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Pannello 1: San Marino Oggi
San Marino, terra di antica ospitalità , vanta una tradizione millenaria di libertà , mantenuta con fierezza nei
secoli.
Come narra la leggenda, l'origine della comunità sammarinese risale al 301 d.C. quando Marino, tagliapietre
originario della Dalmazia, venuto dall'isola di Arbe per i lavori del porto di Rimini, si rifugiò sul Monte Titano
per scampare alle persecuzioni dell'Imperatore Diocleziano. Nucleo medievale, prima, libero comune, poi, il
piccolo Stato riuscì a preservare nel tempo la propria autonomia nonostante le persistenti tensioni con lo
Stato Pontificio, le vicende napoleoniche e la Restaurazione. Questo, grazie all'ostinata difesa della propria
indipendenza da parte del popolo sammarinese, che si avvalse dello strumento della diplomazia e, quando
necessario, anche di una tenace resistenza armata.
In tempi più recenti San Marino offrì asilo a quanti, in difficoltà , vi cercarono rifugio e protezione: dai patrioti
del Risorgimento italiano, ai 100.000 sfollati del circondario durante la Seconda guerra mondiale.
Il territorio della Repubblica di San Marino si estende su di una superficie di circa 61 kmq, prevalentemente
collinare. A dicembre 2007 i cittadini sammarinesi erano 39.094, di cui 26.555 residenti in territorio e 12.539
all'estero.
Il piccolo Stato grazie al paesaggio suggestivo, al ricco patrimonio di beni architettonici, museali e storici,
così come agli importanti eventi culturali e sportivi, richiama ogni anno oltre tre milioni di turisti. Racchiuso
entro mura fortificate, il centro storico offre al visitatore l'opportunità di un incantevole percorso attraverso le
contrade, gli innumerevoli scorci, le tre torri - Guaita, Cesta e Montale - costruite dai sammarinesi quale
valido sistema di difesa.
La funzione di Capo dello Stato è esercitata da due Capitani Reggenti, che restano in carica sei mesi e che
possono essere rieletti non prima di tre anni dalla scadenza dell'ultimo mandato. Le massime autorità dello
Stato si insediano nel corso di una suggestiva cerimonia che ha luogo due volte l'anno, il 1° aprile e il 1°
ottobre. L'organo legislativo è il Consiglio Grande e Generale, cui compete anche la funzione di indirizzo
politico; è composto da 60 membri eletti ogni cinque anni a suffragio universale diretto. Il potere esecutivo fa,
invece, capo al Congresso di Stato, organo di governo composto da 10 membri, cui è affidata l'attuazione
delle scelte politiche operate dal Consiglio. Sia l'organo legislativo sia quello esecutivo sono presieduti dai
Capitani Reggenti.
La sua neutralità non preclude alla Repubblica la possibilità di assumere una posizione decisa in ambito
internazionale; aderisce, infatti, a importanti organizzazioni: dal 1988 al Consiglio d'Europa e dal 1992 al
Fondo Monetario Internazionale; risale allo stesso anno l'Accordo di cooperazione e unione doganale con la
Comunità Economica Europea. Nel 1992 San Marino diviene, per unanime acclamazione, il 175° Stato
membro delle Nazioni Unite.
Nel 2008 viene decretato l'ingresso nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO del sito "San Marino:
centro storico e Monte Titano". Questo prestigioso traguardo, che costituisce un ulteriore riconoscimento sul
piano internazionale, segna l'apertura di nuove opportunità per San Marino, che si impegna a custodire e
tutelare in nome e per conto dell'intera umanità un patrimonio in cui l'immagine architettonica del centro
storico di San Marino e quella paesaggistica del Monte Titano sono indissolubilmente legate al valore unico
ed eccezionale della storia secolare di indipendenza e democrazia della Repubblica.
Pannello 2: Un Piccolo Stato nella Grande Storia - L'Emigrazione fra Evento e Racconto
Rivalutare la storia del proprio paese è un'operazione importante che può condurre a comprendere le proprie
radici, a identificarsi con il proprio passato, per riuscire a capire meglio il presente e progettare il futuro. Le
vicende relative all'emigrazione, la riscoperta delle tematiche che hanno caratterizzato una storia travagliata
e recente, che spesso sembra così distante dalla realtà quotidiana, sono così universali da poter essere
ancora oggi considerate attuali.
Anche San Marino, piccolo Stato di millenaria tradizione e cultura, fu coinvolto nelle grandi migrazioni della
fine del XIX secolo. A partire dall'800 fino alla prima metà del '900, la piccola Repubblica fu, come la
maggior parte dei paesi europei e la vicina Italia, terra di un grande esodo, un movimento complesso ed
eterogeneo che coinvolse, anche se con proporzioni e conseguenze diverse, l'Europa ed il mondo intero.
Questa mostra nasce non solo per ricordare le migliaia di sammarinesi che nel passato furono costretti o
scelsero di partire per terre straniere, ma soprattutto vuole essere modello positivo per i paesi che ancora
oggi si trovano ad affrontare questa realtà . Raccontando la sua piccola storia migratoria, San Marino
intende inviare un messaggio di speranza per affrontare nel segno dell'umana solidarietà le grandi e attuali
migrazioni dal Sud e dall'Est del mondo. Sempre, anche se in forme diverse, le varie fasi di questo
complesso fenomeno, che costringe le persone ad abbandonare il proprio mondo di affetti e di vissuti per un
mondo sconosciuto, si ripropongono con tutta la loro drammatica forza. Sempre si ripetono i disagi, le
difficoltà , le inevitabili storie di quotidiana amarezza: la ricerca del lavoro, la voglia di nuove esperienze, la
fuga da situazioni economiche e politiche non più accettabili e poi l'approccio con il diverso, le prime
conoscenze, i tentativi di integrazione, la ricerca di stima e di apprezzamento, la nostalgia, il razzismo; tutto
questo ricorre nei comportamenti delle persone e nella successione dei cicli migratori.
