consulto internazionale sull`educazione della prima infanzia ei

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consulto internazionale sull`educazione della prima infanzia ei
CONSULTO INTERNAZIONALE SULL’EDUCAZIONE
DELLA PRIMA INFANZIA E I BISOGNI EDUCATIVI
SPECIALI
1
Sommario
1.
Il Consulto
2.
Riassunto dei lavori
• I campi d’azione
• Le questioni da esaminare
1. Quali sono i principali ostacoli alla fornitura di servizi appropriati per i bambini
con dei bisogni speciali?
2. Come fare figurare all’ordine del giorno i bambini con dei bisogni speciali?
3. Qual è il ruolo delle politiche per assicurare la pertinenza della programmazione
destinata ai bambini con dei bisogni speciali?
4. Quali sono i settori che devono intervenire nell’elaborazione e la messa in atto di
una programmazione comprensiva?
5. Cosa significa l’esistenza di una cooperazione/collaborazione e di partnerships tra i
settori e tra le organizzazioni non governative (ONG) e il governo?
6. Quali sono i fattori che contribuiscono a determinare la natura dei servizi da
fornire?
7. Cosa significa lo sviluppo di una partnership tra gli specialisti/professionisti e i
genitori?
8. Qual è il ruolo della valutazione? Cosa significa la valutazione dei bisogni di un
bambino?
9. Quali principi dovrebbero venire osservati nell’elaborazione di un programma
comprensivo?
10. Chi dovrebbe venir formato? Qual è il tipo di formazione richiesto?
11. Come aiutare i bambini a vivere la transizione dal domicilio a un servizio (per
esempio, un programma per la prima infanzia) e da un servizio a un altro (per
esempio, da un programma per la prima infanzia alla scuola elementare)?
12. Come fare in modo che i programmi che elaboriamo siano durevoli?
13. Quali sono le differenze (se ce ne sono) tra una buona programmazione per la
prima infanzia e una programmazione comprensiva?
3. Conclusioni e Raccomandazioni
• Preambolo: filosofia e principi che hanno ispirato le raccomandazioni
• Strumenti internazionali:
- Convenzione relativa ai diritti del bambino
- Dichiarazione mondiale sull’educazione per tutti
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Dichiarazione di Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia
d’educazione e di bisogni educativi speciali e quadro d’azione per i bisogni
educativi speciali
Regole per l’equiparazione delle possibilità degli handicappati
Politica generale
Cooperazione – Collaborazione – Partnership
Partnership e famiglia
Transizioni
Pianificazione e attuazione dei programmi/Fornitura di servizi
Formazione
Bambini messi negli istituti
Valutazione
Durabilità
Comunicazione e diffusione della informazione
Finanziamento/Aiuto dei donatori
Allegato
Lista dei partecipanti
3
Il successo della scuola integratrice può dipendere dal depistaggio, valutazione e
stimolazione precoce di tutti i bambini piccoli con dei bisogni educativi speciali. I
programmi di salute e d’educazione destinati ai bambini con meno di sei anni
dovrebbero venire sviluppati e/o riorientati in maniera tale da favorire lo sviluppo
fisico, intellettuale e sociale e la preparazione alla scuola. Questi programmi hanno
un interesse economico particolare per l’individuo, per la famiglia e per la società,
impedendo l’aggravamento di stati invalidanti. I programmi per la prima infanzia
dovrebbero conformarsi al principio dell’integrazione e combinare, in una prospettiva
globale, attività prescolari e cure di salute”.
Quadro d’azione di Salamanca
Articolo 53
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1. IL CONSULTO
La prima infanzia è un momento cruciale dello sviluppo per tutti i bambini, anche per
quelli che hanno dei bisogni educativi speciali. Questa affermazione è stata formulata
nella Convenzione relativa ai diritti del bambino (1989) e ripresa nella Dichiarazione
mondiale sull’educazione per tutti (Jomtien, Tailandia, 1990). Nella Dichiarazione di
Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia d’educazione e di bisogni
educativi speciali e nel Quadro d’azione per i bisogni educativi speciali (Salamanca,
Spagna, 1994).
L’UNESCO è stata invitata a assegnare un posto prioritario all’educazione della prima
infanzia nel campo dei bisogni educativi speciali.
Lo studio dell’UNESCO sui bisogni educativi speciali (UNESCO Review on Special
Needs Education), effettuato nel 1993-1994, ha evidenziato una carenza generale
d’attenzione su tale questione e delle insufficienze nei servizi destinati ai bambini
piccoli con dei bisogni educativi speciali in numerose aree del mondo. Tuttavia, un
apprendimento condotto in buone condizioni a un’età precoce produce dei benefici
durevoli per i bambini. Inoltre, è importante far seguire ai bambini con dei bisogni
speciali i programmi ordinari d’educazione prescolare, al fine di facilitare la loro
integrazione nel corso completo della loro scolarità.
Alla luce di quanto precede, il programma e il bilancio preventivo dell’UNESCO per il
1996-1997 (doc. 28 C/5, par. 01111) hanno previsto l’organizzazione di un Consulto
internazionale sull’educazione della prima infanzia e i bisogni educativi speciali, al
fine d’esaminare le politiche, l’elaborazione dei programmi e la fornitura dei servizi.
Organizzato in collaborazione con l’UNICEF, questo consulto ha avuto luogo alla sede
della UNESCO (Parigi), dal 1° al 4 settembre 1997.
Ventun specialisti di 15 paesi appartenenti a tutte le grandi aree del mondo hanno
partecipato a questa riunione. Provenienti da organismi donatori e da agenzie delle
Nazioni Unite, da organizzazioni non governative internazionali e nazionali, da
università e da organizzazioni di genitori e medici (cf. allegato I: Lista dei
partecipanti), questi specialisti hanno apportato la conoscenza e l’esperienza
dell’educazione della prima infanzia e/o dei bisogni educativi speciali che avevano
acquisito nei loro settori rispettivi, cioè la medicina, l’istruzione e i servizi sociali. La
composizione di questo gruppo formato da persone provenienti da tutti i continenti ha
reso possibile l’elaborazione di strategie adeguate a differenti partners e a differenti
contesti geografici.
Prima del consulto, i partecipanti hanno ricevuto un ordine del giorno annotato
(Allegato II), un documento di lavoro contenente una esposizione sulla situazione dei
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programmi d’educazione di integrazione per la prima infanzia, una compilazione di
studi di casi riuniti dalla UNESCO in vista del consulto1, e un documento che
riprendeva i punti salienti degli studi di casi. Questi ultimi sono serviti come punto di
riferimento al dibattito, nella misura in cui illustravano degli approcci differenti allo
sviluppo dell’educazione d’integrazione della prima infanzia, e illustravano differenti
strutture osservabili in dei contesti culturali ed economici diversi.
Il consulto si è concentrato sull’educazione della prima infanzia e sulla maniera nella
quale i servizi costituiti per i bambini piccoli possono rispondere a dei bisogni
educativi speciali, mettendo l’accento sulla natura dei servizi che si dovrebbero offrire,
piuttosto che sui bambini handicappati2. I partecipanti hanno dibattuto sulla questione
di sapere come offrire i servizi di qualità dei quali c’è bisogno sia nei paesi
industrializzati che nei paesi in via di sviluppo.
Il principio-guida osservato in questa occasione è stato quello di integrazione. L’idea
di integrazione si basa sul principio fondamentale che tutti i bambini devono imparare
insieme (detto in altri termini, che tutti i bambini hanno il diritto di beneficiare con gli
altri dei servizi offerti nella comunità). L’accento si è concentrato sul bambino piccolo
(dalla nascita a sei anni), dando per scontato che bisogna intervenire a un’età precoce
se si vogliono prevenire o combattere le situazioni che rischiano di ritardare o
indebolire lo sviluppo dei bambini. Il compito che i partecipanti al consulto hanno
dovuto svolgere consisteva nell’accordarsi sulla nozione d’integrazione e sui modi
d’attuazione delle politiche e dei programmi d’integrazione che privilegiano i servizi
destinati a tutti i bambini, confrontate con elaborazione di un certo numero di strategie
incentrate rispettivamente sui bisogni di bambini differentemente dotati.
1
First Steps: Stories of Inclusion in Early Childhood Education, UNESCO, 1997 (Studi di casi effettuati nei
seguenti Paesi: Africa del Sud, Australia, Cile, Danimarca, Stati Uniti d’America, Francia, Grecia, Guyana,
India, Libano, Isola Maurizio, Portogallo, Repubblica democratica popolare del Laos).
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Sebbene l’espressione “bisogni educativi speciali” faccia riferimento a dei bambini i cui bisogni si originano in
un ventaglio di situazioni molto diversificate, il consulto si è concentrato sulla definizione utilizzata nel contesto
del Quadro d’azione di Salamanca, incentrando il dibattito sui bambini i cui bisogni derivano da handicaps o da
difficoltà di apprendimento. In questo contesto, è la qualità dei servizi che è opportuno affrontare, e non
semplicemente i bisogni dei bambini presi individualmente. È là il messaggio che sottintende l’educazione
d’integrazione.
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2. RIASSUNTO DEI LAVORI
Il consulto è stato aperto da M. Colin Power, vicedirettore generale per l’educazione, il
quale ha invitato i partecipanti a esaminare come utilizzare e rendere più accessibili le
risorse esistenti, al fine di tradurre la teoria in politica e in pratica nel campo
dell’educazione della prima infanzia e dei bisogni educativi speciali. M. Power ha
sottolineato a che punto sia importante fare partecipare i genitori e la comunità
all’educazione dei bambini, e ha messo in luce il legame essenziale esistente tra la
comunità e la scuola.
Il consulto ha eletto i seguenti partecipanti a ricoprire la carica di presidente di turno:
M. Mehari Gebre – Medhin, M.me Emily Vargas-Baron, M.me Radmila Rangelov
Jusovic e M. Gordon Porter. M.me Judith Evans è stata designata alla funzione di
relatrice.
Nelle sessioni plenarie del primo giorno, i partecipanti si sono presentati
personalmente e hanno presentato le organizzazioni alle quali appartenevano, e
basandosi sulla loro esperienza professionale hanno trattato dei problemi in rapporto
con l’oggetto del consulto. M.me Lena Saleh, del Segretariato, ha fornito una breve
comunicazione sul programma dello UNESCO in materia di bisogni educativi speciali
e sulla situazione attuale nel mondo per le persone che soffrono di handicaps e di
difficoltà di apprendimento. Ha ricordato i grandi eventi del decennio trascorso che
hanno interessato e orientato l’evoluzione in questo campo, sia sul piano
internazionale che su quello nazionale.
M.me Janet Holdsworth (Regno Unito) ha presentato il documento di lavoro da lei
preparato in collaborazione con l’UNESCO. Ha sottolineato che il consulto verteva
essenzialmente sulla costituzione di servizi appropriati, e non sui bisogni di gruppi
particolari di bambini. Ha ricordato che l’esperienza quotidiana dei bambini conta di
più delle visite periodiche di specialisti e che, di conseguenza, i servizi educativi per la
prima infanzia sono un fattore importante di sviluppo sociale ed educativo dei bambini
che hanno dei bisogni speciali.
M.me Judith Evans, del “Consultative Groupe on Early Ghildhood and Development”
[Gruppo consultivo sullo sviluppo e la protezione della prima infanzia] ha messo in
luce i principali insegnamenti risultanti dagli studi di casi. Questi ultimi presentano
differenti modelli di integrazione, che variano per quanto concerne: la ripartizione
delle responsabilità tra i differenti settori; la misura nella quale i governi, le
organizzazioni non governative (ONG) e la comunità partecipano all’offerta di servizi
e ne assicurano la supervisione; i modi di collaborazione; il grado di partecipazione dei
genitori; la presa in considerazione della cultura locale nella messa a punto
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dell’intervento; l’organizzazione e la gestione dei programmi d’integrazione.
Nell’insieme, i casi studiati permettono di trarre delle lezioni utili rispetto allo
sviluppo dei programmi d’integrazione.
Dopo le esposizioni iniziali, il consulto ha proseguito i suoi lavori con delle
comunicazioni dei partecipanti su certi problemi, seguite da discussioni in gruppi e in
seduta plenaria (cf. Allegato II: Ordine del giorno).
