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SECONDA 4 pezzi (Page 1)
ANNO XII NUMERO 151 - PAG 2
Testamento biologico
La polemica fra Ordini dei
medici si concentra su Udine.
Due convegni in una settimana
Milano. “Volendo sintetizzare il senso
del nostro convegno, andrebbero bene le
parole d’ordine del documento approvato
dall’Ordine dei medici di Milano: criticare
la concezione unicamente contrattualistica della medicina; criticare l’esasperazione del principio di autodeterminazione del
paziente; sostenere con forza l’idea di
un’alleanza terapeutica tra paziente e medico; parlare del problema dell’accompagnamento del paziente nel suo percorso alla fine della vita”. Medici che discutono di
testamento biologico: ora tocca a Udine.
Gian Luigi Gigli è infatti docente di Neurologia all’Università di Udine. Sarà lui ad
aprire sabato 30 giugno al palazzo comunale di Udine un convegno dal titolo provocatoriamente veltroniano: “I Care: l’occhio del curante. Il medico e le problematiche di fine vita”, organizzato sotto l’egida
dell’associazione Scienza e Vita, e che vede tra i partecipanti il filosofo Francesco
Botturi dell’Università Cattolica e il giurista Luca Marini della Sapienza, vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica.
A Udine non per caso. Qui, la settimana
successiva, si terrà anche l’atteso convegno
nazionale del FNMCeO, la Federazione nazionale dei medici e odontoiatri, sul tema
“Etica di fine vita: percorsi per scelte responsabili”, nel corso del quale verranno
presentati i risultati di “ITAELD” (Italian
End of Life Decision Study) un’indagine conoscitiva sulle pratiche e sulle opinioni dei
medici italiani riguardo alle decisioni mediche di fine vita. Due eventi in relazione
dialettica, se non proprio polemica: “Con il
nostro convegno, promosso liberamente da
un gruppo di medici – spiega Gigli – vorremmo contribuire a tenere aperto il dibattito su questi temi bioetici. E’ infatti innegabile che ci siano posizioni differenti,
per esempio tra l’Ordine di Milano e quello di Udine; ma a volte si rischia, magari involontariamente, di appiattirle. Ad esempio, anche senza conoscere ancora i risultati della ricerca promossa dalla Federazione nazionale, già sulla metodologia utilizzata ci possono essere giudizi discordanti. Anche di questo parleremo”.
Udine non per caso. Nei mesi scorsi,
l’Ordine provinciale è stato protagonista di
alcune iniziative che hanno provocato anche forti polemiche, rimbalzando fino alle
aule parlamentari. A metà aprile, l’Ordine
aveva sostenuto che la pillola del giorno
dopo è un diritto per la paziente, e che
dunque il medico obiettore, in caso di
mancanza di altro medico, fosse tenuto a
prescriverla. A fine aprile, un convegno
dell’Ordine lanciava addirittura un “modello” di testamento biologico, sottoscrivibile da medico e paziente, anticipando così in modo plateale la legislazione, che ancora non esiste, e contraddicendo tanto le
proposizioni del codice deontologico quanto quelle del Comitato nazionale di bioetica. I promotori del convegno di Scienza e
Vita sono grosso modo gli stessi che nei
mesi scorsi hanno polemizzato con l’Ordine di Udine e con il suo presidente, Luigi
Conte, su questi argomenti.
Disegni di legge fermi in Senato
Non si tratta di questioni localistiche. La
Federazione nazionale, che ha cambiato i
suoi rappresentanti elettivi circa un anno
fa, sta affrontando un periodo di rinnovamento, e anche il codice deontologico è stato riscritto, dopo lunga mediazione. L’attuale presidenza dell’oncologo Amedeo
Bianco, presidente dell’Ordine di Torino, la
città del ministro della Salute Livia Turco,
sta lavorando, con prudenza ma determinazione, per dare maggior rilievo alle posizioni della professione, anche in sede di pareri espressi sui temi di attualità politica.
