ossier - Rivista Missioni Consolata

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ossier - Rivista Missioni Consolata
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MC DICEMBRE 2013
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STAMPA
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EDITORIALE
Ai lettori
di Gigi Anataloni
Grazie
È
una parola che da sola vale più di mille altre scribacchiate a fatica. «Grazie» riassume tutto quest’anno vissuto insieme, e anche il dono del Natale che ci prepariamo a rivivere e il nuovo anno che aspettiamo tra timori e speranze. «Grazie».
Una parola a volte così difficile da dire. Perché detta col cuore richiede il rifiuto
del «tutto (mi) è dovuto e garantito» e l’apertura gioiosa al dono e alla gratuità. Allora...
Grazie per il dono di padre Benedetto che è arrivato alla méta del suo lungo
cammino e degli altri 17 missionari e altrettante missionarie della nostra famiglia che
negli ultimi dieci mesi (gennaio - ottobre) sono stati accolti al Grande Banchetto di
tutti i popoli. Grazie per tutti i missionari: preti, fratelli, suore e laici, che in umiltà e
fedeltà si mescolano come lievito nella pasta dell’umanità per far emergere i segni
del Regno.
Grazie a voi, lettori, parenti, amici e benefattori, sostenitori, membri di onlus e
ong amiche, perché anche in questo anno difficile ci siete stati molto vicini nonostante
le obiettive difficoltà economiche, sociali e politiche che tutti stiamo vivendo. Grazie
perché insieme con noi credete ancora che è possibile un mondo di condivisione, di rispetto, di riconciliazione e pace, un mondo più giusto dove la vita sia accolta, amata e
rispettata, dove i popoli - nella loro diversità - possano cantare insieme la meravigliosa sinfonia dell’amore di Dio che è Padre di tutti e ha cura di tutti e di ognuno.
Grazie per il dono del Natale che ci offre la possibilità di riscoprire il volto umano
dell’amore divino. Un avvenimento che non solo ci parla dell’amore «senza se e senza
ma» di Dio, ma ci stimola ad «amare da Dio» gratuitamente e liberamente, accogliendo
coloro con cui Gesù stesso si è più identificato: «poveri, orfani, vedove e stranieri».
Grazie anche per questi tempi difficili, per questa crisi che ci offre un’occasione
insperata - anche se dura - di ripensare il nostro stile di vita. Non per tornare alla povertà di una volta, ma per recuperare quei valori di umanità che abbiamo buttato via
con la povertà: sobrietà, condivisione, semplicità, risparmio, tempo per stare insieme
e far famiglia, valorizzazione di risorse locali, cura dell’ambiente...
Grazie per il nuovo anno che viene, un nuovo dono della pazienza di Dio, amante
della vita, che non si è ancora stancato di noi e ci dà ancora tempo per crescere, capire
e tornare a lui tornando agli altri, raccogliendo soprattutto la sfida della giustizia e
pace, perdono e riconciliazione nel mondo.
D
a tutti i missionari e missionarie della Consolata: grazie a voi. Non vi mandiamo
regali, non vi promettiamo favori. Vi assicuriamo solo il nostro impegno a essere
quello che il nostro Fondatore, il beato Giuseppe Allamano, voleva che noi fossimo: dei canali di amore verso i più poveri, più lontani, oppressi e dimenticati, e
delle conche, non pozzanghere, ma laghi, dove l’amore di Dio possa riversarsi in abbondanza per tutti. Pregate per noi. Mentre chiediamo con insistenza il riconoscimento della santità del beato Allamano, vorremmo davvero prima di tutto imitarlo nella santità.
Buon Natale e un benedetto anno nuovo.
DICEMBRE 2013 MC
3
SOMMARIO
12 | DICEMBRE 2013 | ANNO 115
10
Il numero è stato chiuso in redazione il 12 Novembre 2013.
La consegna alle poste di Torino è avvenuta
prima del 30 Novembre 2013.
3 Ai lettori
GRAZIE
di Gigi Anataloni
OSSIER
5 Dai lettori
CARI MISSIONARI
(lettere a MC)
33
ARTICOLI
10 Siria
SULLA PELLE DEI SIRIANI
17
di Enrico Vigna e Paolo Moiola
17 Zambia
IL LAGO CHE DÀ VITA
di Ermina Martini
RISPONDERE AI DELITTI
SENZA COMMETTERNE ALTRI
21 Brasile / Sertão
DOVE I CONTADINI
SONO POETI
GIUSTIZIA
RIPARATIVA
di Silvia Zaccaria
25 Indigeni
LASCIAMOLI IN PACE
DI ANNALISA ZAMBURLINI,
CAROLINA BEDOYA MAYA E
LUCA LORUSSO
53
di Francesca Casella
53 Perù / Salute 2
JAMPI WASI,
LA CASA DELLA SALUTE
RUBRICHE
di Paolo Moiola
60 Burkina Faso
PASTORI: NON MOLLATE
IL GREGGE
di Marco Bello
8 Chiesa nel mondo
di Sergio Frassetto
60
30 «Così sta scritto»
di Paolo Farinella
66 Italia
VOGLIA DI TENEREZZA
75 Cooperando
di Chiara Giovetti
di Giampietro Casiraghi
71 Libertà Religiosa - 15
LO YOM KIPPUR ALLA CORTE
DI STRASBURGO
di Paolo Bertezzolo
79 4 chiacchiere con
di Mario Bandera
IN COPERTINA: occhi dell’anima
(Foto: © Glenn Shepard,
Survival International).
81 Indice
a cura di Gigi Anataloni
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4
MC DICEMBRE 2013
WWW. RIVISTAMISSIONICONSOLATA . IT
DAI LETTORI
Cari mission@ri
SCRIVETECI!
Che problema avete? Non
vi cerca più nessuno? A
volte mi verrebbe da scrivervi, fosse anche un disappunto, ma non ne ho il
tempo, poi ne passa troppo e infine penso, «tanto a
voi cosa ve ne frega della
mia opinione? È comunque in contrasto con la vostra, perché scrivere?».
Posso dirvela una cosa?
Finché non ho letto tutto il
dossier della rivista di ottobre, avevo un’angoscia
dentro, «una tristezza da
spararsi», meno male che
nelle ultime due pagine mi
tirate su il morale. So che
la mia vita da cristiana non
è perfetta e me lo spiaccicate in faccia come una
sberla, il cammino lungo e
faticoso della conversione
non finisce con l’incontro
con Cristo – c’è la sequela,
la coerenza, e questo è un
altro punto dolente.
[...] Con mia nipote, classe
1981, ho provato a fare
«proselitismo» (se così si
può dire) richiamandola al
suo battesimo. La reazione
è stata violenta. «Zia basta. Siete tutti bigotti, credo in Dio e non nella chiesa! La verità la sto cercando, e non l’ho ancora
trovata». A me non resta
che piangere e pregare
per lei e tanti altri familiari. È riduttiva la fede vissuta in casa? Intendo dire: la
crisi m’impedisce di prendere l’auto ogni giorno per
andare a messa, e a volte
gli orari non combaciano
con il mio tempo libero. Allora mi metto in casa davanti al crocefisso. Ma secondo voi è sempre una fede da poco, da gente
tiepida, troppo prudente,
non azzardata, accomodante, pigra, inetta fino al
rigurgito di Cristo.
Che dire di altri sacerdoti
che ho incontrato: alcuni
troppo hard e altri rigorosi
fino al rifiuto dell’assoluzione. […] Adesso capisco
perché la Madonna a
Medjugorje insiste con il
pregare per i sacerdoti.
Siete sotto attacco? O lo
siete sempre stati nel mirino del Nemico? Mi piace
molto anche quando Papa
Francesco chiede di pregare per lui.
Ciò che vorrei chiedervi è
questo: una conferma o una smentita. Mi han detto
che ci sono dei missionari
cattolici che sono costretti
a sposarsi, per non essere
diversi dagli altri, sennò
non sono credibili nell’annuncio. Ho obbiettato dicendo che vivranno da fratelli e sorelle! La risposta
è stata: «No, no! Fanno figli e anche tanti. Dovrebbero essere in Oceania».
Me ne sto zitta poiché non
conosco tutto il mondo
missionario [...]. Un’altra
cosa volevo dirvi. Un nostro amico circa dieci anni
fa fece un’esperienza vocazionale in Ecuador con
dei missionari. Ne tornò
sconvolto perché ci disse
che là ogni prete ha minimo dieci donne a disposizione. Noi gli abbiamo detto: «Esagerato!». Risultato, lui non frequenta più la
chiesa, obbiettando che è
un moralismo inutile, un’ipocrisia lampante.
Avete il coraggio di dire la
verità? Caspita, se lo trovate avete un fegato da
vendere! Cordiali saluti.
Piccola figlia della Luce,
San Zenone degli Ezzelini,
13/10/2013
Gentile lettrice,
grazie di averci scritto.
Provo a essere breve.
Scrivere. Ci sembra un
modo importante per una
comunicazione a due vie,
non autoritaria, come rischia comunque di essere
quella stampata. Il diritto
al dissenso è importante e
una contestazione argo-
mentata e intelligente ci
aiuta ad approfondire idee
e argomentazioni o ci obbliga a spiegarci meglio.
Sacerdoti. È pregare per i
sacerdoti è bello ed essenziale, perché il sacerdote ha bisogno del sostegno della comunità. L’ordinazione non rende il
sacerdote invulnerabile al
peccato, inattaccabile dalla tentazione. Il sacerdote
è e rimane sempre un uomo e come tale percorre
un cammino di conversione continua, rinnovando
ogni giorno il suo sì a Dio.
Come uomo può cadere,
sbagliare ed essere contraddittorio. Qualche volta
può cercare la popolarità
facendo il moderno e il disinibito, altre volte può usare la tradizione e l’intransigenza senza misericordia come scudo alle
sue paure. Ma la maggioranza vive con umiltà («timore e tremore» scriverebbe Kierkegaard) il proprio stato sapendo che il
Salvatore è uno solo: Gesù
Cristo. Certo, il cammino
del prete è più impegnativo di quello dei semplici
cristiani, perché se un sacerdote cade, non è solo
lui a cadere, ma fa male a
tanti. «Nel mirino del Nemico», dice lei. È vero. E il
Nemico si serve anche di
tanti buoni cristiani che
invece di sostenere i loro
sacerdoti, li criticano, credono a mille dicerie, generalizzano e malignano. E
anche di quelli che
confondono la Chiesa col
prete, si dimenticano che
per il battesimo anch’essi
sono Chiesa diventando
giudici impietosi che si difendono accusando di «bigottismo, ipocrisia e falso
moralismo». Purtroppo
non solo è più facile far
così, tirandosi fuori «dal
gruppo», ma il nostro sistema stesso di vita oggi
incoraggia questo indivi-
dualismo assoluto per cui
uno risponde solo a se
stesso (al suo «dio»).
Missionari che si sposano? Onestamente è la prima che sento parlare di
missionari che si devono
sposare, per non essere
diversi. Da secoli i missionari «sono diversi» e non
solo per il celibato. Sono
diversi per il colore della
pelle, per la lingua che
non conoscono, per il modo di vivere e «anche»
perché non si sposano.
Nella storia, più di uno ha
pagato con la vita la fedeltà al celibato che lo
rendeva «diverso» e anche pericoloso agli occhi
di certi popoli. Che poi ci
siano dei missionari che
abbiano amato una donna,
generando anche dei figli,
non dovrebbe stupire nessuno, eccetto coloro che li
ritengono degli automi
programmati e non degli
uomini in carne e ossa. Ma
che questa sia la situazione normale e accettata
(«dieci donne a testa»), è
tutto da provare. La realtà
è ben diversa. Quando si
sentono voci sui preti, bisognerebbe avere più
senso critico, più amore
della verità (come dice anche lei), tanta misericordia
e un po’ di autocritica.
Fede da poco. L’ultima cosa che vogliamo fare è
sottovalutare la fede delle
persone e la grazia di Dio.
La fede non è mai «da poco». È vero, scrivendo si
rischia di generalizzare ed
enfatizzare. Anzi, a volte si
deve alzare il tiro per riallinearci alle esigenze della Parola, quella vera,
senza diluirla nel «minimo comun denominatore»
della mediocrità del «fan
tutti così». Ma il cuore delle persone solo Dio può
giudicarlo.
DICEMBRE 2013 MC
5
[email protected]
[email protected]
LA TEOCRAZIA
IRANIANA
Caro p. Gigi,
condivido il suo no comment al lettore che ha
disdetto l’abbonamento a
causa del suo editoriale di
luglio. Non l’avevo letto a
suo tempo, ma, incuriosito, l’ho cercato e letto dal
vostro sfogliabile (ottima
iniziativa) e davvero non
c’è nulla da dire.
1. Sono favorevole alla vostra scelta di articoli lunghi, cosa per la quale mi
risulta che altri vi critichino. Adesso è diffusa la
mania di dover scrivere
poco perché la gente si
stanca a leggere e ha poco
tempo per farlo. Allora lasci perdere di leggere. [...]
2. Nel dossier di A, Lano
sull’Iran (MC, ago. 2013)
sembra che quella nazione sia lo stato migliore del
mondo. Può essere che sia
davvero così, anch’io diffido della comunicazione di
massa che orienta l’opinione pubblica, quindi sono naturalmente e favorevolmente predisposto verso l’informazione
«alternativa». Ciò premesso, però, avrei fatto domande più «dure» all’interlocutore. Ad esempio, è
vero o no che il precedente
presidente voleva la distruzione dello stato di Israele? E ora come la si
pensa in proposito? Su altra rivista missionaria l’Iran non è definito una repubblica così meravigliosa, chi sbaglia?
Giovanni Guzzi
Vimercate (MI), 11/10/2013
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MC DICEMBRE 2013
Caro lettore,
non ho descritto l’Iran come una «Repubblica meravigliosa», ma come una
Repubblica islamica teocratica basata su meccanismi della cosiddetta
«democrazia». È una democrazia teocratica con
molti problemi da affrontare e risolvere, dunque
non certo perfetta. Ma esiste una democrazia perfetta? Gli Stati Uniti lo sono, forse, con la loro pena
di morte, le extraordinary
renditions, i tanti dissidenti «missing» e lo spiare anche gli alleati? Lo sono gli stati europei, con una repressione sempre
più forte delle proteste dei
cittadini? Lo è Israele, stato mediorientale che bombarda civili?
Nel mio dossier ho poi paragonato alcuni principi
chiave dello sciismo con
quelli del sunnismo, deducendone una maggiore
possibilità d’interpretazione razionale e libertà di
pensiero del mondo sciita,
che, nella mia pluridecennale esperienza di studiosa sul campo di Islam, ho
notato più «colto» e interessato alla cultura di
quello sunnita.
Questo non toglie che durante l’era di Ahmadinejad
ci fossero molti problemi
interni, oltre che esterni,
dovuti al suo populismo e
a posizioni estremiste,
nonché censure di vario tipo - tra cui internet -, di
cui ho parlato nel mio articolo.
L’era di Rohani sembra aprire nuove frontiere e
nuove speranze, e molti
critici interni del passato
regime stanno appoggiando con fiducia il nuovo
presidente.
Quanto alle invettive contro Israele, ormai famose,
in parte si è trattato di traduzioni errate dal farsi - la
famosa frase “scomparirà
dalla mappa geografica”
aveva altro significato che
non la fine fisica di Israele
-, in parte di retorica populista dell’ex presidente.
Le offro un consiglio, comunque: faccia un viaggio
in Iran, e capirà che paese
e che popolo accogliente
è. Poi vada in qualche altro stato del Golfo, tipo l’Arabia Saudita o gli Emirati
Arabi. O anche solo l’Egitto, e ci racconterà cosa ne
pensa.
Angela Lano
ANCORA
YANOMAMI
Carissimo Fratel Carlo
(Zacquini), prima di tutto ti
voglio ringraziare; grazie
perché mia figlia Martina,
dopo aver parlato della tua
intervista e delle condizioni del popolo Yanomami
(MC, ott. 2013) mi ha detto
di te qualcosa che mi ha
toccata profondamente:
che «Conoscerti è stata una vera fortuna», che «tu
ci aiuti a diventare persone
migliori. Siamo tutti persone “normali” che stanno
sedute aspettando che
siano altri a cambiare il
mondo. [Se] poi c’è una
persona che si alza e prova
a cambiare il mondo, quella è una persona migliore
e m’insegna che anch’io
posso e devo alzarmi dalla
mia normalità-mediocrità
e diventare migliore» [...].
A volte gli amici mi chiedono perché mi interessano
tanto gli Yanomami. È
semplice: perché sono dei
nostri fratelli. Punto. Condividono con noi la fortuna
di far parte di questo meraviglioso creato. E non è
abbastanza? Noi apparteniamo alla razza che si
sente padrona del creato,
superiore agli indigeni di
qualsiasi parte del mondo,
e con il nostro egoismo e
la nostra presunzione non
riusciamo e non cerchiamo di comprendere altre
culture. Possibile che non
ci sia una via percorribile
di evoluzione e di progresso in cui non venga calpestata la dignità umana? In
cui sia presente la dovuta
tutela dell’ambiente dal
quale tutti indistintamente
dipendiamo? Oggi ci sono
uomini che distruggono la
foresta e ingannano i popoli che ci vivono, ricchi
che diventano sempre più
ricchi a scapito della cultura, degli usi e dei costumi degli indigeni che vengono sfruttati e resi dipendenti dal dio denaro che
tutto permette di avere.
Bisogna alzarsi e combattere per un mondo più giusto.
Ci sono molte persone che
ti sono vicine in tutto il
mondo, ma forse ancora
non bastano. Credo che sia
necessario coinvolgere più
persone possibili [...].
È molto triste quando tu
dici che gli stessi brasiliani
si vergognano dei loro fratelli indigeni, ma lo comprendo. Anche qui gli immigrati cercano di nascondere le loro origini il più
possibile, ma, per i popoli
indigeni della foresta deve
essere diverso, loro sono i
fratelli custodi di quella
grande foresta di cui tutti
noi abbiamo bisogno. Mi
piacerebbe invertire il loro
status da vittime a protagonisti orgogliosi che con
la loro vita e cultura e rispetto salvano la foresta di
cui tutti abbiamo bisogno.
Non più esseri inferiori, e i
paesi che li ospitano devono sentirsi orgogliosi di
occuparsi di loro. Caro
Carlo se questa inversione
di considerazione non avviene, prima o poi un governo o un altro troverà un
«buon motivo» per annientarli per sempre in nome della civiltà.
Con immenso affetto e riconoscenza.
Nicoletta Testori
18/09/2013
Cari mission@ri
LA FORMICA
ALLA CICALA
Egregio direttore, ho appena letto la risposta che Lei
si è permesso di dare al
sig. Giorgio Rapanelli (MC
ott. 2013) e ne sono rimasto profondamente indignato. Il sig. Giorgio può
sicuramente permettersi
di parlare a nome degli italiani, quantomeno di
quelli che pagano le tasse.
Non so invece a chi si riferisca Lei quando scrive
che «siamo noi che continuiamo a rubare». Spero
che si riferisca a chi vive a
scrocco degli altri e non agli italiani che lavorano e
che si sono faticosamente
guadagnati il loro benessere senza per questo doversi sentire in colpa.
Egregio direttore, sono un
italiano che paga le tasse
(quindi anche il suo 8 per
mille), cattolico praticante
e volontario in Africa
(sempre a spese mie). Ho
girato l’Africa in lungo e in
largo quindi posso affermare con sicurezza che gli
europei hanno dato all’Africa molto più di quello
che hanno preso, sia in
termini di infrastrutture
che in termini di aiuti umanitari. Sono europei
quei tanti suoi confratelli
missionari e volontari laici
che in Africa fanno solo ed
unicamente del bene,
spendendo la loro vita al
servizio degli altri, anche a
costo del martirio. Che poi
ci siano anche le multinazionali è un altro discorso,
anche perché queste ultime non sfruttano solo l’Africa ma chiunque e qualunque cosa. Smettiamola
di dare sempre la colpa all’Occidente! Vede, credo in
Dio e non nel denaro, ma
l’esperienza mi ha insegnato che coloro i quali dicono che il denaro non è
importante solitamente
non sono abituati a guadagnarselo e tendono a vivere sulle spalle degli altri e
in questo, probabilmente,
Lei non fa eccezione.
Se ha voglia di contestarmi, mi parli della sua dichiarazione dei redditi e di
quanti migranti lei ospita a
casa sua e a spese sue. Il
benessere che noi italiani
ci siamo guadagnati (lei escluso) deriva dal lavoro, e
chi lavora onestamente e
faticosamente (senza tanti
“pole pole”) non deve certamente sentirsi in colpa
del proprio benessere né
responsabile di tragedie
che sono imputabili unicamente alla disperazione e
a coloro che, sulla tratta
delle persone, costruiscono le loro fortune economiche. Anche nelle missioni si chiudono a chiave
le porte di casa, eppure Lei
ci viene a dire che dovremmo fare entrare in Italia
chiunque, senza alcun
controllo, quando l’immigrazione clandestina è
considerata illecita in tutto
il mondo, anche nei paesi
africani dove addirittura
sono previste pene molto
più severe per chi entra
nel paese illegalmente.
Vede, egregio direttore, la
solidarietà è un valore cristiano ma non la si può
imporre, e gli ipocriti non
sono i più adatti a insegnarla. Se Lei si sente in
colpa per le tragedie dei
migranti, vada ad aiutarli a
casa loro o li accolga a casa sua, ma lo faccia in silenzio e a spese sue, e non
sempre a spese di Pantalone. Solo così, sarà un
buon cristiano e, se vorrà,
potrà venirci a insegnare
l’accoglienza con meno ipocrisia. Smetta di fare la
cicala e inizi a fare la formica, come tanti suoi confratelli che lei disonora
con le sue parole offensive
per tutti noi che la solidarietà la facciamo in silenzio, a spese nostre.
Alessio Anceschi
Sassuolo (MO), 14/10/2013
Caro Sig. Anceschi,
quando scrivo che «siamo
noi che continuiamo a rubare», non lo dico io, ma
statistiche che sono pubblicamente disponibili.
Sistema «che ruba». Segnalo solo pochi dati. Il
«nostro» mondo, troppo
semplicisticamente definito «l’Occidente», ha il
20% della popolazione e
consuma l’80% delle risorse mondiali. L’Italia
consuma ogni anno quattro volte più della sua biocapacità; fa meglio di altri
paesi, ma è sempre sopra
il livello di guardia. L’Europa butta il 15% del cibo
che produce; in Italia il
25% del cibo comperato
finisce nella pattumiera.
È vero che la maggior parte degli italiani sono grandi e onesti lavoratori (o
candidati a esserlo, visto
l’incredibile livello di disoccupazione), ma è anche vero che siamo dentro
un sistema che non funziona e si regge sulle spalle di chi vive sotto la soglia
della povertà grazie a un
sofisticato sistema di rapina delle risorse di cui nessuno sembra essere responsabile. Le famose
multinazionali che oggi
sfruttano tutto e tutti, anche noi (il mostro che
mangia se stesso!), non
sono un prodotto della
fantasia dei poveri, ma il
frutto più alto e perverso
del sistema economico di
cui noi viviamo.
Rifugiati. I paesi africani
ospitano molti più rifugiati
di quanti noi non ne riceviamo in dieci anni. Da noi
non esiste una realtà come il campo profughi di
Daabab in Kenya, con le
sue centinaia di migliaia di
disperati provenienti dalla
Somalia. E quanti sono i
rifugiati in Congo RD, in
Ciad, in Sudafrica, in
Ruanda, in Tanzania, tanto
per nominare solo alcuni
paesi? Le statistiche parlano di oltre quattro milioni. Tutti clandestini schedati dalla polizia?
Lascio poi ai lettori il resto
del suo intervento.
La cicala ipocrita. Per quel
che mi riguarda - mi permetta questa autodifesa -,
preciso che da quando ho
finito gli studi nel 1976 e
sono stato ordinato sacerdote, lavoro una media di
8-12 ore al giorno - fine
settimana incluso -, e non
ho pesato sull’8x1000 e
neppure sul sistema sanitario nazionale fino ai 60
anni compiuti. Quando nel
2010, rientrato in Italia dopo 21 anni di servizio in
Kenya, sono diventato viceparroco (mentre i miei
coetanei andavano in pensione), ho ricevuto il mio
primo stipendio di 699,00
euro netti al mese, tasse
pagate, che mi lucra un
totale annuo di ca. 8200,00
euro, tredicesima compresa, troppo per essere
esente dal ticket sanitario.
Quanto ai migranti, o potenziali tali, li ho aiutati
quando ero a casa loro e
continuo ad aiutarli da qui,
perché ritengo che la cosa
migliore sia metterli in
condizione di vivere una
vita dignitosa restando a
casa propria. Come fanno
tanti miei confratelli in Africa, America Latina e Asia, cui dò voce attraverso
questa rivista, e come
possono testimoniare le
centinaia (non ho mai tenuto il conto!) di ragazzi e
ragazze che ho fatto, e
continuo a fare studiare
con l’aiuto di tanti amici.
Essi - ragazzi e amici sanno bene che sono più
una formica e che una cicala, anzi più un «canale
che una conca», per dirla
col Beato Allamano, perché quello che «mendico»
dagli amici e benefattori
va tutto per aiutare chi è
nel bisogno, creando non
poche ansietà al mio amministratore con i miei
conti perennemente in
rosso.
Che il Signore e i lettori mi
perdonino questo momento di vanità. •
DICEMBRE 2013 MC
7
La Chiesa nel mondo
a cura di Sergio Frassetto
CINA
PALADINA DEI DISABILI
dare lavoro e inserimento sociale
ai disabili mentali.
(Elisabetta Pioltelli)
l premio internazionale “Vittorino Colombo” 2013 è andato a
IMeng
Weina che da anni si batte
NEPAL
per l’opportuna assistenza a favore dei disabili cinesi abbandonati.
Il prestigioso riconoscimento promosso dalla Fondazione Vittorino
Colombo in collaborazione con il
Comune di Albiate, paese natale
del senatore brianzolo cui è intitolato il premio, è stato conferito domenica 20 ottobre in Villa Campello. Figlia di un eroe della guerra
contro i giapponesi, Meng Weina
ha fondato e dirige la Huiling, una
grande opera caritatevole a favore
dei meno fortunati. Convertita al
cattolicesimo nel 1998, ha preso il
nome di Teresa in onore della
Beata di Calcutta. La Ong fondata
da Meng Weina ha registrato legalmente i suoi servizi a favore dei
disabili sociali in 13 metropoli della Cina e opera in molte altre.
Conta più di un centinaio di case,
circa 300 operatori con più di mille
persone disabili accolte o operanti
nei vari servizi. Ha pure sviluppato
due specifiche realtà: “La Chiocciola”, che è una rete di migliaia di
disabili che si conoscono in internet e organizzano attività per incontrarsi, e la catena di panifici
“Emmaus” (ancora all’inizio) per
UNA PAROLA CHE LIBERA
L
a lettura della Bibbia costituisce una spinta fortissima per
combattere la disuguaglianza sociale e l’ingiustizia in Nepal. Ne è
prova l’aumento del numero di
non cattolici che decidono di partecipare alla messa domenicale e i
giovani che intraprendono il catecumenato, perché attratti dal
messaggio di uguaglianza e dignità dell’essere umano proclamato dalla Chiesa cattolica. Il 20
ottobre scorso, Giornata Missionaria Mondiale, il parroco della
cattedrale dell’Assunzione a Kathmandu, p. Robin Rai, ha letto il
messaggio del Santo Padre e le
oltre 500 persone presenti hanno
trovato le parole del Papa “perfettamente adatte” ai bisogni del Nepal, dove molte persone subiscono
discriminazioni e oppressioni quotidiane. Rita Adhikari, un membro
della casta più bassa della società
nepalese racconta di essersi convertita al cattolicesimo otto anni
fa, perché ha scoperto che in questa religione non esiste discriminazione. Per sfuggire alle ingiustizie derivanti dalla sua bassa e-
strazione sociale spiega di aver
dovuto addirittura cambiare cognome per non essere identificata
come appartenente a quella casta.
(AsiaNews)
BOLIVIA
INTEGRAZIONE
TRA LE CHIESE
La Paz, in Bolivia, dal 21 al 24
ottobre si è svolto il V incontro
A
trilaterale delle Chiese di Bolivia,
Perù e Cile, con la partecipazione
di quindici vescovi latinoamericani. Al centro della riunione, l’integrazione politica ed economica regionale, la situazione della gioventù in questi paesi e del
fenomeno migratorio sotto la prospettiva delle sfide pastorali che
questi temi rappresentano per la
Chiesa. L’incontro si proponeva di
rafforzare la comunione e la fratellanza tra queste Chiese locali e
analizzare la realtà ecclesiale della regione alla luce del discorso di
Papa Francesco al Consiglio Episcopale Latinoamericano (Celam)
riunito a Rio di Janeiro in coincidenza con la Giornata Mondiale
della Gioventù. I rapporti storici,
geografici e socio-economici che
accomunano questi tre paesi, rilevano il bisogno di progetti comuni
di pastorale che rispecchino l’unità del popolo di Dio in queste
terre di frontiera. I temi ricorrenti
negli ultimi incontri riguardano
l’incremento del narcotraffico e la
minaccia che rappresenta per le
nuove generazioni, e la povertà,
un flagello che colpisce soprattutto le popolazioni indigene a causa
della disuguaglianza, il cambiamento climatico e i progetti di
sfruttamento di risorse naturali
che arriva fino all’espropriazione
delle loro terre.
(Radio Vaticana)
# Albiate - Meng Weina ringrazia per il
premio “Vittorino Colombo”.
8
MC DICEMBRE 2013
La Chiesa nel mondo
INDIA
LIBERTA’ RELIGIOSA
ibertà religiosa per tutte le minoranze, pari diritti per dalit,
L
cristiani e musulmani, la legge per
la sicurezza alimentare: sono alcuni dei temi che il card. Oswald
Gracias, arcivescovo di Mumbai e
presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci), ha discusso
con Sonia Gandhi, presidente della
United Progressive Alliance (Upa),
coalizione al governo in India. Il
porporato ha dichiarato che l’incontro «è stato un’occasione non
per chiedere favori speciali, ma
solo giustizia, uguaglianza e protezione per tutti i cittadini, come garantisce la Costituzione del nostro
paese». Durante il confronto il cardinale si è congratulato con il presidente dell’Upa per l’approvazione
della Food Security Bill, definendo
il decreto - che prevede la distribuzione di cibo a basso costo per 800
milioni di poveri - «un grande passo del governo verso la cura dei bisognosi e degli oppressi». La
Gandhi ha assicurato all’arcivescovo che «le preoccupazioni espresse saranno affrontate in modo serio», e ha dichiarato di apprezzare
«i servizi resi dalla comunità cattolica in molti campi, soprattutto
quello dell’istruzione e della sa-
nità». «La nostra unica richiesta,
sottolinea il presidente della Cbci,
è di poter lavorare e vivere liberamente, secondo i diritti proclamati dalla Costituzione. E questi includono il diritto a praticare la
propria religione».
(AsiaNews)
CUBA
DIPLOMA DI IMPRENDITORE
a Chiesa cattolica cubana ha
avviato nuovi corsi di formazioL
ne per conseguire il diploma di
imprenditore. Grazie alla collaborazione con una università messicana, i nuovi imprenditori vengono quindi messi in grado di aprire
un’impresa nell’isola di Cuba.
Questi corsi offrono la formazione
e la consulenza, ma non il capitale
iniziale. Due dei progetti, un
workshop di tre mesi, e due anni
per il diploma, sono gestiti dalla
Compagnia di Gesù e dai Fratelli
delle Scuole Cristiane (La Salle),
mentre un altro corso di un mese
è gestito direttamente dalla stessa arcidiocesi de L’Avana. I requisiti necessari variano a seconda
del progetto scelto. «Il nostro corso è stato progettato per insegnare alle persone a gestire un’attività in modo elementare. Offre
quindi gli elementi di base necessari per adattare il progetto al no-
stro paese» riferisce il direttore
del progetto Cuba Emprende dell’arcidiocesi de L’Avana.
(Fides)
PAKISTAN
OBIETTIVO FORMATIVO
di testo delle scuole pakistane pongono il jihad, l’uccisioInelibri
dei cristiani, degli indù e di altre minoranze religiose come “obiettivo formativo” che aiuterebbe
gli stessi membri della minoranza
a cercare il martirio per la fede. È
quanto emerge da un rapporto
pubblicato alla fine di settembre
dal Middle East Media Research
Institute (Memri). Secondo la ricerca, i testi sono diffusi nella
maggior parte delle scuole pubbliche primarie pakistane e anche i
cristiani e membri di altre minoranze sono costretti a leggerli e
studiarli. Gli autori dei libri guidati
dai leader religiosi hanno modificato il significato del termine “minoranza”, che ora viene percepito
con significato negativo. Nel 2011
sono stati pubblicati vari studi da
cui è emerso che migliaia di studenti non-musulmani sono costretti a studiare l’islam ed elementi della religione musulmana,
nel timore di discriminazioni.
(AsiaNews)
COSTA D’AVORIO: “APATAM”
arandallah, al Nord della Costa d’Avorio, è
un’area isolata e difficile da raggiungere a
causa dello stato precario delle infrastrutture e delle vie di comunicazione. Il comune di Marandallah conta 26 villaggi e 33 insediamenti con una
popolazione stimata di 41 mila persone, la maggioranza di religione mussulmana. Sia l’elettricità che
l’acqua corrente sono raramente disponibili in questa zona. Nella parrocchia Saint Jean Baptiste di Marandallah i missionari della Consolata gestiscono
una serie di attività tra le quali un dispensario e una
maternità. Altissimo è il tasso di analfabetismo:
mentre a livello nazionale è analfabeta il 45% della
popolazione, in questa regione la percentuale arriva
fino all’80-85%. Questa situazione, già problematica
# Costa d’Avorio - esempio di “apatam” per uso scolastico.
di per sé, è ancora più grave considerando le particolarità dell’area, abitata da una popolazione fortemente multietnica e spesso proveniente da paesi confinanti. A raccogliere la richiesta dei missionari è intervenuta l’Opam (Opera di promozione dell’alfabetizzazione nel mondo) che sta sostenendo la costruzione di diversi apatam. L’apatam è una sorta di paillote, o grande capanna, una delle più diffuse strutture
per l’aggregazione e, nelle sue varianti più grandi, è in grado di ospitare fino a quattrocento persone. Grazie a queste strutture, sarà possibile organizzare la formazione e l’alfabetizzazione e contribuire a rendere le persone di Marandallah cittadini più consapevoli e capaci di partecipare ai cambiamenti in corso
nel loro paese.
(Imc)
M
DICEMBRE 2013 MC
9
SIRIA
di ENRICO VIGNA*
con PAOLO MOIOLA
È uno dei pochi paesi
mediorientali dove è
stata possibile la convivenza tra etnie e fedi
religiose diverse. Dove
esiste una Costituzione,
un governo laico e in cui
la donna ha un ruolo paritario. Da oltre 30 mesi
questo paese è sconvolto da eventi tragici.
Un paese in cui vari stati
stranieri - mediorientali
e occidentali - stanno
combattendo per i propri interessi e dove si
sono moltiplicate le
bande jihadiste,
incontrollabili e molto
pericolose. Mentre tutto
si svolge sempre e
soltanto sulla pelle
dei Siriani.
© testiweb.com
# In alto: proteste contro il possibile
intervento armato Usa in Siria.
10
MC DICEMBRE 2013
SULLA PELLE
DEI SIRIANI
D
a oltre 30 mesi la Siria è
sconvolta da tragici
eventi. Per cercare di districarsi è importante capire cosa sia quel paese, come
sia strutturato, quali siano le differenze con gli altri paesi del Medio Oriente, soprattutto di quelli
che si sono schierati a fianco dei
ribelli.
Fino a oggi la Siria ha garantito la
convivenza tra almeno 7 etnie e
17 fedi religiose diverse. In Siria il
governo (laico) non distingue i cittadini in base all’appartenenza
etnica o religiosa.
Tra mille contraddizioni, errori, limiti e, in alcune fasi della storia
siriana, anche durezze e repressioni feroci, per quarant’anni la
Siria è riuscita ad essere questo.
È riuscita a costruire una società
con uno stato sociale minimo garantito (sanità, scuole, università), con un ruolo paritario della
donna, con diritti civili e sociali
superiori alla media dei paesi
mediorientali. Se si fa un sintetico raffronto con i paesi dell’area, emergono dati e situazioni a
dir poco sconcertanti.
ECCO CHI SONO I PALADINI
DELLA DEMOCRAZIA
La domanda è: paesi come l’Arabia Saudita, il Bahrein, il Qatar, il
Kuwait, gli Emirati Arabi Uniti
come possono ergersi a paladini
della democrazia - armando e finanziando le bande criminali e
terroriste che stanno insanguinando la Siria e la sua popolazione -, quando a casa loro tutto
ciò che invocano e pretendono da
Damasco è totalmente negato o
inesistente?
Questi paesi, in prima linea con
gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali (Gran Bretagna e Francia
in primis), nell’attaccare - mediaticamente, politicamente e militarmente - la società siriana, a
MC ARTICOLI
IL MOSAICO SIRIANO
POPOLAZIONE: 23 milioni di abitanti, di cui il 52% nelle campagne e il 48%
nelle città.
COMPOSIZIONE ETNICA: il 90% dei siriani è arabo, circa il 5% è curdo e il restante comprende varie minoranze (armeni, drusi, circassi, beduini, palestinesi).
FEDI RELIGIOSE: i musulmani sono circa l’87%, mentre i cristiani sono il
13%. All’interno di questi due gruppi ci sono diverse denominazioni. I
musulmani sono al 60-65% sunniti, i restanti sono sciiti, in cui rientrano
anche alawiti, drusi, ismaeliti. I cristiani comprendono varie confessioni: cattoliche, ortodosse, protestanti. Tra le cattoliche ricordiamo la
Chiesa maronita, la Chiesa armena, la Chiesa sira, la Chiesa caldea e la
Chiesa greco-melchita (intervista a pag. 12).
casa loro negano qualsiasi tipo di
diritto civile minimo alle minoranze etniche, religiose e politiche
e non solo alle minoranze.
Sono paesi dove la condizione
della donna è ferma al medioevo.
Da decenni, in Siria le donne sono
ministri, medici, docenti, giudici e
anche ufficiali dell’esercito, normalmente.
Sono paesi dove la fede religiosa
può essere solo quella dei regnanti e le altre non possono essere dichiarate o praticate. In Arabia Saudita, il più grande e fedele
alleato degli Stati Uniti e dell’Occidente in quell’area, il solo fatto
di portare una croce al collo può
essere causa di arresto. In Siria
sono riconosciute e sostenute
dallo stato 17 fedi diverse, persino
la sinagoga ebraica di Damasco è
stata ristrutturata con i contributi
del governo.
Sono paesi dove le minoranze etniche non hanno alcun diritto civile e non sono riconosciute. In Siria da decenni 7 etnie hanno medesimi diritti e doveri, e ogni cittadino è uguale davanti alla legge.
La struttura statale è fondata su
una rigida ripartizione delle cariche e dei funzionari. Per esempio,
il 62% dei medici, degli ingegneri,
dei giudici, degli insegnanti, sono
sunniti, il 12% sono cristiani, il 7%
alawiti, e poi armeni, curdi, drusi.
Identica divisione percentuale si
ha nell’esercito siriano.
Sono paesi dove i diritti sociali di
lavoratori e immigrati non sono
minimamente riconosciuti o praticabili. In questi paesi orari di lavoro, paghe, contratti, sicurezza
sono a discrezione dei vari sceicchi e padroni, e, ove siano reclamati, si va incontro all’accusa di
sedizione e sovversione, o al car-
cere. In Siria esistono vari sindacati di settore, legalmente riconosciuti con relativi diritti e relative proteste.
Sono paesi dove non esistono opposizioni politiche e dove, come
accaduto in Arabia Saudita o in
Bahrein, pacifiche dimostrazioni
popolari vengono schiacciate nel
sangue da feroci repressioni con
decine di morti nelle piazze, migliaia di arresti e decine di condanne a morte, coprifuoco per
settimane. In Siria qualsiasi manifestazione pacifica e non armata è
legale; da sempre esiste una opposizione politica legale al governo, esistono partiti politici (anche due partiti comunisti), non allineati e critici al governo. E dopo
la riforma del 2012 ci sono diciotto
partiti nuovi legalizzati e nell’attuale governo del presidente Bashar al-Assad, due ministri appartengono all’opposizione.
Sono paesi dove il diritto allo studio, a essere curati, a migliorare la
propria condizione sociale è
esclusiva delle famiglie dei funzionari dello stato e dei clan regnanti,
o discende dall’appartenenza alla
fede religiosa dominante. In Siria
ogni cittadino parte dalle stesse
possibilità, qualsiasi sia la sua etnia, la sua fede religiosa, il suo
ceto sociale.
Da ultimo, un aspetto che, se non
avesse risvolti tragici, sarebbe comico: l’Arabia Saudita chiede modifiche e riforme della Costituzione siriana quando in quel paese
non esiste una costituzione!
Ma c’è un altro paese dell’area
mediorientale che sta fomentando questa guerra ed è storicamente coinvolto da oltre sessant’anni in tutti i conflitti di quell’area: Israele. Un paese che con
forza e arroganza chiede il disarmo delle dotazioni chimiche
dell’esercito siriano (in sè una
cosa giusta, se valesse per tutti),
ma che possiede ufficialmente senza che alcun paese importante osi protestare - armi nucleari, armi di distruzione di
massa e chimiche. Un paese che
invoca il rispetto dei diritti umani
in Siria, ma che ha la possibilità
del cosiddetto «arresto amministrativo», la possibilità cioè di detenere una persona anche senza
accuse specifiche, e che in questi
decenni ha portato centinaia di
migliaia di cittadini (ovviamente
palestinesi) nelle carceri israeliane come forma di prevenzione.
