I grandi navigatori

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I grandi navigatori
www.solovela.net
Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela
I grandi navigatori
La sfida dei fenici
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In alto, antiche monete.
A lato, le principali colonie fenicie
nel Mediterraneo.
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Gli occhi disegnati sulle prue delle loro navi
li hanno guidati in tutti i mari conosciuti e non,
sino ad arrivare dove il mondo finiva
in un mare di fuoco
di Simone Tarasca
avigatori, commercianti, colonizzatori, ingegneri, ma anche pirati, saccheggiatori, torturatori: tutto questo furono i Fenici, una delle popolazioni più influenti nella storia del Mediterraneo.
“I Fenici inventarono i commerci”, affermava Plinio (scrittore latino del I secolo dopo Cristo) non a torto: padroneggiavano i
venti e le correnti da un capo all’altro del Mediterraneo, la loro superiorità tecnica nella realizzazione di imbarcazioni e la loro abilità
marinara non avevano eguali in tutto il
mondo allora conosciuto.
Popolo semitico originario della stretta pianura delimitata a ovest dal Mar
N
A sinistra,
moneta punica
in argento
(320-306 a.C)
116 Aprile 2005
Mediterraneo e a est dalle alte montagne boscose del Libano (in un
territorio che corrisponde più o meno all’odierno Israele), i Fenici
trovarono questo terreno, benchè fertile, non sufficientemente produttivo per poter soddisfare le esigenze del proprio popolo. Per questo motivo si spinsero verso il mare, oltre a ottimi agricoltori si rivelarono eccellenti navigatori e fondarono peraltro, numerose colonie (tra le quali Cartagine, Sidone e Tiro).
Di certo ai loro contemporanei poteva apparire strano doversi confrontare con uomini che indossavano curiosamente capi di color
porpora (ottenuti dal commercio di un mollusco di cui detenevano
il monopolio) e ,soprattutto, che governavano imbarcazioni dall’aspetto zoomorfo: due grandi occhi raffigurati ai lati della prua permettevano di “vedere” la rotta e, nelle navi mercantili, un fregio
aveva generalmente la forma di una testa di cavallo (antico simbolo di ricchezza) o di ala di uccello (per permettere alla nave di “volare” metaforicamente sulle onde).
La messa in acqua di simili imbarcazioni e l’inizio della stagione
commerciale - che per i Fenici corrispondeva all’arco di tempo compreso fra marzo e ottobre - coincideva con cerimonie propiziatorie,
a volte particolarmente cruente: si narra infatti che, in particolari
Ebusos
momenti, alcune navi da guerra cartaginesi furono varate facendole
scorrere sui corpi di prigionieri di guerra (che sostituivano i comuni rulli con il proprio corpo).
Orientandosi anche grazie alla stella polare (la “Stella Fenicia” per i
Greci), i Fenici navigarono in lungo e in largo il Mediterraneo e, a
quanto sembra, non si accontentarono solo del “Mare Nostrum”.
Alcuni frammenti di testimonianze e diari di bordo pervenutici, raccontano (a cavallo fra realtà e mitologia) di viaggi oltre le Colonne
d’Ercole - “nel mare che gli uomini chiamano Oceano” - alla continua ricerca di nuove fonti di approvvigionamento e di popolazioni
con le quali effettuare scambi commerciali.
La prima, semileggendaria, avvenne per iniziativa del faraone Necao - che regnò dal 606 al 595 a.C. - con il quale l’Egitto, già caduto sotto il dominio assiro, ebbe un nuovo periodo di indipendenza e di splendore. Necao, che progettava anche di unire il Nilo
col Mar Rosso (creando così un passaggio fra i due mari), si valse
di marinai fenici per effettuare la circumnavigazione dell’Africa.
Narra Erodoto che la spedizione, partita dal Mar Rosso, navigò per
il Mare Australe, ossia l’Oceano Indiano. Fermandosi a terra ogni
volta che giungeva l’autunno, i marinai si preoccupavano di semi-
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nare e attendere la mietitura, poi riprendevano il
viaggio. Dopo tre anni di viaggio, i navigatori
attraversarono le colonne d’Ercole, tornarono in
Egitto e raccontarono incredibili esperienze. Tra
le avventure più sorprendenti si narra che, a un
certo punto della navigazione, avevano visto il
sole sorgere alla loro destra. Tale sconvolgente
affermazione mandò su tutte le furie il Faraone un’eresia per lui il fatto che il Dio Sole sorgesse
dalla “parte sbagliata” - e costò la testa agli sfortunati marinai. Ai giorni nostri potremmo affermare, invece, che è proprio questa notizia a confermare la realtà
del viaggio: le navi, doppiato il Capo di Buona Speranza e
risalendo verso nord, dovettero effettivamente avere alla
loro destra l’oriente (fino ad allora a sinistra).