Fu Bianco, eletto da pochi mesi, a dover affrontare la bufera del caso Welby. E lo fece
con il suo stile mediato, ma non neutrale,
sostenendo ad esempio che “il collega Riccio (il medico che staccò la spina a Welby,
ndr) non ha commesso eutanasia perché
non ha agito per eliminare una vita ma per
rispondere alla domanda dell’uomo che
chiedeva gli fosse soppressa”. Ma anche:
“Altro conto è dire se io avrei staccato la
spina al posto suo”. In questa situazione, un
ordine come quello di Udine, a spiccata
guida progressista si è assunto un trasparente ruolo di apripista, incaricandosi di
lanciare i più rumorosi ballon d’essai. E lasciando poi alla normale dialettica interna
e alla guida abile di Bianco di far procedere le cose. In questa chiave, secondo alcuni, va letto anche il convegno nazionale del
6 luglio. Al quale parteciperà fra gli altri
Ignazio Marino, che non a caso vi vede la
speranza di dare nuovo impulso al dibattito politico sul testamento biologico, alquanto rallentato nella commissione Sanità del Senato da lui presieduta. (m.c.)
IL FOGLIO
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IL FOGLIO QUOTIDIANO
GIOVEDÌ 28 GIUGNO 2007
LA PACHISTANA TROPPO OCCIDENTALE UCCISA DALLA FAMIGLIA
Santanchè in tribunale a Brescia a chiedere giustizia per Hina
Milano. “Saremo lì proprio per Hina, per
lei innanzitutto. E per la prima volta in Italia, per la prima volta in Europa, ci saranno lì donne musulmane, a manifestare per
il proprio diritto, per chiedere giustizia”.
Hina è Hina Salem, la ragazza pachistana
di ventidue anni uccisa a Brescia lo scorso
anno da padre, zio e cognato perché non
era, secondo loro, una buona musulmana.
O meglio, perché vestiva all’occidentale e
aveva un fidanzato italiano: o meglio, spiega la parlamentare di An Daniela Santanchè, “perché voleva vivere, voleva essere libera, voleva essere felice”. Hina i suoi assassini la seppellirono in giardino, con la
testa rivolta verso la Mecca. E anche quando finalmente ebbe il suo funerale, ricorda
Santanchè, non ebbe la giustizia che si meritava: “Ci fu il colpevole silenzio della società e della politica. Ci furono i parenti
che non volevano la presenza del fidanzato. Di politici c’ero solo io, e non mi volevano far partecipare al corteo funebre perché
sono una donna. Ma io non posso credere
che le nostre leggi non possano e non debbano valere da noi, e non debbano essere
applicate anche se contrastano con usanze
che contraddicono il nostro concetto di libertà. E’ per questo che domani (oggi, ndr)
sarò a Brescia, per affermare la libertà delle donne musulmane, che è la base di ogni
possibile politica di integrazione”.
Oggi, a Brescia, inizia il processo contro
gli assassini di Hina Salem. Acmid-Donna,
l’associazione marocchina delle donne in
Italia, guidata da Souad Sbai, si è costituita
parte civile al processo. Per questo Daniela
Santanchè, assieme all’Acmid, ha chiamato
a raccolta le donne musulmane e italiane,
tra loro la giornalista Selma Dell’Olio, il
consigliere regionale di Forza Italia Margherita Peroni, oltre a una rappresentanza
della comunità ebraica e varie associazioni
femminili, per essere presenti in tribunale
e per manifestare per il diritto delle donne
islamiche a “vivere come ogni altra donna”,
senza pagare con la vita come è successo, lo
scorso anno, ad altre quattro di loro in Italia. “Le donne musulmane il loro contributo lo stanno pagando. Sono invece quelle
italiane, spesso quelle di sinistra, che sono
state femministe, che latitano. Forse Hina a
loro non interessa. A me invece interessa.
Interessa che Hina diventi un simbolo, di-
venti una bandiera di una battaglia per l’integrazione”, spiega Santanchè. “Io credo
che saremo in tante, stanno già partendo i
pullman dei circoli D Donna da tutta Italia.
