Tracce delle testimonianze

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Tracce delle testimonianze
Convegno Nazionale Anffas Onlus
“Non discriminazione = pari opportunità”
2007: anno europeo delle pari opportunità per tutti
Bologna, 20 Ottobre 2007
tracce delle testimonianze
Convegno Nazionale Anffas Onlus
”Non discriminazione=pari opportunità” – Bologna, 20 Ottobre 2007
PARI OPPORTUNITA’ NEL PROCESSO DI PRESA IN CARICO PRECOCE
Adele Castellan – mamma di Valentina
Sono la mamma di Valentina, un’adolescente di 16 anni affetta da encefalopatia epilettica tipo Lennox-Gasteau,
quindi con una grave compromissione psicomotoria a relazionale.
Attualmente Valentina frequenta la 2° media al mattino ed il pomeriggio dalle 12.00 alle 17.00, il Centro Sanitario
Riabilitativo per l’età evolutiva di Besozzo gestito dalla Fondazione R. Piatti onlus di Varese, ente a marchio
Anffas, dove svolge attività educativa e riabilitativa per 4 giorni la settimana.
Con questa mia testimonianza voglio parlare non del presente di Valentina ma dei suoi primi anni di vita e delle
persone (medici, tecnici, riabilitatori, famigliari), e delle istituzioni (servizio sanitario, servizio sociale comunale)
che ci hanno accompagnato e indirizzato nel periodo più duro e difficile per due genitori giovani.
Inevitabilmente, quando ci siamo accorti che qualcosa non andava in Valentina intorno ai due-tre mesi ci siamo
rivolti a diversi pediatri che non hanno avuto il coraggio (o forse le competenze) di indagare più a fondo.
Quando intorno ai sette mesi Valentina ha cominciato ad avere crisi epilettiche pluri-quotidiane ed il quadro
neurologico era notevolmente peggiorato ci siamo rivolti ad un pediatra di un Ospedale di Milano il quale ha
saputo svolgere tutti gli accertamenti diagnostici possibili, consultandosi anche con colleghi neuropsichiatri
arrivando ad inquadrare il danno di Valentina (atrofia cerebrale cortico-sottocorticale con scarsa mielinizzazione
della sostanza bianca emisferica). Inoltre vista la complessità del caso il pediatra ci ha saputo indirizzare presso il
Centro Regionale di epilettologia infantile di un Ospedale di Milano dove lavorava l’équipe del Prof.Viani che
ancora oggi ha in cura Valentina.
Di questa nostra esperienza sanitaria possiamo dire che malgrado la professionalità, la competenza, l’umanità dei
neurologi che hanno saputo curare Valentina tenendo conto anche della qualità di vita, la medicina per certe
patologie ha ancora dei limiti.
Oggi sappiamo quello che ha Valentina (abbiamo quindi una diagnosi certa che è ancora un problema per molti
bambini nonostante la certificazione di handicap), ma non sappiamo che cosa ha provocato il danno cerebrale.
Questa incertezza in genitori giovani che vogliono avere risposte sul futuro e darsi una risposta sul che cosa è
successo può logorare e ha bisogno di tempo per essere metabolizzata.
Questo ci ha indotto per un certo periodo a fare i cosiddetti “viaggi della speranza” facendo a volte incontri
spiacevoli che ci hanno riportato sui nostri passi. (Un luminare da parcelle stratosferiche in 5 minuti di visita ha saputo
dirci che avevamo scelto il nome giusto per nostra figlia in quanto S. Valentino è il protettore degli epilettici).
I sanitari di Milano hanno saputo accompagnarci nel prendere coscienza che ad alcune domande sulle cause della
patologia di nostra figlia avrebbero mai avuto risposta e che le nostre energie potevano essere meglio usate per
gestire il quotidiano e il presente.
L’intervento riabilitativo è iniziato subito dopo il primo ricovero intorno agli otto mesi presso una struttura
ospedaliera vicina a casa, prima, ed in seguito presso un centro privato accreditato.
E’ subito stato evidente che l’intervento riabilitativo presentava delle lacune dal momento che non potevano
bastare 45 minuti di terapia due volte la settimana per una bambina così grave, l’intervento riabilitativo doveva
essere tempestivo, intensivo e doveva coinvolgere e trasmettere conoscenze e competenze a tutte le persone
intorno a Valentina.
La struttura riabilitativa purtroppo non ha cambiato atteggiamento e quindi ci siamo rivolti all’assistente sociale
del nostro Comune di residenza e con lei, grazie anche alla sua professionalità e disponibilità, abbiamo pianificato
un progetto di inserimento sociale e un progetto riabilitativo integrato.
La proposta dell’assistente sociale è stata quella di inserire Valentina che aveva due anni e mezzo all’asilo nido
anziché alla scuola materna, ambiente più adatto sia come spazi che come attività.
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Il progetto si è strutturato per due ore al giorno per tre giorni la settimana con l’affiancamento dell’assistente
comunale in rapporto 1:1 e a domicilio negli altri giorni.
Veniva prevista la presenza dell’assistente comunale anche nei giorni in cui Valentina non poteva frequentare il
nido per ragioni di salute, in tal modo veniva garantito in modo continuativo il progetto riabilitativo globale
integrato.
Le premesse iniziali per l’inserimento di Valentina erano cominciate nel migliore dei modi e anche l’accoglienza
delle educatrici e la curiosità dei piccoli avevano creato un buon clima intorno a lei e a noi.
Purtroppo la vita di comunità per Valentina ha portato numerosi e frequenti episodi bronchiali e da
raffreddamento facendo slittare e prolungare il periodo d’inserimento iniziato ad ottobre e ripreso a marzo dopo
una pausa invernale.
Questa esperienza è proseguita positivamente per altri due anni con le stesse modalità fino al passaggio alla
scuola materna.
Non solo per Valentina è stata un’esperienza nuova ma anche per me, infatti quando mi sono trovata la prima
volta due ore libere, sapendo che Valentina era in un posto sicuro e seguita secondo le sue esigenze, mi
sembrava di non avere più niente da fare ed ho potuto, dopo tanto tempo, concedermi un’ora di pausa in giro
per negozi come da tanto tempo non facevo.
Tutto questo ha permesso a me in seguito di trovare di nuovo lavoro, che avevo dovuto abbandonare per
seguire Valentina.
Il ritorno al lavoro anche se a tempo parziale e con mansioni di minore responsabilità, mi ha permesso di tornare
ad avere una vita sociale normale e la possibilità di ri-progettarci come famiglia, infatti Valentina oggi ha una
sorella di 9 anni.
Non posso non ricordare e testimoniare come sia stato di aiuto l’incontro con una mamma con un’esperienza
analoga alla mia con un bambino di un anno più grande di Valentina.
I suoi consigli e la sua capacità di farmi vedere cosa avevamo davanti sono stati fondamentali per seminare in noi
l’idea che la nostra vita, sebbene travolta, avrebbe potuto riprendere con un equilibrio nuovo.
Vista la nostra esperienza sarebbe necessario per genitori giovani che oggi si trovano a vivere un’esperienza
simile, garantire una presa in carico precoce a livello sanitario, sociale e riabilitativo, con una figura che svolga
un ruolo da regista per tutti gli interventi necessari e che sia favorito l’incontro con altri genitori.
Tutto questo può essere utile al bambino che può ricevere tutto ciò che gli è necessario e ai suoi genitori che in
tempi brevi possono tornare ad avere spazi di normalità.
Ad un certo punto abbiamo scelto di affidarci al Servizio Pubblico facendo riferimento alle figure sociali e
sanitarie preposte (Assistente Sociale del Comune – Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Ospedaliera).
Il bilancio di questa scelta è stato tutto sommato positivo ed è in tal senso che vuole essere la ragione della mia
testimonianza. Forse le cose sarebbero potute andare meglio o forse no; mi sono comunque potuta rendere
conto come il percorso di mia figlia e di noi genitori sia stato favorito, in questo caso, dalla professionalità e dalle
attenzioni umane di quel servizio pubblico oggi messo così tanto in discussione.
Col senno di poi, senza saperlo, ho forse avuto la possibilità di accedere a quella “presa in carico” precoce,
globale e continuativa che non pare essere ancora oggi una condizione data per scontata nonostante le buone
leggi che il nostro paese ha saputo emanare a favore delle persone con disabilità e delle loro famiglie.
