Documento - Laboratorio urbano

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Documento - Laboratorio urbano
UN WELFARE INNOVATIVO
PER LA NON AUTOSUFFICIENZA
DEGLI ANZIANI
Il fondo territoriale integrativo, i buoni-servizio (voucher),
il riconoscimento dei caregiver familiari
Documento a cura di
Marisa Anconelli, Walter Vitali, Alberto Alberani,
Lalla Golfarelli, Fiammetta Fabris, Walther Orsi,
Raffaele Tomba
Bologna, 1 ottobre 2014
LABORATORIO URBANO, Centro di documentazione, ricerca e proposta sulle città
www.laboratoriourbano.info
1.
Lo scenario nazionale ed emiliano-romagnolo
Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 la legislazione nazionale non
ha più affrontato in maniera sistematica le politiche sociali e non ha provveduto a
definire la sola materia di sua competenza, i livelli essenziali delle prestazioni civili e
sociali (Leps o Liveas per l’assistenza sociale) che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale1. I Lea per la sanità sono stati invece definiti con il Dpcm del 29
novembre 2001 e successive modificazioni. La legislazione delle regioni, che ora
hanno la competenza legislativa esclusiva in campo assistenziale, è quanto mai
disomogenea ed ha prodotto sistemi regionali di interventi e servizi molto differenziati,
con una forte sperequazione tra il nord e il sud dell’Italia 2.
Per quanto riguarda gli anziani non autosufficienti, il nostro Paese è rimasto l’unico tra
le grandi nazioni europee a non aver realizzato una riforma complessiva dell’impianto
della Long term care (Ltc), continuando in larga parte a basarsi sull’assistenza
informale da parte della famiglie che ora sono messe a dura prova dalla crisi. Non
esiste alcuna strategia nazionale per la non autosufficienza, e questa è la carenza più
grave di questa fase.
Il sistema di assistenza continuativa in Italia interessa quasi 5 milioni di persone, se si
considerano le persone non autosufficienti, i loro familiari, i professionisti dei servizi
sociali e sanitari e gli assistenti familiari3. L’offerta pubblica di servizi per l’assistenza e
la cura degli anziani non autosufficienti si basa su due fonti principali del tutto
separate tra di loro:
•
l’indennità di accompagnamento, un sostegno economico statale erogato
dall'Inps al quale hanno diritto gli invalidi civili al 100 per cento insieme agli
ultrasessantacinquenni che non sono in grado di deambulare autonomamente
e mancano totalmente di autosufficienza 4. L’indennità è concessa
1
I decreti attuativi della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, e in particolare l’articolo 13 del
dlgl n. 68 del 2011, prevedevano che, in attesa della normativa organica, il governo procedesse alla
ricognizione dei Lep esistenti nella legislazione di settore e in quella regionale. Con l'intesa in sede di
Conferenza unificata si dovevano stabilire gli obiettivi di servizio che dovevano essere assunti
successivamente dalla legge di stabilità annuale nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Né l’una
né l’altra di queste procedure è stata ancora attuata.
2
La modifica della Costituzione approvata in prima lettura dal Senato il 7 agosto 2014 (AS 1429) non
cambia molto le cose. Lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di “disposizioni generali e comuni
per la tutela della salute”, le Regioni hanno potestà legislativa in materia di “di programmazione e
organizzazione dei servizi sanitari e sociali”.
3
Network non autosufficienza (Nna), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, 4° Rapporto.
Tra crisi e ripartenza, Maggioli, Rimini, 2013, pag. 5,
http://www.maggioli.it/rna/2012/pdf/rapporto2012-assistenza_anziani.pdf
4
L’indennità di accompagnamento è stata istituita dalla legge n. 18 del 1980 modificata dalla legge n.
508 del 1988. L’importo dell’assegno per il 2014 è di 504,7 euro mensili.
2
indipendentemente dal reddito del beneficiario ed è impiegabile liberamente
senza vincolo di destinazione. Per questa misura, che costituisce l’intervento di
maggior entità per gli anziani non autosufficienti in Italia, sono stati spesi 9,6
miliardi di euro nel 2011 per 1 milione 131 mila anziani, pari a circa l’11,4%
degli ultrasessantacinquenni5. Nonostante essa supplisca alla carenza di altri e
più efficaci interventi, risulta ormai chiaro che è distribuita con criteri non
sempre equi e rapportati al bisogno effettivo delle persone, oltre ad essere una
pura erogazione economica senza alcun legame con i servizi;
•
i servizi e le prestazioni monetarie del sistema degli enti territoriali (regioni,
aziende sanitarie, enti locali) alimentato con i fondi nazionali per la non
autosufficienza (350 milioni per il 2014) e per le politiche sociali (315 milioni),
con le risorse del servizio sanitario nazionale, delle regioni e dei comuni.
L’assistenza domiciliare (Sad più Adi)6 è fruita dal 5% degli anziani
ultrasessantacinquenni, mentre la media europea è del doppio, ed ha
un’intensità ancora molto limitata, in media 3-4 ore settimanali di Sad e 22 ore
annue di Adi. Il ricovero in strutture residenziali riguarda l’1,8% degli
anziani nella stessa fascia di età7. Molte regioni si sono dotate di fondi regionali
per la non autosufficienza8 per definire meglio gli obiettivi, unificare i flussi
economici e individuare progetti specifici. In numerose regioni sono stati
introdotti gli assegni di cura, come ad esempio in Emilia-Romagna, dove a
partire dal 2007 è stata utilizzata l’addizionale regionale all’Irpef per fornire un
sostegno economico alle famiglie che assistono in casa propria un anziano non
autosufficiente concesso in base all’Isee del solo anziano 9.
Gli interventi socioassistenziali pubblici per gli anziani non autosufficienti hanno
subito una contrazione a partire dal 2010, dopo una relativa crescita che si era
registrata a partire dal 2005. Tutti i servizi hanno limitato la loro copertura e la
spesa pubblica complessiva per Ltc nel 2011 si è attestata allo stesso livello del
2010, circa 19,3 miliardi di euro pari a l’1,28% del Pil, dopo essere cresciuta
5
Network non autosufficienza (Nna), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, 4°
Rapporto. Tra crisi e ripartenza, cit., p. 22 e p. 24. Istituto per la ricerca sociale (Irs), Nella
crisi, oltre la crisi. Costruiamo il welfare di domani. Proposta per una riforma delle politiche
edegli interventi socio-assistenziali attuale e attuabile, a cura di P.Bosi e E. Ranci Ortigosa,
in «Prospettive sociali e sanitarie», speciale n. 8-10, Milano, 2013, p. 70.