Ma la vera sorpresa di domani saranno le
donne musulmane che verranno con noi a
Brescia. Sarà un segnale anche per tutta
l’Europa. Tutti parlano dell’islam moderato,
ed ecco, le donne che vedrete domani sono
l’incarnazione dell’islam moderato. Quello
con cui io voglio dialogare, sono certa che si
possa dialogare. Ciò che mi sgomenta” prosegue la parlamentare, “è che la nostra politica sia cieca e assente. Abbiamo una consulta in cui ‘dialoghiamo’ con l’Ucoii, siamo
sempre pronti a dialogare con i Fratelli musulmani, e invece in Italia, oggi, ancora non
esiste una tutela giuridica per una donna
islamica che abbia il coraggio di denunciare le violenze subite in famiglia, o le discriminazioni cui è soggetta per motivi religiosi o culturali. Hina è morta per questo”.
Il senso dell’iniziativa di domani al tribunale di Brescia, dove il giudice delle udienze preliminari, Silvia Milesi, dovrà decidere sulla costituzione di parte civile da parte
di Acmid-Donna (“sarebbe un enorme suc-
cesso, un fatto di giustizia”), va dunque, secondo Santanchè, al di là della semplice testimonianza civile e di solidarietà femminile. Non solo perché la decisione che il giudice prenderà potrebbe essere senza precedenti sul piano legale, ma destinata a costituire “un importante punto di riferimento nel processo di emancipazione delle donne musulmane del nostro paese”, come ha
sottolineato anche l’avvocato del fidanzato
italiano di Hina, Loredana Gemelli. Ci sono
altri buoni motivi, spiega Santanchè, per essere presenti domani a Brescia: “Io ho fatto
tempo fa una proposta di legge per vietare
il velo islamico nelle scuole. Non certo per
vietare un simbolo religioso, ma per fare in
modo che portare il velo sia per le donne
islamiche che vivono nel nostro paese una
libera scelta, e non un obbligo da parte di
nessuno, o peggio una violenza. Hina è il
tragico simbolo di questo. E abbiamo avanzato altre proposte di legge, ad esempio abbiamo chiesto che ci sia tutela giuridica per
le donne immigrate, e che ci siano fondi per
l’istruzione femminile. Perché la strada dell’integrazione passa proprio da qui: dalla libertà delle donne”.
LA MANIFESTAZIONE CONTRO LA PERSECUZIONE DEI CRISTIANI
Il 4 luglio in piazza a Roma anche per la liberazione di padre Bossi
Roma. Da diciotto giorni il padre missionario Giancarlo Bossi è prigioniero di un
gruppo di banditi islamici nel sud delle Filippine, trattenuto da qualche parte nella
fitta foresta che divide le province meridionali di Lanao del Sur e Lanao del Norte. Rapito il 10 giugno a Zamboanga City, mentre
si recava a celebrare messa in un villaggio
vicino, di padre Bossi non si hanno notizie
e sulla sua drammatica vicenda, denunciano adesso in molti, è caduto un inaccettabile e vergognoso silenzio. “Si tratta quantomeno di una singolare anomalia rispetto ad
altri sequestri in zone calde, dove la mobilitazione dei grandi organi di informazione
e del governo è stata fortissima. Basta pensare al caso delle due Simone, le ragazze rapite in Afghanistan nel 2004 – sottolinea
Massimo Bordin, il direttore di Radio radicale – di loro sapevamo tutto, davvero tutto,
minuto per minuto”. Il fatto è che da diversi giorni Bordin, la voce calda e tagliente
che anima la rassegna stampa mattutina
della radio pannelliana, sfoglia i quotidiani
e non fa che chiedersi: “Ma di padre Bossi
frega qualcosa a qualcuno, oltre che ad Avvenire?”. Così capita che un vecchio radicale battagliero riceva oggi il plauso dell’ultracattolico Luca Volonté, il capogruppo
dell’Udc alla Camera, che per primo ha denunciato il silenzio intorno alla sorte del
missionario italiano chiedendo un informativa urgente del governo. “Con Bordin ci divide tutto, ma rendo atto della sua onestà e
professionalità, purtroppo però non basta
una piccola grande radio. La sensazione è
che il governo non essendosi mai interessato delle Filippine si interessi ancora meno
di padre Bossi. Ma soprattutto mi sconcerta
la sproporzione tra la mobilitazione per la
liberazione di Rahmatullah Hanefi e la totale omissione nei confronti del coraggioso
missionario”, dice Volonté.