Ho scoperto che far parlare tra di loro il pediatra, l’assistente sociale, il neuropsichiatria infantile, la scuola, il
centro di riabilitazione non è una cosa impossibile.
Mi sono oltremodo resa conto come i percorsi di diagnosi e cura previsti dalla legge dipendono troppo spesso
dalla volontà dei vari attori che sono chiamati a costruire con la famiglia il progetto di vita del bambino.
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Questi non capiscono tante volte quanto sia decisiva la loro capacità/disponibilità di saper orientare
famiglia nel verso giusto e di dar loro successivamente una regia di tutte le azioni che vengono intraprese.
una
Ancora oggi mi chiedo se la mia è stata solo fortuna.
PARI OPPORTUNITA’ NEL PROCESSO DI ACCOGLIENZA OSPEDALIERA
Gabriella De Angelis – cognata di Maria Rosaria
Circa tre anni fa sono venuta a conoscenza dell’esistenza dell’Unità Operativa DAMA, funzionante presso
l’Ospedale San Paolo di Milano, ascoltando una trasmissione televisiva che parlava della sindrome di Down.
Seguii la trasmissione con molto interesse in quanto la nostra famiglia è composta anche da mia cognata affetta
da tale sindrome.
Il medico curante di mia cognata Maria Rosaria, a gennaio mi ha prescritto alcuni esami di controllo, e per
effettuarli ho pensato di rivolgermi, attraverso il numero verde, al DAMA.
Il primo contatto l’ho avuto con la signora del Numero verde, la quale mi ha spiegato cosa effettuavano in tale
centro. Dopo circa venti giorni ho ricevuto la telefonata della dottoressa, la quale ha preso in cura Maria Rosaria.
Il giorno 11 Marzo del 2007 ci siamo recati in ospedale dove siamo stati accolti calorosamente da tutto il
personale. Dopo quel primo incontro ne sono seguiti altri, per effettuare le analisi prescritte, e in tutte le
occasioni abbiamo ricevuto attenzione e cordialità, soprattutto verso Maria Rosaria, cercando di metterla a suo
agio mostrando sempre infinita disponibilità verso questi pazienti molto particolari che non sanno esprimere i
loro problemi e i loro mali.
Edoarda Fasani - volontaria LEDHA per l’accoglienza al DAMA
Che cos’è il DAMA: breve cronistoria
La fase sperimentale del DAMA inizia nella primavera del 2000, su iniziativa dell’allora Presidente della LEDHA
(Lega per i diritti delle persone con disabilità), il compianto Edoardo Cernuschi e con il sostegno convinto del
professor Angelo Mantovani e del Direttore generale Sala.
Nell’aprile dell’anno successivo inizia il triennio del Progetto, finanziato dalla Regione Lombardia, la quale firmò
un protocollo d’intesa con l’ospedale, la LEDHA e l’Università degli Studi di Milano.
Oggi il DAMA è una Unità operativa definitivamente a disposizione delle persone con disabilità.
L’accoglienza
Si preferisce parlare di “Accoglienza medica dedicata ai disabili”, perché il termine accoglienza sintetizza meglio la
finalità, che è quella di affiancare il disabile e chi lo accompagna nel percorso diagnostico.
L’accoglienza è infatti uno dei tratti distintivi del DAMA e nella prassi in atto ormai da parecchi anni si è
concretizzata in un insieme di azioni volte a far sì che la persona con disabilità e chi l’accompagna vengano poste
nelle condizioni migliori ai fini di un proficuo percorso diagnostico.
Il volontario DAMA deve accogliere e accompagnare i pazienti, instaurando un rapporto costruttivo tra tutte le
parti in causa. Il suo intervento è teso a facilitare i rapporti tra i pazienti, i loro accompagnatori e il personale
medico e paramedico, in modo anche da ridurre al minimo l’effetto degli imprevisti che possono insorgere. Si
tratta di interagire con efficacia e discrezione con l’equipe medica e con gli specialisti dell’ospedale che di volta in
volta vengono coinvolti nei percorsi diagnostici.
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PARI OPPORTUNITA’ NEL PROCESSO DI SOSTEGNO ALLA GENITORIALITA’
Andreina Felici – mamma di Chiara e Consigliere Associazione “Autismo Apuania”
Innanzitutto, vorrei ringraziarvi a nome della nostra associazione per l’opportunità di partecipare a questa
giornata. Io mi chiamo Andreina Felici e sono socio fondatrice e consigliere dell’associazione di volontariato
Autismo Apuania, costituitasi il 16 marzo 2004. Siamo molto onorati per il fatto di essere qui oggi
Quando interveniamo in eventi come questi, ci preme sempre sottolineare che non parliamo soltanto come
rappresentanti dell’associazione ma anche, e soprattutto, come genitori, peraltro di figli disabili.
Oggi mia figlia Chiara ha 15 anni. E’ affetta da disturbi dello spettro autistico con ritardo mentale medio-grave.
Ha notevoli compromissioni sui versanti comportamentali, relazionali ed umorali. E’ anche una ragazza che pur
con i suoi momenti di crisi, anche forti, adesso riesce a comunicare e a trasmettere agli altri i suoi sentimenti ed i
suoi stati d’animo, aspetto completamente assente fino a pochi anni fa. Frequenta la 3° media. E’ stata fermata
un altro anno alla sua scuola media per portare avanti il suo percorso di integrazione sociale e scolastico. Ha
l’insegnante di sostegno e un’operatrice comunale che si alternano con lei, anche se non segue il programma della
sua classe. Oltre alla scuola che, come sappiamo, per i ragazzi disabili è il luogo di maggiore, e a volte unica fonte
di socializzazione, Chiara frequenta tre pomeriggi alla settimana, per un totale di nove ore, il Centro Integrato per
la Cura dei Disturbi dello Spettro Autistico, sito ai Ronchi, Marina di Massa. Sul Centro Integrato vorrei
soffermarmi più avanti.
Mia figlia è nata di otto mesi ed è stata in incubatrice per circa dieci giorni dalla nascita. All’ospedale dicevano
che aveva un “caratterino tosto” perché piangeva e urlava sempre e non voleva attaccarsi a me per il latte. Ha
continuato questi comportamenti anche una volta portata a casa e, per due giovani ed inesperti genitori, tutto ciò
sembrava dovuto alla sua prematurità, a coliche d’aria, a mille motivi che andavamo a cercare per non pensare
che forse qualcosa non andava.
Portavo Chiara a fare tutti i controlli e le visite previsti per la sua età, ed i comportamenti un po’ bizzarri
continuavano, se non addirittura aumentavano. Soltanto all’età di otto mesi una pediatra ci ha consigliato ulteriori
controlli presso una struttura specializzata sui problemi dell’infanzia.
Avuta la diagnosi da Stella Maris di Tirrenia siamo entrati in contatto con un mondo a noi, fino a quel momento,
sconosciuto. Un fitto susseguirsi di controlli, esami, prelievi, analisi e discussioni sempre più approfonditi e per
noi genitori incomprensibili, ma purtroppo anche senza molte spiegazioni o risposte alle nostre tante domande.
Per genitori disorientati che vedono il loro mondo crollare addosso, che cercano solo di capire cosa ha il proprio
figlio, sentirsi rispondere che dovevamo solo pensare di fare i genitori e che gli altri avrebbero continuato ad
indagare su cosa avesse Chiara non bastava per noi, anzi, ci faceva sentire in qualche modo quasi colpevoli di
qualcosa, forse addirittura della situazione di nostra figlia. Solo molto più tardi, parlo di alcuni anni dopo,
abbiamo capito che, per l’ancora giovanissima età della bimba (all’epoca aveva circa 14 mesi) non erano proprio
in grado di confermare una diagnosi precisa. Se, però, ci si mette nei panni di un genitore, si può capire
facilmente che in momenti come quelli l’unica risposta che si cerca è proprio la conferma, qualcosa che ti
permette di non vivere anche un giorno di più nel dubbio.
Ma con il senno di poi (ed è un aspetto per il quale la nostra associazione si impegna molto) l’individuazione e la
presa in carico precoce, doloroso com’è per i genitori, è anche la via migliore per questi bambini perché prima si
interviene più si riesce a stabilire quel contatto per iniziare e tirare fuori ciò che il bambino ha dentro.
