Perché Berlusconi cede alla road map veloce sull`Italicum
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Perché Berlusconi cede alla road map veloce sull`Italicum
www.europaquotidiano.it MARIANTONIETTA COLIMBERTI NICOLA MIRENZI FRANCESCO MAESANO ROBERTO MORASSUT MARIA GALLUZZO PAOLA CASELLA Consiglio Ue, la risposta a Renzi a gennaio Lega Coop, il congresso dell’autocoscienza Beppe Grillo contro il resto del mondo Roma, sostengo Marino ma cambiamo tutto Il giorno dopo Usa-Cuba: la gioia del papa Virna Lisi, il fascino di una eleganza sobria i commenti di www.europaquotidiano.it Venerdì 19 Dicembre 2014 n n ITALIA-INDIA n n RIFORME n n RIFORME Omicidio colposo, così i marò tornano a casa Ecco come e quando funzionerà la legge elettorale Perché Berlusconi cede alla road map veloce sull’Italicum LUIGI MANCONI E se la soluzione per il cosiddetto “caso Marò” fosse semplice semplice e a portata di mano? Ovvero, potesse risultare raggiungibile grazie a quell’atto elementare che è la derubricazione di un reato? In altre parole: se ai due fucilieri della Marina militare italiana venisse imputata quella fattispecie penale che – secondo la stessa ricostruzione degli investigatori e della polizia indiana – si qualifica propriamente come omicidio colposo, Salvatore Girone e Massimiliano La Torre potrebbero attendere l’inizio del processo in condizioni di piena libertà. So che una simile proposta può apparire una follia ma - allo stato attuale delle cose - è la più ragionevole delle follie. E, infatti, lo stallo in cui si trova la vicenda dei fucilieri italiani viene affrontato attraverso due strategie. La prima, ancor più macchinosa e vischiosa di quanto è stata finora, si affida alla riproposizione delle tradizionali procedure politico-diplomatiche; la seconda, nell’ipotesi più auspicabile, punta su un arbitrato internazionale, fatalmente complesso e lento. Eppure, in altri tempi e in altri scenari si sono sperimentati percorsi totalmente diversi che hanno puntato, con risultati talvolta eccellenti, sulla fantasia di soluzioni non convenzionali. In apparenza ingenue e dunque destinate all’insuccesso, quelle soluzioni si sono rivelate in realtà assai callide perché capaci di aprire spiragli inediti all’interno di meccanismi delle relazioni internazionali, interamente dipendenti da una sintassi ormai logora. Una sorta di mossa del cavallo che spiazzava e disorientava, movimentando schemi irrigiditi e linguaggi consunti. Anche nel caso dei due fucilieri italiani, una mossa del cavallo non è impossibile. A suggerirla, non troppo paradossalmente, è l’Unione induista italiana, espressione di una religione che è culto di maggioranza in India, e che annovera nel nostro paese qualche decina di migliaia di adepti. segue STEFANO CECCANTI I punti di equilibrio contenutistici sulla nuova versione dell’Italicum sono già stati trovati da varie settimane e sono quindi ben noti. Il più importante è la maggiore spinta alla coesione che si ha col premio alla lista anziché alla coalizione, seguito dall’innalzamento della soglia per prendere il premio al primo turno (40 per cento e non 37) senza la quale si approda al ballottaggio; quindi la soglia unica più bassa di sbarramento al 3%; e le preferenze per tutti i candidati, esclusi i capilista. È evidente anche la connessione indissolubile tra la riforma elettorale e quella costituzionale, la quale riserva solo alla camera il rapporto fiduciario col governo per non appendere più quest’ultimo a due risultati diversi, potenzialmente contraddittori. Dove stavano allora i problemi da superare? Essenzialmente in due questioni politiche, sia pure coperte da sovrastrutture tecniche. La prima è il timore di alcune forze politiche ancora in difficoltà a produrre una nuova offerta di governo (soprattutto