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I campi d’azione
L’apprendimento comincia alla nascita. Questa semplice verità permette di pensare
che le cure da dare ai bambini il loro sviluppo e la loro educazione dalla nascita (e
persino dal concepimento) sono importanti per tutti i bambini. Questa presa di
coscienza si è tradotta nella creazione di tutta una serie di programmi destinati alla
prima infanzia. Alcuni di loro erano destinati in parte a dei bambini con dei bisogni
speciali. Nei paesi ricchi, una volta identificati i bambini con dei bisogni speciali, si è
risposto a questi bisogni con dei programmi specializzati. Durante questi ultimi anni,
le modalità dell’aiuto d’apportare a questi bambini sono state ridefinite.
Si è messo in risalto che tutti i bambini hanno un contributo d’apportare alla società,
anche se apprendono differentemente e a dei ritmi differenti. Tutti i bambini hanno il
diritto di venire compresi nei servizi ordinari. La Dichiarazione e il Quadro d’azione di
Salamanca raccomandano il concetto di servizi secondo delle modalità che permettano
a tutti i bambini di partecipare e di dischiudere le proprie potenzialità [“de
s’épanouir”].
La maggiore avanzata nella situazione delle persone handicappate è avvenuta alla fine
degli anni ’70. Sino a quel momento, i bambini con dei bisogni speciali erano separati
dagli altri. Si è allora prodotto un riorientamento, e i bambini con dei bisogni speciali
sono stati messi nelle stesse scuole degli altri, ma in classi separate. A partire da allora,
sono stati “demarginalizzati” (ossia sono stati integrati nelle classi e nei servizi
esistenti). L’integrazione comincia col bambino e si sforza d’inserire il bambino nel
sistema esistente.
L’innovazione più recente è consistita nel promuovere il concetto di inclusione; una
politica e un processo che permettano a TUTTI i bambini di partecipare a TUTTI i
programmi. Il processo d’inclusione implica una focalizzazione sul sistema che
bisogna rendere accogliente a tutti. Per i bambini con dei bisogni speciali, l’inclusione
implica un riorientamento dei servizi, che devono passare dalle cure all’educazione e
allo sviluppo individuale. Essa si fonda su una presa di coscienza delle capacità e del
potenziale che hanno tutti i bambini di svilupparsi, se l’ambiente tiene conto dei loro
bisogni.
Una serie di dichiarazioni internazionali hanno contribuito a precisare le idee attuali
sull’inclusione, considerata come un mezzo d’occuparsi dei bambini con dei bisogni
speciali. Il millenovecentottantuno [1981] era stato l’Anno internazionale delle
persone handicappate. Ha segnato una svolta decisiva nella sensibilizzazione ai
problemi incontrati dalle persone handicappate, ed è stata prolungata col Decennio per
gli handicappati (1982-1993). Delle dichiarazioni internazionali più generali hanno
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contribuito a promuovere i diritti di tutti i bambini. Tra questi strumenti, figura la
Convenzione relativa ai diritti del bambino adottata nel 1989.
L’articolo 2 stipula che tutti i diritti devono venire garantiti a tutti i bambini, senza
nessuna distinzione, indipendentemente particolarmente da ogni considerazione
d’incapacità.
L’articolo 23 proclama che i bambini mentalmente o fisicamente handicappati devono
condurre una vita piena e decente, in condizioni che favoriscano la loro autonomia e
facilitino la loro partecipazione attiva alla vita della collettività. Dispone ugualmente
che i bambini handicappati abbiano il diritto di beneficiare di cure speciali, d’avere
accesso all’educazione, alla formazione, alle cure di salute, alla rieducazione, alla
preparazione all’impiego e alle attività ricreative; tutti questi servizi dovrebbero venire
concepiti in modo d’assicurare ai bambini “un’integrazione sociale la più completa
possibile e il loro dispiegamento personale, anche in campo culturale e spirituale”.
La Conferenza mondiale sull’educazione per tutti, che si è tenuta nel 1990, ha adottato
il Quadro d’azione per rispondere ai bisogni educativi fondamentali. Ha riaffermato
che tutti i bambini dovrebbero avere accesso all’educazione di base, come
raccomandato dalla Convenzione relativa ai diritti del bambino. Il paragrafo 8 del
Quadro d’azione fa appello all’ “espansione delle attività di protezione e stimolo della
prima infanzia, anche agli interventi a livello familiare o comunitario, particolarmente
a favore dei bambini poveri, svantaggiati e handicappati”.
Nel 1993, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato le Regole per
l’equiparazione delle possibilità degli handicappati. Un’altra iniziativa principale ha
fatto seguire con la Dichiarazione e il Quadro d’azione di Salamanca, tendente a
rispondere ai bisogni educativi speciali: accesso e qualità. Questa conferenza, tenuta in
Spagna nel 1994, ha esortato tutti i governi a:
• “Dare l’ordine di priorità più elevato, nelle loro politiche e nei loro bilanci
preventivi, al miglioramento dei loro sistemi educativi, affinché possano accogliere
tutti i bambini, indipendentemente dalle differenze e difficoltà individuali;
• adottare, come legge o politica, il principio dell’educazione integrata, accogliendo
tutti i bambini nelle scuole ordinarie, a meno che non vi si oppongano delle ragioni
imprescindibili”.
Dichiarazione di Salamanca, paragrafo 3.
Esiste dunque chiaramente un mandato approvato dalla comunità internazionale per
creare dei programmi comprensivi, destinati ai bambini con dei bisogni speciali, e per
applicare questi programmi ai bambini dalla loro nascita. Il problema sollevato dalle
iniziative sopra menzionate è tradurre i principi-guida e le raccomandazioni in azione.
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Al giorno d’oggi, i sistemi educativi in tutto il mondo sono confrontati al compito
consistente nel creare delle comunità educative comprensive, nel tener conto della
diversità della popolazione scolare, e nel sforzarsi di rispondere ai bisogni di tutti i
bambini nella stessa struttura. Il problema è sapere come fare progredire l’inclusione
in materia di cure e d’educazione della prima infanzia.
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Le questioni da esaminare
Durante il Consulto, un certo numero di questioni-chiave sono state affrontate. Hanno
servito da base per le sessioni plenarie, per le esposizioni, per i dibattiti, per i gruppi di
lavoro ristretti e, in seguito, per le conclusioni e le raccomandazioni che sono state
sottoposte. Tali questioni sono:
1. Quali sono i principali ostacoli alla fornitura di servizi appropriati per i bambini
con dei bisogni speciali?
Nella sua esposizione iniziale, M.me Holdsworth ha rievocato certe tendenze che
creano degli ostacoli e impediscono di fornire un’educazione ai bambini piccoli con
dei bisogni speciali; si tratta di:
• la pratica consistente nell’aspettare che i bambini “ricuperino” prima di poter
avanzare nel sistema;
• l’idea falsa secondo la quale certi bambini non possono imparare;
• le pressioni crescenti in numerosi paesi per trasformare gli istituti prescolari in
scuole elementari, e la pressione – connessa alla precedente – tendente a fare
cominciare l’insegnamento formale a un’età più precoce;
• la predominanza del “modello dell’handicap mentale” nella definizione di ciò di cui
i bambini hanno bisogno;
• la mancanza di strumenti e di tecniche di valutazione appropriati;
• la mancanza di servizi destinati alla prima infanzia per la maggior parte dei bambini
in tutto il mondo;
• la mancanza di risorse destinate all’elaborazione di programmi comprensivi.
Siccome il Consulto non era in grado di trattare tutti questi temi, un certo numero di
loro sono stati discussi e sono state formulate delle raccomandazioni in merito.
2. Come fare figurare all’ordine del giorno i bambini con dei bisogni speciali?
Tale questione trova una prima risposta nella presa di coscienza del problema. Gli
scambi di idee e gli studi di casi mostrano che se si vogliono elaborare dei programmi
durevoli, è necessario suscitare questa presa di coscienza. Bisogna difendere la causa
dei bambini con dei bisogni speciali. Il pubblico deve sapere che tutti i bambini hanno
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il diritto d’aver accesso all’aiuto per favorire una crescita e uno sviluppo sani, quale
che sia il loro punto di partenza in materia di conoscenze, di competenze e di capacità.
Gli argomenti in favore dell’attenzione da accordare ai bambini con dei bisogni
speciali possono basarsi su varie considerazioni. Per esempio, certuni fanno appello ai
lavori di [alcuni] ricercatori per difendere la tesi dei servizi comprensivi. In altri casi,
sono le dichiarazioni internazionali, e l’approvazione che i governi le danno, che
sembrano motivare l’elaborazione di programmi comprensivi.
Gli organismi donatori internazionali giocano ugualmente un ruolo importante in
collaborazione con i governi, per mettere a punto dei programmi destinati ai bambini
con dei bisogni speciali.
In altri casi ancora, è la posizione presa dai genitori che costringe i governi a prendere
in considerazione i bisogni di tutti i bambini. La scelta dell’inclusione può risultare
anche da vincoli finanziari e dall’idea che i programmi comprensivi sono meno costosi
dei servizi specializzati. Sono tante le considerazioni che, prese isolatamente (o
insieme), possono intervenire per giustificare l’elaborazione di programmi
comprensivi e influirvi.
È importante riconoscere che se la presa di coscienza nasce dalla conoscenza e
dall’informazione, essa presuppone ugualmente degli atteggiamenti. Gli atteggiamenti
determinano la maniera nella quale l’informazione viene percepita. In realtà gli
argomenti in favore dell’educazione speciale sono spesso politici e emozionali
piuttosto che razionali.
La ricerca mostra il valore di una programmazione comprensiva per tutti i bambini
interessati, ma è raro che vi si faccia riferimento per fare prevalere il concetto. È
necessario fare appello a delle strategie differenti per convincere dei pubblici
diversificati sulla importanza che tutti i bambini abbiano accesso alle risorse.
3. Qual è il ruolo delle politiche per assicurare la pertinenza della programmazione
destinata ai bambini con dei bisogni speciali?
I paesi dovrebbero elaborare delle loro proprie politiche dell’infanzia, della famiglia e
dell’educazione in funzione della cultura e dei bisogni nazionali, pur tenendo conto
delle iniziative internazionali. Le comunicazioni fatte al Consulto internazionale
sull’educazione della prima infanzia e i bisogni educativi speciali (Parigi, 1997)
evidenziano che le politiche attuate per rispondere ai bisogni dei bambini piccoli e
delle loro famiglie variano da un paese all'altro. Per determinare se esistono delle
politiche soddisfacenti, possiamo cominciare con l’esaminare i piani d’azione
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nazionali presentati dalla maggior parte dei paesi. È importante inoltre esaminare le
politiche in vigore nei differenti settori. Al momento attuale, diversi ministeri
s’occupano dei bambini con dei bisogni speciali. Spesso i primi anni dell’infanzia
rientrano nella competenza dei ministeri incaricati dalla sanità [pubblica], dei servizi
sociali o della protezione sociale. Tuttavia, siccome i bambini hanno diritto
all’istruzione, il Ministero dell’educazione dovrebbe giocare un ruolo decisivo dalla
nascita.
Si osservano due tendenze nella elaborazione delle politiche (1). Può succedere che il
movimento in favore dell’elaborazione di una politica nasca alla base; le
organizzazioni di genitori esercitano spesso una pressione attiva per reclamare delle
politiche e dei servizi appropriati (2). Il governo può ugualmente prendere l’iniziativa.
Si menzionerò l’esempio della Uganda, dove il Presidente ha recentemente dichiarato
che avrebbe concesso la gratuità dell’istruzione per quattro bambini per ogni famiglia,
e che la priorità sarebbe accordata ai bambini handicappati. Dall’oggi al domani, c’è
un riorientamento dei servizi forniti, e si è passati dalle classi speciali ai programmi
comprensivi. (Più di 30.000 bambini con dei bisogni speciali hanno beneficiato di
questi programmi nel 1997).
Su scala nazionale, la politica generale comprende delle dichiarazioni di intenti.
Comunque, l’esistenza di politiche non garantisce che queste verranno messe in atto.
