L`avventura di un cercatore dell`uomo e di Dio

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L`avventura di un cercatore dell`uomo e di Dio
David M. Turoldo: centenario della nascita (1916-2016)
Mariangela Maraviglia
L’avventura di un
cercatore dell’uomo
e di Dio
A cento anni dalla nascita una biografia basata su fonti e
testimonianze inedite1 ricostruisce la vicenda del Servo di Maria
che l’arcivescovo Martini definì «poeta, profeta, disturbatore delle
coscienze, uomo di fede, uomo di Dio, amico di tutti gli uomini».
L’autrice ne ripercorre qui l’avvincente vicenda umana.
«Credo che da noi dovrà cominciare la grande opera di liberazione del cristianesimo da tutte le coreografie di antica e di recente data […] penso che fra
cinquant’anni non ci sarà più nulla di tutte queste soprastrutture e di questi
ingombri spirituali che hanno solo la virtù di renderci superstiziosi e niente affatto cristiani»�. Queste parole scritte da un ancor giovane David Maria
Turoldo al confratello Giovanni Vannucci nel 1949 restituiscono l’enfasi e
la passione di una figura che fu nel corso del Novecento interprete efficace e
riconosciuto della sua generazione, portavoce delle speranze di rinnovamento
ecclesiale, sociale, culturale che contrassegnò nelle sue differenti stagioni la
seconda metà del secolo scorso.
Le tappe
Q
uali le tappe fondamentali della sua intensa vicenda? Nato il 22 novembre 1916 a Coderno di Sedegliano, in provincia di Udine, in una
poverissima famiglia, formatosi nelle case venete dell’Ordine dei Servi
di Maria, Turoldo fu assegnato nel 1941 alla famiglia conventuale di San Carlo
in Milano, dove frequentò l’Università cattolica del Sacro Cuore laureandosi
in filosofia e impegnandosi attivamente nella lotta di Resistenza. Nell’immediato dopoguerra, l’intenso attivismo nei confronti di Nomadelfia, la città della fraternità fondata da don Zeno Saltini, gli impegni ecclesiali e culturali avviati con il confratello Camillo De Piaz, lo fecero individuare come figura non
allineata all’unanimismo comandato nella Chiesa pacelliana, determinandone
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Cfr. M. Maraviglia, David Maria Turoldo. La vita, la testimonianza (19161992), Morcelliana, Brescia 2016.
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l’allontanamento da Milano e un primo «esilio» in Germania (1953-1954).
Inviato su sua richiesta nella Firenze degli anni di Giorgio Lo Pira sindaco
(1954-1958), fu di nuovo «esiliato» in Inghilterra (1958-1960), con lunghi periodi di predicazione americana. Tornato in Italia nel 1960 e accolto nel convento di Santa Maria delle Grazie (Udine), espresse la sua vocazione comunicativa non solo continuando a produrre numerose opere poetiche, spirituali,
teatrali ma anche sperimentando il linguaggio cinematografico con il film «Gli
ultimi» (1962).
L’entusiasmo per il rinnovamento ecclesiale avviato da papa Giovanni
XXIII e dal Concilio Vaticano II lo spinsero a trasferirsi nella terra natale del
pontefice e, nel 1964, a dare avvio, tra le mura dell’abbazia di Sant’Egidio a
Fontanella di Sotto il Monte (Bergamo), a un’esperienza comunitaria di religiosi e laici. Da questa, contribuì con impegno instancabile ai fermenti presenti nella Chiesa e nella società italiana negli anni Settanta e Ottanta. Ammalatosi di cancro nel 1988, morì il 6 febbraio 1992, testimoniando negli ultimi
anni, attraverso conferenze, interviste, una produzione poetica giudicata da
molti la sua migliore, il dolore e la speranza di una morte cristiana.
Una avvincente avventura umana
Anche un percorso sintetico come quello appena tracciato offre un’idea
della molteplicità e ricchezza della vita di Turoldo, che si snoda come una avvincente avventura umana, rivelandosi un’avventurosa cavalcata tra vicende
e personaggi del Novecento anche per il biografo e il lettore.
La chiave di tanto fervore è offerta da due carissimi amici di padre David:
lo scrittore Luigi Santucci, il quale, rievocando gli anni milanesi, ammirava
in Turoldo la capacità di «dilapidarsi senza risparmio […] puntando tutto sul
Vangelo»; il confratello Camillo De Piaz, che gli riconosceva il dono e la vocazione di «prendere la parola» in ogni circostanza. In effetti lo spendersi, l’intervenire, contrassegnarono padre David per l’intera sua vita, spesso con un
coraggio e uno sprezzo del pericolo più volte scontati in prima persona.
Così fu per la partecipazione, insieme a De Piaz, alla Resistenza milanese,
che fece del convento di San Carlo un crocevia di incontri e iniziative che
andava dalla diffusione della stampa clandestina – il periodico «L’Uomo», animato da un gruppo di amici studenti e cattedratici della Cattolica –, all’aiuto
ai perseguitati politici, alla collaborazione con gruppi antifascisti, il più noto
dei quali fu il Fronte della Gioventù animato dai comunisti Eugenio Curiel e
Gillo Pontecorvo.