Le altre spedizioni furono intraprese per iniziativa dei marinai cartaginesi e dei loro comandanti Imilcone e Annone, vissuti
fra il VI e il V secolo a.C.
“(...)Non vi è brezza che spiri guidando la nave, tanto fermo è il
pigro vento dell’ozioso mare(...)alghe dovunque sparse tra le onde impediscono la rotta come fossero rami rendendo le navi putride(...). Il mare ha poco fondo (...) mostri marini spaventosi si
aggirano nuotando fra le navi che lentamente avanzano(...)”: le
parole dell’ammiraglio Imilcone, già celebre nella sua città per
aver posto l’assedio a Siracusa, descrivono il paesaggio che ci si
sarebbe trovati di fronte, una volta oltrepassato lo stretto di Gibilterra. È probabile che Imilcone avesse deciso di diffondere tali fantasiose e terrorizzanti notizie nel tentativo di dissuadere i
Greci dal compiere lo stesso tragitto, alfine di mantenere il monopolio sul commercio delle acque che si apprestava a navigare.
Per sciogliere eventuali dubbi, è giusto chiarire che una zona simile esiste realmente ed è il Mar dei Sargassi: tristemente noto
per le alghe (il sargasso per l’appunto) che lo ricoprono e per le
improvvise e durevoli bonacce, che costringevano le navi a vela a
rallentare la loro traversata. La zona descritta, infatti, è anche conosciuta con il nome di Latitudine del Cavallo: chiamata Aprile 2005 117
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In alto, collana in
vetro (725 - 700
a.C.), tipica
produzione
artigianale fenicio
- punica. A destra,
un “alabastron” in
vetro blu
translucido, giallo
e bianco (II - I
sec. a. C.)
così dagli Spagnoli che erano costretti, al terminare delle scorte di cibo, a
uccidere i propri cavalli per sopravvivere.
Lo stratagemma funzionò così bene che per
secoli si credette che oltre le Colonne d’Ercole il mondo terminasse.
Il comandante cartaginese risalì il continente dalla Spagna alla Francia, attraverso il golfo di Biscaglia, fino a raggiungere la Bretagna e le Isole Britanniche.
Nonostante il navigatore non avesse incontrato mostri marini, il
suo viaggio ha qualcosa di prodigioso: fu il primo che portò fra i
popoli del Mediterraneo notizie dell’Inghilterra, una favolosa isola del nord che i Greci e i Romani chiamarono poi Britannia e dalla quale si ricavava il prezioso stagno (oggetto di intenso commercio fra i navigatori fenici e gli abitanti dell’isola), tanto da far
nominare quelle terre Cassiteriti o “isole dello stagno”. Il traguardo raggiunto non è affatto male per imbarcazioni
che, data la loro conformazione, potevano sfruttare
unicamente il vento proveniente da poppa!
Ancora più spettacolare è il racconto del viaggio
che vide protagonista Annone, geografo e comandante cartaginese vissuto negli stessi an-
118 Aprile 2005
ni di Imilcone. Annone salpò dalla sua terra al comando
di una flotta, composta da una sessantina di navi e da
circa tremila uomini (ma alcune fonti parlano addirittura
di trentamila, cifra che onestamente appare eccessiva),
volgendo le vele questa volta verso Sud e navigando lungo le coste occidentali dell’Africa.
Secondo il resoconto del viaggio (giunto fino a noi in
una traduzione greca e intitolato “Il periplo di Annone
cartaginese”) la flotta toccò terra varie volte e, a ogni
tappa, furono sbarcati coloni per creare nuove basi.
Proprio durante una delle numerose soste, Annone e i suoi
marinai si trovarono di fronte ad alcune creature mai viste
prima: una tribù di esseri straordinariamente pelosi.
Di cosa si trattava? Pigmei? Scimmie antropoidi? È ancora
un mistero. Certo è che Annone, qui come altrove, non inventa di sana pianta: gente del luogo gli disse che questi esseri si chiamavano gorii e lui (poi anche i Greci, che un secolo
dopo tradussero la sua relazione di viaggio) li nominò Gorilla.
