03 impa tipibraidesi/COLORE
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20 febbraio 2007 Tipi Braidesi ‘‘ ‘‘ ‘‘ ‘‘ Da una “semplice” merceria nacque la specializzazione per i “cotillon”, che portò anche alla... conquista di Parigi 3 Le bambole furono un altro ambito da cui nacquero autentici capolavori. E poi l’avventura nel mondo della moda... Emanuele e il fratello Francesco sono gli eredi di un’azienda nata a Udine, ma prosperata a Bra ______ Lorenzon, genialità fatta uomo Foto di famiglia per il nostro “tipo braidese” Emanuele Lorenzon (secondo da sinistra). Da sinistra: la cognata Maria Grazia Cignoli, il fratello Francesco, la moglie Maddalena Colombo e la madre Luigia Cristino. P ura genialità, di pensiero e di realizzazione manuale delle proprie idee che da sempre sa trasformare in oggetti di classe: questa la sintesi di Emanuele Lorenzon, il “tipo braidese” di questa settimana. L’ho incontrato nel suo laboratorio di via Turati, casa e azienda di famiglia, e la mia curiosità era tantissima, ben oltre la soglia dell’interesse giornalistico per un’intervista. Sapevo poco della storia sua e della sua famiglia (ma del resto le storie di vita si conoscono solo se raccontate da chi le ha vissute e le vive), ma ero consapevole di qualcosa di più riguardo alle bambole della famiglia Lorenzon e confesso che ritrovarmene una davanti, nobile dama del passato, eterea nei lineamenti del volto e gentile nella sottile realtà delle mani, signora maestosa e un poco intrigante nell’abito di carta, perfetto, e nel cappello piumato e arricchito di preziosità, mi ha riempito gli occhi di bellezza e il cuore di emozione. Nato a Bra il 4 luglio 1946, Emanuele Lorenzon affonda le sue origini tra il Veneto e l’entroterra ligure: il papà Vittorio, infatti, era non veneto come tutto il resto della famiglia, ma veneziano, come egli stesso amava puntualizzare, mentre la mamma, Luigia, è nata a Cairo Montenotte. Dal Veneto a sotto la Zizzola il passo fu breve, come ricorda il signor Emanuele: «A Bra viveva con il marito una mia zia, sorella di mio padre. I miei genitori da Udine si erano spostati a Sestri Levante, le cose andavano abbastanza bene ed essi acquistarono una ditta che produceva scatole per dolci, confetti e pasticceria in genere, ma avevano il serio problema di non riuscire a reperire in loco la manodopera necessaria. Così mia zia comunicò a mio padre e a mia madre che nel braidese era facile trovare gente con la voglia e il bisogno di lavorare e che, se si fossero trasferiti sotto la Zizzola, avrebbero avuto l’oppor- tunità di trovare una sede adatta per la loro azienda e gli operai per farla ben funzionare. La mia famiglia arrivò quindi a Bra e andò ad abitare al fondo di via Turati, dove un tempo si trovava la vineria “Vignola”. In un primo tempo mio padre pensò di acquistare casa “Chantal”, ma la posizione su cui si affacciava l’ingresso della proprietà non era comoda per l’entrata e l’uscita dei mezzi di trasporto. Così costruirono questa casa (al 32 di via Turati, ndr)». Essendo braidese di nascita ha certamente frequentato le scuole cittadine. Poi che cosa ha fatto? «Dopo gli studi di ragioneria, ho seguito la mia grande passione di sempre, il disegno, e per sette mesi ho frequentato a Torino un corso per disegnatori di cartellonistica. Per qualche tempo, quindi, ho lavorato in uno studio torinese del settore, ma non era la mia strada. Il passo successivo l’ho compiuto alla Faber, dove sono stato assunto come disegnatore di tessuti e costumi da bagno. Trascorso qualche tempo, mi sono messo in proprio e, sempre come disegnatore di tessuti, ho