Così fu, nell’immediato dopoguerra, per l’appoggio alla comunità di Nomadelfia, che con il suo generoso intento di offrire famiglie a bambini abbandonati apparve non solo a Turoldo l’immagine ideale di una società esemplata
sul Vangelo, efficace controcanto di un cattolicesimo italiano colpevolmente
compromesso con la politica: il sostegno a Nomadelfia, insieme all’infuoca10
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ta predicazione nel duomo milanese avviata su richiesta del card. Ildefonso
Schuster nel 1943, all’amicizia con tutte le “avanguardie cristiane” del tempo
– un nome per tutti Primo Mazzolari –, alle attività culturali della Corsia dei
Servi, fece individuare padre David come pericoloso fomentatore di critica e di
dissenso, determinandone il primo doloroso allontanamento dall’Italia.
Anche il passaggio nella fervida Firenze degli anni Cinquanta non fu indolore: amico di tutti i protagonisti di quella stagione – Ernesto Balducci, Divo
Barsotti, Enrico Bartoletti, Gian Paolo Meucci, Mario Gozzini –, intensamente
partecipe alle iniziative del sindaco Giorgio La Pira sulla pace e la civiltà cristiana, Turoldo strinse uno speciale rapporto di collaborazione con Lorenzo Milani, soprattutto in merito al volume del prete fiorentino Esperienze pastorali che
sperò senza successo di poter pubblicare con le edizioni della Corsia dei Servi
(non ottenne l’imprimatur a Milano). Maggior successo ebbero i suoi stimoli
nel convento fiorentino dei Servi, la SS. Annunziata, dove riuscì, insieme al
confratello Giovanni Vannucci, a realizzare le iniziative già avviate a Milano: la
Messa della carità per i poveri, il cineforum, le conferenze per i laici, la trasformazione del bollettino del santuario in una rivista di formazione e culturale.
Una ricchezza di sollecitazioni che fecero individuare in quella di Turoldo la
prima testa da allontanare da Firenze per «salvarla dal disordine», come gli
avrebbe confessato il card. Ermenegildo Florit in un colloquio personale.
Gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta furono gli anni delle speranze di
cambiamento radicali nella chiesa e nella storia, gli anni dell’interpretazione
in chiave liberatrice della fede cristiana, che portò padre David ad appoggiare
le istanze di giustizia che si levavano dai diversi continenti, in primo luogo
dall’America Latina, a valorizzarne le voci significative, come Ernesto Cardenal e Rigoberta Menchù, a cantarne i martiri, come Oscar Romero. Furono
anche gli anni della molteplice rilettura e ritraduzione dei Salmi – in collaborazione con l’amico Ganfranco Ravasi –, per vivere le «fiammeggianti liturgie»
che ricordano i testimoni del tempo, liturgie capaci di restituire al rito religioso
il carattere di esperienza di vita corale e compartecipata.
In questo quadro di impegni instancabili non sorprende che padre David
sia stato oggetto di calorosi consensi e di non meno radicali dissensi ed emarginazioni, fonte di profonde amarezze. Lo consolò e riscattò l’amicizia di non
pochi vescovi e uomini di Chiesa che gli mostrarono rispetto e affetto: l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, che ancora da papa ricordava
di avergli sempre «voluto bene»; il vescovo di Bergamo Clemente Gaddi che lo
accolse già figura scomoda e discussa a Sotto il Monte; l’arcivescovo di Milano
Carlo Maria Martini che lo invitò a parlare in duomo nel 1984, in occasione
degli incontri biblici della «Scuola della Parola».
In compagnia dell’«uomo»: Pasolini e Moro
Ma quale fu il filo rosso che animò e unì un’esperienza tanto ricca e vaMonte Senario, anno XX, n. 60 - settembre-dicembre 2016
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riegata come quella di Turoldo? Credo di poterlo esprimere nell’instancabile
impegno di tradurre nella vita la fede cristiana, alla luce del valore dell’uomo,
della sua libertà in ambito storico e della sua salvezza in prospettiva escatologica.
Si trattava di «rifondare l’uomo», «salvare l’uomo», costruendo una società
di giustizia e di pace, ripensando anche la Chiesa e il cristianesimo a partire
dal valore dell’uomo, perché riacquistasse un calore di vita spesso dimenticato
nell’aridità di verità astratte e di adesioni intellettualistiche. Scriveva nell’aprile del 1975 a un monsignore bergamasco che non lo amava: «No, non può
essere che il Concilio sia venuto invano; non può essere che papa Giovanni
non abbia significato niente; che i poveri non ci credano più; che molti, moltissimi giovani se ne siano andati: che ci sia più gente “fuori” che dentro che
si batte per l’uomo. Gesù Cristo è stato ucciso per rendere testimonianza della
verità: cacciato fuori della sinagoga e ucciso. La nostra fede, caro Monsignore,
è drammatica!»2.