L'esempio di un piccolo Stato, che conta ancora oltre 12.000 cittadini sparsi in tutto il mondo, deve servire ad
abbattere le barriere, perchè le migrazioni producono non solo l'incontro/scontro di culture, ma anche e
soprattutto la trasformazione, il cambiamento, il miglioramento per una diversa costruzione dello spazio.
Pannello 3: Le Radici Sociali dell'Emigrazione Sammarinese tra Otto e Novecento
Nel corso del XIX secolo, a San Marino, l'equilibrio tra risorse e popolazione subì una drammatica rottura: i
mezzi di sostentamento furono sempre meno in grado di far fronte alla crescita della popolazione e,
conseguentemente, i proprietari agricoli si orientarono verso lo sfruttamento intensivo della risorsa terra,
scegliendo di coltivare senza accorgimento grano e mais in ogni tipo di terreno, così come stava avvenendo
in tutta la collina romagnola; il grano fu destinato alla commercializzazione, mentre il mais divenne la base
dell'alimentazione della popolazione contadina in crescita. La sparizione dei vigneti e dei prati per far posto
ai cereali, da un lato cancellò la redditizia e prestigiosa produzione vinicola, dall'altro, dimezzò il patrimonio
zootecnico, apportando seri danni all'economia della Repubblica.
Questi cambiamenti nell'agricoltura diedero un forte impulso all'emigrazione stagionale, da secoli presente
nel mondo appenninico. Una quota della popolazione periodicamente si trasferiva per cercare lavoro
secondo flussi stagionali ritmati dall'andamento dei lavori, che dipendeva dall'altitudine e dalle colture. Vi
erano anche attività , per loro natura, basate sulla mobilità , come il piccolo commercio ambulante dei generi
di uso domestico. Parallelamente molti artigiani specializzati, come calzolai, ramai, stagnini, calderai, vetrai e
scalpellini, si vedevano costretti a offrire il proprio lavoro su un mercato sempre più vasto.
Alla fine del XIX secolo, quando il prezzo del grano crollò da 32 a 23 lire al quintale, le condizioni di vita della
popolazione rurale peggiorarono notevolmente e la povertà e l'indigenza si allargarono. Divenne, quindi,
inevitabile per molti la scelta di abbandonare San Marino per cercare fortuna altrove, malgrado alcuni
interventi assistenziali promossi dallo Stato. "Questa emigrazione è stata innanzi tutto un'emigrazione alla
ricerca del pane, il pane che purtroppo la nostra terra troppo piccola non poteva più dare, e se i nostri
genitori sono partiti è stato per cercare quel pane" (Mario Mularoni - Francia).
Il movimento non aveva più le dimensioni delle tradizionali migrazioni stagionali, ma si immetteva
direttamente nei flussi migratori verso l'Europa e le Americhe. Alla fine del secolo, l'esodo si fece più
massiccio e rappresentò un'emorragia umana di grande consistenza, toccando quote pari al 17,5%
dell'intera popolazione residente, anche se questo dato va considerato alla luce di un quasi corrispondente
flusso di rientri. "La prima emigrazione, che si è rivolta verso la Francia dell'Est, risale agli anni intorno al
1905. I sammarinesi non sapevano leggere e scrivere molto, si sono trovati automaticamente nel mezzo
dell'emigrazione italiana, che li ha portati a svolgere i lavori più duri, cioè come manovale o minatore" (Mario
Mularoni - Francia).
Pannello 4: Forme dell'Emigrazione
Dalla metà dell'Ottocento e, in particolare, nei primi anni del Novecento, in Europa il fenomeno migratorio si
intensificò fino a raggiungere dimensioni imponenti: milioni di persone si spostarono dai loro paesi d'origine,
attratti dalle aree più industrializzate e da migliori prospettive di lavoro.
In quel crocevia di flussi migratori e di massicci esodi, il problema dell'assistenza e della tutela di coloro che
decidevano di lasciare la propria patria era generalmente affidato ad agenti di emigrazione, i quali, però,
spesso speculavano su questo traffico trattenendo forti percentuali sulle mediazioni e traendo profitto da
quel bestiame umano, che trascinavano nelle stive delle compagnie di navigazione, ansiose di riempirle.
L'emigrato era, insomma, una risorsa per gli agenti, che davano anche informazioni false sulle offerte di
lavoro in questa o quella città , a seconda del loro tornaconto.
Anche la Repubblica di San Marino non fu immune da questo fenomeno, segnalato già alla fine del secolo
dalla Società Unione Mutuo e Soccorso (S.U.M.S.), che si era resa conto della necessità di prestare aiuto a
quelle migliaia di cittadini costrette a emigrare.
Fu Pietro Franciosi, presidente della S.U.M.S., esponente del socialismo riformista, storico e grande
filantropo, che si adoperò affinché, tra il 1905 e il 1906, fosse istituito a San Marino l'Ufficio per la Tutela
dell'Emigrazione Temporanea in Europa.
Ancor prima che l'Ufficio fosse attivato, Franciosi cercò di aiutare personalmente i concittadini all'estero,
mantenendo con loro una fitta serie di contatti epistolari. L'Ufficio, sul modello della Società Umanitaria di
Milano, si prefiggeva lo scopo di raccogliere notizie ed informazioni relative alle offerte e alle domande di
lavoro all'estero, per favorire il collocamento degli operai sammarinesi, facilitare loro il viaggio e soprattutto
assisterli nel nuovo ambiente di lavoro in caso di infortuni e controversie con gli imprenditori.
