Il tragico fallimento della guerra in Afghanistan

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Il tragico fallimento della guerra in Afghanistan
Il tragico fallimento della guerra in Afghanistan - Massimo Fini
pubblicato su Il Gazzettino il 29 luglio 2011
Non si può lasciare una guerra perché un soldato è caduto in battaglia. Sarebbe grottesco: se si
interviene in una guerra, bisogna accettarne i rischi. È quanto accaduto al caporal maggiore
David Tobini ucciso in un agguato talebano, molto ben congegnato, nella vallata del fiume
Murghab, nel nord dell’Afghanistan. I caduti italiani in Afghanistan sono ora 41. Cifra che presa d’amblè, può far impressione, ma
che, in dieci anni di conflitto, non è particolarmente rilevante. I danesi, con un contingente che è
un quarto del nostro, ne hanno avuti altrettanti. Gli inglesi 386 su 9500, proporzionalmente il
quintuplo dei nostri. Del resto i britannici sono stati gli unici a battersi sul campo senza far uso
sistematico dell’aviazione che è certamente utilissima dal punto di vista militare ma devastante
sotto quello politico perché colpisce più i civili che i guerriglieri andando così ad aumentare
l’appoggio agli insorti. Gli altri contingenti, pur superiormente armati, sul terreno non sono in
grado di battersi alla pari con i talebani come dimostra anche l’episodio di Murghab dove gli
italiani, per sottrarsi a perdite ancora maggiori, sono stati costretti a chiedere l’intervento
dell’aviazione Nato. È che i giovani occidentali non hanno, anche quando sono militari ben
addestrati, la vitalità necessaria per affrontare sanguinosi corpo a corpo. Il benessere li ha
fiaccati. Inoltre troppo diverse sono le motivazioni. Da una parte c’è gente che si batte per
liberare il proprio Paese dall’odiosa occupazione dello straniero, dall’altra soldati che non sanno
per che cosa combattono.
Ad ogni caduto italiano i ministri Frattini e La Russa ripetono talmudicamente che «la missione
continua». Ma che senso abbia oggi questa missione né Frattini né la Russa né alcun altro è in
grado di spiegarcelo. Affermare che i soldati italiani in Afghanistan stanno difendendo la Patria
e l’Occidente dal terrorismo internazionale è ridicolo, se non fosse tragico. Il terrorismo
internazionale, quaedista, waabita, non sta, con tutta evidenza, in Afghanistan. Quel che resta
di Al Quaida è trasmigrato da anni altrove. Lo stesso Al Zawahiri, che formalmente ha sostituito
Bin Laden, ha affermato che cellule di Al Quaida esistono in Somalia, in Yemen, in Egitto, i
Giordania, ma non ha nominato l’Afghanistan. Perché in Afghanistan non c’è Al Quaida, ma
un’insurrezione contro lo straniero che ha come punta di lancia i talebani che coinvolge ormai
quasi tutta la popolazione.
Il presidente Napolitano, ex comunista pacifista diventato guerrafondaio «in senectute»,
continua a ripetere, come un disco rotto, che «l’Italia deve rispettare i propri impegni
internazionali». Ma quali impegni? Siamo in Afghanistan da più di dieci anni e invece di
indebolire il talebanismo lo abbiamo rafforzato. Gli olandesi se ne sono andati nell’agosto del
2010. I canadesi, i francesi e i polacchi lo faranno entro il 2012. Gli stessi americani stanno
trattando (ci sono stati incontri in Europa e a Dubai) col Mullah Omar improvvisamente
promosso al rango di «talebano moderato». Solo noi dobbiami rimanere a fare i servi degli Usa,
sciocchi come tutti i servi e ad ammazzare e farci ammazzare senza un vero perché?
Massimo Fini
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