo che ha sottolineato anche il cardinale Angelo Bagnasco. «Con Giovanni Paolo II — ha ricordato l’arcivescovo di Genova — con la potenza della sua intelligenza, della sua cultura, dell’amore per Dio e per l’uomo, la Chiesa è diventata più presente, più coraggiosa, più umilmente fiera del dono del Vangelo». E ha ricordato l’immagine dell’anziano Pontefice affacciato su piazza San Pietro, frustrato dall’impossibilità di rivolgersi ai fedeli: «La sua incapacità di parlare è diventata una grande parola capace di abbracciare il mondo. Abbiamo tutti ancora bisogno di Giovanni Paolo II, perché abbiamo tutti ancora bisogno di sentirci ripetere “non abbiate paura”». Affidate a due coniugi le meditazioni per la Via Crucis Benedetto XVI ha affidato ai coniugi Danilo e Anna Maria Zanzucchi, iniziatori, nell’ambito dei Focolarini, del Movimento Famiglie Nuove, la composizione dei testi di meditazione per le Stazioni della Via Crucis che si svolgerà la sera del 6 aprile, Venerdì Santo, al Colosseo. Le riflessioni faranno riferimento al tema della famiglia.