nel centrodestra) che una nuova legge possa portare poi in tempi troppo ravvicinati al voto. Da qui l’idea di approvare sì l’Italicum quanto prima perché non si può stare a lungo con una legge dettata dalla Corte, ma di inserire una clausola finale per posporne l’entrata in vigore a dopo la riforma costituzionale. A quel punto, però, le forze timorose del voto terrebbero in ostaggio quest’ultima e non si avrebbe più né l’una né l’altra. L’unica soluzione possibile che tenga conto di quel timore senza bloccare il processo è allora quella di individuare un termine certo, che tenga conto dell’intreccio con la riforma costituzionale (il cui referendum conclusivo potrebbe celebrarsi nelle prime settimane del 2016) e garantisca comunque una durata ragionevole della legislatura (abbracciando almeno quell’anno). segue FRANCESCO LO SARDO A lla fine Berlusconi s’è convinto. Dunque via libera alla nuova road map accelerata di Renzi. La paura che il premier-segretario del Pd nasconda in tasca la rivoltella carica del voto anticipato non è del tutto fugata. Ma dopo mesi di tira e molla e di tentativi di menare il can per l’aia, il Cavaliere non ha avuto più scelta. Più garanzie di quelle che ha finora potuto incassare contro il rischio di ritorno anticipato alle urne Berlusconi non poteva averne. Perciò o con Renzi oppure il patto del Nazareno sarebbe andato in frantumi: ma in mezzo ai cocci sarebbe finita anche la comprensibile aspirazione di Berlusconi di poter concorrere alla scelta del nuovo presidente della repubblica da una posizione più vantaggiosa di quella di un qualsiasi oppositore tout court. Finché il patto regge, Berlusconi rappresenta di fatto il primo cerchio politico, un primus inter pares nelle opposizioni, con cui il Pd e la maggioranza di governo si confronteranno per la scelta del successore di Giorgio Napolitano. Così, negli ultimi giorni, Forza Italia ha abbandonato il velleitario diktat in base al quale prima si sarebbe dovuto eleggere il nuovo presidente della repubblica e soltanto poi si sarebbe approvato l’Italicum. Del resto che altro fare? Oggi in mano Berlusconi si ritrova un documento nero su bianco della maggioranza di governo che esclude un ritorno alle urne prime della scadenza naturale del 2018, accompagnato da altre robuste garanzie accessorie, come le reiterate dichiarazioni pubbliche del premier che ribadisce di voler portare a compimento le riforme avviate. L’ultimo tassello che ha fatto optare Berlusconi per un via libera all’intesa è la data certa dell’entrata in vigore della nuova legge elettorale, presumibilmente nel settembre 2016. Quale convenienza avrebbe mai Renzi, ad andare al voto prima con il proporzionalissimo Consultellum senza più ol premio di maggioranza e con le preferenze? Perciò ieri il ministro Boschi ha potuto annunciare ufficialmente quel che era nell’aria. Berlusconi cede. Nonostante le differenze di merito che restano sul punto del premio di lista e della soglia di sbarramento nell’Italicum 2.0 c’è l’accordo tra Pd e Forza Italia sul timing: prima le riforme poi il Quirinale. L’inverso di quel che finora chiedeva Berlusconi. «Sui tempi c’è sempre intesa con Forza Italia», ha detto Maria Elena Boschi, ministro per le riforme e i rapporti con il parlamento. «Il calendario – ha spiegato il ministro – prevede che l’8 gennaio saremo in aula alla camera con la riforma costituzionale e contemporaneamente al senato procediamo con la legge elettorale», poi il Quirinale. «Il Capo dello stato ancora non si è dimesso e non possiamo bloccare tutto in attesa di una data che non si sa quale sarà. Anche su questo Forza Italia è d’accordo». Sui tempi di esame della legge elettorale deciderà la capigruppo: «L’esame dell’Italicum in aula comincerà ai primi di gennaio, forse anche prima», ha