6
La Sad è costituita dai servizi di assistenza domiciliare, l’Adi è l’assistenza domiciliare integrata sia
sociale che sanitaria.
7
Istituto per la ricerca sociale (Irs), Nella crisi, oltre la crisi. Costruiamo il welfare di domani. Proposta
per una riforma delle politiche e degli interventi socio-assistenziali attuale e attuabile, cit., p. 70.
8
Nel 2009 erano 11 regioni e province autonome, Una rassegna delle leggi regionali è contenuta in:
Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), I fondi e le politiche per la non
autosufficienza nelle regioni, 2009, p. 33.
9
L’importo dell’assegno di cura per il 2014 varia dai 13 ai 22 euro al giorno a seconda della gravità
della non autosufficienza. Vi è anche un contributo di 160 euro mensili a sostegno della
regolarizzazione degli assistenti familiari previa verifica della sussistenza dei requisiti.
3
rispetto all’1,07% del 200510.
Anche la realtà delle badanti in larga misura straniere, che costituisce la maggior
fonte di offerta privata di servizi per le famiglie, sta registrando una fase meno
dinamica rispetto al recente passato. Con la crisi si registra una contrazione del
mercato del lavoro regoIare, segnalato dalla diminuzione del numero dei lavoratori
domestici registrati all’INPS a partire dal 2009, dopo un aumento costante che li aveva
portati a raggiungere in quell’anno le 963.000 unità. Bisogna tenere conto che in
questa categoria vi sono anche i collaboratori domestici, mentre un calcolo attendibile
porta a stimare in circa 830.000 le assistenti familiari in Italia, sia regolari che
irregolari, che sono per il 90% straniere e assistono 1 milione di anziani, più del
doppio dei ricoverati in strutture domiciliari e il triplo di quelli seguiti a domicilio con
Sad e Adi11. Poiché gli indicatori demografici dimostrano che nel frattempo il bisogno è
ulteriormente aumentato, questo significa che c’è stato un incremento del ricorso ai
caregiver familiari e del lavoro nero degli assistenti familiari.
Le scelte politiche degli ultimi anni hanno privilegiato interventi basati su una logica
prestazionale, mentre si continua a non offrire un adeguato supporto all’auto
organizzazione dell’assistenza da parte delle famiglie. Le politiche fiscali, in
particolare, non riconoscono se non in minima parte agevolazioni per la spesa
assistenziale delle famiglie. Le iniziative di welfare integrativo territoriale si stanno
sviluppando con difficoltà, per la mancanza di una strategia nazionale e per una
insufficiente incentivazione fiscale.
E’ necessaria una profonda razionalizzazione nell’utilizzo delle risorse pubbliche
destinate alla non autosufficienza degli anziani, poiché lo scenario del prossimo futuro
sarà caratterizzato da una ripresa economica debole che non consentirà
nell’immediato di aumentare le risorse destinate al welfare. Aumenteranno invece le
disuguaglianze e la divisione della società in cluster, sia per la divaricazione della
forbice tra i ricchi e i poveri che sono sempre più numerosi, sia per la diversificazione
tra chi può beneficiare solo del welfare pubblico, chi può permettersi un welfare
integrativo e chi può accedere ad un welfare aziendale o categoriale.
Si può prevedere uno sviluppo del welfare integrativo bilaterale, contrattuale e
mutualistico. . La solidarietà intrafamiliare continuerà a svolgere un ruolo significativo
ma destinato a declinare per effetto delle dinamiche familiari e lavorative, con famiglie
unipersonali e di soli anziani, la scomposizione e ricomposizione delle famiglie, i figli
con una vita lavorativa sempre più lunga. La solidarietà sociale si manifesterà
prevalentemente in ambito localistico o categoriale, con micro organizzazioni
comunitarie di vicinato più che con lo sviluppo delle grandi organizzazioni di
10 Network non autosufficienza (Nna), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, 4° Rapporto.
Tra crisi e ripartenza, cit., p. 25.
11
Sergio Pasquinelli e Giselda Rusmini (a cura di), Badare non basta, Il lavoro di cura: attori, progetti,
politiche, Ediesse, Roma, 2013, p. 42-43.
4
volontariato.
Dal “Secondo rapporto sull’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia” 12 si
apprende che in Emilia-Romagna nel 2005, l’anno dell’ultima rilevazione Istat
sull’utilizzo dei servizi sanitari, vi sarebbe il 15,9% degli ultrasessantacinquenni in
condizione di non autosufficienza. Questa percentuale corrisponde a oltre 156.000
anziani.
Il numero di anziani nella stessa fascia di età che nel 2010 hanno beneficiato
dell’indennità di accompagnamento in Emilia-Romagna è di 107.311 pari al 10,9%
della popolazione di riferimento 13. In questa fascia di età le pensioni di inabilità
erogate quell’anno erano 23.190. Come è noto, la concessione dell’indennità di
accompagnamento è subordinata a procedure e norme piuttosto restrittive, per cui il
numero di beneficiari può essere considerato la soglia inferiore della stima delle
persone non autosufficienti.
Sempre in Emilia-Romagna, gli anziani interessati dai principali interventi a domicilio
costituiscono l’8,43% degli ultrasessantacinquenni e il 52,29% degli anziani non
autosufficienti. I comuni, che con risorse proprie integrano e finanziano direttamente
una parte di questi interventi, nel 2009 hanno offerto assistenza domiciliare a ulteriori
5.916 anziani, il che porterebbe la copertura del servizio domiciliare all’8,44 % del
totale di anziani non autosufficienti.
La copertura del servizio riguarda comunque interventi o concentrati o rari (147 ore
annue) mentre restare al proprio domicilio, se si è non autosufficienti o parzialmente
tali, richiede una presenza di supporto, relazionale e di cura quasi continuativa.
2.
Le criticità e le prospettive di riforma
La crescente sfiducia dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione nasce
dall’opacità delle garanzie e dalla tendenza ormai consolidata a promettere più di
quello che si può mantenere. Viene offerto un ampio ventaglio di prestazioni che in
realtà non possono essere assicurate a tutti i richiedenti per l’insufficienza delle
risorse.
Entrare o non entrare in un servizio dipende da incroci non facilmente leggibili per
12
Network non autosufficienza (Nna), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, 2°
Rapporto, Maggioli, Rimini, 2010, p. 17.
13
Network non autosufficienza (Nna), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, 4°
Rapporto. Tra crisi e ripartenza, Maggioli, Rimini, 2013, pag. 24.