Sempre verso l’età di 14 mesi Chiara e noi genitori abbiamo avuto i nostri primi contatti con i servizi della
Neuropsichiatria Infantile dell’ASL 1 di Massa. E’ stata inserita all’asilo nido, alla scuola materna, alla suola
elementare e ora, come già detto, frequenta la scuola media. In ogni passo su questo cammino siamo stati
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sostenuti e consigliati sia dal personale della Neuropsichiatria Infantile dell’ASL sia dagli assistenti sociali, e per
questo ci riteniamo fortunati perché non siamo stati soli, peggior cosa per una famiglia con handicap.
Nel 2003 la Dr.ssa Antonella Pitanti responsabile dell’’Unità Funzionale Salute Mentale Infanzia e Adolescenza
dell’ASL 1 di Massa e Carrara, ha presentato un progetto sperimentale per un Centro Integrato per la Cura dei
Disturbi dello Spettro Autistico in età evolutiva.
Il progetto ha avuto un finanziamento dalla regione Toscana ed è stato avviato con la presa in carico riabilitativa
di una decina di bambini dai 6 ai 13 anni. la nostra associazione, Autismo Apuania, è stata costituita dopo la
nascita del Centro Integrato per la cura dei disturbi dello spettro autistico. Questo perché il Centro ha dato un
riferimento non solo ai nostri figli ma anche a noi genitori. Vedendo il lavoro svolto al Centro, ed il massimo
impegno di tutto il personale, abbiamo tra di noi compreso l’importanza del coinvolgimento anche dei familiari e,
soprattutto, il diverso peso che possiede l’unione, con voce chiara ed univoca, rispetto alle richieste dei singoli.
Chi ci ha conosciuto all’inizio, ai primi piccoli passi, sa con quanta difficoltà siamo partiti e che troviamo ancora
oggi. Da un gruppo quasi di “auto aiuto”, ora operiamo a livello provinciale con affiliazioni nazionali e anche
europee. Dico “auto-aiuto” perché in effetti ci siamo costituiti soprattutto per dare un sostegno a noi genitori
che formava l’iniziale gruppo del Centro Integrato, ma ci siamo accorti subito che i bisogni dei nostri figli
rimanevano senza risposte adeguate e per questo ci siamo mossi in modo da proporci e anche da diventare
interlocutori degli enti locali (provincia e comuni) e dei servizi socio-sanitari aziendali (ASL 1) e privati non profit
(ANFFAS).
Nella sua forma attuale, l’associazione è un gruppo organizzato su basi volontarie per il raggiungimento di
obiettivi comuni non raggiungibili direttamente dai singoli membri. E’ volta alla produzione di un bene comune
che può essere prodotto e fruito soltanto insieme. La capacità dell’associazione nasce proprio dalla solidarietà e
dalla collaborazione.
Nel caso specifico di Autismo Apuania, il bene comune è la tutela dei diritti dei nostri figli, e ci siamo prefissati
dei precisi ambiti di intervento:
-difendere i diritti e le pari opportunità delle persone disabili;
-finalità formative/educative delle persone interessate alle problematiche dell’autismo e dell’handicap in generale
(insegnanti,terapisti, volontari) attraverso corsi, convegni e pubblicazioni;
-stabilire stretti rapporti di collaborazione, collegamento e consulenza con enti pubblici e privati per la creazione
ed organizzazione di servizi finalizzati ad una presa in carico specifica.
A questo proposito vorrei ribadire che la nostra associazione lavoro strettamente in rete con i servizi sociali, i
servizi sanitari, soprattutto con la Neuropsichiatria dell’ASL 1 di Massa-Carrara, con la Provincia di MassaCarrara ed i comuni di cui è composta ed altre associazioni di volontariato, in particolare l’ANFFAS per la
formazione, creazione, programmazione ed organizzazione di servizi adeguati ai bisogni dei soggetti di cui stiamo
parlando.
Enfatizzo “lavorare in rete” perché è solo così, ognuno facendo la propria parte, che si riesce ad ottenere i
risultati tanto necessari.
Inoltre, per ogni ragazzo è necessario realizzare, sulla base della loro valutazione funzionale eseguita dopo la
diagnosi, un programma basato sulla continuità dei servizi, organizzati sia in
senso orizzontale (cioè, per tutto il giorno) che verticale (per tutta la vita).
La continuità verticale significa che il soggetto necessita di un intervento mirato in ogni momento della sua vita, e
che sarà necessaria la presenza di centri specializzati per ogni età:
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-prima infanzia
-età scolastica;
-età adulta;
La continuità orizzontale dei servizi significa predisporre aiuti coerenti in tutti gli ambiti della vita: oltre alla
scuola, centri diurni, aiuti domiciliari e quindi una presa in carico non solo del soggetto ma anche della famiglia.
E grazie anche alla spinta verso la sempre più attuale e necessaria collaborazione tra pubblico e privato non
profit, una volta terminato il progetto regionale per il centro sperimentale, è nata la collaborazione tra l’ANFFAS
di Massa-Carrara e l’ASL per portare avanti il progetto. In effetti, questa collaborazione, nel cui processo di
programmazione abbiamo lavorato anche noi come associazione in rete con gli altri soggetti coinvolti, ha avuto
l’effetto di stabilizzare e far crescere il servizio. In seguito ai primi risultati di efficacia di intervento e al fine di
dare stabilità al servizio anche attraverso la stabilizzazione dei rapporti di lavoro con gli operatori appositamente
formati e ormai coinvolti in tale percorso riabilitativo, ad un anno dall’apertura, la Direzione Aziendale si è
accordata con l’ANFFAS di Massa Carrara, che eroga già per conto dell’azienda prestazioni riabilitative nel
settore della disabilità psicointelletiva per l’assunzione di parte del personale. La convenzione tra i due Enti è
stata appositamente modificata e sono stati disciplinati i rapporti tra l’Unità Funzionale Salute Mentale Zona
delle Apuane ed l’Anffas ed è stata attribuita al responsabile dell’UFSMIA la responsabilità gestionale e clinica del
Centro stesso dando vita ad una reale integrazione tra strutture sanitarie pubbliche e riabilitative private presenti
sul territorio al fine di offrire servizi mirati e appropriati ai bambini con DSA e alle loro famiglie. I professionisti
delle due strutture coinvolti nel processo diagnostico e terapeutico riabilitativo dei bambini con DSA operano
fianco a fianco e tutte le fasi dalla programmazione degli interventi alla loro realizzazione sono condivise.
Si è sviluppato così un modello di intervento la cui caratteristica principale è la fluidità dei percorsi che vengono
proposti e l'adattamento della terapia all’individualità della persona autistico e al suo contesto familiare,
scolastico, ambientale, con il fine di supportare lo sviluppo emotivo e relazionale.
L’intervento si estende, a partire dal bambino, a tutto l’ambiente che lo circonda.
I genitori sono seguiti attraverso incontri periodici di gruppo (due incontri al mese della durata di due ore
ciascuno), così come pure gli operatori scolastici e domiciliari.
Sono previste verifiche periodiche con l’equipe di riferimento. Gli operatori del Centro effettuano riunioni a
diversi livelli (gli educatori tra loro, gli educatori, il neuropsichiatra e la psicologa con il responsabile del centro,
tutti gli operatori con un supervisore).
Costante è la formazione degli operatori sia in sede, attraverso approfondimenti teorici, che fuori sede attraverso
partecipazione a corsi di formazione su metodi, tecniche e strumenti da utilizzare all’interno dei percorsi
riabilitativi.
Da Luglio 2005 il percorso riabilitativo si è arricchito di un nuovo gruppo costituito da bambini di età compresa
tra i 2 e i 5 anni. Anche questa parte di percorso è stata portata a sistema ampliando il protocollo d’intesa tra
Anffas ed ASL.
Ad oggi complessivamente circa 25 soggetti, tra bambini ed adolescenti, usufruiscono di un trattamento
abilitativo-riabilitativo intensivo ed integrato.
Durante il periodo estivo i ragazzi più grandi, per il terzo anno consecutivo, usufruiscono anche di un
ampliamento dell’orario di frequenza (dal lunedì al sabato dalle ore 10 alle ore 18) sperimentando e condividendo
esperienze di vita quotidiana.