operato a Como per quattro anni. Da Como, per un paio di anni, mi sono trasferito a Roma. Poi ancora Faber, Vestebene ad Alba e infine, considerando che i miei stavano diventando anziani, sono entrato nell’azienda di famiglia». Ecco, mi racconti di quest’azienda. «Tutto nasce con i miei nonni paterni, che nel 1911 a Udine avevano una merceria. Tra le attività del negozio c’era la realizzazione di bandiere e stendardi che, una volta confezionati, mio zio dipingeva. Di qui è nata l’arte del cotillon. Mia nonna confezionava, oltre alle bandiere, costumi di carnevale e la creazione e la realizzazione del costume portava di conseguenza il fare anche cappelli, accessori, cotillon appunto. L’azienda si chiamava Chic parisien e più volte venne ripresa sui giornali dell’epoca per le sue creazioni, come quando era stata riprodotta la Cà d’oro di Ve n e z i a con gomitoli di cotone colorato. Poco dopo i miei nonni aprirono un punto vendita a Parigi, in rue Beaubourg, dove venivano confezionati costumi in carta e decorazioni». La materia prima utilizzata, quindi, è stata sempre la carta? «In un primo tempo venivano impiegati i tessuti della merceria, poi tessuto e carta, infine soltanto carta. Del resto si trattava di manufatti finalizzati al carnevale o a teatri, quindi il loro utilizzo si esauriva in una sola serata o in un’unica sta- gione. Nei teatri veniva realizzata la scenografia, a questa poi si abbinavano costumi, cotillon e il famoso “rumoroso”, una bacchetta di legno con sonagli». Sfogliamo con il signor Emanuele l’album di famiglia e scopriamo, tra le foto delle varie realizzazioni della ditta “Lorenzon”, un pozzo dei desideri fatto per casa Savoia, allestimenti in casa Astengo, celeberrimi produttori di amaretti in quel di Savona, foto di gruppo di figliole di nobili famiglie agghindate per le feste di carnevale, i costumi della sfilata del Palio d’Asti del 1931, una gioiosa Maria José di Savoia immortalata tra un gruppo di ragazze in costume spagnolo. Dai preziosi documenti conservati da Emanuele Lorenzon traiamo il livello mondiale dell’azienda nata dai nonni che, attraverso i loro figli, è arrivata fino ai nipoti. Saint-Moritz, Mentone, Losanna, Tripoli, Mosca e Parigi sono i nomi delle città che troviamo sulle lettere dei Consolati italiani per ordinare costumi per straordinarie feste. Ci sono anche le forniture ai celebri magazzini parigini Galeries “La Fayette” e Au printemps, che avevano in catalogo vestiti e bambole “Lorenzon” e c’è la Metro Golden Mayer che utilizzò per alcuni film costumi firmati “Lorenzon” («Ma solo fino a quando il cinema restò muto», sottolinea il signor Emanuele, «perché con l’avvento del sonoro gli abiti di carta erano troppo rumorosi e inquinavano l’effetto audio»). Emanuele Lorenzon, come abbiamo già detto, negli anni Settanta entrò a lavorare nell’azienda di famiglia, ma nel frattempo è stato anche impegnato nel mondo della moda. «Per tre o quattro anni ho creato collezioni Una splendida creazione originata dall’estro di Emanuele Lorenzon. C arta d’identità DATI ANAGRAFICI Emanuele Lorenzon è nato a Bra il 4 luglio 1946. Papà Vittorio, veneziano, e la mamma, Luigia Cristino, originaria di Cairo Montenotte, hanno avuto un altro figlio, Francesco, disegnatore di interni. Nel 1979 Emanuele si è sposato con la signora Maddalena (Magda) Colombo, lombarda. Emanuele e Magda hanno una figlia, Francesca, di 24 anni. STUDI E PROFESSIONE A Bra ha frequentato parte del ciclo scolastico e dopo gli studi di ragioneria ha seguito la sua grande passione per il disegno. È stato disegnatore di tessuti e di modelli per la Faber, ha lavorato