5
utenti e caregiver. Ne deriva che l’accesso alle prestazioni sociali diventa una sorta di
lotteria e che, conseguentemente, viene percepita l’ingiustizia di un sistema in cui
l’ultimo degli ammessi e il primo degli esclusi hanno lo stesso drammatico bisogno,
ma il primo riceve un servizio di eccellenza e il secondo solo l’iscrizione in una lista di
attesa nella quale spesso rimarrà sino alla morte. Il servizio nella sua modalità
pubblica o quasi pubblica è costoso. Il coordinamento fra professionisti socio-sanitari,
utenti, caregiver, assistenti familiari ed altri soggetti è complesso. Non esiste
formazione per i caregiver né riconoscimento di competenze per le assistenti familiari.
Le famiglie e le/gli utenti, specie se soli, sono affaticati e sono spinti spesso a
compiere scelte di ricovero in strutture residenziali, alternative alla domiciliarità, per la
complessità del ruolo di manager situazionali che si trovano a svolgere e per il doversi
improvvisare datori di lavoro. La spesa “di tasca propria” (out of pocket) delle famiglie
e degli utenti alimenta la permanenza a domicilio di donne della famiglia e il mercato
delle badanti, che deve la parziale uscita dal nero ai vincoli legati alla detraibilità del
salario.
L’invecchiamento appare perciò come una tagliola per le famiglie. Eppure
invecchiamento e lavoro possono andare insieme, e l’incremento dei servizi e
l’investimento sociale prodotti dall’invecchiamento della popolazione possono essere
un motore per la ripresa. Serve una strategia per creare un mercato di servizi alle
persone che possa liberare e potenziare insieme il lavoro femminile.
L'invecchiamento demografico è una delle principali sfide che ha di fronte l'Europa, e
riguarderà in modo particolare le città. Entro il 2025 oltre il 20% degli europei avrà 65
anni o più e aumenterà rapidamente il numero di ultraottantenni. Recenti proiezioni
indicano che nei prossimi 50 anni il numero di europei di età uguale o superiore a 65
anni raddoppierà quasi, passando da 87 milioni nel 2010 a 148 milioni nel 2060 14.
In Italia gli ultra 65 enni erano circa già il 20% della popolazione nel 2011, circa 12
milioni e 301 mila, e secondo le previsioni demografiche dell’Istat sono destinati ad
aumentare fino al 2043, anno in cui oltrepasseranno il 32% della popolazione 15.
Secondo le proiezioni del constant disability scenario, elaborato dagli esperti
dell’Unione europea, gli anziani con almeno una disabilità in Italia sono destinati a
salire a 4.379.000 nel 2050, rispetto ai 2.659.000 stimati per il 2010, con un
incremento di 1 milione e 720 mila nei prossimi trent’anni.
C’ è una domanda incrementale di servizi per gli anziani non autosufficienti che può
trovare risposta solo in un sistema ben strutturato di welfare mix, nel quale ognuno
dei protagonisti – lo Stato in tutte le sue articolazioni, il privato sociale, il mercato dei
14
Comunicazione dalla Commissione al Parlamento e al Consiglio europeo “Portare avanti il piano
strategico di attuazione del partenariato europeo per l'innovazione nell'ambito dell'invecchiamento
attivo e in buona salute” del 29 febbraio 2012,
http://ec.europa.eu/health/ageing/docs/com_2012_83_en.pdf
15
Istat, Il futuro demografico del Paese, 28 dicembre 2011, http://www.istat.it/it/archivio/48875
6
servizi alle persone – facciano fino in fondo la propria parte, con in aggiunta una
potente iniezione di innovazione sociale e tecnologica.
Lo scenario di riforma a cui guardare si basa su uno schema misto pubblicoprivato che richiama alcune delle principali esperienze internazionali di finanziamento
della Ltc e molte delle proposte formulate per l’Italia nel corso degli ultimi anni. Tale
schema prevede:
•
il primo pilastro pubblico, fondato su un programma nazionale di interventi
per la non autosufficienza agli anziani gestito dalle autonomie territoriali e volto
a garantire i livelli essenziali di prestazioni socio-assistenziali, avvalendosi
anche del sistema dei buoni servizio (voucher);
•
il secondo pilastro pubblico-privato, costituito da fondi integrativi anche a
carattere territoriale per consentire una ulteriore copertura su base collettiva
accessibile ad un’ampia fascia della popolazione;
•
il terzo pilastro privato, costituito dalle assicurazioni volontarie individuali
come ulteriore integrazione.
L’Istituto per la ricerca sociale (Irs) ha recentemente avanzato la proposta di
introdurre la dote di cura come nuova misura di sostegno alla non autosufficienza
degli anziani, in sostituzione dell’indennità di accompagnamento, dei servizi di Ltc
della sanità e dell’assistenza intensiva dei servizi sociali 16. Essa prevede l’unificazione
in un solo Fondo nazionale, gestito dalle regioni e dagli enti locali con l’Inps come ente
erogatore, dei finanziamenti degli interventi che verrebbero sostituiti. La loro entità
complessiva è di 16,9 miliardi di euro per il 2013 ed è considerata sufficiente a coprire
quasi tutti i costi della riforma.
In questa proposta la dote di cura si rivolge anche agli anziani solo parzialmente non
autosufficienti e dà più risorse ai beneficiari in base a fasce distinte per livello di
gravità e condizione economica dell’anziano. Le prestazioni a domicilio assumono la
forma di un trasferimento monetario o di servizi acquistabili tramite voucher in base
alla libera scelta del beneficiario. Il valore del voucher è maggiore rispetto al
trasferimento monetario puro per incentivare l’offerta di servizi che comprendono
servizi pubblici e privati accreditati comprese le assistenti familiari accreditate 17.
E’ opportuno che l’introduzione della dote di cura sia accompagnata da una parziale
ma rilevante riduzione degli oneri fiscali, 50/65 per cento, per le prestazioni
16
Istituto per la ricerca sociale (Irs), Nella crisi, oltre la crisi. Costruiamo il welfare di domani. Proposta
per una riforma delle politiche e degli interventi socio-assistenziali attuale e attuabile, cit., p.69.
17
Anche in Germania i beneficiari dell’assistenza domiciliare possono scegliere tra prestazioni in denaro
e in servizi, o possono ricevere un mix tra le due, come descritto in Quaderni ISVAP n. 11/2007, Il
costo e il finanziamento dell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, p. 22. Ciò è previsto
anche nella provincia autonoma di Bolzano in base all’articolo 8 della legge n. 91 del 2007 e nella
provincia autonoma di Trento in base all’articolo 7 della legge n. 15 del 2012.
