Allegato - Rogazionisti Centro Nord

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Allegato - Rogazionisti Centro Nord
VII FORUM DEL CENTRO NAZIONALE VOCAZIONI
QUALE ANIMATORE VOCAZIONALE?
L’animatore vocazionale è un individuo che, vivendo tra i giovani, è chiamato a donarsi
interamente a loro, in vista della loro educazione e formazione, sensibile e attento ai fattori che
favoriscono o compromettono la loro crescita, attraverso una prassi pedagogica capace di
risvegliare le loro risorse migliori.
Non è la prima volta che si cerca di tracciare l’identikit dell’animatore vocazionale. Ci ha provato
ora nuovamente il VII Forum del Centro nazionale vocazioni (CNV) e dei responsabili vocazionali
degli istituti di vita consacrata che si è svolto a Sassone-Ciampino (Roma), presso l’Istituto
Madonna del Carmine, dal 25 al 27 ottobre scorso. Tema dell’incontro: Quale animatore
vocazionale per un servizio alla pastorale vocazionale nella Chiesa locale?
Molto qualificati i relatori. Anzitutto don Alberto Lorenzelli, presidente della CISM, che ha parlato
sulle competenze e i ruoli dell’animatore vocazionale. Dopo aver ricordato che l’animazione
vocazionale costituisce una grande sfida, perché domanda di porsi in dialogo con l’intero mondo
giovanile, assetato nonostante tutto di Dio, ha affermato che essa richiede di assumere fino in fondo
una logica di fede. In effetti non ha niente a che vedere con quella efficientista dei selezionatori di
personale per le imprese. Esige il respiro ampio della Chiesa e la consapevolezza della vocazione
come di un dono che non può – se è davvero tale – non farsi invito e proposta. Ispirandosi poi
ampiamente al documento Nuove Vocazioni per una nuova Europa (1998), ha ribadito che non si
tratta di un’azione riservata solo agli addetti ai lavori, ma coinvolge tutti, giovani e anziani, sia
personalmente che comunitariamente, innanzi tutto con la preghiera e la testimonianza.
Ogni singolo consacrato, ha proseguito, deve mettersi in gioco, dalla formazione spirituale
all’accompagnamento personale, come testimone convincente e credibile della bellezza della
propria vocazione. Ogni comunità di consacrati è chiamata a diventare luogo accogliente di
preghiera, di condivisione fraterna, aperto alla realtà locale e universale, in cui i giovani possono
essere accolti per giornate o periodi di esperienza.
Oggi – ha insistito – sono soprattutto le comunità che hanno bisogno di un animatore vocazionale,
non solo per seguire i giovani, ma per essere aiutate a ritrovare la freschezza degli inizi, quella degli
anni di noviziato o di seminario, nella gioia della propria vocazione. L’animatore vocazionale –
chiamato a lavorare a sua volta in équipe – ha quindi il compito di promuovere nella sua comunità
questa attenzione vocazionale e di tenere i contatti con tutti gli organismi vocazionali diocesani,
regionali e nazionali, lavorando con i rappresentanti delle diverse vocazioni nella Chiesa locale, per
progettare e realizzare insieme iniziative specifiche con uno stile di comunione affettiva ed
effettiva.
Don Lorenzelli ha quindi delineato il profilo dell’animatore: è un individuo che vivendo per
vocazione tra i giovani, è chiamato a donarsi interamente a loro, in vista della loro educazione e
formazione, con i tempi lunghi che ciò richiede, sensibile e attento ai fattori che collaborano o
compromettono la loro crescita, mettendo in atto una prassi pedagogica capace di risvegliare nei
giovani stessi le risorse migliori.
Ha quindi indicato tre itinerari di fede e di animazione vocazionale: in-vocazione, poiché ogni
vocazione nasce dalla preghiera personale e comunitaria; con-vocazione, con l’impegno a riscoprire
e testimoniare la bellezza del vivere insieme in fraternità secondo il proprio carisma, nel confronto
costante con la Parola; pro-vocazione, vivendo da uomini e donne inseriti nella storia e nel
territorio, che conoscono i problemi della gente e se ne fanno carico in maniera evangelica.
Infine, riprendendo l’icona di Emmaus come modello di pedagogia vocazionale (vedi NVNE IV
parte), ha indicato alcuni verbi ispiratori: accostarsi all’altro, con rispetto, senza pregiudizi;
seminare, cioè spargere il seme della vocazione a tutti, rispettando i tempi dell’altro; accompagnare,
condividendo il cammino per invitare il giovane a prendere in mano la propria storia; educare,
aiutando il giovane a conoscersi e a liberarsi dalle paure per entrare con fiducia nel mistero della
vita e nel rapporto con Dio; formare allo spirito del dono, per condividere la vita del Figlio, nella
convinzione che dal riconoscimento del dono nasce la riconoscenza, dalla gratitudine la gratuità;
discernere, facendo crescere la capacità decisionale.
L’ANIMATORE “ANIMA” DELLA
PASTORALE VOCAZIONALE
La seconda relazione ha preso in esame L’animatore vocazionale “anima” della proposta
vocazionale. La relatrice, sr. Giuseppina Alberghina, vice presidente dell’USMI, ha innanzi tutto
ribadito la necessità di pensare non con categorie astratte, ma secondo la vita, quella ricevuta in
dono da Dio e redenta in Cristo, chiamata a divenire in Cristo un unico grande sì al Padre.