La messa in atto è una tappa distinta. Numerosi governi hanno fatto delle dichiarazioni
secondo le quali i bambini con dei bisogni speciali dovrebbero beneficiare di servizi,
ma non esistono dei dispositivi per dare concretezza a questi intenti. La messa in opera
richiede una definizione delle strategie, delle responsabilità e delle risorse che
superano quanto specificato da tali politiche. Quando si arriva allo stadio della messa
in atto, le cose ci mettono tanto più tempo a concretizzarsi, quanto più sono complesse.
La rapidità e l’estensione dei servizi che possono essere offerti dipendono pure dalla
consistenza del finanziamento disponibile.
Il livello al quale si esercita il controllo differisce secondo i governi. Per il passato, le
amministrazioni erano centralizzate, ma oggi s’insiste molto sulla decentralizzazione.
In questo caso, il governo nazionale fissa le direttive e un quadro d’azione; spetta
allora a ciascun distretto, regione o municipalità di mettere in atto i programmi
secondo le risorse e i bisogni locali. La decentralizzazione ha delle ripercussioni sulla
regolamentazione, il seguito e la supervisione.
4. Quali sono i settori che devono intervenire nell’elaborazione e la messa in atto di
una programmazione comprensiva?
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Lo sviluppo dei bambini è olistico. Ciò significa che la salute e l’alimentazione del
bambino e il suo sviluppo cognitivo, sociale e affettivo dipendono l’uno dall’altro; non
potrebbero venire separati e trattati isolatamente. Comunque, per i bambini con dei
bisogni speciali, è storicamente il settore medico [quello] che ha preso l’iniziativa e
che ha contribuito di più a definire quanto si doveva fare per questi bambini e a agire
in loro favore; ma con il cambiamento delle mentalità e del modo di fornitura dei
servizi, i settori dell’educazione e dei servizi sociali sono venuti a assumere più
attivamente la loro parte di responsabilità in uno sforzo integrato di collaborazione.
Ciò nondimeno, la professione medica continua a assicurare la sopravvivenza dei
bambini, che resta il fattore decisivo in numerose aree del mondo. Una volta che sia
assicurata la sopravvivenza del bambino, il ruolo dei professionisti della salute è di
ridurre il numero dei bambini con dei bisogni speciali (cioè d’evitare che subiscano
delle menomazioni). Questo compito consistente nell’evitare le menomazioni può e
(dovrebbe) fare intervenire delle persone provenienti da vari settori. Tanto più
l’intervento è precoce, quante più sono le possibilità d’evitare che lo sviluppo del
bambino sia ritardato o compromesso.
Così, una volta che sia assicurata la sopravvivenza del bambino, una gamma più ampia
di settori dovrebbe concorrere alla promozione dello sviluppo olistico del bambino.
Man mano che i bisogni olistici del bambino sono stati meglio compresi, una parte
crescente delle responsabilità dei poteri pubblici è stata affidata ai settori dei servizi
sociali e dell’istruzione, per fornire dei servizi ai bambini con dei bisogni speciali. Ciò
esige un’armonizzazione delle partnerships e una collaborazione all’interno dei settori
e tra i settori, affinché si risponda ai bisogni dei bambini.
5. Cosa significa l’esistenza di una cooperazione/collaborazione e di partnerships tra
i settori e tra le organizzazioni non governative (ONG) e il governo?
Come è stato notato, per elaborare dei programmi rispondenti ai bisogni olistici dei
bambini piccoli, è importante fornire dei servizi di sostegno in materia di salute,
alimentazione, protezione sociale ed educazione. Nessun ministero, organismo o
agenzia (donatore, [organismo] bilaterale, Nazioni Unite o organizzazione
internazionale non governativa) non potrebbe da solo occuparsi della gamma completa
dei servizi da fornire.
La collaborazione non è una cosa facile. Si scontra con un certo numero di fattori, tra i
quali figurano:
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• la definizione attuale del ruolo degli organismi, che limita i tipi di servizi
suscettibili di venire offerti;
• la filosofia dell’organismo – l’approccio medico mira alla guarigione, mentre
l’educazione s’interessa al processo;
• il finanziamento – i fondi sono forniti per assicurare dei servizi, ma lo sono soltanto
per il tempo necessario all’avvio dei processi di collaborazione che fanno parte
della pianificazione e della fornitura dei servizi compresi;
• i resoconti da rendere – non si riconosce il valore del lavoro fornito in materia di
collaborazione tra organizzazioni;
• la riduzione del finanziamento – quando più servizi si associano, si riducono i fondi
anche se il ventaglio delle prestazioni si è ampliato;
• la motivazione – non ci sono incentivi finanziari o personali alla collaborazione e
all’integrazione dei servizi.
Nel corso del Consulto sono stati avanzati dei suggerimenti sulla maniera di costituire
delle partnerships, e sono stati menzionati esempi di diversi paesi.
6. Quali sono i fattori che contribuiscono a determinare la natura dei servizi da
fornire?
I fattori che influiscono sulla natura dei servizi forniti comprendono particolarmente:
• la presa di coscienza nella popolazione [dei diritti] dei bambini con dei bisogni
speciali, e anche le convinzioni e gli atteggiamenti relativamente al sostegno di cui
dovrebbero beneficiare questi bambini;
• la maniera nella quale il governo definisce il suo ruolo nella prestazione dei servizi;
• la misura nella quale ci sono degli specialisti disponibili;
• le risorse disponibili che sono state destinate al sostegno di programmi speciali;
• l’ampiezza dei dispositivi già operanti per il lavoro con dei bambini che hanno dei
bisogni speciali;
• le tradizioni del paese, che determinano la misura in cui i bambini con dei bisogni
speciali fanno parte della comunità.
Per esempio, nei paesi ricchi esistono numerosi specialisti che sono stati tutti formati
per occuparsi di uno degli aspetti dello sviluppo del bambino. Le risorse che
permettono a certi paesi di progredire sempre più nella via della specializzazione
possono essere dannose per l’inclusione; tanto più ci sono delle specializzazioni,
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quanto più le “terapie” applicate al bambino sono dissociate. Questo modello di
prestazione (la terapia dissociata) è stato adottato in diversi contesti. Al giorno d’oggi,
questo approccio individuale sta cambiando, in gran parte perché ci si è resi conto che
il modello consistente nel fornire dei servizi isolati ha un carattere limitativi ed è molto
costoso.
Quando i bambini beneficiano di servizi in strutture separate, i professionisti hanno
una funzione ben definita; forniscono il servizio. Con la tendenza al recupero
dall’emarginazione [“la démarginalisation”] e all’inclusione, il ruolo del professionista
si è evoluto verso una partnership con i genitori (o altri dispensatori di cure) e/o con gli
insegnanti responsabili delle attività del bambino.
7. Cosa significa lo sviluppo di una partnership tra gli specialisti/professionisti e i
genitori?
È stato affermato durante il Consulto che sono innanzi tutto le famiglie che decidono a
nome del bambino. In certi paesi, esistono dei professionisti formati per diagnosticare
lo stato del bambino e fornire dei servizi specializzati. Questi professionisti sono
disponibili per collaborare con i genitori all’elaborazione dei programmi comprensivi.
La questione sollevata nel corso del Consulto era: come lavorano insieme i
professionisti e i genitori per determinare ciò che serve di più all'interesse del
bambino?
Gli studi di casa esaminati prima che fosse tenuto il Consulto rivelano che, in pratica,
non esiste uniformità di vedute sulla maniera in cui i genitori dovrebbero partecipare ai
programmi destinati ai bambini con dei bisogni speciali. Negli studi di casi, il grado di
partnership tra i professionisti e i genitori si presentava come “un continuum”. A una
estremità del continuum, si trovava l’atteggiamento secondo il quale è al professionista
che spetta il compito di pronunciarsi sui bisogni del bambino e di fornire i servizi
voluti; i genitori non partecipano al processo.
La tappa successiva del continuum è quella dove si considera che i genitori sono
importanti, perché vigilano che i servizi vengano effettivamente forniti. Viene
insegnato ai genitori quello che bisogna fare; ai professionisti spetta definire ciò che
deve essere fatto. Progredendo in questo continuum, si trova la situazione nella quale i
genitori sono coinvolti nella discussione sulla sorte del bambino. Nella tappa seguente,
i genitori diventano le persone a cui spetta decidere [“les décideurs”] e determinano i
servizi dei quali il bambino beneficia. Infine l’ultima tappa: in gran parte dei paesi in
via di sviluppo dove vengono attualmente creati dei programmi su base comunitaria,
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incombe quasi per intero ai genitori (e alla comunità) il compito di costituire e fornire i
servizi.
Durante il Consulto è stata espressa l’idea che è necessario stabilire delle partnerships
tra i professionisti e i genitori, quale che sia l’ampiezza e la competenza professionale
disponibile nella comunità e/o nel paese. I problemi specifici sollevati dalle
partnerships e che sono stati discussi nel corso del Consulto, erano in relazione con i
seguenti punti:
• I rapporti che i genitori e i professionisti hanno col bambino
Per i genitori, questo bambino rappresenta una realtà quotidiana e un impegno per tutta
la vita. Il traumatismo che rappresenta un bambino con dei bisogni speciali non finisce
mai per la famiglia. Le preoccupazioni familiari superano il quadro della prestazione
di un dato servizio. I professionisti, da parte loro, lavorano seguendo un insieme di
regole e metodi. Hanno a che fare con uno dei tanti bambini che beneficiano di un
certo servizio. La/Il professionista vuole semplicemente adempiere al proprio lavoro.
Anche il ritmo è molto differente per i genitori e per i professionisti, così come sono
molto differenti i livelli d’impegno per rispondere ai bisogni del bambino.
• Non perdere mai di vista ciò che serve di più all’interesse del bambino
Talvolta ci può essere una lotta accanita tra il genitore e il professionista, perché hanno
delle percezioni differenti su quello che va bene per il bambino. Quando ci sono dei
disaccordi, questi possono provocare dei ritardi e/o degli interventi inopportuni, tutti
potenzialmente dannosi per lo sviluppo del bambino.
• La posizione presa dallo Stato per la prestazione di servizi
Quando i poteri pubblici hanno adottato una posizione a nome del bambino, il
professionista è tenuto a conformarsi alle direttive ufficiali.
I professionisti possono pure avere l’obbligo legale di fare un rapporto quando lo stato
del bambino non è sufficiente. Se è vero che i professionisti devono rispondere dei
loro atti, non hanno il diritto d’utilizzare la legge per intimidire i genitori.
• L’equilibrio dei poteri tra i genitori e i professionisti
I professionisti hanno un potere perché hanno delle conoscenze e delle competenze per
rispondere ai bisogni del bambino. Hanno ugualmente un potere perché la loro
posizione all’interno del sistema li abilita a accordare (o a rifiutare) dei servizi.
Tuttavia, sono i genitori che hanno l’ultima parola per decidere a nome del bambino.
Per esercitare questo ruolo hanno bisogno di conoscenze e di fiducia in se stessi.
18
• La natura dell’informazione e della formazione fornite alle famiglie
È stato sottolineato che, per prendere delle decisioni appropriate, la famiglia ha
bisogno d’informazioni esatte e intelligibili. Inoltre, i genitori possono aver bisogno di
una formazione per sapere come porre le domande giuste e come diventare dei validi
interlocutori [“des négociateurs”] nei loro colloqui con i numerosi professionisti che
incontrano. L’informazione e la formazione contribuiscono a riequilibrare i poteri a
vantaggio dei genitori rispetto ai professionisti.
• Le categorie socioeconomiche dalle quali provengono i professionisti e i genitori
Talvolta i professionisti sono di un livello socioculturale (o di un gruppo etnico)
differente da quello dei genitori. Può succedere allora che i due gruppi abbiano delle
concezioni fondamentalmente differenti della vita, e delle opinioni e degli
atteggiamenti differenti sull’educazione dei bambini. Tanto più si farà appello a dei
professionisti provenienti dalla stessa cultura della famiglia, quanto più ci sarà
dell’armonia tra le loro concezioni e quelle dei genitori, e più grande sarà la possibilità
di trovare un “terreno d’intesa”.
• La maniera in cui i professionisti concepiscono il loro ruolo
Certi professionisti pensano di avere delle risposte a tutto. Diagnosticano la situazione
e sanno quello che si dovrebbe fare. Se i genitori devono veramente essere dei partners
per la presa di decisioni relative al benessere del bambino, bisogna allora che il
professionista sia un mediatore, in modo da facilitare e permettere un dialogo
costruttivo tra tutti gli interessati.