7
domiciliari, a partire dalle assistenti familiari, per la regolarizzazione dei contratti e la
qualificazione del lavoro professionale, con un sistema di buoni servizio finalizzato ad
incentivare le scelte care rispetto a quelle cash. In questo modo le politiche sociali e
le azioni di management di comunità terrebbero conto non solo delle risorse
istituzionali, ma anche delle risorse familiari e comunitarie e delle opportunità che
possono offrire moderni servizi alle persone.
Il ruolo del servizio sociale comunale è essenziale per l’evoluzione del sistema, ma
deve essere ripensato alla luce delle proposte di riforma.
Attualmente si tratta di un sistema organizzativo parcellizzato in 8.000
amministrazioni diverse, fortemente cristallizzato sulle funzioni di accesso, anche se
spesso si entra solo in liste di attesa, e ridotto a una offerta di tipo prevalentemente
prestazionale.
Se non verrà riformato radicalmente è destinato ad avere un ruolo marginale in un
contesto di sistemi di welfare che prevedono propri percorsi di accesso e di selezione
delle prestazioni. E sarà probabilmente ridotto alla sola assistenza degli esclusi, gli
anziani privi di sostegni familiari o di coperture mutualistiche e assicurative, con il
conseguente abbandono della sua dimensione universalistica che è stata il
fondamento della legge di riforma n. 328 del 2000.
Il servizio sociale comunale deve essere profondamente riorientato, passando
dall’attuale presidio dell’accesso alle prestazioni alla promozione delle risorse sociali
della comunità (empowerment) e a supporto alle politiche sociali (programmazione,
regolazione e controllo del sistema territoriale, management sociale comunitario). Se
ne parla da tempo senza produrre risultati concreti: ciò deve essere oggetto di
riflessione e soprattutto di decisioni anche sul versante organizzativo.
E’ una trasformazione sicuramente complessa ma indispensabile per renderlo
socialmente più efficace. In questa prospettiva sarebbe persino riduttivo chiamarlo
ancora “servizio sociale” e richiederebbe professionisti molto diversi da quelli
tradizionali, non più solo assistenti sociali ma piuttosto manager sociali, capaci di
influire sulle dinamiche socio economiche del territorio e di mettere in rete i diversi
soggetti operanti nel contesto locale, per lo sviluppo della salute e del benessere della
comunità.
Questo implica che gli obiettivi del welfare (Lea e Leps) debbano essere espressi in
termini di risultati di salute e benessere da perseguire e non di prestazioni da erogare.
Il sistema istituzionale deve viversi non più come la porta unica di accesso alle
prestazioni e l’unico produttore dei servizi, ma come il soggetto responsabile della
organizzazione complessiva del sistema integrato, anche attraverso il sostegno e la
valorizzazione del welfare familiare e comunitario.
8
3.
Il Fondo integrativo territoriale
La prima delle nostre proposte riguarda il secondo pilastro del welfare per gli anziani,
quello pubblico-privato, con la costituzione di un Fondo integrativo territoriale per
la non autosufficienza.
L’obiettivo è definire con chiarezza i servizi e le prestazioni fornite dal primo pilastro
pubblico che rientrano nei livelli essenziali di assistenza (Lea) e delle prestazioni
sociali (Leps), integrandole con prestazioni aggiuntive che possano essere fruite da
una fascia molto larga della popolazione e che amplino decisamente l’offerta dei
servizi, oggi fortemente insufficiente o lasciata all’assistenza informale da parte delle
famiglie.
Il Fondo integrativo ha natura assicurativa ed è un fondo integrativo del servizio
sanitario nazionale in base all’articolo 9 del decreto legislativo n. 502 del 1992 e
successive modificazioni. In base alle norme vigenti esso deve essere finalizzato
all’erogazione di trattamenti e prestazioni non comprese nei livelli essenziali
delle prestazioni o, qualora esse vi siano comprese, devono valere per la sola quota
a carico dell’assistito. Il Fondo integrativo trova il proprio riconoscimento pubblico
tramite l’iscrizione all'anagrafe dei fondi sanitari integrativi del servizio sanitario
nazionale presso il Ministero della salute.
Il Fondo integrativo è aperto, cioè non è riservato a specifici gruppi di lavoratori o di
professionisti, si rivolge pertanto a tutti i cittadini e ha dimensioni collettive, cioè
tutta la popolazione considerata deve contribuire per poter godere delle stesse
garanzie. In base alla legislazione vigente è concessa la deducibilità fiscale dei
contributi versati a questo scopo fino a un massimo di 3.615,20 euro l’anno.
Il Fondo integrativo ha natura territoriale e questo lo differenzia dal cosiddetto
welfare aziendale, che è costituito dai fondi istituiti con contratti nazionali di lavoro,
alcuni dei quali prevedono la gestione da parte di enti bilaterali, e con contratti
integrativi aziendali. Ma per la realizzazione della proposta il welfare aziendale deve
essere ricondotto, almeno per la parte demandata alla contrattazione integrativa, al
fondo territoriale, come si stanno proponendo di fare le province autonome di Bolzano
e Trento che guardano al modello tedesco 18.
18 Il 19 aprile 2012 la provincia di Bolzano e le organizzazioni imprenditoriali e sindacali del territorio
hanno pubblicato un avviso comune per convergere verso un fondo unico territoriale integrativo del
servizio sanitario che prevede prestazioni anche nel campo della non autosufficienza degli anziani. I
primi a partire sono stati gli artigiani nel marzo 2013, con 4300 aziende che versano al fondo 10,42
euro al mese per lavoratore. La gestione del fondo è affidata all’associazione Sani-Fonds che il 16
luglio 2013 si è data un proprio regolamento. L’8 luglio 2013 è stato costituito il fondo sanitario
integrativo della provincia di Trento da parte dell’ente provincia, delle organizzazioni sindacali e degli
imprenditori che si rivolge anche alla non autosufficienza degli anziani. Nel 1994 in Germania è stata
approvata una legge che ha istituito un fondo pubblico di assistenza agli anziani non autosufficienti i
quale inizialmente era rivolto solo all’assistenza domiciliare e successivamente è stato esteso anche
alle prestazioni di assistenza residenziale. L’assicurazione è obbligatoria ed è finanziata tramite una
aliquota contributiva sul reddito imponibile dell’assicurato che è uguale per tutti. Essa è pari all'1,7%
a carico, in parti uguali, dei datori di lavoro e dei lavoratori o ex-lavoratori.