L’ampliamento del centro e la necessità di un’ulteriore razionalizzazione del percorso assistenziale ha reso
indispensabile l’individuazione di una sede più idonea che consenta la riunificazione dei tre moduli in un unico
stabile con caratteristiche diversificate e personalizzate per le diverse fasce di età. L’ANFFAS si è fatta carico
della spesa della struttura e insieme al responsabile dell’Unità Funzionale Salute Mentale Infanzia Adolescenza ed
alla rappresentanza di genitori di Autismo Apuania ha progettato la divisione dei locali in base alle esigenze
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riabilitative dei bambini ed adolescenti affetti da autismo. Come dire che dalle esigenze delle persone si è
plasmato il contenitore, l’ambiente terapeutico che deve essere facilitante rispetto agli obiettivi di cura.
La struttura ospiterà soggetti affetti da DSA nella fascia di età tra i 2 e 18 anni e sarà attiva all’inizio del 2008.
Contestualmente all’interno del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda si sta pensando, sempre con
l’Anffas, il percorso a valle del modulo 14/18 anni al fine di garantire la continuità della presa in carico
riabilitativa dei soggetti.
Necessario a questo punto diventa l’arricchimento del modulo prescolare negli aspetti sia della frequenza dei
bambini al trattamento, che del lavoro con i genitori e gli insegnati ed anche delle verifiche dei percorsi
terapeutici che a questa età devono essere più ravvicinate. Sono i genitori stessi e gli insegnanti infatti che
richiedono di essere aiutati maggiormente ad affrontare la quotidianità dei bambini con DSA , i disturbi
alimentari e quelli del sonno che sono spesso in associazione al disturbo, le emozioni e gli affetti che
accompagnano la comunicazione diagnostica e il progetto terapeutico.
In questo modo si è sviluppato un modello di intervento con l’importante caratteristica dell’adattamento della
terapia all’individualità del soggetto autistico e al suo contesto familiare, scolastico ed ambientale con il fine di
supportare lo sviluppo emotivo e relazionale.
Per riassumere, nel trattamento dei bambini affetti da DSA il rapporto pubblico privato no profit, con il
supporto diretto dei familiari interessati, ha prodotto i seguenti effetti virtuosi:
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Consolidamento del servizio nato per bambini in età dai 6 ai 14 anni
Nascita e consolidamento del servizio riabilitativo per bambini in fascia di età 2/5
Consolidamento dei rapporti di lavoro con i professionisti coinvolti nell’attività specialistica
Aumento dei bambini presi in carico, dagli iniziali 10 ai 25 attuali
Nascita di nuovo edificio dedicato all’attività per l’autismo
Ottimizzazione delle risorse economiche senza penalizzazione di altri servizi
Nessun disagio in piu’ per le famiglie dovuto alla collaborazione pubblico privato non profit
In questo momento, vista la lista di attesa di bambini soprattutto nella fascia dai 2 ai 5 anni, si è progettato un
ampliamento delle attività cercando risorse supplettive a quelle messe a disposizione dalla asl.
Fin qui, si può dire tutto abbastanza bene e il lavoro in rete ha portato risultati molto positivi. Però, c’è da
guardare avanti perché il lavoro non finisce con questo.
Per citare alcune statistiche del Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie negli USA, circa 1 su 160
bambini americani nati oggi sono da collocare all’interno dello spettro autistico.
Questo è doppio il tasso di incidenza di 10 anni fa e 10 volte le stime di incidenza di solo una generazione fa.
Sempre riferendomi agli Stati Uniti, per cercare di capire questo mistero che è l’autismo, i finanziamenti federali
stanziati per la ricerca sull’autismo sono stati più che triplicati negli ultimi 10 anni, arrivando alla cifra
indubbiamente importante di US$ 100 milioni. Allo stesso tempo, vengono stanziati US$ 500 milioni per la
ricerca sulle forme di cancro nei giovani, che colpisce un numero di pazienti nettamente inferiore rispetto
all’autismo.
Credo che queste poche cifre facciano comprendere che il problema dell’autismo, e della disabilità in generale, è
notevole e almeno per l’autismo in forte aumento, per motivi ancora non del tutto chiari.
Poco fa ho accennato al “dopo di noi” che tutti noi conosciamo.
La settimana scorsa siamo stati invitati come associazione a partecipare alla Conferenza Aziendale ASL sulla
Salute Mentale a Carrara. Il tema di quell’intervento era “Sempre con noi” e questo è molto importante perché
credo che significhi un cambio di mentalità, forse una più forte presa di coscienza, che accoglie il disabile, che
vuole integrarlo nella società, nel proprio territorio.
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Da una questione, una volta almeno, di cosa fare con il disabile quando la famiglia non c’era più oppure non era
più in grado di tenerlo a tre semplici parole “Sempre con noi”, che per la nostra associazione significano il
problema rimane irrisolto e spetta a noi, alla collettività, fare il nostro meglio per permettere a queste persone di
vivere al massimo delle loro potenzialità, insieme a noi, di pari passo con noi, in modo da poter attingere tutti alla
fonte di ricchezza che offrono.
Le prospettive per il futuro sono molte, in primo luogo la nascita di una casa famiglia, radicata nel territorio,
aperta al territorio.
Il lavoro da fare è ancora tanto e c’è sicuramente bisogno delle istituzioni politiche.
Io non conosco la realtà nel resto del paese. So che da noi, nella provincia di Massa-Carrara è nata una
collaborazione trasparente, positiva e proficua in termini di risultati, con obbiettivi ben precisi e chiari, tra
pubblico e privato non profit.
Credo che nella nostra provincia siamo fortunati, non solo perché esiste questa collaborazione ma soprattutto
perché ci sono persone che hanno pensato al di là dei soliti confini convenzionali, proponendosi e nello stesso
tempo aprendosi a questo tipo di rapporto con il massimo rispetto dei reciproci mandati.
PARI OPPORTUNITA’ NEL PROCESSO DI INCLUSIONE SCOLASTICA
Annalisa Fenzi – mamma di Maria Chiara
Il 06/02/1997 è nata la nostra Maria Chiara con un bagaglio speciale: la sua Trisomia 21.
Come per tutti i genitori, da subito abbiamo cercato di stimolarla affinché acquisisse la massima autonomia
funzionale e logopedica, pur nel rispetto delle tappe evolutive dei bambini affetti dalla sua sindrome.
La portammo così alla scuola materna, dove ci fu il primo contatto con la realtà formativa scolastica.
Ci fu assegnata “dopo varie discussioni con l’assistente sociale del Comune” un’insegnante di sostegno. Giovane,
alla prima esperienza ma preparata e specialmente carica di una umanità capace di creare subito sintonia con la
bambina. Furono anni di paziente lavoro, di preparazione e di studio per tutti ma ripagati con risultati insperati
che sorpresero le insegnanti stesse, scettiche sulle capacità della piccola.
Arrivò così il grande momento: il suo primo giorno di scuola. Ricordo ancora l’emozione di tutta la famiglia, le
aspettative gioiose della Maria Chiara, le inevitabili ansie di noi genitori.
Fummo subito ridimensionati. Alla Maria Chiara assegnarono un’insegnante di sostegno che aveva come
primaria preoccupazione, quella di tenerla fuori dalle ipotetiche situazioni di pericolo, arrivando poi alla decisione
di escluderla, spesso, dalla classe, isolandola dai propri compagni. Questo contribuì, unitamente alla diffidenza ed
ai pregiudizi della gente, a vedere la Maria Chiara come un’isola inavvicinabile. Si creò, negli stessi compagni, una
sorta di “giustificata indifferenza”.
Cercammo di sollecitare un dialogo con l’insegnante, ma la frase era sempre la stessa: “… la Maria Chiara è
bravissima, lavora e si diverte ….”, quasi dovesse sentirsi in dovere di rassicurarci lasciandoci nel nostro limbo.
Ad appesantire la situazione, i frequenti cambi delle insegnanti che non permettevano quella continuità di cui
tanto si parla nella scuola.
Inutilmente ascoltati dalla Direzione Didattica ed esasperati dal fatto che la Maria Chiara stava sempre più
involvendosi ed incupendosi, accentuando la balbuzie fino quasi a non parlare, decidemmo di muoverci cercando
un ambiente più idoneo alla piccola.