Un paese che ha la tortura legalizzata e praticata normalmente.
Insomma, viene da dire: da che
pulpiti provengono le morali dirittumaniste per la Siria!
LE PAROLE DELLA MINORANZA
CRISTIANA E DEL PAPA
Mons. Giuseppe Nazzaro, francescano, ex vicario apostolico di
Aleppo, racconta: «Per come io la
conosco, la Siria era il paese islamico più democratico di tutto il
Medio Oriente (…). Quello che mi
sta a cuore è che in Europa si
sappia bene che cosa sta succedendo qui e in tutto il Medio
Oriente e per colpa di chi. Questa
è soprattutto una guerra di commercio. Siamo in una nuova colonizzazione che si traduce così: “Io
vi dò le armi, voi vi autodistruggete e poi vengo io a ricostruire
tutto”».
«Io lancio un allarme per tutta la
situazione che siamo obbligati a
vivere oggi. I potenti della terra
che l’hanno causata, la devono
smettere, la devono finire. Noi
stavamo benissimo. Vivevamo in
pace. Ci hanno portato una
guerra che è diventata guerra
fratricida, che sta distruggendo
un paese che era bellissimo,
ricco di storia, ricco di civiltà».
Un discorso che viene confermato dalla testimonianza di padre Daniel Maes, sacerdote cattolico belga del Monastero S. Giacomo di Qara: «Qualche anno fa,
quando siamo venuti in Siria, non
abbiamo incontrato una società
politica perfetta, ma abbiamo incontrato una società prospera e
(segue a pagina 14)
DICEMBRE 2013 MC
11
SIRIA
Incontro con mons. Haddad della Chiesa cattolica greco-melchita
IL PAESE STRAPPATO E LA GUERRA IMPORTATA
Il mosaico religioso della Siria è stato infranto da una guerra importata. Mercenari pagati dai paesi sunniti
(Arabia Saudita, in primis) e armati dai paesi occidentali (Stati Uniti e Francia in testa), stanno distruggendo
l’unico paese arabo in cui la convivenza interconfessionale era una pratica quotidiana, l’unico dotato di una
Costituzione laica. Da quest’intervista esce un quadro molto diverso da quello dipinto dalla maggior parte
dei media internazionali.
Roma mons. Mtianos Haddad è rettore della Basilica
A
di Santa Maria in Cosmedin. La chiesa sorge in piazza
Bocca della Verità. Proprio sotto il portico della chiesa è
collocato - dall’anno 1632 - il notissimo mascherone in marmo
dove tutti introducono la mano per dimostrare che non mentono. «E anch’io oggi dirò la verità, signor Paolo», aggiunge con
un sorriso il prelato (*). Siriano, archimandrita della Chiesa
cattolica greco-melchita a Roma, mons. Haddad appare come
una persona pacifica e gioviale, ma con idee molto chiare
sull’«amata Siria», un paese dilaniato da una guerra importata
da siriani espatriati e da gruppi islamici foraggiati dai soldi di
alcuni paesi sunniti (in primis, Arabia Saudita e Qatar) e dalle
armi vendute dai paesi occidentali.
Mons. Haddad, la Siria è un paese dalle molte confessioni
religiose.
«La Siria è una culla della cristianità. I cristiani e gli ebrei sono
lì da ben prima dell’islam. Dopo 600 anni sono arrivati anche i
musulmani. Un mosaico religioso, ben vissuto e ben accettato,
che è diventato una ricchezza. Prima di questi ultimi 32 mesi,
“maledetti” (mi scuso del termine, ma è così), la Siria era un
esempio della convivenza e convivialità tra cristiani (cattolici,
ortodossi, protestanti), musulmani e comunità ebraiche. Come
prova di quanto affermo, ricordo che, da tanti anni, il governo
ha cancellato la voce “religione” dalla carta d’identità, cosa impensabile negli altri paesi arabi. Così, al momento di iscriversi
all’Università, nessuno ti chiederà quale sia la tua fede. Ma c’è
di più. Nelle scuole pubbliche, che sono gratuite, pure le differenze sociali tra ricchi e poveri sono state azzerate introducendo per ogni studente la
stessa uniforme. Anche in
questo modo il governo ha
aiutato tutti noi a essere
semplicemente cittadini
siriani. Io sono orgoglioso di essere siriano».
© Paolo Moiola
GLI ANTI-ASSAD
12
MC DICEMBRE 2013
ESERCITO SIRIANO LIBERO:
nato nel luglio 2011, è stata la
prima formazione antiAssad, ora molto indebolita
dalle defezioni.
Si potrebbe però obiettare che le decisioni di governo
sono prese da un solo partito...
«Con tutte le cose che possiamo dire sul Bath - partito unico,
dittatore e altro -, dobbiamo ammettere che esso ha dato
stabilità alla Siria. Ricordo che Michel Aflaq (1910-1989,
ndr), il suo fondatore, era un cristiano. Egli riteneva che con
un unico partito laico si sarebbe potuti andare oltre le differenze dell’appartenenza religiosa. Ricordo che, prima dell’avvento del Bath, la vita media di un governo non superava
gli 11 mesi. Oggi si protesta contro la lunga permanenza al
potere di Assad, dimenticandosi che in Germania Angela
Merkel è appena stata eletta per il terzo mandato».
Dal marzo 2011 in Siria c’è un conflitto. Come spiegarlo?
«Hanno iniziato a dire che in Siria era arrivata la primavera
araba e che il governo doveva andarsene. Vediamo cos’è
successo negli altri paesi. In Egitto, si è tornati a prima della
primavera: un fallimento. In Iraq, la maggior parte della popolazione e delle minoranze rimpiange i tempi del dittatore.
I giornali non ne parlano più, ma la pace di oggi costa (almeno) 60 vittime al giorno. In Libia, la liberazione è costata
migliaia di morti e adesso il paese è diviso tra tribù. Io come
cristiano non posso andare in Arabia Saudita con la bibbia e
con la croce. In quel paese le donne non possono neppure
guidare un’automobile! L’esempio della Siria era pericoloso
per i paesi del Golfo. Pertanto, hanno cominciato a lavorare
per distruggere il modello siriano. E non dimentichiamo la
confinante Turchia. Quando era in amicizia con Israele, era
contro la Siria. Poi, dopo l’incidente della “Freedom Flotilla
per Gaza” (maggio 2010, ndr), i due paesi si sono riavvicinati.
Adesso le cose sono di nuovo cambiate, dato che Erdogan
sogna di far rivivere il califfato ottomano».
Per questo lei parla di una guerra importata...
«Per abbattere il governo sono arrivati in Siria combattenti
jihadisti da 17 paesi! Si parla di 80-100 mila uomini armati
stranieri nel paese. Sono mercenari, jihadisti per vocazione o fanatici. Un esempio. Sono arrivati nella
bellissima Aleppo, città di cultura e commerci, e si
sono impossessati di un quartiere. Ebbene, questi
personaggi hanno imposto la sharia nella zona conquistata. Hanno usato le persone come scudi umani,
hanno ucciso bambini davanti ai familiari. Altri fanatici jihadisti hanno attaccato (settembre 2013, ndr) il villaggio cristiano di Malula1».
Abbiamo parlato dei paesi arabi. Vediamo adesso il
comportamento dei paesi occidentali.
«È stato negativo. Si pensi alla Francia. È andata in Mali a
ESERCITO ISLAMICO:
il Jaysh al-Islam è nato a fine
settembre 2013, include 43
gruppi islamisti.
ALLEANZA ISLAMICA:
nato a metà settembre 2013,
include 13 gruppi islamisti,
tra cui il Jabhat al-Nusra e
Ahrar al-Sham.
MC ARTICOLI
combattere al-Qaeda. Adesso la stessa Francia vuole abbattere - assieme ad al-Qaeda - il governo siriano. Dunque, per
Parigi al-Qaeda è un diavolo in Mali e un santo in Siria. Dato
che non può essere così, è evidente che si tratta soltanto di
una questione di interessi. Vediamo ora gli Stati Uniti, che
predicano la democrazia dei popoli. Perché vanno contro un
governo eletto dal popolo siriano? E infine non dimentichiamo Israele».
Già, non possiamo dimenticare Israele…
«Prima di tutto, io voglio distinguere tra lo stato di Israele e
la popolazione ebraica. In Siria, l’ho già ricordato, viviamo
bene con le comunità ebraiche. Se gli Stati Uniti vogliono essere gli arbitri o i garanti della giustizia internazionale, allora debbono occuparsi anche del popolo arabo palestinese,
privo dei suoi diritti dal 1948. Questa ingiustizia è una spina
nel fianco di tutto il mondo arabo. Israele e gli Stati Uniti ne
sono responsabili. Ma c’è dell’altro. Perché non si parla mai
del nucleare israeliano? Perché non si parla delle emissioni
radioattive della centrale di Dimona2?».
Mons. Haddad, diciamo due parole anche sui paesi più
vicini alla Siria come la Russia e l’Iran.
«La Russia è sempre stata legata alla Siria per questioni strategiche e commerciali (il grano e il gas, ad esempio). L’Iran vedendo questa coalizione di paesi sunniti contro la Siria - ha
pensato di aiutare Assad per riequilibrare la situazione nella
regione. Un esempio tra i tanti possibili: l’ex presidente egiziano Morsi, esponente dei Fratelli musulmani, ha fatto chiudere l’ambasciata siriana al Cairo (giugno 2013, ndr)».
Lei nega che quella siriana sia una guerra tra sunniti e
sciiti.
«Certamente. In Siria abbiamo tra il 60 e il 65 per cento di
sunniti. Hanno il 60 per cento dei posti nell’amministrazione
e nell’esercito oltre che una parte rilevante della ricchezza.
Se fosse stata una guerra tra sunniti e sciiti, il governo di Assad avrebbe potuto resistere soltanto alcune settimane».
Come sono le relazioni con il Libano dopo i conflitti degli anni passati?
«È una bella storia di vicinanza. La Siria ha bisogno del Libano per accedere al mare, al tempo stesso il Libano ha bisogno della Siria. La guerra iniziò da uno scontro con i palestinesi (aprile 1975, ndr) e poi da alcuni comportamenti dell’esercito siriano che era andato lì per ripristinare la pace.
Quel conflitto si trasformò in una trappola per Damasco,
come quando fu accusata di aver ucciso il primo ministro
Hariri (14 febbraio 2005, ndr). Tuttavia, i nostri popoli sono
rimasti in ottimi rapporti come dimostrano i numerosi matrimoni tra cittadini dei due paesi. Durante la guerra in Libano molti si rifugiarono in Siria, mentre adesso avviene il
contrario».
Chi sono i ribelli? E soprattutto chi sono i loro capi che
parlano dalle capitali europee?
«Abbiamo già detto che la quasi totalità dei combattenti
non sono siriani. Poi ci sono alcune persone che hanno lasciato la Siria perché avevano problemi con il governo (per
esempio, non volevano fare il servizio militare) e che sono
fuori del paese da oltre 20 anni. I loro figli neppure sanno
dove sia la Siria! Io non li giudico (molti di loro hanno lasciato il paese per la paura - legittima - delle guerre), ma vogliono decidere le sorti del paese senza averne più diritto.
CONSIGLIO NAZIONALE SIRIANO:
nato nell’agosto 2011, è un’autorità
politica anti-Assad con sede a Istanbul.
Io rispetto l’opposizione siriana che dialoga con il governo per
cambiare le cose, ma non quella che chiede l’intervento di eserciti stranieri per colpire il paese. Questo è un tradimento. Questi personaggi (che spesso vivono in hotel a 5 stelle) non mi rappresentano. Adesso sono stati chiamati a partecipare alla conferenza di “Ginevra 2”3, ma non ci vogliono andare perché pretendono di imporre le loro condizioni. Il governo al contrario
non ne ha poste. A Obama hanno dato il premio Nobel della
pace prima che facesse qualcosa. Vediamo se adesso saprà meritarselo».
Dell’opposizione siriana non armata si parla poco. Ci dica
lei qualcosa al riguardo.
«Nell’attuale governo di Damasco ci sono 2 ministri dell’opposizione siriana pacifica. Uno è ministro della riconciliazione4. È
una dimostrazione della serietà del governo, che vuole ascoltare i bisogni dei suoi cittadini, lavorando per la pace. Anche la
Costituzione è stata cambiata: nell’articolo 8 non si parla più di
partito unico».
Il presidente Assad viene quasi sempre dipinto come un
dittatore sanguinario e senza scrupoli.
«Assad non è nato nell’esercito. È un uomo di cultura, che parla
bene le lingue. È un medico oculista. È un uomo che rimane
umile anche nella sua vita personale. Quando fummo ricevuti
come rappresentanti della Chiesa melchita, ci salutò uno a uno
dialogando con ognuno. È un presidente laico e di fede. Va a pregare nelle festività musulmane, va a porgere gli auguri ai patriarchi5 nelle festività cristiane. È stato detto che Assad ha accettato la soluzione sulle armi chimiche perché ha avuto paura.
E se invece fosse soltanto un uomo di buona volontà? Per questo
e altro Assad è un presidente che non può fare paura».
Come si fa per uscire da questa situazione di guerra e ricostruire un paese distrutto.
«La prima cosa è chiedere l’aiuto dell’Onu. La seconda è rispedire a casa ogni jihadista affinché nel paese rimangano soltanto
i siriani».
Un bel proposito, ma come fare per realizzarlo?
«Occorre chiudere i rubinetti: quando non arriveranno più
soldi, i jihadisti se ne andranno. Agli oppositori non armati che
chiedono cambiamenti va ripetuto: parliamoci. Adesso i siriani
hanno perso la fiducia. Occorre riconquistarla. Senza armi
sarà molto più facile arrivare a una riconciliazione. Una riconciliazione che sia fondata sulla giustizia e sulla dignità».
Paolo Moiola
NOTE
1 - Il villaggio siriano di Malula è molto noto in quanto vi si parla ancora
l’aramaico, lingua antichissima diffusa nel Medio Oriente prima di es
sere soppiantata dall’arabo.
2 - La centrale di Dimona è anche famosa per l’incredibile vicenda di
Mordechai Vanunu, il tecnico rapito e imprigionato per aver osato
svelare i segreti del nucleare israeliano.
3 - Conferenza di pace sulla Siria alla presenza di Onu, Usa e Russia.
4 - Ali Haidar, medico, è stato nominato ministro per la riconciliazione
nazionale nel giugno 2011, pochi mesi dopo lo scoppio della guerra.
5 - La capitale siriana Damasco ospita i patriarchi di alcune chiese cri
stiane, sia cattoliche che ortodosse.
(*) Questa intervista - riprodotta soltanto nei suoi passaggi essenziali - nasce da due incontri con mons. Haddad. Il secondo di questi
è integralmente visibile su YouTube. Il link è riportato sul sito della
rivista: www.rivistamissioniconsolata.it.
SPONSORS POLITICI E/O FINANZIARI DEGLI
ANTI-ASSAD:
paesi sunniti mediorientali (Arabia
Saudita, Qatar, Turchia), Stati Uniti,
Gran Bretagna, Francia, Israele.
FONTI MEDIATICHE ANTI-ASSAD:
Osservatorio siriano per i diritti
umani (Londra), al-Jazeera (Qatar),
al-Arabiya (Arabia Saudita).
DICEMBRE 2013 MC
13
SIRIA
CRONOLOGIA - DALL’IMPERO OTTOMANO A GINEVRA 2
L’Impero ottomano domina
su Siria e Libano, parti
della regione denominata
«Grande Siria».
Dopo la fine della prima guerra
mondiale e il trattato di Versailles,
la Francia ottiene il protettorato
su Siria e Libano.
Nasce e si sviluppa
il partito Ba’th
(Baath). Uno
dei fondatori è
il cristiano Michel
Aflaq.
Trattato (segreto)
di Sykes-Picot:
Gran Bretagna
e Francia si
spartiscono
il Medio Oriente.
1516-1918
1916
Indipendenza
della Siria.
1919-1946
1940-1946
14
MC DICEMBRE 2013
Dopo la «guerra dei sei giorni»,
Israele si annette unilateralmente il
territorio siriano delle Alture del
Golan, da cui non si è mai ritirato.
Diventa presidente
della Siria
Hafiz al-Assad,
alawita del
partito Ba’th.
Il partito
Ba’th va al
potere.
1946
1963
16 maggio
sicura, e abbiamo anche sperimentato l’uguaglianza di tutti i
gruppi religiosi. C’era la libertà di
religione, l’ospitalità e una sana e
serena vita di famiglia. Nella vita
pubblica, discriminazioni, furti e
criminalità erano sconosciuti. All’improvviso sono apparse le atrocità più orribili. Si massacra, si
saccheggia e ci sono attentati in
tutto il paese. Quella società abbastanza armonica si è trasformata in un incubo. I villaggi cristiani circostanti sono stati distrutti e tutti i fedeli che potevano
essere catturati sono stati uccisi,
secondo una logica di odio settario. Per decenni cristiani e musulmani hanno vissuto in
pace in Siria. Il fatto
che bande criminali
possano scorrazzare
e terrorizzare i civili,
questo non è contro le
leggi internazionali?...
I giovani sono delusi,
perché le potenze
straniere dettano loro
l’agenda. I musulmani
moderati sono preoccupati, perché salafiti
e fondamentalisti vo-
A CURA DI PAOLO MOIOLA
gliono imporre una dittatura totalitaria di stampo religioso. I cittadini sono terrorizzati perché vittime innocenti di bande armate».
Parole isolate? Non proprio se
anche Papa Francesco, durante
l’Angelus dell’8 settembre 2013,
ha detto: «Sempre rimane il dubbio se questa guerra di qua o di là
è davvero una guerra o è una
guerra commerciale per vendere
queste armi o è per incrementarne il commercio illegale. (...)
Preghiamo perché cessi subito la
violenza e la devastazione in Siria
e si lavori con rinnovato impegno
per una giusta soluzione del conflitto fratricida… Dire no all’odio
fratricida e alle menzogne di cui si
serve, alla violenza in tutte le sue
forme, alla proliferazione delle
armi e al loro commercio illegale.
Questi sono nemici da combattere
uniti e con coerenza, non seguendo altri interessi se non
quelli della pace e del bene comune».
TRAME E REGISTI OCCULTI
(O INDICIBILI)
Un’altra domanda da porsi è: chi
sta dietro questa guerra? chi
sono i registi occulti? Un dato
emerge chiaramente: questa
guerra è parte di disegni, strategie di
cui la Siria è sola-
1967
1971 - 2000
Viene varata
la prima
Costituzione
siriana.
1973
marzo
mente un tassello, in realtà la
partita si gioca su tutto il Medio
Oriente nel suo insieme. Quella
che segue è una sintetica e parziale documentazione, ma dà notevoli elementi di riflessione.
• Nel febbraio 1982 viene pubblicato A Strategy for Israel in the
Nineteen Eighties, un saggio di
Oded Yinon, allora alto funzionario
del ministero degli Esteri di
Israele, dove si indica un progetto
strategico di disgregazione e
frammentazione dell’intero Medio
Oriente e paesi arabi, in parti le
più minuscole possibili, fomentando e favorendo conflittualità su
basi etniche e religiose, fino allo
smantellamento di tutti gli stati vicini o ostili a Israele. Nell’articolo
si indicano nello specifico, persino
descrivendo le province e regioni
di ciascun paese, dal Libano all’Iraq, dall’Egitto alla Siria, con Libia
compresa. Per la Siria si descriveva - siamo nel 1982 - come andasse disgregata: dividerla su basi
etnico-religiose in più stati (sulla
costa uno stato alawita e sciita,
nella regione di Aleppo sunnita,
nella regione del Golan druso, eccetera). «Questo progetto è l’obiettivo prioritario di Israele a
lungo termine, a breve nel frattempo l’obiettivo è la dissoluzione
militare di questi stati (...). È un
progetto alla nostra portata».
• Il 15 settembre 2001, a Camp
David, subito dopo gli attentati
# Sopra: il presidente Assad e la moglie Asma al referendum sulla
nuova Costituzione (2012). Qui a sinistra: Gregorio III Laham,
patriarca della Chiesa greco-melchita. A destra in basso: Kirill I,
patriarca della Chiesa ortodossa russa, con Assad.
MC ARTICOLI
Diventa presidente Bashar
al-Assad, di professione
medico, figlio di Hafiz.
Viene approvata la nuova
Costituzione siriana: non c’è
più il partito unico (art. 8) e
sono posti limiti alla carica
presidenziale (art. 88).
Nasce l’«Alleanza islamica»:
ne fanno parte 13 gruppi
ribelli fuoriusciti dalla
«Coalizione nazionale siriana». Nel programma dell’Alleanza c’è l’applicazione
della sharia alla nuova Siria.
Assad
annuncia
che nel 2014
si ricandiderà.
Gli Usa
contestano
la decisione.
Nasce
l’«Esercito
islamico»: ne
fanno parte
43 gruppi
ribelli.
Accordo tra
Usa e Russia per
evitare un attacco
internazionale alla
Siria guidato da
Washington.
Inizia
il conflitto
interno sulla scia
delle cosiddette
«primavere
arabe».
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu adotta
la risoluzione 2118 in base alla quale debbono
essere distrutte le armi chimiche in dotazione
alla Siria. Il compito viene assegnato a Opcw,
l’organizzazione contro le armi chimiche
(premiata con il Nobel per la pace 2013).
2013
2013
2000
2011
2012
2013
2013
2013
luglio
marzo
febbraio
14 settembre
metà settembre
fine settembre 27 settembre 21 ottobre
alle Torri gemelle, dall’amministrazione Bush vengono pianificati una serie di attacchi: Afghanistan, Iraq, Somalia, Sudan, Libia e infine Siria e Iran. Lo rivela
pubblicamente il generale Wesley
Clark, a capo di una cordata di alti
ufficiali che ritengono non sia interesse degli Usa fare queste
guerre, sostenute da lobby filoisraeliane negli Stati Uniti.
• Il 15 marzo 2005, il Washington
Institute for Near East Policy
(www.washingtoninstitute.org), un
ramo molto influente della lobby
israeliana, detta una strategia per
la Siria, indicata da Robert Satloff,
l’ebraico direttore dell’Istituto, che
consigliava tre tipi di azioni:
1) la raccolta del massimo di
informazioni sulle contraddizioni
sociali ed etniche dentro la Siria;
OPINIONE / LA CHIESA ORTODOSSA RUSSA
UNA «SINFONIA»
CONTRO I FANATISMI
a Chiesa ortodossa russa non è solo la più grande delle
Chiese ortodosse nel mondo, ma anche quella che storicamente non è mai stata sotto una dominazione musulmana. Questa combinazione le ha permesso lungo i secoli
di difendere gli interessi dei cristiani ortodossi perseguitati,
in particolar modo quelli del Medio Oriente. Oggi, il sostegno al popolo siriano, espresso attraverso la preoccupazione
per la minoranza cristiana a rischio in Siria, trova le dichiarazioni dei portavoce del patriarcato di Mosca e dello stato
russo tanto concordi che è difficile distinguere da chi vengano gli appelli, nonostante negli ultimi anni ci sia stata una
coerente pratica di non interferenza nelle rispettive sfere di
competenza: si vede qui realizzato il principio di «sinfonia»
tra Chiesa e Stato che ha caratterizzato per oltre un millennio l’Impero romano (il riferimento è all’Editto di Tessalonica del 27 febbraio 380 con cui si proclama il cristianesimo
niceno religione ufficiale dell’Impero, ndr). Le campagne di
raccolte di aiuti per i cristiani in Siria nelle chiese ortodosse
del Patriarcato di Mosca, e le prese di posizione del governo
russo per scongiurare un intervento armato straniero in
territorio siriano (nonché l’appoggio statunitense a bande di
ribelli islamisti che di siriano non hanno nulla) sono ben più
di un’alleanza per fini politici comuni: sono un esempio di
rappresentazione della volontà popolare che avrebbe qualcosa da insegnare alle nostre «democrazie».
L’accordo tra leader di stato e di fede è ancor più sorpren-
L
La Conferenza di pace
«Ginevra 2»
è in forse a
causa delle
richieste e
divisioni dei
ribelli.
2013
novembre/ dicembre
2) cominciare ad agitare campagne sui temi della democrazia, dei
diritti umani, sullo stato di diritto;
3) non offrire al regime siriano alcuna via d’uscita, a meno che Assad non sia disposto a recarsi in
Israele per negoziare, o non
espella tutte le forze anti-israeliane da lui protette e non rinunci
alla «resistenza nazionale».
• Nel dicembre 2003 il Congresso
dente quando si pensa che da poco più di un ventennio la
Russia è uscita da una lunga esperienza di ateismo di stato.
Curiosamente, la diffidenza verso il fanatismo di matrice
musulmana sembra andare di pari passo con la diffidenza
verso il fanatismo laicista nel mondo occidentale. La Russia
un tempo ufficialmente atea dimostra un grado di democrazia maggiore di quello del mondo cosiddetto libero, rispettando la volontà della stragrande maggioranza della popolazione più di quanto facciano i regimi occidentali, sia in tema
di intervento militare (che vede l’opposizione di una maggioranza della popolazione in tutti i paesi), sia in tema di introduzione di false leggi di «tolleranza», forme di suicidio anticristiano non sostenute dalle popolazioni locali, sia in Russia
che in Occidente.
Padre Ambrogio , Chiesa ortodossa russa di Torino (*)
(*) Padre Ambrogio (al secolo Andrea Cassinasco) è dal 2001 il parroco
della chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca a Torino. Il Patriarcato di Mosca (noto anche con il nome di Chiesa ortodossa russa) è rappresentato in Italia da oltre una cinquantina di parrocchie e comunità. Sito web: www.ortodossiatorino.net.
DICEMBRE 2013 MC
15
SIRIA
Usa approva il Syrian Accountability Act, che dà il mandato al presidente Bush di preparare l’attacco alla Siria.
• Nel 2006 relazioni pubblicate da
ex agenti dei Servizi segreti francesi, definiscono la politica statunitense in Medio Oriente fondata
sulla «instabilità costruttiva», una
strategia che, come essi dicono,
«posa su tre principi: creare e gestire conflitti a bassa intensità, favorire lo spezzettamento politico e
territoriale dell’area e promuovere il settarismo e la pulizia etnico-confessionale».
• Il 5 marzo 2007 sul New Yorker,
Seymour Hersch rivela che Stati
Uniti, Israele, Arabia Saudita, Fratellanza musulmana siriana e Hariri in Libano, hanno costituito, finanziato e armato frange di estremisti e fondamentalisti qaedisti
per rovesciare la Siria e il Libano.
Si potrebbe, anzi si dovrebbe,
continuare con altri attori e burattinai occulti, di solito nascosti dietro fondazioni o istituti di ricerca
nonprofit. Come il Canadian Centre for Responsibility to Protect
(www.ccr2p.org), l’Albert Einstein
Foundation (www.aeinstein.org),
la Freedom House (www.freedomhouse.org), l’International
Republican Institute (www.iri.org),
il National Democratic Institute
(www.ndi.org), la National Endowment Democracy (www.ned.org),
o la lobby saudita dei Sudairi, ecc.
Ma sarebbero necessarie molte
più pagine di quelle disponibili.
LA DISINFORMAZIONE
STRATEGICA
Per poter perseguire questi obbiettivi vi è un’arma senza la
quale, come stabilì il dipartimento
di Stato Usa, non si possono più
vincere le guerre: è la cosiddetta
«Quarta Armata», la Disinformazione Strategica. Quella scienza
cioè, che prepara, manipola, falsifica, occulta, inganna e orienta le
opinioni pubbliche internazionali
(a dire il vero, soprattutto quelle
occidentali). Una vera e propria
guerra mediatica scatenata contro popoli e paesi con le loro leadership, da aggredire e conquistare poi con le armi, anzi con le
«guerre umanitarie».
La «Quarta Armata» funziona
sulla base di uno schema ormai
collaudato negli ultimi vent’anni,
e con meccanismi di dispiega-
16
MC DICEMBRE 2013
mento quasi fissi, passaggio dopo
passaggio. Essa consiste in una
serie di fasi:
• Una campagna mediatica martellante e incessante di Tv, giornali, radio, siti web, sui temi dei
diritti umani, della democrazia,
del regime, dei diritti di opposizioni ininfluenti o residenti all’estero, di minoranze etniche oppresse non sufficientemente tutelate. Una comunicazione ossessiva su quanto siano democratiche le forze di opposizione e la
cosiddetta società civile, le Ong
create ad hoc e su quanto sia importante finanziare questi attori
per lottare contro il regime.
• Si passa poi a sanzioni ed embarghi contro i governi che non
collaborino o non siano disponibili ad accettare i diktat.
• Terzo passaggio è la demonizzazione e criminalizzazione
scientifica e incessante dei leader, dei partiti, forze locali «renitenti o recalcitranti», o non disponibili a svendere la loro politica e
gli interessi nazionali o indipendenti. Nel mentre, se nel paese
cominciano insorgenze militari, si
inizia a paventare la «minaccia e
la necessità di un intervento» o
l’apertura di «corridoi umanitari
e no fly zone».
• Scatta l’aggressione militare,
naturalmente sotto la veste di
«guerra umanitaria», per portare
democrazia e libertà in quel
paese, e difendere i diritti umani.
Il paese recalcitrante viene occupato militarmente e affidato alle
forze «nuove» garanti di un nuovo
sistema libero e democratico
come Al Qaeda in Libia o personaggi alla Quisling (nome di un
noto collaborazionista norvegese,
ndr) screditati dalle popolazioni
locali (come Karzai in Afghanistan o Chalabi in Iraq), se non
mafiosi (come in Kosovo). Nel
frattempo le risorse di quel paese
passano sotto la «tutela» delle
varie multinazionali occidentali e
vengono installate basi militari
Nato o Usa.
Come abbiamo cercato sinteticamente di spiegare, l’uso dei media e della guerra mediatica per
assopire le opinioni pubbliche occidentali, sono fondamentali e
imprescindibili nel nostro tempo
per qualsiasi aggressione e conflitto. Pensiamo quali tragedie
umane e sociali e quali conse-
guenze hanno prodotto le ultime
guerre umanitarie in Somalia, Afghanistan, Iraq, Kosovo, Libia.
Sarà lo stesso per la Siria?
PRESERVARE POPOLI,
CULTURE E FEDI
È necessario sottolineare e ribadire che a essere contro la guerra
in Siria e a chiedere la fine dell’aggressione, dell’ingerenza
delle potenze occidentali e delle
violenze delle milizie qaediste,
non si difende un partito, un presidente, una ideologia, una fazione. Agendo così si difende la
realtà di un popolo, di una società, di un sistema politico e sociale, fondati sulla laicità dello
stato, la multireligiosità, la multietnicità, la multiculturalità. Si
difende, in altri termini, la ricchezza di un mosaico di popoli,
culture e fedi millenarie, l’equilibrio di un sistema unico in tutta
l’area mediorientale.
Nell’essere dalla parte della Siria
e del suo popolo, si stabilisce che
il presidente Assad e il governo
siriano sono e devono essere un
problema dei siriani che vivono in
quel paese. Scelte e decisioni sul
presente e sul futuro di quel
paese spettano soltanto a loro.
Enrico Vigna*
(*) ENRICO VIGNA è presidente di «Sos
Yugoslavia Onlus», associazione di
solidarietà che, a dicembre 2012,
ha ricevuto a Belgrado il «Premio
Novosti», il più alto riconoscimento della Serbia. È autore di numerosi saggi. Il suo ultimo lavoro è:
Le Chiese d’Oriente e il “regime”
siriano, prefazione di padre Haddad, Zambon Editore, Francoforte
2013 (www.zambon.net).
ZAMBIA
Testo e foto
di ERMINA MARTINI
Al confine
tra Zambia e Congo Rd,
il lago Mweru è
una risorsa per decine
di migliaia di persone.
Ma negli ultimi anni
i pesci sono diminuti,
mentre i pescatori
sono aumentati
a dismisura.
Occorre puntare su
attività alternative,
come la piscicoltura.
Mentre la Cina sta
invadendo il mercato di
pesce surgelato.
REPORTAGE
DAL LAGO MWERU
IL LAGO
CHE DÀ VITA
M
weru significa «lago» in
alcune lingue Bantu, per
questo, spesso, quando
la gente del posto si riferisce al lago Mweru, lo chiama
semplicemente Mwelu (la pronuncia locale sostituisce la r con
la l). Da sempre le acque del lago,
che fanno parte del bacino del
fiume Congo, secondo per portata
d’acqua solo al Rio delle Amazzoni, hanno costituito un’immensa fonte di ricchezza per gli
abitanti dei due paesi confinanti:
lo Zambia, sull’argine meridionale
e la Repubblica Democratica del
Congo al Nord.
Nonostante la passata gloriosa
ricchezza delle acque, oggi pe-
scatori, commercianti e contadini
fanno tutti la stessa constatazione: «Nel lago Mweru non ci
sono più pesci».
La pesca dagli anni Settanta è diventata in queste zone un’attività
sempre più attrattiva. Essendo libera, perché non è richiesta alcuna licenza, e priva di regolamentazione, il numero di pescatori è cresciuto immensamente e
nel 2011 sul lago se ne contavano
oltre 22.000. Per contrastare l’impoverimento delle acque dal 1986
lo Zambia ha attivato un periodo
annuale di divieto di pesca, che va
dal primo dicembre al primo
marzo, per permettere ai pesci di
riprodursi. Nel 2011 è stata anche
promulgata una legge che istituisce il reato della pesca illegale:
chi durante il periodo di divieto
ZAMBIA
viene sorpreso a pescare o in possesso di pesce è sanzionabile con
multe e con la reclusione. Tuttavia, le autorità responsabili non
hanno mezzi sufficienti per garantire l’applicazione del divieto.
Ernest Ngula, del Dipartimento
della Pesca nel municipio di
Nchelenge, lo dice chiaramente:
«Le barche che abbiamo per il
pattugliamento sono vecchie, non
abbiamo sufficiente benzina e non
sempre siamo scortati dagli
agenti della polizia».
RISORSE DA CONDIVIDERE
Come ci spiega Joyce Nsamba, la
rappresentante per il ministero
dell’Agricoltura e Allevamento
dello Zambia (che si occupa anche di pesca) nella provincia di
Luapula, nel Nord del paese, il
fiume Luapula, che traccia il confine tra Zambia e Rd del Congo
prima di gettarsi nel lago Mweru,
non è una vera frontiera. I pescatori di entrambi i paesi ne traggono la loro unica fonte di sostentamento e lo attraversano quotidianamente.
Sono numerosi i congolesi che vivono sul versante dello Zambia.
Pochi sono registrati ufficialmente, ma preferiscono questo
lato perché i servizi e le infrastrutture, malgrado siano scarse,
sono migliori che sull’altro versante. In generale non ci sono
problemi di convivenza, ma non ci
sono neanche politiche di gestione comune, né un sistema
condiviso per raccogliere informazioni sullo stato delle risorse
ittiche.
Lo stesso vale per il lago Mweru.
Anzi, gli approcci utilizzati sono
molto distinti. Lo Zambia ha optato per una co-gestione della
pesca, ovvero un sistema dove
vengono coinvolti in comitati locali i pescatori, le autorità tradizionali e i funzionari del ministero, per promuovere una gestione sostenibile delle risorse
anche attraverso la sensibilizzazione e la diversificazione delle
fonti di reddito. In Congo, invece,
il sistema di controllo è gestito
dall’esercito, spesso corrotto.
A inizio giugno, un pescatore
dello Zambia è stato ucciso dai
militari perché trovato in acque
congolesi mentre praticava la pesca illegale. In passato, si sono
spesso verificati casi di arresti e
detenzione, ma la morte del pescatore ha suscitato scalpore. Il
presidente del distretto di Nchelenge, Mudenda, spiega che
adesso anche dal lato dello Zambia arriveranno alcuni contingenti
dell’esercito per aiutare nel controllo del lago e per ridurre la pesca illegale. Malgrado sia necessaria una gestione più uniforme
ed efficace del lago, il rischio in
questo modo è di promuovere
una militarizzazione delle acque.
LA PESCA È VITA
I pescatori sono persone semplici
e a basso reddito, spesso la pesca è la loro unica fonte di sostentamento e con l’attuale stato
delle risorse ittiche, usare metodi
illegali è diventato per loro il solo
MC ARTICOLI
# In queste pagine: immagini
della vita intorno al lago
Mweru. Il giovane Chisela mostra la sua preda. Le commercianti prendono d’assalto le
barche dei pescatori. Pesce
secco e un banco al mercato.
Alcune imbarcazioni utilizzate
per la persca sul Mweru.
modo per riuscire a sopravvivere.
I metodi più diffusi sono l’utilizzo
di reti molto fini, come le zanzariere, per riuscire a catturare i
pesci anche di piccola taglia, ma
si ricorre anche a esplosivi rudimentali e al veleno chiamato localmente ububa. Di notte nel lago
si possono vedere delle tenui luci
galleggianti: sono i pescatori che
cercano di scappare ai controlli.
Il dottor Abila, esperto di risorse
ittiche che lavora nella Provincia
di Luapula per fornire assistenza
tecnica al ministero dell’Agricoltura e Allevamento, è convinto
che occorra insistere sul princi-
pio di co-gestione della pesca e
promuovere attività alternative
per i pescatori, in particolare l’acquacoltura: «Il pesce fa parte
della dieta locale, la domanda di
questo prodotto è superiore all’offerta disponibile, e per questo
la pesca di allevamento ha potenziali enormi. Però occorre appoggio tecnico, e un credito iniziale
per avviare l’attività. Ci sono già
oltre 2.000 vasche di allevamento
nella regione, ma la produttività è
bassa e poco redditizia, specie
per il costo degli alimenti da dare
ai pesci. Stiamo portando avanti il
principio di allevamento inte-
grato, ovvero associare all’acquacoltura, la produzione agricola e
l’allevamento di polli, galline e
maiali, perché gli scarti animali e
vegetali sono un ottimo alimento
per i pesci. Ma ci va del tempo
per avere risultati, e i cinesi sono
già dietro l’angolo con i loro pesci
surgelati, pronti a invadere il
mercato».
Attualmente infatti si calcola che
l’80% del pesce consumato in
Zambia sia importato da Cina e
Zimbabwe. In Cina la pesca d’allevamento è sussidiata e i prezzi
sono più competitivi, mentre in
Zambia l’acquacultura è ancora
molto disorganizzata, non beneficia di economie di scala e non riceve sufficiente supporto dalle
politiche governative. L’agricoltura è sempre stata sussidiata
dallo stato, attraverso la distribuzione di fertilizzanti e l’acquisto
del mais a un prezzo sovvenzionato, invece la pesca e l’allevamento non hanno beneficiato di
analoghi incentivi.
COMMERCIO AL FEMMINILE
Se la pesca sul lago Mweru è attività principalmente maschile, la
commercializzazione dei pesci è
riservata alle donne. Si riuniscono
all’alba sulle rive del lago e aspettano, armate di bacinelle, l’arrivo
delle piccole barche sgangherate
dei pescatori, che sono letteralDICEMBRE 2013 MC
19
ZAMBIA
INSIEME PER IL LAGO
ella regione di Luapula
il ministero dell’Agricoltura e l’Allevamento,
supportato dai programmi di
cooperazione promossi da
Finlandia e Giappone, ha istituito 136 comitati di villaggio
per la gestione della pesca.
Sono gruppi di volontari, in
media otto per ogni comitato,
eletti a livello di villaggio, che
hanno ricevuto formazioni
specifiche e assumono la responsabilità di promuovere il
rispetto delle norme della pesca attraverso la sensibilizzazione e il controllo.
Fare parte del comitato è vissuto come un onore, ma non
mancano le frustrazioni.
Spesso i membri dicono di non
avere nessuno strumento per
operare, e usare il controllo sociale e dare il buon esempio
non sono sufficienti.
Bisogna promuovere attività
alternative per i pescatori,
come l’agricoltura e l’allevamento, ma il ministero manca
dei mezzi. Nelle sensibilizzazioni si parla anche dell’aspetto ambientale per prendere coscienza di come il lago
stia cambiando e del problema
dell’Hiv.
E.M.
N
# Sopra: vista del lago Mweru
al tramonto.
# A fianco: un piatto a base di pesce
e pasta di manioca al ristorante.
mente prese d’assalto ancora
prima di toccare terra. «Siamo
troppe commercianti, ormai è diventato durissimo ottenere il pesce da vendere. È una vera lotta,
ogni mattina. Non c’è abbastanza
pesce per tutte» spiega Janet, del
quartiere di Queens, municipio di
Nchelenge. Lei, insieme ad altre
donne, fa parte dell’Associazione
della Pesca di Luapula. Hanno
uno spazio dove fare il mercato, i
prezzi sono prestabiliti e la qualità
è garantita.
Il principale prodotto del lago è la
tilapia, la comprano a unità, sei
pezzi costano 50 kwacha (la valuta locale, circa sei euro), e li rivendono a 60 kwacha. In media
vendono circa sessanta pesci a
giornata, per un ricavo totale di
60 kwacha. I prezzi variano in
base alla stagione, ma il ricavato
è abbastanza costante.
Poi c’è il periodo del divieto della
pesca, dove è proibito commercializzare il pesce fresco. Resta il
pesce sotto sale e affumicato che
si conserva a lungo. Disposti sui
20
MC DICEMBRE 2013
banchi, infatti, si vedono anche
ordinati i pesciolini dorati e bianchi, conservati con delle tecniche
tradizionali tipiche degli isolani.
«I pesci secchi li preparano gli indigeni delle isole, è da loro che li
compriamo» ricorda Janet. Nel
lago Mweru ci sono varie isole
flottanti, e sul versante dello
Zambia due sono le più estese e
abitate da oltre 28.000 persone.