ipotizzato parlando con i giornalisti. La data, con precisione, la fisserà probabilmente oggi un’apposita riunione della conferenza dei capigruppo di palazzo Madama già convocata dal presidente Grasso. Le affermazioni del ministro Boschi sono state la vidimazione ufficiale delle indiscrezioni riferite da alcuni quotidiani, in particolare Repubblica, che davano per stipulato l’accordo. Le ricostruzioni parlano di un’intesa che sarebbe stata siglata tra lo “sherpa” Denis Verdini e Luca Lotti a Palazzo Chigi, per votare sulla legge elettorale prima dell’elezione del capo dello stato. Come ha ribadito lo stesso presidente del consiglio Matteo Renzi, entro il 20 gennaio si voterebbe su Italicum e riforme costituzionali e, subito dopo, per eleggere il successore di Giorgio Napolitano al Colle. La data di entrata in vigore dell’Italicum sarebbe il frutto dell’ultima mediazione PdFi: conclusa con un accordo sul settembre 2016. «Una volta quindi approvato l’Italicum al senato a gennaio con una data certa di entrata in vigore, trattandosi di una legge molto breve modificata solo in qualche punto, la lettura finale alla camera potrebbe infine avvenire in pochi giorni», ragiona il costituzionalista Stefano Ceccanti. Chissà, in questo senso, quale fondamento abbiano le affermazioni di Giovanni Toti, la “voce” di Berlusconi: «Secondo me – ha detto – Napolitano si dimetterà dopo il 23 gennaio, a fine mese». Se così fosse ci sarebbe persino il tempo, da parte della camera di votare l’Italicum 2.0 che sarebbe approvato in via definitiva prima dell’elezione del presidente della repubblica. Ma questo sta soltanto al parlamento, che non si illuda. Napolitano non ne attenderà le mosse. «È imminente – ha ribadito ieri il presidente incontrando il corpo diplomatico – la conclusione del mio mandato». @francelosardo Alla fine il capo di Forza Italia dice sì a Renzi: prima le riforme per poter poi pesare di più nel voto sul Quirinale EDITORIALE Non solo Cuba. L’asse tra Obama e il papa GUIDO MOLTEDO P rossima tappa? Un viaggio di Barack Obama a Cuba? O, più realisticamente, forse, un incontro a tre, a settembre, fra Obama e Raul Castro. I due presidenti e Francesco. Nella cornice dell’assemblea annuale delle Nazioni Unite. A cui partecipano capi di stato e di governo e, il prossimo anno, anche il capo della chiesa cattolica, che ha avuto un ruolo decisivo nel rendere possibile l’intesa tra i due nemici storici. Pensando già a quale sarà la prossima tappa del processo di distensione che si è aperto improvvisamente tra Usa e Cuba, si ha la sensazione, da un lato, della velocità del ciclo delle notizie, che divora anche gli eventi storici, dall’altra, del fatto che la giornata del 17 dicembre è, appunto, solo l’inizio di un tragitto. Lungo e complicato. Un percorso su più piani e in più direzioni, sul versante interno dei due paesi più direttamente coinvolti, sul versante del continente americano ampio (le Americhe) e sul versante più ampio delle relazioni internazionali e delle altre situazioni conflittuali nel mondo, per le quali il modo in cui è stata affrontata la questione cubana, anche con il coinvolgimento della chiesa di Francesco, è un precedente e perfino un modello. Soprattutto nel Vicino Oriente e in Iran. Per il presidente Obama e l’attuale papa, che si trovano in grande sintonia nell’analisi delle vicende mediorientali e nel metodo per affrontarle, il modo in cui è stato pazientemente sciolto il groviglio cubano – diciotto mesi di negoziati segreti – è considerato un test importante e promettente. Va sottolineato, tuttavia, che anche in questo caso, prevale su tutto – nelle intenzioni del presidente statunitense – l’effetto della sua decisione sul fronte domestico. Nove presidenti, prima di lui, si erano confrontati con la questione