• Riconoscimento della specificità del ruolo dei professionisti e del ruolo dei genitori
Un approccio fondato sulla collaborazione e il mutuo sostegno non significa che il
ruolo e il sapere dei genitori e quello dei professionisti dovrebbero confondersi. Una
dialettica tra i genitori e i professionisti è necessaria per realizzare dei progressi.
• Dove e come i servizi sono forniti
La partecipazione di numerosi settori alla prestazione dei servizi (medici, educativi,
sociali) può comportare che i genitori debbano cooperare con molteplici
amministrazioni. Questa situazione è spesso sconcertante, e succede che i genitori
ricevono dei messaggi apparentemente contraddittori. Al Consulto internazionale
sull’educazione della prima infanzia e i bisogni educativi speciali, sono stati forniti
19
degli esempi di sistemi di prestazione di servizi integrati, nei quali le famiglie hanno
nella comunità un “contatto” unico, che le informa dei servizi appropriati.
•
• La natura dei servizi
Degli specialisti possono intervenire nella vita del bambino per una durata molto
limitata. Numerosi professionisti riconoscono che la prestazione di un servizio al ritmo
di una volta alla settimana non è efficace. È quindi necessario sviluppare altri servizi
che facciano parte integrante della vita del bambino. Nel caso in esame, i programmi
destinati alla prima infanzia offrono un quadro che permette di rispondere a molti
bisogni del bambino durante gran parte della giornata.
Riassumendo, la partnership può definirsi come:
- la costruzione d’una relazione;
- l’elaborazione di un’alleanza, dove ciascun partner è libero d’agire e di decidere;
- un sostegno reciproco;
- un processo di condivisione di conoscenze ed esperienze;
- un valore aggiunto quando viene associata a un piano o a un progetto (ossia, una
partnership in vista di un obbiettivo, per agire in favore del bambino);
- una visione comune di ciò che il bambino può diventare;
- un processo diluito nel tempo – non si tratta di una discussione o di una decisione
puntuale;
- un passo verso l’indipendenza e non un fine in sé.
8. Qual è il ruolo della valutazione? Cosa significa la valutazione dei bisogni di un
bambino?
La valutazione è stata l’oggetto di diverse esposizioni e ha costituito il tema centrale
delle discussioni nel gruppo di lavoro. Innanzi tutto, questo gruppo ha giudicato
necessario fare una distinzione tra “valutazione” e “selezione”. Valutazione è il
termine più appropriato quando bisognerebbe valutare tutti i bambini a un certo stadio,
al fine di determinare i loro bisogni individuali. La selezione, invece, serve a
suddividere i bambini secondo un dato criterio. La selezione può avere il risultato di
rifiutare l’accesso a dei bambini che non soddisfano le condizioni volute, quale che sia
la maniera in cui i bambini vengono definiti nella situazione considerata. La selezione
può avere ugualmente altre conseguenze:
20
• La selezione è un mezzo per catalogare i bambini e classificarli in categorie. Ciò
aumenta l’offerta di servizi frammentati e incoraggia una superspecializzazione. È
così che l’ergoterapia s’interessa allo sviluppo motorio specifico, mentre invece lo
sviluppo motorio generale compete alla fisioterapia, ecc…;
• Le selezione fraziona lo sviluppo dei bambini in elementi apparentemente senza
rapporto gli uni con gli altri, che vengono poi utilizzati come il contenuto della
“rieducazione” e come la base per l’organizzazione delle attività del bambino;
• La selezione rischia d’indurre in errore le famiglie e altri. Se la selezione insiste su
ciò che il bambino non può fare, i genitori e altri dispensatori di cure terranno conto
di questi deficits per definire il bambino, invece di percepirlo in una prospettiva
olistica che si sforzi di determinare i punti forti del bambino e anche le sfide che
dovrà raccogliere.
La valutazione è complessa, ma è importante per l’elaborazione di programmi
comprensivi. È necessaria per aiutare i genitori e i dispensatori di cure a prevedere le
attività appropriate e a stimare lo sviluppo del bambino.
I problemi collegati alla valutazione, affrontati nelle esposizioni e durante i dibattiti in
seduta plenaria, sono i seguenti:
- Quali sono le informazioni di cui i genitori, i dispensatori di cure e gli insegnanti
hanno bisogno per facilitare lo sviluppo del bambino?
- Chi dovrebbe procedere alla valutazione? Il ricorso a dei professionisti è oneroso e,
in molti posti, sono poco numerosi. Il ricorso a degli operatori comunitari richiede
più tempo, e la loro formazione è decisiva.
- Quali tipi di valutazione si dovrebbero praticare e in quale momento? Se vogliamo
che degli insegnanti si facciano carico della valutazione, quali procedure possiamo
utilizzare? È necessario avere dei procedimenti che possano venire utilizzati in
maniera affidabile da persone poco istruite.
- Secondo quale processo i risultati dovrebbero essere trasferiti da un contesto
all’altro?
- Quale dovrebbe essere il campo delle valutazioni? Stiamo per utilizzare delle
valutazioni semplici ma rudimentali, oppure delle valutazioni più dettagliate, che
richiedono più tempo e formazione – come, per esempio, il modello di Portage, che
come minimo ha bisogno di due settimane?
Una comunicazione su un metodo d’analisi degli strumenti di valutazione è stata
presentata.
Sono state sollevate le seguenti questioni a proposito di ciascun strumento:
21
-
Quali sono i concetti sottoposti a test?
Quali sono le ipotesi di coloro che hanno elaborato il test?
Lo strumento si presta a una stimolazione? Detto in altri termini, lo si può
utilizzare come mezzo d’intervento?
I dibattiti che sono seguiti alla comunicazione hanno dato luogo a altre domande:
- Lo strumento è collegato al programma utilizzato?
- Lo strumento è collegato a un processo di formazione?
- Lo strumento di valutazione può venire utilizzato nel quadro di un’analisi più
ampia della situazione nel paese?
- I risultati possono essere utilizzati per una pianificazione nazionale?
- Come si può [fare per] collegare meglio la valutazione a delle attività appropriate?
Dei partecipanti al Consulto hanno stimato che certi strumenti potevano venire adattati
nei differenti paesi. (L’O.M.S. ha pubblicato, per esempio, “Play Activities for
Disabled Children” [attività ludiche per bambini disabili], che comprende una lista di
controllo delle capacità dei bambini e delle attività proposte3). Si è richiesto che delle
risorse vengano consacrate all’esame e all’analisi di strumenti per guidare le persone
alla ricerca di mezzi [d’intervento] appropriati.
3
«Malette pédagogique pour le parent d’un enfant handicapé – Activités récréatives» dans «Aider les personnes
handicapées là où elles vivent» de E. Helander, P. Mendis, G. Nelson et A. Goerdt. Organisation Mondiale de la
Santé, 1989.
22
Principi di valutazione
La valutazione si giustifica per differenti ragioni. Tenendo conto di ciò e della
diversità delle persone che partecipano al processo di valutazione, sono necessarie
differenti strategie. Nondimeno, sembra che certi principi generali possano applicarsi a
diverse situazioni. A partire dalle esposizioni e dai dibattiti, sono stati presentati i
seguenti principi:
• un’idea precisa della ragione per la quale si procede alla valutazione. In certi casi, la
valutazione fa parte delle “condizioni da soddisfare” per determinare l’ammissibilità
del bambino al servizio considerato. Un tale approccio conduce all’esclusione e non
all’inclusione. In una programmazione comprensiva, la valutazione è realizzata in
vista della creazione di un programma e delle attività per tutti i bambini;
• la valutazione è un processo continuo e implica la capacità d’osservare, d’annotare,
d’interpretare e di pianificare;
• la validità della valutazione dipende dalla capacità di coloro che la praticano a
interpretare i risultati e a fare una pianificazione in modo appropriato; la valutazione
fatta al solo fine “d’effettuare un test” ha poca utilità e spreca le risorse;
• la valutazione dovrebbe contribuire a demistificare l’ “handicap” del bambino;
• quando si opta per l’inclusione, bisogna tener conto della diversità nel contesto
dato. È anche importante partire dal principio che è necessario valutare lo sviluppo
di ogni bambino;
• i genitori dovrebbero venire coinvolti nel processo di valutazione. Ciò non significa
che essi stessi dovrebbero praticare la valutazione, ma dovrebbero comprendere il
processo e parteciparvi al livello nel quale si sentono a proprio agio. (Si è fornito
l’esempio di una versione per immagini del test di determinazione dello sviluppo di
Denver, destinato a venire utilizzato dalle madri. I risultati sono stati più affidabili
di quelli della valutazione fatta dai professionisti);
• cominciare da ciò che i genitori sanno del bambino. Cosa hanno osservato nel suo
comportamento? Se [è vero che] i genitori non sono sempre gli osservatori più
obbiettivi dei loro bambini, sono al loro fianco in molteplici situazioni e passano
con loro parecchio tempo. Sono dunque nella migliore posizione possibile per
fornire delle informazioni su quello che il bambino è capace e non è capace di fare;
• la valutazione dovrebbe essere fatta là dove il bambino si sente di più a proprio
agio. Nella misura del possibile, dovrebbe venire condotta nell’ambiente naturale
del bambino - per esempio, a casa e/o all’asilo-nido;
• la valutazione dovrebbe comportare la raccolta di dati provenienti da differenti
fonti. Non è ragionevole affidarsi a un unico strumento, in un unico contesto, se si
23
•
•
•
•
•
vuole ottenere una valutazione veritiera delle capacità e delle conoscenze del
bambino;
nella valutazione, bisogna fare intervenire gli elementi che permettono di valutare
tutti gli aspetti dello sviluppo del bambino e d’osservarlo nel suo ambiente
familiare; una buona valutazione potrebbe, per esempio, basarsi sui seguenti
elementi:
l’interazione dispensatore di cure/bambino – che cosa è naturale nell’ambiente
familiare?
la motivazione del bambino – che cosa spinge il bambino a voler fare qualcosa?
Quali sono le ricompense per questo bambino?
la risoluzione di problemi – come fa il bambino per trovare delle soluzioni? Come
attira l’attenzione?
gli adattamenti – come gestisce il bambino il proprio handicap?
le reazioni in presenza di persone e ambienti diversi – come reagisce il bambino in
contesti differenti e con delle persone differenti?
La socievolezza – come si comporta il bambino con i suoi pari?
La valutazione dovrebbe comportare un inventario ecologico o ambientale fondato
su degli elementi funzionali, cioè dovrebbe avere luogo in modo da valutare il
bambino nei suoi rapporti con le cose che, nella cultura considerata, i bambini fanno
nella loro vita quotidiana:
i compiti (lavorare con la madre o il dispensatore di cure, lavarsi le mani);
le attività (cantare, giocare con dei compagni);
la routine (l’ora dei pasti, l’ora nella quale va a dormire);
basare la valutazione sui punti forti del bambino, invece di mettere in evidenza e
catalogare solamente ciò che il bambino non sa fare;
creare per il bambino delle attività miranti particolarmente a sfruttare i suoi punti
forti, e anche delle attività destinate a rafforzare le sue capacità in campi ben
definiti:
cosa deve fare differentemente il bambino per [poter] partecipare pienamente?
Quali sono le attività che contribuiscono a “insegnare” al bambino?
Utilizzare il processo di valutazione per informare la gente sui bisogni del bambino
in materia di sviluppo. Il processo consistente nel formare delle persone all’utilizzo
di uno strumento di valutazione può essere istruttivo, poiché gli fa prendere
coscienza del genere di cose che dovrebbero sapere riguardo allo sviluppo dei
bambini. Il processo di valutazione dovrebbe venire utilizzato come uno strumento
di formazione.
24
9. Quali principi dovrebbero venire osservati nell’elaborazione di un programma
comprensivo?
a) Cominciare là dove sono i genitori/le famiglie
Uno dei principi-chiave per l’elaborazione dei programmi è di cominciare a partire da
ciò che la gente conosce e fa. In questo modo, i genitori vedono che hanno qualcosa
d’utile d’apportare al processo, e in particolare:
- cominciare con le domande e le preoccupazioni dei genitori;
- giovarsi della percezione attuale dei genitori – qual è secondo loro il problema?