Nel dicembre del 1943, viste le precarie condizioni economiche determinate dalla guerra che imperversava
ai confini della Repubblica, l'Ufficio per l'Emigrazione temporanea in Europa cessò la sua attività . Fu, poi, la
Segreteria di Stato per gli Affari Esteri a occuparsi direttamente dell'emigrazione dei sammarinesi nel
mondo.
Pannello 5: Grandi Partenze
Il popolamento bianco delle Americhe, dell'Australia e di alcune parti dell'Africa, dovuto ai flussi migratori
che, partendo dall'Europa, toccarono tutti i continenti, rappresenta uno dei grandi avvenimenti della storia
mondiale nella seconda metà del XIX secolo. Parallelamente, anche all'interno dell'Europa vi furono
movimenti di popolazioni di grande rilievo nella direzione sud/nord: dalla penisola balcanica verso l'Europa
centrale, dalle penisole italica e iberica verso Francia, Svizzera e Germania.
Connessioni tra la piccola storia dell'emigrazione sammarinese e la grande storia mondiale continuarono a
sussistere anche negli anni tra le due guerre mondiali. Il consistente numero di richieste di espatri tra il 1923
e il 1925 derivò senz'altro dalla difficile situazione del primo dopoguerra, quando un migliaio di disoccupati e
di lavoratori precari sammarinesi approfittò della decisione del governo francese, a fronte della perdita in
guerra di quasi due milioni di giovani, di aprire le proprie frontiere alla manodopera straniera.
La seconda ondata del flusso migratorio tra il 1928 e il 1930 fu, invece, più direttamente collegabile alle
vicende italiane. A partire dall'autunno del 1927 il regime fascista, con la politica di rivalutazione della Lira
(denominata quota 90), avviò una fase di stretto contenimento degli investimenti e di riduzione dei salari. Le
condizioni di vita delle classi popolari e di una parte del ceto medio peggiorarono notevolmente, con riflessi
anche in Repubblica, tanto che in molti, grazie alla cittadinanza sammarinese, poterono espatriare verso gli
Stati Uniti.
La grande crisi del 1929 manifestò, invece, tutti i suoi terribili effetti tra il 1931 e il 1934; tutti i paesi si
chiusero a riccio e solo pochissimi cittadini sammarinesi, in quel periodo, riuscirono a forzare il blocco per
uscire dai confini.
A partire dal 1935 i flussi migratori furono nuovamente connessi con le vicende italiane. La fase espansiva
dell'economia di guerra dell'Italia (Etiopia, Spagna, Albania...) offrì nuove opportunità di espatrio ai
sammarinesi, che poterono spaziare tra gli altipiani etiopici e le campagne tedesche; al contempo, però, si
chiusero le strade delle tradizionali migrazioni verso la Francia e gli Stati Uniti, paesi che alla vigilia della
seconda guerra mondiale si schierarono decisamente contro il blocco italo - germanico.
Pannello 6: Viaggio
La decisione di partire verso paesi lontani, di lingua e cultura diversa dalla propria, era per l'emigrante un
atto di intraprendenza e di coraggio.
La partenza, più che un'esperienza individuale e solitaria si configurava come un evento collettivo, un
fenomeno che coinvolgeva gruppi di persone che si dirigevano all'estero in modo non casuale, seguendo gli
itinerari tracciati dai richiami della catena migratoria.
Il viaggio, che spesso si prolungava oltre il previsto, rappresentava, comunque, per molti sammarinesi
abituati solo a piccoli e brevi spostamenti, un tuffo verso l'ignoto. "Il giorno della partenza, io che non ero mai
uscita da San Marino, è stato un giorno molto triste, perché c'era questo distacco, questa America così
lontana che... solo... era un sogno, non si sapeva dove si andava, nulla: si partiva così!" (Anna Marina Rosti
- Stati Uniti).
Anche il viaggio verso il nord Europa, oggi relativamente semplice, rappresentava un momento di
smarrimento in cui si perdeva ogni cognizione della geografia dei luoghi, confondendo regioni e paesi. Un
semplice spostamento in treno comportava incognite oggi incomprensibili, perché gli strumenti culturali di cui
la civiltà contadina disponeva per muoversi erano inadeguati rispetto alle necessità di quel viaggio. "Mi
ricordo che non ero mai stato in nessun posto e allora dovevo cambiare a Milano, da solo [...]. Mi ero fatto un
bigliettino, avevo scritto 'A tale ora...', e io quando ero là chiedevo alla gente 'Dov'è Lille? Quand'è che
arriviamo a Lille?" (Lino Ugolini - Francia).
Alle apprensioni per l'abbandono del conosciuto, gli emigranti dovevano aggiungere la preoccupazione dello
spostamento geografico, un timore accompagnato anche dalla difficoltà di entrare in possesso dei
documenti di espatrio. Per i trasferimenti e per risiedere all'estero era necessario dotarsi di fogli di espatrio,
prima, e di passaporti, poi, muniti o meno di fotografia, che i meno abbienti faticavano a procurarsi per motivi
economici e burocratici. Solo nel 1907 con un decreto governativo verrà abolita la tassa di passaporto per
gli emigranti.
