La bellezza di Roma secondo La Capria - i

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La bellezza di Roma secondo La Capria
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La bellezza di Roma secondo La Capria
Carlo Di Stanislao (March 06, 2014)
Raffaele La Capria pubblica per Mondadori “La bellezza di Roma", della sua Roma. Sono in molti a
consideralo il modello ispiratore del personaggio di Jep Gambardella ne “La grande bellezza” di
Sorrentino e Contarello ed in tanti a ritenerlo fra i maggiori scrittori del nostro novecento
“La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori”
Alda Merini
Sono in molti a consideralo il modello ispiratore del personaggio di Jep Gambardella ne “La grande
bellezza” di Sorrentino e Contarello ed in tanti a ritenerlo fra i maggiori scrittori del nostro
novecento. Ora Raffaele La Capria, napoletano di Roma, autore di oltre venti romanzi tra cui Ferito a
morte, e grazie al quale, nel '61, ha vinto il Premio Strega e varie sceneggiature - in particolare
quelle con Francesco Rosi, Le mani sulla città (1963), Uomini contro (1970) e Cristo si è fermato a
Eboli (1979) - pubblica per Mondadori “La bellezza di Roma”, uscito in liberia a fine febbraio ed in
cui, con gli occhi dello scrittore, la Capitale Eterna dispiega le sue mille contraddizioni, ma anche la
sua intrinseca capacità di sedurre artisti e sviluppare idee, in un ritratto appassionato, ma anche un
po' sarcastico, che si chiude con una “modesta proposta” per donare alla città più bella del mondo
un nuovo splendore. Un viaggio che non si limita a Roma e ai romani, ma che ci riguarda tutti:
perché “tutte le strade conducono a Roma e qui si perdono”.
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Partito da Napoli intorno a trent'anni per trovare lavoro alla Rai, Raffaele La Capria ha da quel
momento scelto Roma come sua seconda patria. Ed anche i suoi libri su Napoli li ha scritti da lì,
grazie al filtro della distanza ed influenzato dalla città de La Dolce Vita dalle sue infinite
contraddizioni.
A leggerlo ora, dopo il film di Sorrentino-Servillo-Contarello, il libro ci rivela più che mai un legame
stretto tra film e ispirazione letteraria, senza parlare del look da dandy partenopeo di Jep
Gambardella, del suo elegante disincanto ed il suo sguardo rassegnato sul degrado morale che lo
circonda.
“E’ vero – ha raccontato La Capria -, che tra me e Sorrentino esista un rapporto artistico. Venne a
propormi l’idea di un film tratto da Ferito a morte. Ero d’accordo e nonostante avessi rifiutato tante
offerte, quella volta ho subito pensato che lui potesse essere il regista adatto. Si mise a scrivere,
insieme a qualcun’altro, ma poi, quando leggemmo la sceneggiatura finita, decidemmo insieme che
non corrispondeva alle nostre aspettative. Non era quella che avevamo immaginato e veniva fuori un
mondo diverso da quello descritto nel libro. A Napoli certi personaggi rischiavano di diventare
macchiette”. Non ci fu tempo di riflettere sui possibili interpreti. “Non sarebbe stato facile trovare
volti adatti, il protagonista del libro ha 25 anni, ci sarebbero voluti attori giovanissimi. Sorrentino
aveva altri impegni, il progetto decadde”.
Ma se l’impresa della trasposizione cinematografica è rimasta nel cassetto, l’esperienza della
collaborazione ha lasciato un’eredità importante, “una congenialità che riguarda la particolare
struttura narrativa di Ferito a Morte e quella dei film di Sorrentino”.
Eppure, va detto, leggendo il libro di La Capria, è evidente quanto diversa sia la sua Roma, quella
che l’accolse da giovane, arrivato da Napoli, come Jep Gambardella, sull’onda di un grande successo
letterario (“Ferito a morte” era stato pubblicato nel 1961): “Quella che trovai io era una capitale
ancora nello spirito degli Anni 50, simile a quella che Fellini raccontava nella Dolce vita. Una città
tutta diversa da come è adesso, molto più vivace, culturalmente avanzata in tutti i settori: teatrale,
cinematografico, letterario... Oggi Roma ha perso quei connotati, il livello si è abbassato. E il
fenomeno non riguarda solo l’Italia ma in tutto il mondo scarseggiano le grandi personalità e le
società hanno smesso di produrre quel tipo di fermento culturale”.
Invece, ai nostri giorni, come racconta La grande bellezza, “la rassegnazione impera su tutto,
viviamo in un mondo al di sotto delle nostre aspettative”. Il senso dominante, quello che attanaglia
Jep Gambardella lungo il suo infinito girovagare, è quello dello spreco: “Sorrentino ha ragione a
pensare che , dai fasti della dolce vita, si sia passati a una borghesia degradata, un consesso sociale
che ha perso il suo splendore, diventando grigio, opaco. La Roma di oggi è questa, non quella che
conobbi io. La vita non è più dolce, ma mediocre, e i personaggi che la abitano sono tutti come
diminuiti”.
Entrambi La Capria e Sorrentino sanno che ha ragione Pessoa nello scrivere: “Il poeta è un fingitore/
che finge così completamente/ che arriva a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente.” Ed
entrambi, in misura e con mezzi diversi, sanno trtasmettere emozioni, poiché hanno imparato, nel
loro cuore meridiano, nel calore di un Sud mai smemorato, che Ettore che saluta Andromaca prima
di affrontare il combattimento mortale non è soltanto un personaggio, è un'emozione trasmessa,
come Didone innamorata di Enea che l'abbandona e perciò cercherà la morte nel fuoco.
Perché in fondo, tutta la storia dell’arte, letteratura, pittura, musica e via dicendo, fino al cinema, è
la storia di emozioni trasmesse attraverso i secoli, l'unica scienza vera delle emozioni, cioè delle
passioni, di ciò che gli uomini hanno sentito, amato, sofferto, sperato e sognato nel corso dei secoli.
Ed edificato, talvolta, con spettacolari capolavori immortali, come accade, per esempio, e
sorprendentemente più che altrove, a Roma.
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