In seguito (superate le Canarie e raggiunta la foce del Senegal)
fu doppiato il Capo Verde, il punto più occidentale dell’Africa. La
navigazione di Annone proseguì verso il litorale che piegava verso est, seguendo un percorso che sarebbe stato tracciato nuovamente dagli occidentali solo nel XV secolo d.C. (durante il periodo delle grandi spedizioni coloniali portoghesi).
Sempre dal Periplo apprendiamo che, durante il viaggio, Annone
incontrò i trogloditi (uomini bizzarri che, secondo le leggende locali, superavano i cavalli nella corsa) e alcuni “abitanti delle paludi” (vestiti con pelli di animali), dai quali i cartaginesi furono
scacciati a colpi di pietre.
Da lì a poco, il comandante si illuse di aver raggiunto il limite meridionale del continente, là finivano l’Africa e il mondo. L’impressione
era quella di una “grande isola” nella quale “fiumi di fuoco si gettavano in mare e dove l’ardente calore del suolo non consentiva di sbarcare” (si trattava probabilmente di un vulcano in piena attività). Lo
scenario osservato convinse Annone di aver sfiorato il margine estremo della terra: il mondo finiva in un mare di fuoco. A quel punto, le
navi cartaginesi invertirono la rotta e presero la via del ritorno.
Non mancano inoltre testimonianze ancora più incredibili. Il
fantomatico ritrovamento nel 1872 di una tavoletta fenicia
su una spiaggia brasiliana divide ancora oggi gli archeologi: sopra questa è incisa la storia di un anonimo commerciante proveniente da Sidone (“Il desiderio di commerciare ci ha gettato su queste terre [...]Fummo in mare insieme, per due anni, con dieci navi, attorno al paese
di Cam” - Cam era l’Africa, per gli antichi - “Nel fiume
Oceano, fummo separati dalla mano di Baal. A causa di una
tempesta, noi non fummo più con i nostri compagni. Così siamo
giunti qui, dodici uomini e tre donne, su questa costa. Possano gli
Dei altissimi e le Dee altissime proteggerci.”) Questa dichiarazione
fu rivelata solo dopo il 1874 e diede origine alle numerose polemiche dei maggiori semitisti del tempo. Negli anni sessanta però, fu
riesaminata da un americano specialista in studi su lingua e scrittura fenicia: Cyrus Gordon. Gordon si fece paladino dell’autenticità
della tavoletta, affermando che le parole e i costrutti presenti sono simili ad altri testi di età fenicia scoperti dopo il 1874. Lo studioso affermò anche che “un antico testo non può essere falso se
contiene quanto molto dopo viene alla luce”: su quella pietra sarebbero state scritte parole in lingua fenicia.
Si potrebbe di certo pensare che, con venti e correnti marine favorevoli, un’imbarcazione possa essere naufragata dall’Africa Occidentale alle coste dell’odierno Brasile (coprendo una distanza di
circa tremilacinquecento chilometri). Da alcuni anni a questa parte, navigatori solitari hanno tentato traversate lunghe e pericolose con mezzi di fortuna e senza riserve di acqua potabile, proprio
per dimostrare che simili imprese furono possibili nel passato.
Il francese Bombard (guidato da correnti costanti) riuscì per esempio a compiere proprio il tragitto descritto dall’anonimo fenicio, nutrendosi di quanto riusciva a pescare e bevendo la rugiada. Anni più
tardi, Thor Heyerdhal ripetè la stessa impresa su una zattera.
Nemmeno tali folli avventure possono darci la matematica certezza dell’autenticità della teoria di
Gordon (considerando che la pie-
In alto a destra, testa maschile in
argilla rossastra, probabilmente
parte di una statuetta. A lato, brocca
in argilla con orlo trilobato.
tra su cui è stato inciso il messaggio è misteriosamente “scomparsa” da tempo - forse proprio per impedire ulteriori studi su di essa).
Se un giorno il reperto dovesse essere ritrovato, tutto verrà chiarito: per ora lasciamo alla fantasia le ipotesi che attribuiscono la scoperta dell’America ai Fenici, milleduecento anni prima di Colombo.
Anche se quanto avanzato non dovesse corrispondere a verità, resta
comunque il fatto che i Fenici sfidarono oceani, affrontarono bonacce e tempeste, portarono in tutto il mondo allora conosciuto i vessilli del popolo del mare. Aprile 2005 119