Pannello 7: Ingresso nei Paesi di Accoglienza
Chiamate e Catena Migratoria
Nel dirigere le partenze verso specifiche destinazioni fu decisivo il funzionamento di alcuni meccanismi di
collegamento fra gli emigranti, attraverso richiami e sostegni a carattere esclusivamente personale e
familiare, le cosiddette chiamate personali. Queste erano alla base del fenomeno della catena migratoria,
che si verificava quando un lavoratore emigrato riusciva a inserire in campo lavorativo un parente o amico; si
avviava, così, un vero e proprio processo di integrazione nel paese ospitante, che garantiva lavoro e, in
alcuni casi, anche l'alloggio.
In altri casi la chiamata poteva essere ufficiale, come succedeva prevalentemente in Europa, e consisteva in
un contratto di lavoro sottoscritto da imprese (generalmente nel settore edile o minerario) diretto a
determinate categorie di lavoratori. Spesso le chiamate ufficiali erano nominali, perché indirizzate a singoli
lavoratori di cui le istituzioni sammarinesi avevano accertato la disponibilità a partire e a svolgere
determinate mansioni. I nominativi di coloro che intendevano accettare venivano inseriti in apposite liste,
inviate poi all'impresa stessa. In questi casi i lavoratori, dopo le necessarie visite mediche, si trasferivano, in
gruppo e a spese della ditta straniera, sul luogo di lavoro. Qui usufruivano, spesso, di alloggi messi a
disposizione dall'impresa stessa, le cosiddette baracche, dove non di rado, durante il primo periodo,
convivevano in piccoli gruppi. Sul piano normativo, essi sottoscrivevano un contratto temporaneo grazie al
quale erano equiparati agli altri lavoratori.
Regolamenti d'Ingresso
Nel corso del XX secolo l'emigrazione verso i paesi di maggiore accoglienza, quali Francia e Stati Uniti, fu
regolata da leggi che limitavano l'ingresso degli stranieri, vincolandoli al possesso di determinate
caratteristiche. Lo scopo di queste leggi fu il controllo numerico e qualitativo dei flussi di immigrati che
varcavano i confini nazionali permettendo, a seconda delle necessità economico-produttive e delle capacità
di assorbimento del mercato interno del lavoro, di attuare politiche tese a favorire o a disincentivare
l'immigrazione. I criteri in base ai quali i paesi controllavano i flussi di immigrazione erano diversi: gli Stati
Uniti applicavano un vero e proprio sbarramento quantitativo attraverso la quota, mentre la Francia
realizzava un controllo capillare dei singoli soggetti attraverso i permessi di soggiorno e di lavoro.
La legge americana stabiliva la quota, che era un contingente annuo di immigranti attribuito ai diversi paesi
in misura differente, ma San Marino, fino al 1923, non ne ebbe una a sua disposizione. Dal 1924 fu invece
attribuita a San Marino, come a molti altri paesi, una quota minima, pari a 100 unità .
Per poter entrare negli Stati Uniti erano, inoltre, necessari un visto, certificati medici e penali e un atto di
richiamo dall'America, vale a dire un certificato che attestasse la necessità dell'emigrato di raggiungere un
parente stretto già residente negli Stati Uniti e disposto a ospitarlo. Per quanto riguarda i paesi europei,
invece, le questioni migratorie vennero risolte mediante accordi bilaterali tra le parti, che generalmente
fissavano un tetto massimo annuo di immigrazione. Anche la Francia attuò questo sistema fino al 1946,
anno dopo il quale creò un Ufficio Nazionale per l'Immigrazione (Office National d'Immigration), con sedi
all'estero, per gestire il reclutamento e il collocamento in Francia dei lavoratori stranieri. La legislazione
francese del secondo dopoguerra in materia di immigrazione prevedeva che l'emigrante fosse già in
possesso di un contratto di lavoro prima di entrare nel territorio.
Americhe, Europa, Italia...
Le difficoltà economiche a seguito della Prima guerra mondiale costrinsero gli Stati Uniti, l'Australia, il
Canada e l'Argentina a bloccare ogni movimento migratorio. Tutto questo finì per avere ripercussioni anche
a San Marino quando, a metà del 1919, con il ritorno al lavoro dei soldati francesi e italiani, molti operai
sammarinesi, impiegati in Francia e in Italia durante il conflitto, furono costretti al rimpatrio. Nei primi anni
Venti, soprattutto nei mesi invernali, quando l'attività agricola era ferma, il numero dei disoccupati superava
il mezzo migliaio. Inoltre, la situazione dell'economia sammarinese rimaneva stagnante: l'agricoltura non
riusciva a specializzarsi e anche l'industria stentava a muovere i primi passi. Venne a mancare così qualsiasi
possibilità per risolvere la crescente disoccupazione. A sollevare la Repubblica da questa difficile situazione
arrivò la decisione del governo francese di aprire le proprie frontiere per accogliere manodopera da avviare
al lavoro minerario. La Francia divenne così meta di lavoratori sammarinesi che si spostarono anche con le
loro famiglie.
Differente fu il movimento migratorio verso le Americhe: mentre il flusso verso i paesi dell'America latina
quasi scomparve, non solo a causa delle nuove leggi molto restrittive, ma anche per la situazione di crisi,
l'emigrazione verso gli Stati Uniti non si interruppe mai, malgrado i rigidi contingentamenti applicati dalle
autorità americane, e coprì il 10% circa dell'intera emigrazione sammarinese tra il 1923 e il 1940, per
continuare anche nel secondo dopoguerra. "Fin verso il 1960 operai e tagliatori di pietre occorrevano a New
York per costruire le autostrade, i grattaceli [...]. A Detroit occorrevano lavoratori per le industrie di automobili
e delle costruzioni, allora in piena espansione" (Eugene Sweeney).