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Fu così che incontrammo in associazione una famiglia con un figlio down che avrebbe finito il quinto anno delle
elementari in concomitanza con la fine della seconda elementare della Maria Chiara. Erano contenti dei risultati
ottenuti dalla loro insegnante. Così ci venne l’idea di sperimentare la strada del cambiamento di scuola., di plesso
e anche di casa, con tutti gli inevitabili riflessi economici ed affettivi del caso. Andammo a parlare con la
Direttrice Didattica e definimmo i dettagli. I nostri sforzi furono ripagati. Ci sembrava di vivere in un altro
mondo quanto erano incredibili i cambiamenti di umore, cognitivi e logopedici della bambina. Non solo. Il
contesto era totalmente differente. La Maria Chiara era stata “accolta” dai compagni, dalle insegnanti, dal
personale ausiliario. Tutti con la stessa attenzione ed affetto. La vera differenza, rispetto alla precedente
esperienza è che queste persone, nelle loro competenze, sono state viatico di crescita intellettiva, cognitiva ed
affettiva per la Maria Chiara. Le metodologie e l’attenzione manifestate da subito, pur nella fermezza della
trasmissione delle informazioni, hanno permesso a nostra figlia di far emergere la sua personalità, includendola a
pieno regime nel contesto scolastico. Inoltre, la continuità, verrà confermata dalla precoce “presa in carico” del
team della futura Scuola Media. Nel corso del quinto anno, farà prendere coscienza alla bambina degli spazi e del
personale dedicato che troverà nella nuova scuola, più volte menzionata per il clima di tolleranza e rispetto nei
confronti delle persone con disabilità.
Oggi, possiamo affermare che la Maria Chiara sta vivendo la sua evoluzione scolastica e umana al pari dei suoi
compagni, pur non occultando le logiche difficoltà conseguenti alla sua disabilità. Ma ciò che più ci entusiasma è
la felicità con la quale la piccola quotidianamente manifesta la volontà di recarsi a scuola per imparare e per
incontrare i propri amici, stringendo poi quella rete di rapporti con i propri compagni che sfocia nelle attività
scolastiche comuni, reciproche visite alle varie feste di compleanno od iniziative promosse. Questo
cambiamento, che inevitabilmente ha portato serenità, anche agli altri componenti della famiglia, è stato possibile
anche grazie all’integrazione scolastica, che ha creato nei compagni e nelle rispettive famiglie, quella cultura
dell’accoglienza che permette alle persone con disabilità di sentirsi valorizzate.
Molte saranno le battaglie che dovremo ancora affrontare, ma ciò che è accaduto in questi ultimi anni ci dà
nuova forza, nuovi stimoli e la sensazione di non essere soli.
SCALETTA INTERVENTI
SCUOLA MEDIA STATALE “C. CASTELLER” - Viale Panizza, 4 - 31038 PAESE – TV
PRESIDE
- Paese - Comune - Abitanti
BACCARINI - Scuola Media – Alunni – Docenti
- n. alunni con disabilità da dove
- Ruolo Capo Istituto
- Importanza costruire un gruppo
Proff.ssa
Attività e flessibilità scuola
Daniela
Lab. opzionali
Brussato
Bit a 45’
Scambi - Biblioteca
Progetto UNICEF – Pigotte etc.
-9-
Convegno Nazionale Anffas Onlus
”Non discriminazione=pari opportunità” – Bologna, 20 Ottobre 2007
Pace - Lyons
Coinvolgimento componente collaboratori
Coll. Scol.
Ruolo collaboratori scolastici
Patrizia
Cura alunni con disabilità
Busanello
Serv. Assistenza mensa
Collaborazione con docenti
Progetto accoglienza
Prof.ssa
Raccordo elementare – media - superiore
Silvana
Coordinamento docenti
Cappa
Rapporti con Enti
Formazione Sonologia
PARI OPPORTUNITA’ NEL PROCESSO DI INSERIMENTO ED INCLUSIONE
LAVORATIVA
Maria Grazia Cioffi Bassi – Presidente Anffas Trentino Onlus
“Realizzare le pari opportunità, significa rendere possibile un processo attraverso il quale le differenti società e i diversi ambienti, così
come i servizi, le attività, l'informazione e la documentazione, siano resi accessibili a tutti, specialmente alle persone con disabilità.
Le persone con disabilità sono membri della società e hanno il diritto di rimanere all'interno delle loro comunità. Esse dovrebbero
ricevere il sostegno di cui hanno bisogno all'interno delle ordinarie strutture per l'educazione, la salute, l'impiego e i sevizi sociali.
Quando le persone con disabilità acquisiscono uguali diritti dovrebbero anche avere uguali doveri. Quando questi diritti saranno
acquisiti, le società dovranno accrescere le loro aspettative verso le persone con disabilità. Come parte del processo delle pari
opportunità, bisognerebbe provvedere affinché le persone con disabilità assumano la loro piena responsabilità come membri della
società. “
(Assemblea Generale delle Nazioni Unite - 20 dicembre 1993)
Tali principi, se riferiti a persone con disabilità che vengono inserite al lavoro, andrebbero espressi all’interno di
un approccio metodologico che cerca di conciliare il perseguimento dei diritti della persona con
l’ottemperamento dei doveri del dipendente assunto. La possibilità, per un lavoratore in situazione di svantaggio,
di accedere ad un’occupazione dignitosa e di ricevere delle responsabilità dall’azienda che lo assume dipende dalla
forma di collocamento realizzata, nel giusto compromesso tra domanda e offerta di lavoro.
L’integrazione lavorativa deve fondarsi sul giusto connubio tra:
FORZA LAVORO DELLA PERSONA CON DISABILITA’:
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Convegno Nazionale Anffas Onlus
”Non discriminazione=pari opportunità” – Bologna, 20 Ottobre 2007
z
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Attitudini e predisposizioni personali
Capacità e competenze operative
Compatibilità tra tipo di disabilità e occupazione
Aspetti di maturazione affettiva e relazionale
Aspettative personali e consapevolezza della propria identità adulta e del ruolo di lavoratore da rivestire
Aspettative familiari rispetto al lavoro e alla possibilità di crescita ed emancipazione personale del figlio
con disabilità
MERCATO DEL LAVORO:
z
z
z
z
z
Tipologia produttiva
Disponibilità secondo la legge 68/99
Spazi per assegnare mansioni utili
Caratteristiche dell’ambiente di lavoro (ritmi, dinamiche e relazioni fra colleghi)
Livello di sensibilità del contesto produttivo (colleghi e datore di lavoro)
Un collocamento è ben riuscito quando:
•
•
viene individuata la nicchia produttiva più adatta a impiegare le potenzialità lavorative residue della
persona da inserire
la persona da inserire è adeguatamente formata e sostenuta per consolidare le
proprie competenze
Il Servizio di Inserimento Lavorativo di Anffas Trentino onlus realizza una serie di interventi volti a favorire la piena integrazione
lavorativa della persona con disabilità, nell’ottica di un dignitoso collocamento, dove la persona si sente valorizzata e l’azienda ne
riconosce l’apporto produttivo, in una logica di investimento reale e non di pietismo.
Il servizio si colloca nella parte finale del Progetto Per.La. - “Percorso Lavoro” e si articola in un insieme di
interventi finalizzati ad inserire la persona nel mercato del lavoro.
Esso prevede:
La formazione sul campo
L’accompagnamento all’inserimento lavorativo
L’azione di mantenimento
La riqualificazione professionale
1. LA FORMAZIONE SUL CAMPO
Si tratta di un intervento individualizzato a finanziamento FSE, tirocinio formativo che si realizza presso
un’azienda o un ente, possibilmente disponibile ai sensi della L. 68/99.
La persona è affiancata da un tutor.
La durata del tirocinio è di un’annualità, ripetibile fino ad un massimo di due.
2. L’ACCOMPAGNAMENTO ALL’INSERIMENTO LAVORATIVO
Il tirocinante, alla fine dell’esperienza formativa sul campo, viene seguito rispetto a tutte le procedure
necessarie all’assunzione:
-
accertamento invalidità civile c/o uffici competenti
iscrizione nelle liste collocamento - L. 68/99
collaborazione con operatore del Centro per l’Impiego
tenuta dei contatti con i referenti aziendali per l’attivazione delle procedure d’assunzione e loro eventuale
rinnovo
tenuta dei contatti con i servizi sociali
cura dei rapporti con i famigliari
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Convegno Nazionale Anffas Onlus
”Non discriminazione=pari opportunità” – Bologna, 20 Ottobre 2007
La persona è seguita anche rispetto all’impostazione iniziale del lavoro, attraverso la predisposizione di tutti
gli accorgimenti tecnici necessari (mansionario, ausili facilitanti, sensibilizzazione dei colleghi di riferimento).