Sulle due isole però non c’è alcun
tipo di servizio: né scuole, né
ospedali, né elettricità. In queste
comunità, la piaga dell’Hiv è ancora preoccupante: l’alta mobilità
dei pescatori, le relazioni di potere con le commercianti, i flussi
transfrontalieri e lo scarso accesso a strutture sanitarie ne favoriscono la diffusione, malgrado
si possa constatare una generale
consapevolezza e informazione
sulla malattia.
Lungo la strada che costeggia il
fiume Luapula si vedono ragazzini con pesci in mano che cercano di vendere alle rare macchine che passano. Chisela ha un
sorriso fulminante mentre mostra la sua «preda»: è un pesce
gatto di oltre quattro chili. Il dottor Abila spiega che i pesci nella
stagione della pioggia, tra maggio
e ottobre, risalgono dal lago il
corso del fiume dove si riprodu-
cono. «Vedendo pesci di questa
taglia è difficile affermare che ci
sia un sovra-sfruttamento biologico delle risorse ittiche; è invece
più corretto parlare di sovrasfruttamento economico delle
acque dovuto a una crescita sproporzionata del numero di pescatori, barche e reti. Oggi, per darvi
un dato chiaro, la resa della pesca annuale di un pescatore è di
circa la metà di quindici anni fa: si
è passati da 1,3 tonnellate a 0,6».
Morgan, coordinatore del comitato per la gestione della pesca
del villaggio di Chitondo lo dice
chiaramente: «Mwelu non è più
quella miniera d’oro che era in
passato; dobbiamo prenderne
atto, e comportarci di conseguenza».
Ermina Martini
BRASILE
© Archivio Sertão Vivo
di SILVIA ZACCARIA
SERTÃO / INCONTRO CON ZÉ VICENTE
Il sertão è una regione
semiarida del Nord-est
brasiliano. A Orós, nello
stato di Ceará, abbiamo
incontrato Zé Vicente, noto
poeta e musicista, vicino
alla Teologia della
liberazione e alle Comunità
ecclesiali di base. L’artista
è anche ideatore di
«Sertão vivo», un progetto
di sviluppo alternativo che
- partendo dall’arte,
dall’educazione ambientale, dalla salvaguardia
delle tradizioni contadine cerca di costruire
il bem-viver, il
«buon vivere».
DOVE
I CONTADINI
SONO POETI
O
rós (Ceará). «Il problema
del sertão non è la siccità
ma il recinto del
padrone»1 recita un detto
popolare del Nord-est brasiliano.
Ancora oggi è questa la realtà sociale della regione semi-arida del
Brasile, che Zé Vicente, poetacontadino-ecologista, mistico,
cantante e autore di musica popolare celebrativa, descrive nelle
sue composizioni. Rime e ritmi
che hanno le radici nella tradizione nordestina dei repentistas,
maestri dell’improvvisazione, e
degli agricoltori poeti del Ceará,
come Patativa de Assaré, che trovava nel lavoro della terra i motivi
della sua ispirazione.
Negli anni ’90, Zé Vicente ha
ideato il progetto «Sertão vivo»,
con questa convinzione: uno sviluppo alternativo è possibile e, nel
caso del sertão, significa imparare a con-vivere con la siccità,
partendo dal rispetto della na-
tura, riscattando e valorizzando i
saperi tradizionali. Contro la logica delle grandi opere che devastano l’ambiente e sradicano dai
loro territori migliaia di persone.
Per intervistarlo siamo andati nel
municipio di Orós, centro-sud
dello stato del Ceará, a 400 km
dalla capitale Fortaleza, nel sitio2
Aroeiras, sede del «Sertão vivo».
Qui si realizzano attività di arte ed
educazione ambientale rivolte agli
abitanti delle comunità vicine e si
incontrano alternativamente teologi della liberazione e operatori
olistici, custodi delle sementi e
«profeti della pioggia» per apprendere e celebrare l’arte del
bem-viver (buon vivere) nel
sertão.
# In alto: progetto «Sertão vivo»,
laboratorio di pittura e ambiente
per i bambini della comunità
Guassussé.
DICEMBRE 2013 MC
21
BRASILE
Zé Vicente, innanzitutto vorrei
chiederti qual è la definizione
che più ti si addice: artista, attivista/ecologista, educatore popolare, mistico o piuttosto tutte
queste cose insieme?
«Sono un essere umano, poetaagricoltore, innamorato del mio
popolo e della mia terra, del pianeta e delle sue radici sacre. Vivo
nella costante ricerca di una dimensione superiore. Attraverso la
poesia e la musica solidarizzo con
la mia gente e con tutti coloro, soprattutto i giovani, che sono in
cerca di una fede matura e impegnata di fronte alle profonde trasformazioni sociali ed ecologiche
del nostro tempo».
© Archivio Sertão Vivo
Zé, tu sei molto attivo in campo
sociale nello stato del Ceará ed
in altri stati del Nord-est collaborando con le Comunità ecclesiali di base (Cebs). Secondo te,
che capacità ha oggi la Chiesa
brasiliana di negoziare con le
istanze politiche del tuo paese
legate a un modello economico
«sviluppista» che produce conseguenze ambientali irreparabili e che aumenta le diseguaglianze sociali?
«Penso che stiamo attraversando
un momento molto delicato: la situazione della vita sulla terra e
dello stesso pianeta desta molta
inquietudine e preoccupazione.
Siamo in una situazione di emergenza. Di fronte a tutto ciò le
Chiese e le religioni, così come
tutte le altre grandi istituzioni economiche e politiche non possono
restare a guardare ma al contrario
devono incoraggiare i popoli ad
assumere le attitudini necessarie
ad affrontare questa situazione.
Non bastano i grandi meeting, i
congressi, i documenti, i culti: c’è
bisogno di intraprendere azioni
che abbiano impatto in tutti i
campi della società. Anche noi ar-
# A destra: laboratorio di pittura.
In basso, a sinistra: la sede di «Sertão
vivo» con il cactus mandacarù,
simbolo del sertão, in primo piano.
In basso a destra: Zé Vicente.
tisti possiamo, anzi, abbiamo l’obbligo di esprimere, attraverso
l’arte, l’utopia e di dare voce alle
rivendicazioni del nostro tempo.
Se poi le chiese rimarranno in silenzio, nuove forze nasceranno
per fare clamore e lottare.
Io credo che i settori rappresentativi della Chiesta cattolica abbiano
ancora la forza morale e l’obbligo
etico di dialogare e far pressione
su tutte le istanze del potere e sui
governi affinché prendano decisioni in difesa della giustizia, della
pace e della vita in tutti i settori
della società, specialmente in favore delle moltitudini di esclusi ed
emarginati dal sistema».
IL SERTÃO,
TRA SICCITÀ E INGIUSTIZIE
l sertão (dal portoghese «desertão») è una regione semi-arida che abbraccia gli stati del Nord-est brasiliano: Bahia, Sergipe, Alagoas, Pernambuco,
Paraiba, Rio Grande do Norte, Piauí e Ceará e il Nord dello stato di Minas
Gerais. La vegetazione caratteristica di questa regione è la caatinga, che consiste principalmente di cespugli bassi e spinosi, capaci di adattarsi al suo
clima estremo. Tra le specie originarie della caatinga c’è il cactus mandacarù,
i cui frutti rossi spiccano nella macchia. La zona è soggetta periodicamente a
secas (siccità), causando spesso negli anni gravi carestie. Durante quella del
1877, considerata la peggiore di tutte, solo nel Ceará morirono 500.000 persone, dando origine al fenomeno dei retirantes, migranti che, abbandonato
tutto, andavano verso le grandi città costiere o verso il sud del paese in cerca
di fortuna e di migliori condizioni di vita. Una migrazione che non si è mai fermata.
Questa regione ha ispirato una ricca ed originale produzione letteraria e cinematografica, tra cui spiccano il romanzo Grande Sertão di João Guimaraes
Rosa e il film Deus e o diabo na terra do Sol («Il dio nero e il diavolo biondo»)
di Glauber Rocha: in una terra senza stato, dove vige la legge del più forte,
vaccari e piccoli contadini cercano di sfuggire alla miseria e allo sfruttamento
dei padroni mettendosi al seguito di santoni fanatici o dei banditi, i cangaçeiros. La siccità e i retirantes, i movimenti millenaristi e l’epopea del cangaço
sono inoltre il tema ricorrente della letteratura di cordel (lett. «dello spago»)
illustrata con la tecnica della xilografia, della
musica e della poesia popolare, di cui uno dei
maggiori esponenti è stato il cearense Patativa
do Assaré (1909-2002). Zé Vicente si inserisce
nella tradizione inaugurata da Patativa, che conobbe da giovane e da cui, come dice lui stesso,
fu influenzato. La principale tematica dell’opera
di Patativa è la seca, problema cronico del
sertão, mentre Zé Vicente addita un nemico ancora più odioso: l’ineguale distribuzione delle
terre e la mancanza di accesso all’acqua.
Silvia Zaccaria
I
MC ARTICOLI
Devo dire però che mi sento ancora più legato alle piccole pratiche quotidiane realizzate nella
base e ai tanti leader popolari che
agiscono nell’ombra, lontano dai
media. Sono loro che, a mio parere, fanno la differenza. Sono
giovani, lavoratrici e lavoratori,
che troviamo per le strade, nelle
campagne, senza terra, senza
tetto e senza molte altre cose, ma
pieni di volontà.
Finché esisterà una sola persona
esclusa, oppressa, la Teologia
della liberazione avrà significato e
dovrà vivere per annunciare la
buona novella della liberazione,
che Gesù ci ha dato e che lo Spirito rivela ogni momento».
Zé, so che hai rapporti stretti
con alcuni esponenti della Teologia della liberazione: Marcelo
Barros, Carlos Mesters, tra gli
altri. Ritieni che si tratti di una
corrente ancora espressiva in
Brasile?
«È vero, ho buone relazioni con gli
amici e le amiche della Teologia
della liberazione. Credo che essa
rappresenti ancora oggi un riferimento vivo nella nostra “camminata”.
Ho avuto l’opportunità di conoscere personalmente il progetto di sviluppo alternativo
che porti avanti nella tua terra
d’origine, il sertão cearanse.
Un progetto basato sulla sensibilizzazione, coscientizzazione
e lavoro rivolto alla sostenibilità economica, socio-ambientale e culturale a livello familiare e comunitario. Potresti
raccontarci la nascita e le finalità del progetto? Si tratta di un
caso isolato o può funzionare
da modello di riferimento nella
regione, nello stato del Ceará e
in altre zone del Brasile?
«L’esperienza che ha portato alla
nascita del progetto “Sertão vivo”
è il segno più concreto della mia
passione artistica, come poeta e
musicista, per la camminata del
mio popolo. La mia arte sarebbe
incompleta se non sapessi creare
nella mia famiglia e nella gente
della mia regione l’“incanto” per
qualcosa di più immediato, più
concreto, più vicino alla vita, come
la cura della terra, dell’ambiente
e dell’essere umano.
Ogni mese da Fortaleza, città dove
sono emigrato, torno nel sitio
Aroeiras, nella casa dei miei genitori, per mantenere vivo il legame
con la mia famiglia, con gli antenati e sensibilizzare la mia comunità attraverso le giornate di “Arte
e Vita”: seminari sull’alimentazione naturale (na roça e na comida sertão vivo com mais vida3,
lo slogan utilizzato per questa
giornata) e nuove pratiche agricole e di preservazione della natura di cui siamo parte – per coltivare senza bruciare il terreno e
TEMPO
DI POESIA
«Per questo nostro tempo
trafitto dal dolore,
segnato dalla guerra,
di notti insonni
porto in me una meta:
la poesia concreta
esplicita
lucida
attraente
fatta corpo
emancipato
nella primavera della vita!
Ho qui nel mio petto
un progetto:
il nostro campo
un rifugio
da piantare
coltivare
ricreare
e raccogliere,
i fiori
e i frutti
del sogno vivo
divenuto alimento
cibo per gli sposi
e per le feste,
con sapore, intenso,
d’amore!
Metto sulle labbra
di questo giorno
qualcosa di più.
La certezza dell’incontro
della comunione,
superando l’indifferenza
colmando l’assenza,
lasciando che succeda
la più bella sapienza:
stare insieme
danzare insieme...
La canzone degli intenti
delle rime
dei riti
dei ritmi
del bene più grande
dell’allegria piena!
Il nostro canto!»
Zé Vicente*,
dicembre 1996
(inedita)
* Per leggere e ascoltare le
poesie di Zé Vicente:
www.letras.mus.br.
DICEMBRE 2013 MC
23
© Archivio Sertão Vivo
© Silvia Zaccaria
BRASILE
# In alto, a destra: la sede del progetto «Sertão vivo» con i murales
di Francisco Daniel in omaggio a
Dona Suzana e Zé Vicente padre,
fondatori del sitio Aroeiras.
In alto, a destra: edicola votiva
domestica con la statuetta di padre Cicero, santo popolare del
Nord-est. Qui a destra: murales
realizzati nei laboratori di Arte e
ambiente dall’artista Ivo Souza.
24
MC DICEMBRE 2013
Q
uest’anno (2013) Zé Vicente
ha lanciato il suo ultimo album Zé Vicente da esperança, nuovo nome del poeta ecologista e contadino, figlio del
© Archivio Sertão Vivo
senza usare agrotossici, camminate ecologiche, laboratori di musica, teatro, pittura, medicina naturale e alternativa, incontri con i
“custodi delle sementi e delle
esperienze della pioggia”4, senza
trascurare le nostre feste tradizionali come San Giovanni, celebrata
nel mese di giugno, dove la gente,
tra canti e danze, esprime una
fede profondamente radicata nella
cultura. Tutte queste attività sono
realizzate utilizzando il linguaggio
e l’essenza dell’arte come punto di
partenza e di arrivo e adottando
una mistica di rispetto e dialogo
con le differenze culturali, politiche e religiose, cercando di riunire
sempre più persone per la grande
mobilitazione che il presente e il
futuro dell’umanità e del pianeta
richiedono.
Questo, in breve, è quello che realizziamo attraverso la nostra micro esperienza. Non abbiamo la
pretesa di essere un punto di riferimento per altre iniziative, ma
qualora accadesse ne saremo felici. Anche se una maggiore visibilità comporta sempre sfide e rischi e questo mi preoccupa».
Come valuti lo stato di salute
dei movimenti sociali in Brasile
e le manifestazioni che hanno
percorso il tuo paese nei mesi
scorsi?
«Rispetto alla salute dei movimenti sociali e popolari, tutto quel
che accade in Brasile non è separato da quel succede in tutti gli
angoli del mondo. Stiamo in un
momento di passaggio. Si parla di
cambiamento epocale, totale, planetario e, pertanto, abbiamo bisogno di molta ricerca, studio, silenzio e impegno per comprendere e
costruire nuovi cammini. Io voglio
continuare a dare il mio contributo, con la poesia e la musica,
affinché la gente alimenti la Speranza, la meraviglia di fronte allo
spettacolo della vita e l’allegria di
lottare sempre per la vera trasformazione dell’umanità e della
terra».
sertão, delle forze della natura e
del tenace popolo nordestino che
non abbandona mai la speranza.
«Perché è la speranza - dice Zé Vicente -, che ci fa vincere il deserto
e arrivare alla terra dell’abbondanza, della giustizia, della pace».
Silvia Zaccaria
NOTE:
1 - In portoghese: «O problema do sertão
não è a seca, mas a cerca do patrão». Il
verso gioca sull’assonanza tra la parola
seca siccità - e cerca recinto.
2 - «Piccola proprietà», tenuta agricola,
ma anche «locus amenus», ritiro, riparo.
3 - «Nel campo e nel piatto sertão vivo,
con più vita».
4 - L’obiettivo dell’iniziativa è quello di mantenere viva la tradizione, la memoria degli
antenati che nei mesi di dicembre e gennaio erano soliti fare previsioni sull’inverno
che nel sertão indica la stagione delle
piogge. I partecipanti agli incontri sono
contadini che, sin da bambini, accompagnavano i nonni nelle loro esperienze di
previsione delle piogge, sulla base della direzione e potenza del vento e l’osservazione della natura. L’incontro si chiude con
scambio dei semi non transgenici con l’obiettivo di creare una banca di semi nativi.
INDIGENI
© Gleison Miranda / Funai
di FRANCESCA CASELLA
(SURVIVAL ITALIA)
Le tribù indigene
incontattate non sono
un’invenzione degli
ambientalisti. Che fare
con esse? L’esperienza
storica dimostra che
il contatto con l’uomo
bianco per loro è stato
quasi sempre fatale. Per
le malattie, la violenza
o la prevaricazione.
Il nostro dibattito sul
tema continua ospitando
le riflessioni
dell’organizzazione
internazionale
«Survival».
LA QUESTIONE DEI POPOLI INCONTATTATI
LASCIAMOLI
IN PACE
M
olti ricorderanno le immagini della tribù amazzonica isolata fotografata alla fine del maggio
2008 in Brasile, appena al di qua
del confine peruviano. Nonostante il tono sensazionalista con
cui molte testate diffusero la notizia, le immagini raggiunsero l’obiettivo di richiamare l’attenzione
dell’opinione pubblica mondiale
sulla minaccia che gravava sui
popoli della zona. L’esistenza
delle tribù incontattate non poteva
più essere considerata una leggenda tipo quella del mostro di
Loch Ness, come affermavano
l’allora presidente del Perú Alan
García e i portavoce della compagnia petrolifera di stato nel tentativo di svicolare dalle proprie responsabilità. E nemmeno «un’invenzione degli ambientalisti». Pochi mesi dopo, il giornale britannico The Observer, responsabile
di aver insinuato che le fotografie
fossero una farsa e una «bufala»,
dovette presentare le sue scuse
ufficiali ai lettori e a Survival per
aver fornito una versione «menzognera e distorta» dei fatti.
A scattare quelle immagini aeree
e ad affidarle a Survival era stato
José Carlos dos Reis Meirelles, un
funzionario della Funai (il dipartimento governativo agli affari indigeni del Brasile) preoccupato per
il drammatico esodo verso il Brasile di alcuni gruppi di indiani incontattati del Perú. Le loro terre
erano invase in modo crescente
da taglialegna illegali e compagnie petrolifere autorizzate dal
governo peruviano a compiere
prospezioni e trivellazioni anche
negli angoli più remoti della foresta, dimora ancestrale di alcuni
dei popoli più isolati del paese.
Quelle attività rischiavano di deci# In alto: una spettacolare
immagine di una tribù
incontattata del Brasile, appena
al di qua del confine peruviano.
DICEMBRE 2013 MC
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INDIGENI
mare o addirittura sterminare la
tribù all’insaputa del resto del
mondo, com’era già accaduto
troppe altre volte nel passato.
Q
uanti sono i popoli incontattati contemporanei e quali
minacce pendono sul loro
futuro? Secondo le nostre stime,
i popoli indigeni che vivono senza
alcun contatto con il mondo
esterno sono almeno un centinaio. La loro consistenza numerica varia molto. Da un solo sopravvissuto, come nel caso «dell’uomo della buca» individuato
nel 2006 nello stato brasiliano di
Rondônia, fino a cento o duecento persone. Vivono in ambienti diversi: dagli angoli più remoti della foresta amazzonica
fino alle isole dell’Oceano indiano. Non è dato sapere quanti
esattamente siano, ma sappiamo
con certezza che esistono: lo
provano le tracce che lasciano
dietro di sé (utensili e case abbandonate frettolosamente sotto
l’avanzare degli invasori), e alcuni incontri fortuiti e fugaci.
In Asia li troviamo nelle Isole Andamane e in Nuova Guinea. Nell’America del Sud, dove si ha la
concentrazione maggiore, ci sono
almeno 60 tribù. Oltre 40 risiedono entro i confini del Brasile, 15
© Gleison Miranda / Funai
in Perú. Il resto vive tra Bolivia,
Colombia, Ecuador e Paraguay.
Ognuno di questi popoli è unico e
le loro lingue, le loro culture e le
loro visioni del mondo sono insostituibili. Sono sicuramente i popoli più vulnerabili del pianeta.
Dei popoli incontattati si sa poco,
se non che il loro isolamento è
sempre frutto di una scelta obbligata, compiuta per sopravvivere
alle invasioni. Molti di loro hanno
sofferto la perdita dei loro cari per
mano dell’uomo bianco nel corso
di decenni di massacri silenziosi o
per effetto del dilagare di epidemie. Sono proprio le malattie introdotte dall’esterno, infatti, a costituire la principale causa di
morte tra loro, perché non hanno
difese immunitarie contro virus
da noi molto comuni come l’influenza, il morbillo o la varicella.
Spesso, sono essi stessi dei sopravvissuti, o discendono da sopravvissuti ad atrocità commesse
in epoche precedenti. Violenze
raccapriccianti che hanno lasciato
segni indelebili nella loro memoria collettiva, inducendoli a rifuggire da ogni contatto con il mondo
esterno. Gli antenati degli attuali
popoli amazzonici isolati furono
sterminati dal fenomeno brutale e
devastante della schiavitù che accompagnò il boom del caucciù
alla fine del XIX secolo. Il 90% di
loro morì. I popoli incontattati vivono tutti in modo autosufficiente:
di ciò che la foresta dona loro. Le
loro vite sono profondamente legate a quella del loro ambiente.
Per questo, la protezione delle
terre che abitano e delle risorse
che utilizzano è fondamentale per
la loro sopravvivenza. Spesso lo
stile di vita nomade o seminomade (basato sulla caccia, sulla
pesca e sulla raccolta) è il risultato delle persecuzioni che hanno
sofferto, come nel caso degli Awá
brasiliani. Si pensa infatti che un
tempo gli Awá fossero agricoltori
stanziali, e che si siano solo successivamente frammentati in
gruppi di 20-30 persone sotto l’avanzata dei bianchi, passando poi
alla vita nomade, che offriva più
alte possibilità di sopravvivenza.
Nessuno sa con esattezza quanti
siano (probabilmente 460, di cui
un centinaio vive completamente
isolato nelle foreste dello stato
del Maranhão), ma possono certamente essere considerati la
tribù più minacciata della Terra.
Sette di loro morirono nel 1979,
avvelenati con la farina intrisa di
un pesticida letale lasciata «in
dono» dai coloni… Oggi sono assediati da orde di taglialegna illegali che, quando li vedono, li ucci-
mai scattata a una famiglia di Mashco-Piro incontattati. Sotto: indigeni Nanti del Perú. In basso a sinistra: un’altra immagine di una
tribù incontattata del Brasile.
dono. La maggior parte dei popoli
incontattati vive ancora oggi in
fuga perenne. Cercano di sopravvivere rifugiandosi in luoghi sempre più remoti. Tuttavia, l’avanzata
della cosiddetta «civilizzazione»
sta rendendo sempre più difficile
la loro stessa sopravvivenza. In
ogni paese del mondo sono circondati su tutti i fronti: le compagnie petrolifere e di disboscamento invadono i loro territori in
cerca di risorse naturali, i coloni
usurpano le loro terre e le convertono in allevamenti di bestiame e
aziende agricole. Le strade attra-
© D Cortijo / Survival nternational
# A destra: la foto più ravvicinata
versano le loro terre aprendo le
porte a bracconieri, missionari
fondamentalisti e turisti, e introducendo il rischio di incontri violenti e malattie. Le foreste da cui
dipendono per il loro sostentamento vengono tagliate a ritmi
vertiginosi; la selvaggina è sempre più scarsa.
Alcuni pensano che i popoli tri-
bali, in particolare quelli incontattati, siano reliquie del passato, reperti archeologici destinati inevitabilmente all’assimilazione culturale ed economica, oppure all’estinzione. Ma non è così. Certamente, la loro estrema vulnerabilità alle aggressioni esterne è aggravata dal mancato riconoscimento del loro diritto specifico al-
I popoli isolati del Perú
BASTA UN RAFFREDDORE
elle regioni più remote del Perú vivono almeno 15 popoli isolati distinti. Alcuni entrarono in contatto con
il mondo esterno tra la fine del XIX secolo e gli inizi
del XX, durante il boom del caucciù che li decimò e li spinse
a scegliere l’isolamento per assicurarsi la sopravvivenza.
Altri gruppi, invece, potrebbero non essere mai entrati in
contatto con l’esterno. Tra i gruppi di cui si conosce il nome
ci sono gli Isconahua, i Capanahua, i Cacataibos, i Murunahua, i Mastanahua, i Machigengua, i Nanti, gli Ashaninka
e i Mashco-Piro.
Sono quasi tutti cacciatori-raccoglitori nomadi e vivono di
caccia e pesca. Amano le uova di tartaruga, che raccolgono
lungo le rive dei fiumi in primavera, quando le acque si ritirano. Alcuni coltivano piccoli orti. Sono concentrati soprattutto nel Perú Sud orientale, ma ci sono stati avvistamenti
anche nel Nord-ovest, vicino al confine con l'Ecuador, e a
Nord-est, al confine con il Brasile. Tra i fiumi più frequentati ci sono il Tahuamanu, il Las Piedras, il Los Amigos, il
Manu, il Purús, il Curanja, lo Yurua e il Serjali.
N
Oltre la metà dei Nahua, che all’epoca erano incontattati, fu
sterminata nei primi anni ’80, quando iniziò l’esplorazione
petrolifera nella loro terra. La stessa tragica sorte toccò ai
Murunahua a metà degli anni ’90, dopo il contatto con i taglialegna che abbattevano illegalmente il mogano. Jorge è
uno dei Murunahua sopravvissuti, e ha perso un occhio durante il contatto. «Con i taglialegna arrivò anche l’epidemia
- ha raccontato a noi di Survival -. Prima non sapevamo
nemmeno cosa fosse un raffreddore. La malattia ci ha uccisi. La metà di noi sono morti. Mia zia è morta, mio nipote
è morto. È morta la metà del mio popolo».
Nonostante siano state create cinque riserve a uso esclusivo degli indiani isolati, i loro territori continuano a essere
invasi diffondendo violenze e malattie letali. La situazione è
particolarmente grave là dove si trovano alcune delle ultime riserve di mogano rimaste al mondo: approfittando
della mancanza di efficaci controlli da parte dello stato, i taglialegna illegali saccheggiano le foreste liberamente mettendo a repentaglio la vita dei popoli isolati che vi abitano. Il
governo peruviano ha anche autorizzato alcune compagnie
petrolifere a condurre prospezioni nelle terre di queste
tribù, facilitando ulteriormente l’ingresso di coloni e taglialegna in zone che un tempo erano remote. Altre gravi minacce vengono dalla ricerca mineraria, dalla costruzione di
nuove strade e da missionari estremisti che vogliono entrare in contatto con gli indiani isolati a qualsiasi costo.
Survival sta cercando anche di fermare l’espansione del gigantesco progetto energetico Camisea all'interno della Riserva Nahua-Nanti, promosso dalle compagnie petrolifere
Pluspetrol, Hunt Oil e Repsol. I lavori comporterebbero il
disboscamento di aree di foresta pluviale, la detonazione di
migliaia di cariche esplosive e la perforazione di pozzi. L'espansione viola sia le leggi peruviane sia quelle internazionali, ed è contestata anche dalla Commissione Onu per l'eliminazione della discriminazione razziale (Cerd), che ha
chiesto la sospensione immediata del progetto.
Francesca Casella
© Survival International
DICEMBRE 2013 MC
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INDIGENI
UNA QUESTIONE
DI VITA O DI MORTE
commenti di padre Miguel Piovesan e monsignor Francisco González Hernández - pubblicati da MC nell’ottobre 2013 (Senza uscita) - sono estremamente faziosi e
omettono dettagli importanti sui problemi che deriverebbero dalla costruzione di una strada di collegamento tra
le città di Puerto Esperanza e Iñapari. Vi scriviamo quindi
per chiarire alcuni punti e permettere ai Vostri lettori di
comprendere meglio la vicenda.
Puerto Esperanza è una comunità isolata del Perú sudorientale, al confine con il Brasile. Come molte altre città
amazzoniche (anche grandi come Iquitos), Puerto Esperanza non è raggiungibile su strada ma solamente via fiume
o, limitatamente, per via aerea. Una parte degli abitanti è costituita da coloni, ed è soprattutto la loro voce che padre Miguel Piovesan e monsignor Francisco González Hernández
hanno riportato nelle loro lettere. Tuttavia, l’80% della provincia del Purús è abitata da diversi popoli indigeni che vivono sia all’interno della città sia in insediamenti esterni.
Non solo. In questo angolo isolato del Perú vivono anche altri
gruppi di persone. Sono gli indiani incontattati: gruppi che
non hanno alcun contatto pacifico con il mondo esterno e attraversano frequentemente il confine tra Perú e Brasile. Si
pensa appartengano alla tribù dei Mashco-Piro e sono state
raccolte molte prove della loro esistenza proprio lungo il percorso proposto per la strada. Cancellarli dal dibattito significa omettere la ragione principale per la quale questa
strada non può essere costruita, né legalmente né eticamente.
Gli indiani incontattati sono tra i popoli più vulnerabili del
pianeta. Non hanno difese immunitarie verso le malattie
portate dall’esterno e, spesso, è accaduto che in pochissimo
tempo almeno la metà di una tribù sia stata sterminata dalle
epidemie introdotte con il «primo contatto».
Oltre a questi pericoli immediati dovuti al contatto, la costruzione della strada provocherebbe anche la rapida distruzione della loro foresta. Prove evidenti si trovano poco distante da lì, in Brasile, proprio a Est della strada proposta.
Le immagini satellitari mostrano quello che è definito l’effetto «a spina di pesce» provocato dalla costruzione della
strada BR 317: una volta aperto l’accesso a terre un tempo
remote, la regione è stata invasa da voraci taglialegna e ampie zone di foresta sono state disboscate.
Secondo padre Miguel Piovesan e monsignor Francisco
González Hernández, per la popolazione del Purús la strada
costituirebbe «la salvezza» poiché porterebbe, dichiarano, lo
«sviluppo» di cui hanno bisogno i poveri abitanti del luogo. È
innegabile che in quest’area vi sia una vergognosa mancanza
di sostegno da parte del governo. Allo stesso tempo, però, è
indubbio che la strada porterebbe più problemi che benefici
non solo ai gruppi incontattati ma anche ai popoli indigeni locali, la maggioranza dei quali si è detta fermamente contraria al progetto.
I
28
MC DICEMBRE 2013
© Survival nternational
PURÚS (PERÚ)
UNA LETTERA DA «SURVIVAL INTERNATIONAL»
Survival difende i diritti dei popoli incontattati, in Perú e nel
resto del mondo. Le tribù incontattate non possono essere
consultate sulla strada o su qualsiasi altro progetto di «sviluppo» che li riguardi. Per loro, la strada proposta nel Purús
causerebbe solo la diffusione di malattie, la distruzione della
loro terra e, in conclusione, segnerebbe la loro fine. Sono gli
abitanti originali di questa regione, com’è possibile ignorare i
loro diritti territoriali?
Padre Piovesan ha definito gli indiani «arretrati» e tecnologicamente «preistorici». Durante la sua trasmissione radiofonica settimanale, che si scaglia con veemenza contro qualsiasi
individuo o organizzazione si opponga alla «necessità urgente» di costruire la strada, si è riferito agli indigeni del
Purús chiamandoli addirittura «porci e vermi»1. Ma è impossibile immaginare in che modo questo progetto possa portare
qualche tipo di «sviluppo» positivo agli indiani incontattati del
Purús. Per questi cacciatori-raccoglitori nomadi, infatti, la
terra non è solo sacra, ma è anche essenziale per la sopravvivenza. Senza la foresta, cesserebbero semplicemente di esistere.
Infine, non si deve dimenticare che la costruzione della strada
sarebbe illegale sia secondo la legge peruviana sia secondo
quella internazionale, e che il progetto è stato definito «impraticabile» e «incostituzionale» da tre ministri peruviani. Se la
strada venisse comunque approvata, le conseguenze sulle vite
di migliaia di indigeni sarebbero devastanti2. Per risolvere il
problema dell’isolamento della regione non si possono spazzare via interi popoli.
Rebecca Spooner,
«Survival International»*, Londra
(1) Radio Esperanza: riportato nel documento dell’organizzazione
indigena Feconapu, giugno 2012, pagina 2, punto 4 (leggere nota del
direttore di MC a pagina 29, ndr).
(2) Per maggiori informazioni, consigliamo di leggere il rapporto di
«Global Witness»: www.globalwitness.org.
(*) Fondata nel 1969, SURVIVAL
aiuta i popoli indigeni di tutto
il mondo a difendere le loro
vite, a proteggere le loro
terre e a decidere autonomamente del loro futuro. Con
sedi e centri di supporto in
Europa e negli Stati Uniti,
Survival lavora perché vengano riconosciuti ai popoli indigeni i loro diritti fondamentali contro ogni forma di violenza, persecuzione e genocidio. Apartitica e
aconfessionale, lavora a stretto contatto con le organizzazioni indigene locali offrendo loro assistenza legale e un palcoscenico da
cui rivolgersi direttamente al resto del mondo; promuove campagne
di informazione e pressione per il largo pubblico e porta nelle
scuole laboratori di educazione alla diversità e alla pace.
SITO MULTILINGUE: www.survivalinternational.org.
MC ARTICOLI
Gabriella Galli / Survival International
# A sinistra: un indigeno del
gruppo incontattato Nanti che
vive nella foresta amazzonica
del Manu (Perú). Qui a destra:
un gruppo di Mashco-Piro. Sotto:
la copertina del libro di Survival.
l’isolamento volontario. Eppure, la
storia dimostra che laddove le
loro terre vengono riconosciute
legalmente e protette in modo
adeguato, il loro futuro è assicurato. Al contrario, il primo contatto forzato costituisce sempre
un’enorme minaccia e, quasi invariabilmente, qualsiasi sia la ragione per la quale viene compiuto,
si trasforma in una catastrofe
fatta di impoverimento, malattia,
disperazione e morte.
I
n Perú, padre Piovesan (vedere
riquadro di pagina 28, ndr) alla radio e su altri mezzi di comunicazione - continua a porre ai
suoi ascoltatori una domanda
solo apparentemente innocua: «Si
salva un popolo se lo si isola o se
lo si integra? Si migliora una comunità mettendola a contatto con
altri o mantenendola isolata?». A
lui Survival e tutti coloro che
hanno a cuore la vita dei popoli indigeni non possono che rispondere in un solo modo: «Se, come
e quando interagire con il mondo
esterno è una decisione che
spetta solo a loro, e a nessun altro». Riconoscere e proteggere il
diritto alla proprietà della terra
dei popoli indigeni, inclusi quelli
incontattati, è la chiave della loro
sopravvivenza. Solo così potranno
!
mantenere il controllo delle loro
vite e decidere autonomamente
del loro futuro lasciandosi alle
spalle secoli di colonizzazione e
paternalismo. Il diritto alla terra e
all’autodeterminazione sono sanciti oggi anche dalla Convenzione
Ilo 169, che è la legge internazionale più importante in materia di
popoli indigeni, e dalla Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni
e tribali approvata dall’Onu nel
settembre 2007. Non possiamo
cambiare il passato ma possiamo
certamente evitare che la storia si
ripeta semplicemente facendo rispettare la legge.
Francesca Casella*
* Dal 1989 Francesca Casella è
direttrice della sede italiana di
Survival International. Collaboratrice di varie testate giornalistiche, ha curato l’edizione nazionale del volume Siamo tutti
uno. Omaggio ai popoli indigeni
della Terra.
SITO: www.survival.it
U
n reportage da Madre de Dios di
Paolo Moiola, pubblicato nei mesi
di giugno, luglio e agosto 2012,
ha suscitato l’indignazione del
parroco di Puerto Esperanza (Purús), p.
Piovesan, che lo ha letto solo nel 2013
tornando in Italia per una vacanza. Su
sua richiesta abbiamo riconosciuto al sacerdote il diritto di replica sulla rivista di
ottobre 2013. Nell’articolo p. Piovesan e
il suo vescovo, mons. Hernández, accusano amaramente i «Wwf-ecologisti» di
manipolare dal di fuori la situazione, non
per il bene della gente locale ma per i
propri fini. L’organizzazione Survival
International, coinvolta nella vicenda, ha
chiesto a sua volta il diritto di replica,
che concediamo volentieri in questo numero, pur non condividendone alcune
parti troppo ad personam.
Per noi, come rivista MC, il dibattito circa
la strada del Purús finisce qui. Non vogliamo diventare veicolo di scambio di
accuse a distanza tra persone e organizzazioni (da noi stimate) che, pur avendo a
cuore la stessa realtà, hanno visioni
molto diverse e, almeno al momento, non
sembrano molto disponibili ad ascoltarsi.
Gigi Anataloni, Direttore di MC
DICEMBRE 2013 MC
29
Così sta scritto
DALLA BIBBIA LE PAROLE DELLA VITA (81)
a cura di Paolo Farinella, biblista
NATALE, ANCORA NATALE,
MA QUALE NATALE?
P
otrebbe sembrare strano, eppure di Gesù,
sul piano storico, sappiamo poco, e quel
poco che i vangeli riportano per noi è molto,
anzi tantissimo. I vangeli non sono «una storia di Gesù», ma una catechesi per chi crede
già in lui come Figlio di Dio e Messia. Di conseguenza i
quattro libretti sono un catechismo, originariamente
predicato in forma orale dagli apostoli, dai catechisti,
dai predicatori e da chi aveva conosciuto Gesù (famiglia, paesani, amici, ecc.). A distanza di 40-80 anni
dalla sua morte, sono stati messi per iscritto per due
motivi: per conservare la memoria di quanto accaduto
e suscitare la fede in lui anche nelle generazioni future e per poterli usare come «Scrittura» di compimento dell’Antico Testamento nell’Eucaristia delle
Chiese, ormai diffuse in tutto l’oriente fino a Roma.
DI GESÙ SAPPIAMO …
Marco, il primo degli evangelisti scrittori, non parla affatto della nascita di Gesù; in compenso Giovanni, l’ultimo degli evangelisti scrittori, accenna all’eternità del
Lògos che per volere di Dio «s’incarna», cioè diventa
uno di noi in un preciso paese (Israele), in una determinata cultura (Giudaismo), in una specifica religione
(Ebraismo), in un tempo ben definito (fine del sec. I
a.C. e sec. I d.C.), nel cuore di specifici eventi (occupazione romana della Palestina). Chi, invece, parla della
nascita di Gesù in maniera esplicita, sono i due evangelisti Matteo (capp. 1-2) e Luca (capp. 1-2), ma non
dicono le stesse cose perché hanno prospettive diverse e si rivolgono a comunità diverse.
Un elenco schematico di ciò che sappiamo di Gesù, potrebbe essere il seguente:
• è nato intorno al 6/7 a.C. (v. Box) da una ragazzamadre, appena adolescente, di nome
Miriàm/Maria;
• non si conoscono il giorno, il mese e neanche le
condizioni della nascita;
• è nato a Betlemme, a sud d’Israele, patria di Davide da cui discende Giuseppe, il padre legale di
Gesù;
• è nato in una zona periferica, considerata dalla religione «impura» perché abitata da pastori;
• è stato circonciso all’ottavo giorno dalla sua nascita ed e stato chiamato «Joshua-Gesù» dopo
40 giorni;
• ha trascorso la sua vita a Nàzaret, nel Nord della
Palestina;
• a compimento del 12° anno di età (inizio del 13°),
nel tempio di Gerusalemme ha celebrato il rito
della «Bar-mitzvàh – Figlio del comandamento»,
30
MC DICEMBRE 2013
che per gli Ebrei è l’inizio della maggiore età (cf
Lc 2,41-50);
• ha predicato per la Palestina e anche fuori i confini per circa un anno, un anno e mezzo, all’età di
34-35 anni;
• non apparteneva alla casta sacerdotale, ma era
un laico;
• si è scontrato con il potere religioso e il potere politico che alla fine si sono coalizzati e lo hanno
fucciso, condannandolo a morte come «rivoluzionario»: il Sinedrio ha emesso la sentenza di crocifissione e i Romani, nemici alleati per l’occasione, l’hanno eseguita;
• è morto all’età di circa 36 anni (30/33 d.C.?), la
stessa età di Isacco quando fu legato sul monte
Moria per essere sacrificato (cf Gen 22,1-23);
• è risorto da morte alle prime luci dell’alba del
giorno dopo il sabato, dando inizio all’avventura
della nuova Alleanza;
• non ha lasciato nulla di scritto, ma solo undici
apostoli e altre apostole che inviò nel mondo;
• il suo insegnamento è stato raccolto in quattro
vangeli che persone innamorate di lui hanno
scritto per i loro contemporanei e per noi che li
ascoltiamo e vogliamo tramandare a chi verrà
dopo di noi.
NOTA STORICA SULLA DATA DI NATALE
Nei sec. II-III dell’èra cristiana in tutto l’Oriente, alla
data del 6 gennaio, si celebrava una festa generica
detta Epifania (manifestazione) che inglobava tre memoriali: Natale (manifestazione agli Ebrei), Magi (manifestazione ai Pagani) e Sposalizio di Cana (manifestazione nel segno dell’alleanza universale). In Spagna nel sec. IV si celebrava il Festum Nativitatis Domini Nostri Jesu Christi. San Giovanni Crisostomo
(345 ca.-407) in un’omelia sul Natale, pronunciata nel
386, dichiarava che nella chiesa di Antiochia già da
dieci anni vi era l’uso di celebrare la Nascita del Salvatore il 25 dicembre. Anche nella chiesa di Roma,
come in quella di Milano, fin dal 336 si celebrava il
Dies natalis Domini sempre al 25 dicembre, considerato il giorno genetliaco di Gesù. Papa Liberio nel 354
scorporò la festa in due, assegnando Natale al 25 dicembre e l’Epifania al 6 gennaio. Nella chiesa ortodossa e armena, invece, le due feste sono ancora accorpate al 6 gennaio (cf Dictionnaire de Spiritualité, f.