Negli anni Trenta i percorsi migratori sammarinesi risentirono non solo della situazione derivata dalla Grande
crisi del 1929, ma anche dell'egemonia che il regime fascista italiano esercitava sul governo della
Repubblica. Così, mentre diminuivano gli spostamenti verso Francia e Stati Uniti, si cominciava a
manifestare un certo movimento verso l'Italia, soprattutto in corrispondenza delle grandi opere di bonifica
che il Governo Mussolini aveva avviato nelle campagne attorno a Roma. Fu una migrazione meno redditizia
e consapevole dei rischi sanitari cui si andava incontro. "I romagnoli e i sammarinesi avevano un'enorme
paura della malaria. Bartolini diceva "Ho paura d'la nofla, la zanzèra c'la purteva la fèvra tu sangv" (Battista
Suzzi Valli - Roma).
Nel 1935 e nel 1936 molti sammarinesi si imbarcarono verso l'Etiopia per lavorare nelle grandi opere stradali
realizzate al seguito dell'esercito occupante, mentre tra il 1939 e il 1940 iniziò un flusso, parallelo a quello
italiano, verso la Germania, dove, la crescente militarizzazione aveva reso disponibili molti posti di lavoro. Si
trattò comunque, di un movimento di breve durata, destinato a sparire rapidamente durante la Seconda
guerra mondiale, man mano che la tradizionale neutralità sammarinese prevalse sui legami con lo Stato
italiano.
Pannelli 8: Sammarinesi all'Estero
I sammarinesi che vivevano lontani dal Titano si riunivano, spesso, in piccoli gruppi per superare le difficoltà
d'integrazione nei nuovi paesi d'accoglienza e per lenire la nostalgia della madrepatria. I luoghi di ritrovo
potevano essere indistintamente locali pubblici o case private. "Quando c'era il giorno libero, ci si incontrava
sempre... sempre lì, da Rossi, che aveva una casa, un appartamento grande. Allora lì faceva il caffé, c'era il
bicchiere di vino, la birra e, se uno voleva, il pezzo di pane..." (Aldino Francesconi - USA).
Luoghi stabili di ritrovo e di sostegno per i cittadini in difficoltà furono successivamente creati nelle zone di
maggiore afflusso migratorio. Questi centri acquisirono col tempo un'importanza sempre maggiore, al punto
che ogni evento pubblico e privato diventò motivo di incontro. "Nel 1938 un gruppo di cittadini decise di
ristrutturare un locale in rovina a S.te Claire, nel comune di Metz, per accogliere i nuovi arrivati "." (Mario
Mularoni - Francia). "Il Club [di Detroit] divenne il centro sociale nel quale i concittadini della zona potevano
riunirsi per volontà d'incontro, per celebrare le tradizionali feste, per mutuo sostegno e solidarietà nelle
occasioni tristi o liete della loro vita..." (Livio Capicchioni - USA).
Prima ancora che la Repubblica di San Marino provvedesse all'istituzione ufficiale delle 25 Comunità con la
legge n. 76 del 30 Novembre 1979, i sammarinesi all'estero avevano già dato origine spontanea a diverse
organizzazioni, alle quali è stato significativamente attribuito il nome di "fratellanza" o "famiglia". Comitati di
assistenza tra cittadini sammarinesi sono nati in Francia e in Belgio fin dagli anni Venti del secolo scorso e
negli Stati Uniti nel decennio a seguire, per sfociare poi nella creazione delle prime Comunità negli anni a
cavallo tra la "grande crisi" del '29 e la Seconda guerra mondiale.
La legge n. 77/1979 (abrogata dalla successiva n. 98/1997) istituisce inoltre la Consulta dei cittadini residenti
all'estero, quale collegamento fra l'amministrazione centrale statale e i sammarinesi emigrati. Proprio per
favorire il collegamento con le Comunità , nel 1981 è stato istituito, all'interno del Dipartimento Affari Esteri,
una struttura apposita: l'Ufficio dei Rapporti con le Comunità all'Estero. Mentre in passato la Consulta era
convocata annualmente dal Segretario di Stato per gli Affari Esteri, che ne era il Presidente, con la legge
98/1997 il Presidente viene eletto dalla Consulta tra i suoi delegati ed è coadiuvato da un Ufficio di
Presidenza, composto da 5 membri; a lui è affidato il compito di organizzare e coordinare le attività in
maniera autonoma e rappresentativa. Nel 1981 sono stati inoltre avviati i soggiorni culturali per giovani
sammarinesi residenti all'estero. Annualmente, in estate, quaranta giovani provenienti dalle diverse
Comunità vengono ospitati per un mese a San Marino con l'obiettivo di scoprire e conoscere il paese di cui
sono cittadini e frequentare corsi di storia sammarinese e di lingua italiana.
Pannello 9: Mestieri e Mercato Mondiale del Lavoro
Nell'arco di oltre cent'anni gli emigranti sammarinesi sperimentarono quasi ogni genere di lavoro o attività .
Generalmente contadini, essi cominciarono gradatamente a sfruttare all'estero una serie di competenze
professionali acquisite o magari appena abbozzate in patria.
In uno degli ultimi numeri de "Il nuovo Titano" (6 agosto 1922), Pietro Franciosi denunciò una situazione di
dilagante disoccupazione:"gli operai braccianti, finiti i lavori di battitura, si trovano da più di una settimana a
spasso senza veruna speranza di occuparsi. Ad essi si aggiungono falegnami, scalpellini e operai di altre
categorie".
Il quadro statistico dei passaporti rilasciati dalla Segreteria di Stato per gli Affari Esteri mostra come per tutto
il ventennio successivo (1923-1940) la situazione descritta da Franciosi continui immutata.