- lasciare ai genitori il tempo di affrontare progressivamente le domande;
- aiutare i genitori a adottare una visione a lungo termine. Il servizio immediato può
offrire una soluzione che darà dei buoni risultati a breve termine, ma occorre che i
bisogni a lungo termine vengano ugualmente presi in considerazione nel processo
di pianificazione.
b) Appoggiarsi sulla cultura e le tradizioni locali
Quando si creano dei nuovi programmi, è importante comprendere le pratiche
tradizionali d’educazione dei bambini. Diversi partecipanti hanno fornito degli esempi
della maniera nella quale la cultura influisce sullo sviluppo della programmazione. È
stata espressa l’idea che la ricerca internazionale possa fornire certi principi in materia
di programmazione, ma che non potrebbe imporre delle pratiche specifiche per
l’educazione dei bambini. Si è rilevato che in Eritrea si sta facendo un tentativo per
conciliare le tradizioni culturali con quello che viene internazionalmente accettato
come un’educazione “appropriata” da parte dei genitori, particolarmente in previsione
a quello che gli educatori saranno tenuti a fare per operare in una cultura e in
un’economia mondiali.
c) Giovarsi di ciò che la ricerca ci insegna: mettere l’accento sulle interazioni del
bambino con le altre persone del suo ambiente.
Questo principio deriva da una presa di coscienza del valore dell’interazione, della
comunicazione e della mediazione. Ci si è resi conto che le esperienze interattive sono
importanti per aiutare i bambini a svilupparsi sino al [raggiungimento del] loro
potenziale massimo. Il problema consiste nel trasformare queste esperienze in servizi.
In Danimarca, un progetto è stato elaborato sotto l’influenza delle idee nuove sul
valore e la natura delle esperienze interattive che avevano apportato i lavori di
un’antropologia la quale aveva soggiornato in Uganda negli anni ’70. Nella sua opera
25
“Infant Care and the Growth of Love” [le cure infantili e lo sviluppo dell’amore],
Mary Ainsworth (1967) concluse che le cure ai bambini in tenera età e lo sviluppo
dell’amore sono la risultante dei seguenti elementi:
- un contatto fisico frequente e durevole tra la madre e il bambino, soprattutto
durante i primi sei mesi di vita del bambino;
- l’attitudine della madre a calmare il bambino con il contatto fisico;
- la recettività delle madri ai messaggi del lattante e la loro premura a rispondervi;
- l’attitudine delle madri a fornire delle cure in armonia coi ritmi del bebè;
- l’abilità delle madri a regolare il quadro di vita del bebè in modo che lui possa
comprendere le conseguenze dei suoi atti.
I risultati dello studio sono stati riprodotti in altre culture, e studi ulteriori indicano che
diversi dispensatori di cure sono in grado di fare intervenire questi elementi nei loro
rapporti col bambino. Il messaggio fondamentale è che è importante cominciare a
lavorare presto coi genitori, per aiutarli a considerare il bambino come una persona
nella sua interezza e a percepire il suo potenziale. Sono rari i programmi che sono stati
elaborati su questa base.
Nei paesi scandinavi, esiste un movimento che incoraggia i genitori a passare più
tempo a casa col bambino e raccomandano di prestare una maggiore attenzione alle
prime interazioni dei genitori col bambino. È stato riferito di uno studio fatto in
Danimarca dove i lavori di Ainsworth e altri ricercatori sono attualmente riesaminati
per il contributo che apportano alla comprensione dei bisogni del bambino,
indipendentemente dal contesto culturale.
I principi di puericultura enunciati qui sopra sono utilizzati per aiutare i genitori a
stabilire una relazione coi lattanti molto prematuri con molteplici handicaps. In
precedenza, l’interazione dei genitori coi loro bambini cominciava quando questi
ultimi avevano da sei a otto mesi, quando smettevano di ricevere delle cure mediche. I
genitori dicevano che questa attesa era troppo lunga. Nel nuovo programma, possono
venire sin dai primi giorni e partecipare alle cure praticate al loro bambino in ospedale.
L’esperienza si è rivelata molto benefica per i genitori e i bambini.
d) Istituire un programma che rafforzi le competenze/attitudini di diversi professionisti
invece di creare una nuova categoria di “professionisti”
Storicamente, i sistemi di formazione sono stati messi in atto in numerosi paesi per
formare degli specialisti al lavoro con dei bambini che avevano dei bisogni speciali.
Come è stato osservato, questi sistemi sono più sviluppati in certi paesi che non in
altri. L’elaborazione di programmi comprensivi esige un tipo di formazione
26
professionale differente. Tuttavia, piuttosto che creare dei sistemi di formazione
interamente nuovi, è più redditizio utilizzare i sistemi esistenti dopo averli
rimaneggiati.
e) Includere dei servizi che si occupino della salute e dell’alimentazione del bambino e
del suo sviluppo cognitivo, psicosociale e affettivo
La natura olistica dello sviluppo dei bambini è stata descritta. Essendo data la
molteplicità dei bisogni del bambino, è importante che ogni programma la prenda in
considerazione. Dei servizi integrati possono nascere secondo svariate modalità.
- si può mettere l’accento sull’integrazione dei servizi già dispensati al bambino e
alla famiglia, piuttosto che sulla costituzione di una nuova organizzazione
“integrata”;
- i servizi possono venire associati per mezzo di un organismo unico che permetta
una “centralizzazione delle acquisizioni”, ossia un luogo dove i genitori possano
recarsi per informarsi sui servizi esistenti. Lavorano con un “coordinatore di
servizi” per determinare i servizi che possono rispondere meglio ai bisogni del
bambino e della famiglia (per esempio, centri d’informazione alle famiglie,
cliniche scolari, etc…)
f) Riconoscere che non esiste un’opzione unica per i sistemi di prestazione di servizi
Il servizio ideale unico non esiste. I servizi forniti al bambino risultano da una scelta
fatta nel quadro della partnership tra i genitori e i professionisti in funzione delle
risorse locali. Il processo di negoziazione diventa un meccanismo che permette di
discutere dei concetti e delle idee.
Le attività comprensive destinate alla prima infanzia possono venire offerti in quadri
differenti, e comprendono tutta una serie di elementi. Per esempio:
- propaganda e sensibilizzazione in merito al valore e ai diritti di tutti i bambini;
- contatti con le persone che hanno delle risorse (umane e finanziarie);
- educazione e responsabilizzazione dei genitori;
- servizi a domicilio;
- elaborazione di programmi che mettano i genitori in contatto tra di loro;
- elaborazione di programmi/gruppi ricreativi prescolari;
- elaborazione di piani di transizione;
- utilizzazione e promozione di scuole come centri d’educazione permanente, di
salute e di benessere;
27
-
-
formazione di personale nel campo delle cure di salute, dei servizi sociali e
dell’educazione riguardo alla prima infanzia, alla salute, allo sviluppo e
all’inclusione;
formazione di pubblici particolari su degli argomenti specializzati (valutazione,
intervento, ciclo scolare, propaganda, responsabilizzazione, stima);
cartografia della comunità (identificazione delle strutture formali e informali,
risorse e servizi).
g) Creare un servizio che sia aperto ed elastico, e possa adattarsi alla valutazione dei
bisogni
Nella maggior parte dei contesti, la creazione di programmi comprensivi è
relativamente nuova; non esistono molti modelli per la messa in atto di programmi
comprensivi efficaci. Ecco perché, man mano che dei programmi vengono elaborati,
bisogna che coloro i quali partecipano alla loro elaborazione facciano prova di
elasticità e siano disposti a sperimentare e a imparare. Se il servizio fornito è una
classe destinata alla prima infanzia, il maestro dovrà adattarsi a un’aula aperta, in
modo che sia possibile osservare i bambini. Il programma di studio dovrebbe venir
messo per iscritto, affinché coloro che fanno delle osservazioni, o chi s’interessa al
programma, possano farsi un’idea di quanto viene offerto. Dovrebbero esistere delle
possibilità di discutere sia delle attività che della metodologia, e d’operare dei
cambiamenti secondo i bisogni. I partecipanti, genitori compresi, dovrebbero riunirsi
regolarmente.
h) Dotare il programma del personale voluto; la scelta del personale è una chiave del
successo
Un personale ben formato, i cui membri si spalleggiano reciprocamente e hanno delle
competenze complementari, ha un ruolo determinante da giocare nella messa in atto di
un programma comprensivo che abbia successo. Quando si comincia un nuovo
programma, è particolarmente importante poter reclutare un personale appropriato. I
membri del gruppo di lavoro [de l’équipe”] devono venir scelti tra le persone
desiderose di coinvolgersi in un tale sforzo.
Dei genitori che hanno essi stessi un bambino con dei bisogni speciali possono
costituire una categoria di personale particolarmente efficace. I nuovi genitori possono
identificarsi rapidamente a loro e condividere le loro esperienze di metodi che
permettono di rispondere ai bisogni del bambino.
28
10. Chi dovrebbe venir formato? Qual è il tipo di formazione richiesto?
La formazione è un elemento essenziale nell’attuazione di programmi comprensivi,
che siano di qualità, per la prima infanzia. I partecipanti al Consulto hanno espresso
l’opinione che la formazione dovrebbe venire concepita e fornita a numerosi livelli. Le
questioni specifiche che sono state dibattute erano particolarmente le seguenti:
a) Chi ha bisogno di venire formato?
Tutti coloro che hanno a che fare con dei bambini con dei bisogni speciali hanno
bisogno di una formazione. È importante fornire un personale che abbia delle
conoscenze, delle competenze e degli atteggiamenti richiesti per elaborare e mettere in
atto un programma comprensivo destinato alla prima infanzia. È parimenti importante
dare una formazione alle famiglie, alla comunità, al personale amministrativo e a
coloro che formano i dispensatori di servizi, per permettergli di comprendere e di
partecipare pienamente allo sforzo. In certi casi, ciò presuppone un riciclaggio di
professionisti in esercizio. In altri casi, bisogna formare delle persone che poco dopo si
occupino di bambino con dei bisogni speciali. Non si potrebbe dare per scontato, per
esempio, che i dispensatori di cure o gli insegnanti abbiano il bagaglio di conoscenze
voluto per aprire i loro locali o i loro centri a dei bambini con dei bisogni speciali.
Anche degli insegnanti e dei dispensatori di cure molto bravi e che s’occupano della
prima infanzia hanno bisogno di un ulteriore formazione e di un sostegno per
rispondere alla diversità dei bisogni di bambini con un’ampia gamma di attitudini.
b) Qual è il tipo di formazione richiesto?
La formazione deve essere differente quando le popolazioni sono differenti. Nella
professione medica, per esempio, i generalisti hanno bisogno di una maggiore
informazione sulla crescita e lo sviluppo di un bambino normale, e anche di una
formazione sulla maniera di lavorare in partnership coi genitori. I professionisti che
forniscono dei servizi hanno bisogno di un equilibrio tra le conoscenze generali sullo
sviluppo del bambino e le conoscenze relative ai bisogni speciali. I genitori hanno
ugualmente bisogno di questo genere d’informazione, e pure di una formazione sulla
maniera di lavorare in partnership con dei professionisti. Questi ultimi hanno bisogno
di una formazione sulla maniera di collaborare con dei rappresentanti di altre
discipline. Tutti coloro che lavorano con le famiglie hanno bisogno di una formazione
sulle competenze in materia di comunicazione e di negoziazione, sulla collaborazione
e la partnership, sulla difesa delle idee, i valori e gli atteggiamenti, così come sul
rispetto della comunità locale e delle famiglie.
29
c) Chi assicura la formazione?
Dei formatori sono necessari nei differenti campi e pure a livelli differenti: per la
professione medica, per il personale educativo, per i servizi sociali e per coloro che
lavorano con dei genitori. I genitori stessi possono essere dei formatori molto efficaci.
d) Qual è l’equilibrio appropriato tra la formazione iniziale e la formazione nel corso
del processo?
Una formazione iniziale puntuale non è mai sufficiente. Se la formazione iniziale è
necessaria per inculcare le conoscenze di base (indipendentemente dal fatto che le
persone da formare siano membri della professione medica, lavoratori sociali,
insegnanti o genitori), gli interessati avranno sempre bisogno di un sostegno e di una
formazione complementari, man mano che si costituiranno un nuovo sapere e una
nuova esperienza. Ciò è particolarmente vero quando si tratta di creare dei servizi
comprensivi per la prima infanzia, dato che si tratta di un’iniziativa relativamente
nuova.