LXXII-LXXIII, Paris 1981, 385). I cristiani del Nord del
mondo celebrano il Natale in inverno, mentre i cristiani del Sud lo celebrano d’estate. Il 25 dicembre è
una data convenzionale perché in relazione al 25
MC RUBRICHE
marzo, giorno in cui, secondo
una «vergine» che si abbanL’autore di uno scritto anonimo, Adversus Jula tradizione, nella casa di
dona al disegno di Dio.Nello
daeos/Contro i Giudei (8,11-18, CCL 2, 1954,
Nazaret l’Angelo annunciò a
stesso periodo, almeno da olpp. 1360-64) attribuito da alcuni a Tertulliano
Maria il concepimento di
tre due secoli, il 25 del mese
(150/160-220), già nella seconda metà del sec.
Gesù. Maria partorì il Figlio
di Kislèv, corrispondente a
II, riteneva che Cristo fosse nato il 25 marzo e
una data tra il 15 e il 25 dinove mesi dopo, cioè il 25 difosse anche morto lo stesso giorno. Doveva
cembre ca., i Giudei celebracembre. È il Natale.
essere così perché la perfezione della natura
vano (ancora oggi celebrano)
Il 25 dicembre è anche il soldivina di Cristo esigeva che gli anni della sua
la festa ebraica di Chanukkàh
stizio d’inverno, in cui si ha il
vita sulla terra fossero anni interi senza fra(=
inaugurazione/dedicagiorno più corto dell’anno e la
zioni. È evidente che siamo in piena speculazione), detta anche Chàg Hanotte più lunga. Sia in Oriente
zione teologica fuori da ogni spiegazione stoneròth (Festa dei lumi), Chàg
che a Roma questo giorno
rica. Clemente d’Alessandria (160-240) testiHaurìm (Festa delle luci) e
era dedicato al «dio Mitra»,
moniò che i cristiani copti celebravano non
Chàg Hamakkabìm (Festa dei
divinità di origine persiana,
solo l’anno, ma anche il giorno della nascita
Maccabei), per fare memoria
venerato come il «Sole Indel Salvatore e cioè il 25° giorno del mese di
della riconsacrazione del
vitto». La festa, centrata sul
Pachòn (15 maggio) o il 25 del mese
tempio che Antioco IV dissasimbolismo della luce, ebbe
Pharmùth (20 aprile) e sostenne che non esicrò con una statua di Zeus e
una diffusione enorme nelsteva una tradizione univoca e condivisa sulla
data esatta della nascita del Salvatore (Stroche Giuda Maccabeo con la
l’impero romano tra i sec. I-III
mates I, 21, PG 8,888).
sua famiglia riconquistò neld.C., tanto che l’imperatore
l’anno 165 a.C., ricostruendo
Diocleziano (284-305 d.C.)
e riconsacrando l’altare del
dovette proclamare il dio-Misacrificio. La Chiesa per non isolare i cristiani accertra «sostegno del potere imperiale», incrementanchiati dal culto pagano del dio-sole/Mitra e dalla
done il culto. Durante i giorni di festa, tutto diventava
ebraica Festa delle luci, inventò la celebrazione del
lecito perché veniva meno ogni freno inibitore e si
Natale del Signore, il Sole che sorge e mai tramonta.
scatenava ogni sorta di trasgressione specialmente
A Natale non domina solo il simbolismo della luce che
sessuale che si concretizzava in riti magici, baccanali
contrasta il buio della notte, ma si celebra Cristo
e orge, in cui avevano un posto privilegiato le «verstesso, «Luce che illumina le genti» (Lc 2,32), «Stella
gini» che sacrificavano al dio della luce la loro vergiluminosa del mattino» (Ap 22,16), sapienza di splennità. Non di rado la festa era occasione per vendette
dore «che non tramonta» (Sap 7,10). Celebrare il Napersonali fino all’omicidio. I cristiani opposero a quetale in pieno inverno è anche un atto di coraggio e di
ste licenziosità l’austera memoria del Lògos incarnato
speranza, un invito a guardare oltre le apparenze: il
che nacque in una stalla, nella povertà più estrema,
seme appare morto e perduto nei solchi, le giornate
fissando il Natale appositamente al 25 dicembre,
sono brevi e buie, il senso di morte tutto pervade; al
compimento esatto dei nove mesi della gestazione di
contrario, la nascita di un bimbo è una grande profeMaria, dal 25 marzo, giorno dell’annunciazione, equizia che illumina il mondo e anticipa la primavera,
nozio di primavera. Per contrastare i riti delle vergini
quando la vita danzerà e sconfiggerà la morte in vista
che offrono la loro integrità al «dio Mitra» in baccanali
dell’estate che porterà la gioia del raccolto e dell’aborgiastici, i cristiani esaltarono la nascita «verginale»
bondanza, simbolo di pienezza di vita.
di Gesù, «sole che mai tramonta», offerto al mondo da
SUL CULTO MISTERICO
DI MITRA
Pannonia (parte di Ungheria,
Austria e Slovenia), Mesia
(Bulgaria), Britannia e Germania.
Mitra è circondato da «miracoli»: con il lancio di una freccia fa scaturire acqua da una
roccia, segno di vitalità e purificazione; stipula un patto con
il dio Sole, a cui è associato
fino a identificarsi con esso.
Anche il dio Veruna (il greco
Urano) è associato a Mitra, e
insieme personificano la notte
e il giorno: Veruna castiga i
malvagi (notte) e Mitra protegge la giustizia e gli uomini
onesti (giorno). Il centro del
culto è la tauroctonìa (il sacrificio del toro), simbolo della fecondità universale e
sempre presente in tutti i mitrei. Accanto al toro vi sono
altre figure simboliche: il serpente che beve il sangue
del toro, lo scorpione che gli punge i testicoli (per impedire la fecondità della terra), il cane che bevendone il
sangur acquista energia e vitalità che trasferisce alla
Mitraismo e il Cristianesimo sono due religioni apocalittiche: rappresentano l’eterno
combattimento del bene contro il male, dei figli della luce contro i figli delle tenebre. L’imperatore Aureliano (270-275 d.C.) eleva il culto
del Sole a religione di stato. Costantino che
deve la sua prima vittoria ai cristiani, ribalta la
situazione con l’editto del 313 d.C. a favore del
Cristianesimo. Giuliano l’Apostata (361-363
d.C.) cerca di riportare in auge il culto di Mitra, ma inutilmente perché nel 394 d.C. con la
vittoria di Teodosio su Eugenio, il Cristianesimo diventa religione di stato e i mitrei saccheggiati e distrutti per fare posto alle nuove
chiese e basiliche cristiane. Famosi in Roma
sono i mitrei del Circo Massimo e S. Clemente
ancora oggi visitabili.
Il culto del dio Mitra, raffigurato con in mano una fiaccola
e un coltello, sviluppa una
forma religiosa riservata agli
iniziati per cui è caratterizzato
dalla segretezza; per questo i
rituali, che si chiamavano
«culti misterici», si celebravano in luoghi sotterranei,
detti mitrei, cui potevano accedere solo gli adepti, ammessi dopo prove e cerimonie
che comprendevano sette
gradi per essere ammessi al
mistero della conoscenza:
corvo, ninfo, soldato, leone,
persiano, corriere del sole,
padre. Pare che lo stesso imperatore Nerone fosse uno
di questi iniziati. Il culto di Mitra fu introdotto nel
mondo greco-romano dai pirati di Cilicia, deportati da
Pompeo nel 67 a.C. in Grecia. Da qui al seguito delle
legioni romane (molti soldati erano iniziati) si diffuse
velocemente in Italia, in Dacia (Romania-Moldavia),
DICEMBRE 2013 MC
31
Così sta scritto
terra perché dalla sua coda germoglia il grano (simbolo della risurrezione della terra) e un corvo che fa da
tramite tra il sole-Mitra e la terra. Il dio Mitra è accompagnato da altre due divinità, Catèus e Cautòpates, raffigurati sempre con le fiaccole, simbologia plastica di
una trinità solare che raffigura il ciclo quotidiano del
sole all’aurora, a mezzogiorno e al tramonto.
Il mitraismo, pur con tante somiglianze cristiane (verginità, trinità, luce-tenebra; sangue-vita, visione apocalittica, ecc.), fu uno dei principali antagonisti del cristianesimo sul quale sicuramente avrebbe prevalso
senza l’apostolo delle genti, Paolo di Tarso e la sua
opera di evangelizzazione e di diffusione del Cristianesimo in forma capillare in tutto il Medio Oriente, la
Grecia, parte dell’Asia fino Roma, cuore dell’impero,
segnando così il declino del mitraismo. Il Cristianesimo, infatti, nato come «sètta giudaica», tale sarebbe
rimasto, senza l’impeto paolino che di fatto creò la religione cristiana come «sistema» teologico e organizzativo. Il sec. I d.C. fu un secolo di passaggio, segnato
dalla decadenza di ogni sistema ideologico, morale e
religioso, frutto inevitabile della fine di un millennio e
inizio di uno nuovo. In un contesto di «pensiero debole» e di corruzione che aveva minato lo stato in ogni
suo ambito, forte era il bisogno di spiritualità e «pulizia», di aria pulita e di rinnovamento. In questo contesto, Paolo predicò la verginità come misura del provvisorio (il mondo sta per finire, bisogna prepararsi e restare liberi), il matrimonio come comunità stabile e regolata, la Chiesa come orizzonte escatologico, cioè
come compagna di viaggio che stabilisce le regole in
vista della fine del mondo. Ebbe successo perché proponeva un ideale forte e controcorrente. Gesù ne era il
modello, ma la sua predicazione e le sue parole furono
adattate e adeguate alle nuove circostanze. Gesù aveva
annunciato il Regno di Dio, Paolo dava vita alle
«Chiese locali»; Gesù agì da profeta, Paolo operava da
uomo dell’istituzione.
NATALE: IL CAPOVOLGIMENTO DI DIO
Natale per i cristiani di routine è la festa civile del buonismo a buon mercato, risolto in una prassi scontata di
regali, odiati da chi li fa. Per chi crede, Natale è la contraddizione di Dio che non potendo essere visto e conosciuto, decide di farsi conoscere: egli stesso diventa
esegeta di sé (Gv 1,18). A Natale Dio spiega Dio nell’unica maniera che a noi è possibile capire: facendosi
uno di noi e rivelando il volto nascosto di Dio Padre nel
volto visibile dell’Uomo. E perché nessuno possa avere
anche la minima possibilità di avere paura, sceglie la
forma più indifesa e più disarmante: il bambino. Nella
cultura del tempo di Gesù, il bambino non ha alcun titolo e conta nulla perché senza valore giuridico; per
questo egli lo assume come «metro» del Regno: «Se
non vi convertirete e non diventerete come i bambini,
non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). Non basta.
Dio vuole svelarci il suo volto di bambino povero e perseguitato, profugo, straniero, emigrante, clandestino:
nessuno nel Regno di Dio ha le carte in regola per essere accreditato, nessuno è più in regola di un altro.
Una sola condizione è necessaria: essere figli di Dio.
Questo è il Natale, questa la nostra speranza. Diventiamo anche noi esegeti di Dio, manifestando in pieno
la sua umanità, riconoscendo negli altri la loro dignità
di esseri umani e figli di Dio.
A Natale tutto si capovolge. La logica umana non regge
quella divina perché Dio è capace di sorprenderci sempre, oltre ogni aspettativa, rovesciando i criteri e i «valori» del mondo: all’imperatore potente, contrappone
una ragazza inerme; a chi pretende di «contare» (censimento) l’umanità contrappone un uomo, una donna
incinta e un bambino appena nato; all’onnipotenza
della religione, contrappone la fatica di vivere la volontà
di Dio; allo splendore della reggia e del tempio, contrappone la povertà e l’autenticità della vita. Per questo
a Natale bisogna sapere e avere coscienza che il Bambino che chiede di nascere ancora:
• è un extracomunitario perché è un palestinese di
Nazaret;
• è un emigrato in Egitto, perché perseguitato politico e religioso fin dalla nascita;
• è vittima delle leggi razziali e razziste delle politiche di espulsione, perché senza permesso di
soggiorno;
• è ebreo di nascita e ricercato per essere eliminato;
• è un fuorilegge perché clandestino e ricercato
dalla polizia;
• è un poco di buono perché figlio di una ragazzamadre, appena adolescente;
• è oppositore del potere religioso e politico ed è
ammazzato per vilipendio della religione;
• è povero dalla parte dei poveri e «deve» essere
eliminato;
• è un laico, credente atipico e controcorrente;
• è poco raccomandabile perché frequenta lebbrosi
e prostitute;
• è Dio perché i suoi pensieri non sono mai i pensieri dei benpensanti (Is 55,8).
È Natale! La speranza di essere uomini e donne nuovi
per un mondo nuovo è possibile perché Natale è l’annuncio profetico che la Resurrezione è la mèta della
Storia. Anche oggi, anche adesso. Anzi è già compiuta
e noi possiamo rinascere e risorgere ogni giorno,
perché Gesù non ha bisogno di nascere di nuovo, essendo eterno, ma noi abbiamo necessità di rinascere
anche oggi a vita nuova. Questo è Natale: Dio-connoi-Emmanuel (cf Mt 1,23). Buon Natale a tutte e a
tutti i lettori e le lettrici di MC.
Paolo Farinella
Con questo articolo don Paolo Farinella sospende temporaneamente la sua collaborazione con la rivista
Missioni Consolata e, quindi, anche la rubrica «Così sta scritto» con cui, fedelmente, ci ha accompagnati per
otto anni, dal febbraio 2005. Don Paolo ha chiesto una pausa per preparare un «Corso biblico» che esporrà
nella sua città, Genova, e che pubblicherà anche sulla nostra rivista, molto presumibilmente dalla primavera del 2014, a partire da maggio. Nell’attesa, lo ringraziamo e salutiamo fraternamente e, su sua esplicita
richiesta, abbracciamo con affetto ciascun lettore e lettrice di MC, nei cui confronti si sente debitore e grato
perché lo hanno costretto a «stare sulla Parola». Chi volesse, può consultare sul nostro sito www.rivistamissioniconsolata.it tutti gli articoli di don Paolo già pubblicati, o andare sul suo sito www.paolofarinella.eu
per leggere o stampare la liturgia della domenica, cliccando prima su blog e poi su Liturgia.
32
MC DICEMBRE 2013
© Marc Chagall, Cain and Abel, 1960
RISPONDERE AI DELITTI SENZA COMMETTERNE ALTRI
GIUSTIZIA
RIPARATIVA
DI ANNALISA ZAMBURLINI, CAROLINA BEDOYA MAYA, LUCA LORUSSO,
CON INTERVENTI DI GHERARDO COLOMBO, CLAUDIA MAZZUCATO E GIANFRANCO
TESTA
© Af MC/G Testa 2006
OSSIER
INTRODUZIONE
QUANDO AL CENTRO
C’È LA PERSONA
DI
LUCA LORUSSO
Venti pagine di dossier per parlare poco di carceri (nonostante nel mondo siano ben
10,1 milioni le persone detenute1) e molto di giustizia e dignità. In cerca di risposte
alla domanda che da millenni assilla l’uomo: «Come rispondere a un delitto senza
commettere un altro delitto?».
ormalmente, quando si parla di giustizia, la prima immagine che viene in
mente è quella del carcere. I mass media in genere affrontano il tema «giustizia» contando gli anni «dati» al colpevole di turno.
Negli ultimi mesi si è parlato molto di carceri: a maggio 2014 l’Italia verrà sanzionata dall’Europa se nel
frattempo non rimedierà alle condizioni disumane in
cui vivono quasi 65mila persone, stipate in centri detentivi che possono ospitarne 47mila. Il nostro paese
è stato condannato dalla Corte di Strasburgo (quella
che nel Consiglio d’Europa vigila sui diritti umani)
per violazione grave e sistematica del divieto di trattamenti inumani e degradanti, divieto legato direttamente al diritto alla vita. Per scuotere il Parlamento
dall’inerzia, il presidente Napolitano, per la prima
volta in 7 anni, l’8 ottobre scorso, ha inviato alle Camere un messaggio nel quale uno dei passaggi più
importanti era l’invito a «ricorrere il più possibile
alle misure alternative alla detenzione e a riorientare
N
34 MC
DICEMBRE 2013
la politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione». Purtroppo in quei giorni si è parlato quasi
esclusivamente, e in forma spesso oppositiva e strumentale, delle «misure d’emergenza» (indulto e amnistia), e non del fatto che gran parte del problema
del sovraffollamento delle carceri dipende dalle scriteriate politiche iper-carcerarie degli ultimi anni che,
ancora oggi, fanno andare in galera molte persone
non pericolose.
DI GIUSTIZIA, E NON DI CARCERI
In questo dossier parleremo di giustizia senza mettere il fuoco dell’attenzione sul tema delle carceri,
nonostante la sua grande importanza e la sua urgenza. Riteniamo infatti fondamentale una riflessione più ampia, che non dia per scontato che la
parte più importante del «fare giustizia» sia la punizione, che provi a mettere in dubbio l’idea di poter
«educare al bene attraverso il male» (rieducare, risocializzare un «delinquente» attraverso la sofferenza
dell’esclusione, della carcerazione).
© The Seed
MC GIUSTIZIA RIPARATIVA
In queste pagine: immagini simboliche esprimono il
«sogno» e il progetto della giustizia riparativa. Un
cerchio di persone che si incontrano per narrarsi
a vicenda le loro esperienze. | La vita che germoglia
al di là delle sbarre che la ingabbiano. | Una persona
che condivide: «Sogno giustizia restaurativa».
Abbiamo ascoltato alcune voci di esperti che ci
hanno messo in questione: qual è la nostra idea di
persona? È la persona al servizio della legge, dell’ordine? Oppure è l’ordine al servizio della persona? Domanda che assomiglia a quella evangelica: l’uomo è
stato fatto per il sabato, o il sabato per l’uomo (cf. Mc
2, 27)? La persona ha un suo valore, una sua dignità
in sé, oppure solo in relazione a ciò che fa (bene o
male)?
Negli ultimi decenni una nuova idea e pratica di giustizia ha iniziato a diffondersi nel mondo: la giustizia
riparativa, o restaurativa. Essa risponde alle domande poste sopra affermando che la persona ha valore in sé, che non può essere lo strumento, ma il
fine, come dicono la Costituzione italiana e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Essa esclude
che il compito principale della giustizia sia quello di
punire, e afferma, al contrario, che debba restaurare
la persona, vittima e colpevole, insieme alla comunità, alla società (attraverso l’ascolto, l’inclusione, la
responsabilizzazione).
NOTE:
1 - Dato del maggio 2011 ricavato dalla nona edizione della
World Prison Population List dell’International Centre for Prison Studies.
© www alternet org
«DOV’È ABELE, TUO FRATELLO?»
Tra «gli esperti» interpellati, oltre all’ex magistrato
Gherardo Colombo e alla docente della Cattolica professoressa Claudia Mazzucato, c’è anche padre
Gianfranco Testa, missionario della Consolata, alle
cui parole affidiamo le ultime righe di questa introduzione: «“Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse”. La pagina
splendida della Genesi al capitolo 4, in una quindicina di righe ci offre l’affresco più coinvolgente della
storia dell’umanità. Non c’è campo per la vendetta. Il
Dio della vita si fà garante dell’assassino, ma non dimentica la vittima, e ci dice, allora come oggi, che i
fratelli sono due e di tutti e due ci dobbiamo fare carico.
Se pensiamo solo al carcerato e ci interessiamo solo
di lui, potremmo fare la fine del medico che spera
non finiscano mai gli ammalati per non rimanere
senza nulla da fare. Il primo compito di un vero operatore sanitario è di prevenire la malattia. Così il
compito principale della giustizia è di prevenire la
devianza. Per fare questo, tra le altre cose, si può vedere se ci sono delle alternative al carcere.
Quando qualcuno commette un delitto, egli va innanzitutto contro una persona, non contro una legge. E
la riparazione avviene quando le due persone tornano a incontrarsi in modo positivo.
Questo è impossibile? È un’utopia?
La persona, qualsiasi cosa faccia, anche azioni distruttive, deve stare al centro del nostro interesse. E
la persona ha due volti: della vittima e del colpevole.
Lo scopo della società è quello di recuperare le persone in quanto vittime ferite da una azione ingiusta,
aiutandole a superare la “schiavitù” del rancore e del
desiderio di vendetta. Allo stesso tempo è quello di
fare in modo che la persona colpevole che ha provocato dei danni senta di essere capace anche di azioni
positive.
Allora la giustizia non serve per “salvare” la legge,
ma per ricostruire la persona.
Di qui la giustizia restaurativa, che non è semplicemente un’alternativa alla giustizia retributiva o rieducativa, ma una modalità di intervento sulla conflittualità sociale».
Luca Lorusso
OSSIER
UN DIALOGO CON GHERARDO COLOMBO
IL PERDONO
RESPONSABILE
DI
LUCA LORUSSO
Si può educare al bene attraverso il male? Partendo da questa domanda
l’ex magistrato Gherardo Colombo illustra l’inefficacia della risposta punitiva
alle trasgressioni. Per la difesa e la promozione della dignità della persona
(di chiunque, anche dei colpevoli e delle loro vittime) sono più appropriati e più
efficaci, rispetto alla carcerazione, i programmi della cosiddetta giustizia riparativa,
che prevedono l’incontro e la responsabilizzazione di rei, vittime e società.
Abbiamo chiesto a Colombo di parlarci del suo attuale «lavoro» e del tema
del perdono responsabile al centro di uno dei suoi ultimi libri.
insegnare al colpevole l’obbedienza. Ma chi obbedio contattiamo via telefono mentre viaggia
sce, sostiene Colombo, non è completamente responin treno per raggiungere una scuola supesabile delle proprie azioni. La pena quindi non crea
riore in Liguria. Da quando si è dimesso
responsabilità, ma al contrario la distrugge. Le perdalla magistratura, Gherardo Colombo
sone seguono le regole non perché le condividano,
spende molte delle sue energie e giornate
ma per evitare la punizione, o meritare il premio. Se
parlando con giovani e ragazzi di tutta
una regola non è interiorizzata, c’è il forte rischio che
Italia di «regole»1, di cittadinanza responsabile. Ogni
essa verrà violata non appena mancherà il controllo,
tanto la voce cordiale che ci parla sparisce nelle galcioè il timore di essere «beccati».
lerie insieme alla linea telefonica. Ma il messaggio è
La giustizia «riparativa» fa capo, invece, a una culchiaro: non si può educare al bene attraverso il male.
tura in cui la persona vale in quanto persona, ha diÈ necessario trovare una strada alternativa alla pugnità - anzi, è dignità - indipendentemente dai suoi
nizione e alle pene tradizionali, perché queste, la carcomportamenti buoni o cattivi. È la cultura (cui s’icerazione in primis, in molti casi non sono condivisispira la Costituzione italiana
bili sul piano ideale e non
e la Dichiarazione Onu sui disono efficaci sul piano praLa libertà non può essere
ritti dell’uomo) per la quale
tico.
non è la persona a essere filimitata, salvo che in un unico
L’affabilità della voce di
alla realizzazione
Colombo s’intona perfetcaso: quando ciò serve a consentire nalizzata
dell’ordine, ma è l’ordine a estamente col ricordo di
la libertà altrui.
sere finalizzato alla realizzaquell’uomo alto e ricciozione della persona. Nella viluto, in abbigliamento casione «riparativa» il centro è la persona, la sua disual, che nel maggio 2012 presentava il suo volume Il
gnità (che rimane integra anche dopo aver compiuto
perdono responsabile al Salone del libro passegun crimine), la ricerca dell’inclusione, il recupero, la
giando tra il pubblico e cedendo il microfono a chiunriconciliazione. E le esperienze di giustizia riparativa
que volesse intervenire. In quell’incontro, così come
realizzate nel mondo dimostrano che l’alternativa al
nelle pagine del libro, l’ex magistrato ha illustrato
carcere è più efficace anche per la sicurezza sociale.
con semplicità l’opposizione tra due modalità di riIn più, nella prassi retributiva le vittime vengono in
sposta ai reati, tra due tipi di giustizia: quella «retrigenere dimenticate, perché l’attenzione è esclusivabutiva» e quella «riparativa».
mente sul reato, mentre nella visione riparativa la
La prima è quella più comune, diffusa a ogni livello,
vittima, insieme alla comunità (anch’essa vittima) e
dall’educazione dei figli alle relazioni internazionali:
al reo (anch’egli vittima di se stesso), viene coinvolta
la punizione è la giusta conseguenza della trasgresin prima persona e può davvero trovare un ristoro
sione. Alla base della giustizia retributiva c’è l’idea
che non sia la semplice e svilente realizzazione dell’iche la persona non ha valore in sé, ma solo in base ai
stinto di vendetta, che si esaurisce velocemente lasuoi comportamenti «buoni» o «devianti»: se fa bene
sciando il vuoto ancora più ampio.
riceve il premio, se fa male la punizione. Nella visione
Come entra il tema del perdono in tutto questo? In
retributiva, la sofferenza della pena viene inferta per
L
“
”
36 MC
DICEMBRE 2013
MC GIUSTIZIA RIPARATIVA
una situazione di rottura di una relazione (tra il reo,
la società e la vittima) il perdono, al contrario di ciò
che si pensa generalmente, non è uno sgravio di responsabilità, ma al contrario richiama alla responsabilità. La vittima e la comunità hanno la responsabilità di ri-accogliere il reo, il reo ha la responsabilità di
riparare in qualche modo la vittima e la comunità. Il
perdono rovescia l’ostilità in reciprocità. Questo può
avvenire concretamente, ad esempio, nella mediazione penale, una delle pratiche di giustizia riparativa più diffuse in tutto il mondo.
“
[Da] giudice istruttore,
succedeva che dovessi emettere
mandati di cattura. Poniamo che
avessi disposto l’arresto di una
persona accusata di rapina in banca:
succedeva che si presentasse nel
mio ufficio a chiedere un permesso di
colloquio la moglie, accompagnata
da un bambino di pochi anni.
Non ero in grado di trovare
la giustificazione all’aver sottratto
al bambino il papà. Quale
responsabilità aveva, il bambino,
perché subisse la sofferenza
della privazione del padre?
Il carcere, quindi, non solo non
rispetta la dignità di chi lo subisce,
ma non rispetta dignità e diritti di
terzi estranei alla trasgressione.
SIAMO ANCORA
ALLA LEGGE DEL TAGLIONE
IL PERDONO
RESPONSABILE
Ci può dire in sintesi qual è il contenuto del suo libro? «Il libro si muove su diversi livelli. Il primo è
un approccio di tipo più “filosofico”: quali sono le incoerenze
della pena rispetto al riconoscimento della vita e dignità della
persona? Segue un breve excursus storico sulla cultura retributiva, per arrivare a un’analisi
dell’inadeguatezza del carcere
così com’è, e quindi della punizione, della sofferenza imposta, per raggiungere lo scopo.
Il percorso del libro si conclude con la proposta di una
possibile alternativa: quella
della giustizia riparativa».
Qui sopra: la copertina del libro di Colombo, edito da
Ponte alle Grazie. | Qui sotto: Gherardo Colombo interagisce con il pubblico durante la presentazione del suo
volume al Salone del libro di Torino del 2012. | Foto a
pagina 38: Gherardo Colombo risponde a uno degli interventi dal pubblico. | In queste pagine: le frasi in colore rosso sono prese testualmente da G. Colombo, Il
perdono responsabile, rispettivamente dalle pagine 51,
49, 75, 52, 87. | Box pagine 38-39: il testo è liberamente
tratto dai capitoli 10 e 11 de Il perdono responsabile.
”
© L Lorusso 2012
Proviamo a immaginare l’ex magistrato
Gherardo Colombo alle prese con un’assemblea di duecento ragazzi di seconda
superiore mentre parla di regole e responsabilità e propone il perdono e la riconciliazione al posto di carcere e punizione. Gli domandiamo se gli capita di
trovare ragazzi scettici: «Sì, sì... si arrabbiano anche! Le risposte che le persone
hanno a questo mio modo di vedere sono
varie. Possiamo dire che più le persone conoscono il carcere (operatori, volontari…), più lo condividono. Mentre invece capita che persone informate
sul carcere solo alla lontana, per sentito dire, assumano un atteggiamento di rifiuto. Un rifiuto viscerale di fronte al quale diventa a volte impossibile approfondire l’argomento. Io credo che sia molto comprensibile tutto questo, perché per millenni l’approccio al tema della sanzione è stato molto retributivo.
Noi siamo ancora purtroppo alla legge del taglione
DICEMBRE 2013 MC
37
OSSIER
come impostazione abituale generale. La giustizia retributiva ha come strumento l’eliminazione, l’espulsione, l’allontanamento, l’abbandono della persona
che ha commesso il male. C’è in essa l’indisponibilità
al recupero di una relazione, se non in modo oneroso.
Invece la caratteristica della giustizia riparativa sta
nel ritenere che al male commesso da una persona si
rimedia attraverso il recupero della persona alla collettività. È un’impostazione inclusiva che si basa sul
riconoscimento dell’altro. Solo riconoscendo l’altro, il
reo può comprendere la sofferenza causata dalla sua
azione, e quindi astenersi dal commettere altre
azioni che procurino sofferenza».
“
È puramente illusorio
che il carcere abbia il potere
di riparare la vittima.
La vittima non è aiutata a superare
il trauma subito dall’aggressione
alla sua dignità, non è assistita
nel recuperare l’integrità perduta.
”
A sentirlo parlare sembra che Colombo sia arrivato a
sposare l’idea della giustizia riparativa non a partire
dai ragionamenti, ma dall’osservazione della realtà
carceraria e dei dati che la riguardano: «Sappiamo
che in Italia il 68% delle persone che escono dal carcere commettono nuovi reati: c’è da chiedersi perché. Se fosse vero che il carcere serve a prevenire la
commissione di reati il tasso di recidiva sarebbe
molto più basso». In più il carcere non aiuta le vittime a superare il trauma, e a ricostruire la propria
dignità violata dal reato, istigando, anzi, un istinto
basso (e distruttivo per la vittima stessa) come la
© L Lorusso 2012
LA VITTIMA ABBANDONATA
IL PIANO PRATICO.
L’INUTILITÀ DEL SISTEMA.
Testo tratto e adattato dai cap. 10 e 11 di G.
Colombo, Il perdono Responsabile, in cui l’autore
elenca alcuni luoghi comuni da sfatare.
1- I detenuti fanno una bella vita. I detenuti
(64.758 al 30 settembre 2013, stipati in carceri con capienza di 47.615 posti, ndr.) vivono
22 ore al giorno in celle piccole e sovraffollate,
insieme a persone non scelte, a volte arroganti, problematiche, voilente. Solo il 13% di
loro lavora. Il tempo non passa mai. Possono
avere sei colloqui al mese, di un’ora ciascuno,
coi famigliari, sotto gli occhi delle guardie,
senza intimità alcuna. I colloqui con persone
non famigliari sono rare eccezioni. Le condizioni disumane del carcere sono confermate
dal numero annuale di suicidi: uno su mille
(0,1%, mentre tra le persone libere è 1 su
200mila, lo 0,0005%), di tentati suicidi: uno su
cento (1%), di atti di autolesionismo: uno su
dieci (10%).
2- La certezza della pena: «Chi ha commesso un omicidio, dopo due giorni è fuori».
Non bisogna fare confusione tra la custodia
preventiva e la detenzione dopo la condanna.
Prima della condanna non si può essere incarcerati senza motivi validi, senza comprovata
pericolosità. Quando la condanna è definitiva,
38 MC
DICEMBRE 2013
la pena si sconta secondo regole prestabilite:
quindi è «certa». Le pene alternative sono
concesse (dove le risorse lo consentono) solo
a persone non pericolose e disposte alla rieducazione. Gli errori sono rari, tanto che
fanno quasi sempre notizia. Non è frequente
che torni a delinquere chi ha usufruito delle misure alternative al carcere: la recidiva di questi
è del 20% contro il 68% di recidiva delle persone che hanno scontato la pena in cella. A
giugno 2011: dei 67.394 detenuti, solo 17.582
usufruivano di misure alternative. La pena è
certa, ma la certezza non serve ad aumentare
la sicurezza dei cittadini perché in carcere si è
spesso «dis-educati» a una vita sociale sana.
3- La pena è utile come deterrente. Se si
vede che alla violazione segue la pena, per
paura della sofferenza della punizione, ci si
astiene dal violare la legge. Deterrenza e intimidazione sono inadeguate a stimolare il rispetto della dignità propria e altrui, e quindi
delle regole. Incutere paura insegna a obbedire (ostacolando il discernimento e la libertà).
L’obbedienza obbliga ma non convince, e se
una regola è rispettata per obbligo, il suo rispetto viene meno appena manca il controllo.
Quasi tutti rispettiamo le regole perché le con-
MC GIUSTIZIA RIPARATIVA
vendetta: «Nel sistema attuale le vittime sono abbandonate, forse peggio ancora che abbandonate.
Alle vittime non si offre null’altro che il soddisfacimento di un desiderio di vendetta. E anzi, sovente, le
vittime sono chiamate a rivivere a fini processuali il
dolore che era stato loro inferto attraverso la commissione del reato. Ad esempio: una persona che
avesse subito uno stupro, poi deve raccontare nei
dettagli come sono andate le cose prima davanti alla
polizia, poi davanti al pubblico ministero, poi ancora
in aula davanti ai giudici e davanti agli imputati e ai
loro avvocati, i quali faranno di tutto per metterla in
imbarazzo e per contraddirla e screditare la sua versione. Questa è la prospettiva della vittima nel sistema attuale. Invece la giustizia riparativa ha come
scopo da una parte quello di responsabilizzare colui
che ha commesso il fatto, e dall’altra di riparare, per
quanto possibile, la vittima, in modo che essa ricostruisca la dignità che era stata messa in crisi dalla
commissione del reato».
IL PERDONO RESPONSABILE
La parola «responsabilizzare» ci fa tornare alla
mente il titolo del libro di Colombo: Il perdono responsabile. E allora gli domandiamo: «In che modo
si legano i due termini, perdono e responsabilità?».
«Il perdono è la disponibilità a riallacciare una relazione interrotta sulla base di una duplice responsabilità. Il perdono in primo luogo non è amnesia, can-
dividiamo, non perché temiamo la sanzione. Un
killer della mafia non si lascia intimidire. Un tossicodipendente che fa rapine nemmeno, perché ha bisogno della droga. Un omicida per
raptus non si ferma per il timore del carcere.
Infine la minaccia della pena non intimidisce
anche perché la gran parte dei trasgressori
sfuggono alla sanzione: solo l’8% delle denunce sono seguite da condanne.
4- Bisogna aumentare il sistema repressivo.
Sarebbe un costo insostenibile: più polizia, magistrati, caserme, palazzi di giustizia, processi,
carceri, ecc. E poi creerebbe un vero e proprio
stato di polizia in cui tutti sarebbero sottoposti
a esasperanti controlli. Tutta la vita sociale si
bloccherebbe. Non bisogna aumentare la repressione ma diminuire la devianza.
5- I carcerati sono tutti pericolosi. Il carcere
attualmente colpisce sia pericolosi che non. A
fine 2009 i detenuti «comuni» erano 50mila
contro i detenuti «pericolosi» che erano 9mila.
A metà 2008 ben 14.743 detenuti sui 55.057
allora reclusi erano tossicodipendenti. Al 30
settembre 2013 solo il 62% dei detenuti aveva
una condanna definitiva (il 19% erano in attesa
di primo giudizio, un altro 19% erano condannati in primo e secondo grado). Questa ipercarcerazione è costata 29 miliardi di Euro tra il
2000 e il 2010. In più, la nostra cultura esclude
non solo i carcerati, ma anche gli ex detenuti, i
quali non trovano lavoro, casa, affetti, ecc. ricadendo in nuovi reati.
cellazione del passato, ma anzi presuppone una consapevolezza sicura di ciò che è successo. Data questa
consapevolezza il perdono è la disponibilità al recupero di una relazione che si era interrotta con la fiducia che anche dall’altra parte ci sia la medesima disponibilità. Non è uno scambio. Ciascuna delle due
parti ha una disponibilità unilaterale. Quindi il perdono coinvolge la responsabilità della persona».
“
La sofferenza imposta non può [...]
convincere, e semmai insegna
a obbedire. Ma chi obbedisce
non è psicologicamente, se non
giuridicamente, responsabile delle
proprie azioni (ne è responsabile
chi dà l’ordine). La pena quindi,
anziché creare responsabilità
la distrugge.
Distruggendo la responsabilità
incanala la società verso la
compressione della libertà.
”
6- «Ci vorrebbe la pena di morte». Tutti i dati
riguardanti la pena capitale mostrano in modo
inequivocabile che è inefficace: prova ne sia
che negli Usa, paese con popolazione 5,2
volte superiore all’Italia, gli omicidi sono 28
volte più numerosi.
7- «Col carcere almeno si fa giustizia e le
vittime sono soddisfatte». Il sistema retributivo non ripara la dignità della vittima. La sofferenza imposta al reo con il carcere procura
solo il soddisfacimento dell’istinto di vendetta.
La vittima non viene aiutata a superare il
trauma, a recuperare l’integrità perduta.
8- «Allora lasciamo circolare liberamente le
persone pericolose?». No. Chi è pericoloso
deve essere separato, ma la separazione dovrebbe essere mirata a prevenire l’effettiva
pericolosità. Mentre solo una piccola percentuale dei detenuti oggi reclusi (circa il 20%) è
effettivamente pericolosa. Non è logico, né
utile ricorrere al carcere anche per chi non lo
è. Nei confronti di chi è pericoloso, la limitazione della libertà di movimento deve però essere modellata caso per caso, e non deve essere accompagnata dalla limitazione, o addirittura esclusione, delle altre libertà fondamentali che non comportino pericoli per la società:
il diritto allo spazio vitale, alla salute, all’affettività, all’informazione, al lavoro, all’istruzione.
Luca Lorusso
DICEMBRE 2013 MC
39
OSSIER
IN SINTESI, LA PENA:
• toglie o limita a chi la subisce diritti
fondamentali connaturati alla dignità
della persona;
• non svolge funzioni di prevenzione
generale (le persone commettono reati
anche se vengono minacciate pene
elevate);
• non svolge funzioni di prevenzione
speciale (non evita che persone
colpevoli di reati ne commettano altri);
• non serve a riabilitare i rei, visto l’alto
tasso di recidiva;
• ha un peso economico elevato (dal
2000 al 2010 il sistema penitenziario è
costato all’Italia 29 miliardi di Euro);
• non ha capacità riparative nei confronti
della vittima.
LEGGENDO LA BIBBIA
Colombo ci racconta che il suo percorso di avvicinamento al tema della giustizia riparativa è stato lungo:
«Ho fatto per più di tre decenni il magistrato. All’inizio della mia attività la mia convinzione era che il
carcere fosse utile per assolvere a una funzione educativa, in un quadro di rispetto per la persona. Poi
però progressivamente ho riflettuto, ho letto, e ho
avuto l’esperienza degli effetti del carcere. L’approfondimento teorico da una parte e l’osservazione
della pratica dall’altra». Nel breve riassunto delle
tappe del suo percorso, Colombo cita la lettura di Eugene Wiessnet, un gesuita che nel 1960 pubblicò un
libro dal titolo Pena e retribuzione nel quale aveva
fatto un’analisi del rapporto tra trasgressione e retribuzione nelle Scritture. Infatti, nel leggere il libro di
Colombo, siamo rimasti molto colpiti dall’abbondanza dei riferimenti biblici: «Per me è molto importante vedere come ci sia stata un’evoluzione. L’idea
retribuzionista parte dalla convinzione che Dio sia
un giustiziere, che punisce. La credenza che questo
sia il messaggio delle Scritture è piuttosto diffusa. Io penso che ce ne sia un altro. Non solo nel nuovo testamento, ma
anche nel vecchio. Nella misura in cui
Dio è un Dio amoroso».
PASSI CONCRETI, PARTENDO
DA UN’AMNISTIA
Torniamo al piano pratico: nonostante
alcune esperienze positive abbiano iniziato a diffondersi, soprattutto in ambito minorile, la giustizia riparativa in
Italia è decisamente distante dalla sua
realizzazione. Quali passi concreti si
possono fare?
40 MC
DICEMBRE 2013
«Se vogliamo parlare della situazione attuale, io
credo che adesso, vista la condizione di vita delle
persone che stanno in carcere, una prima soluzione
sia quella di prevedere un’amnistia per i reati di minore gravità. Finché sono così tante le persone in
carcere credo che sia impossibile che esse vivano in
modo dignitoso, o comunque nei modi suggeriti dalla
nostra Costituzione. Ci sono molte persone che
stanno in carcere pur non essendo per niente pericolose. Poi credo che sarebbe necessario stimolare la
creazione di un sistema di giustizia riparativa, come
del resto ci è richiesto dall’Unione europea2: noi
siamo inadempienti nei confronti dell’Ue sotto questo profilo. Bisognerebbe che si ricorresse, da parte
di chi ha il potere di farlo, molto più frequentemente
alle misure alternative piuttosto che non alla detenzione in carcere. Sarebbe però soprattutto necessario operare sul piano culturale, sul piano dell’educazione. Educazione diretta non all’obbedienza, come
generalmente succede, ma diretta all’elaborazione di
una capacità di gestire consapevolmente, responsabilmente la propria libertà».
Luca Lorusso
“
Dio si rivolge ad Adamo,
[...e] a Caino, cerca entrambi
nonostante avessero rotto
la relazione con Lui [...].
Richiama la loro responsabilità
verso la relazione.
Si scopre così che il perdono [...]
non è sgravio dalla responsabilità,
ma è, al contrario, richiesta di
assunzione di responsabilità
(di risposta) nei confronti
dell’altro.