Il governo Prodi si sta certo muovendo
per ottenere la liberazione del frate italiano, ma sempre di più, col passare dei giorni
(superiori a quelli del rapimento di Mastrogiacomo) si palesa la sproporzione tra il silenzio che grava su padre Bossi (definito
“discrezione”) e le fortissime pressioni e
l’impegno in prima persona con il quale il
governo italiano e il ministero degli Esteri
si sono spesi in tutti gli altri casi di sequestri di cittadini italiani avvenuti all’estero
da parte di terroristi e banditi. Per questo
Luca Volonté ammonisce: “Temo che il silenzio del governo, e lo sprezzo con cui la
mia richiesta di informativa è stata accolta
dalla sinistra in Parlamento, possa nascondere una serpeggiante volontà discriminatoria: come se la vita di un sacerdote cattolico valesse meno di quella di altri cittadini
italiani. Se così fosse, sarebbe un fatto terribile e gravissimo”.
Il vicedirettore del Corriere della Sera,
Magdi Allam, ha indetto per il 4 luglio in
Nelle mani dei qaidisti di Abu Sayyaf
Roma. Un sms inviato dai rapitori di padre Giancarlo Bossi, che garantiscono sul
fatto che sia ancora vivo, sarebbe l’unico,
esile collegamento con la banda che si è
portata via il missionario di Abbiategrasso
veterano delle Filippine. Il 10 giugno era
stato preso in ostaggio dopo aver officiato
una messa nella zona di Payao, sull’isola di
Mindanao, a maggioranza musulmana. Dopo i primi giorni di scoramento sembrava
che dovesse venire liberato, con le buone o
con le cattive, da un momento all’altro. L’esercito filippino ha collaborato fin dall’inizio con i guerriglieri del Fronte islamico
Moro di liberazione nazionale per stringere il cerchio attorno ai sequestratori. Il Milf
è il più forte gruppo indipendentista di
Mindanao, che da anni sta trattando con il
governo una via di uscita negoziale alla crisi della parte meridionale dell’arcipelago
dove imperversano anche i terroristi di
Abu Sayyaf. Invece, a oltre due settimane
dal sequestro, i passi avanti sono scarsi. In
sole due settimane e in una situazione forse più pericolosa e complessa è stato tirato
fuori dall’inferno afghano, il giornalista di
Repubblica Daniele Mastrogiacomo rapito
dai tagliagole talebani.
Il probabile sms inviato dai sequestratori a un mediatore prova poco, ma nel testo
si chiedono delle medicine da somministrare all’ostaggio. In effetti il fratello Marcello ha sottolineato che padre Bossi, cinquantasette anni, soffre di ipertensione cardiaca. Il generale Ben Dolorfino, che coordina le ricerche, ha dichiarato di avere consegnato dei cellulari a tre mediatori, che
avevano già aiutato le autorità a risolvere
casi simili in passato. I tre sono partiti verso l’interno dell’isola e dovrebbero venire
contattati dai rapitori. Il problema è che diventa sempre più necessaria una vera “prova in vita” dell’ostaggio, che potrebbe essere una telefonata di padre Bossi a uno di
suoi confratelli del Pime, il Pontificio istituto missioni estere di cui fa parte. I media
italiani, a parte poche eccezioni, si disinteressano del missionario, dell’identità dei
rapitori e delle loro reali motivazioni.
I militari filippini e Mohaquer Iqbal, capo negoziatore del Milf con Manila, sono
convinti che il mandante del sequestro sia
Akidin Abdulsalam. Noto con il nome di
battaglia di Aka (compagno) Kiddie è un
rinnegato del Fronte, che si sarebbe avvicinato ad Abu Sayyaf. Il diretto interessato nega ogni coinvolgimento, ma il fratello
Waning Abusalam sarebbe stato riconosciuto da testimoni a capo del commando
che ha sequestrato padre Bossi. L’obiettivo
dei rapitori sarebbe stato di vendere padre Bossi proprio ad Abu Sayyaf, trasferendolo via mare sull’isola di Jolo, base
dei terroristi. Proprio in questo periodo è
stato scelto il nuovo capo della piccola al
Qaida delle Filippine, Yasser Igasan. Tra i
fondatori del gruppo, studiò il Corano in
Siria e Libia e oggi rimpiazza, più come
leader spirituale, i comandanti precedenti uccisi in combattimento. La marina filippina, grazie all’immediato blocco navale e alla sorveglianza di aerei spia americani, ha evitato il trasferimento via mare
dell’ostaggio italiano.