I grafici evidenziano come i braccianti, gli operai (una qualifica che, nell'economia sammarinese di allora,
può facilmente indicare indifferentemente lavoratori del settore agricolo, edile e manifatturiero) e i lavoratori
impegnati nei diversi mestieri artigiani costituirono, per tutti gli anni Venti e Trenta, le categorie professionali
prevalenti fra gli emigranti.
Inoltre i dati sui passaporti consentono anche di individuare movimenti migratori (messi in evidenza anche
dalla storiografia), motivati dal desiderio di migliorare il proprio status (cosa possibile solo attraverso la fuga
dai confini della Repubblica), e non più dovuti all'esigenza di trovare essenziali mezzi di sostentamento. In
quest'ottica va ricordato anche il movimento migratorio, concentrato nel triennio 1935-1937, verso le colonie
fasciste dell'Africa Orientale Italiana. La motivazione principale di questi spostamenti fu il desiderio di
avventura, alimentato dal miraggio di enormi guadagni e della conquista, fisica ed emotiva, di una terra del
tutto nuova, che avrebbe potuto essere sfruttata in tutte le sue potenzialità .
"Vi posso dire per esperienza personale che dal 1933 tre grosse famiglie sammarinesi vanno a Roma [...].
Fra i tre c'era anche mio padre che faceva il fattore a Chiesanuova, aveva tre poderi, e a quel tempo avere
un podere dove si raccoglievano 80 quintali di grano...era un successo" (Battista Suzzi Valli - Roma). Questa
testimonianza trova riscontro nell'alto numero di passaporti rilasciati tra il 1923 e il 1940, in cui si indicava,
come condizione lavorativa di partenza, quella di "possidente". L'esodo di questi ceti sociali era
accompagnato anche dalla perdita per San Marino di risorse finanziarie, che venivano indirizzate altrove.
Infine, il consistente numero di passaporti richiesti da ingegneri, avvocati, farmacisti, medici, geometri, le cui
professioni non trovavano spazio nell'arretrata economia sammarinese, rappresentò un diverso e non
trascurabile impoverimento di risorse intellettuali e tecniche per la Repubblica.
Pannello 10: Lavoro
Garzone Agricolo
Con l'espressione "andé par garzà´n" si intendeva il mettersi alla ricerca di un lavoro altrove, anche il più
umile, che potesse dare la sicurezza della sopravvivenza e una modesta paga. Si lavorava nei campi, in
giovane o tenerissima età , dall'alba fino a sera, e poi, prima di cena, si curavano le bestie nella stalla.
Il lavoro si prestava presso una famiglia di contadini che, oltre alla paga fissata, forniva anche il vitto,
l'alloggio e la pulizia degli indumenti personali. Ma la condizione di garzone significava soggezione ed
esclusione sociale, rendendo impossibile, ad esempio, contrarre matrimonio. Questo esodo temporaneo,
nella maggioranza dei casi, rappresentò la prima tappa di un percorso migratorio più duraturo e definitivo.
Agricoltore
Spostandosi in altri paesi che offrivano opportunità lavorative differenti, gli agricoltori sammarinesi dovettero
indubbiamente adattarsi alle necessità di quei mercati del lavoro. L'edilizia, la ristorazione, la fabbrica
divennero i terreni su cui si misurò la flessibilità lavorativa del mondo rurale fuori dalle campagne, all'estero,
in Italia, in Francia, nelle Americhe.
Solo in Argentina, grazie al carattere agricolo della sua economia, fu facile per gli agricoltori sammarinesi
utilizzare al meglio le proprie competenze. Ma non sempre le occupazioni rurali risultavano più remunerative
e affidabili di quelle urbane e industriali.
Serve e Balie
La serva viveva sotto lo stesso tetto dei padroni, ma la sua era una vita dura: le padrone potevano castigarla
e persino percuoterla. Verso i 14 anni le ragazze andavano a servizio a Rimini, o ancora più lontano, presso
famiglie benestanti o istituzioni. Anche le balie erano molto ricercate dalle madri benestanti ma
impossibilitate ad allattare. I bambini venivano affidati alle cure di una balia con esperienza, sana e giovane,
con latte in abbondanza.
Minatore
In miniera si dovevano sostenere turni duri e faticosi, che coprivano un orario interminabile, minacciati da
pericoli sempre in agguato. L'impatto con il luogo di lavoro costituiva la prima vera e propria prova: l'ingresso
nelle viscere della terra a una profondità che a volte raggiungeva i 1.000 metri. Spesso la scelta di lasciare
la precedente attività , generalmente quella di contadino, per recarsi a lavorare nelle miniere di carbone
veniva fatta senza avere piena consapevolezza delle effettive condizioni di lavoro e del rischio di malattie
come la silicosi, causata dalle polveri della miniera, che depositandosi sui polmoni creava insufficienze
respiratorie.
Muratore
Nei cantieri i lavori erano pericolosi e gli orari prolungati. Anche se chi partiva conosceva e svolgeva già
questo mestiere, all'estero si era costretti a ricominciare da capo e, specialmente all'inizio, ci si doveva
adeguare a qualsiasi mansione nel cantiere. Spesso si approdava al lavoro edile dopo esperienze di
manovalanza agricola o lavori stagionali e precari. Dopo i primi difficili anni, però, gli sforzi compiuti grazie a
una grande versatilità e dedizione davano i loro frutti, avviando un processo di rapida ascesa sociale.
Scalpellino
La professionalità degli scalpellini del Titano trovò lusinghieri riconoscimenti da parte degli imprenditori
svizzeri e francesi che, sino al 1950, hanno accolto un grande numero di scalpellini.