In nome dell’«uomo», di lì a poco Turoldo si espose in prima persona in occasione di due tragici episodi che insanguinarono l’Italia degli anni Settanta:
l’assassinio di Pier Paolo Pasolini e il rapimento di Aldo Moro.
Quando, il 2 novembre 1975, il poeta e regista friulano venne ucciso, padre
David scrisse immediatamente due lettere aperte di solidarietà alla madre del
poeta e alla madre del giovane assassino. Lesse pubblicamente la prima come
orazione funebre quando, il successivo 6 novembre, partecipò ai funerali friulani di Pasolini, mostrando una pietà e una comprensione non espressa, come
lo stesso padre David accusò, dagli uomini «di religione». Di Pasolini aveva
enormemente apprezzato la denuncia degli esiti nichilistici della società consumistica e del potere corrompente della politica italiana, tanto più grave in
quanto condotta in nome di sedicenti ideali “cristiani”; a Pasolini riconosceva
«l’anima religiosa» di «credente senza fede», una instancabile ricerca di senso
che anch’egli pur con diversi esiti condivideva.
Il valore assoluto dell’«uomo», «la creatura per cui anche Dio si muove», lo
condusse pure a riconoscere, a differenza di altre figure pur amiche dello statista, la richiesta di vita presente nelle dolenti lettere di Moro: «le cose più vere
dette nel diluvio delle nostre parole. Proprio perché umane. E grandi nella loro
sincerità»�. Tentò anche, insieme a De Piaz, di instaurare una trattativa per la
liberazione del presidente della Democrazia cristiana, trattativa che vide convolti alcuni vescovi, tra cui Luigi Bettazzi di Ivrea, e che non andò in porto per
il rifiuto delle autorità ecclesiastiche romane. Un intervento che gli guadagnò
la concelebrazione della messa voluta il 16 maggio 1978 dalla famiglia, non
partecipe invece ai solenni funerali officiati il 13 maggio dal vicario di Roma,
Ugo Poletti, alla presenza di Paolo VI.
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Cfr. lettera di Turoldo a Pietro Carrara, 16 aprile 1975, Fondo Turoldo
(Fontanella di Sotto il Monte), busta 37.
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L’attesa di Dio e l’amore alla Chiesa
Costitutiva della pienezza umana era, palese o nascosta, l’attesa di Dio,
la domanda di Dio, da Turoldo espressa principalmente nella sua poesia, con
versi noti e meno noti, come i seguenti, in cui risuona l’eco di Simone Weil:
«Ma quando declina questo / giorno senza tramonto? / All’incontro cercato /
nessuno giunge. / E le pietre bevono / Il sangue di questo cuore / Ancora per
miracolo vivo»3.
Dichiaratosi «ammalato di Dio» fin dagli anni giovanili e negli ultimi tempi
addirittura «maniaco di Dio», padre David ne avvertiva dolorosamente il silenzio di fronte al male, alla morte, all’apparente non senso del tutto e ingaggiava
un suo personale corpo a corpo con Dio, una «teomachia», che esprimeva con
stilemi acquisiti dalla lettura, traduzione e meditazione dei Salmi, di Giobbe,
di Qoelet, frequentati ininterrottamente nel corso della sua vita.
Ma anche questa «lotta» era combattuta all’interno di una fede sempre riaffermata nel «volto di Cristo» e di un amore ininterrottamente riconfermato
per la Chiesa e per l’Ordine dei Servi di Maria, vissuti come dimore da cui
era impensabile uscire, anche nel tempo degli esili comandati, anche nei giorni più sofferti dell’emarginazione. Un’appartenenza simboleggiata pure dalla
tonaca, che, ricordava padre David, non aveva voluto abbandonare come gli
veniva più volte suggerito da chi non sopportava la sua «scomodità»; che volle
risolutamente infilarsi, pur vestendola ormai di rado, in una delle ultimissime
fotografie, che lo ritraeva e lo “laureava” tra le figure massimamente significative del secolo scorso4.
D.M. Turoldo, Dio non viene all’appuntamento, cfr. O sensi miei…, Rizzoli,
Milano 2002, p. 229.
4
Cfr. P. Agosti, G. Borgese, Mi pare un secolo. Ritratti e parole di centosei
protagonisti del Novecento, Einaudi, Torino 1992, p. XIII; alle pp. 38-39 fotografia e
3
parole di Turoldo.
Mariangela Maraviglia, docente di liceo e di storia della Chiesa nelle scuole
di teologia di Pistoia e Prato, ha svolto un dottorato di ricerca presso la Fondazione Giovanni XXIII di Bologna sulla vita e l’opera di David Maria Turoldo.
Membro del Comitato scientifico della Fondazione don Primo Mazzolari, al
prete lombardo e ad altre figure della Chiesa italiana del XX secolo ha dedicato
studi e pubblicazioni.
Recapito/Address: Via G. Verdi 50, 51100 Pistoia – www.mariangelamaraviglia.it
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