Piazza Santi Apostoli, a Roma, una manifestazione nazionale “contro l’esodo e la persecuzione dei cristiani in medio oriente e
per la libertà religiosa nel mondo”. Allam,
come quasi tutti i firmatari della piattaforma, ha espresso profonda “inquietudine
per l’inaccettabile cappa di silenzio e di indifferenza che grava sulla sorte di padre
Giancarlo Bossi”. E infatti ieri è stato deciso che il 4 luglio sarà lanciato dal palco della piazza un appello per la sua liberazione.
Perché “oggi i cristiani sono il gruppo umano più angariato del pianeta. Il fatto che lo
si ignori e che piuttosto si ritenga che siano
un gruppo a cui imputare delle colpe è il
colmo: il caso disgraziato di padre Bossi ne
è un esempio, sembra quasi che quelle dei
missionari cattolici, per il governo italiano
e i mass media, siano delle vite a perdere”,
sostiene con amarezza Antonio Socci, autore di un saggio sulle persecuzioni subite
dai cristiani nel Novecento (“I nuovi perseguitati”, Piemme 2000). Ma le parole più dure ieri le ha pronunciate Magdi Allam annunciando che in piazza Santi Apostoli
verrà esposta una gigantografia che ritrae
padre Bossi: “Il silenzio del governo italiano è vergognoso e inaccetabile. Ed è ancora più esecrabile che nella società civile
esistano due modalità di comportamento,
una attiva e solidale quando si stratta di
gente legata alla sinistra e una passiva
quando invece si tratta di religiosi cattolici. Per la liberazione di Hanefi, l’intermediatore amico dei talebani, il governo si è
mobilitato come fosse una questione di
emergenza nazionale, facendo pressioni su
Karzai, sull’America e su Bruxelles. Mi
spiace dirlo, ma sono disgustato”.
I confratelli di padre Giancarlo Bossi, i
missionari del Pontificio istituto delle missioni estere, hanno creato un blog, dove trasmettono quotidianamente la speranza e la
preoccupazione. Ieri si poteva leggere: “C’è
movimento dalle parti di Lanao del Sur, dove sospettano che il gruppo di rapitori si sia
diretto. Il nostro pensare non cambia: abbiamo bisogno di sapere dove si trova, come
sta e in che modo tirar fuori Giancarlo da
questa miserabile vicenda. E basta”. (sm)
BERARDINELLI LEGGE “LA CASTA”, CATALOGO SCONTATO
L’argomento nauseante e intollerabilmente noioso dell’Antipolitica
SIAMO UOMINI DI MONDO, LA POLITICA NON DEVE RENDERCI FELICI, DEVE LASCIARCI IL PIÙ POSSIBILE LIBERI DI ESSERLO E DI NON ESSERLO
o trovato piuttosto sorprendente che
da un momento all’altro, circa un meH
se fa, un giornale come la Repubblica si applicasse in modo nuovo al tema dell’Antipolitica. La questione sembrava in precedenza etichettata come uno degli argomenti forti contro il berlusconismo e la Lega.
Invece ecco che ora ridiventava una questione seria e sostanziale in se stessa, contro tutti i partiti. Perché? Mi ero distratto?
