il ritratto - Mondo Mostre

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il ritratto - Mondo Mostre
 IL RITRATTO
Nickolas Muray
Discutendo di fotografia pittorica, si può considerare l’argomento da due punti di vista. Innanzitutto
c’è la preferenza personale nella scelta dei procedimenti fotografici e, in secondo luogo,
l’opportunità o il modo di procedere più adatto nelle varie condizioni. È facile criticare i metodi
seguiti da altri fotografi, quando si è totalmente presi dai propri modi di vedere. Tuttavia,
considerando che con la fotografia pittorica si tende a trasmettere la propria personale espressione
artistica per mezzo della macchina fotografica, non è giusto trovare da ridire sui metodi impiegati
dai propri colleghi. In ogni caso, dal punto di vista dell’opportunità ci si sente giustificati a dar voce
alle proprie simpatie e antipatie se si è in grado di motivarle con una spiegazione razionale. A
questo proposito, sono tre i punti fondamentali sui quali la maggior parte dei fotografi è in
disaccordo e che vale la pena di esaminare:
1. l’uso dell’obiettivo inciso o a fuoco morbido;
2. la durata dell’esposizione;
3. la questione del ritocco dei negativi.
Personalmente sono a favore dell’obiettivo a fuoco morbido, dell’esposizione breve e di un uso
ragionevole della matita da ritocco. Sarebbe inutile sostenere il proprio punto di vista in modo
arbitrario, quindi cercherò di spiegare le mie referenze alla luce di ragioni maturate grazie alle
passate esperienze.
Scelgo l’obiettivo a fuoco morbido perché preferisco ottenere un effetto generale piacevole, più che
rappresentare un soggetto nei minimi dettagli. Non sto sostenendo che non si debbano mostrare i
dettagli o, ad esempio, le rughe di un volto, che sono necessarie a definirne il carattere; però non
mi interessa far vedere uno a uno tutti i pori sul viso di un modello. Voglio restituire la mia
impressione della persona per come la vedono i miei occhi a una distanza ragionevole, e non sotto
una lente di ingrandimento. Al tempo stesso, non voglio vedere il modello in un alone di foschia e
quindi, in una fotografia, non cerco a tutti i costi un effetto sfumato o indistinto. Obiettivo a fuoco
morbido sì, ma usato con intelligenza: un volto chiaro e caratterizzato, non avvolto dalla nebbia ma
neanche nitido fino all’estremo, questo è l’effetto che cerco
di ottenere. Per convenienza, preferisco l’obiettivo a fuoco morbido per la sua profondità di campo:
voglio che l’orecchio del mio modello sia definito quanto la punta del suo naso, che la mano sul
ginocchio sia altrettanto chiara della spalla. Sono un fautore dell’esposizione breve. Secondo me,
uno studio ben attrezzato è quello in cui posso avere una grande quantità di luce controllata e nei
punti giusti, che mi permette di ridurre al minimo i tempi di esposizione. Si dice che con
un’esposizione relativamente breve si hanno gli stessi risultati che con una più lunga; e che nel
primo caso, ad esempio, il carattere del viso di un modello perda valore. Se volete, osservate
attentamente qualche fotografia dei tempi in cui si usavano appoggiatesta e fermagli, e notate il
carattere espresso dai volti: se tensione ed espressione stereotipata denotano il carattere, allora
ammetto il mio errore. Un’esposizione breve permette di cogliere uno sguardo fugace, un luccichio
degli occhi o uno stato d’animo momentaneo, e ci dice molto di più sul modello di quanto possano
fare dieci o venti secondi di sguardo fisso e muscoli tesi. Con un’esposizione breve il modello non
assume un’espressione naturale, ce l’ha suo malgrado. Con un otturatore silenzioso – essenziale
per mettere il soggetto a proprio agio –, una pompetta nascosta al suo sguardo e con
un’esposizione breve, il modello avrà la più naturale delle espressioni senza neanche rendersene
conto. Sono favorevole anche a un uso intelligente della matita da ritocco.
Non importa quanto siamo sinceri nella nostra arte: in ogni caso dobbiamo essere
fotograficamente fedeli al modello. Se, per combinazione, il nostro soggetto ha un viso rotondo e le
guance rosse, in un negativo non ritoccato quelle zone di rosso appariranno come infossate. Se le
nostre lastre mentono, nei confronti del modello abbiamo il dovere di correggere
l’errore. Al soggetto non importa affatto che, in fotografia, il rosso risulti nero, e pochi tratti di matita
da ritocco riporteranno le guance incavate alla loro pienezza naturale. Inoltre, gli obiettivi normali
sono impietosi e inutilmente severi nel riprodurre il volto umano; accentuano le comuni
imperfezioni fino all’esagerazione. Un volto lentigginoso va ancora bene se lo si guarda nella vita
vera, ma sul negativo diventa brutto e imperdonabile. D’altro canto non è necessario rimuovere
tutte le rughe, che danno espressione a un viso. Usando la matita, il ritoccatore deve usare anche
il cervello, in modo da non perdere ogni somiglianza con l’originale. A mio parere, quindi,
modificare un negativo è assolutamente essenziale quando la macchina fotografica dà una
rappresentazione troppo fedele ed erronea del soggetto.
Dopotutto, la macchina fotografica può diventare un mezzo di espressione artistica non inferiore al
pennello del pittore, ma solo quando la mettiamo al nostro servizio. In altre parole, se vogliamo
ottenere un prodotto unico dobbiamo far sì che la macchina fotografica e tutti i suoi processi siano
soggetti al nostro controllo e ai nostri personali desideri. Altrimenti, non è nient’altro che uno
strumento meccanico per produrre immagini convenzionali e non artistiche.