cubana, mantenendo sempre, democratici e repubblicani, la stessa linea, quella dell’embargo e della punizione senza fine del regime castrista, ma in realtà del popolo cubano. segue Chiuso in redazione alle 20,30 su www.europaquotidiano.it Venerdì 19 Dicembre 2014 • • • I TA L I A-I N DI A • • • Omicidio colposo, così i marò tornano a casa SEGUE DALLA PRIMA LUIGI MANCONI I l presidente dell’Unione induista italiana, Franco Di Maria, ha indirizzato una lettera al primo ministro indiano e al presidente del consiglio italiano in cui illustra un’ipotesi di soluzione. Ipotesi che «consentirebbe a entrambi i paesi di fare un passo indietro senza rinnegare i propri legittimi punti di vista». Ciò permetterebbe di rinunciare a una «sia pur comprensibile disputa su sovranità, giurisdizione e complesse questioni di diritto internazionale» e di entrare, finalmente, nel merito della questione. La proposta è così riassumibile: i fatti imputati ai due fucilieri (risa- lenti al 15 febbraio 2012), sia nell’ordinamento penale italiano che in quello indiano, possono ragionevolmente essere rubricati come omicidio colposo, dal momento che è accertata l’assenza di intenzionalità nell’azione che ha determinato la morte dei due pescatori. Non a caso la prima imputazione sollevata dalla Corte del Kerala era esattamente questa: omicidio colposo. E, nell’ordinamento penale indiano come nell’ordinamento italiano, quell’omicidio colposo imputabile ai due fucilieri consentirebbe loro già oggi di riavere la propria libertà. Ciò in virtù della scadenza dei termini della misura di custodia cautelare, prevista per quella fattispecie penale. Le pene fissate per l’omicidio colposo sia in Italia che in India non superano – nel massimo – i cinque anni e in India è esclusa la possibilità che le misure cautelari privative della libertà possano andare oltre la metà della pena comminabile. Su questo, insieme al senatore Lucio Malan, ho presentato un’interrogazione al ministro degli esteri, ma la questione oltrepassa palesemente i confini della ordinaria dialettica parlamentare. E sollecita una riflessione: quella fantasia ardimentosa alla quale prima facevo riferimento può, in questo caso, coincidere con la più elementare presa d’atto della realtà. E con il riconoscimento dei nudi fatti per come la stessa parte offesa (la Repubblica indiana) li qualifica, attribuendo a essi un’equa soluzione alla luce di principi condivisi di diritto penale. Come già detto: semplice, no? ••• LEGGE ELETTORALE ••• Ecco come e quando funzionerà l’Italicum 2.0 SEGUE DALLA PRIMA STEFANO CECCANTI L a data certa incentiva l’approvazione dell’una e dell’altra e dà a ciascuno il tempo ragionevole per presentarsi agli elettori in modo innovativo con un credibile velo d’ignoranza sul vincitore. La seconda questione politica è la resistenza del partito proporzionalista, a cominciare dalla Lega e dal Movimento Cinquestelle, ossia di quelle forze che vorrebbe- ro godere di facile una rendita di posizione, obbligando gli altri a dar vita a governi di coalizione dopo elezioni senza vincitore per poterli criticare da fuori senza responsabilità. Lo strumento tecnico individuato sarebbe quello, in attesa dell’Italicum, di un perfezionamento tecnico del cosiddetto Consultellum, il sistema d’emergenza scaturito dalla sentenza della Corte. Un perfezionamento, però, che la Corte nella sentenza non ha affatto richiesto al parlamento e che anzi ha, in caso di necessità, demandato esplicitamente a possibili interventi del governo. È pertanto evidente che chi la sostiene in nome di un perfezionamento del provvisorio la difenderebbe poi come definitiva perché finalmente approvata dal parlamento. Qui, a differenza del caso precedente, non sono quindi possibili mediazioni perché gli obiettivi sono opposti, anche