Quale era la novità che faceva cambiare ottica? Non si diceva più che pericolosamente, demagogicamente nemici della politica
erano Bossi e Berlusconi, i campioni dell’istinto sociale più primitivo, i difensori degli interessi non “politicamente mediati”
dell’Italia meno altruista. Ora la Repubblica si rimetteva a citare le parole di Pasolini contro il Palazzo e chi lo abita, contro chi
ignora che la realtà sociale è altrove e diversa. Solo che dai primi anni Settanta in
cui Pasolini scriveva, le cose sono un po’
cambiate, la società si è “omologata” al Palazzo e gli somiglia molto più di prima. Una
differenza però direi che resta: ed è quella
tra chi fa politica e chi non la fa. Chi la fa,
usa la politica per aumentare i propri privilegi, creando un corpo separato rispetto
alla società. Chi non la fa, si aspetta invece
che la politica agisca soprattutto per migliorare la vita di chi ne è fuori. Questa separazione è una delle forme più elementari e perenni del conflitto di classe.
Sembra che la riscoperta del significato
positivo dell’Antipolitica sia dovuta al recente libro di Gian Antonio Stella e Sergio
Rizzo, intitolato “La Casta” e dedicato all’intoccabilità dei nostri politici. Per colmare la mia lacuna ho comprato il libro e
mi sono messo a leggerlo. Ho imparato
quanto variopinti siano i vizi e quanto fantasiose le malefatte dei politici “come tali”,
tutti uguali a sinistra e a destra nella loro
fame inestinguibile di privilegi e gratificazioni supplementari. E questo mentre la
maggioranza dei cittadini lotta con l’impoverimento, il declassamento, l’aumento dei
prezzi, il peso delle tasse, i disservizi pubblici, l’inefficenza amministrativa, i labi-
rinti della burocrazia e dei regolamenti, il
caos urbano, i problemi degli immigrati, la
paura della criminalità di ogni tipo e dimensione, l’inquinamento atmosferico, acustico, elettromagnetico.
Il catalogo dei vizi e degli abusi della casta politica che trovo nel libro di Stella e
Rizzo è impressionante, non si sa se più
scandaloso o ridicolo. Ma nonostante i dati
e le tabelle sui costi vertiginosamente in
crescita della politica, nonostante gli aneddoti sulla carriera immorale di questo o
quel politico, ho trovato tutto un po’ noioso.
PREGHIERA
di Camillo Langone
Crisi di invidia nelle ex
(molto ex) capitali borboniche. Un mio sodale è stato messo dal neosindaco Vignali a capo dell’agenzia per
gli eventi culturali di Parma e i comuni
amici, sapendo che gli eventi culturali
non li posso soffrire, mi hanno telefonato
per disapprovare la nomina. Roberto Saviano è oggetto di articoli insinuanti sulle pagine del Mattino di Napoli e i comuni conoscenti, sapendo che non mi piace
come si veste (continua a conciarsi da
studente fuorisede), mi hanno chiesto di
partecipare alla campagna di ridimensionamento. Beato il tempo in cui i sentimenti venivano repressi, quando frenati
da ben due comandamenti (nove e dieci)
gli invidiosi non si mostravano così
schifosamente nudi.
Sì, scandaloso, ma anche scontato. Possibile che i nostri informatissimi e maliziosissimi giornalisti queste cose non le sapessero? Sono le cose che più o meno sento dire
da chiunque per la strada, e Stella e Rizzo
ripetono il ritornello: fra politici di destra
e di sinistra non c’è differenza quando si
tratta di accaparrarsi privilegi e spremerli
fino all’incredibile. La loro vita è quella di
esseri asociali, superiori, immuni dalla vita comune e speciali. Qualche giudice di
Mani pulite, per esempio Davico, ha detto
che oggi è peggio di quindici anni fa, che la
corruzione è la regola, perché ha imparato
a difendersi molto meglio di prima dai tribunali e dalle leggi. I processi di allora non
hanno avuto effetti correttivi.
Scusate. L’argomento è nauseante. Anche perché accumulare dati per non migliorare la situazione è intollerabilmente
noioso. Se il libro di Stella e Rizzo fosse,
non dico un bel romanzo, ma fosse scritto
bene, si potrebbe leggere. Ma è noioso perché noi, il popolo di chi la politica non la fa,
sapevamo tutto anche senza saperlo. Sapevamo che la politica, attività indispensabile come l’acqua corrente e la carta igienica,
se non serve allo scopo di migliorare un po’
la vita associata, diventa una maledizione,
una piaga sociale.