per la Vestebene e poi come libero professionista. Nel 1970 è entrato nell’azienda di famiglia e, con il fratello, ha gestito, per vent’anni, uno dei più bei negozi di arredamento e oggettistica di Bra, all’angolo tra via Vittorio Emanuele e via Rambaudi. Oggi si dedica al restauro e frequenta i più prestigiosi mercati dell’antiquariato. HOBBY Tutto ciò che è stato per lui lavoro, nel passato come oggi, coincide con la realizzazione delle sue maggiori pas● sioni. Inoltre ama la speleologia e la pesca. Alcuni costumi creati e realizzati dalla ditta “Lorenzon” comparsi su un catalogo, datato 1931, dei famosi magazzini “Au printemps” di Parigi. per Enrica Massei, stilista milanese. Dalla casa di moda lombarda mi arrivavano i cartamodelli degli abiti da realizzare (gonne, cappe, kimoni, accessori) e su questi modelli, con nastri, voile, gro, velluti, rasi e moiré, senza cuciture, ma soltanto con incastri, creavo il tessuto secondo le indicazioni di materiali e colori di Enrica Massei». Alcuni di questi modelli furono pubblicati su dispense creative divulgate dall’Accademia della moda. Se qualcuno ha questa raccolta in casa, vada a risfogliarla: ci troverà splendidi intrecci creati dal genio di Emanuele Lorenzon. Perché un’azienda affermata in tutto il mondo come la vostra ha terminato la sua produzione? «Dopo gli anni Settanta non ci fu più concesso di essere artigiani. Ci fu imposto l’obbligo di passare nel settore dell’industria, perché la produzione dell’abbigliamento era stata fatta rientrare in questo settore. Ma i prezzi dei costumi di carta, anche se richiedevano una lavorazione più complessa di quelli in tessuto per la fragilità del materiale impiegato, non potevano essere elevati a quelli dei capi in tessuto. La paga sindacale, però, era decisamente più alta. Così, mano a mano che i nostri trenta dipendenti andavano in pensione, non vennero più sostituiti e poi l’azienda ha chiuso». Così arrivò per Emanuele e Francesco Lorenzon la scelta del negozio di via Vittorio Emanuele e a questa attività il signor Emanuele, mai stanco di imparare, di rinnovarsi e di mettersi in gioco, pensò bene di affian- care, presso il saluzzese Bertone, un corso di restauro e doratura di mille ore, più tre mesi di un analogo corso a Torino e due mesi a Firenze. «Una passione», la definisce lui, «diventata comunque un lavoro». Per il poco che l’ho conosciuto, posso dire che forse è già pronto a iniziare un cammino verso nuovi traguardi. Mi piace però chiudere il resoconto di questo incontro con le bambole, che resuscitano dalle riviste di moda dell’Ottocento. A questo proposito riporto un episodio curioso. «Un giorno», racconta il signor Emanuele, «due signore di Bra mi raccontarono di aver visto al Museo civico di Cuneo due bambole di Lenci vestite dalla ditta “Lorenzon”. Ero completamente all’oscuro di questo fatto. Mettendo però a posto le vecchie carte di famiglia, trovai un documento che mi confermò il racconto delle due signore braidesi e riportò alla luce una serie di coincidenze davvero particolari». Il documento, datato 1933, è del Podestà di Cuneo, che scrive alla ditta “Lorenzon”: «Il direttore di questo Museo civico, Euclide Milano, mi riferisce che cotesta illustre ditta ha gratuitamente vestito, a favore di questo Museo, due bambole Lenci con costumi folcloristici antichi già in uso nella città e nel territorio braidese». Peccato che la Bra di un passato recente non sia stata in grado di conservare tutto il resto di questo favoloso mondo di una grande famiglia di artisti dotati di grande capacità imprenditoriali. Ma questa è un’altra storia. Caterina Brero