Una vocazione antichissima, come testimoniato da una documentazione storica che attesta, tra il XV e il XVI
secolo, l'impiego di diversi maestri di pietra sammarinesi presso la Corte ducale di Urbino.
Nel Novecento l'esodo di questi lavoratori fu massiccio; grazie alla loro elevata qualificazione, la dura realtà
dell'emigrazione fu attenuata da garanzie di buoni salari.
Pannello 11: L'Emigrazione Femminile
Nella storiografia contemporanea è spesso prevalsa la tendenza a considerare la storia dell'emigrazione,
un'esperienza esclusivamente maschile. Gli studi più recenti sulle dinamiche familiari sembrano, invece,
dimostrare la presenza di strategie comuni nella famiglia, all'interno delle quali la scelta migratoria e tutte le
variabili che essa comporta vengono concordate da tutti i componenti adulti.
La struttura dell'emigrazione femminile dalla Repubblica di San Marino tra il 1870 e il 1960 non mostra che
lievi differenze rispetto a quanto accade nello stesso periodo negli altri paesi d'Europa, che presentano alti
tassi migratori, primo fra tutti l'Italia. Durante tutto l'ultimo trentennio dell'Ottocento l'emigrazione femminile
rimane un fenomeno inconsistente. A partire dai primi anni del Novecento, invece, il numero dei passaporti
rilasciati alle donne sammarinesi inizia a divenire statisticamente rilevante, toccando un massimo relativo nel
triennio 1911-1913. I valori degli espatri femminili tornano poi a salire tra la fine degli anni Venti e l'inizio del
decennio successivo.
A partire sono le ragazze nell'età più produttiva, appena superata la prima adolescenza, fin quasi alla soglia
dei trent'anni. Molte appartengono a un contesto urbano sconvolto in misura crescente da un processo di
industrializzazione che si afferma a livello planetario, e che fa sentire i suoi effetti anche a San Marino.
Vanno a strappare salari di sussistenza in altri contesti urbani; mettono in gioco la loro competenza
professionale e la loro manualità nel mondo delle professioni artigiane o in quello della fabbrica, in qualche
cantone svizzero o nelle grandi città industriali della Francia e degli Stati Uniti. Oppure mettono a frutto la
loro qualifica di "massaie" o "donne di casa" per impiegarsi come "domestiche" o "serve" presso qualche
famiglia benestante.
Alla componente rurale è riservato, per lo più, un destino migratorio transoceanico: prima il Brasile, una meta
che viene abbandonata quasi subito: troppo dure le condizioni di vita, troppo difficile la riuscita; meglio
spostarsi nelle grandi distese di frumento dell'Argentina o nelle piantagioni del sud degli Stati Uniti.
Le donne all'estero imparano a rendersi autonome, conquistano un'indipendenza non soltanto economica e
allentano, in alcuni casi, i vincoli familiari e, con essi, il controllo esercitato dagli uomini su di loro. La
scoperta dell'autonomia da parte delle donne costituisce una moneta spendibile sia nei luoghi di
accoglienza, dove, in parecchi casi, esse diventano punto di riferimento anche per gli uomini, sia nei paesi di
origine. Le donne che tornano dall'esperienza migratoria, infatti, sono portatrici di nuovi modelli sociali che
mettono in discussione i valori della provincia rurale. Il saper contare soltanto sulle proprie forze, la
coscienza della complessità del mondo fuori dalle mura del castello, la comprensione dell'importanza della
formazione culturale dei figli costituiscono un contributo alla modernizzazione di tutta la società
sammarinese e della sua componente femminile.
L'emigrazione non costituì solamente un'esperienza formativa per le donne che la vissero in prima persona,
ma si rivelò altrettanto importante come fattore di modernizzazione per le donne che restarono in patria,
mogli o figlie di emigranti. La mancanza di manodopera, negli anni di massima espansione del fenomeno
migratorio, portò infatti le donne rimaste a casa a svolgere, con sempre maggiore frequenza, mansioni che
prima erano considerata prettamente maschili. In tal modo l'emigrazione anticipò di alcuni anni uno degli
effetti di modernizzazione imposto dalla Grande guerra, avviando per la donna un cammino di
emancipazione che trasformò il suo ruolo nella società da comparsa a comprimaria.
Pannello 12: Economia e Rientro
L'Economia Sammarinese nel Secondo Dopoguerra
Nel dopoguerra la crisi dell'agricoltura sammarinese favorì un consistente esodo dalle attività rurali: i primi
ad andarsene furono i mezzadri, seguiti dai piccoli coltivatori. Tra il 1955 e il 1960 ben 145 famiglie
abbandonarono il lavoro dei campi, lasciando così terreni incolti e dimore disabitate.
Grazie alle facilitazioni fiscali concesse dalle autorità repubblicane per favorire gli insediamenti industriali si
avviò un vivace processo di industrializzazione: accanto alle industrie tradizionali come laterizi, ceramiche,
molini e concerie, si svilupparono nuove attività manifatturiere dal mobilificio, al tessile, alla chimica. Negli
anni Sessanta lo sviluppo, accanto alle attività industriali, del settore terziario connesso al turismo, non solo
riuscì ad assorbire ogni forma di disoccupazione, ma creò anche le condizioni per il rientro di molti
sammarinesi.
Le Rimesse
Negli anni Sessanta un impulso all'economia sammarinese verrà dato anche dalle rimesse, cioè dai risparmi
inviati periodicamente dagli emigranti.
L'operazione di invio del denaro non era semplice, anzi spesso essa era vincolata, nelle modalità e nelle
quantità , dai regolamenti vigenti nei paesi di accoglienza. In Francia i risparmi venivano depositati presso i
consolati della Repubblica e, solo successivamente, tramite il Console, presso la Segreteria di Stato per gli
Affari Esteri, che si incaricava di farli pervenire alle famiglie.