Siamo così arrivati ai complessi, difficili,
equivoci rapporti fra società e politica. Dato che autogovernarsi, discutendo e patteggiando per la strada le regole della convivenza, sarebbe esasperante e paralizzante
per ogni genere di attività e di ozio, la società chiede alla politica di fare leggi e farle rispettare. Leggi che, per favore, siano
eque, facili da capire e utili a tutti. La politica non deve renderci felici. Deve lasciarci il più possibile liberi di esserlo e di non
esserlo, secondo l’ottica personale e le circostanze. Resta il fatto che la formula secondo cui chi entra in politica deve perseguire il bene pubblico e non quello privato
(tanto meno il proprio) è una formula semplice e aurea. E’ la prima regola dell’attività politica e ciò che può renderla accettabile. Chi teorizza la politica come potere
si fissa sul mezzo e dimentica il fine.
Ma i politici sono essere umani! Non incarnano perfettamente i propri ideali, anche ammesso che ne abbiano. Vanno perciò
tenuti sotto osservazione e sotto controllo
dall’esterno: dagli elettori (che possono anche non votarli o non votare del tutto), dai
giornali, dai giudici, dalla società. La vera
e migliore Antipolitica non è altro che la
giusta diffidenza che si deve avere nei confronti delle persone a cui si delega, spesso
troppo a lungo, il governo della cosa pubblica. L’Antipolitica è in questo senso il sale delle democrazie.
E’ la ragione per cui il professionismo, in
politica, non convince mai del tutto. Se Berlusconi fa politica rimanendo un imprenditore che conserva tutti gli istinti dell’imprenditore e del patron, Massimo D’Alema,
il politico puro che difende la politica pura, fa l’impressione di essere un uomo vuoto, intelligente e pragmatico, ma senza interesse e sensibilità sociale, senz’altro istinto che preservare la politica in sé e per sé.
Berlusconi pretende sempre che l’elettorato gli somigli troppo e si identifichi con lui
(cosa insieme facile e difficilissima). D’Alema sembra viceversa voler esistere politicamente per virtù propria, perfino senza bisogno di un elettorato, dato che nessuno
vorrebbe identificarsi con lui, uomo che
non si sa mai bene che cosa ami o sogni o
desideri. Chi usa la politica per difendere i
propri interessi dimentica che la politica
deve essere mediazione fra interessi contrastanti. Chi pensa alla politica come
un’entità superiore, trascendentale e asettica, rischia la truffa morale e l’ipocrisia,
perché un politico puro una passione impura ce la avrà comunque: ed è la passione
di perpetuare se stesso, la propria categoria o casta da contestazioni esterne.
Noi, il popolo, noi, coloro che la politica
non la fanno ma la vedono fare, avremo
sempre un’ottica piuttosto antipolitica. Ma
qui siamo di nuovo a un bivio. C’è chi la politica la detesta perché la idealizza, credendo che possa essere quello che non è,
ossia la più morale, decisiva e altruistica
delle attività umane. E c’è chi detesta i politici perché vorrebbe avere gli stessi privilegi e le stesse possibilità di abusarne. Perciò noi, il popolo, la gente, non siamo una
cosa sola, siamo due cose opposte, o forse
troppe cose difficilmente conciliabili. Esistono anche, poi, gli scettici onesti e politicamente pigri, che sognano soltanto una politica che eviti il peggio e non dia troppi fastidi con le sue oscenità e il suo rumore.
Alfonso Berardinelli
Antifrasi
Una scoreggia non è sempre
e solo una scoreggia.
La pubblicità insegna
ra il 1997 quando, non so più in
E
quale circostanza,
per amore del paradosso, chiesi formalmente la liberalizzazione del turpiloquio, avanzai la proposta con intento politico, in nome del rifiuto d’oCONFORMISMI
gni ipocrisia, per liberare il linguaggio
dal peso del ricatto moralistico. Fu però
un lavoro inutile, fu tempo sprecato. Nel
senso che i miei sforzi andarono a vuoto,
nessuna istituzione infatti ritenne il caso
di prenderli in considerazione. Molto probabilmente, esageravo, chiedevo l’impossibile, pretendevo il cielo, o forse i tempi
non erano ancora maturi, visto che in certe battaglie per conseguire risultati certi,
anzi, per rendere vittoriose alcune istanze di libertà, bisogna procedere per gradi,
occorre pazienza, occorre diplomazia, ed
è necessaria l’arte della tessitura e delle
alleanze, occorre dare tempo al tempo.