11. Come aiutare i bambini a vivere la transizione dal domicilio a un servizio (per
esempio, un programma per la prima infanzia) e da un servizio all’altro (per esempio,
da un programma per la prima infanzia alla scuola elementare)?
I bambini piccoli e le loro famiglie affrontano molteplici transizioni durante gli anni
della prima infanzia, quando passano da un settore a un altro (sanità, servizi sociali ed
educazione) e quando lasciano un ambiente per entrare in un ambiente nuovo (dal
domicilio ai servizi di cure o dai programmi per la prima infanzia alla scuola
elementare). Le famiglie rischiano di provare dello stress, dell’ansia e dei timori in
ogni transizione.
Nel corso del Consulto, sono state fatte delle raccomandazioni sulla maniera di rendere
queste transizioni meno traumatiche per coloro che vi sono coinvolti.
• Le transizioni ottimali sono quelle che sono pianificate e individualizzate. Non
potrebbero costituire l’oggetto di prescrizioni normative, giacché [le transizioni]
sono generalmente complesse.
• È importante comprendere bene che ci può essere una bassa efficacia nei periodi di
transizione (è in questo modo che i bambini possono manifestare un comportamento
regressivo).
30
• I bisogni del bambino ostacolano il decorso normale delle transizioni. In generale,
tanto più l’handicap è grave, quanto più i genitori esitano a affrontare la tappa
successiva, in particolare quando il servizio che il bambino deve lasciare è
soddisfacente.
• Bisogna instaurare un processo di comunicazione sostanziale per suscitare la fiducia
e fornire un’informazione completa (per esempio, ciò che il servizio può e non può
fare per il bambino e la famiglia). Bisogna occuparsi delle vere questioni alle quali
il bambino e la famiglia faranno fronte. Le famiglie devono avere un’idea chiara
delle implicazioni del processo [di transizione].
• Devono venire definiti degli indicatori di successo accettabili per il bambino, la
famiglia e il personale incaricato del programma.
• Le fasi di transizione devono essere identificate e pianificate.
Esse comprendono:
- La preparazione
Il volume e il tipo della preparazione richiesta dipenderanno dalla natura della
transizione, dal calendario, dalle differenze tra l’ambiente attuale e l’ambiente nuovo,
dal numero di organizzazioni/organismi coinvolti e delle risorse disponibili. È utile
compilare una lista delle domande che le famiglie possono essere portate a porre. Si
possono preparare i genitori con dei giochi di ruolo.
- La messa in atto
Man mano che il bambino è accolto nel nuovo servizio, è importante sorvegliare
strettamente quanto succede nei primi giorni. Ciò può comportare delle visite
frequenti, la condivisione di informazioni e [il fornire] un’informazione in ritorno alla
famiglia e ai servizi.
- Il controllo del proseguo
È importante assicurare un controllo sufficiente della nuova situazione, per
determinare se il programma funziona bene per il bambino e la famiglia, e se la
transizione sarebbe potuta essere gestita meglio.
Il successo durante la transizione non è che un fattore importante tra gli altri. Bisogna
occuparsi inoltre di obbiettivi a più lungo termine. È dunque importante definire degli
indicatori di successo a lungo termine appropriati per il bambino, per la famiglia, e per
il programma del quale beneficia il bambino.
12. Come fare in modo che i programmi che elaboriamo siano durevoli?
31
Se i programmi devono venire mantenuti al di là dello stadio del progetto-pilota o della
dimostrazione, devono essere prese delle misure, durante la pianificazione, per
assicurare la loro durabilità.
Inoltre, se viene previsto che il programma sarà messo in pratica in altre regioni del
paese, la fase sperimentale del progetto deve venire concepita in modo tale che gli
eventuali partners abbiano la possibilità di venire informati e di familiarizzarsi con il
progetto-pilota.
Tra i diversi fattori identificati durante il Consulto e che sono suscettibili di contribuire
a assicurare la durabilità, conviene menzionare il fatto di:
• cominciare modestamente, ma con delle grandi ambizioni;
• associarsi alla politica governativa e garantire un finanziamento sul bilancio
nazionale:
• utilizzare un processo di pianificazione strategica con la comunità, al fine
d’assicurare un processo attuativo realistico;
• trarre profitto dalle iniziative locali e costituire delle partnerships sin dall’inizio;
• definire gli obbiettivi a lungo termine e a breve termine;
• fare della durabilità uno degli obbiettivi del progetto;
• riconoscere che l’elaborazione di servizi di qualità richiede del tempo, da sei a dieci
anni;
• prevedere che i finanziatori spesso fissano delle date-limite per l’attuazione;
avranno bisogno di discutere coi pianificatori sul termine minimo richiesto per
creare un programma di qualità;
• integrare progressivamente i sistemi di sostegno (perfezionamento degli insegnanti
e del personale, formazione nel corso del processo, supervisione appropriata,
ecc…);
• giovarsi degli elementi esistenti e suscettibili di venire utilizzati; ricercarli in ambiti
molto diversificati;
• dare alle famiglie delle possibilità d’agire; le famiglie e i dispensatori di cure
devono sostenersi reciprocamente;
• anticipare i problemi di finanziamento; il risultato rischia di non poter venire
precisato nel breve termine;
• costituire sin dall’inizio dei dispositivi di collaborazione; i legami di collaborazione
devono essere stabiliti a tutti i livelli;
• fare in modo che il programma sia utile per tutti gli interessati: bambino, famiglia,
insegnanti e altri bambini;
32
• riconoscere che l’impegno sostenuto da tutte le parti coinvolte è indispensabile alla
riuscita del progetto;
• fissare degli obiettivi intermedi; i partecipanti hanno bisogno di misurare un
progresso nel breve termine, in mancanza del quale la loro motivazione rischia
d’indebolirsi;
• pianificare con rigore, ma introducendo dell’elasticità. Predisporre la possibilità di
cambiare strategia se le cose non funzionano; cominciare con le direttive suscettibili
di essere modificate;
• riconoscere che i costi iniziali sono elevati quando il programma viene messo in
marcia; col trascorrere del tempo il finanziamento può venire ridotto;
• riconoscere che è importante durante il primo anno mettere in atto un processo di
valutazione/ricerca e preparare una documentazione di base;
• identificare, nel momento in cui si mette in marcia un servizio in una scuola, uno
stabilimento dove esistono delle possibilità di successo: scegliere una scuola
desiderosa di lasciarsi coinvolgere nel programma e il direttore della quale apporta
il proprio sostegno;
• fissare degli stipendi, sufficientemente elevati perché i lavoratori si sentano
valorizzati. Il supplemento di spesa in stipendi sarà particolarmente prezioso, in
ragione dell’impegno che susciterà nel personale.
Riassumendo, la durabilità non è dovuta al caso: deve venire pianificata. Affinché un
programma sia durevole, bisogna che ciascuna delle sue componenti venga considerata
attentamente: pianificazione ed elaborazione di strategie, autorizzazione dei ministeri,
cooperazione con le istituzioni prescolari, scelta del personale, formazione,
costituzione di un gruppo di lavoro, creazione di un ambiente favorevole, lavoro con i
genitori, costituzione di un dispositivo di sostegno alle famiglie, formazione continua e
dispositivi appropriati per la valutazione e il ritorno dell’informazione.
13. Quali sono le differenze (se ce ne sono) tra una buona programmazione per la
prima infanzia e una programmazione comprensiva?
La risposta a questa domanda affrontata a più riprese durante il Consulto è che non
esiste una differenza fondamentale tra un programma di qualità per la prima infanzia e
un programma comprensivo. In realtà, i programmi di qualità per la prima infanzia
hanno ogni possibilità di diventare – e dovrebbero diventare – più comprensivi,
33
accogliendo tutti i bambini e rispondendo ai loro bisogni. Le caratteristiche comuni ai
problemi di qualità per la prima infanzia e i programmi comprensivi sono:
• si comprende l’importanza di un intervento precoce per gettare le basi di uno
sviluppo ulteriore;
• si riconosce l’importanza che viene attribuita allo stabilimento di legami e di una
stretta collaborazione con la famiglia;
• nella programmazione comprensiva e nella programmazione per la prima infanzia,
si riconosce la necessità di focalizzarsi sullo sviluppo sociale del bambino, poiché
esso è intimamente legato al suo apprendimento;
• l’accento messo su un apprendimento attivo;
• si riconosce l’importanza delle differenze individuali e di una pianificazione che
risponda ai bisogni di ciascun bambino nel contesto del gruppo.
Implicazioni
Dei programmi di qualità per la prima infanzia dovrebbero essere creati nella
prospettiva d’inserire i bambini con dei bisogni educativi speciali. Il compito non è
semplice per le seguenti ragioni:
In primo luogo, è importante riconoscere che l’educazione della prima infanzia è
ancora un campo nuovo in materia di copertura e ripartizione dei servizi. I programmi
per la prima infanzia non riguardano che circa il 30% dei bambini tra 3 e 5 anni, se si
considera il valore mondiale; la copertura raggiunge quasi il 100% in certi paesi ed è
prossima al 5% in altri. Quindi il compito non consiste semplicemente nel migliorare
la qualità dei programmi esistenti, ma ugualmente nel creare dei nuovi servizi.
In secondo luogo, se si riconosce il valore di un intervento precoce, si è autorizzati a
pensare che bisogna costituire dei servizi per i bambini con dei bisogni speciali sin
dalla loro più tenera età. Attualmente, la percentuale di bambini tra 0 e 3 anni che
beneficiano, sotto una forma o un’altra, di un servizio destinato alla prima infanzia è
molto inferiore alla percentuale relativa ai bambini in età prescolare. C’è dunque un
bisogno impellente di creare dei servizi per il gruppo d’età più giovane.
In terzo luogo, è importante riconoscere le enormi differenze esistenti da un paese
all’altro per quanto riguarda il settore incaricato di fornire dei servizi per i bambini con
dei bisogni speciali. Il settore dell’istruzione gioca un ruolo fondamentale in tutti i
casi, ma l’età a partire dalla quale il sistema educativo s’occupa del bambino e i legami
tra il settore dell’istruzione e gli altri (essenzialmente, la sanità e i servizi sociali)
variano considerevolmente.
In quarto luogo, molti programmi per la prima infanzia sono realizzati da
organizzazioni non governative che hanno scarsi rapporti con i pubblici poteri.
34
Tuttavia, se dei programmi devono venire creati a livello nazionale, occorre che i
pubblici poteri s’impegnino in questo sforzo. È dunque necessario stabilire delle
partnerships tra il governo e le ONG.
In quarto luogo, affinché un programma destinato alla prima infanzia divenga più
comprensivo, bisogna stabilire dei legami con gli esperti e le ONG e servizi
specializzati, al fine di fare in modo che un apporto esterno per il consulto e/o la
formazione sia facilmente disponibile quando ce n’è bisogno.
Riassumendo, il Consulto ha riaffermato che dei programmi comprensivi per la prima
infanzia dovrebbero farsi carico dei bambini piccoli con dei bisogni speciali. I principi
da seguire per la creazione di programmi comprensivi e di qualità sono essenzialmente
gli stessi che regolano la concezione e l’attuazione di un programma di qualità per la
prima infanzia. Nei due casi, ci si sforza di rispondere ai bisogni di sviluppo di ciascun
bambino in un ambiente che apporti affetto e sostegno. Ci si sforza di fornire dei
servizi olistici che integrino sanità, alimentazione, servizi sociali e istruzione. Una
collaborazione per l’elaborazione di una programmazione comprensiva è essenziale; fa
intervenire numerosi partners che lavorano insieme a tutti i livelli – dai genitori e le
famiglie sino alle comunità, alle organizzazioni di base, alle autorità locali e nazionali,
alle istituzioni delle Nazioni Unite, alle organizzazioni non governative internazionali
e nazionali, alla comunità dei finanziatori, al mondo degli affari e al settore privato. Il
compito non è facile, ma è possibile andare avanti se esiste una collaborazione più
stretta tra coloro che forniscono i servizi per la prima infanzia e coloro che lavorano
con dei bambini che hanno dei bisogni speciali.