9
La dimensione territoriale ideale del Fondo è quella regionale, ma in una prima
fase – anche per sperimentarne l’efficacia – è bene partire dalla città metropolitana di
Bologna. In base alla nuova legge le città metropolitane avranno tra le loro funzioni
fondamentali, ulteriori rispetto a quelle delle province, la “promozione e
coordinamento dello sviluppo economico e sociale” e “l’organizzazione dei servizi
pubblici di interesse generale di ambito metropolitano”. Lo Stato e le regioni, ciascuno
per le proprie competenze, possono inoltre attribuirne anche altre 19.
Gli anziani ultrasessantacinquenni in provincia di Bologna erano 202.524 nel 2011,
pari al 20,6% della popolazione nel suo complesso. Di questi ben il 49% erano
residenti nel solo comune di Bologna. Quelli non autosufficienti, assumendo la stessa
percentuale del 15,9% ipotizzata a livello regionale 20, ammontavano perciò a 32.201.
Nel 2012 la spesa aggregata regionale per gli anziani non autosufficienti ammontava a
754,1 milioni di euro, di cui 295,8 milioni (39,2%) del fondo regionale per la non
autosufficienza (Frna), 210,8 milioni di euro (28%) della contribuzione degli utenti,
148,84 milioni (19,78%) le risorse provenienti dal fondo sanitario, 96,7 milioni
(12,8%) le risorse dei comuni e 1,8 milioni (0,2%) dai fondi nazionali.
Dei 295,8 milioni del fondo regionale per la non autosufficienza degli anziani in
provincia di Bologna sono stati spesi 58,2 milioni nel 2012. Gli assegni di cura per
anziani sono stati 3.060 nello stesso anno rispetto ai 4.687 del 2011 (-35,7%). Gli
anziani che hanno usufruito dell’assistenza domiciliare socio-assistenziale sono stati
3.190 nel 2012, con una media di 116 ore annue sostenute con il Frna a cui vanno
aggiunte altre 11 ore non finanziate con il Fnra. In totale si tratta di meno di un’ora al
giorno di media. 5.820 anziani hanno usufruito dell’assistenza residenziale e 1.248 di
quella semi-residenziale nei centri diurni durante il 2012 21.
Le indennità di accompagnamento per anziani e disabili erogate dall’INPS in provincia
di Bologna sono state 19.011 nel 2009.
Per consentire la sperimentazione del Fondo integrativo nell’area metropolitana
bolognese è necessario che:
•
la regione, pur mantenendo l’unitarietà delle regole di gestione del Fondo
regionale per la non autosufficienza stabilite dalla normativa attuale, consenta
alla città metropolitana una maggior flessibilità attraverso la creazione di un
Fondo metropolitano che solo successivamente sarà attribuito ai distretti
sociosanitari per le procedure di impiego ed erogazione come avviene oggi;
•
i comuni attribuiscano alla città metropolitana il compito di rendere omogenee
19 Legge n. 56 del 2014, art. 1, comma 44.
20
Network non autosufficienza (Nna), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, 2°
Rapporto, Maggioli, Rimini, 2010, p. 17.
21 Regione Emilia-Romagna Direzione generale sanità e politiche sociali, Utilizzo del fondo regionale per
la non autosufficienza (Frna) e fondi nazionali 2012 e programmazione 2013, novembre 2013.
10
le regole di accesso ai servizi per gli anziani non autosufficienti di loro
competenza e valutino la possibilità di far affluire al Fondo metropolitano anche
le loro risorse, in modo da unificare l’insieme dei servizi erogati dal sistema
pubblico locale;
•
la città metropolitana adotti autonomamente la logica dei livelli essenziali delle
prestazioni sociali (Lea e Leps) individuando i diritti essenziali di cittadinanza
che si impegna a riconoscere per gli anziani non autosufficienti sul proprio
territorio al fine di organizzare di conseguenza l'offerta dei servizi pubblici in
rapporto alle risorse esistenti. Essa dovrebbe anche a condividere con le altre
città e province della regione i criteri di calcolo del costo standard dei servizi e
delle prestazioni con lo scopo di recuperare efficienza e risorse attraverso il
benchmarking22.
Il finanziamento del Fondo integrativo proviene da tre fonti fondamentali:
•
la contrattazione integrativa territoriale che deve portare l’adesione al
Fondo delle imprese per i propri dipendenti, dei lavoratori autonomi e dei
professionisti;
•
il Fondo metropolitano per la non autosufficienza, alimentato con risorse
pubbliche, che deve aderire per chi non è lavoratore dipendente, non svolge
attività di lavoro autonomo o professionale o non risulta comunque coperto
nella partecipazione al fondo;
•
l’adesione volontaria individuale.
Così come è stato fin qui descritto si tratta di un Fondo integrativo territoriale a
protezione assicurativa e si possono fare ipotesi diverse circa la popolazione
coperta, il livello di contribuzione e la vita del fondo come obbligazione assunta nei
confronti degli iscritti. Da ciò deriverà l’entità dei servizi erogati nel momento in cui si
manifesti la condizione di non autosufficienza degli anziani iscritti 23.
Il Fondo integrativo si deve concentrare solo sulle non autosufficienze gravi,
quando cioè si registra la mancanza di 3 su 4 Adi (Activity of Daily Living) o una
invalidità di oltre il 70%, e deve essere più orientato all’erogazione di servizi che di
contributi in denaro.
Al fine di salvaguardare il carattere pienamente universalistico del Fondo integrativo si
preferisce optare per la soluzione che vede:
•
tutti i/le cittadini/e della città metropolitana iscritti al compimento del
diciottesimo anno di età;
22
Laboratorio Urbano, Proposte per il welfare, 14 novembre 2011, p. 15.
23
Laboratorio Urbano, Fondo solidaristico territoriale per la non autosufficienza Bologna, Contributo
tecnico alla riflessione di Fiammetta Fabris Direttore operativo UniSalute SpA, 25 maggio 2012,
http://www.laboratoriourbano.info/wp-content/uploads/120531Fondo_Solidaristico_Territoriale._presentazione_FFabris.pdf
11
•
la contribuzione per tutta la vita;
•
la possibilità di differenziare il premio tra gli attivi e i pensionati;
•
l’eventuale armonizzazione con i contratti collettivi nazionali di lavoro;
•
la revisione dopo 10 anni sia della rendita che dei premi.