Allo stato, il turpiloquio è ancora ritenuto cosa sconveniente, decisamente immonda, tuttavia il mio impegno di dieci
anni fa è comunque servito a qualcosa.
Senza quella battaglia, quasi certamente,
oggi come oggi non assisteremmo a un’autentica liberalizzazione della scoreggia,
un primo passo verso l’obiettivo finale,
dunque già qualcosa. Ma atteniamoci al
risultato conseguito fin qui da altri coraggiosi pionieri, gli stessi che hanno ottenuto l’ingresso ufficiale di un effetto naturalmente molto speciale (quali le scoreg-
ge) nella società dello spettacolo. Per iniziare, tempo addietro c’è stato un eroe del
“Grande fratello”, tale Guido, pisano, poi
cacciato “per blasfemia”, a dimostrare
che di scoregge si può vivere, si può grattare un po’ di fama, vera, sincera, spassionata, anzi, ha addirittura chiarito che le
scoregge bucano il video. E fin qui c’era di
mezzo il reality, una cosa facile. Passando
invece a un altro tipo di confezione estetica, è d’obbligo citare lo spot degli stilisti
Dolce & Gabbana. Dove nonostante si parli di un profumo (dunque fragranze soavi)
c’è una bella ragazza che ne sgancia una
inequivocabile, sì, una scoreggia rosa,
sportiva, una scoreggia glamour, una scoreggia postmoderna, una scoreggia che,
c’è da supporlo, farà impennare il fatturato dell’azienda in questione, una bella
scoreggia primavera-estate in attesa di
quella autunno-inverno.
Dante, Rabelais e Chaterine Deneuve
La figura retorica che presiede questa
pubblicità, se vogliamo ragionare in termini logici, è la cosiddetta antifrasi, cioè
dire l’esatto opposto per designare una
certa cosa, soprattutto considerando il fatto che quella campagna pubblicitaria non
affidava la magica scoreggia a un porco
immondo, tutt’altro, preferiva semmai
concederla a una ragazza al momento dell’approccio: tu stai lì, sei in attesa di concludere, fra breve saprai se ti saranno
aperti i cancelli della fornicazione, e intanto lei, l’oggetto del desiderio, molla un
vigoroso peto; sono o non sono cose che lasciano un certo segno? Troppo facile però
scandalizzarsi, altrettanto banale citare
quei brani di alta letteratura e soprattutto poesia dove la scoreggia trova il suo
magnificat: l’Alighieri, certo, con “e del
cul fece trombetta…”, ma anche Rabelais
che in questo genere di questioni ci sta
sempre bene…
Fantasiosa ipotesi ulteriore: e se il
prossimo passo, giusto per citare una storica pubblicità, mostrasse una grande signora dello spettacolo che tutta sola in
ascensore scoreggia poco prima d’essere
giunta al piano? Quel suo “Oui, je suis
Catherine…”, possibilmente pronunciato
al momento dell’apertura delle porte, ci
farebbe capire che il postmoderno è giunto al suo massimo storico? No, è ancora
presto per quest’epifania, per il momento,
complice il caldo torrido che lascia presagire sfracelli, a rendere concreto il sogno della scoreggia palingenetica, salvifica provvede uno scoiattolo, e questo sempre nel dominio avanguardistico della
pubblicità, dalla cui turbina anale, così
pare, dipende la salvezza della specie, se
non del medesimo pianeta terra. Le scoregge insomma, se ho capito bene, salveranno il mondo.
Fulvio Abbate
PICCOLA POSTA
di Adriano Sofri
Io non sono un ricco. Però,
leggendo che alle pensioni
basse sarà assicurato, dal
prossimo anno, un aumento
di 40-50 euro al mese, provo
una forte vergogna. E voi?