Michigan, attacco ai sindacati

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Michigan, attacco ai sindacati
Michigan, attacco ai sindacati
Giovedì 13 Dicembre 2012 00:00
di Michele Paris
Nella serata di martedì è stata approvata in maniera definitiva una contestatissima legge
anti-sindacale dal parlamento locale del Michigan, lo stato americano sede dei tre colossi
dell’auto e tradizionalmente considerato il simbolo stesso della forza delle organizzazioni che
dovrebbero difendere gli interessi degli operai. Tra le proteste di migliaia di iscritti al sindacato,
la legislatura statale a maggioranza repubblicana della capitale, Lansing, ha così inviato la
cosiddetta legge sul “diritto al lavoro” al governatore, l’ex uomo d’affari anch’egli repubblicano,
Rick Snyder, che l’ha immediatamente firmata, consentendone l’entrata in vigore tra poco più di
tre mesi.
Il provvedimento adottato martedì dallo stato del Michigan colpisce direttamente le
organizzazioni sindacali dei lavoratori e le modalità del loro finanziamento. Esso infatti mette
fuori legge a partire dal prossimo mese di aprile gli accordi collettivi che, come condizione per
ottenere un impiego, prevedono un contributo automatico da versare ai sindacati da parte di
tutti i lavoratori, compresi quelli non iscritti.
La mossa del Congresso statale e del governatore ha preso di sorpresa il Partito Democratico e
i sindacati stessi, dal momento che Snyder aveva sempre sostenuto di non essere intenzionato
a perseguire misure troppo controverse come quella appena approvata. Con la convinzione dei
repubblicani di non incontrare un’eccessiva resistenza, la legge sul “diritto al lavoro” è stata
però finalizzata in soli sei giorni e poi inserita in altri provvedimenti relativi allo stanziamento di
fondi statali, così da rendere più complicato l’eventuale tentativo di abrogarla con un’eventuale
futura iniziativa referendaria.
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La legge ha suscitato non poco clamore poiché il Michigan è uno dei cinque stati americani con
la quota più alta di lavoratori sindacalizzati - poco meno del 20% del totale - mentre ha ospitato,
ad esempio, la nascita del potente sindacato degli operai del settore automobilistico (United
Auto Workers, UAW), fondato a Detroit nel 1935. Il Michigan è diventato ora il 24esimo stato
dell’Unione ad avere approvato una legge sul “diritto al lavoro” e il secondo nella regione
industrializzata del Midwest, dopo l’Indiana.
Secondo i suoi sostenitori, la misura dovrebbe favorire l’occupazione attirando le imprese
private alla ricerca di un ambiente “business-friendly”, ma anche consentire ai lavoratori di
decidere più liberamente circa l’affiliazione ad una sigla sindacale. Al contrario di quanto
suggerisce il nome, la legge, adottata senza un vero e proprio dibattito pubblico e da un
Congresso statale al termine del proprio mandato, intende in realtà limitare il residuo potere
rimasto ai lavoratori tramite la contrattazione collettiva, così da portare a termine nuovi assalti a
diritti e retribuzioni.
Gran parte degli stati che hanno implementato leggi sul “diritto al lavoro” fanno segnare oggi i
livelli più elevati di povertà del paese. Secondo uno studio dell’Economic Policy Institute, inoltre,
i lavoratori in questi stati, sia quelli iscritti al sindacato che quelli non iscritti, guadagnano in
media circa 1.500 dollari in meno all’anno rispetto al resto degli Stati Uniti.
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In questo modo, con la scusa di facilitare la creazione di posti di lavoro, anche la classe
dirigente del Michigan ha dunque fatto l’ennesimo regalo alle aziende dall’inizio della crisi
economica in atto, nell’ambito di una drammatica ristrutturazione dei rapporti industriali negli
Stati Uniti per cancellare progressivamente i diritti conquistati in decenni di durissime lotte
sindacali.
La legge è stata criticata non solo dai vertici dei sindacati ma anche dal Partito Democratico e
dallo stesso presidente Obama, il quale alla vigilia del voto aveva fatto un’apparizione proprio in
Michigan, presso una fabbrica della tedesca Daimler a Detroit. Le loro proposte per rispondere
agli attacchi lanciati contro i lavoratori, tuttavia, consistono in sterili iniziative, come la
promozione di un referendum popolare per ottenere l’abrogazione della legge e soprattutto la
subordinazione al Partito Democratico, così da garantire a quest’ultimo, considerato
teoricamente più vicino agli interessi dei lavoratori, il successo nei prossimi appuntamenti con le
urne, nel 2014 per il rinnovo della Camera bassa e nel 2015 per la carica di governatore.
Un percorso di questo genere tende sostanzialmente a sterilizzare l’opposizione e la resistenza
dei lavoratori ed è una tecnica ben collaudata dalle associazioni sindacali americane. La stessa
prospettiva fallimentare era stata avanzata in seguito alle massicce proteste esplose nel 2011 in
Wisconsin dopo l’approvazione di una serie di assalti ai dipendenti pubblici. In questo stato, i
leader democratici e sindacali avevano promosso, tra l’altro, una speciale elezione per cercare
di rimuovere il governatore repubblicano Scott Walker, il quale è però riuscito a mantenere il
proprio incarico.
D’altra parte, la profonda impopolarità delle stesse organizzazioni sindacali tra i lavoratori, a
causa del loro sostanziale allineamento ai vertici aziendali nell’estrazione di sempre maggiori
concessioni dai propri affiliati, è il motivo principale non solo del loro costante declino ma anche,
in definitiva, dell’implementazione di leggi come quella firmata dal governatore del Michigan
martedì.
I sindacati, in America come altrove, agiscono infatti da decenni come strumenti in mano alle
élite politiche e imprenditoriali per contenere le tensioni sociali e il crescente malcontento tra i
lavoratori, facendo loro digerire condizioni di lavoro sempre più penalizzanti. Ciò ha causato il
loro progressivo indebolimento, consentendo, nel caso del Michigan, ai repubblicani al potere di
procedere, una volta presa la decisione di fare a meno della collaborazione dei sindacati, con
l’adozione unilaterale di una legge come quella che viene definita in maniera a dir poco
fuorviante sul “diritto al lavoro”.
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