Una valutazione fatta sulla popolazione dell'area ha consentito di determinare il
contributo annuo richiesto ad ogni iscritto in circa 450 euro, il quale può ridursi
sensibilmente quando si raggiunge il sessantasettesimo anno di età, e l’importo
mensile erogato in servizi nel momento in cui si manifesta il bisogno in circa 500
euro.
I servizi e le prestazioni erogati dal Fondo sono finalizzati a garantire l’assistenza e
la cura dell’anziano non autosufficiente presso il proprio domicilio o altro domicilio
elettivo. Essi sono integrativi rispetto a quelli erogati obbligatoriamente dal servizio
sanitario nazionale, così come definiti dai livelli essenziali di assistenza (Lea), e dai
servizi sociali per gli anziani ai diversi livelli. Possono essere considerati integrativi
anche i servizi e le prestazioni erogati dalle strutture pubbliche per un numero limitato
di casi.
Le prestazioni del Fondo sono quelle previste dalla legislazione vigente, in particolare
dal già citato decreto legislativo n. 502 del 1992, che si rivolgono alle esigenze degli
anziani non autosufficienti. Esse vengono erogate a tutti i residenti iscritti al Fondo
senza alcuna discriminazione nelle norme di accesso.
Il Fondo assicura l’acquisizione della valutazione di non autosufficienza, l’istruttoria
per l’accesso ai servizi e alle prestazioni e, su richiesta del beneficiario, un servizio di
valutazione del bisogno, programmazione assistenziale individualizzata, informazione
e orientamento ai servizi, consulenza professionale.
La governance del Fondo andrà adeguatamente definita. Esso nasce quale
associazione non riconosciuta, ai sensi dell’art. 36 del Codice civile, a seguito di un
accordo tra regione, città metropolitana, comuni, associazioni di imprenditori e
professionisti, organizzazioni sindacali, associazioni degli utenti e dei consumatori.
Il percorso che precede la costituzione del Fondo e il conseguente accordo sono
estremamente rilevanti perché servono ad individuare:
•
quali prestazioni dei fondi nazionali possono essere integrate nel Fondo
territoriale, al quale interessano unicamente le prestazioni per la non
autosufficienza degli anziani;
•
quali risorse pubbliche confluiscono nel Fondo, con quali vincoli e con quali
norme.
12
Il Fondo è normato:
•
dallo Statuto. In esso viene definita la finalità del Fondo, cioè assistere le
persone iscritte che coincidono con i residenti nell’area di riferimento. Gli organi
di amministrazione devono prevedere la presenza di rappresentanti di tutti i
soggetti che hanno dato vita al Fondo e dei cittadini iscritti;
•
dal Regolamento. Esso prevede le modalità di iscrizione al Fondo, di
contribuzione da parte degli iscritti, di accesso alle prestazioni e della loro
erogazione, di selezione e accreditamento dei fornitori. Le norme dovranno
garantire i requisiti di legge: assenza di selezione all’entrata; assenza di
discriminazione nei premi da pagare; assenza di concorrenza con il servizio
sanitario nazionale, anche se possono essere incluse le prestazioni
intramurarie;
•
da un nomenclatore delle prestazioni garantite;
•
da uno schema di modelli di
eventualmente al nucleo familiare.
adesione
relativi
al
singolo
iscritto
ed
Dovrà essere prevista l’individuazione di un soggetto privato a cui affidare la gestione
del Fondo e l’attribuzione ai soggetti pubblici dei compiti di controllo e di monitoraggio
costante del servizio erogato. L’approvvigionamento dei servizi e delle prestazioni sul
territorio andrà fatta stabilendo regole che rispettino la pluralità delle forme
imprenditoriali presenti e valorizzino l’iniziativa imprenditoriale diffusa, anche quella
singola e di piccola dimensione, purchè accreditate.
Gli oneri dei benefici assicurati agli iscritti al fondo sono coperti:
•
dal fondo sanitario regionale per le prestazioni comprese nei Lea garantiti dal
servizio sanitario;
•
dal fondo nazionale e dal fondo metropolitano per la non autosufficienza per le
tariffe dei servizi accreditati;
•
dai fondi bilaterali e dai fondi bilaterali integrativi per le prestazioni da essi
garantiti;
•
dal fondo metropolitano per la non autosufficienza per le prestazioni alle
persone che non hanno rapporti di lavoro dipendente, non svolgono attività di
lavoro autonomo o professionale o non risultano comunque coperte nella
partecipazione al fondo;
•
da tutti i trasferimenti pubblici, erogazioni da parte di fondazioni bancarie e
imprese, versamenti degli iscritti al fondo, rimborsi per le prestazioni o parte
del loro costo, non ricompresi nei punti precedenti;
•
da quote equivalenti a quelle dei fondi bilaterali versate da cittadini che
decidono di aderire al fondo volontariamente.
13
4.
I buoni servizio (voucher)
L’altra nostra proposta, quella dei buoni servizio per la non autosufficienza degli
anziani, riguarda sia il primo pilastro, quello pubblico, che il secondo, quello pubblicoprivato, del welfare per gli anziani.
Al precedente paragrafo 2 è già stata infatti richiamata la necessità che la dote di
cura possa assumere anche la forma di servizi acquistabili tramite voucher, oltre che
di trasferimento monetario, in base alla libera scelta del beneficiario. E che gli oneri
per le assistenti familiari, per la regolarizzazione dei contratti e la qualificazione del
lavoro professionale siano defiscalizzati attraverso lo stesso sistema di buoni servizio
finalizzato ad incentivare le scelte care rispetto a quelle cash.
I buoni servizio si collegano bene a progetti come quello del Fondo territoriale
integrativo per la non autosufficienza illustrato al precedente paragrafo 3, come
dimostra l’esperienza di altri Paesi come la Francia.
Recentemente è stata presentata una proposta di legge bipartisan per l’introduzione
anche in Italia di voucher universali per il welfare del tutto simili agli Chèques emploi
service universel (Cesu) francesi, i quali esistono dal 2005 e riguardano anche
esigenze oltre alla non autosufficienza degli anziani 24. L’introduzione dei voucher
potrebbe innescare anche in Italia un circolo virtuoso fatto di creazione di posti di
lavoro nei servizi, emersione del lavoro nero, aumento dell’occupazione (in particolare
femminile) e crescita del Pil25.