NOTE:
”
1 - «Quel che faccio più di tutto è girare per l’Italia, nelle
scuole e nei circoli, a parlare di giustizia e della relazione
tra regole e persone e di come questa relazione influisca
sulla vita pratica di ciascuno di noi. […] Ho fatto il magistrato per oltre trentatre anni. […È] progressivaconvinzione che per far
ia fosse necessaria una
ssione sulla relazione
tadini e le regole».
www.sulleregole.it.
2 - È vincolante per
gli stati membri dell’Ue la Decisione quadro 2001/220 GAI (sostituita dalla Direttiva
2012/29/UE del Parlato europeo e del considel 25 ottobre 2012) suldella mediazione nelle
penali.
MC GIUSTIZIA RIPARATIVA
INTERVISTA A CLAUDIA MAZZUCATO, DOCENTE ALLA CATTOLICA
UN’IDEA SCANDALOSA
DI GIUSTIZIA
DI
LUCA LORUSSO
Autori e vittime di reato sono portatori di domande, bisogni, speranze, aspettative.
Com’è possibile che entrambi, e la società, lavorino sul domani senza scordare il
passato? La riparazione è qualcosa che nasce dal dialogo libero e costruttivo sugli
effetti distruttivi del reato. È dirompente parlare di programmi liberi e consensuali
dentro la giustizia penale che in genere è invece il luogo della coercizione, della privazione della libertà. La giustizia riparativa rimarrà sempre un’aspirazione, che però
ha già prodotto dei grandi risultati: nel Sudafrica dell’apartheid ad esempio.
rofessore aggregato di diritto penale all’Università cattolica di Milano, Claudia
Mazzucato si occupa di modelli alternativi di giustizia penale allo scopo di trovare una coerenza tra la risposta al reato
e i principi della democrazia. Nel corso
dei suoi studi si è imbattuta, nei primi anni ‘90, nel
tema della giustizia riparativa, della mediazione reovittima, e da allora ha dedicato la sua vita, non solo
professionale, a questo. È mediatrice volontaria per
l’osservatorio del ministero della Giustizia sulla giustizia riparativa. Ha occasione, quindi, non solo di
studiarla, ma anche di praticarla a titolo volontario.
All’Università segue la formazione degli studenti di
giurisprudenza, di sociologia e di scienze della formazione sui temi del diritto penale e della giustizia
minorile.
© L Lorusso 2013
P
NESSUNO SA COS’È LA GIUSTIZIA
La giustizia riparativa suscita interesse nei suoi
studenti?
«Sì moltissimo. Questo tema suscita interesse in
tutti. Da anni io e un gruppo di altre persone teniamo incontri un po’ dappertutto: scuole, parrocchie, quartieri difficili, fino al Consiglio superiore
“
Nessuno sa bene
cosa sia la giustizia, ma tutti
sappiamo molto bene cosa sono
le ingiustizie. E la giustizia riparativa
è un itinerario in cerca della giustizia
a partire dalle ingiustizie. Lavora su
quello che è andato storto
per ripararlo.
”
OSSIER
della Magistratura. Incontriamo diversi “mondi”, e
dovunque troviamo interesse. Sempre. Anche perché la giustizia riparativa solleva la domanda più generale di giustizia, che riguarda chiunque.
“
Come parlare di risocializzazione
quando tra la persona condannata
e la società ci sono un muro di sei
metri, un muro di cinta, uno di
intercinta, il blindo, le sbarre, ecc.?
© The Seed
”
Il cardinal Martini diceva che nessuno sa bene cosa
sia la giustizia, ma tutti sappiamo molto bene cosa
sono le ingiustizie. E la giustizia riparativa è un itinerario in cerca della giustizia a partire dalle ingiustizie. Lavora su quello che è andato storto per ripararlo.
Non è un lavoro campato in aria. È, anzi, con i piedi
saldamente per terra. Tanto da occuparsi della quotidianità materiale dell’autore del reato e della vittima: ci capita negli incontri di mediazione di dedicare ore a definire le regole di saluto, di distanza o di
vicinanza, di comportamento: “Cosa succede se domani vi incontrate per strada o sull’autobus?”.
La giustizia riparativa ha anche quest’attenzione: da
domani che cosa succede?
Autori e vittime di reato sono portatori di domande,
bisogni, speranze, aspettative che intrecciano il passato prima del reato, il momento del reato, il presente e il futuro. Allora noi chiediamo a vittime e rei
di esprimere che cosa c’è nel loro oggi e com’è possibile lavorare costruttivamente sul domani, senza dimenticare ciò che c’era prima del reato, né il fatto
che un reato è stato commesso, che qualcuno lo ha
agito e un altro lo ha subito».
“
Anche la vittima ha bisogno
di essere risocializzata.
RISOCIALIZZARE IN GABBIA?
”
«Questo lavoro sul futuro è una cosa che la giustizia
penale tradizionale non può fare perché è tutta retrospettiva: anche quando condanna una persona all’ergastolo, cioè determina l’interezza del suo futuro,
è tutta ferma sul reato, sul passato. È solo dopo l’inizio della detenzione che compare un educatore, un
assistente sociale che dice: “Beh, adesso pensiamo
alla rieducazione”, che vuol dire ritorno in società.
Ma qui spuntano le incoerenze della giustizia: come
parlare di rieducazione a uno che sta in una gabbia,
o di risocializzazione quando tra la persona condannata e la società ci sono un muro di sei metri, un
muro di cinta, uno di intercinta, il blindo, le sbarre,
eccetera? Come si può parlare di risocializzazione se
la società è esclusa dal contatto con il reo?
La riparazione è qualcosa che nasce dall’incontro e
dal dialogo costruttivo sugli effetti distruttivi del
42 MC
DICEMBRE 2013
reato. Ha l’ambizione di promuovere responsabilità
individuali e collettive per reintegrare il colpevole e
la vittima. Sì, perché anche la vittima ha bisogno di
essere risocializzata. A volte addirittura di essere
“rieducata”: può capitare, infatti, che la vittima appartenga allo stesso mondo deviante del reo. Nell’opinione pubblica in genere c’è l’immagine della vittima buona, onesta, che subisce improvvisamente
qualche cosa, mentre il reo è cattivo, ma raramente
la realtà è così netta».
QUALCOSA DI SCANDALOSO
Nel suo saggio Appunti per una teoria dignitosa
del diritto penale scrive: «La giustizia riparativa
può arrivare addirittura a ridisegnare una nuova
geometria della giustizia». È davvero così rivoluzionaria?
«La giustizia riparativa costringe a guardare al problema del crimine e al tema della giustizia con occhi
nuovi. Essa ha qualcosa di scandaloso: “Ma come?
Reo, vittima e comunità insieme dopo un reato?”.
Tutto l’itinerario millenario della giustizia fino a ora
ha diviso il reo dalla vittima, e ha ripetuto sul reo il
male che egli aveva fatto alla vittima. La giustizia riparativa invece propone: “Mettiamoci insieme, volontariamente, per pensare a qualcosa di diverso”.
È dirompente parlare di un intervento libero, volontario e consensuale dentro la giustizia penale, la
quale in genere è invece il luogo della coercizione legittimata, della privazione della libertà. È proprio
un prendere la giustizia così com’è oggi e rovesciarla».
“
Si [può] chiamare giustizia
riparativa solo ciò che porta le
persone a incontrarsi
volontariamente e liberamente.
”
Quali sono gli strumenti della giustizia riparativa?
«La mediazione diretta, o indiretta, tra autori e vittime di reati, i community circles, i family group
conferences. Sono programmi costruiti intorno all’incontro a tu per tu, oppure allargato ai compo-
MC GIUSTIZIA RIPARATIVA
SUDAFRICA: LA VERITÀ
È PIÙ IMPORTANTE DELLA PENA
Questa nuova idea di giustizia potrà
mai realizzarsi?
«Non potremo mai mettere fine al problema della
giustizia. La giustizia riparativa rimarrà sempre
un’aspirazione. Però ha già prodotto dei grandi risultati: l’esperienza del Sudafrica, ad esempio. Nel momento più drammatico in cui, finito l’apartheid, si
sarebbe potuta scatenare una vera guerra civile,
Nelson Mandela, e poi Desmund Tutu e gli altri che
hanno costruito la Commissione verità e riconciliazione hanno sostenuto a gran voce che se gli oppressi si fossero fatti giustizia in modo “tradizionale” sugli oppressori, avrebbero riprodotto la
stessa violenza che avevano subito, impedendo l’unità del popolo arcobaleno. E quale giustizia poteva
affermare l’unità dopo la separazione e la segregazione dell’apartheid? Una giustizia non retributiva
dove la verità è più importante della pena.
“
La giustizia punitiva è reo-centrica, ed
essendo punitiva non può chiedere
all’autore del reato di dire la verità..
”
nenti delle famiglie dell’uno e dell’altra, alle comunità. Questi sono gli strumenti. Ma la cosa fondamentale è che si possa chiamare giustizia riparativa
solo ciò che porta le persone a incontrarsi volontariamente e liberamente. Quando un magistrato impone un lavoro di pubblica utilità, può fare una cosa
bellissima, ma non è un programma di giustizia riparativa, è una pena. Quando una persona svolge un
lavoro di pubblica utilità che corrisponde a un lavoro fatto sulla sua dignità, in dialogo con le vittime,
“
Quale giustizia poteva affermare
l’unità dopo la separazione
e la segregazione dell’apartheid?
Una giustizia non retributiva
dove la verità è più importante
della pena.
”
con la comunità, e quindi il soggetto sente di
ripararsi, e non solo di riparare, e lo sceglie
liberamente in dialogo con altri, questa è
giustizia riparativa. Altro elemento è che
gli incontri sono liberi, aperti, quindi si
costruiscono anche in base a ciò di cui si
sente il bisogno. La presenza di un mediatore è importantissima. Anche perché il facilitatore rappresenta a sua
volta la comunità, e fa sì che le persone
non siano sole, sta con loro, e accoglie
entrambe le parti con dignità e rispetto,
anche se ha di fronte una persona gravemente colpevole».
La giustizia punitiva è reo-centrica, ed essendo punitiva non può chiedere all’autore del reato di dire la
verità. Il diritto dice che l’accusato non è tenuto a
dire la verità, perché se la dicesse andrebbe incontro alla pena.
Il Sudafrica ha dovuto scardinare il meccanismo
della pena per chiedere la verità».
La verità è «terapeutica»? Affermarla, riconoscere
ciò che è accaduto, di per sé realizza la giustizia e
lenisce le ferite?
«Possiamo dire che la verità può fare molto più di
una pena. Poi probabilmente ci sono persone, vittime, comunità che sentono che nelle sedute della
Commissione la verità non è stata detta abbastanza,
e che non si sentono risanati da quella verità. Ciò
che possiamo dire senz’altro è che alle vittime e alle
comunità vittimizzate, quel percorso non ha tolto
nulla. Ha aggiunto semmai qualcosa di positivo. Se
ci fosse stato un percorso di giustizia tradizionale
quelle persone non avrebbero ottenuto di più.
Anche solo perché la giustizia penale tradizionale è molto selettiva: soprattutto
dove ci sono state delle atrocità massive
non può arrivare a processare e a punire tutti quelli che in una logica retributiva lo meriterebbero».
UNA NOVITÀ ANTICA
La giustizia riparativa è una «scoperta» recente o se ne conoscono esperienze in tempi e società del passato?
«È una scoperta, però è anche una riscoperta.
Della giustizia riparativa come la conosciamo
oggi possiamo identificare l’origine negli anni ‘70
in Canada con percorsi di incontro tra giovani
autori di reato e le loro vittime. La pratica, che
aveva dato buoni risultati, si è poi espansa nel
DICEMBRE 2013 MC
43
mondo, a cominciare dagli Usa, dove però rimane
una nicchia. Paesi come la Nuova Zelanda e l’Australia, partendo da modelli riparativi, sono arrivati addirittura a ricostruire la giustizia. Anche in Europa ci
sono molti paesi che hanno leggi sulla giustizia riparativa o sulla mediazione reo-vittima.
Dall’altro lato però la giustizia riparativa è una riscoperta: se andiamo a studiare i modelli di giustizia di
certe società tradizionali, constatiamo che dove è necessario tenere unita la comunità esistono forme di
giustizia di tipo relazionale, dialogico, compositivo, e
non retributivo.
Si può supporre che pratiche di giustizia riparativa
ci fossero anche in tempi antichi: per esempio forme
di giustizia riparativa si trovano nella Sacra Scrittura. Nel Nuovo Testamento (amare i propri nemici,
porgere l’altra guancia, perdonare settanta volte
sette…), ma anche nel Vecchio Testamento (la lite
dialogica per ricostruire l’alleanza). Ci sono studi biblici stupendi su come, attraverso questo tipo di pratica di giustizia, si possa leggere il rapporto di Dio
con il popolo di Israele: un continuo richiamare l’altro a rispondere del suo tradimento dell’alleanza in
un dialogo che è molto forte, anche violento a tratti,
ma che ha sempre come obiettivo la ricostruzione
della relazione».
“
Ci vogliono dei profeti.
Ed è quello che ci manca oggi.
Certamente nel nostro paese.
”
I casi di Nuova Zelanda e Australia sono isolati o ci
sono altri paesi che si stanno orientando alla giustizia riparativa? In Italia cosa si fa?
«In Italia ci sono buone pratiche che si stanno consolidando soprattutto nella giustizia minorile, la giustizia riparativa però in generale è molto marginale. La
Nuova Zelanda ha ripensato il suo sistema penale
usando moltissimo i programmi riparativi con una
dimensione comunitaria come i communities circles
che coinvolgono la comunità, il vicinato, la famiglia,
le famiglie del reo e della vittima. È stata importante
la cultura nativa dei Maori.
Tra le altre esperienze, quella sudafricana è emblematica. Io sento la presenza di una traiettoria culturale nel mondo. La giustizia penale non è più ferma
sulle risposte punitive tradizionali: è stata scombussolata, movimentata dall’arrivo del tema della giustizia riparativa. E un po’ dappertutto tra i paesi democratici sta cambiando qualcosa».
MASS MEDIA E «TOLLERANZA ZERO»
Come spiega questa crescita di consenso per la giustizia riparativa in un clima globale in cui domina la
«tolleranza zero»?
«Il consenso globale sulla giustizia riparativa è al livello di studiosi, di Nazioni unite, di Consiglio d’Europa. Quindi la traiettoria positiva c’è, ma in un contesto generale che va ancora in tutt’altra direzione. È
vero, infatti, che chiunque oggi pensi alla giustizia
44 MC
DICEMBRE 2013
© Paolo Moiola
OSSIER
penale, pensa al carcere. Non perché il carcere sia
una risposta più realistica. I media, che hanno un
ruolo importantissimo sulla giustizia, purtroppo la
banalizzano: ad esempio fanno pensare che quando
una persona va in carcere è tutto risolto, mentre in
quel momento si aprono un’infinità di problemi. Bisognerebbe fare un lavoro di formazione dei giornalisti.
Ad esempio si sentono chiedere alle vittime: “È disposto a perdonare?”. Io penso che una domanda del
genere sia inopportuna. Così come: “È soddisfatto
dell’ergastolo?”. Ma come fa la vittima, con il suo bisogno di sentire la propria dignità reintegrata, a essere soddisfatta dalla sofferenza imposta al colpevole? Se c’è una soddisfazione, è momentanea. Poi rimane il vuoto che si aggiunge a un altro vuoto».
CI MANCANO PROFETI
Ci sono esperienze di paesi che abbiano dei tratti in
comune con quella del Sudafrica?
«Il Sudafrica ha aperto una via perché è stata la
prima esperienza a mettersi in mezzo ai due modelli:
quello del colpo di spugna con le amnistie, e quello
dei processi penali da Norimberga in giù. Altri paesi
hanno tentato di fare delle cose simili: in Perù con la
Commissione verità e riconciliazione del 2000, ad
esempio. In Ruanda con i tribunali Gacaca per il genocidio del 1994. Il punto è che nessun’altra esperienza è riuscita a raggiungere il livello di quella sudafricana che è stata particolarissima per una serie
di situazioni convergenti. Il Sudafrica ha cambiato la
Costituzione alla luce dell’idea di Ubuntu (“Io sono
perché noi siamo”), ha prodotto un diritto nuovo. C’è
stato un ruolo della Corte Suprema che credo sia l’unico tribunale del mondo ad avere come logo un albero sotto al quale ci sono persone bianche e nere intrecciate, invece della bilancia con la spada… E poi i
sudafricani avevano Mandela e Tutu, cioè due vittime esemplari. Mandela diceva: “Non bisogna vendicarsi”, e Tutu: “Le persone possono cambiare, e noi
dobbiamo crederlo”. Erano dei pulpiti da cui non venivano delle prediche, ma delle esperienze che avevano una forza di testimonianza pazzesca. Dove non
ci sono figure profetiche così, diventa molto difficile
far passare queste idee a livello pratico.
Ci vogliono dei profeti. Ed è quello che ci manca oggi.
Certamente nel nostro paese».
Luca Lorusso
© L Lorusso 2007
MC GIUSTIZIA RIPARATIVA
Pagine 41-45: immagini simboliche. Il palazzo di giustizia «Bruno
Caccia» di Torino. | La Kamiti prison, la prigione maschile di
massima sicurezza più grande del Kenya, di cui MC ha parlato
nel numero di aprile 2013. | Il logo della Corte Costituzionale del
Sudafrica raffigurante un albero sotto al quale s’intrecciano silhouette di persone bianche e nere. | Un’immagine tipica della
giustizia: dea bendata con una bilancia in una mano e una spada
nell’altra. | Carcere di Ayacucho, Perù. Sul muro del cortile interno una frase recita: «La libertà è dono di Dio e la giustizia è
opera degli uomini». | Una scritta su un muro di Buenos Aires
ricorda il tema fondamentale della verità e della memoria: «Se
non esiste la memoria tutto ciò che ci riguarda è suicida».
| Qui sotto: un’immmagine emblematica di come il tema «giustizia» venga spesso affrontato su Facebook, adattata dalla fanpage «Non chiamateli politici ma criminali» (con più di 45mila
«mi piace»).
«... E BUTTIAMO VIA LA CHIAVE!»
Frasi dal web su carcere e giustizia all’indomani del messaggio alle camere del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
«Credo che i lavori forzati nel senso vero
della parola sia l’unica soluzione per eliminare il problema del sovraffollamento.
Anche perché tu che sei stato vittima e
vedi che il tuo aguzzino viene liberato
non puoi continuare a credere in un
paese come questo. I lavori ci sono di
svariati tipi e modi con orario come dico
io dal sorgere del sole al tramonto come
facevano i contadini».
dovremmo mandare [...a quel paese]
l’Europa: non capisco perché dovremmo
avere a cuore i diritti umani di persone
che di umano hanno solo la forma! Più rispetto per le vittime!!!».
(Tre commenti scelti a caso tra i molti in
calce a un articolo sul blog di Beppe Grillo:
http://www.beppegrillo.it/2013/10/il_piano_
carceri_del_m5s.html)
«In Italia ormai da decenni si pensa solo
a salvare ed aiutare i cittadini disonesti e
non quelli onesti e, ancora una volta,
questo viene confermato dalle dichiarazioni rilasciate dal capo dello Stato che
dovrebbe essere il garante della Costituzione nonché super partes e non il difensore di indifendibili, condannati e delinquenti».
«Il carcere serve per lo sconto della
pena, la rieducazione casomai la fanno
quando escono dal carcere e prima di inserirsi nella società. Pene alternative?
Come in Alabama ai primi del '900, incatenati a tagliare l’erba sulle strade o rattoppare l’asfalto che ce n’è un gran bisogno!!! Prima pensare ad aiutare i cittadini
onesti e poi, se avanza tempo, si pensa
a quelli disonesti. [...] Se l’Europa ci multa
perché le nostre carceri non hanno celle
singole con internet e aria condizionata
per il benessere dei criminali credo che
DICEMBRE 2013 MC
45
PADRE GIANFRANCO TESTA
SI TRATTA
DI LIBERARE L’UOMO
DI
© Af MC/G Testa 2006
OSSIER
LUCA LORUSSO
Se il mondo missionario s’interessa della persona, il tema della giustizia riparativa è
importante. Si tratta di liberare l’uomo. Parola di padre Gianfranco Testa, missionario della Consolata che da decenni si occupa di perdono e riconciliazione.
ato a Bra nel 1942, ordinato nel ’67 a
Torino, a 30 anni è partito per l’Argentina. Al tempo dei generali ha fatto 4
anni di prigione. A 40 anni è andato in
Nicaragua, tentando l’avventura in un
paese che in quel momento era per lui
molto interessante per la rivoluzione sandinista,
«una rivoluzione cristiano marxista, chiamiamola
così, tanto per spaventare qualcuno», ci ha detto. E
poi a 50 anni è partito per la Colombia. «Adesso, a
70, vado di qua e di là. Sono stato in Albania, in Palestina. Muovo i miei ultimi passi sempre cercando di
riflettere». Di recente, a Torino, è nata, grazie a lui,
l’università del perdono: www.universitadelperdono.org.
N
Che senso ha, secondo te, parlare di giustizia riparativa su una rivista missionaria?
«Se una rivista missionaria s’interessa dell’uomo,
della persona, certamente il tema della giustizia riparativa è importante. Purtroppo ancora poco dibattuto. Si tratta di liberare l’uomo. Nella giustizia
riparativa il centro di tutto è la persona umana. E
mettere l’uomo al centro vuol dire fare un buon servizio missionario».
Come si sposa la missione della Chiesa con il tema
della giustizia riparativa?
«Io preferisco la parola “restaurativa”. Perché “riparare” vuol dire mettere le cose a posto, invece qui si
tratta di restaurare la persona, ridarle dignità.
Credo che questo discorso sia una sfida fondamentale per la Chiesa oggi. Un discorso che i politici non
sanno fare o non vogliono fare. È quello per cui
l’uomo, nonostante i suoi errori, e anche l’uomo vittima, viene riconosciuto come persona degna di rispetto, degna di amore. Oggi, nel sistema di giustizia
la vittima scompare, non è importante. La giustizia
cammina da sola senza ascoltare il dolore di chi ha
sofferto. Allo stesso tempo, il colpevole non viene ristabilito come persona. Io penso che la funzione
della giustizia non sia di castigare, ma neppure di
essere indifferente. La funzione della giustizia è di
restaurare: la vittima, il colpevole, la società. Certo,
46 MC
DICEMBRE 2013
ci sono delle condizioni: se il colpevole non riconosce
quello che ha fatto, allora deve intervenire una giustizia che diventa “retributiva”. Ma se il colpevole è
capace di assumersi la responsabilità di quello che
ha fatto, allora si entra in un dialogo di umanità. Non
di castighi, di leggi, ma di umanità, dove le persone
acquistano un rilievo fondamentale, e ognuno assume le proprie responsabilità, trovando anche le
strade di riparazione».
La Chiesa si è mai espressa in maniera ufficiale ed
esplicita sul tema della giustizia restaurativa?
«No. Fin’ora no. Sarebbe una bella sfida. Penso che
sarebbe bello se ci si sedesse un po’ di teologi, di filosofi, qualche giurista a pensare, riflettere insieme.
L’importante cos’è? È la persona umana! Sempre. Il
cuore della nostra fede non è Dio, di cui possiamo
parlare molto poco, ma siamo noi. Noi che entriamo
in noi stessi in profondità, e poi nello spirito, nella
verità, riscopriamo Dio. E siamo capaci anche di
perdonare, di restaurare e di lasciarci restaurare.
Questo mi sembra che sarebbe per la Chiesa un
“buon campo di battaglia”. Aiutare la società ad affrontare la domanda che da 2.800 anni ci si pone:
“Come castigare un crimine senza commetterne un
altro?”. Noi normalmente perseguiamo i crimini facendo altri crimini. Basti pensare a come sono gestite le prigioni. Basti guardare la carica di odio, di
rancore che si accumula con la nostra giustizia. Ma
che giustizia stiamo facendo? Noi abbiamo, come
Chiesa, un’esperienza di fede, di vita, di sensibilità
che è insuperabile. Forse non abbiamo riflettuto ancora abbastanza su questo tema. Sarebbe un annunciare un’umanità nuova. La famosa civiltà dell’amore, del rispetto per la persona, anche per il colpevole, ancora di più per la vittima.
La giustizia restaurativa è, alla fine dei conti, una
prassi quotidiana. Faccio un esempio: in Colombia
seguivo dei ragazzi che un giorno sono entrati in una
casa a rubare. Una volta scoperti abbiamo applicato,
in modo informale, tra noi, la giustizia restaurativa:
ho proposto loro due tipi di castighi, oppure di scegliere loro. Il mio castigo sarebbe stato di farli tornare a casa e di non accettarli più, oppure di non
MC GIUSTIZIA RIPARATIVA
GIUSTIZIA RETRIBUTIVA
GIUSTIZIA RESTAURATIVA
VALORI
Interesse dello stato
al primo posto.
Interesse delle persone
coinvolte e della comunità
al primo posto.
Fuoco sulla punizione.
Prigionia o pene alternative
inefficaci (carità a terzi).
Fuoco sulla responsabilità
e sulle necessità delle parti
e della comunità.
Colpevolezza individuale.
Corresponsabilità
individuale e collettiva.
Uso dogmatico del diritto.
Uso critico del diritto.
PROCEDURA
Formale, ritualistica.
Scenario di potere.
Informale, semplificata.
Scenario extragiudiziale o
comunitario.
Linguaggio e regole
complessi.
Linguaggio comune
e regole flessibili.
Processo decisionale delle
autorità, operatori giuridici.
Processo decisionale
condiviso con i coinvolti
e la comunità.
IMPATTO ED EFFETTI PER LA VITTIMA
Minima partecipazione.
Voce e ruolo essenziali
nel processo.
Minima assistenza
psicosociale e giuridica.
Risposta effettiva alle necessità psicosociali e giuridiche.
Insoddisfazione e
frustrazione rispetto
al sistema.
Soddisfazione e controllo
sulla situazione, recupero
dell’autostima.
IMPATTO ED EFFETTI PER L’ACCUSATO
Alienato dal processo,
comunicazione tramite
l’avvocato.
Partecipazione
responsabile nel processo.
Necessità praticamente
dimenticate.
Necessità effettivamente
considerate.
Inaccessibile e senza
interazione.
Accessibile, interagisce con
la vittima e la comunità.
IMPATTO ED EFFETTI PER LA COMUNITÀ
© Af MC/G Testa 2006
Restaurazione del tessuto sociale.
Reintegrazione dell’accusato e della vittima.
Efficacia di un sistema multiporte.
Potenziale di riduzione della reincidenza.
Pace sociale con dignità e senza tensioni.
Due immagini che testimoniano il lavoro compiuto da padre Gianfranco Testa in Colombia.
dare loro la prima comunione alla quale si stavano
preparando. E loro, chiamati a partecipare alla decisione, hanno scelto di lavorare per un certo tempo
per la persona che avevano derubato, di restituire
quello che avevano preso. Non è stato un castigo:
quei ragazzi si sono restaurati, hanno assunto le loro
responsabilità. In più abbiamo guadagnato nella vittima un amico, che ha detto: “Questi ragazzi sono
dei disgraziati, dei delinquenti, però sono anche capaci di fare del bene. Sono capaci di riconoscere il
male che fanno”. I ragazzi lavoravano talmente tanto
per “la loro vittima” che doveva fermarli lui stesso.
Così si sono restaurati la vittima, i colpevoli e la comunità.
Ho raccontato questo aneddoto per dire che anche
in casa si può usare la giustizia riparativa. Anche a
scuola. Questo è il punto di arrivo: la giustizia restaurativa non è solo per i palazzi di giustizia, ma
anche per la vita quotidiana. Evitare di castigare.
Allo stesso tempo non lasciare passare mai niente di
sbagliato: ogni errore deve essere corretto».
Nella tua vita missionaria sei stato e vai in diversi
paesi del mondo affrontando il tema del perdono e
della riconciliazione. Ci puoi raccontare qualcosa
di queste tue esperienze?
«Ieri sono stato in un campo Rom a Collegno (To).
Sappiamo che gli immigrati sono mal visti, ma i
Rom sono rifiutati. Certamente hanno i loro limiti,
però mi sono trovato benissimo. Sono stato in Albania a incontrare cattolici e musulmani sul tema della
violenza tradizionale. Tengo dei corsi sul perdono.
Sono dei semi gettati. Non è che si risolvano i problemi. Ma cerco, insieme ad altri che collaborano
con me, una pedagogia del perdono. Il papa Giovanni Paolo II, per la Giornata mondiale della Pace
del 2002, alla fine del suo messaggio chiedeva che si
costruisse una pedagogia del perdono. Noi parliamo
sempre del perdono, ma non insegniamo come si fa.
Ecco. È importante tentare di balbettare qualcosa
su questa pedagogia del perdono».
Luca Lorusso
OSSIER
L’ASSOCIAZIONE PARENTS CIRCLE - FAMILIES FORUM
UN’ESPERIENZA
ISRAELO-PALESTINESE
TESTO E FOTO DI ANNALISA ZAMBURLINI
Un ragazzo rapito e ucciso da Hamas. Un’associazione fondata dal padre per
promuovere la riconciliazione tra israeliani e palestinesi. Donne dei «due fronti» che
si raccontano in cerchio il conflitto e i loro lutti. Testimoni che vanno nelle scuole
dell’una e dell’altra parte, per far incrociare i propri occhi palestinesi con gli occhi
israeliani dei ragazzi, e viceversa, e condividere i sogni, le aspirazioni, le vite
interrotte dalla violenza. Esperienze di giustizia riparativa.
el luglio del 1994 mio figlio
Arik è stato rapito e poi ucciso
da Hamas. Da allora lo scopo
della mia vita è portare la riconciliazione e la pace tra
israeliani e palestinesi».
Yitzhak Frankenthal è un ebreo ortodosso, uno da
cui, stando a come vanno le cose in Israele, non ti
aspetteresti grandi aperture nei confronti dei palestinesi. Eppure dopo la morte del figlio durante il
servizio militare abbandonò il lavoro alla ricerca di
risposte alla sua tragedia, risposte che nessuno pareva in grado di dare: «Mio figlio è morto perché non
c’è pace nella nostra terra. Cos’è che ci spinge in continuazione l’uno contro l’altro? Cosa devo fare per
fermare questa spirale di violenza?».
«N
FAMIGLIE IN LUTTO PER LA PACE
Quando iniziò a parlare con gli amici dell’intenzione
d’impegnarsi per una riconciliazione tra i due popoli
si ritrovò solo. «Non riuscivano a capacitarsi che io
volessi mettermi a lavorare per la pace e la riconciliazione con chi aveva ucciso mio figlio. Il mio primo
passo fu una lettera inviata al primo ministro
Yitzhak Rabin, a Shimon Peres e a Ehud Barak: li incoraggiavo a continuare la ricerca di una soluzione
pacifica al conflitto. Rabin venne a trovarci a casa,
diventammo amici»1. Erano tempi in cui le speranze
suscitate dagli Accordi di Oslo venivano erose da una
realtà fatta di attentati, rappresaglie, morte.
Nel corso del 1995 l’Associazione israeliana dei parenti delle vittime del terrorismo palestinese protestò fortemente contro gli sforzi di dialogo politico.
Come lo stesso Frankenthal racconta: «Mi recai da
Rabin e gli dissi che quella gente non parlava a mio
nome». Così decise di inviare una lettera a 350 famiglie che avevano subito un lutto a causa del conflitto
nei precedenti 18 anni, proponendo loro di unirsi per
chiedere, con l’autorevolezza morale che la sofferenza conferisce, di interrompere la spirale di vendetta e intraprendere finalmente la via della pace,
del rispetto e della riconciliazione con i palestinesi.
Ricevette un paio di lettere cariche di insulti, ma ciò
48 MC
DICEMBRE 2013
che più conta è che 44 famiglie risposero affermativamente. Al loro primo incontro Frankenthal propose di rivolgersi anche alle famiglie palestinesi che
avevano subito un lutto a causa dell’occupazione
israeliana. Così nacque il Parents Circle - Families
Forum (Circolo dei genitori, forum delle famiglie)
chiamato Bereaved families forum (Forum delle famiglie in lutto), del quale fanno parte oggi circa 600
famiglie palestinesi e israeliane.
«IO COMPRENDO I TUOI SENTIMENTI»
Nella penombra del salotto di casa sua, la signora M.
ci racconta la sua storia. Alle sue spalle una grande
foto di suo figlio, che non ha mai fatto ritorno dal servizio di leva. L’onda del dolore della madre ci avvolge,
mischiandosi all’aria troppo calda di Gerusalemme.
Le domandiamo cosa l’abbia spinta a entrare nel Parents Circle: «Quando un israeliano parla con i palestinesi la prima reazione è che loro sono nostri nemici e noi siamo i loro nemici. È molto importante
quindi sedersi e parlare: comunicare è la sola via per
trovare una soluzione. Per me non è stato affatto naturale, è stato un percorso difficile. Ma ora posso sedere e ascoltare quanto donne e uomini palestinesi
hanno da dire, e posso rispondere: “Io comprendo i
tuoi sentimenti”, e a volte posso anche dire: “Ma non
concordo con le tue opinioni”».
Ritroviamo la signora M. a un incontro delle donne
dell’associazione. Carta, stoffa, pennelli e colori per-
MC GIUSTIZIA RIPARATIVA
mettono di esprimere le emozioni superando la differenza linguistica e il pudore. Così il desiderio di pace
si trasforma in arcobaleni e mani che si stringono nei
disegni sulla carta. Prendiamo parte alla realizzazione di un cartellone, e l’atmosfera serena, diremmo
gioiosa, ci fa per un attimo dimenticare dove siamo.
Ma basta uno sguardo all’alberello di carta realizzato
da alcune donne per ricordarci che il fratello della
giovane che dipinge è morto mentre era soldato di
leva, colpito da un cecchino, che il figlio della signora
che le passa i colori è invece stato ucciso durante
un’incursione dell’esercito nel campo profughi. L’uno
israeliano, l’altro palestinese. L’uno potrebbe aver
ucciso l’altro, e viceversa. Così notiamo che le foglie
dell’alberello sono in realtà lacrime con delle scritte:
«Mamma, rendimi più forte», «lacrime d’amore»,
«sto piangendo un mare di lacrime perché tu non ritorni». Un brivido ci attraversa insieme alla sensazione di stare assistendo a qualcosa di eccezionale.
Ci disponiamo in cerchio. Una donna palestinese e
una israeliana conducono le attività del gruppo. Ci
spiegano che l’elemento più importante dei loro incontri è la condivisione della propria storia, ovvero il
racconto, semplice e spontaneo, della propria vita e
dell’evento luttuoso che l’ha segnata. Ciascuno ha la
possibilità di leggere, con e per gli altri, il conflitto
dal proprio punto di vista, di presentare la vicenda
della propria famiglia e del familiare scomparso restituendole quel calore, quei particolari, «quell’anima» che le fredde cronache di guerra non conoscono. Non è una terapia di gruppo ma un incontro di
giustizia riparativa, ovvero uno spazio dove, attraverso il «linguaggio delle emozioni», può avvenire il
riconoscimento dell’umanità del nemico.
IL TESTIMONE DELLA PARTE OPPOSTA
Qualche giorno dopo, Rami, un signore israeliano la
cui figlia quattordicenne perse la vita in un attentato
suicida, c’invita a un incontro con un gruppo di giovani. In quell’occasione conosciamo Aisheh, una giovane donna palestinese il cui fratello, ferito senza
motivo da un soldato israeliano, morì, a distanza di
anni, per le conseguenze riportate. Possiamo così os-
In basso: Incontro delle donne dell’associazione
Parents Circle-Families Forum, Beit Jalla, agosto 2009.
| Qui a sinistra: una via di Hebron. | Qui sopra: intervista
alla signora Fatima, a Doha, nei pressi di Betlemme,
agosto 2009.
servare uno dei più di mille incontri che, ogni anno,
l’associazione organizza nelle scuole da entrambi i
lati del muro, per i gruppi di israeliani, palestinesi o
stranieri che ne facciano richiesta. Vanno sempre a
due a due, per consentire ai ragazzi di ascoltare,
spesso per la prima volta, il punto di vista dell’altro, e
osservare un esempio concreto di dialogo e di riconciliazione. I «testimoni» svolgono il ruolo di mediatori tra i due popoli cercando di aprire uno spazio
per la condivisione cognitiva ed emozionale di significati profondi. Gli uditori di una parte possono ritrovare, nel racconto delle vicende del proprio connazionale, esperienze e vissuti simili ai propri e sentirsi
provocati e incoraggiati dal suo impegno nonviolento
e concreto. Ma è l’incontro con il «testimone» della
parte opposta a essere, per alcuni giovani, un’esperienza folgorante: l’«altro» astratto, stereotipato,
odiato, per la prima volta acquista un volto umano,
uno sguardo da guardare e da cui sentirsi guardati,
una storia che interpella. Ascoltare la sua sofferenza,
il suo dramma, i suoi sogni e desideri infranti porta a
scoprire che essi sono inaspettatamente simili ai propri e aiuta a superare i pregiudizi e la propensione a
«gerarchizzare» la sofferenza sminuendo quella altrui. Ciò non annulla le differenze, ma apre alla comprensione e al riconoscimento.
La giustizia riparativa, che cerca la pace attraverso il
dialogo e la riparazione delle offese piuttosto che la
punizione e la separazione delle parti in lotta può assumere, in Israele e Palestina, la forma di un alberello di carta, del cerchio in cui siedono vittime che
sono anche nemiche, e di un’accorata e coraggiosa testimonianza davanti agli studenti di una scuola.
Annalisa Zamburlini
NOTE:
1- Le parole di Yitzhak Frankenthal sono tratte da: B. Bertoncin (a cura di), Per mano. Per mano dell’altro, per mano con
l’altro, Una Città, Forlì 2005, e da A. Da Sacco (a cura di),
Israele – Yitzhak Frankenthal: la riconciliazione parla il linguaggio della sofferenza, in «Bumerang, grassroot information», 22.02.2007, www.bumerang.it.
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OSSIER
NELLA COLOMBIA DEL CONFLITTO PERMANENTE
RICONOSCERE LE VITTIME
TESTO E FOTO DI CAROLINA BEDOYA MAYA
Nel paese del narcotraffico e della guerra civile più duratura dell’America Latina, alcune idee e pratiche di giustizia riparativa si fanno strada. Anche come strumenti di
un’auspicata chiusura del conflitto. E alcune politiche (troppo ambiziose?) puntano a
reintegrare i paramilitari, a far emergere le verità delle tante violenze, a riconoscere
le vittime, alla restituzione delle terre, a consolidare la memoria.
a Colombia vanta il caffè migliore del
mondo, così come gli smeraldi; è chiamato
il «paese-continente» per il mosaico di
climi presenti nel suo territorio; detiene il
primato per la biodiversità per metro quadro. Nonostante questi e altri elementi, per
i quali dovrebbe essere una delle mete più ambite del
turismo mondiale, la Colombia è universalmente nota
come il «paese della cocaina» nel quale si combatte
uno dei conflitti armati interni tra guerriglia e paramilitari/esercito più lunghi della storia dell’America Latina, con effetti devastanti sulla popolazione civile.
Quattro milioni di sfollati interni, sei milioni di ettari di
terra usurpati, 15mila persone torturate, 50mila scomparse, 80mila esecuzioni extragiudiziarie, 1.282 massacri, 11mila bambini soldato.
L
LA LEGGE DI GIUSTIZIA E PACE
E LA DOMANDA DI VERITÀ
È interessante allora, e anche sorprendente, notare
come in un paese così scosso dalla violenza si stiano
diffondendo iniziative governative e della società civile improntate ai principi della giustizia riparativa.
Due esempi emblematici sono la Ley de justicia y paz
e la Ley de víctimas y restitución de tierras. La
prima, voluta dal presidente Álvaro Uribe Vélez nel
2005, che aveva come finalità quella di offrire una
fuoriuscita rapida e indolore ai paramilitari, basandosi sui principi della giustizia riparativa (pace e riconciliazione), è stata però profondamente innovata
50 MC
DICEMBRE 2013
dalla Corte costituzionale sulla base dell’evoluzione
del diritto penale internazionale (non applicazione di
indulto e amnistia ai crimini internazionali) e della
giustizia di transizione, ovvero dei diritti delle vittime (diritto alla verità, giustizia, riparazione, garanzia di non ripetizione dei crimini). Tale legge ha permesso a 50mila paramilitari di smobilitarsi e reintegrarsi nella vita sociale attraverso programmi appositi. A coloro che invece avevano commesso crimini
di guerra e contro l’umanità (4mila persone) ha dato
accesso a un sistema penale ad hoc: al posto di una
pena carceraria di almeno 30 anni, una pena detentiva ridotta a 5-8 anni, alla condizione di raccontare
tutta la verità sui delitti commessi. La principale
particolarità di questo procedimento è che durante
le udienze in cui il reo racconta la verità, le vittime
sono presenti in un’altra stanza, hanno la possibilità
di ascoltare in diretta quanto viene confessato, e possono porre domande ai carnefici in merito alla sorte
dei propri cari. Sovente accade che i rei chiedano
perdono per i crimini commessi e che le vittime trovino pace sentendosi riconosciute, oltreché per essere finalmente divenute consapevoli di quanto è
successo.
Si tratta dunque di un sistema penale alternativo che
affianca alla pena detentiva la ricerca di una risposta
alla domanda di verità delle vittime. In più intende
favorire la risocializzazione del reo permettendogli
di riconoscere le sue responsabilità e accompagnandolo nel percorso di reinserimento nella società.