a costo di dover andare direttamente in aula senza relatore. Una volta quindi approvato l’I- talicum al senato a gennaio con una data certa di entrata in vigore, dal punto di vista tecnico, trattandosi di una legge molto breve modificata solo in qualche punto, la lettura finale alla camera potrebbe infine avvenire in pochi giorni. L’obiettivo appare quindi ora a portata di mano, avendo trovato un punto di equilibrio con l’unica ragione politica di resistenza che avesse motivazioni compatibili con la riforma. Quelle tecniche, invece, erano, come spesso accade, solo sovrastrutture. ••• EDITORIALE ••• Non solo Cuba. L’asse tra Obama e il papa SEGUE DALLA PRIMA GUIDO MOLTEDO P erché è andata avanti così anche dopo la caduta del Muro? Perché Cuba è molto vicina alla Florida, lo stato dove ha trovato rifugio un milione e mezzo di esuli e profughi cubani, col dente avvelenato col castrismo, specie le vecchie generazioni. Uno stato che conta ben 29 voti elettorali nelle elezioni presidenziali nel quale la componente ispanica è determinante. Uno stato decisivo, come insegna la contestata vittoria di George W. Bush su Al Gore nel 2000, proprio con i voti “rubati” in Florida. Cuba è sempre stato un tabù nella politica americana. Nessuno voleva inimicarsi la comunità cubana, che così determinava la politica di Washington confronti dell’Avana. E anche questa volta, le reazioni alla decisione di Obama lo dimostrano, con il senatore della Florida Marco Rubio, figlio di profughi cubani, scatenato contro la decisione di Obama, e l’ex-governatore della Florida Jeb Bush, anch’egli molto critico. Ru- bio e Bush probabilmente si candideranno alle presidenziali del 2016. Entrambi sono legati ai rifugiati cubani historicos, in gran parte arci-conservatori e, naturalmente, anti-castristi irriducibili. Hillary Clinton, no. Lei è con Obama. Come lo è stata sulla questione dell’azione esecutiva sull’immigrazione clandestina. Probabile candidata nel 2016, Clinton guarda al voto ispanico nel suo complesso, che non è la fetta minoritaria dei cubani historicos. Le ultime generazioni di cubano-americani sono a favore della normalizzazione delle relazioni con Cuba. E in Florida, secondo un sondaggio Reuters-Ipsos condotto prima dell’annuncio del disgelo, il 47 per cento degli intervistati è favorevole all’avvio di normali relazioni diplomatiche con l’Avana. A livello più generale, poi, la stragrande maggioranza dei latinos degli Stati Uniti (49 per cento a favore, venti contro) sostiene la distensione cubano-americana. Commentando i dati, la sondaggista dell’Ipsos Julia Clark ha detto che il trend continuerà a crescere. Eppure anche lo stato maggiore repubblicano nei due rami del Congresso è sulla linea critica di Rubio e Bush. Tenendo conto che da gennaio il Grand Old Party assumerà il controllo sia del senato sia della camera, è facile prevedere che le decisioni assunte da Obama potranno essere rigettate dal Congresso. O comunque potrebbe aprirsi un’aspra battaglia tra la Casa Bianca e il Congresso controllato dai repubblicani. Sarà davvero così? Di fatto, com’è successo sul terreno del condono nei confronti degli immigrati clandestini, in maggioranza ispanici, anche su quello dell’apertura a Cuba, i repubblicani rischiano di perdere definitivamente ogni possibile contatto con l’elettorato ispanico, dovendo sottostare al ricatto della sua destra più estrema. Con la mossa cubana, Obama spiazza di nuovo i repubblicani, crea scompiglio nelle sue file. Non lo fa a proprio beneficio, se non dell’eredità politica che intende lasciare alla storia, ma sicuramente agevola così le aspirazioni presidenziali del candidato democratico che correrà per la sua poltrona. E che, se vincerà, lo dovrà dunque a Obama, ma anche a Castro. E a papa Francesco. @GuidoMoltedo