Una ricerca del Censis valuta che il sistema a regime, dopo 5 anni dalla sua
istituzione, avrebbe un costo di circa 3,6 miliardi di euro l’anno con benefici diretti
(emersione del lavoro irregolare, nuova occupazione e minor impiego dell’Aspi) per
1,7 miliardi di euro e benefici indiretti (occupazione in altri settori, gettito Iva su
consumi familiari, imposte su utili d’impresa) per altri 1,2 miliardi. Il maggior onere a
carico del bilancio dello Stato sarebbe di circa 700 milioni l’anno, a fronte di 482mila
nuove famiglie in grado di accedere ai servizi socio-assistenziali, a un incremento dei
lavoratori beneficiari del welfare aziendale che passerebbero dagli attuali 127mila a
858mila, ad una emersione del lavoro irregolare che raggiungerebbe le 326mila unità
24
Ddl AS 1535 del 17 giugno 2014, Istituzione del voucher universale per i servizi alla persona e alla
famiglia, primo firmatario sen. Giorgio Santini (PD). Una identica proposta di legge è stata
presentata alla Camera. Si tratta del frutto di un lavoro svolto in collaborazione con l’Istituto Lugi
Sturzo e il Censis.
25
Può aiutare anche l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri il 10 luglio scorso del ddl “Delega
per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale”
il quale punta a riconoscerne la giusta rilevanza sia nel processo economico – in particolare per
quanto riguarda l’impresa sociale – che in quello sociale, anche in vista di un maggiore
coinvolgimento nella progettazione delle politiche sociali.
14
con una occupazione aggiuntiva valutabile in 315mila nuove unità nel settore
dell’assistenza domiciliare e in quelli ad essa collegati26.
Secondo questa proposta, i buoni servizio possono essere utilizzati da tutti coloro che
hanno esigenze di cura per pagare soggetti fisici (baby-sitter, badanti, colf) e non
(asili nido, centri per anziani, ma anche associazioni del terzo settore accreditate,
ecc.) che erogano servizi di cura rivolti a bambini, anziani non autosufficienti e
persone con disabilità. Lavoratori e organizzazioni che forniscono i servizi potranno poi
riscuotere il loro corrispettivo presso gli istituti bancari convenzionati.
I buoni servizio sono di tre diverse tipologie che corrispondono ai tre pilastri su cui si
basa il sistema:
•
voucher per famiglie e individui che li acquistano online per pagare i servizi di
cura;
•
voucher forniti dalle imprese ai propri dipendenti nell’ambito delle politiche di
welfare aziendale, che potranno essere o totalmente finanziati dalle imprese o
cofinanziati dai lavoratori;
•
voucher erogati dagli enti locali nell’ambito delle proprie politiche di welfare
pubblico a favore di persone bisognose e di persone svantaggiate o con
esigenze di conciliazione.
La chiave del successo dei buoni servizio è il costo per gli utenti, che deve essere pari
o inferiore a quello praticato nel mercato nero. Per non aver rispettato questa regola,
il voucher introdotto nel 2007 dall’Austria è infatti fallito.
Per tenere bassi i costi per le famiglie ed evitare il flop austriaco lo strumento
individuato dai promotori della proposta di legge è quello della defiscalizzazione. La
proposta di legge tiene infatti conto che in Italia il costo del lavoro per un assistente
familiare assunto regolarmente è superiore di circa un terzo a quello assunto in nero,
perché alla retribuzione netta occorre aggiungere la tredicesima, i contributi sociali, il
Tfr e le ferie. Per questo motivo, nella proposta di legge è contenuta una detrazione
fiscale pari al 33% degli oneri sostenuti dal contribuente. Un altro punto molto
importante è la facilità nell’acquisto dei voucher da parte delle famiglie: la proposta
prevede la costituzione presso l’Inps di un sistema telematico per la gestione dei buoni
servizio per consentire, proprio come succede in Francia, di effettuare tutte le
operazioni online, dall’acquisto dei buoni servizio al pagamento dei contributi sociali 27.
Per questa via il settore dei servizi alla persona potrebbe diventare un’importante leva
di sviluppo economico per i territori attraverso la creazione di un ampio e diffuso
sistema di imprese autorizzate alla fornitura dei servizi.
26
Censis, Voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia. Sintesi, Roma, 11 giugno 2014
http://www.camera.it/temiap/2014/06/11/OCD177-285.pdf
27
Cfr l’editoriale e i primi due articoli della Newsletter n. 22/2014 di Percorsi di secondo welfare
http://www.flexmailing.com/nlhtml/sw140911/2014061310141.html
15
La precondizione è la promozione di lavoro regolare, professionalmente identificabile,
alimentato da competenze e sostenuto da riconoscibilità e apprezzamento sociale.
Oltre alla defiscalizzazione degli oneri per le famiglie andrebbero anche identificate
modalità per consentire loro di assolvere alla funzione di sostituto d’imposta senza
appesantirne il carico amministrativo. Solo così, infatti, si potrebbe avviare il circuito
virtuoso tra il costo delle detrazioni fiscali e le maggiori entrate per lo Stato da redditi
da lavoro regolare.
Nell’ambito dell’unificazione in capo alle regioni di tutti i trasferimenti monetari e i
servizi reali per gli anziani non autosufficienti ci sarebbe la possibilità di sperimentare
l’acquisto di prestazioni presso soggetti autorizzati, anche singoli, attraverso buoni
servizio utilizzabili in una percentuale definita anche al di fuori delle
prestazioni strettamente appropriate. La spesa integrativa dei buoni servizio, a
carico delle famiglie, dovrebbe essere fortemente detraibile.
E’ auspicabile che si sviluppi, come è successo in altri Paesi europei che hanno
adottato la soluzione dei voucher, un associazionismo di famiglie e utenti dei servizi.
Fondi territoriali integrativi, mutue, reti di imprese o, preferibilmente, associazioni di
utenti dovrebbero acquisire e organizzare pacchetti di assistenza mediante la
selezione del personale idoneo, la predisposizione del percorso assistenziale, il
monitoraggio della sua regolare realizzazione, il supporto amministrativo e
contrattuale.
I buoni servizio sarebbero acquisibili da parte delle famiglie con risorse pubbliche
come l’assegno o la dote di cura (assegno di accompagnamento riformato)o con
risorse proprie. Dovrà comunque essere garantito il rispetto delle norme contrattuali
e previdenziali per contrastare il lavoro nero o irregolare.
5.
Il riconoscimento del ruolo dei caregiver familiari e volontari
La terza ed ultima proposta che avanziamo riguarda il riconoscimento del ruolo dei
caregiver familiari, attraverso interventi di valorizzazione e di sostegno alla loro
attività.