MC GIUSTIZIA RIPARATIVA
Salòn del nunca màs (Sala del mai più) a Granada, dipartimento di Antioquia. Il paese, devastato a fine 2000 da
un massacro a opera di paramilitari e successivamente
da un’autobomba della guerriglia, ha subito uno sfollamento forzato. Dei 19.500 abitanti, oggi ne rimangono
9.800. Nel Salòn è presente un quaderno per ogni vittima
su cui scrivono famigliari e amici.
VITTIME E RESTITUZIONE DELLA TERRA
La seconda legge, la Ley de víctimas y restitución de
tierras, entrata in vigore il 1 gennaio 2012, ancor
prima di dare soddisfazione ai diritti delle vittime, dà
compimento a quello che è uno degli obiettivi primari della giustizia riparativa, ovvero il riconoscimento della voce delle vittime. Per la prima volta in
60 anni il governo ha riconosciuto l’esistenza di un
conflitto armato interno, e dunque l’esistenza di milioni di vittime di soprusi da parte delle varie fazioni.
Il governo ha capito che la fuoriuscita dal conflitto
non si ottiene solo con lo smantellamento dei gruppi
armati, ma anche e soprattutto attraverso l’attenzione dedicata alle loro vittime.
La Ley de víctimas y restitución de tierras, dunque, si
pone come finalità principale la ricostruzione del tessuto sociale e della fiducia reciproca, e quindi la riconciliazione nazionale. Prevede la creazione di un programma che punti alla riparazione integrale delle violazioni subite dalle vittime, inglobando anche le iniziative già presenti: la restituzione, l’indennizzo, la riabilitazione. A livello collettivo la riparazione avverrà tramite il riconoscimento pubblico delle responsabilità
dello stato, atti commemorativi e iniziative simboliche
rivolte alla comunità. Mentre l’intento di restituire 4
milioni di ettari di terra illegalmente usurpati, e di avviare programmi che agevolino il ritorno alle terre in
totale sicurezza è a dir poco ambizioso. Così come l’intento di aiutare le vittime a costruirsi un’alternativa di
vita attuando programmi per la creazione di posti di
lavoro, sia in ambiente rurale che urbano, e avviando
le vittime senza titoli di studio a corsi di formazione
per imparare un mestiere.
PRESERVARE LA MEMORIA
Interessanti, in ottica di giustizia riparativa, sono infine le iniziative della società civile nazionale e internazionale: il sostegno alle vittime e alle loro voci,
l’impegno a mantenere viva la memoria del conflitto
perché non venga dispersa, le campagne di sensibilizzazione. Numerosi sono infatti i reports scritti al
fine di ricostruire e preservare la memoria storica
del conflitto, perché il popolo colombiano conosca
quanto è successo per più di mezzo secolo nel suo
paese e si impegni per la pace.
In questo filone possono rientrare le molte iniziative
che nascono dal basso: dalle piccole comunità in cui
le vittime si riuniscono e si danno forza a vicenda in
gruppi di auto mutuo aiuto, alla costruzione di musei
della memoria. O, ancora, piantare un albero in ricordo dei cari uccisi dal conflitto, partecipare a laboratori in cui rielaborare il lutto o semplicemente ricominciare a pensarsi come persone utili.
Carolina Bedoya Maya
BIBLIOGRAFIA
- G. Colombo, Il perdono responsabile, Ponte alle grazie, Milano 2011;
- C. Mazzucato, Appunti per una teoria ‘dignitosa’ del diritto penale a partire dalla restorative justice, in Dignità e diritto. Prospettive interdisciplinari, Libellula edizioni, Tricase (Le) 2010;
- D. Garland, La cultura del controllo (2001), Il Saggiatore, Milano 2004;
- E. Wiesnet, Pena e retribuzione: la riconciliazione tradita
(1960), Giuffrè, Milano 1987;
- M. Foucault, Sorvegliare e punire (1975), Einaudi, Torino
1993;
- I. Marchetti e C. Mazzucato, La pena in «castigo». Un’analisi
critica su regole e sanzioni, Vita e Pensiero, Milano 2006;
- G. Mannozzi, La giustizia senza spada, Giuffrè, Milano 2004;
- P. Massaro, Dalla punizione alla riparazione, Franco Angeli,
Milano 2012;
- Pena, riparazione e riconciliazione, Atti del convegno di
studi. Como 2005, Insubria University Press, Varese 2007;
- Howard Zehr, Changing Lenses. A New Focus for Crime and
Justice, Herald Press, Scottsdale, 1990;
- C. M. Martini, G. Zagrebelsky, La domanda di giustizia, Einaudi, Torino 2003.
- FILM: One Day After Peace, di Erez Laufer e Miri Laufer,
Israele-Sudafrica 2012.
HANNO CONTRIBUITO A QUESTO DOSSIER
ANNALISA ZAMBURLINI
Dottoranda in Sociologia e metodologia della ricerca sociale
presso l’Università Cattolica di Milano. Nel 2010 si è laureata
con una tesi dal titolo «Il Parents Circle - Families Forum
israelo palestinese, un’esperienza di giustizia riparativa?».
CAROLINA BEDOYA MAYA
Dottoressa in Scienze politiche e relazioni internazionali e in
Scienze per il lavoro sociale e per le politiche di welfare con
una tesi dal titolo «Colombia: tentativi di porre fine al conflitto
tra Transitional Justice e Restorative justice».
GHERARDO COLOMBO
Pubblico ministero presso la Procura di Milano dal 1989 al
2005, poi giudice di Cassazione, ha lasciato la magistratura
nel 2007. È oggi presidente della casa editrice Garzanti.
CLAUDIA MAZZUCATO
Docente di Diritto penale e penale minorile all’Università Cattolica. È stata co-fondatrice dell’Ufficio per la Mediazione penale di Milano. Dal 2002 partecipa a vari progetti di ricerca e
programmi di formazione nazionali e internazionali sulla giustizia riparativa.
GIANFRANCO TESTA
Missionario della Consolata, ha prestato il suo servizio missionario in diversi contesti dell’America Latina. Attualmente è
impegnato in Italia.
COORDINAMENTO EDITORIALE
LUCA LORUSSO, redattore di MC.
OSSIER
FINE
© jobspapa com
PERÚ
Testo e foto
di PAOLO MOIOLA
A Lima, come in quasi
tutte le metropoli del
mondo, ci sono le
periferie delle periferie.
A Corona, Pradera e
in altri «insediamenti
umani» le persone
arrivano dalle zone
interne del Perú
per cercare un nuovo
inizio. Si installano su
una terra desertica,
dove manca tutto.
Vi trovano però
anche Gianni Vaccaro e
Nancy Ortiz, una coppia
che, attraverso una
associazione solidale,
li aiuterà con servizi per
la salute, l’educazione e
il lavoro. Rifuggendo ogni
paternalismo.
IL DIRITTO ALLA SALUTE IN PERÚ / 2:
Tablada de Lurín
JAMPI WASI,
LA CASA DELLA
SALUTE
T
ablada de Lurín. Il taxi
cholo1 è scomodo, traballante e rumorosissimo, ma
per muoversi a Tablada città di 60 mila abitanti - è perfetto. Ci facciamo lasciare ai piedi
del Cerro de las conchitas, la
«Collina delle conchiglie», un
nome poetico per un luogo che
poetico certamente non è. Percorreremo a piedi un paio di chilometri fino alla sommità. La via
è una ripida strada di sassi e sabbia che s’inerpica lungo la collina.
Le abitazioni sono abbarbicate
sul pendio polveroso. La maggior
parte sono costruite con materiali poveri: tavole di legno di re-
cupero, onduline di eternit, cartoni, teloni di plastica, pareti di
esteras2. Tuttavia, oggi - sono ormai molti anni che frequentiamo
questo luogo - un numero crescente, benché ancora esiguo, di
case (pur rimanendo molto umili)
è in mattoni, cemento e finestre
dotate di vetri.
Corona Santa Rosa - questo il
nome dell’insediamento umano
(asentamiento humano) - si è svi-
# In basso: un «taxi cholo» passa davanti alla sede di Jampi Wasi, il centro medico di Corona Santa Rosa.
PERÚ
luppato sopra e sotto la strada
sterrata. Vi abitano oltre 1.500
persone, discendenti di quelle
che, negli anni Settanta3, invasero queste terre desertiche in
cerca di un’esistenza più dignitosa.
Nonostante i dati del Perú da
anni evidenzino una crescita economica importante, una parte rilevante della popolazione continua a vivere in povertà, nell’interno del paese o in periferie
come questa. Mancanza di un lavoro stabile, cattiva alimentazione, assenza di controlli sanitari regolari, violenza intrafamiliare, bambini e adolescenti che
crescono senza una normale
istruzione scolastica, ragazze che
rimangono incinte in età adolescenziale, questi sono i principali
problemi che ancora oggi affliggono la popolazione.
CINQUE SOLES DI SALUTE
Le persone che incrociamo lungo
la strada salutano la nostra guida
con un amichevole «professor
Gianni...». Gianni Vaccaro, sposato con Nancy Ortiz, quattro figli
maschi, qui è una vera istituzione. Nel settembre 2001 ha
fondato l’Asociación de Desarrollo Solidario Yachay Wasi,
un’associazione che a Corona si
occupa di salute, educazione, microcredito ed ecologia. Negli ultimi 13 anni la condizione degli
abitanti di Corona è migliorata
soprattutto per merito suo. Oggi
infatti essi possono usufruire di
un centro di salute, un centro
educativo, un laboratorio tessile e
servizi altrimenti inimmaginabili
in luoghi come questo.
Ecco la sede di Jampi Wasi, la
«Casa della salute». Il nome è in
quechua, perché questa è la lingua madre della maggior parte
degli adulti. Ma esso serve anche
a chi è nato qui e parla soltanto
spagnolo. «È un modo semplice spiega Gianni - per ricordare alle
nuove generazioni la cultura di
provenienza».
Un portone in ferro introduce in
una stanza che è un poliambulatorio in miniatura: c’è una piccola
farmacia, un banco con prodotti
naturali e la reception dove si pagano, tra l’altro, i 5 soles4 della
visita (un costo dimezzato rispetto ai centri più economici). E
MC ARTICOLI
# A sinistra: Rosmary Mantari e Carmela Zubilete, giovani infermiere
del centro medico Jampi Wasi.
Sotto: la dottoressa Luz Arevalo.
# Pagina a sinistra, in senso orario:
una strada di Tablada e, sullo
sfondo, il Cerro de las conchitas
con Corona Santa Rosa (parte alta
della collina) e l’insediamento 9 de
Julio (in basso); il primo edificio di
Jampi Wasi; il panorama visibile
dall’alto di Corona Santa Rosa; la
signora Carmen Maguiña alla reception di Jampi Wasi.
poi ci sono due stanze: in una si
pratica l’agopuntura, nell’altra si
fanno le visite.
Spiega Gianni: «A Villa María del
Triunfo, il distretto urbano di appartenenza, abbiamo solo un
ospedale del ministero della Salute e quindi un centro medico
come il nostro è necessario per
creare una rete d’assistenza che
possa filtrare i casi non gravissimi. Inoltre, noi cerchiamo di lavorare molto per formare una
cultura della salute in persone
che, per povertà e per ritrosia,
vanno in un centro medico soltanto se stanno estremamente
male».
Le pareti sono piene di manifesti:
per riconoscere i farmaci contraffatti, per difendersi dal dengue, in
favore dell’allattamento al seno,
per incentivare la donazione di
sangue e altro ancora. L’informazione serve per far crescere una
cultura della salute e quindi della
prevenzione.
Come il programma denominato
Cred - «Crecimiento y Desarrollo» (crescita e sviluppo) -, dedicato a bambini da 0 a 5 anni
per prevenire eventuali problemi
di salute. Spiega Gianni: «Controllando per tempo psicomotricità, vista, udito, linguaggio, possiamo scoprire eventuali problemi e curarli con maggiori
possibilità di successo».
Entriamo nell’ambulatorio di Luz
Arevalo, una medico giovane e timida con lunghi capelli neri e un
bellissimo sorriso. Scambiamo
qualche parola, anche se le sottili
pareti di compensato non agevolano la conversazione. «Molti dei
miei pazienti sono vicini di casa racconta la dottoressa -. Questo
mi piace molto». Le chiediamo
quali siano i problemi principali
che si trova ad affrontare. «Sono
le patologie respiratorie. E poi
anemia e denutrizione, soprattutto con riferimento ai bambini».
Domandiamo cosa pensi di una
sanità pubblica che è a pagamento o per persone assicurate.
«Per fortuna - ricorda Luz - esiste il Sis5, che offre cure mediche
gratuite ai più poveri. Certamente, se potessi fare una richiesta ai politici, direi loro che sarebbe importante ampliare l’offerta medica nei confronti della
popolazione. Troppe persone non
vedono mai un dottore». In Perú
ci sono abbastanza medici, ma
mancano gli specialisti. Per questo Luz lascerà (temporaneamente) il centro per dedicarsi agli
studi specialistici. «Spero in chirurgia», ci dice al momento dei
saluti.
Adiacente alla prima, il centro
medico possiede una seconda,
piccola sede, caratterizzata da
scritte e disegni dai colori sgargianti che vivacizzano un panorama generale dominato dal grigio. Tramite i disegni si raccontano i diritti della persona e si
mostra - con la piramide alimentare - quale sia l’alimentazione
più corretta per i bambini. Qui
vengono ospitati alcuni ambulatori e un piccolo laboratorio di
analisi.
Il centro medico Jampi Wasi è
frequentato da una media di 450
persone al mese. «Ma in questo
numero - precisa Gianni con una
punta di orgoglio - non sono incluse le persone raggiunte attraverso le nostre campagne». Le
campagne mediche sono visite
che per un giorno, normalmente
una domenica, si offrono gratuitamente a tutta la popolazione,
chiamando specialisti in varie discipline (pediatria, ginecologia,
nutrizione, ecc.).
(segue a pagina 57)
DICEMBRE 2013 MC
55
PERÚ
Tra pubblico e privato
L’OSPEDALE È
«NELLA» PARROCCHIA
Quando lo stato è assente o troppo debole, quando le risorse private sono
insufficienti, per molte persone l’esistenza diventa ancora più precaria.
A Tablada de Lurín la locale parrocchia offre servizi - medici, giuridici,
assistenziali - alla popolazione locale.
ablada de Lurín. Se non fosse per il nome che
campeggia sul muro - Parroquia San Francisco de
Asis (Parrocchia San Francesco d’Assisi) - , si potrebbe pensare che l’edificio sia un centro civico che
ospita una serie di servizi: medici, giuridici, assistenziali. L’entrata della chiesa omonima si affaccia sulla
piazza, recentemente sistemata, di Tablada de Lurín,
nella parte conosciuta come «zona antica». I molteplici
uffici si trovano invece sulla via laterale. A guidare la
parrocchia è padre Stuart Flores, ma il lavoro è portato
avanti da laici e volontari, soprattutto donne. Come
Ines Villanueva che indossa una maglietta contro la
violenza sulle donne, fenomeno molto diffuso: «Ferma
la mano - recita la scritta -. Il maschilismo uccide e maltratta la donna» (Para la mano. El machismo mata y maltrata a la mujer). O come Rosa Pajares che, entusiasta,
ci vuole mostrare il centro medico, di cui è coordinatrice.
L’ingresso è poco appariscente, segnalato da una piccola targa che ricorda soltanto gli orari di apertura. Ma
dietro quella porta si scopre - con sorpresa del cronista
T
# Dal basso in alto: la parrocchia San Francesco
d’Assisi, a Tablada; la sala d’attesa del centro
medico; la targa con gli orari. Pagina seguente: l’ambulatorio dentistico; padre Stuart
Flores; un’infermiera e (a destra) la signora
Rosa Pajares, coordinatrice del centro.
56
MC DICEMBRE 2013
MC ARTICOLI
- un piccolo mondo fatto di ambulatori, medici, infermieri e naturalmente di pazienti. Sulle pareti ci sono
una pluralità di manifesti che pubblicizzano le vaccinazioni per i bambini, ma anche per gli adulti: antipolio,
antitetanica, quelle contro epatite B, febbre gialla, morbillo, papilloma virus e altre ancora. Vicino alla cassa,
un avviso ricorda che le visite mediche costano 10 soles.
Il centro medico offre servizi di medicina generale,
ostetricia, odontoiatria, psicologia.
Rosa ci apre le porte di alcuni ambulatori. Ecco le infermiere con un camice bianco su cui è ricamato un San
Francesco. Ecco il dentista che - impegnato su un paziente - ci fa con la testa un segno di saluto.
Il centro medico della parrocchia di San Francesco funziona e merita parole d’elogio. Tuttavia, l’inadeguatezza,
se non l’assenza, dello stato fanno riflettere. Per troppi
peruviani le cure mediche non sono un diritto acquisito
ma una conquista individuale da strappare ogni giorno.
Con i denti, le unghie e una buona dose di fortuna.
Paolo Moiola
SOLIDARIETÀ, DIGNITÀ,
RESPONSABILITÀ
Lasciamo le strutture di Jampi
Wasi e ci incamminiamo verso la
sommità del Cerro de las conchitas, poche decine di metri più in
alto, dove l’associazione gestisce
altre due strutture con finalità diverse.
Nel piccolo laboratorio tessile di
taglio e cucito -Taller La Corona
si chiama - lavorano una decina
di signore del posto. Progettano e
confezionano maglie, tovaglie,
borse. E soprattutto insegnano ad
altre una professione che non sia
quella - consueta per gran parte
di queste donne - di venditrice
ambulante.
Sul costone più alto della collina,
al termine della strada, c’è l’edificio delle attività educative: Yachay
Wasi, ancora un’espressione
quechua per indicare la casa
(wasi) del sapere, della cultura,
della saggezza (yachay). Ospita
un frequentatissimo asilo e un
doposcuola per bambini e ragazzi
delle scuole primarie e secondarie. Qui lavorano 16 persone tra
insegnanti ed educatori.
Come si paga tutto questo?, chiediamo, scusandoci con Gianni per
l’arida concretezza della domanda. «Siamo finanziati - ci
spiega - da strutture laiche (come
alcune Ong italiane) e da alcune
entità religiose (come la Conferenza episcopale italiana). E poi ci
sono gruppi di amici che si autotassano mensilmente, a dispetto
della crisi».
Salute, lavoro, educazione: l’Associazione di sviluppo solidale
opera a 360 gradi, perché l’obiettivo - molto ambizioso - è lo «sviluppo integrale della persona».
Cosa spinge una persona con
moglie e figli a dedicare la propria esistenza agli emarginati?
Gianni Vaccaro, che ha una giovinezza da seminarista, è molto legato alla teologia della liberazione (nata proprio in Perú).
«Nel nostro lavoro la applichiamo
con la scelta preferenziale dei poveri, nella lotta contro una povertà ingiusta, escludente, che
uccide di morte lenta. Sono per
una Chiesa dove la missione religiosa non possa essere disgiunta
dalla missione sociale urgente.
Secondo me, essa è chiamata a
mettersi al lato dei deboli e degli
oppressi, lottando - appunto - per
la loro liberazione. Se Giovanni
Paolo II pensava l’appartenenza
cattolica come identità contro il
comunismo, papa Francesco
sembra voler privilegiare la problematica sociale come contesto
per l'evangelizzazione».
DICEMBRE 2013 MC
57
PERÚ
Corona Santa Rosa / 1
IL CENTRO MEDICO «JAMPI WASI»
SITO WEB ED EMAIL:
• www.perusolidario.com
• [email protected]
NOME COMPLETO: Centro medico «Jampi Wasi» («Casa
della salute»).
INIZIO ATTIVITÀ: gennaio 2008.
BACINO D’UTENZA: popolazioni di Corona Santa Rosa,
Pradera del Sur, 9 de Julio e Paraíso per un totale di
oltre 3.500 abitanti.
RESPONSABILE MEDICO: dott.ssa Maria Giurfa.
SERVIZI PRINCIPALI: medicina generale, primo soccorso,
psicologia, laboratorio di analisi, ostetricia, nutrizione,
agopuntura, riflessologia, crescita e sviluppo (Cred),
stimolazione infantile, farmacia.
DATI GENERALI:
LUOGO: Corona Santa Rosa (Tablada de Lurín, distretto
di Villa María del Triunfo, Lima, Perú).
PROPRIETÀ: «Asentamiento humano Corona Santa
Rosa», entità giuridicamente riconosciuta.
GESTIONE: «Asociación de Desarrollo Solidario “Yachay Wasi de Tablada”».
DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: Gianni Vaccaro e
Nancy Ortiz.
ALTRI SERVIZI: bottega di prodotti naturali; campagne
mediche annuali.
PERSONALE E COLLABORATORI: Maria Giurfa, German De
La Cruz, Luz Arevalo (medici); Rosmary Mantari (infermiera); Angela Nestares (laboratorio di analisi); Vicenta
Curasma (programma Cred); Luzmila Castro (medicina
naturale); Carmela Zubilete e Ychuta Reyna (tecniche di
infermeria); Carmen Maguiña (farmacia); Baras Camilo
(psicologo); Diego Ramirez (agopuntura); Melchor Vasquez (riflessologia); Cruz Trinidad (pulizie); volontari
provenienti dall’Italia, anche nell’ambito del «Servizio
civile all’estero» (www.serviziocivile.gov.it).
Corona Santa Rosa / 2
IL CENTRO EDUCATIVO «YACHAY WASI»
SERVIZIO OFFERTO: scuola materna, doposcuola per
scuole primarie e secondarie.
FINALITÀ: istruire ed educare bambini e adolescenti
per farli crescere in autonomia e creatività, rendendoli al tempo stesso coscienti del momento storico e
del contesto sociale.
ISCRITTI: 80 bambini (da 3 a 5 anni) nella scuola
materna; nel doposcuola, 75 bambini del livello primaria (da 6 a 11 anni) e 45 adolescenti del livello
secondario (da 12 a 16 anni).
PERSONALE E COLLABORATORI: sono 16 le persone impegnate tra professori ed educatori (6 per l’asilo, 8
per il doposcuola, 1 specialista in lettura e scrittura,
1 coordinatore sui diritti umani).
ALTRI SERVIZI: centro di informatica («Yuyanapaq»,
«per non dimenticare»); proiezione di film e progetti
di microcinema in collaborazione con il «gruppo
Chaski» (www.grupochaski.org).
# In alto: al banco di Jampi Wasi la signora Maria Ventura
serve alcuni prodotti naturali a una mamma con bambino.
Qui a lato: Gianni Vaccaro (a destra, col pizzetto) e Nancy
Ortiz (con la maglia azzurra) assieme a un gruppo di insegnanti del centro educativo Yachay Wasi.
58
MC DICEMBRE 2013
Corona Santa Rosa / 3
IL LABORATORIO «TALLER LA CORONA»
SERVIZIO OFFERTO: laboratorio tessile di taglio e cucito.
FINALITÀ: promozione del lavoro femminile attraverso
la formazione di circa 30 donne all’anno; produzione
e vendita di prodotti tessili.
PERSONALE: nel laboratorio sono impiegate 9 donne.
MC ARTICOLI
Nelle attività di aiuto ai meno fortunati il pericolo si nasconde soprattutto nel paternalismo, ma
anche nella sopravvalutazione di
sentimenti quali la compassione
e la carità. Gianni e Nancy hanno
evitato di cadere in questi errori
agendo sempre nel solco di tre
concetti forti: solidarietà, dignità,
responsabilità. Questa filosofia
ha una traduzione concreta: ogni
struttura costruita dall’associazione di Gianni e Nancy è proprietà dell’insediamento umano
Corona Santa Rosa, entità giuridicamente riconosciuta. Inoltre,
la gestione delle stesse avviene in
forma comunitaria, coinvolgendo
il personale e i dirigenti dell’asentamiento. «Soltanto in questo
modo - chiosa Gianni - i poveri
possono assumere il ruolo di
soggetto attivo della trasformazione sociale».
POLVERE E SPERANZA
Siamo in cima alla collina pietrosa di Corona. In lontananza,
sul fondovalle, s’intravvede la
grande fabbrica di cemento (accusata di arrecare seri danni alla
salute dei residenti)6. A destra,
sulle aride pendici si vedono le
prime umili abitazioni di Pradera,
insediamento più giovane e più
povero. Poco sotto di noi c’è un
campetto di cemento dove stanno
giocando un gruppo di ragazzi.
Un venticello rinfrescante ma
inevitabilmente polveroso (considerato che siamo in un deserto)
porta sollievo. Mentre la luce del
tardo pomeriggio rende meno
aspro il paesaggio circostante.
Paolo Moiola
NOTE
1 - Mototaxi, si tratta di veicoli a tre ruote,
tipo Piaggio Ape. Vengono chiamati popolarmente «taxi cholo» perché sono
usati soprattutto dai cholos, i migranti
di origine andina e amazzonica.
2 - Le esteras sono stuoie e canne di
bambù intrecciate.
3 - In particolare negli anni 1968-1975, durante il governo di Juan Velasco Alvarado.
4 - Un euro vale 3,7 soles (ottobre 2013).
5 - Sis, «Seguro integral de salud». Ne abbiamo parlato nella prima puntata.
6 - Cementos Lima (gruppo Unacem). La
fabbrica nega qualsiasi inquinamento.
Secondo il Copdes (www.copdes.org),
l’inquinamento dell’aria prodotto dall’attività è invece molto grave.
NELLA PUNTATA PRECEDENTE:
abbiamo raccontato del «Centro
medico Anna Margottini» di
Huaycán.
VIDEOREPORTAGE:
un breve videoreportage sul Centro «Jampi Wasi» di Corona di
Santa Rosa è visibile sul sito della
rivista e su You Tube.
# Sopra: il campetto da gioco posto
sotto il centro educativo Yachay
Wasi. Qui in basso: dalla collina
di Corona Santa Rosa si vede
Pradera, insediamento più recente
e più povero.
BURKINA FASO
Testo e foto
di MARCO BELLO
PARLA MONSIGNOR PHILIPPE OUEDRAOGO
PASTORI: NON
MOLLATE IL GREGGE
Dalle stragi
di Lampedusa
all’integralismo
islamico in Africa.
Dalla crisi di valori
nella società burkinabè
alle sfide della sua
Chiesa. Dall’impegno
dei cattolici in politica
alla formazione delle
coscienze.
Colloquio con
l’arcivescovo
metropolitano di
Ouagadougou.
M
onsignor Philippe Ouedraogo è arcivescovo di
Ouagadougou dal 2010.
Fin dal 1996 è stato vescovo di Ouahigouya, città nel
Nord, a grande maggioranza islamica. Lo incontriamo nel salone
dell’arcivescovado, proprio mentre nelle strade della capitale si
festeggia la vittoria calcistica del
Burkina Faso sull’Algeria.
Monsignor Ouedraogo, come
legge il dramma di Lampedusa?
«Oggi se si parla di Africa in Europa si parla di Lampedusa. Un
giornalista ha confrontato le migliaia di africani periti nell’Atlantico a causa della tratta degli
schiavi con i morti della migrazione dall’Africa all’Europa. Forse
è un po’ forzato come paragone.
Le motivazioni non sono le stesse
e la situazione neppure.
Il Papa ha denunciato la mondializzazione dell’indifferenza. In
questo l’Europa è colpevole e ha
anche delle responsabilità: la colonizzazione, poi le indipendenze.
Ora siamo in una situazione catastrofica di povertà, di insicurezza
a causa delle guerre, e tutto questo contribuisce a far partire le
# Mons. Philippe Ouedraogo, arcivescovo di Ouagadougou.
MC ARTICOLI
persone. Ma noi, gli africani, cosa
abbiamo fatto per rendere vivibili
i nostri stati? I responsabili si
sono riuniti ad Addis Abeba in
questi giorni, hanno passato il
tempo a parlare della loro sicurezza, rispetto alla Corte penale
internazionale, ma hanno trascurato questo problema che è il più
importante. Se i nostri governanti rubano, bisogna giudicarli.
L’autorità non è niente altro che
un servizio. Se i dirigenti non
realizzano che sono in quella posizione per fare il bene del popolo, per il bene comune, se saccheggiano le magre risorse, occorre giudicarli, a qualsiasi livello.
Questa situazione di miseria che
si perennizza è sfida enorme, e la
responsabilità è grande sia a livello di chi governa sia della popolazione. Bisogna lavorare,
avere iniziativa, prendere il nostro destino in mano. Dunque le
responsabilità sono condivise».
Lo scorso luglio voi vescovi del
Burkina Faso avete scritto una
lettera pastorale (box) critica
nei confronti dell’istituzione del
Senato, voluto dal presidente.
Una presa di posizione coraggiosa.
«I vescovi sono dei pastori, dei
servitori del popolo di Dio. Se la
situazione sociale, umana, sani-
taria, alimentare, educativa, di
sicurezza della gente non interessasse noi pastori sarebbe una
vera catastrofe. Abbiamo una responsabilità comune e dobbiamo
essere la voce dei senza voce.
Siamo in mezzo al popolo, siamo
solidali con esso, abbiamo quotidianamente delle sfide da affrontare, sulla povertà e sull’avvenire
di questa gente. Siamo dei cittadini come gli altri, e penso che
abbiamo voce in capitolo. “Alla
parola in famiglia è convocato
ogni membro della famiglia - diciamo in moore - al lavoro della
famiglia devono essere convocati
tutti i membri della famiglia”,
compresi i vescovi: siamo anche
Burkina Faso: mosse politiche del presidente padrone
ROTTA VERSO IL 2015: TEMPI DIFFICILI
In sella da 26 anni Blaise Compaoré le studia tutte per restare al potere.
Adesso sta creando un Senato alle sue dipendenze. Ma il popolo non ci sta.
E le manifestazioni di piazza sfociano nella violenza.
I
controllo, il Cdp avrebbe con tutta probabilità la maggioranza qualificata di due terzi dei parlamentari per
modificare l’articolo 37.
ultima trovata è la creazione di un Senato, che
porterebbe il Parlamento a un sistema bicamerale (attualmente si basa sull’Assemblea Nazionale di 111 membri). Creazione anacronistica, visto
che in altri paesi della regione, come in Senegal, il Senato è stato soppresso per tagliare i costi della politica. Così il 21 maggio scorso i deputati hanno approvato la legge sul Senato che sarà composto da 89 senatori, di cui 29 nominati direttamente dal presidente,
39 eletti o designati dalla collettività territoriali e 21
indicati dalla società civile.
Il calcolo politico è chiaro: con un Senato sotto il suo
a i burkinabè, popolo mite e tollerante, questa
volta sembrano non essere d’accordo. L’idea
del Senato manda in ebollizione la società del
paese. Diverse manifestazioni investono le strade
della capitale Ouagadougou e di altre città del paese, a
maggio, giugno e luglio. Alcune, in particolare condotte dagli studenti, sfociano in atti violenti come sequestro e distruzione di vetture di passaggio, e chiedono le dimissioni di Blaise. I giovani, il 59,1% dei
burkinabè è sotto i 20 anni, diventano la spina nel
fianco del presidente.
E la Chiesa non sta a guardare: il 15 luglio i vescovi del
Burkina Faso, che già si erano espressi in passato contro la modifica dell’articolo 37, diffondono una Lettera
pastorale dai toni pacati ma fermi, che critica le
nuove mosse del potere (vedi box).
Usa e Francia vorrebbero mantenere il paese nella
stabilità, vista la turbolenza che ha investito tutta la
regione da circa due anni (guerra in Mali, attentati
qaedisti in Niger, gruppi integralisti in Nigeria, ecc.).
C’è chi dice che anche Blaise voglia farsi da parte (e
per lui si cerca una posizione di prestigio in una organizzazione internazionale), ma il suo partito non è
pronto e si scatenerebbe una guerra di successione.
In prima fila il fratello minore, François Compaoré,
testa calda e implicato, tra l’altro, nell’assassinio del
giornalista Norber Zongo.
Marco Bello
l Burkina Faso si prepara a giorni travagliati in vista del 2015, anno delle elezioni presidenziali. In
quella data, infatti «scadrà» Blaise Compaoré, al
potere indiscusso dal quel lontano 15 ottobre 1987,
quando fece assassinare il presidente Thomas
Sankara e 12 suoi stretti collaboratori. Blaise, così
viene chiamato in Burkina, è passato indenne attraverso elezioni, multipartitismo, assassinii politici eccellenti del suo regime (come quello del giornalista
Norbert Zongo, ucciso il 13 dicembre 1998), lotte interne del suo partito, il Cdp (Congresso per la democrazia e il progresso), modifiche costituzionali. Ed è
proprio la Costituzione del 1991, modificata nel 2005,
che ha ridotto la durata della presidenza da 7 a 5 anni,
e imposto il limite a due mandati. Compaoré rieletto
nel 2005 e 2010, sarebbe, il condizionale è d’obbligo, al
suo ultimo mandato. Ma da mesi ormai, il presidente
e i suoi lavorano per cambiare quel famoso articolo 37
della Costituzione, che limita i mandati presidenziali.
L’
M
DICEMBRE 2013 MC
61
BURKINA FASO
# In queste pagine: scene di villaggio. Ragazzi si muovono su un
asino; donne prendono l’acqua.
# Sotto: Blaise Compaoré, presidente
del Burkina Faso, nel 2004.
noi membri della famiglia. Se la
gente ci rifiuta il diritto di parlare
e vuole che stiamo confinati nelle
nostre sacrestie noi non siamo
d’accordo, siamo qui e abbiamo
una missione da compiere. Abbiamo sottolineato che noi non
abbiamo un ruolo politico, un
ruolo deliberativo, ma abbiamo
un contributo da portare e teniamo a salvaguardare la nostra
neutralità e la nostra libertà per
poter comunicare il Vangelo al
servizio di tutti gli uomini. È per
questo che abbiamo preso la parola, perché ci sono quelli che
non riescono a farsi sentire, i poveri e i dannati della terra, gli
analfabeti, chi vive in campagna.
Poi c’è la minoranza di coloro
che vivono nell’agio e hanno tutto
in mano. Bisogna riequilibrare le
cose, in modo che tutti abbiano,
ognuno al proprio livello, una
parte irrinunciabile nel costruire
il bene comune, a cominciare dai
responsabili».
Le parole di papa Francesco
vanno un po’ in questo senso.
Hanno influenzato la vostra iniziativa?
«In Africa e in Burkina Faso
siamo stati molto contenti ed entusiasti dell’elezione di papa
Francesco. Il fatto di essere un
62
MC DICEMBRE 2013
non europeo è un segno molto
forte. La Chiesa è universale, occorre un cambiamento di mentalità, in particolare che i cristiani
d’Europa cambino, a cominciare
dal Vaticano. E il papa ha centrato il problema. Qui abbiamo
un’opzione pastorale fondamentale: “Chiesa famiglia di Dio”. Il
sinodo speciale per l’Africa del
1994 ha generalizzato questa opzione fondamentale per tutta la
chiesa africana: costruire la
Chiesa famiglia di Dio attraverso
le piccole comunità cristiane di
base. Siamo contenti che questo
papa arrivi dall’altro lato del
mondo e abbia un’esperienza e
una sensibilità particolare, che
porterà qualcosa alla Chiesa.
Sono stato a Roma recentemente, ho partecipato all’udienza
del mercoledì, e sono anche andato ad Assisi e ho concelebrato
con il papa. Questo uomo è
straordinario! Il fatto stesso che
abbia scelto il nome Francesco è
un segno forte: riportare la
Chiesa al Vangelo. Come dice
Charles de Foucault: “Se non viviamo il Vangelo, Gesù non vive in
noi”. Costruire insieme, come ha
detto Bergoglio, una Chiesa al
servizio, una Chiesa umile, fraterna. Io sono in profonda comunione con lui e quando l’ho po-
tuto salutare all’udienza gli ho
detto: “Santo Padre noi vi
amiamo”. E lui: “Pregate per
me”».
Come è stata accolta la lettera
pastorale nelle parrocchie?
«La lettera è stata letta nelle
chiese. Un uomo politico è venuto
da me a lamentarsi perché dopo
la lettura la gente ha applaudito:
scandalo! “La Chiesa fa politica.
Non mi ritrovo più in questa
Chiesa”. Gli ho detto: “Calmati, il
prete ha letto la lettera, non ha
chiesto alle persone di applaudire. Voi organizzate le manifestazioni, e forse le persone vi partecipano perché le pagate. Ma ci
sono altre manifestazioni a cui la
gente partecipa senza essere pagata”. Questo significa che le persone si sono ritrovate nelle parole
della lettera.
Non tutti l’hanno apprezzata, i
cristiani non hanno tutti la stessa
MC ARTICOLI
sensibilità politica. Alcuni sono
furiosi contro il loro pastore: “Si
immischiano in cose che non li riguardano” pensano. Oppure:
“Dovevano dare la lettera a Blaise
(Compaoré, presidente del
Burkina Faso, ndr), senza pubblicarla”. La Chiesa ha la sua maniera di lavorare. Noi vogliamo
assumere il nostro ruolo morale
e spirituale, non politico. Per
questo rifiutiamo di andare all’Assemblea Nazionale a deliberare,
ma se ci sono delle istanze di
concertazione, siamo disponibili.
Sempre restando nella prospettiva della dottrina sociale della
Chiesa: la dignità della persona,
il bene comune, la solidarietà e il
principio della sussidiarietà. La
lettera va in questo senso. I sacerdoti l’hanno accolta e l’hanno
distribuita al popolo di Dio. La
parrocchia universitaria ne ha
diffuso 20.000 copie. Non vogliamo l’unanimità totale. Abbiamo alimentato il dibattito, la
gente si interroga, e penso questo possa contribuire alla maturazione politica.
Non abbiamo scritto la lettera per
fare la lezione alle altre confessioni. Abbiamo letto su Internet:
“Anche i musulmani e i protestanti devono pronunciarsi”. Ma
non abbiamo la stessa organizzazione o lo stesso metodo di lavoro.
Noi siamo in armonia con loro».
E qual è stata la reazione a livello del governo?
Sono stati piuttosto discreti. Mesi
fa avevamo dato la nostra posizione rispetto alla modifica dell’articolo 37 della Costituzione, e
loro hanno scritto contro di noi.
Noi non abbiamo replicato. Ma
questa volta non ci sono stati
scritti che ci attaccavano. Siamo
stati convocati dal presidente, al
quale abbiamo spiegato il perché
della lettera: non è per creare
problemi al paese, al contrario. Si
può dare un’altra lettura, ma il
nostro obiettivo non è la sovversione, non è rovesciare Blaise, ma
contribuire al bene comune, alla
pace e alla coesione sociale, che è
una delle nostre ricchezze».
Ci sono esperienze di dialogo interreligioso a livello nazionale o
della sua diocesi?
«A livello della conferenza episcopale esiste una commissione
LA LETTERA PASTORALE DEI VESCOVI DEL BURKINA FASO
L’AVVENIRE PIENO DI PERICOLI
Basta con clanismo, clientelismo e corruzione. Il Burkina ha
bisogno di una maggiore redistribuzione di ricchezza, trasparenza ed etica. I vescovi prendono la parola contro la polveriera
sociale.
l 15 luglio scorso, i 16 vescovi del Burkina Faso pubblicano una lettera pastorale sulla situazione del paese. Esplicita sul malgoverno,
è una presa di posizione forte. Nel testo, i prelati, espongono la loro
preoccupazione per la situazione politico-sociale del paese e per le
tensioni e agitazioni che lasciano trasparire un «malessere della società burkinabè». Facendo un’istantanea la lettera descrive una società profondamente cambiata, in cui l’alfabetizzazione e le conoscenze sono raddoppiate (dal 16% al 32%), con un maggiore accesso
all’informazione, grazie alle nuove tecnologie e una maggiore presa di
coscienza delle donne. Ma la «frattura sociale» sta aumentando, con
la base della povertà che si allarga, mentre il potere politico ed economico interessa un gruppo sempre più ristretto. La lettera denuncia la
«Crisi di valori» con il denaro diventato valore di riferimento, più importante della famiglia, della nazione, di Dio. I giovani sono sempre
più emarginati e rigettano e sfiduciano chi governa. Il malcontento
profondo e il sentimento di ingiustizia sfocia in un aumento della violenza.
I
n questo contesto di grande povertà e bisogno essenziali di
base non coperti, quali salute, educazione, lavoro, casa, cibo,
che valore aggiunto fornisce il Senato?» si chiedono i vescovi.
Secondo l’opposizione, la camera alta costerebbe allo stato tra i 5 e 7,5
milioni di euro all’anno. «Le istituzioni sono legittime se sono socialmente utili», continuano i vescovi.
La denuncia al potere assume termini forti: «clanismo, clientelismo,
corruzione finanziaria», da sostituire con «democrazia consensuale,
consultativa e inclusiva», perché «una democrazia senza valori etici si
trasforma facilmente in totalitarismo dichiarato o sornione in dispotismo legale». Il documento porta la proposta della Chiesa: «Affinché il
Burkina Faso non diventi una polveriera
sociale occorre ricercare la giustizia sociale, operare per una trasformazione sociale e democratica profonda promuovere i valori cardinali di solidarietà e sussidiarietà. Questa deve essere la preoccupazione di chi governa». E le raccomandazioni: «Più equità nella distribuzione della ricchezza, più trasparenza
nella gestione degli affari pubblici, più
etica nei comportamenti sociali e politici».
Marco Bello
«I
per il dialogo interreligioso, organizzata con gruppi nelle diocesi e nelle parrocchie. Nell’arcidiocesi di Ouagadougou abbiamo
una commissione diocesana. In
Vaticano c’è un Consiglio pontificio per il dialogo interreligioso.
Ogni anno produce una lettera ri-
volta ai musulmani, noi la trasmettiamo ai nostri fratelli islamici che la leggono alla preghiera o talvolta durante le feste.
In tutte le famiglie c’è una certa
tolleranza. I legami di sangue
sono più forti dei legami di religione. Inoltre ci sono dei matriDICEMBRE 2013 MC
63
BURKINA FASO
moni interetnici e questa è una
fortuna per noi e in Burkina Faso
non abbiamo problemi. Nella mia
famiglia la maggioranza è musulmana, poi ci sono cristiani, e chi
segue la religione tradizionale. Ci
ritroviamo per gli avvenimenti felici e tristi. A Natale i cristiani offrono da mangiare ai musulmani,
e viceversa per le feste islamiche.