Tale intervento e’ reso possibile grazie ad una CONVENZIONE CON L’AGENZIA DEL LAVORO, che
rappresenta uno degli interlocutori privilegiati del servizio.
3. L’AZIONE DI MANTENIMENTO
Oltre ad avviare la persona al lavoro, il servizio si propone di aiutarla a consolidare le proprie competenze
operative e relazionali e di incrementarne la professionalità perché sia in grado di mantenersi l’occupazione nel
tempo.
Per questo l’andamento lavorativo viene monitorato anche nel medio lungo periodo con visite sistematiche sul
campo e confronti con i colleghi, intervenendo in modo mirato per la risoluzione dei problemi.
Più la persona dimostra di sapersi arrangiare senza problemi, più diradato diventa il monitoraggio.
Anche questo intervento è contemplato nella CONVENZIONE CON L’AGENZIA DEL LAVORO, che
finanzia questo tipo di sostegno fino a due anni dopo che la persona è stata assunta a tempo
indeterminato.
4. LA RIQUALIFICAZIONE PROFESSIONALE
Nel tempo l’assetto lavorativo del dipendente con disabilità può modificarsi per sostituzione dei colleghi,
demansionamento, spostamento di sede, esternalizzazione di alcuni servizi a cui era stato assegnato in origine,
calo di motivazione del lavoratore, ecc.
In seguito a segnalazioni di questo tipo, il servizio, dopo un esame di fattibilità, può mettere a disposizione il
proprio personale.
Per un periodo di tempo limitato la persona viene seguita in modo intensivo mentre lavora, al fine di
ripristinare le condizioni sufficienti ad una nuova stabilità occupazionale.
La persona da riqualificare può non essere già in carico al servizio e venire segnalata dall’Agenzia del Lavoro o
dai Servizi Sociali. In tal caso si valuta se l’intervento è comunque realizzabile.
Al Servizio di Inserimento Lavorativo possono accedere:
Gli allievi con disabilità intellettiva e/o relazionale frequentanti una delle Sedi Per. La. - nell’arco
dei 5 anni di formazione previsti (Trento, Arco, Borgo, Cavalese, Fiera di Primiero, Pozza, Rovereto);
Le persone con disabilità intellettiva e/o relazionale non ancora in carico all’Associazione, segnalate
dai servizi competenti: Agenzia del Lavoro, Servizi Sociali.
Per l’accesso al servizio la persona deve aver comunque assolto l’obbligo scolastico. L’età media dei soggetti
presi in carico dal servizio si aggira intorno ai 20-23 anni.
Il Servizio di Inserimento Lavorativo è rappresentato dalle seguenti FIGURE PROFESSIONALI:
Durante la formazione sul campo o tirocinio formativo sono previsti il TUTOR (assistente
educatore Anffas che affianca continuativamente l’allievo tirocinante per buona parte della durata del
percorso) e il COORDINATORE DEI TIROCINI (che ha il compito di progettare e supervisionare
i percorsi, verificandone l’andamento e il perseguimento degli obiettivi). Il finanziamento è reperibile sul
Fondo Sociale Europeo.
Le fasi di accompagnamento all’inserimento lavorativo, di mantenimento e di riqualificazione
professionale sono gestite dal MANAGER DI RETE. Il finanziamento è stato reperito inizialmente
sul Fondo Sociale Europeo. Tale professionista cura l’intera rete dei rapporti istituzionali e operativi con
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Convegno Nazionale Anffas Onlus
”Non discriminazione=pari opportunità” – Bologna, 20 Ottobre 2007
i vari partner coinvolti rispetto all’avviamento, mantenimento e riqualificazione del lavoratore (persona,
famiglia, Agenzia del Lavoro, aziende ed enti, APSS, servizi sociali territoriali).
Tutti gli interventi sono infine supervisionati dal RESPONSABILE INSERIMENTI LAVORATIVI.
Dal 2000 ad oggi il servizio ha in carico una trentina di persone tra interventi di tirocinio formativo,
accompagnamento, mantenimento e riqualificazione professionale.
I lavoratori assunti, sia nel pubblico, che nel privato, a distanza di anni dimostrano di mantenere in modo
soddisfacente e dignitoso la loro posizione lavorativa.
Le professioni più diffuse riguardano i profili di coadiutore amministrativo, addetto ai servizi ausiliari,
aiuto commesso, operaio, aiuto segreteria, aiuto bibliotecario.
I settori produttivi più gettonati per gli inserimenti sono gli uffici comunali e provinciali, i supermercati di
medie dimensioni, le biblioteche, le scuole materne e le industrie ove prevale ancora l’utilizzo di
manodopera a basso rischio.
Tutti i lavoratori hanno acquisito le necessarie competenze attraverso una formazione sul campo.
Elisabeth Dusol - mamma di Sophie e Presidente Associazione “Les papillons blancs”
Le sujet de mon intervention de ce jour concerne l’intégration par le travail de ma fille aînée, Sophie, qui est à
mes côtés.
Mais pour bien appréhender cette mise au travail, je dois commencer par quelques mots de son enfance. Sophie
est l’aînée de nos 5 enfants, et a manifesté très jeune du dynamisme et de la volonté à « apprendre ». Nous avons
soutenu certes ses projets, mais rien n’aurait pu se faire sans sa volonté, je tenais à le préciser.
En France, l’inscription des enfants en école commence seulement à voir le jour avec la loi de 2005, mais à
l’époque, il y avait des possibilités en fonction de l’enfant et surtout de la directrice de l’école qui acceptait ou
non. Par chance nous avons donc pu mettre Sophie en maternelle, donc de 2ans 1/2à 7ans, ce qui lui a permis de
rencontrer très vite les enfants de son âge et d’apprendre les consignes. Elle a ensuite rejoint un établissement
spécialisé, d’abord à côté de chez nous pendant 4 ans, puis en Belgique, où elle fut pensionnaire et a pu se former
au travail qu’elle fait aujourd’hui. Ce choix avait été fait pour lui apprendre à quitter un peu le cocon familial, et
pour lui permettre d’acquérir d’autres savoirs absents dans nos établissements français, comme la lecture et
l’écriture. A ce jour, elle a une lecture très limitée et globale, mais pas d’écriture, si ce n’est son nom et son
adresse. Son élocution est également difficile à comprendre, mais cela ne l’empêche pas d’aimer s’exprimer.
A 20 ans, elle revient en France, or la liste est longue pour accéder à nos centres d’aide par le travail (CAT) qui
constituent la grande majorité de nos orientations pour les personnes handicapées mentales (environ 7 à 8ans).
Comme je venais d’arrêter mon travail, nous avons cherché pour elle des solutions d’attente afin d’éviter l’ennui
de rester à la maison. C’est ainsi qu’elle a fait des stages dans un CAT avec une Repasserie, puis elle a travaillé
bénévolement dans un établissement avec internat pour enfants polyhandicapés de l’association, pendant 2 ans,
ce qui a complété sa formation en repassage.
En arrière de tout cela, il y avait l’indépendance à prendre au niveau des transports. Au début elle a pris le bus de
l’IME, mais très vite, elle a appris a aller à la gare de chez nous et prendre le train pour se rendre à
l’établissement.
Nous avons acheté pour elle un téléphone pour lui permettre de nous joindre en cas de difficultés, et prévenir de
son arrivée.
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Convegno Nazionale Anffas Onlus
”Non discriminazione=pari opportunità” – Bologna, 20 Ottobre 2007
En Novembre 2000, à l’ouverture du Foyer de vie, le directeur a proposé de faire un essai avec Sophie, en
lingerie, avec bien sûr une Maîtresse de Maison intervenant à ses cotés. Nous avons du réapprendre le parcours
pour aller à ce travail en bus, elle s’est perdue de nombreuses fois, mais aujourd’hui tout est rentrée dans l’ordre
et quand elle se trompe, elle sait le gérer par elle-même.
Depuis cette date Sophie tient ce poste, et fait régulièrement l’objet de synthèses avec un éducateur du service de
suivis des personnes comme elle en autonomie par le travail (SISEP).