35
3. CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI
Preambolo:
Filosofia e principi che hanno ispirato le raccomandazioni
• Le cure e l’educazione della prima infanzia sono importanti per tutti i bambini, in
particolare quelli che hanno dei bisogni speciali. Questo postulato è in accordo con i
seguenti testi:
- La Dichiarazione mondiale sull’educazione per tutti e il Quadro d’azione per
rispondere ai bisogni educativi fondamentali
- La Convenzione relativa ai diritti del bambino
- La Dichiarazione di Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia
d’educazione e di bisogni educativi speciali, così come il Quadro d’azione per i
bisogni educativi speciali.
• Come al paragrafo 3 del Quadro d’azione di Salamanca, l’espressione “bisogni
educativi speciali” designa qui tutti i bisogni educativi derivanti da handicaps o da
difficoltà d’apprendimento.
• Resta inteso che la definizione di “bambini a rischio” dipende dal contesto
culturale e dalle circostanze. S’intende ugualmente che all’interno di una nazione
comunità, questa definizione può cambiare o cambierai col passare del tempo.
• I bambini piccoli con dei bisogni speciali e tutti i bambini a rischio dovrebbero
venire coinvolti nel quadro di programmi d’integrazione per la prima infanzia.
• L’educazione dovrebbe venire considerata come un processo che dura tutta la vita e
comincia allo stadio prenatale.
• L’educazione consiste nell’inserire dei bambini, presi individualmente, in classi
ordinarie; più generalmente, è anche una politica e un processo che permettono a
ogni bambino di partecipare a qualsiasi programma.
• L’integrazione dovrebbe coprire i servizi sociali, la sanità e l’istruzione,
comprendendo pure l’alimentazione.
• La nozione di collaborazione deve essere al centro dell’elaborazione di programmi
d’integrazione. Ciò vuol dire che numerosi partners devono lavorare insieme a ogni
livello – genitori, famiglie, comunità, organismi comunitari, autorità locali e
nazionali, ma anche agenzie delle Nazioni Unite, organizzazioni internazionali non
governative, donatori, ambienti finanziari e settore privato.
• Elaborando dei programmi d’integrazione, è importante:
- Poter contare su delle reti informali e dei punti d’appoggio nella società;
- Decentralizzare la presa di decisioni concernenti la pianificazione di programmi;
36
-
Appoggiarsi sulle strutture e il personale in esercizio, e sulle tradizioni e gli usi
stabiliti;
Offrire a tutti le stesse opportunità e le stesse possibilità d’accesso;
Tener conto della realtà e dei limiti che essa impone, pur lavorando in una
prospettiva d’avvenire.
Strumenti internazionali:
• Convenzione relativa ai diritti del bambino.
• Dichiarazione mondiale sull’educazione per tutti.
• Dichiarazione di Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia
d’educazione e di bisogni educativi speciali e Quadro d’azione per i bisogni
educativi speciali.
• Regole per l’equiparazione delle possibilità degli handicappati.
Organizzazioni internazionali
Esistono molte dichiarazioni e accordi internazionali firmati dai paesi. Ma troppo
spesso, i cittadini non hanno conoscenza di questi strumenti, che eppure potrebbero
aiutare alla costituzione dei servizi adatti ai bambini con dei bisogni speciali. È dunque
importante concepire delle strategie che facciano conoscere meglio degli strumenti
internazionali, come la Convenzione relativa ai diritti del bambino, la Dichiarazione
mondiale sull’educazione per tutti e pure la Dichiarazione di Salamanca e il suo
Quadro d’azione, così come il messaggio lanciato dal Vertice mondiale per lo sviluppo
sociale.
1. Le commissioni nazionali della UNICEF e dell’UNESCO, in collaborazione con
gli uffici nazionali di organizzazioni internazionali non governative e d’organismi
donatori, dovrebbero fornire una documentazione, sugli strumenti internazionali,
che verrebbe diffusa nel paese. [Le commissioni] dovrebbero prendere l’iniziativa
per sensibilizzare gli organismi governativi sui diversi mandati che ne derivano e
sulla maniera nella quale possono venire realizzati con successo.
2. Le organizzazioni internazionali e le istituzioni finanziarie devono esaminare le
loro politiche per accertarsi che la Convenzione relativa ai diritti del bambino, la
Dichiarazione mondiale sulla educazione per tutti, la Dichiarazione di Salamanca e
il suo Quadro d’azione, in particolare, siano prese in considerazione e applicate per
quanto riguarda i bambini con dei bisogni speciali.
Livello nazionale
37
3. Bisognerebbe creare a livello nazionale delle commissioni o delle associazioni (o
di rafforzarle, se esistono già) che rappresentino gli interessati e che definiscano i
programmi da elaborare per dare effetto alla Convenzione relativa ai diritti del
bambino, alla Dichiarazione mondiale sulla educazione per tutti e la Dichiarazione
di Salamanca, sorvegliandone l’attuazione.
4. Bisogna ugualmente vigilare che la politica nazionale rispetti i principi
fondamentali e lo spirito della Convenzione relativa ai diritti del bambino, della
Dichiarazione mondiale sull’educazione per tutti e della Dichiarazione di
Salamanca, segnatamente per quanto riguarda i bambini con dei bisogni speciali.
Politica generale
Delle politiche vengono preparate rapidamente in molti paesi e nell’ambito della
comunità internazionale. Coloro che s’occupano dei bambini con dei bisogni speciali
collaborano spesso all’elaborazione di politiche rispondenti ai bisogni educativi
speciali, nel loro paese e/o nell’organizzazione nella quale lavorano.
Organizzazioni internazionali
5. Le organizzazioni internazionali e le istituzioni finanziarie dovrebbero facilitare la
pianificazione delle politiche, dando degli orientamenti coerenti e chiari, fondati su
un esame e un’analisi critiche delle politiche attuali e dei bisogni degli individui e
del paese.
6. Sarebbe bene che gli organismi delle Nazioni Unite, gli organismi donatori, le
istituzioni finanziarie e le organizzazioni internazionali non governative
esaminassero le loro proprie politiche sotto l’aspetto del sostegno da apportare ai
programmi d’integrazione destinati alla prima infanzia.
Livello nazionale
Attualmente, i bambini con dei bisogni speciali rientrano tra le competenze di diversi
ministeri. Sono spesso i servizi sociali e la sanità/il ministero degli affari sociali che se
ne sono fatti carico durante i primi anni [di vita]. Ma poiché questi bambini hanno
diritto a un’educazione, il Ministero dell’istruzione dovrebbe giocare un ruolo di primo
piano sin dalla nascita, fornendo dei servizi d’integrazione.
7. È innanzi tutto al Ministero dell’istruzione che dovrebbe incombere il compito
d’assicurare dei servizi d’educazione integrata ai bambini piccoli con dei bisogni
speciali e alle loro famiglie. Il Ministero dovrebbe farsi carico della concezione e
del funzionamento di questi servizi, in collaborazione con diversi ministeri
38
(particolarmente quelli della sanità e degli affari sociali), dipartimenti e
organizzazioni non governative.
8. Il dialogo dovrebbe intervenire a tutti i livelli; al fine di associare tutte le parti in
causa all’elaborazione delle politiche (amministrazioni, organizzazioni non
governative, genitori, organismi comunitari, organizzazioni di handicappati) e al
servizio degli handicappati, ecc… Questo processo è cruciale per assicurare
l’adesione a delle politiche comuni e la preoccupazione di elaborare dei programmi
migliori, di fare evolvere le mentalità e di sensibilizzare l’opinione pubblica.
9. Bisogna mettere in contatto tutti gli interessati (servizi sociali, educativi e di sanità,
università, organizzazioni non governative, organizzazioni comunitarie e famiglie,
amministrazione centrale e amministrazioni locali), affinché definiscano una
visione, una missione e un piano d’azione comuni per favorire l’educazione per
tutti nella prima infanzia, mettendo debitamente l’accento sui bambini con dei
bisogni speciali.
10. L’attuazione delle politiche deve venire controllata bene, utilizzando delle
statistiche e degli indicatori precisi, che è necessario raggruppare, analizzare e
diffondere ampiamente.
11. La politica generale sarà di fornire dei servizi d’integrazione, nel quadro sia di
programmi non formali e comunitari, che del sistema formale d’educazione.
Cooperazione/Collaborazione/Partnership
Per mettere a punto dei programmi rispondenti a tutti i bisogni dei bambini piccoli, è
importante fornire dei servizi d’appoggio in diversi campi – sanità, alimentazione,
assistenza sociale, istruzione. Una sola entità (donatore, organismo d’aiuto bilaterale,
organismo delle Nazioni Unite o organizzazione non governativa) o un solo ministero
non potrebbero assicurare l’intera gamma di servizi.
Organizzazioni internazionali
12. Nel campo dell’educazione dei bambini piccoli, bisogna incoraggiare le
organizzazioni internazionali competenti a adottare delle politiche d’integrazione, e
a concepire dei progetti di collaborazione che si iscrivano nel quadro delle politiche
e delle programmazioni nazionali, il che permetterà di riunire le risorse e di evitare
una duplicità di impieghi.
Livello nazionale
39
13. La messa a punto di programmi di integrazione necessita degli apporti di diversi
settori – sanità, alimentazione, servizi sociali, istruzione. La pianificazione dei
programmi, il loro finanziamento e la loro attuazione richiedono pure una
collaborazione intersettoriale.
14. Bisogna creare delle sinergie moltiplicando le relazioni di collaborazione tra tutti i
livelli – istanze nazionali, provinciali/distrettuali, comunità e genitori – e nei due
sensi [direzionali].
15. Le organizzazioni non governative internazionali o nazionali che s’occupano di
handicappati dovrebbero sensibilizzare gli altri settori della società e indurli a
collaborare alla costituzione dei servizi d’integrazione.
Partnership e famiglia
È innanzi tutto la famiglia che s’occupa del bambino. I genitori hanno diritto a
un’informazione che li aiuti a risolvere i loro problemi. Sono loro che prendono le
decisioni che riguardano il bambino. È dunque per servire il meglio possibile gli
interessi del bambino che si devono stabilire delle partnerships tra le famiglie e i
professionisti.
Livello nazionale
16. Le famiglie hanno il diritto di venire pienamente informate su tutto ciò che
riguarda il loro bambino e le scelte da fare. Un aiuto, un sostegno e una formazione
appropriati devono essere apportati loro per facilitare le loro decisioni e
permettergli di diventare dei partners completi dei professionisti.
17. Dal canto loro, i professionisti devono ricevere una formazione che gli permetta di
esercitare il ruolo di elemento di sostegno e intermediazione presso i genitori.
18. Le famiglie dovrebbero venire incoraggiate a partecipare attivamente alla
definizione delle politiche e all’organizzazione dei servizi.
Transizioni
Bisogna prendere coscienza delle molteplici transizioni tra differenti settori (sanità,
servizi sociali, istruzione) e differenti strutture (casa, asilo-nido/programmi per la
prima infanzia, scuola elementare) alle quali bambini e genitori devono fare fronte.
19. Coloro che lavorano con dei bambini piccoli e le loro famiglie devono concepire
delle politiche, dei metodi e dei programmi che facilitano queste transizioni.
40
20. È auspicabile che le istituzioni e organizzazioni internazionali forniscano un aiuto
nel mettere in evidenza e diffondere degli esempi di programmi di transizione, e
pure gli insegnamenti che se ne possono trarre; dovrebbero anche incoraggiare gli
studi comparativi e un dialogo internazionale sulle transizioni alle quali bambini e
famiglie devono fare fronte nei primi anni.
Pianificazione e attuazione dei programmi/Fornitura di servizi
Organizzazioni internazionali
21. Le organizzazioni internazionali governative e non governative dovrebbero aiutare
a identificare e a diffondere degli esempi di strategie e gli insegnamenti da trarne;
dovrebbero favorire gli studi comparativi e pure il dialogo internazionale sulle cure
e lo sviluppo integrati della prima infanzia.
22. Le organizzazioni internazionali, governative e non governative, dovrebbero
cercare di creare degli organismi comunitari o familiari a livello locale, o a
rafforzare quelli esistenti, e a dare loro i mezzi per concepire dei programmi
adeguati ai loro bisogni; dovrebbero anche favorire lo sviluppo e il rafforzamento
d’organismi e di reti di genitori, formali o no.