In questi ultimi anni vediamo crescere un certo integralismo, ma è
davvero recente e noi lottiamo
per salvaguardare la tolleranza
tra differenti comunità religiose
ed etnico culturali.
Da parte mia tentiamo di avere
relazioni fraterne: conoscersi,
stimarsi reciprocamente. I musulmani non sono indifferenti a
questo.
Ogni anno durante la festa islamica della Tabaski vado alla preghiera alla grande piazza della
Nazione. Tra Natale e Capodanno
il presidente della comunità musulmana, il grande imam e una
decina di imam sono venuti qui a
salutarmi. Questo ha provocato la
reazione di alcuni giovani integralisti, che sono andati ad assediare
il grande imam per chiedergli
conto della sua visita all’arcivescovo. Chi c’è dietro a questi giovani? Ma capi religiosi hanno
scritto una lettera molto chiara
nel senso del dialogo interreligioso e noi andiamo nello stesso
senso, perché è un’opzione della
Chiesa. Gli integralisti hanno
mandato a dirmi di non andare
più alle feste islamiche. Ma io ci
andrò a causa di Gesù. È un po’
come diceva Martin Luther King
per l’apartheid: “Voi potete umiliarci e gettarci in prigione, ucciderci, ma non potrete mai impedirci di amarvi”. Questa è la forza
del Vangelo: la forza di amarsi.
Esiste un documento del Consiglio pontificio, “Dialogo ed evangelizzazione”. Non si tratta di
proselitismo, ma non ci dimentichiamo che abbiamo anche noi
un messaggio da proporre».
Nei paesi confinanti, Mali e
Niger, c’è la guerra e il pericolo
Al Qaeda.
«I contesti sono simili ma diversi.
Ad esempio la proporzione di musulmani è molto più elevata in
Mali e Niger. In Niger 95%, in Mali
90%. In Burkina le statistiche ufficiali dicono che ci sarebbe il 60%
di musulmani, il 19-20% di cattolici, 5% di protestanti e il resto di
religioni tradizionali. Ma non sappiamo come hanno fatto queste
stime. Quel che è certo è che non
si deve dare troppa importanza a
questi dati, altrimenti si rischia di
scivolare nel confronto etnico-religioso. Anche in Niger e a livello
delle famiglie c’è la stessa configurazione di solidarietà di qui anche se l’islam è maggioritario. L’islam sub sahariano è diverso da
MC ARTICOLI
# Dall’alto in basso: un atelier di
sartoria nella capitale. | Artigiano
confeziona collane per le preghiere
islamiche. | Giovane mamma al
lavoro in un campo di riso.
quello dell’Africa del Nord, dove
nella stessa famiglia non si tollera
la conversione, mentre qui si accetta che l’altro sia differente, di
un’altra religione».
Il Burkina può essere considerato una frontiera per l’integralismo islamico?
«Ci rendiamo conto che l’equilibrio è fragile: quello che succede
nei paesi vicini potrebbe anche
arrivare qui: al Qaeda, Ansar
Dine, Boko Haram (vedi MC novembre 2012). Anzi, è possibile
che ci siano già. Dobbiamo essere molto vigili e lavorare insieme a livello delle diverse confessioni e delle autorità per promuovere una cultura di tolleranza, a partire dalla scuola e
anche dalle prediche. La reazione dei giovani agli auguri degli
imam per Natale ha avuto un risvolto positivo, perché ha causato una presa di coscienza nei
musulmani, e nelle prediche
hanno parlato a favore della tolleranza e contro l’integralismo.
Siamo di fronte a delle sfide importanti, non solo a livello di
Burkina, ma a livello mondiale.
Occorre coordinare gli sforzi di
tutti per una cultura di tolleranza, come direbbe papa Giovanni Paolo II: “La civiltà dell’amore”. Se non arriviamo a rispettarci di più, amarci, vivere
come fratello e sorella, sarà una
catastrofe. E in questo la Chiesa
ha un ruolo unico perché ha un
messaggio insostituibile per il
bene dell’umanità: il Vangelo».
In Burkina Faso esiste una frattura sociale tra la città e la campagna?
«Non sono scompartimenti stagni. C’è chi vive in città, ma ha la
mentalità rurale. Poi i legami famigliari sono tali per cui il cittadino resta in osmosi permanente
con i parenti in campagna. Un
funzionario non può isolarsi rispetto alla famiglia al villaggio.
Nonostante questo, ci sono problemi. Dovremmo fare di più per
accompagnare i giovani. C’è analfabetismo, ignoranza, Aids. Tutto
questo ha delle conseguenze nefaste per la vita dei giovani. Poi il
problema della mancanza di lavoro. Chi è in campagna è più stabile di chi vive in città e non ha
nulla da fare. La tentazione è il
banditismo. Ci sono delle nuove
povertà in città alle quali dobbiamo far fronte. I mendicanti, i
bambini di strada. Stiamo cercando di organizzarci per queste
situazioni che non troviamo in villaggio, dove c’è più solidarietà famigliare. La Chiesa non è sempre
attenta o attrezzata. Ma se non è
la Chiesa dei poveri non è la
Chiesa di Gesù Cristo. Dobbiamo
avere occhi e cuore aperti e attenti a queste situazioni vissute
da una grande parte della nostra
popolazione.
In campagna c’è una grande
mancanza di servizi di base,
come l’acqua potabile. Ma ci
sono famiglie in città che non
possono avere il loro pasto ogni
giorno e l’acqua nei quartieri periferici non c’è. Occorre vedere
caso per caso».
I vescovi del Burkina parlano
della necessità di una trasformazione profonda della società.
Qual è il ruolo della Chiesa?
«La scuola è il luogo della trasformazione della mentalità. I
media, la televisione: la gente
vede immagini da tutto il mondo
con le antenne paraboliche.
Come Chiesa cerchiamo di es-
sere al servizio di una società,
con queste grandi sfide. Non abbiamo la pretesa di risolvere tutti
i problemi, ma vogliamo essere
presenti, un po’ come il buon samaritano che ha pietà del povero
ferito al bordo della strada. Ci
sono molte donne e uomini feriti
al bordo della strada, e cerchiamo di portare quello che possiamo. A livello di scuole primarie, secondarie e università. Abbiamo due università cattoliche
(Ouagadougou e Bobo-Dioulasso)
e un istituto superiore a Kaya.
Nella sanità abbiamo l’ospedale
Paul VI che ha difficoltà, ma
rende servizio alla popolazione.
Nelle parrocchie ci sono i comitati di salute per la visita dei malati. Inoltre esistono molte associazioni parrocchiali per aiutare i
meno abbienti. Tutto questo è
modesto e insufficiente rispetto
all’ampiezza delle sfide».
Come vede l’impegno dei cattolici in politica in Burkina Faso?
«È complesso. Due anni fa ho
fondato la parrocchia dell’università. Ha il compito di seguire le
scuole superiori, circa 100 sulle
300 di Ouaga, le scuole professionali e le università. Io credo nella
pastorale dei gruppi sociali, ovvero la pastorale tra pari. I medici
sono organizzati con i Camilliani,
ci sono gli uomini d’affari cattolici, i banchieri, i parlamentari e
un’organizzazione parrocchiale
che forma l’élite intellettuale alla
dottrina sociale. L’idea è di contribuire alla formazione dei decisori
della nostra società».
Perché parlate di giustizia, riconciliazione, pace?
«Il riferimento è al Sinodo per
l’Africa del 2009. Queste restano
le grandi sfide per tutta l’Africa.
Anche per il Burkina Faso: abbiamo bisogno di una società più
riconciliata, abbiamo la nostra
storia, con la rivoluzione, le ferite
profonde, e non è sicuro che esse
siano guarite. Se c’è stata una
reazione forte dei vescovi rispetto alla creazione del Senato
è per salvaguardare la pace sociale: se un’istituzione deve essere creata e far scoppiare l’insieme della società, qual è il
bene di questa istituzione? È una
priorità?».
Marco Bello
DICEMBRE 2013 MC
65
ITALIA
di GIAMPIETRO CASIRAGHI
foto di GIGI ANATALONI
LA FEDE OGGI: UNA SFIDA PER LA CHIESA
VOGLIA
DI TENEREZZA
Tra i vari richiami di
papa Benedetto XVI in
riferimento all’attuale
situazione, ricordo
quanto disse ai vescovi
italiani: «In vaste zone
della terra la fede
corre il pericolo di
spegnersi come una
fiamma che non trova
più alimento. Siamo
davanti a una profonda
crisi di fede, a una
perdita del sens
religioso che
costituisce la più
grande sfida per la
Chiesa di oggi. Il
rinnovamento della
fede deve quindi
essere la priorità dell’impegno della
Chiesa intera
ai nostri giorni».
F
ede non limitata all’aspetto dottrinale, ma fede
come vita, preghiera, celebrazione, trasmissione ad
altre persone. Chi incontra veramente il Signore sente il bisogno
di comunicarlo ad altri. I primi
annunciatori sono coloro che
hanno avuto gli occhi e il cuore
pieni della visione del Cristo Risorto, come i discepoli di Emmaus, che possono considerarsi i
cristiani di oggi: dubitano, sono
delusi, ascoltano magari distratti,
camminano con lui, mangiano insieme, lo riconoscono, ne restano
abbagliati e corrono a dirlo agli
altri discepoli. Così Matteo, la Sa-
maritana, la Maddalena e le
donne che corrono al sepolcro.
Tutti dicono: «Abbiamo visto il Signore». È così sempre, fino a
oggi.
Il racconto del cieco Bartimeo indica un cammino di fede: non si
accontenta di correre da Gesù per
essere risanato dalla sua cecità,
ma rimane con lui, cammina
sulla sua strada, lo segue, percorre il suo stesso cammino:
«Getta via il mantello e balza in
piedi» (Mc 10, 46-52).
Il problema grave del nostro
tempo è che chi è stato avviato
alla fede a volte si ferma, rimane
a una fede bambina, del tempo
MC ARTICOLI
# In queste pagine: le foto sono puramente simboliche.
In basso a sinistra: la Gran Madre di Torino by night. L’edificio, pur imponente,
difficilmente richiama pensieri spirituali o di lode a Maria a chi vi passa vicino in
macchina o a chi va in giro a piedi per i negozi della città (qui a sinistra).
Fede). Senza gioia non si comunica nulla, non si dona nulla, ma
si rifiuta qualsiasi dono, anche il
più bello e il più costoso.
del catechismo. O, peggio ancora,
ritorna indietro, i suoi genitori
non l’hanno fatto battezzare, rinviando tutto al solito ritornello
che cioè toccherà a lui decidere
quando sarà adulto, senza nessuna educazione religiosa (eppure è sempre prevista una educazione civile e umana). Magari
sta alla porta della Chiesa, ma
non vi entra, come dissero qualche anno fa i nostri vescovi, che
sono ben consapevoli di questo
fatto. Tuttavia, come scriveva Giovanni Paolo II all’inizio del nuovo
millennio, anche le persone «del
nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono
ai cristiani non solo di parlare a
loro di Cristo, ma in certo senso
di farlo vedere» (Novo millennio
ineunte, 16).
Ci è di esempio e ci incoraggia in
modo molto umano e sorridente
la testimonianza di papa Francesco, la quale è chiaramente fondata sulla riscoperta dei contenuti veri della fede, perché diventi
sempre più viva, solida e in crescita, essere «testimoni credibili
e gioiosi del Signore risorto, capaci di indicare alle tante persone
in ricerca la porta della fede»
(Nota Pastorale per l’Anno della
IMPEGNO NUOVO
È questo, per molti aspetti, un
impegno nuovo chiesto ai cristiani di oggi. Perché? Cosa c’è di
tanto nuovo nel nostro mondo da
costringerci a cercare una nuova
via di comunicazione della fede?
In che senso è così diverso il
mondo di oggi da quello di ieri, di
non tanto tempo fa?
La prima novità è la cosiddetta
globalizzazione. Messaggi di posta elettronica entrano a fiotti ormai nelle nostre case, e il mondo
giovanile ne è affascinato. La crisi
economica, e soprattutto culturale e religiosa, circola ovunque.
Non abbiamo più nessuna identità, se non quella che ci offrono i
massmedia, che danno di tutto
ma un po’ di tutto, soprattutto
una certa mentalità circa la politica, la famiglia, il mondo e le sue
pazzie (che ci rendono sempre
meno ottimisti e più depressi e ci
mandano in tilt).
Viviamo in un villaggio globale,
dove si parla di tutto nel bene e
nel male. Praticamente nessun
luogo dista più di un giorno di
viaggio. Forse il frutto peculiare
della globalizzazione è nel non
sapere dove noi e il mondo
stiamo andando. In quale direzione vada la nostra storia e la
nostra società. Oggi si parla di un
«mondo che cambia» (A. Giddens), di «modernità liquida»
(Zygmunt Bauman) nel senso che
tutto è relativo, che tutto è accettabile; che come l’acqua ci infiliamo dappertutto senza meta
fino a impantanarci. Il guru di
Tony Blair, Antony Giddens, lo
chiama «mondo inafferrabile».
La storia sembra ormai al di fuori
del nostro controllo. La nostra
mente non è più in grado di cogliere tutto, di capire tutto quanto
avviene attorno a noi (pensate al
telefonino, a Google, a Facebook,
a Twitter, a Youtube, e ai milioni e
milioni che li usano), come avveniva un tempo non molto lontano
nel nostro villaggio, in cui in
fondo si condivideva la direzione
verso la quale si andava. I socialnetwork rendono davvero globale
l’accesso alla cultura, che diventa
comunicazione di massa, su vasta
scala, che da one to many (da uno
a molti) diventa una comunicazione da many to many (da molti
a molti).
Nel mondo passato i rischi del vivere erano certo molti: epidemie,
cattivi raccolti, tempeste, siccità,
invasioni di popoli stranieri. Tuttavia erano rischi in gran parte
esterni a noi, fuori controllo. Oggi
abbiamo inventato nuovi rischi,
quelli derivati dalla nostra civiltà:
surriscaldamento globale, sovrappopolamento, inquinamento,
instabilità dei mercati finanziari
(contro cui papa Francesco si è
pronunciato come causa della
crisi e dell’aumento della forbice
della povertà mondiale, invitando
il 16 maggio 2013 gli Ambasciatori non residenti presso la Santa
Sede a farsi governare non dall’idolatria del denaro, ma dall’etica
e dalla solidarietà per non ridurre
l’uomo a mero bene di consumo).
SAPIENZA E OTTIMISMO
Di fronte a questo mondo in fuga,
quello che i cristiani possono offrire non è conoscenza, ma sapienza e ottimismo, la sapienza
della destinazione ultima dell’umanità, la meta del Regno di Dio
per noi indicato da Gesù. Senza
meta non si va avanti. E il mondo
globalizzato, pur ricco di conoscenza e informazione, è scarso
di sapienza, quella dell’ultimo destino e del valore della vita. La
sapienza del fine e della fine cui
siamo chiamati ci libera dall’ansietà e dalla paura. Il fine è il regno di Dio, Gesù Cristo è stato colui che ce ne ha parlato. Importante in questo frangente mettere
al centro Gesù Cristo, il suo messaggio, la sua parola, le sue
scelte, più che le istituzioni che
ne sono derivate, sempre fallibili,
perché umane (Ecclesia semper
reformanda est, la Chiesa è sempre da riformare).
Nella lettera agli Efesini Paolo
DICEMBRE 2013 MC
67
ITALIA
parla e invita a «ricapitolare in
Cristo tutte le cose, quelle del
cielo e quelle della terra» (Ef 1, 910). I cristiani sono un segno del
Regno; per esserlo vale non ciò
che si fa o si possiede, ma ciò che
si è, ciò che sono io per me e per
gli altri. Nell’essere non solo per
me, ma anche per altre persone,
io scopro una nuova identità. Non
è facile, richiede fedeltà.
DIALOGO E RISPETTO
Il mondo che cambia porta con sé
anche molti cambiamenti nella
vita religiosa, e per conseguenza
nel nostro cristianesimo. Per
prima cosa è inevitabile il confronto con altre religioni: scontro
o dialogo? I cristiani sono invitati
a scegliere il dialogo, pensando
alla storia religiosa dell’Europa e
del mondo intero che ha interpretato e vissuto questo incontro
come lotta e guerra di religione,
per far prevalere il proprio Dio,
che è poi il Dio di tutti. È comunque inevitabile il confronto con
una, due, tre e tante altre religioni o pseudo-religioni, presenti
nel nostro mondo. Questo spiega
# Modi nuovi e antichi di mostrare il
volto di Dio: «Colorare il mondo di
gioia» con i bambini (qui sopra);
Caritas e San Vincenzo (a destra
uno dei tanti magazzini) per far
fronte alle nuove povertà; e «piazza
la missione» a Torino per comunicare fraternità (sopra a sinistra).
68
MC DICEMBRE 2013
i diversi cambiamenti di fede e
religione che si verificano anche
in Italia e l’innalzamento di templi
di religioni diverse da quella che
riteniamo la «nostra», come
quelli dell’Islam (le moschee).
Il relativismo di cui parlava Benedetto XVI contagia ormai non poche coscienze, sempre più spaesate nell’attuale clima d’incertezza morale, economica e culturale. Il rischio è che questo clima
porti a ritenere che non ci sia più
nulla di valido nella nostra esistenza umana e religiosa, o, all’opposto, a guardare alla dimensione religiosa come a un rifugio
con la conseguenza di una vita
spirituale intimistica, al limite
dell’integralismo. Ci rifugiamo in
chiesa di fronte a questo nostro
mondo che non capiamo più, che
ci travolge e ci spaventa.
DOMANDE NUOVE
Si aprono domande nuove che
nessuno può ignorare, domande
esistenziali, che nascono dall’esperienza dell’uomo e che reclamano risposte. Come per esempio quella della evoluzione
umana, della sua complessità e
del suo rapporto con la creazione
biblica. L’uomo, «una scimmia
nuda», l’uomo, «una scimmia intelligente». Definizioni come queste lasciano spazio a tutto quanto
si vuole nel campo della vita e del
suo valore, della biologia e della
scienza: vecchiaia, clonazione,
eutanasia, donazioni di organi...
Nel 2012 in Belgio ci sono stati
1492 casi di eutanasia. La tendenza a livellare l’uomo al piano
animale o a elevare la scimmia a
quello umano è ricorrente, e secondo alcuni troverebbe supporto
nella teoria dell’evoluzione.
Certo, la religiosità e la spiritualità dell’uomo non sono misurabili con metodi empirici o scientifici.
Inoltre la cultura assume una
grande importanza nel rapporto
dell’uomo con l’ambiente. Mediante la cultura l’uomo è in
grado di modificarlo, di trasformarlo per renderlo adatto alle
sue necessità, ma anche per distruggerlo. Non mancano scienziati che ritengono il pensiero un
puro prodotto dell’attività cerebrale. Un pensiero e la coscienza
si possono misurare e come?
Anche il rito viene ritenuto il lato
debole della fede. Per questo il
rito, la messa domenicale, può
essere tranquillamente tralasciato come un involucro ingombrante. Non si riconosce più nel
rito un momento incisivo della
propria fede. Svincolato dal fondamento della fede, il rito è al
massimo un fattore ornamentale
e non offre i veri contenuti della
fede, come è per esempio la celebrazione della messa domenicale. La celebrazione domenicale
e l’esperienza viva della fede ci
permettono di iniziare a credere e
vivere e crescere in una dimensione autentica di fede insieme a
tutti i credenti. Non si è muti ed
estranei spettatori, ma la liturgia
chiede sempre una partecipazione attiva. La liturgia attualizza
qui, oggi per noi, il mistero di Cristo fatto uomo. In essa Dio parla
da uomo, parla la lingua dell’uomo, e a sua volta l’uomo parla
a Dio nella sua lingua insieme a
tutta la comunità cristiana.
STEREOTIPI
Scattano così le accuse contro la
Chiesa: inquisizione, nemica
della scienza, maschilista, vuole
solo la sofferenza, i protestanti
sono più moderni, è contro il
sesso. Sono questi alcuni stereotipi molto diffusi. Ad essi si devono aggiungere numerosi libri
polemici contro il Vaticano: I segreti del Vaticano di Corrado Augias (Mondadori), o, l’ultimo, Vaticano massone di Giacomo Galeazzi e Ferruccio Finotti
(Piemme). Ma è anche uscito ultimamente un libro dal titolo La
grande meretrice a cura di Lucetta Scaraffìa, che chiarisce dal
punto di vista storico alcuni di
questi stereotipi (edito dalla Libreria Editrice Vaticana). Sono
tanto diffusi e indiscussi, questi
stereotipi, che chi li legge non
tenta neppure un minimo controllo: «Sanno tutti che è così» e
basta, senza discussione.
QUALE RISPOSTA?
Come inserirsi da cristiani in
questo mondo che cambia? Limitarsi ad aggiungere il volto di Cristo alla folla di volti che bombardano il nostro mondo, la nostra
televisione e la nostra stampa,
non è sufficiente. Potrebbe magari essere cosa buona, ma certo
non sufficiente, se la Walt Disney
trasformasse in cartoni animati i
Vangeli. Molte chiese fanno pubblicità all’esterno dei loro edifici,
con cartelli che recano espressioni evangeliche, in concorrenza
con gli annunci pubblicitari. Può
essere cosa ammirevole, ma imbarazzante vedere la propria fede
messa all’asta.
La sfida è come possiamo comunicare la fede ai non credenti, a
coloro che dubitano o sono scandalizzati da quanto accade nella
Chiesa: pedofilia (perfino di un
cardinale), la banca vaticana, lo
sfarzo dei cardinali, la mediocrità
di certi parroci, la predicazione
che fa pena, il modo poco umano
e poco cristiano di trattare chi è
separato e risposato, e così via.
Come però possiamo comunicare
loro la bellezza della nostra fede?
Come possiamo mostrare loro il
volto di Dio, quello vero, quello
dei Vangeli, quello di Gesù?
LA BELLEZZA DEL VOLTO DI DIO
Intanto, invece di maledire il buio
è meglio accendere una candela.
Il Vangelo colloca la bellezza del
volto di Dio nell’amore e non al-
trove (per esempio nelle tante
devozioni spesso devianti).
Il Medioevo è passato, ora la
gente è più istruita e crede nella
scienza e nella medicina più che
nei miti del passato. Specialmente i giovani sono permeati
da questo nuovo orientamento,
ma come scriveva già Marco Fabio Quintiliano (35-95 d.C.): «I
giovani non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere».
Ma non basta! Che cosa vuol dire
la dimostrazione dell’amore di
Dio per noi e tutta l’umanità? Dio
si svela sulla croce come amore
totale e unico, in un uomo morente e abbandonato! È una idea
tanto scandalosa al punto da essere già messa in evidenza da
Paolo con particolare vigore:
«Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro
che sono chiamati predichiamo
Cristo potenza di Dio e sapienza
di Dio» (1Cor 1, 23-24; Gal 5, 11).
L’assoluta bellezza irresistibile
di Dio splende nella sua povertà,
nel suo abbassamento, nel suo
essere servo per noi, nella lavanda dei piedi (ricordiamo papa
Francesco nella Pasqua 2013).
Dicono che a inventare il presepe
sia stato Francesco d’Assisi, segno di Dio che per amore abbraccia la nostra povertà. Questa
è la sfida nel villaggio globale,
che è il nostro mondo: mostrare
la bellezza di Dio povero e impotente.
DICEMBRE 2013 MC
69
ITALIA
SEGNI DI RISURREZIONE
Come mostrarla? Attraverso i nostri atti di trasformazione interiore, di cambiamento del cuore,
come intendeva fare Gesù: cambiare il cuore dell’uomo in
profondità. Lo dice ancora Paolo
nella lettera ai Galati: «Siete stati
chiamati a libertà. Purché questa
libertà non divenga un pretesto
per vivere secondo la carne, ma
mediante la carità siate a servizio
gli uni degli altri». Li aiuta in questo lo Spirito del Signore. «Il
frutto dello Spirito è amore, gioia,
pace, pazienza, benevolenza,
bontà, fedeltà, mitezza, dominio
di sé; contro queste cose non c’è
legge» (Gal 5, 13-23). In tal modo
il cristiano raggiunge la vera libertà e di conseguenza la totale
liberazione dal dominio della
legge e del proprio egoismo.
Sono questi i segni della Risurrezione che irrompe in noi e nel
mondo globalizzato con gesti di
liberazione e trasformazione.
Ildegarda di Bingen (1098-1179),
# Voglia di tenerezza. In questo presepio preparato in una casa per anziani nella città di Brescia, non ci
sono pastori, ma sono gli stessi anziani (riconoscibilissimi) che vanno
incontro al Bambino Gesù.
70
MC DICEMBRE 2013
una mistica tedesca del secolo
XII, proclamata da Benedetto XVI
Dottore della Chiesa (7 ottobre
2012), preferiva parlare non di
croce ma di Risurrezione del Signore, come scoperta, come primavera, come nuova nascita,
luce, risveglio, liberazione, come
amore, speranza, riconciliazione,
dono, fede (vedi pag. 79).
VOGLIA DI TENEREZZA
Infine, il nostro cristianesimo è
sovente accusato o almeno sospettato d’indottrinamento e di
arroganza. In ogni caso la nostra
società è profondamente scettica
verso ogni certezza di verità. Succede anzi che la verità oggi è
quello che ci fanno apparire sullo
schermo. L’enciclica Fides et ratio del 1998 di Giovanni Paolo II
afferma che «Si può definire l’essere umano… come colui che
cerca la verità» (n. 28). L’oggetto
della nostra verità, ossia della
nostra fede, non sono le nostre
parole o le nostre verità, ma è
amare e conoscere Dio, o come
diceva Galileo: la scienza insegna
come vada il cielo non come si
vada in cielo. Noi non possediamo
la verità, né la padroneggiamo.
Di fronte alla scienza, alla ricerca, ma anche di fronte alla
fede e alle affermazioni di altre
religioni, dobbiamo mantenere
una profonda umiltà. Proclamiamo un mistero, il mistero di
Dio fatto uomo e non è facile
spiegarlo nella sua realtà.
Ognuno di noi non possiede tutta
la verità; anch’io ho bisogno della
verità degli altri. Sono un mendicante della verità, come tutti gli
uomini di questo mondo. Dobbiamo perciò stare attenti al nostro facile chiacchiericcio sul
Vangelo e sulla fede. Solo così
possiamo distruggere le false immagini di Dio che potremmo essere tentati di adorare, e liberarci
dalle trappole dell’ideologia e
dell’arroganza circa la verità e la
nostra fede, altrimenti anche noi
rischiamo di cadere nel fondamentalismo religioso.
È la testimonianza dell’amore
vissuto che conquista i cuori e la
mente. Tu non credi; non preoccuparti, è Dio che crede in te. Non
importa quante cose fai, ma
quanto amore metti in ogni cosa
che fai. «Non ci sarà chiesto se
siamo stati credenti, ma se siamo
stati credibili» (Rosario Levantino). Predicazione, catechesi, liturgie vengono dopo. Lo sottolinea papa Francesco: «Non siamo
funzionari. Abbiamo tutti bisogno
di tenerezza». Voglia di tenerezza
è il titolo di un film del 1983 di T.
L. Brooks.
Giampietro Casiraghi
Libertà Religiosa
di Paolo Bertezzolo
RIFLESSIONI E FATTI SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA NEL MONDO - 15
LO YOM KIPPUR
ALLA CORTE DI STRASBURGO
L
a Corte europea dei diritti
dell’uomo (Cedu) ha il
compito di decidere se nei
paesi che fanno parte del
Consiglio d’Europa e dell’Unione
europea viene violata la libertà
religiosa, oppure messa in discussione la laicità dello stato o,
ancora, il pluralismo religioso e
la pari dignità di tutte le fedi che
rispettino i principi costitutivi
dell’Europa. La Cedu è sorta nel
1959 sulla base della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali. Chiunque
ritenga che tali diritti non siano
stati rispettati, si può appellare a
essa. Per i casi riguardanti la libertà religiosa l’articolo della
Convenzione europea a cui fare
riferimento è il numero 9 sulla
libertà di pensiero, di coscienza,
© matthewandrews.co.uk
Un avvocato napoletano
di religione ebraica vede
rifiutata la sua richiesta
di rinvio di un’udienza
per partecipare alla festa del Yom Kippur. E ricorre alla Corte di Strasburgo (Cedu) per il
mancato rispetto del suo
diritto di culto. Un caso
emblematico della difficile ricerca di equilibrio
tra diritti in conflitto. E
del ruolo fondamentale
che la Corte svolge nella
costruzione di una comune coscienza civile in
Europa, anche sul tema
della libertà di religione.
Prendendo in esame le
sentenze della Cedu,
possiamo comprendere
se in Europa esiste un
problema di libertà religiosa e di pensiero e,
quindi, di laicità
dello stato.
di religione e di manifestare la
propria fede o le proprie convinzioni.
COSTRUIRE UNA COMUNE COSCIENZA CIVILE EUROPEA
A livello europeo le sentenze
della Cedu sono molto importanti, al di là di quanto affermano le singole Costituzioni nazionali (le quali, essendo tutte
democratiche, riconoscono esse
stesse in linea di principio le medesime libertà). Se infatti, all’interno di un singolo paese europeo i diritti e le libertà fondamentali venissero, per qualsiasi
motivo, violati, la Cedu può riconoscerlo grazie al suo ruolo di
giudice di ultima istanza.
È per questo che la Corte svolge
il fondamentale compito di contribuire alla costruzione in Eu-
Libertà Religiosa
ropa di una comune coscienza
civile, quindi anche riguardo alla
libertà di religione.
TRA YOM KIPPUR E LAVORO
Analizzando le sentenze emesse
dalla Corte di Strasburgo ci troviamo di fronte a casi emblematici che mostrano, spesso,
quanto sia difficile trovare l’equilibrio giusto tra diversi diritti: ad
esempio il diritto di culto di un
avvocato e il diritto di altre persone alla durata ragionevole di
un processo.
È il caso della sentenza emessa
dalla Corte il 3 aprile 2012 che
vedeva l’avvocato napoletano di
religione ebraica Francesco
Sessa in contrapposizione al governo italiano per la presunta
violazione del suo diritto di culto.
Il 7 giugno 2005 l’avvocato Sessa
si presenta al giudice delle indagini preliminari (Gip) di Forlì in
rappresentanza di uno dei due
querelanti in una causa penale
contro diverse banche. Il Gip titolare non può presenziare all’udienza, e il suo sostituto, per fissare l’udienza successiva, propone due possibili date: il 13 o il
18 ottobre. Entrambe, tuttavia
coincidono con feste ebraiche:
rispettivamente lo Yom Kippur e
il Succot. L’avvocato di Napoli lo
fà presente. Osservante, membro della comunità ebraica della
sua città, non potrà partecipare
all’udienza di rinvio. E chiede
che venga indicata una data diversa, appellandosi alla legge
72
MC DICEMBRE 2013
© matthewandrews.co.uk
© matthewandrews.co.uk
© matthewandrews.co.uk
del 1989 che regola i rapporti tra
lo stato italiano e l’Unione delle
comunità ebraiche. Ma il giudice
non tiene conto della richiesta, e
fissa l’udienza per il 13 ottobre.
Anche il Gip titolare della causa,
cui l’avvocato napoletano si rivolge immediatamente, respinge
la sua richiesta di rinviare la
nuova udienza. L’interessato, allora, sporge querela contro entrambi i giudici.
DIRITTI O «RAGIONI PERSONALI»?
Arriva frattanto l’udienza del 13
ottobre e l’avvocato non si presenta. Il Gip lo dichiara assente
per «ragioni personali» e, raccolto il parere delle parti, rigetta
la sua richiesta di rinvio perché
non aveva motivi legittimi per ottenerlo. L’avvocato napoletano fa
ricorso contro tale decisione. La
causa, attraversati tutti i gradi di
giudizio, termina il 15 febbraio
del 2008, quando il Gip di Ancona, cui era alla fine pervenuta,
l’annulla sostenendo che nessun
elemento dimostrava una violazione del diritto dell’avvocato di
esercitare liberamente il culto
ebraico o un attentato alla sua
dignità in ragione della sua fede
religiosa.
CEDU: ULTIMA ISTANZA
Sessa decide quindi di fare ricorso alla Cedu. Appellandosi
all’art. 9 della Convenzione per i
diritti dell’uomo, sostiene che
© fsa.adventist.fi
MC RUBRICHE
# Pagine 71 e 72: immagini della
sinagoga di Napoli.
# Qui a sinistra: un’assemblea
della Chiesa Avventista del
settimo giorno in Finlandia.
# Sotto: il logo della Chiesa
Avventista del settimo giorno.
# Pagina seguente: la Sultanahmet
camii, la Moschea Blu
di Istambul.
l’aver fissato l’udienza nel giorno
di una festa ebraica gli ha impedito di partecipare all’udienza attentando al suo diritto di manifestare liberamente la propria religione. La legge del 1989, secondo lui, l’autorizzava ad assentarsi dal lavoro in occasione
di feste ebraiche, per poter esercitare il proprio culto.
Il governo italiano, contro cui
l’appello alla Cedu è rivolto, naturalmente è di parere contrario.
E sostiene che il diritto invocato
dall’avvocato di Napoli non riveste carattere assoluto. Infatti la
stessa legge che regola i rapporti dello stato con l’Unione
delle comunità ebraiche prevede
espressamente che le esigenze
legate a servizi essenziali dello
stato prevalgano sul diritto dell’individuo a esercitare liberamente il proprio culto. E l’amministrazione della giustizia costituisce certamente un servizio
essenziale. Inoltre l’avvocato
avrebbe potuto farsi sostituire
per quella particolare giornata
da un collega, e non l’ha fatto.
Egli dunque ha rinunciato a conciliare gli obblighi religiosi legati
al suo culto con le esigenze della
buona amministrazione della
giustizia.
RIBADIRE IL DIRITTO ALLA
LIBERTÀ RELIGIOSA...
Questa causa riveste un interesse particolare per il tema
della libertà religiosa nel nostro
continente, perché la Corte europea dei diritti umani deve confrontare il caso specifico dell’avvocato napoletano con i principi
fondamentali espressi nell’articolo 9 della Convenzione: la libertà religiosa riguarda prima di
tutto il «foro interiore» delle persone, ma implica egualmente il
diritto di manifestare la propria
religione sia in modo collettivo,
in pubblico e assieme a chi condivide la stessa fede, sia individualmente e in privato. La Corte
sottolinea quindi che la libertà
religiosa non è una questione
solo «interiore», soggettiva e individuale. Essa non è un fatto
«privato», come un certo «laicismo» di carattere «radicale»
pretende. Ha invece anche dimensione e rilievo pubblici. E
solo tutelando entrambe queste
dimensioni si può parlare di libertà religiosa.
La Corte, da un lato, sostiene, in
base a queste valutazioni, che
l’avvocato di Napoli aveva tutto il
diritto di partecipare alle feste
della sua religione.
...PUNTUALIZZANDONE I LIMITI
Dall’altro lato, la stessa Corte
afferma che tale diritto non è assoluto. L’articolo 9, infatti non
protegge qualsiasi atto ispirato a
una religione. E per chiarirlo ricorda altri due casi emblematici,
su cui si era espressa in precedenza. Il primo riguardava un
agente di servizio pubblico,
Tuomo Konttinen, Finlandese, licenziato perché non aveva rispettato i suoi orari di lavoro per
la ragione che la Chiesa avventista del settimo giorno, a cui egli
apparteneva, vieta ai suoi fedeli
di lavorare il venerdì dopo il tramonto del sole. Il secondo si riferiva a un militare turco di
nome Kalac collocato d’ufficio in
pensione per motivi disciplinari,
perché manifestava idee integraliste. In questi casi la Corte
DICEMBRE 2013 MC
73
Libertà Religiosa
aveva ritenuto che non valesse
l’art. 9 perché le misure prese
non erano motivate dalle idee
religiose degli interessati ma dagli obblighi contrattuali specifici
che li legavano ai loro datori di
lavoro.
Anche nel caso dell’avvocato napoletano secondo la Corte non si
è verificata alcuna restrizione
del suo diritto di esercitare liberamente il suo culto. Infatti l’interessato aveva potuto svolgere i
propri doveri religiosi. Egli
avrebbe dovuto invece soddisfare
comunque i suoi doveri professionali facendosi sostituire nell’udienza da un collega.
© wikimedia.org
4 A 3: LA DELICATEZZA
DELL’EQUILIBRIO
La sostanza della sentenza della
Corte va quindi contro Francesco
Sessa: non è stato un caso di
violazione del suo diritto di religione.
All’interno della Corte la decisione non è stata facile da prendere. Dei sette membri che la
costituivano, tre hanno sostenuto che si era verificata comunque una ingerenza nei diritti dell’interessato.
In una società democratica la
possibilità di ingerenza è am-
74
MC DICEMBRE 2013
messa dalla legge quando si
tratta di proteggere i diritti e le
libertà altrui. In questo caso il
diritto dell’avvocato napoletano
era in conflitto con il diritto delle
persone coinvolte nel processo
al quale Sessa avrebbe dovuto
prender parte a godere di una
buona amministrazione della
giustizia e a vedere rispettato il
principio della durata ragionevole del processo. Secondo i tre
membri della corte che davano
«ragione» all’avvocato, tuttavia,
l’ingerenza non aveva risposto al
criterio della proporzionalità, secondo cui tra i vari mezzi che
permettono di raggiungere lo
scopo legittimo perseguito, le
autorità devono scegliere quello
che lede meno i diritti e le libertà. Si doveva infatti scegliere
una soluzione che permettesse
di conciliare sia i diritti di libertà
religiosa dell’avvocato di Napoli
sia quello di buona amministrazione della giustizia delle parti in
causa, ad esempio organizzando
in modo diverso il calendario
delle udienze. In quel caso, i disagi e i problemi provocati da
tale scelta avrebbero rappresentato un modico prezzo da pagare
per il rispetto della libertà di religione in una società multicultu-
rale. In più, secondo loro, non
esisteva alcun motivo di urgenza,
dato che non erano previste misure che privassero qualcuno
della libertà. Per questo, tre giudici su sette erano del parere
che fosse stata violata la libertà
religiosa di Francesco Sessa.
Fatto sta che alla fine, nonostante i tre pareri a favore dell’avvocato di fede ebraica, la sentenza della Corte gli ha invece
dato torto. Si può non essere
d’accordo. Occorre tuttavia sottolineare l’importanza dei principi affermati dalla Corte nella
sua sentenza. Il fatto stesso che
essa abbia deciso a stretta maggioranza, dimostra quanto delicata sia la questione del rispetto
del diritto alla libertà religiosa,
sia nella sfera privata sia in
quella collettiva e pubblica. Esso
non è, come detto, un diritto assoluto, e la sua limitazione possibile esclusivamente per tutelare i diritti altrui - va considerata con grande attenzione e
prudenza. La libertà religiosa,
come quella di pensiero e di coscienza, è uno dei cardini fondamentali su cui si basa una società autenticamente laica e pluralista.
Paolo Bertezzolo
Cooperando...
www.missioniconsolataonlus.it
MCO
Fondazione
Missioni
Consolata
Onlus
di Chiara Giovetti
UNO SVILUPPO A
TUTTO BIOGAS
L
e fonti di energia rinnovabili hanno oggi un peso che era impensabile solo pochi anni fa, se è vero che nelle recenti elezioni tedesche, che hanno confermato Angela Merkel alla guida del
paese, sono state uno dei temi caldi. Quel tipo di fonti è responsabile di ben un quinto della produzione energetica della Germania.
L’ambizioso piano tedesco per abbandonare i combustibili fossili entro
il 2050 si sta rivelando più costoso del previsto per i cittadini, che si
sono trovati un aumento di circa il venti per cento sulla quota della bolletta che va a sostenere gli incentivi alle rinnovabili (da 5,3 a 6,5 centesimi di euro per chilowattora).
Fra queste fonti rinnovabili ci sono le biomasse che la Direttiva Europea
2009/28/CE definisce come «la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie
connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani». Sottoponendo una biomassa a
un processo di digestione o fermentazione anaerobica (cioè in assenza
di ossigeno) è possibile produrre biogas, composto per circa il settanta
per cento da metano, che può essere usato per la combustione (cioè ad
esempio per far funzionare un fornello) oppure, attraverso un ulteriore
passaggio in un cogeneratore, trasformato in energia elettrica. Il digestato, cioè il sottoprodotto della digestione, può essere utilizzato come
http //www.ashden.org/media/international_photos/2010_finalists
Produrre energia pulita
con prodotti, rifiuti e
residui biodegradabili
locali, liberandosi
progressivamente
della dipendenza dai
combustibili fossili
come il petrolio e dai
conflitti a essi legati,
e diminuendo i costi per
i cittadini e le aziende.
Non si tratta di uno
slogan che descrive il
sogno a occhi aperti
di un manipolo di visionari, ma di una realtà
che va prendendo
forma nella vita di
milioni di persone, e
che getta tutto il suo
peso sulla bilancia dei
temi che decidono le
consultazioni
elettorali.
Cooperando…
# Pagina precedente: si mescola
© The Seed 2006
acqua e letame nell’impianto a
biogas del villaggio di Ngecha, nel
Kimbu, Kenya. | Qui a destra: studenti della Kasisi Primary School in
Uganda, mettono acqua del digestore
dell’impianto a biogas della scuola.
| In basso: ragazzi della Familia ya
Ufariji al lavoro nel grande orto del
centro per ragazzi di strada.
può arrivare a coprire fino al dieci
per cento del consumo lordo di
energia (scenario di “crescita accelerata”) o circa il 5% (scenario
di “crescita moderata”) al 2020».
