Formare i giovani, prima di tutto
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Formare i giovani, prima di tutto
Editoriale | Franco Mosconi Formare i giovani, prima di tutto Gli investimenti in conoscenza sono l’ingrediente essenziale per una crescita economica duratura e non effimera. Servono ricerca, nuove tecnologie della comunicazione. Ma soprattutto occorre dare più valore a chi cresce le nuove generazioni li «investimenti in conoscenza» rappresentano l’ingrediente essenziale per una crescita economica duratura e non effimera: sono quegli investimenti in «capitale umano» (i livelli di istruzione) e in «capitale di conoscenze» (la R&S) che, per qualità e quantità, influenzano il saggio di crescita di un’economia. Un ruolo del tutto particolare sono venute assumendo le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict). Difatti, da un lato l’introduzione delle Ict nei processi produttivi influenza positivamente la dinamica di crescita della produttività del lavoro, dall’altro le stesse Ict, per dispiegare pienamente i loro effetti, richiedono continuamente nuove competenze e una diversa organizzazione della produzione. È questa la lezione che apprendiamo dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso a oggi dalle migliori esperienze internazionali in materia di Information Technology: i Paesi scandinavi per restare in Europa, e gli Stati Uniti per guardare all’altra sponda dell’Atlantico. Per la Ue nel suo insieme le cose appaiono più complicate, come è emerso da uno dei dossier discussi nel recente e famoso Consiglio europeo di Bruxelles del 14 e 15 marzo (quello sulla questione Cipro, per intenderci). Illustrato dal presidente della Commissione europea José M. Barroso il dossier ha per titolo «Crescita, competitività e lavoro». In uno dei grafici presentati si pone in risalto il crescente divario tra domanda e offerta di lavoro proprio nel settore dell’Ict. Dalla Commissione europea i posti vacanti sono quantificati già oggi in 400.000, una cifra destinata a salire a 800.000 nel 2015. Due le cause che concorrono a spiegare questo divario: da un lato, il numero troppo basso di laureati in Ict, che resta intorno alle 100.000 unità anche nella previsione al 2015; dall’altro, il basso investimento G in R&S, che resta ben lontano dall’obiettivo del 3 per cento sul Pil (solo Svezia e Finlandia lo superano). Le ricette per uscire dall’impasse sono ampiamente note: nella Ue, così come nei suoi Stati membri, se ne discute almeno dal 2000, anno del lancio della «Strategia di Lisbona» ribattezzata poi un decennio dopo con il nome di «Europa 2020». Se però vogliamo aggiungere alle (giuste) risposte convenzionali qualcosa di più profondo, forse dobbiamo guardare in una direzione che non ha strettamente a che fare con le maggiori risorse, pubbliche e private, dedicate alla ricerca e alla formazione: ad esempio, il credito d’imposta per gli investimenti in R&S, la creazione di centri di eccellenza, e così via. Se la questione essenziale è il capitale umano, la crescita, nel senso più pieno del termine, dei nostri giovani, la direzione verso cui guardare è quella degli insegnanti e di ciò che fanno, per dirla col bellissimo libro di Taylor Mali, intitolato per l’appunto: «What Teachers Make», con sottotitolo «In Praise of the Greatest Job in the World» (Penguin Books 2012). Il libro nasce da un poema, scritto dallo stesso Mali e disponibile su YouTube, nel quale l’autore fra le altre cose afferma: «Volete sapere cosa faccio? Faccio sì che i ragazzi si pongano delle domande. Li faccio dubitare, li faccio criticare, li faccio scusare e farlo seriamente. Li faccio scrivere, scrivere, scrivere e poi li faccio leggere. Faccio fare loro lo spelling più e più volte, finché non sbaglieranno più l'ortografia di quelle parole. Faccio mostrare tutto il lavoro che fanno in matematica». Bello il giorno in cui la nostra società avrà saputo recuperare questa visione del rapporto fra i docenti e i ragazzi, che poi significa quello fra la scuola e le famiglie. Il resto, compreso il fantastico mondo dell’Ict, seguirà. L’autore insegna Economia industriale all’Università di Parma e European Industrial Policy al Collegio Europeo di Parma, dove siede nel comitato scientifico. Maggio/Giugno 2013 - OUTLOOK 9