Livello nazionale
Se ovunque nel mondo i bambini piccoli devono beneficiare di certe condizioni per
diventare grandi e sviluppare al massimo le loro potenzialità, non esiste un unico tipo
di programma che risponda al meglio ai loro bisogni. È alle famiglie e alle comunità
che spetta prioritariamente la definizione di questi bisogni e la determinazione dei
servizi da costituire.
23. Le organizzazioni non governative e gli istituti d’insegnamento superiore
dovrebbero creare (o rafforzare) degli organismi comunitari o familiari a livello
locale, e dare loro i mezzi per concepire dei programmi adeguati ai bisogni.
24. I governi e le organizzazioni non governative dovrebbero incoraggiare lo sviluppo
e il rafforzamento d’organismi e di reti di genitori, formali o no.
25. I programmi dovrebbero avere lo scopo d’ottimizzare l’utilizzazione delle risorse
disponibili nelle famiglie allargate e le comunità.
26. Un certo numero d’attività di programma dovrebbero essere elaborate per facilitare
l’integrazione, tenendo conto della necessità di riesaminare i valori, le credenze e
gli atteggiamenti. Queste attività potrebbero includere i seguenti elementi:
- identificazione
41
-
sensibilizzazione
educazione e responsabilizzazione dei genitori
servizi a domicilio
elaborazione di programmi pedagogici
piani di transizione
utilizzazione e promozione della scuola come centro d’apprendimento permanente,
di salute e di benessere
- formazione del personale sanitario, dei servizi sociali, dell’istruzione, ecc… per
quanto riguarda la prima infanzia, la salute, lo sviluppo e l’integrazione
- formazione di certi settori della popolazione in campi particolari (valutazione,
intervento, programmi di studio, sensibilizzazione, raggiungimento dell’autonomia
["autonomisation], valutazione)
- redazione di carte delle comunità (identificazione delle strutture, delle risorse e dei
servizi formali e non formali)
- elaborazione di programmi di contatti tra genitori
- costituzione di programmi e di gruppi ricreativi per i bambini in età prescolare
27. Le conoscenze e le competenze specialistiche dovrebbero venire considerate come
parte integrante della costituzione e della fornitura di servizi generici.
28. Al momento dell’elaborazione dei programmi, bisogna redarre la carta dei servizi
complementari di cura e d’educazione, formali e non formali, esistenti nella
comunità. Bisogna pure identificare i problemi e studiare le possibilità di
collegamento con altri servizi.
29. Le conoscenze recenti sulle pratiche migliori e i metodi più appropriati e più utili
devono venire incorporate nelle politiche, i piani, i programmi e le attività di
cooperazione tecnica.
Formazione
La formazione è un elemento essenziale dell’applicazione di programmi
d’integrazione di qualità per la prima infanzia; dovrebbe venire attuata e dispensata a
differenti livelli, affinché il personale acquisisca il sapere, le competenze e i
comportamenti necessari. È parimenti importante formare le famiglie, la comunità, il
personale amministrativo e coloro che addestrano chi presta servizi, affinché
comprendano le attività e vi partecipino pienamente.
Organizzazioni internazionali
42
30. Dato che è necessario creare a livello nazionale le capacità richieste per sostenere i
programmi, si dovrebbero assegnare dei fondi sufficienti alla formazione sotto tutti
gli aspetti (che deve dunque diventare una priorità del finanziamento).
Livello nazionale
31. Una formazione sistematica dovrebbe venire assicurata da formatori competenti e
di provata esperienza. La formazione nel corso del processo deve essere collegata
alla pianificazione e agli obbiettivi dei programmi.
32. Essenzialmente, la formazione deve venire dispensata sul posto da gruppi di lavoro
pluridisciplinari, capaci di collegare le attività a delle situazioni concrete.
33. Un’educazione e una formazione adeguate alle esigenze dell’integrazione devono
venire dispensate a livello transdisciplinare nelle università e gli istituti
d’insegnamento superiore, specialmente nei campi della medicina e della sanità e
dello sviluppo sociale e comunitario. Gli istituti d’educazione devono integrare lo
studio dei bisogni speciali nella formazione iniziale di tutti i futuri insegnanti e del
personale che presta le cure ai bambini piccoli, e [devono] educarli [a tale
compito].
34. L’educazione al ruolo di genitori e l’informazione sullo sviluppo del bambino
dovrebbe fare parte dell’educazione di base dispensata a tutti gli allievi nelle
scuole.
35. La formazione dovrebbe venire concepita secondo gli stessi principi
dell’educazione degli adulti: dovrebbe affidarsi all’esperienza individuale, essere
partecipativa e responsabilizzante, associare con equilibrio le conoscenze teoriche e
l’esperienza pratica, e mettere l’accento sulla conoscenza di sé e la comprensione
delle differenti culture. Le modalità della formazione sono altrettanto importanti
del suo contenuto.
36. I formatori per i programmi d’integrazione possono essere dei genitori, delle
persone handicappate e dei volontari, come pure dei professionisti. Tutti devono
avere un comportamento adeguato a questi programmi, nonché il sapere e le
competenze appropriate.
37. La formazione all’educazione integrata dovrebbe evitare le categorizzazioni e
privilegiare i metodi attivi d’apprendimento, incentrati sul bambino e
personalizzati.
38. La formazione del personale dovrebbe includere delle informazioni teoriche e
pratiche sulla maniera d’elaborare degli strumenti d’osservazione dei bambini,
tenendo conto del contesto culturale, e di pianificare le attività appropriate che
s’ispirino alle pratiche locali.
43
Bambini messi negli istituti
Tutti i bambini hanno il diritto di vivere in un piccolo gruppo, circondati da persone
che li amano e gli assicurano una stabilità affettiva. Detto in altri termini, devono
vivere nella loro famiglia o nelle famiglie d’accoglienza. È un dato di fatto che in
numerosi paesi dei bambini vengono educati negli istituti, e sono quindi privati del
tutto di un ambiente familiare. Questi bambini si trovano in una situazione “a rischio”.
È pure risaputo che in assenza di servizi comunitari i bambini con dei bisogni
educativi speciali vengono spesso messi in istituti.
Organizzazioni internazionali
39. Le istituzioni e organizzazioni internazionali dovrebbero dare il loro aiuto alla
creazione di altri stili di vita per i bambini che vivono in istituti o rischiano di
venirne collocati.
Livello nazionale
40. I governi dovrebbero elaborare delle politiche e dei piani tendenti a chiudere gli
istituti e a collocare tutti i bambini in un ambiente familiare che li aiuti e gli
permetta d’accedere a dei servizi d’integrazione.
Valutazione
41. La valutazione dovrebbe facilitare l’orientamento scolare, avere degli effetti
positivi, permettere l’identificazione dei punti forti e dei punti deboli, ed essere
collegata agli scopi del programma e alla sua attuazione. Dovrebbe avere luogo a
livello individuale e a quello del programma. La valutazione è un processo
continuo che permette di determinare i bisogni mutevoli dei bambini e, grazie alle
informazioni che fornisce, di modificare gli interventi conformemente.
Organizzazioni internazionali
42. Le organizzazioni internazionali dovrebbero aiutare i gruppi consultivi e i gruppi di
lavoro a concepire e mettere a punto dei materiali di valutazione dello sviluppo dei
bambini e dell’esecuzione dei programmi.
44
Livello nazionale
43. Ai fini della pianificazione di programmi d’integrazione, i bambini che ne
beneficiano dovrebbero essere oggetto di osservazioni sistematiche nella loro vita
quotidiana e il loro stile di vita abituale.
44. Bisogna sottoporre i bambini a un esame medico generale per individuare i ritardi
di sviluppo, in modo da risolvere gli eventuali problemi prima che compromettano
il loro sviluppo e la loro educazione. I bambini così individuati devono venire
orientati verso i servizi appropriati per un trattamento [medico] e/o un intervento.
45. La valutazione dei bambini dovrebbe basarsi sulla comprensione dello sviluppo del
bambino e la risoluzione dei problemi in modo collaborativo, piuttosto che sui voti
ottenuti a dei tests normalizzati o su delle attività imposte o delle liste di controllo.
Durabilità
Affinché i programmi possano essere mantenuti al di là dello stadio della
sperimentazione, sin dallo stadio della pianificazione devono venir prese delle misure
miranti e assicurarne la durabilità. Inoltre, se si prevede che saranno attuati in altre
parti del paese, la fase-pilota deve essere concepita in maniera tale che gli altri partners
possano venire messi al corrente delle attività. Affinché i programmi durino, bisogna
che siano collegati alla politica dei pubblici poteri e finanziati nel bilancio dello Stato.
Organizzazioni internazionali
46. Le organizzazioni internazionali dovrebbero diffondere delle informazioni sui
mezzi con i quali assicurare l’integrazione quando mancano i fondi e l’esperienza.
47. Dei servizi di questo tipo non si possono costituire rapidamente nemmeno con un
bilancio considerevole. I donatori e gli organismi dovranno a volte adottare delle
politiche e delle pratiche nuove, che permettano l’allocazione dei fondi per periodi
più lunghi, al fine di lasciare il tempo d’acquisire l’esperienza e le conoscenze
necessarie.
Livello nazionale
48. Bisogna “testare” i progetti con cura e in condizioni realistiche prima di metterli in
atto su più vasta scala.
49. I progetti dovranno innanzi tutto venire diffusi nelle regioni vicine, per facilitare la
comunicazione e la costituzione di reti d’appoggio.
45
Comunicazione e diffusione dell’informazione
Al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica nazionale e internazionale sulla necessità
di programmi d’integrazione, è importante formare delle vasti reti di comunicazione.
La circolazione dell’informazione dovrebbe farsi in senso verticale (da chi prende le
decisioni verso gli operatori di base e vice versa) e in senso orizzontale (tra i settori e
tra le istituzioni).
Organizzazioni internazionali
50. Una banca-dati comune sull’integrazione dovrebbe venire elaborata col sostegno di
molteplici istituzioni internazionali e donatori, al fine d’ottenere delle statistiche
adeguate e delle informazioni aggiornate, che le istituzioni e i paesi potrebbero
utilizzare a fini di promozione, di concezione delle politiche e di pianificazione.
[Tale banca-dati] dovrebbe essere accessibile mediante diversi mezzi di
comunicazione, tra i quali anche Internet.
Livello nazionale
51. Degli estratti dalla Dichiarazione e dal Quadro d’azione di Salamanca, dalla
Convenzione relativa ai diritti del bambino e dalla Dichiarazione mondiale
sull’educazione per tutti dovrebbero venire diffusi con i mezzi di comunicazione di
massa (televisione, radio, video-cassette, commedie teatrali, spettacoli comunitari,
canzoni, giochi, Internet).
Finanziamento/Aiuto dei donatori
Organizzazioni internazionali
I paesi dovrebbero elaborare la loro propria politica dell’infanzia, della famiglia e
dell’educazione in armonia con i bisogni e la cultura del paese, e anche con le
iniziative internazionali.
52. I paesi dovrebbero essere incitati a definire la loro propria politica per lo sviluppo
di programmi destinati a tutti i bambini piccoli, e a utilizzare questi programmi
come base di negoziazione per sovvenzioni e prestiti.
46
53. I donatori, le organizzazioni internazionali e i governi dovrebbero rispettare le
tradizioni e le abitudini culturali, ispirarsene e favorire la diffusione d’informazioni
relative alle pratiche migliori e alle lezioni dell’esperienza.
54. I donatori devono avere delle aspettative realistiche per quanto riguarda i risultati
di progetti innovatori. Il successo di programmi che presuppongono un
cambiamento di atteggiamenti deve misurarsi nel tempo (più di tre anni).
55. I donatori e gli organismi di sviluppo (banche, organizzazioni bilaterali e
multilaterali) dovrebbero appoggiare i programmi d’integrazione nel quadro dei
loro progetti relativi all’educazione di base della prima infanzia.
Livello nazionale
56. I paesi dovrebbero essere coscienti dell’importanza dello sviluppo della prima
infanzia, in quanto è uno degli impegni che hanno preso nel quadro della
Dichiarazione e del Quadro d’azione di Salamanca, e [dovrebbero] sorvegliare che
se ne tenga conto nella pianificazione dei bilanci dei servizi sociali e
dell’istruzione.
47