Ce service crée en1992 regroupe un chef de service, et 5 accompagnateurs d’insertion. A ce jour 137 personnes
sont suivies, dont 57 en CDI, 19 en CDD, le reste des personnes étant dans une démarche soit de formation ou
de stage.
Pour permettre une meilleure insertion ce service travaille avec l’ensemble des partenaires qui composent
l’environnement de la personne handicapée : famille, délégués à la tutelle, travailleurs sociaux …
Vous trouverez en annexe le public accueilli dans ce service et son mode de fonctionnement.
Par ailleurs, avec Sophie, nous avons continué l’insertion par le loisir.
Elle joue au Bowling dans une équipe toutes les semaines, seule personne handicapée de l’équipe et cela se passe
bien, car elle y ait bien acceptée en tant que telle.
Elle a aussi repris le Judo depuis 3 ans dans un club de jeunes du quartier, et c’est aussi une expérience à sa
hauteur qui lui permet de faire un peu de sport.
Depuis 2 ans, elle participe à des cours de cuisine dans un Centre Social. Sans être vraiment adapté à ses
difficultés, cela lui permet de s’initier et d’aider aux réalisations culinaires des participants.
Nous avons dernièrement fait des démarches à l’association pour qu’elle prenne son indépendance de la maison.
Elle est sur une liste d’attente pour un studio dans une résidence service géré par les Papillons Blancs. Cette
résidence étant proche du centre ville et de chez nous, nous espérons qu’elle s’y plaira et progressera dans ses
acquis et son indépendance vis-à-vis de la famille.
Je vous remercie de votre attention et vais laisser la place à Sophie pour qu’elle vous explique en image son
travail.
Le public accueilli au SISEP
(Le descriptif ci-après nous donne «une photo» du public accueilli au SISEP au cours de l'année 2006).
Les adultes accompagnés par notre service sont âgés de 19 à 58 ans. Ce sont en majorité des hommes (64 %).
Tous sont reconnus «travailleurs handicapés» par la COTOREP 1 pour troubles de l’efficience
intellectuelle, à des degrés divers : 30 % bénéficient d'une orientation professionnelle vers un ESAT
(Etablissement et Service d'Accueil par le Travail), 40 % sont orientés vers le milieu ordinaire avec une mention
«Entreprise Adaptée», 4 % bénéficient d'une orientation vers le milieu ordinaire de travail ; les autres personnes
n'ont pas demandé d'orientation (ce qui est considéré par défaut comme une orientation vers le milieu ordinaire
de travail).
Commission Technique d’Orientation et de Reclassement Professionnel à ce jour remplacée par la Commission des
Droits et de L’Autonomie
1
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Convegno Nazionale Anffas Onlus
”Non discriminazione=pari opportunità” – Bologna, 20 Ottobre 2007
La plupart des personnes vivent en autonomie (70 %) et peuvent être aidées ou non par un service
d'accompagnement à l'habitat. Certaines (24 %) vivent en famille (chez leurs parents) et d'autres en foyer
d'hébergement (6 %).
60 % des personnes accompagnées ont suivi une scolarité en éducation spécialisée: IME(institut médico
éducatif), IMPRO(institut médico professionnel), les 40 % restants ont été scolarisés en milieu ordinaire (pour la
plupart dans des classes adaptées).
Les personnes accompagnées nous sont adressées :
•
par les partenaires des établissements spécialisés (des champs scolarité, travail, hébergement) de l’APEI
ou autres.
• par les services de droit commun (ANPE, missions locales...),
• par les partenaires sociaux : (Délégués à la tutelle, assistants sociaux…)
• par le «bouche à oreille»: les personnes elles-mêmes, les proches, les entreprises…
A leur arrivée au service, 30 % viennent d’établissements spécialisés (scolarité ou travail adapté), 40 % sont
demandeurs d’emploi, 30 % bénéficient d'un contrat de travail mais sont en situation précaire.
En termes d'accompagnement, 85 % des personnes sont dans une phase de définition de projet et d'accès à
l'emploi,
les
15
%
restants
sont
dans
une
phase
de
maintien
à
l'emploi.
PARI OPPORTUNITA’ NEL PROCESSO DI VITA INDIPENDENTE
Paolo Ferraresi – fratello di Angela
Mia sorella Angela è affetta da ipoevolutismo da mancato sviluppo della ghiandola ipofisaria e si trova in terapia
antidepressiva da circa 14 anni.
Angela ha vissuto in famiglia con i nostri genitori fino alla loro scomparsa e oggi, dopo un inserimento lavorativo
mirato con intervento di Anffas Onlus Bologna presso due aziende tessili, lavora presso una di queste in qualita’
di operaia. Nonostante il suo carattere chiuso, introverso, addirittura diffidente riesce ad instaurare relazioni
affettive e di stima sul lavoro, a rispettare le regole lavorative dell’ambiente ed a lavorare con precisione.
Dopo la scomparsa di mio padre e le precarissime condizioni di mia madre ho deciso di abbandonare il mio
appartamento per trasferirmi in ambiente attiguo alla casa di famiglia dove mia sorella vive.
Oggi mia sorella può continuare a vivere nella sua casa, nel suo ambiente, nella sua camera che ha voluto
ritrasformare a suo piacimento dopo la scomparsa dei miei (prima non le era mai stato possibile) grazie ai
seguenti fattori:
1) Buone relazioni con l’Usl interessata a seguire mia sorella con una certa costanza sempre in
collaborazione con i tecnici di riferimento Anffas;
2) L’intervento Usl principale si attua tramite operatrice Anffas presente tutte le mattine per seguirla nella
preparazione della giornata ed avviarla al lavoro e qualche intervento di tempo libero pomeridiano;
3) Grazie all’aiuto degli operatori viene garantito a mia sorella, che ha discrete competenze nell’ambiente di
lavoro e domestiche, ma non ha assolutamente autonomia organizzativa, di essere controllata nell’igiene
personale e stimolata a comunicare da persone che le danno sicurezza. Gli operatori l’affiancano per gli
acquisti necessari ad una gestione della casa;
4) La mia decisione di vivere in un ambiente attiguo ha permesso di realizzare un progetto di vita per
Angela
con
un
intervento
garantito
dall’ente
pubblico.
Non so se da questa mia relazione sia possibile estrapolare indicazioni utili anche ad altre famiglie.
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Convegno Nazionale Anffas Onlus
”Non discriminazione=pari opportunità” – Bologna, 20 Ottobre 2007
Quello che io ho capito è che, almeno a Bologna, un rapporto costante e collaborativo con l’Usl e
l’affiancamento di tecnici e operatori Anffas (grazie alla loro professionalità) hanno permesso in questa fase della
nostra vita di creare ad entrambi una discreta autonomia.
All’Usl un intervento di questo tipo certamente conviene in quanto evita di inserire mia sorella in un residenziale,
ma contemporaneamente ad ella viene permesso di continuare a vivere nella sua casa, circondata dalle sue cose e
dagli affetti di persone fidate che conosce da tempo e che non cambiano, di non sradicarsi in sostanza dalle sue
abitudini più positive. A me, familiare, che ho dovuto, a sessant’anni, cambiare casa ed in parte la mia vita, viene
permesso ugualmente di poter avere una certa libertà e tempo libero da dedicarmi. Posso, a volte, assentarmi, in
sostanza, previa ovviamente il coordinamento con le altre figure di supporto.
So che ci sarà sempre qualcuno alla mattina che arriverà per avviare al lavoro Angela. Lei arriva dal lavoro al
pomeriggio, ma anche quando io non ci sono verso sera arriverà sempre una persona di riferimento. Ci sarà
sempre la sua operatrice in qualche intervento pomeridiano, utile per riempirle un poco la vita con attività di
laboratorio o con qualche compera o cucinando insieme e per fare verifiche e considerazioni sulle sue attività
svolte e programmare le cose da farsi per l’immediato futuro.
Il “dopo di noi “ per ora è stato risolto in questo modo e mi sembra che sia soddisfacente.