Il Consorzio italiano biogas stima
in un miliardo e mezzo di euro il
risparmio che deriverebbe dal
non dover comprare gas dall’estero e ricorda che l’industria italiana del biogas dà attualmente
lavoro a circa dodicimila addetti.
Sulla carta, quindi, quella delle
biomasse è un’opportunità da
non perdere per ridurre la dipendenza italiana dal gas importato,
pari a circa settanta miliardi di
metri cubi l’anno. La realizzazione pratica, tuttavia, non si sta
svolgendo senza intoppi. Da un
lato, infatti, ci sono casi di successo come quello di Bertiolo, in
provincia di Udine, dove il biogas
è stato ribattezzato il «petrolio
verde». L’impianto della
Greenway, società che riunisce
dieci aziende agricole locali, produce oltre ottomila megawattora
di elettricità in dodici mesi e ha
creato un giro d’affari di circa un
milione di euro all’anno. La filiera
corta, cioè basata su operatori
che agiscono in un territorio circoscritto e in contatto diretto fra
loro, è indicata dai produttori
come una condizione imprescindibile per il successo dell’iniziativa: i produttori, infatti, ricavano
da circa trecento ettari di coltivazioni locali tutta la materia prima
https //greenheatug.wordpress.com/2012/
fertilizzante. Oltre al metano, il
processo di digestione produce
anidride carbonica (CO2); questo,
tuttavia, non ha effetti sul riscaldamento globale poiché quella
quantità di anidride carbonica sarebbe stata prodotta comunque
dalla biomassa nel suo naturale
decomporsi.
Secondo il rapporto 2012 della
Iea, l’agenzia internazionale per
l’energia fondata dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo
sviluppo economico (Ocse), i biocombustibili, fra cui il biogas,
rappresentano a livello mondiale
circa il dieci per cento della produzione totale di energia. In Italia,
secondo il rapporto 2013 dell’Osservatorio Agroenergia, a fine
2012 erano 850 gli impianti di
biogas in funzione, per un fatturato complessivo di due miliardi e
mezzo di euro e un potenziale di
produzione pari a 5,6 miliardi di
metri cubi l’anno. L’Osservatorio
ha calcolato che «il biometano
MC RUBRICHE
necessaria per far funzionare
l’impianto, senza spese aggiuntive per trasporti delle materie
prime e creando un indotto importante per i piccoli paesi della
zona.
Ma accanto a casi virtuosi come
quello friulano, ce ne sono altri
nei quali la situazione non è così
rosea: a Ponte Guerro, in provincia di Modena, i cittadini hanno
ingaggiato una lunga battaglia
con Hera, il gestore dell’impianto
di biogas, esasperati dai miasmi
prodotti dalla centrale locale; il
Centro Documentazione Conflitti
Ambientali, nell’ambito della
campagna Green Lies (Bugie
Verdi) che indaga i lati oscuri
della green economy ha poi raccolto in un documentario le testimonianze dei cittadini di Bondeno
(Ferrara) e Mezzolara (Bologna)
dai quali emerge che l’alimenta-
P
zione degli impianti a biogas previsti dal piano energetico regionale richiederebbero seicentomila ettari di mais coltivati localmente e il conseguente sconvolgimento dell’uso tradizionale dei
terreni agricoli del ferrarese e
del bolognese.
Il documentario segnala inoltre
«mancanza totale di coinvolgimento e corretta informazione
dei cittadini (...); piani di sviluppo
lontani dalle necessità e dall’esigenza dei territori e dei cittadini
che lo abitano; sistemi di incentivi
sregolati che non permettono lo
sviluppo graduale e sostenibile di
nuove economie locali a medio e
lungo termine; assenza di reali e
efficienti misure di valutazione
dei progetti, di controllo degli impianti e del trattamento dei residui pericolosi e di future misure
di bonifiche; mancanza di cono-
scenza e curiosità tecnica da
parte dei decisori che avallano
progetti inadatti».
Infine va considerato lo stravolgimento dei prezzi di mercato nei
casi di siccità (come è successo
nel 2012) e, quindi, di scarsa produzione, perché il bisogno di biomasse assorbe anche il prodotto
vergine destinato all’alimentazione animale e umana.
In assenza di una regolamentazione chiara e univoca e guardando al biogas nella sola ottica
del business, insomma, il rischio
è quello di trasformare una possibile occasione di crescita economica in un’attività che danneggia il territorio. L’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, proprio partendo dall’analisi
di questi rischi, ha raccomandato
di tornare al principio del chilometro zero: piccoli impianti so-
ROGETTO
LA FIAMMA DEL NATALE
Quest’anno, la campagna di Natale di Missioni Consolata Onlus si concentra su un tema
apparentemente poco natalizio:
il biogas.
Questa volta abbiamo dato
un’interpretazione diversa del
«regalare la vita» (lo slogan
delle nostre passate campagne): «preservare la vita che
ci dà la Terra».
Su un pianeta che si sta suicidando, utilizzando indiscriminatamente le risorse naturali a
vantaggio di pochi, l’attenzione
per i temi dell’ambiente non
può essere un lusso radical
chic da occidentali ma un problema di tutti, ovunque. Un cittadino del Sud del mondo ha
diritto come chiunque altro a
vivere in un ambiente pulito,
salubre, in un territorio non
devastato da disastri ambientali provocati dalla deforestazione e dall’inquinamento. L’energia, che permette di cucinare, di pulire, di illuminare
deve poter essere a disposizione di tutti.
Ecco perché quest’anno abbiamo scelto di sostenere il
progetto biogas di Familia ya
Ufariji, a Kahawa West, un
quartiere della periferia di Nairobi.
Familia ya Ufariji (Famiglia
della Consolazione) è una casa
d’accoglienza per bambini e ragazzi di strada fondata nel 1996
dai Missionari della Consolata.
Oggi ospita sessanta bambini
cui fornisce vitto e alloggio,
istruzione e cure mediche. Da
anni, Familia ha avviato una serie di attività agricole che
hanno il doppio risultato di permettere alla struttura di contribuire al proprio mantenimento e
ai ragazzi ospitati di collaborare
alle attività, apprendendo tecniche agricole che permetteranno
loro di avere una competenza
professionale da utilizzare per il
proprio sostentamento.
Nella piccola fattoria di Familia
ci sono attualmente sei vacche
e tre vitelli che possono fornire
letame per far funzionare un
impianto per la produzione di
biogas. Il gas prodotto sarà utilizzato per integrare ed eventualmente sostituire la legna, il
gas Gpl e gli scarti del mais attualmente utilizzati per il fuoco
della cucina. Un digestore di
ventiquattro metri cubi sarà
sufficiente per fornire il gas a
un fornello.
Padre Lorenzo Cometto e fratel
Kenneth Wekesa si occuperanno della realizzazione del
progetto, coadiuvati da tecnici
locali specializzati per garantire che il piccolo impianto sia
costruito e messo in funzione
nel rispetto delle norme di sicurezza. Il costo del progetto è
di 8.156 euro. Anche una piccola donazione può servirci per
acquistare le cisterne, il cemento, i tubi e tutto il materiale necessario alla realizzazione del digestore e alla sua
messa in funzione. (Chi. Gi.)
Maggiori informazioni sui dettagli del progetto sono disponibili sul sito di Missioni Consolata Onlus:
www.missioniconsolataonlus.it
DICEMBRE 2013 MC
77
Cooperando…
stenibili alimentati da scarti agricoli e forestali locali e non da biomasse vergini, cioè da prodotti
coltivati ex-novo con lo scopo di
essere utilizzati per la produzione
di biogas.
Il biogas
nel Sud del mondo
Il biogas sta rivelandosi una novità dai risvolti potenzialmente
decisivi anche per le economie
del Sud del mondo. Si moltiplicano, anno dopo anno, i progetti
sostenuti dalle istituzioni internazionali e dalle Ong con l’obiettivo
di rispondere alla crescente domanda di energia dei paesi in via
di sviluppo, e diversi rapporti illustrano i vantaggi di cui beneficia
chi si è lanciato nella nuova avventura del biogas. La Thomas
Reuters Foundation riporta il
# Il gruppo dei ragazzi della Familia
© The Seed 2006
ya Ufariji con p. Lorenzo Cometto e
una suora di S. Anna in una foto del
2006. Alcuni di questi ragazzi (i più
grandi) hanno già trovato un lavoro,
altri frequentano l’università, mentre
ogni anno vengono accolti nuovi
bimbi piccoli, al punto da sentire
l’esigenza di aprire un asilo all’interno del centro stesso.
caso di Parshottambhai Shanabhai Patel, un contadino dello
Stato di Gujarat, nell’India nordoccidentale, che dal 2009 produce
biogas grazie al quale fa funzionare il suo impianto di irrigazione. Con duecento chili al
giorno di letame delle sue vacche
riesce a produrre energia per otto
– dieci ore e non deve più affrontare il costo, pari a quattrocento
euro l’anno, per il gasolio che alimentava la pompa. Inoltre, soddisfatti i bisogni della propria fattoria, Patel può vendere l’energia in
avanzo agli altri coltivatori per
sessanta rupie (circa un dollaro)
all’ora.
Il Christian Science Monitor illustra poi l’esempio della scuola di
Gachoire, nel Kenya centrale,
dove le acque reflue delle latrine
usate dagli oltre ottocento ragazzi della scuola vengono convogliate nel digestore e convertite
in gas per i fornelli della cucina.
E ancora, secondo il Programma
delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), gli scarti di un
mattatoio a Dagoretti e la raccolta dei rifiuti a Kibera (due
slums di Nairobi) permettono di
soddisfare, rispettivamente, il
fabbisogno energetico per il funzionamento del mattatoio e il fornello comunitario. I benefici per
l’ambiente derivano ovviamente
anche dal fatto che i rifiuti animali del macello non finiscono
più nel vicino fiume (che era stato
ribattezzato «il fiume di sangue»)
e che la raccolta di rifiuti ha migliorato la salubrità del quartiere.
Energypedia, l’enciclopedia dell’energia avviata fra gli altri dall’agenzia di cooperazione internazionale tedesca (Giz – Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit), riporta che il consumo energetico kenyano viene
soddisfatto per oltre due terzi
dalla legna da ardere e dalla carbonella; la richiesta di legna sarebbe pari a trentacinque milioni
di tonnellate annue e rimane inevasa per oltre la metà. Con questi
numeri, è evidente che il rischio
di deforestazione per il paese è
altissimo e il biogas può davvero
rappresentare una svolta verso
una soluzione che impedisca la
devastazione del patrimonio forestale del paese.
Mediamente, nei paesi in via di
sviluppo, gli impianti sono di piccole, se non piccolissime, dimensioni e vanno a sopperire alla richiesta energetica di singole famiglie o comunità. Il rischio, nel
Sud del mondo come nel Nord, è
quello delle speculazioni da parte
di grandi produttori industriali o
società finanziarie.
Chiara Giovetti
4 chiacchiere con...
a cura di Mario Bandera
17. SANT’ILDEGARDA
DI BINGEN
Ildegarda nasce nell’estate del 1089 a Bermersheim, presso Alzey, nell’Assia-Renana in Germania, ultima di dieci fratelli. Fin da bambina ha delle visioni che l’accompagneranno per tutta la
vita. A otto anni i suoi genitori, Ildeberto e Matilda di Vendersheim, l’affidano al monastero di
Disibodenberg, dove viene educata da Jutta di Sponheim. A quindici anni emette la professione
monastica e si avvia con entusiasmo allo studio di opere patristiche e teologiche. Alla morte di
suor Jutta, intorno al 1136, Ildegarda le succede come magistra. Di salute malferma, ma vigorosa nello spirito, si impegna a fondo per il rinnovamento della vita religiosa del suo tempo e
mantiene un intenso scambio epistolare con personaggi di rilievo. Scrive inoltre trattati di filosofia e teologia, di medicina, scienza e persino cosmologia; trova il tempo di comporre anche
brani musicali. Colpita da malattia nell’estate del 1179, Ildegarda si spegne in fama di santità nel
monastero del Rupertsberg, presso Bingen, il 17 settembredello stesso anno.
A essere sincero sono molto emozionato nell’entrare in dialogo con una donna consacrata
come te, una monaca contemplativa, che durante la sua vita incise non poco nelle vicende
ecclesiali del suo tempo, in particolare nella
sua terra, la Germania. Mi faccio forza quindi, e
ti chiedo di parlarci un po’ della tua vita.
Fin dalla mia infanzia sono stata prescelta da Dio, che
mi ha fatto dono di un fenomeno molto particolare,
ossia delle visioni celestiali che, data la mia giovane
età. Inizialmente non riuscivo a capire, ma in seguito
pian piano imparai a riconoscerle come doni del Signore affinché io mi dedicassi e consacrassi totalmente a Lui.
I tuoi genitori come vivevano questo fatto? Ne
erano spaventati oppure tentavano di nascondere quello che tu stavi vivendo per non suscitare troppo clamore attorno a te?
di quel tempo. Fui presa sotto la sua ala protettrice e
grazie a lei ebbi un’istruzione di prim’ordine, imparando ad accostarmi ai testi teologici e della nascente
teologia scolastica medioevale, che, data la presenza
di personaggi di spicco miei contemporanei come san
Bernardo e sant’Anselmo d’Aosta e influenze come
quelle della scuola di Chartres, cominciavano a circolare e a essere conosciuti nei circoli accademici, nonché ovviamente in ambito religioso.
Ti piaceva studiare, addentrarti nei meandri
della Patristica e della teologia?
Molto, in questa passione mi buttai a capofitto leggendo quasi tutti i testi dei santi Padri in circolazione
e i libri dell’enciclopedismo medioevale. Avevo una
particolare preferenza per san Dionigi l’Areopagita e il
grande padre della Chiesa, sant’Agostino di Ippona.
Certo erano anche loro meravigliati di quello che mi
succedeva, perciò all’età di otto anni mi affidarono al
monastero di Disibodenberg. Non appaia questo, a voi
moderni, un gesto coercitivo. Ai miei tempi infatti era
abbastanza normale che sin da bambini si entrasse a
far parte della comunità di un monastero. Del resto,
anche altre Sante entrarono in monastero in età piuttosto giovane, per non dire adolescenziale.
Appartenente a una famiglia nobile e affidata a
una comunità monastica, fu abbastanza facile
per te ricevere un’istruzione di prim’ordine e
nel contempo essere educata secondo le regole di San Benedetto.
In convento ebbi la fortuna di avere come Madre Maestra (Mater Magistra come si diceva allora), Jutta di
Sponheim, una nobile tedesca che si era consacrata
al Signore, dotata di un’intelligenza fuori dal comune
e molto addentro alle questioni teologiche, filosofiche
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79
4 chiacchiere con...
Con l’istruzione che hai avuto quindi non ti
deve essere costato molto scrivere anche ciò
che sperimentavi durante le tue visioni.
Di certe cose ero piuttosto restia a parlare. Ma dopo i
quarant’anni capii che i doni che il Signore mi faceva
dovevo condividerli con gli altri. Incominciai a scrivere
con particolare intensità tutto ciò che avveniva in me.
Io non le definivo visioni del cuore o della mente, ma,
essendo visioni che prendevano tutto il mio essere, fisico, psichico e spirituale, preferivo chiamarle: «Visioni dell’anima».
Immagino che avendo tu acquisito una certa
notorietà per la santità di vita e per i trattati
che hai scritto e che cominciavano a circolare,
molta gente ricorresse a te per avere dei consigli o preziosi aiuti spirituali.
Sì. Ma oltre a queste cose, cominciavano anche a
chiamarmi a predicare nei villaggi e nelle città. Del
resto tutta la comunità civile e religiosa sentiva il bisogno di una riforma morale del clero, dei monaci e
del popolo. In questo senso compii diversi viaggi pastorali e predicai nelle cattedrali di Colonia, di Treviri,
di Liegi, di Magonza, di Metz e di altre città.
Beh, per l’immagine che abbiamo noi del Medioevo: quella di un’epoca triste e buia, sapere
di una donna - sia pure monaca - che predicava
alla gente e al clero nelle cattedrali delle città
tedesche provoca un certo effetto.
Qualcuno pensa che questo mio modo di fare sia l’antesignano del femminismo come lo conoscete voi. In
realtà il ruolo della donna nella Chiesa è sempre stato
un ruolo importante, anche se ha compiti diversi da
quelli degli uomini. Inoltre, all’interno dei nostri monasteri e dei nostri conventi, si provvedeva a eleggere
democraticamente i superiori, una cosa che neanche
la società civile medioevale riusciva a concepire. Questo per dire come bisogna smontare gli stereotipi che,
da un certo momento in poi, hanno fatto da padroni
nella storia della Chiesa.
Prova a sintetizzare la specificità della tua predicazione e delle tue riflessioni teologiche che
avevano tanto successo e che ti ponevano ben
al di sopra di tanti eruditi del tempo?
Cercavo di manifestare la straordinaria armonia che
esiste tra la Parola di Dio, la dottrina cristiana che ne
consegue e la vita quotidiana. Per capire sempre meglio e sempre di più qual era il disegno che il Signore
aveva su di me, approfondivo le radici bibliche, liturgiche e patristiche alla luce della Regola di san Benedetto, dando così origine e consistenza a una riflessione che incideva sia nella prassi del popolo cristiano, che nella vita dei consacrati. In questo modo,
la pratica dell’obbedienza alla regola di vita del nostro
grande fondatore, san Benedetto da Norcia, faceva sì
che la semplicità dell’esistenza, l’ospitalità e la carità
verso gli altri, fossero vissute come una totale imitazione di Cristo. Proprio attraverso questa testimonianza si riesce a lasciare traccia del mistero di Dio
che agisce nella nostra vita.
Immagino che la considerazione culturale che
ti eri conquistata e la tua fama di santità abbiano richiamato discepoli - o meglio, discepole - che volevano vivere la vita comunitaria
accanto a una persona così straordinaria, benedetta dal Signore con grazie particolari.
Quella fu una stagione meravigliosa, le sorelle cominciarono ad arrivare e a un certo punto diventammo
80
MC DICEMBRE 2013
così numerose che intorno al 1150 fondammo un monastero sul colle chiamato Rupertsberg, nei pressi di
Bingen, dove mi trasferii insieme a diverse consorelle.
Nel 1165, ne istituii un altro a Eibingen, sulla riva opposta del Reno. In entrambi i monasteri fui nominata
badessa, ma la mia preoccupazione principale fu
quella di curare sempre il bene spirituale e materiale
delle consorelle, che sentivo ormai figlie mie, favorendo in modo particolare l’armonia della vita comunitaria, l’istruzione delle persone e una pratica liturgica sempre accurata. Nei nostri monasteri davamo
rilievo all’ospitalità: accogliere cioè chi ricercava un
luogo per riposare, pregare, istruirsi e stare un po’ di
tempo insieme al Signore.
Durante la tua vita sei entrata in contatto con
personaggi illustri del tuo tempo, ce ne vuoi
parlare?
Ebbi uno scambio di lettere con l’imperatore Federico
Barbarossa, con il conte Filippo d’Alsazia, con san
Bernardo di Chiaravalle e con il Papa Eugenio III.
L’imperatore Federico Barbarossa si pavoneggiava un
po’ dicendo che lui era il mio protettore, ma quando si
schierò contro il Papa Alessandro III, nominando ben
due antipapi, io e Bernardo da Chiaravalle gli scrivemmo una lettera di fuoco per aiutarlo a riconsiderare la cosa. Devo dire che Federico accettò il nostro
richiamo e non intraprese nessuna iniziativa punitiva
nei nostri confronti.
Se non vado errato, ti sei occupata oltre che di
teologia, di politica, ecc., anche di scienza e di
medicina.
Beh, con le conoscenze del tempo, più che di scienza
e di medicina, badavo al rapporto che l’uomo, con le
sue emozioni e con la sua razionalità, può avere con la
natura, perché questa è una preziosa alleata quando
si tratta di guarire dalle malattie. C’è un’energia vitale
tra la creatura e il creato che sfugge a un’esperienza
empirica, ma che è profondamente vera e autentica in
una dimensione spirituale. Il rapporto, infatti, tra la
persona e l’universo, è un rapporto fondamentale che
Dio stesso ha voluto. Bisogna aver cura quindi di ciò
che ci circonda. Il nostro pianeta, se trattato bene, saprà ridare il centuplo all’uomo che ha nei suoi confronti un’attenzione tutta particolare.
Cara sant’Ildegarda, pur essendo tu una figura
di spicco del XII secolo, sei più moderna di tanti
nostri contemporanei.
Il Signore, nella sua divina sapienza e benevolenza, fa
in modo che le persone considerate punti di riferimento per la loro vita cristallina non siano soltanto
ammirate da chi vive durante la loro epoca, ma siano
esempio per ogni tempo.
Sant’Ildegarda di Bingen morì il 17 settembre 1179.
Fu proclamata Santa a furor di popolo quasi subito.
Papa Giovanni Paolo II nella ricorrenza dell’ottocentesimo anniversario della sua morte, la definì «la profetessa della Germania», una donna «che non esitò
ad uscire dal convento per incontrare, intrepida interlocutrice, vescovi, autorità civili, e lo stesso imperatore Federico Barbarossa». Alla santità del genio di
Ildegarda, Papa Wojtyla fa cenno nell’Enciclica sulla
dignità femminile, Mulieris Dignitatem. Nel maggio
del 2012, Benedetto XVI l’ha proclamata Dottore della
Chiesa.
Don Mario Bandera, Direttore Missio Novara
INDICE 2013
I NUMERI INDICANO LE PAGINE
AI
LETTORI
GLI EDITORIALI DELLA RIVISTA
A CURA DEL DIRETTORE
Costruttori di pace...............GEN.FEB. 03
Beneficenza e carità ...................MAR. 03
L’Attesa........................................APR. 03
Forte tenerezza ..........................MAG. 03
Cultura di morte...........................GIU. 03
Di viaggi e incontri... e anche
di cresima e cani .....................LUG. 03
Globalizzazione
dell’«I care» .....................AGO.SET. 03
Sulle strade dell’uomo ................OTT. 03
Piangere e «spogliarsi» ..............NOV. 03
Grazie ...........................................DIC. 03
I
NOSTRI
D OSSIER
APPROFONDIMENTI DI TEMATICHE RILEVANTI
Rivoluzioni arabe: e dopo la primavera
arrivò l’inverno
Angela Lano . . . . . . . . . . . . .GEN.FEB. 35
Missione di carta: l’Editrice Missionaria
Italiana compie 40 anni
Marco Bello . . . . . . . . . . . . . . . . .MAR. 35
Piccola ma vivace, la Chiesa cattolica in
Mongolia compie 20 anni
Benedetto Bellesi . . . . . . . . . . . . .APR. 35
Orti solidali, viaggio nel fenomeno
dell’«agricoltura sociale»
Stefania Garini . . . . . . . . . . . . . . .MAG. 35
Spezziamo le catene
Benedetto Bellesi . . . . . . . . . . . . .GIU. 35
Decresco, quindi sono
Gabriella Mancini . . . . . . . . . . . . .LUG. 35
L’ayatollah e il presidente
Angela Lano . . . . . . . . . . . . .AGO.SET. 35
Il Vangelo e l’indifferenza
Antonio Rovelli . . . . . . . . . . . . . . .OTT. 35
L’eredità di Fukushima
Piergiorgio Pescali . . . . . . . . . . . .NOV. 35
Giustizia riparativa
Annalisa Zamburlini, Carolina Bedoya
Maya e Luca Lorusso . . . . . . . . . .DIC. 33
A FRICA
Spezziamo le catene ....................GIU. 35
40 anni: ma è solo l’inizio ............NOV. 25
Mamma Fatuma ..........................NOV. 29
Uno sviluppo a tutto biogas ..........DIC. 75
AFRICA DEL NORD
Perpetua e Felicita .....................MAG. 79
ANGOLA
Il gigante lusofono ......................LUG. 17
BENIN
Un sorriso per la vita............AGO.SET. 64
BURKINA FASO
Pastori: non mollate il gregge .....DIC. 60
BURUNDI
La verità sono io...........................GIU. 15
CONGO RD
Acqua per la salute ....................MAR. 77
ETIOPIA
Cent’anni di Etiopia: dalle macchine
Singer all’informatica.......AGO.SET. 72
KENYA
Mukululu: ricominciare,
sempre ............................GEN.FEB. 29
Fede dietro le sbarre...................APR. 62
Spiritualità e pragmatismo .........APR. 68
La missione sui Monti dei Sogni .MAG. 20
MOZAMBICO
Missionari di «frontiera» ............NOV. 19
REPUBBLICA CENTROAFRICANA
Il cuore (malato) del continente...OTT. 26
SOMALIA
Il vento cambia
a Mogadiscio.....................AGO.SET. 16
Segni concreti di speranza ...AGO.SET. 18
Indistruttibile .......................AGO.SET. 22
SUDAN
Che le tue mani aiutino il volo .....APR. 26
ZAMBIA
Il lago che dà vita .........................DIC. 17
ZIMBABWE
Il paese baciato da Dio ................NOV. 58
A SIA
Celle senza finestre....................MAG. 67
Quando l’islamofobia
è buddhista..............................LUG. 68
Per «tutelare Dio» .......................OTT. 55
COREA DEL NORD
Le bizze dei Kim
non finiscono mai ....................LUG. 56
COREA DEL SUD
Una storia affascinante! 25 anni
di presenza per gli IMC....GEN.FEB. 17
«Venerando Dio in te...
Buongiorno!» ..........................APR. 22
FILIPPINE
Una chiesa del laicato .................LUG. 62
GIAPPONE
L’eredità di Fukushima ................NOV. 35
IRAN
L’ayatollah e il presidente ....AGO.SET. 35
LAOS
Acqua e foreste:
la dote di Vientiane .................MAR. 20
MONGOLIA
Piccola ma vivace. La Chiesa cattolica
in Mongolia compie 20 anni.....APR. 35
Segni di risurrezione...................LUG. 23
MYANMAR
Cambiamento
è anche progresso? ................MAG. 14
SRI LANKA
La guerra è finita! O no?.......AGO.SET. 10
TIBET
«Costruite il secolo del dialogo» .GIU. 51
A MERICA L ATINA
America, il continente aperto .....APR. 71
Bartolomé De Las Casas.............APR. 79
ARGENTINA
Noi stiamo con gli Indios ......AGO.SET. 26
BOLIVIA
L’altra faccia della luna ..............MAG. 51
La speranza abita sugli altipiani ..GIU. 08
BRASILE
Luci e ombre del Brasile «nero» APR. 57
Sotto il cielo di Corumbá .............LUG. 10
La torta di Pedro ..................AGO.SET. 51
Il Bianco che si fece Yanomami....OTT. 21
Non giochiamo al
«cattivo selvaggio» ..................OTT. 59
Dove i contadini sono poeti...........DIC. 21
COLOMBIA
Il lungo viaggio verso Remolino:
(prima parte) ..........................MAG. 27
Processo di pace:
facciamo il punto ....................MAG. 75
Remolino: l’utopia resiste
(seconda parte) ........................GIU. 25
San Pedro Claver .........................GIU. 30
GUATEMALA
Guatemala: non è arrivata,
la fine del mondo.............GEN.FEB. 51
HAITI
La perla perduta..................GEN.FEB. 24
HONDURAS
Donne alla riscossa ...................MAR. 10
PERÙ
Carlo e Gery,
cuore Asháninka..............GEN.FEB. 10
Piccole schiave ..........................MAR. 51
Purus: senza uscita .....................OTT. 51
Serve anche la pipì ......................NOV. 51
San Martin de Porres ..................NOV. 79
Lasciamoli in pace........................DIC. 25
Jampi Wasi, la casa della salute ..DIC. 53
URUGUAY
Oltre le sbarre
don Pierluigi Murgioni ............MAR. 62
VENEZUELA
I Warao: gente da canoa..............APR. 10
«Lo hanno tradito
un milione di volte»..................GIU. 20
DICEMBRE 2013 MC
81
Indice 2013
A MICO
E UROPA
Strage di innocenti: violenza
contro donne e minori ............MAR. 64
Europa, libertà sotto stress........MAR. 67
Cirillo e Metodio ..................AGO.SET. 80
Il Vangelo e l’indifferenza.............OTT. 35
Europa, libertà contro laicità.......NOV. 68
Giustizia riparativa .......................DIC. 33
Lo Yom Kippur
alla corte di Strasburgo............DIC. 71
BIELORUSSIA
Emozioni e sfide ..........................LUG. 51
FINLANDIA
Senza nazione né confini.............APR. 51
GERMANIA
Sant’Idelgarda di Bingen..............DIC. 79
ITALIA
Il mondo cattolico e
la cooperazione ...............GEN.FEB. 55
Francesca Saverio Cabrini ..GEN.FEB. 63
Missione di carta:
l’EMI compie 40 anni...............MAR. 35
Disarmare il dolore col sorriso:
il Mago Sales ..........................MAR. 57
Nella rete col Vangelo ................MAG. 62
Frutta, verdura e solidarietà ......MAG. 67
Orti solidali, viaggio nel fenomeno
dell’«agricoltura sociale».......MAG. 35
Il medico che realizzava i sogni...LUG. 26
Le Olimpiadi dei rifugiati......AGO.SET. 58
L’Italia religiosa tra disinteresse
e sospetto .........................AGO.SET. 68
Bellesi: un uomo fatto Parola ......OTT. 09
Santa Bakitha...............................OTT. 63
Voglia di tenerezza .......................DIC. 66
MACEDONIA
Scene da un matrimonio ............MAR. 26
OLANDA
Santa Edith Stein.........................LUG. 80
SVIZZERA
San Francesco di Sales...............MAR. 75
VATICANO
Francesco: dalla fine del mondo MAG. 08
M EDIO O RIENTE
Rivoluzioni arabe: e dopo la primavera
arrivò l’inverno ................GEN.FEB. 35
EGITTO
Prima e dopo la primavera araba GIU. 56
ISRAELE
Uomo nero, torna a casa tua .......APR. 17
PALESTINA
Il paese che non c’è. Lezioni
di resistenza pacifica ..............MAR. 15
SIRIA
’Isa e Mohammed
(nella Siria in guerra)...............OTT. 16
Sulla pelle dei Siriani ...................DIC. 10
O CEANIA
AUSTRALIA
«Torna da dove sei venuto».........NOV. 12
82
MC DICEMBRE 2013
L’INSERTO QUADRIMESTRALE DEDICATO AI GIOVANI
A CURA DI LUCA LORUSSO
AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT
Amico N. 01 .........................GEN.FEB. 67
Amico N. 02 ..................................GIU. 65
Amico N. 03 .................................OTT. 65
C OOPERANDO
LA RUBRICA SULLA COOPERAZIONE A CURA DI
CHIARA GIOVETTI DI MCO,
FONDAZIONE MISSIONI CONSOLATA ONLUS
Il mondo cattolico
e la cooperazione ............GEN.FEB. 55
Acqua per la salute ....................MAR. 77
Cooperazione per l’acqua ...........APR. 75
Processo di pace:
facciamo il punto ....................MAG. 75
Carità? Per carità!........................GIU. 61
Micro è bello (e fa bene) ..............LUG. 72
Cent’anni di Etiopia ..............AGO.SET. 72
Non giochiamo al
«cattivo selvaggio» ..................OTT. 59
Uno sviluppo a tutto biogas ..........DIC. 75
C OSÌ
STA SCRITTO
LA RUBRICA BIBLICA
A CURA DI PAOLO FARINELLA
Dal miracolo al segno
(Cana 38 ).........................GEN.FEB. 32
RENDETE A CESARE
1. quel che è di Cesare ..............MAR. 32
2. Quale Cesare abbiamo scelto come
nostro Dio? ............................APR. 32
3. Dalla signoria di Dio
alla sudditanza di Cesare .......MAG. 32
4. La speranza della chiesa
non sta nei privilegi ................GIU. 32
5. «Chiesa peregrinante verso
la Gerusalemme celeste» ......LUG. 32
6. La politica del cristiano ...AGO.SET. 32
7. La politica di Dio (che è laico)...OTT. 33
8. Il cristiano mescola in sé il profumo
di Dio e l’odore del mondo .......NOV. 32
NATALE, ANCORA NATALE
Ma quale Natale? .........................DIC. 30
E TICAMENTE
PERSONA, ECONOMIA E FINANZA
A CURA DI SABINA SINISCALCHI
Armi: commercio trasparente?....GIU. 81
L IBERTÀ
RELIGIOSA
RIFLESSIONI E FATTI SU
LA LIBERTÀ RELIGIOSA NEL MONDO
A CURA DI LUCA LORUSSO
Europa, libertà sotto stress........MAR. 67
America, il continente aperto .....APR. 71
Celle senza finestre....................MAG. 67
Egitto: prima e dopo
la primavera araba...................GIU. 56
Quando l’islamofobia
è buddhista..............................LUG. 68
L’Italia religiosa tra disinteresse
e sospetto .........................AGO.SET. 68
Per «tutelare Dio» .......................OTT. 55
Europa, libertà contro laicità.......NOV. 68
Lo Yom Kippur alla corte
di Strasburgo............................DIC. 71
N OSTRA M ADRE T ERRA
LA RUBRICA DELL’AMBIENTE E DELL’UOMO
DELLA DOTT.SSA ROSANNA NOVARA TOPINO
Usate la testa!
(Malattie sessuali - 2)......GEN.FEB. 59
Malattie di tipo virale
(Malattie sessuali – 3).............MAR. 71
Gratta e perdi
(Gioco d’azzardo - 1) ...............MAG. 71
Faccia da poker
(Gioco d’azzardo - 2)................LUG. 76
Latte materno
(Allattamento 1) ...............AGO.SET. 76
Nulla si salva
(Allattamento 2).......................NOV. 64
Q UATTRO C HIACCHIERE
CON
DIALOGHI CON TESTIMONI
DI EVANGELIZZAZIONE
DI DON MARIO BANDERA
Francesca Saverio Cabrini ..GEN.FEB. 63
Francesco di Sales......................MAR. 75
Bartolomé De Las Casas.............APR. 79
Perpetua e Felicita .....................MAG. 79
Pedro Claver ................................GIU. 30
Edith Stein...................................LUG. 80
Cirillo e Metodio ..................AGO.SET. 80
Santa Bakitha...............................OTT. 63
Martin de Porres .........................NOV. 79
Idelgarda di Bingen ......................DIC. 79
M ISSIONARI IMC
ALCUNI MISSIONARI DELLA CONSOLATA
DI CUI SI È SCRITTO NELLA RIVISTA
Aldo p. Giuliani ............................MAG.20
Benedetto p. Bellesi.....................OTT. 09
Bruno p. Del Piero ......................MAG. 27
Carlo fratel Zacquini ....................OTT. 21
Celio p. Regoli .............................NOV. 05
Domenico fratel Bugatti..............APR. 05
Eugenio p. Ferrari .......................APR. 62
Franco p. Gioda ...........................NOV. 19
Gianfranco p. Testa.....................MAR. 15
Giovanni mons. Crippa ................APR. 57
Giuseppe fratel Argese .......GEN.FEB. 29
Giuseppe p. Auletta ..............AGO.SET. 26
Giuseppe p. Richetti ....................APR. 68
Lello p. Massawe .......................MAR. 80
Marini p. Antonio ........................MAG. 27
Paolo p. Angheben ......................LUG. 05
Witold p. Malej, IMC ....................LUG. 51
T EMI
PARTICOLARI
SEGNALIAMO SOLO ALCUNI TEMI.
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ACQUA
Mukululu: ricominciare,
sempre ............................GEN.FEB. 29
Acqua per la salute ....................MAR. 77
Cooperazione per l’acqua ...........APR. 75
MC INDICE 2013
AMBIENTE
Sotto il cielo di Corumbá .............LUG. 10
L’eredità di Fukushima ................NOV. 35
Nulla si salva (Allattamento - 2)..NOV. 64
AMBIENTE, AMAZZONIA
Carlo e Gery,
cuore Asháninka..............GEN.FEB. 10
urus: senza uscita .....................OTT. 51
asciamoli in pace........................DIC. 25
ARMAMENTI
Armi: commercio trasparente?....GIU. 81
CARCERI
Fede dietro le sbarre...................APR. 62
Giustizia riparativa .......................DIC. 33
CHIESA
Una storia affascinante!
25 anni per gli IMC ..........GEN.FEB. 17
Piccola ma vivace, la C. cattolica
in Mongolia compie 20 anni.....APR. 35
Francesco: dalla fine del mondo MAG. 08
Segni di risurrezione...................LUG. 23
Una chiesa del laicato .................LUG. 62
OOPERAZIONE
mondo cattolico e
la cooperazione ...............GEN.FEB. 55
Carità? Per carità!........................GIU. 61
Micro è bello (e fa bene) ..............LUG. 72
Cent’anni di Etiopia: dalle macchine
Singer all’informatica,......AGO.SET. 72
40 anni: ma è solo l’inizio ............NOV. 25
Uno sviluppo a tutto biogas ..........DIC. 75
DONNE (E VIOLENZA)
Donne alla riscossa ...................MAR. 10
Strage di innocenti. Violenza
contro donne e minori ............MAR. 64
Mamma Fatuma ..........................NOV. 29
INDIOS
Cuore Asháninka .................GEN.FEB. 10
I Warao: gente da canoa..............APR. 10
La speranza abita sugli altipiani ..GIU. 08
Bianco che si fece Yanomami....OTT. 21
oi stiamo con gli Indios ......AGO.SET. 26
on giochiamo al
«cattivo selvaggio» ..................OTT. 59
Purus: senza uscita .....................OTT. 51
Cari missionari.............................DIC. 05
Lasciamoli in pace........................DIC. 25
ISLAM, DIALOGO, CRISTIANI, GUERRA
Segni concreti di speranza ...AGO.SET. 18
’Isa e Mohammed
(nella Siria in guerra)...............OTT. 16
Sulla pelle dei Siriani ...................DIC. 10
ISLAM, FONDAMENTALISMO,
PRIMAVERE ARABE
Rivoluzioni arabe: e dopo la primavera
arrivò l’inverno ................GEN.FEB. 35
Il vento cambia
a Mogadiscio.....................AGO.SET. 16
A: il cuore (malato)
del continente ..........................OTT. 26
gitto: prima e dopo
la primavera araba...................GIU. 56
ISLAM, SCIITI
L’ayatollah e il presidente ....AGO.SET. 35
LAPPONIA
Senza nazione né confini.............APR. 51
MISSIONARIE DELLA CONSOLATA
100 anni donati di cuore ..............NOV. 72
MEDIA (E MISSIONE - E LIBERTÀ)
Missione di carta:
l’EMI compie 40 anni...............MAR. 35
Nella rete col Vangelo ................MAG. 62
La verità sono io...........................GIU. 15
MEDICINA, MEDICI
Che le tue mani aiutino il volo .....APR. 26
Il medico che realizzava i sogni...LUG. 26
MEDICINA, SALUTE
Usate la testa!
(Malattie sessuali - 2)......GEN.FEB. 59
Malattie di tipo virale
(Malattie sessuali – 3).............MAR. 71
Acqua per la salute ....................MAR. 77
Un sorriso per la vita............AGO.SET. 64
Serve anche la pipì ......................NOV. 51
Jampi Wasi, la casa della salute . DIC. 53
MIGRANTI
Scene da un matrimonio.
Dalla Macedonia .....................MAR. 26
Uomo nero, torna a casa tua .......APR. 17
Frutta, verdura e solidarietà ......MAG. 67
Le Olimpiadi dei rifugiati......AGO.SET. 58
Cari missionari ............................OTT. 05
Piangere e «spogliarsi» ..............NOV. 03
«Torna da dove sei venuto».........NOV. 12
Cari missionari.............................DIC. 05
NUOVA EVANGELIZZAZIONE
Il Vangelo e l’indifferenza.............OTT. 35
Missionari di «frontiera» ............NOV. 19
Voglia di tenerezza .......................DIC. 66
PACE, RICONCILIAZIONE, DIALOGO
Costruttori di pace...............GEN.FEB. 03
«Costruite il secolo del dialogo» .GIU. 51
Il Paese che non c’è....................MAR. 15
Processo di pace.........................MAG. 75
La guerra è finita! O no?.......AGO.SET. 10
RELIGIONI (E DIALOGO)
Maya: non è arrivata,
la fine del mondo.............GEN.FEB. 51
Soo-Woon-Kyo ............................APR. 22
SCHIAVITÙ (LAVORO MINORILE)
Piccole schiave ..........................MAR. 51
Spezziamo le catene ....................GIU. 35
STILI DI VITA
Orti solidali.................................MAG. 35
Decresco, quindi sono .................LUG. 35
TESTIMONI
Carlo dott. Urbani........................LUG. 26
Dalai Lama ...................................GIU. 51
Gery e don Carlo Iadicicco ...GEN.FEB. 10
Gianni Vaccaro..............................DIC. 53
Giuseppe dott. Meo .....................APR. 26
Goretta sr. Favero Miotto.............NOV. 51
Mago Sales (Silvio don Mantelli) MAR. 57
Messias p. De Sousa ............AGO.SET. 51
Nino Maurel.................................NOV. 05
Paolo p. Dall’Oglio........................OTT. 16
Pasquale p. Fiorin .......................LUG. 10
Pierluigi don Murgioni................MAR. 62
Rolando Rivi (beato) .....................GIU. 05
VESCOVI / PAPA
Mons. Giorgio Bertin ............AGO.SET. 18
Mons. Julio M. E. Montoya ..........MAG. 51
Mons. Mtianos Haddad.................DIC. 10
Mons. Dieudonné Nzapalainga.....OTT. 30
Mons. Philippe Ouedraogo ...........DIC. 60
Papa Francesco ..........................MAG. 08
DICEMBRE 2013 MC
83
P st
tal ane S p A. Spe
in abb. postale "Regime
C." - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NO/TORINO