Con la stipula dell'accordo italo-francese del maggio 1947, gli emigranti sammarinesi furono assimilati agli
italiani e poterono usufruire delle medesime condizioni per inviare direttamente i risparmi a San Marino; le
limitazioni quantitative rimasero, comunque, in vigore e furono stabilite in un ammontare massimo mensile.
Questo flusso ininterrotto di denaro fu essenziale, non solo per le singole famiglie che ne usufruirono, ma
anche per finanziare gli investimenti e lo sviluppo del settore turistico.
Il Rientro
Alla fine degli anni Sessanta la Repubblica di San Marino fu interessata dal fenomeno dei rientri. Fra le
cause che influirono sul ritorno in patria degli emigrati sammarinesi compaiono, in alcuni casi, la nostalgia e
il profondo desiderio di ritornare a vivere nella propria terra natale, in altri il timore di un legame affettivo dei
propri figli con la nazione straniera. Nuovi vincoli forti quali l'insediamento, il matrimonio di figli con stranieri,
la nascita di nipoti, avrebbero precluso definitivamente la possibilità di tornare nella terra d'origine.
Sui rientri incisero anche i problemi di salute legati alle pesanti mansioni lavorative riservate agli emigranti e,
talvolta, alle inconsuete condizioni climatiche: "ma l'aria non mi faceva bene, non digerivo là [...]. Là l'aria è
poco buona... molto umido, c'era le miniere... c'è sempre quest'aria cattiva. L'estate, tre giorni avevo scritto
sul calendario, tre giorni di sole ho visto, sempre umido pioggia" (Lino Ugolini - Francia).
Un'ulteriore spinta al rientro venne anche dalle migliori prospettive di lavoro presenti a San Marino a partire
dagli anni Sessanta, con lo sviluppo di un nuovo sistema economico. Inoltre, fra la fine di quel decennio e i
primi anni Settanta, le condizioni internazionali di recessione nei paesi di accoglienza, dovute alla crisi
petrolifera, incentivarono ulteriormente il flusso dei rientri.
Il rimpatrio di lavoratori, profondamente cambiati in mentalità e status, fu determinante per il processo di
modernizzazione che il paese visse nel secondo dopoguerra. Il lavoro in edilizia, svolto da molti emigranti
durante la permanenza negli Stati Uniti, favorì gli sviluppi imprenditoriali che poi vennero realizzati in patria.
A trasformare l'ex-emigrato sammarinese in un importante agente di modernizzazione furono i risparmi
realizzati mediante un lavoro qualificato all'estero, uniti all'acquisizione di diversi modelli di comportamento.
Pannello 13: Museo dell'Emigrante
L'idea di realizzare un Centro Studi Permanente sull'Emigrazione - Museo dell'Emigrante a San Marino,
nasce nel 1993 all'interno della Consulta dei cittadini sammarinesi all'estero; un mostra documentaria
sull'emigrazione nel suo essere evento storico e racconto, per permettere a coloro che vivono in Repubblica
e a coloro che ancora risiedono all'estero, ai giovani e agli anziani, di esplorare, senza ritualità e retorica, le
vicende migratorie e riconoscersi collettivamente rispetto al passato e al futuro.
Il Centro Studi Permanente sull'Emigrazione - Museo dell'Emigrante viene istituito nel 1997 nell'ambito del
Dipartimento degli Affari Esteri. La sua realizzazione si è resa possibile grazie alla collaborazione di
numerosi cittadini, che hanno fornito oggetti, documenti e testimonianze, oltre al contributo economico di enti
pubblici, privati e organizzazioni internazionali. Il materiale raccolto è diviso in tre grandi categorie: oggetti,
fonti scritte e fonti iconografiche.
Il percorso espositivo, realizzato su progetto degli architetti Alessandro Galassi e Bianca Maria Rizzo, si
snoda lungo 8 stanze suddivise per temi: la partenza, il viaggio, le modalità di espatrio, l'arrivo, il lavoro
all'estero e il rientro, i mestieri, il corridoio dei donatori, l'emigrazione negli Stati Uniti e l'emigrazione
femminile, e rappresenta le caratteristiche essenziali della società e dell'economia sammarinesi del '900,
colte anche attraverso la cultura materiale. Per le sue caratteristiche e la peculiarità del tema, il Museo si è
classificato fra i primi dieci partecipanti al "Premio per il Museo Europeo dell'anno 1998", organizzato
dall'associazione "The European Museum Forum" con il patrocinio del Consiglio d'Europa.
Il Centro Studi, che affianca il Museo, ha l'obiettivo, da un lato di recuperare e salvaguardare la storia e la
memoria dell'emigrazione sammarinese, evidenziandone gli aspetti sociali, politici, economici e antropologici
e, dall'altro, di divenire un polo di ricerca sulle migrazioni. E' collegato a una rete di centri di ricerca con
finalità analoghe presenti in altri paesi europei ed extra-europei, in particolare con il museo di Ellis Island
(Stati Uniti), il CEMLA (Argentina), il Memorial do Imigrante (Brasile) e il CSER (Italia); dal 1997 è inoltre
membro dell'AEMI (Association of European Migration Institutions). Il Centro Studi, che opera sotto la guida
di un Consiglio Scientifico e di un Comitato di Coordinamento, gestisce un sito internet
(www.museoemigrante.sm), un archivio multimediale contenente dati di espatrio e documenti, e promuove
convegni e ricerche sul tema delle migrazioni.