Giovanni Battista Pesce – papà di Ninfa e Presidente Associazione AICE Bologna
Il tema della vita indipendente si manifesta sin dal primo momento a seguito della diagnosi di invalidità e si
concretizza in tutte le fasi dell’arco della vita sulla base della definizione del progetto personalizzato di
integrazione socio sanitario. Qui il tema della vita indipendente armoniosamente connesso con quello del “dopo
di noi” si incentra in particolare sul momento del percorso di autonomia della persona con disabilità dal suo
nucleo famigliare. A Bologna, oltre le ricche esperienze acquisite sul sistema delle residenze e semi residenze, si è
determinata per proposta di un’associazione l’operante convergenza di diverse associazioni rappresentanti di
diverse disabilità. Il progetto vis (vita indipendente e solidale) ha sede grazie al Comune di Bologna, presso un
immobile di 27 appartamenti indipendenti con il proprio giardino e area verde collettiva. In questa struttura si sta
sviluppando una comunità di studenti universitari fuori sede e lavoratori con disabilità assieme a studenti
universitari di scienze dell’educazione. La comunità gestirà i propri bisogni (espressi su piani di adesione
personalizzati al progetto tramite un comitato di gestione che a rotazione comprenderà tutti i componenti della
comunità e di un portinariato sociale con funzioni di affiancamento e riferimento), l’adesione al progetto sarà
onerosa su limitata quota comprensiva delle utenze che saranno utilizzate oltre alle utenze e alle spese di
ordinaria amministrazione. Per la qualificazione dei progetti di vita dei componenti e la comunità con invalidità si
stanno terminando i lavori di arredo e siamo pronti a partire.
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Convegno Nazionale Anffas Onlus
”Non discriminazione=pari opportunità” – Bologna, 20 Ottobre 2007
Traccia delle testimonianza
PARI OPPORTUNITA’ NEL PROCESSO DI INSERIMENTO LAVORATIVO
Maria Grazia Cioffi Bassi – Presidente Anffas Trentino Onlus
Ventisette anni fa quando è partito il progetto del Centro Piccoli Down (ora Paese di Oz) avevamo tutti, noi
genitori, l’idea di voler integrare i nostri bambini dapprima nella scuola e poi nel mondo del lavoro e siamo partiti
con grande entusiasmo per perseguire questo scopo. Dieci anni dopo, anche per scelta delle famiglie che allora
avevano figli adulti la risposta che l’Anffas di Trento dava ai ragazzi erano i laboratori protetti, salvo un gruppo di
quattro di loro che lavoravano presso un’azienda. Questa soluzione ci sembrava riduttiva rispetto a quello che noi
vedevamo possibile e ci aspettavamo per i nostri figli.
C’erano state anche quattro esperienze di inserimento lavorativo, che erano però fallite, e i ragazzi erano poi
rientrati al laboratorio.
Quando abbiamo provato a immaginare l’inserimento lavorativo dei nostri figli, abbiamo fatto un incontro con
queste famiglie per capire per che motivo era fallita la loro esperienza e la risposta fu che, fino a quando i ragazzi
erano tirocinanti, da parte dei colleghi c’era una buona disponibilità. Il problema era sorto quando erano stati
assunti, perché i colleghi pretendevano – a parità di stipendio – che le prestazioni dei ragazzi fossero le stesse che
davano loro per cui i ragazzi non sopportavano le pressioni, mettendo in atto comportamenti problematici.
Abbiamo quindi variato tutti i nostri percorsi di formazione professionale in modo da formare i ragazzi ad essere
lavoratori, più che a fare un lavoro, con grande attenzione a favorire la crescita della personalità di ciascuno, in
questo agevolati dalle disposizioni della L. 68 del ’99 - riforma del collocamento obbligatorio - che prevede il
cosiddetto inserimento mirato, ossia la possibilità per una persona in situazione di svantaggio di essere assunta in
base alle proprie predisposizioni, seguendo un mansionario di lavoro ritagliato su misura. Ci siamo quindi
inventati la figura del “Manager di Rete” (inizialmente finanziato sul fondo sociale europeo, come è stato detto,
ora a carico dell’Agenzia del Lavoro con cui siamo convenzionati) che dovrebbe prevenire tutte le possibili
difficoltà che si possono verificare nel corso di un rapporto di lavoro. Questa figura tiene i collegamenti
lavoratore – datore di lavoro – diretti superiori e colleghi – servizi sociali – famiglie – Anffas.
Una ricerca da noi effettuata nel 2000 ha infatti messo in risalto come le difficoltà delle aziende ad assumere
persone con disabilità siano soprattutto legate a una scarsa conoscenza diretta del problema.
Abbiamo così potuto verificare come davvero si appianano le cose, grazie al fatto che c’è una mediazione di un
esterno, sia nel delicato momento iniziale della concretizzazione del rapporto di lavoro, sia nella fase successiva di
mantenimento della posizione lavorativa acquisita. Infatti, rispetto alle quasi trenta esperienze di questi ultimi
anni, i casi che si sono distinti come situazioni a rischio sono quelle che vedono le famiglie ingerirsi troppo nella
vita lavorativa del figlio (per esempio con telefonate ai colleghi), senza utilizzare la figura di mediazione del
manager di rete. La famiglia insomma pretende il figlio lavoratore, senza però avere fiducia nelle sue capacità di
autogestione e di relazione adulta con i colleghi.
Parallelamente all’inserimento lavorativo si è cercato di dare spazio ai lavoratori anche al di fuori del contesto
lavorativo, con incontri di gruppo fra pari, in presenza del Manager di Rete, per accrescere un senso di identità
adulta e di ruolo. Si è rilevato un momento di confronto molto utile rispetto alla possibilità di ciascuno di
riconoscersi in esperienze similari, che ha migliorato la capacità di affrontare i vissuti professionali.
Per incentivare la loro autonomia anche su piani diversi da quello lavorativo, siamo partiti lo scorso anno con un
progetto sperimentale in collaborazione con l’Università degli Studi di Trento, volto a testarne la loro capacità di
vita autonoma futura, attraverso le varie esperienze di gestione e cura della propria persona.
La mia esperienza è quella di tutti Voi genitori di fronte ai cambiamenti che coinvolgono i nostri figli: grande
ansia nei passaggi da scuola materna all’elementare, alle medie, alle superiori.
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Convegno Nazionale Anffas Onlus
”Non discriminazione=pari opportunità” – Bologna, 20 Ottobre 2007
Mio figlio ha frequentato la scuola professionale per rilegatori degli Artigianelli di Trento. Nel corso dell’ultimo
anno (il terzo) ha fatto un’esperienza lavorativa organizzata dalla scuola presso l’Ufficio duplicazioni della
Provincia Autonoma di Trento (una mattina alla settimana il suo insegnante lo accompagnava sul lavoro e si sono
così potute individuare le sue attitudini). Alla fine dell’alternanza scuola-lavoro ha fatto due anni di tirocinio
sempre sullo stesso posto di lavoro, con un tutor fornito dall’Anffas e finanziato sul fondo sociale europeo. Lo
abbiamo poi iscritto alle liste di collocamento. Si è quindi affiancata l’Agenzia del Lavoro di Trento e tutto ciò ha
portato a un primo contratto di due anni con la Provincia Autonoma di Trento, al termine dei quali è stato
assunto con contratto a tempo indeterminato, per quattro ore al giorno per cinque giorni alla settimana. E’ molto
integrato e benvoluto dai colleghi, che quando organizzano cene tra di loro lo vengono a prendere e lo
riaccompagnano alla fine della serata e lo coinvolgono in tutti gli avvenimenti che toccano da vicino le persone
del suo ufficio.
E’ molto autonomo, al mattino si alza da solo, si prepara, fa colazione, va a prendere l’autobus e torna da solo,
sempre in autobus. In estate, quando siamo al lago, va al lavoro e torna in corriera. Anche negli altri spostamenti
in città usa l’autobus (piscina, palestra per judo, frequenza Centro “Cresciamo Insieme”, ecc…).
Questo crea in noi familiari una certa preoccupazione, ma finora non ci sono stati episodi sgradevoli. Allo stress
ci siamo abituati, come penso tutti Voi, e guardiamo con serenità al suo futuro, consapevoli che se dovessimo
renderci conto che lui non si trova bene sul posto di lavoro saremmo i primi a cercare di capire il perché e trovare
soluzioni diverse (detto per inciso in sette anni non è mai mancato un giorno dal lavoro per malattia, non ho
chiesto l’applicazione della L. 104 – 3 giorni al mese permesso retribuito – perché ritengo che devono avere gli
stessi diritti e doveri degli altri e anzi faccio fatica addirittura a fargli chiedere le ferie).
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