Il caregiver familiare può essere definito come colui o colei che, in maniera informale
e gratuita, si prende cura di una persona cara (spesso, ma non necessariamente, un
congiunto) in condizioni di non autosufficienza e/o disabilità, che necessita di
un’assistenza di lunga durata. In molti casi il ruolo del caregiver è svolto non solo da
familiari e parenti, ma da vicini, amici, volontari, cittadini attivi e disponibili. A volte
16
non c'è solo un caregiver, ma più persone volontarie che si prendono cura
dell'anziano.
I caregiver rappresentano la spina dorsale dell’attività assistenziale alle persone non
autosufficienti, delle quali gli anziani costituiscono la parte preponderante. Si stima
che circa l’80% dell’assistenza complessivamente prestata a persone non
autosufficienti nei Paesi della Unione Europea sia attualmente fornita da coniugi,
figli/e, altri famigliari, amici e vicini in netta prevalenza donne, con un numero di
caregiver informali che è valutato in almeno doppio di quello della forza lavoro
formale. Ciò nonostante il loro ruolo è scarsamente riconosciuto.
L’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) ha recentemente elaborato
un documento28 nel quale si suggeriscono una serie di interventi.
In primo luogo occorre procedere al riconoscimento formale del caregiver familiare o
volontario quale componente, non professionale, della rete di assistenza domiciliare
alla persona. A ciò deve provvedere, nel contesto del sistema integrato, il servizio
deputato all’accoglienza.
Il documento propone di valorizzare e sostenere i caregiver familiari e volontari
formalmente riconosciuti attraverso le seguenti tipologie di intervento:
28
•
coinvolgimento, previo consenso della persona cara assistita, ovvero di chi ne
esercita la tutela, nel percorso di definizione e realizzazione del Piano
assistenziale individuale (Pai);
•
informazione puntuale ed esauriente da parte dei servizi, previo consenso
dell’assistito o di chi ne esercita la tutela, sulle problematiche di cui soffre la
persona assistita, sui bisogni assistenziali e le cure necessarie, sui criteri di
accesso alle prestazioni, sulle diverse opportunità e risorse operanti nel
territorio che possono essere di sostegno all’assistenza e alla cura;
•
individuazione nel Pai del contributo di cura e delle attività di cui può farsi
carico il caregiver. Nel Pai sono, inoltre, definiti i supporti che i servizi sociali e
sanitari si impegnano a fornire al fine di permettere al caregiver di affrontare al
meglio le possibili difficoltà od urgenze e di svolgere le normali attività di
assistenza e di cura in maniera appropriata e senza rischi per l’assistito e per sé
medesimo;
•
formazione e aggiornamento del caregiver mirata all’addestramento ad
espletare correttamente le principali funzioni e pratiche assistenziali, e
all’implementazione delle capacità di gestire gli aspetti emozionali propri
e dell’assistito;
Agenas, Valorizzazione e sostegno del ruolo del Caregiver familiare,
http://www.agenas.it/images/agenas/oss/assistenza/care
%20giver/contributi/7_Valorizzazione_sostegno_ruolo_Caregiver_familiare_Documento_Agenas.pdf
17
•
inserimento nelle attività di formazione degli operatori sanitari, socio-sanitari e
sociali, in accordo con i comuni e con il coinvolgimento dei soggetti gestori ed
erogatori dei servizi, di strumenti per una buona ed efficace comunicazione con
il caregiver;
•
programmi per favorire l’adattamento dell’ambiente domestico anche attraverso
la diffusione di soluzioni di domotica;
•
creazione di canali di comunicazione privilegiati che facilitino il costante
rapporto fra operatori e caregiver, anche impiegando le nuove tecnologie della
comunicazione ed informazione (Ict);
•
supporto psicologico, al fine di sostenere il caregiver nella ricerca e nel
mantenimento del benessere e dell’equilibrio personale e familiare, per
prevenire rischi di malattie da stress sia sul versante fisico che psichico;
•
iniziative di sollievo attraverso l’impiego di personale qualificato anche per
sostituzioni temporanee del caregiver;
•
promozione di reti solidali, di volontariato e di buone pratiche sociali per il
reclutamento e la valorizzazione di caregiver volontari (informali, di comunità)
che integrino i caregiver familiari ed i servizi;
•
coinvolgimento di reti solidali ad integrazione dei servizi garantiti dalle reti
istituzionali, al fine di ridurre la solitudine del caregiver e costruire un tessuto
sociale di supporto nella gestione delle persone non autosufficienti;
•
intese ed accordi con le associazioni dei datori di lavoro, tesi a favorire una
maggiore flessibilità oraria che permetta di conciliare l’attività lavorativa con le
esigenze di cura.
Il documento è finalizzato al raggiungimento di un accordo tra tutte le regioni con
successivo monitoraggio circa la sua attuazione.
Dopo le province autonome di Trento e Bolzano, l’unica regione che si è data una
normativa sui caregiver familiari è l’Emilia-Romagna con la legge 28 marzo 2014 n.
229, che rappresenta un esempio innovativo e d’avanguardia. Infatti i suoi contenuti
riflettono i temi del documento Agenas e in alcuni casi vanno anche oltre.
La legge prevede che il caregiver esprima la “disponibilità a svolgere la propria attività
volontaria di assistenza e cura, ad avvalersi di supporti formativi e di forme di
integrazione con i servizi sociali, socio-sanitari e sanitari”: il Pai stabilisce il suo ruolo e
i suoi impegni.
29
http://www.gazzettaufficiale.it/atto/regioni/caricaDettaglioAtto/originario?
atto.dataPubblicazioneGazzetta=2014-04-19&atto.codiceRedazionale=14R00159
18
Quanto al supporto ai caregiver, la regione attua forme di sostegno economico
attraverso l’erogazione dell’assegno di cura e di interventi economici per
l’adattamento domestico, può favorire accordi con le assicurazioni per polizze di
infortuni o responsabilità civile per l’attività svolta all’interno del Pai, e “promuove
intese ed accordi con le associazioni datoriali, tesi ad una maggior flessibilità oraria
che permetta di conciliare la vita lavorativa con le esigenze di cura”.
Comuni e Ausl offrono al caregiver la formazione e il sollievo, di emergenza o
programmato. L’esperienza di caregiver può diventare credito formativo per l’accesso
ai corsi per operatore sociosanitario. Le rappresentanze dei caregiver sono inoltre
sentite nell’ambito della programmazione sociale, socio-sanitaria e sanitaria.
La nostra proposta è che il documento Agenas e la legge della Regione EmiliaRomagna vengano assunte come riferimento per interventi normativi da adottare in
tutte le altre regioni, seguendo attentamente l’evolversi dell’esperienza in corso nella
nostra regione.
19