L’animazione vocazionale, ha sottolineato, non è innanzi tutto un fare, col rischio di cadere in un
puro attivismo vocazionale, in quanto è la vita ad attirare i giovani, cioè la vita consacrata
autenticamente vissuta: «I giovani oggi, ha precisato, non accettano proposte vocazionali di taglio
adolescenziale oppure un po’ generiche. Cioè non gradiscono discorsi light, ma sono invece
affascinati da proposte forti, come fa il papa Benedetto XVI che ha il coraggio di presentare i grandi
Padri della Chiesa alle folle delle udienze generali». «Questo significa che, come ci indicano papa e
vescovi, dobbiamo impegnarci per riappropriarci delle radici della fede, tornando alla Bibbia, al
Vangelo, ai Padri della Chiesa. Senza questi fondamenti, i discorsi restano fragili e i frutti spirituali
scarsi».
In quest’ottica, sr. Giuseppina ha invitato a dare tempo alla lettura spirituale e alla conoscenza delle
vite dei santi, nei quali risplende il senso vero della vocazione, come esistenza non appiattita su
esigenze funzionali, ma infiammata dalla carità di Dio. L’animatore vocazionale può essere
considerato in questo senso un teoforo dello Spirito. Non basta pertanto la laurea in teologia.
Occorrono uomini e donne che consegnino la vita a partire dall’amore folle di Cristo per ogni
uomo, con la gioia di sentirsi salvati.
ANIMATORE
E FORMATORE
A don Nico Dal Molin, neodirettore del Centro nazionale vocazioni, è toccato il compito di
concludere il Forum con una relazione su L’animatore vocazionale e il formatore: continuità e
distinzione di ruoli. Sul piano innanzi tutto delle convergenze tra animatore e formatore, chi
accompagna – ha affermato Dal Molin – deve avere chiara la prospettiva progettuale della vita,
senza temere di mettersi al capezzale di un amore “ammalato”, cioè fragile, vulnerabile, ferito, e di
confrontarsi anche con la sua stessa fatica ad amare. Deve testimoniare un amore capace di
“intimità”, cioè di relazioni in cui ogni persona possa sentirsi a proprio agio ed essere veramente se
stessa, senza orpelli e maschere.
Davanti a un tale accompagnatore si aprono tre “sentieri luminosi”: la via della accoglienza,
vigilando sulle resistenze del cuore, in modo da creare in se stesso quella «dolce intimità ove si
possa camminare a piedi nudi senza pungersi e farsi male»; la via della gratuità, cioè di un amore
paziente, liberante e incondizionato; la via della comunicazione, che sa coinvolgere e scendere in
profondità.
Sul piano delle specificità don Nico ha invitato a considerare l’accompagnatore vocazionale alla
luce dell’icona del Battista sotto una triplice prospettiva: l’arte della mediazione, umile, serena,
intelligente; l’arte del cercatore di perle preziose, che sa scoprire il tesoro che ogni giovane porta
nel proprio cuore, nella propria storia, nei propri sogni e desideri; l’arte di vivere con un cuore
orante, capace di una pazienza piena di speranza, che sa rispettare la storia del giovane
accompagnato, sa incoraggiare i suoi passi spesso dubbiosi e trepidanti; sa interpretare con
delicatezza le situazioni diverse di consolazione o di desolazione che egli attraversa, aiutandone una
lettura e una decodificazione.
Passando a trattare del formatore, Dal Molin ha insistito sul fatto che questi è chiamato a
completare il lavoro iniziato dall’accompagnatore agendo da padre/madre, per aiutare con amore e
con rispetto il processo di crescita del giovane, ma anche da amico-fratello/sorella, in una vicinanza
e sintonia di intenti.
Al formatore spetta mediare con “cuore sapienziale” l’azione dello Spirito “plasmando” con
delicatezza e rispetto la crescita del giovane, mettendo in luce la straordinaria forza della chiamata
del Signore e verificandone in una dinamica di conversione e purificazione il fondamento, così da
costruire su motivazioni vere il cammino di crescita sempre teso tra “verità di sé e idealità”.
Di grande importanza sarà l’aiuto a rendere consapevoli i giovani della loro “storia relazionale”.
Spesso – ha rimarcato – è proprio la conoscenza di questa propria storia relazionale che aiuta la
liberazione di risorse pulite e spendibili in ogni circostanza piuttosto che una limitazione di esse, e
si traduce anche in un rapporto più libero e profondo di fede e di preghiera con il Signore Gesù.
IL VADEMECUM
PER GLI ANIMATORI
Per ultimo è giusto ricordare i cinque laboratori che hanno impegnato il pomeriggio del secondo
giorno in uno scambio di grande arricchimento e incoraggiamento reciproco. In riferimento
all’animatore vocazionale i convegnisti si sono soffermati su formazione, competenze e servizio
interno al proprio istituto; sulla sua fisionomia spirituale e pastorale nella prospettiva della pastorale
unitaria; sui rapporti con i formatori e per un impegno corale di ogni Istituto per tutte le vocazioni;
sulle relazioni con gli altri animatori vocazionali, in particolare nel CDV; infine, sui criteri per
elaborare un piano vocazionale per l’istituto in sintonia con il progetto di pastorale vocazionale
diocesano.
Il materiale raccolto nei laboratori è stato presentato in sala e costituisce un primo significativo
contributo per arricchire il Vademecum per i CDV e la pastorale vocazionale, in modo da renderlo
uno strumento sempre più qualificato e condiviso, capace di orientare efficacemente tutta
l’animazione vocazionale, a cominciare dalla formazione di animatori della pastorale vocazionale
davvero all’altezza della grande sfida che essa costituisce per la Chiesa di oggi, persone – come ha
ricordato Dal Molin – chiamate ad aiutare i giovani a mantenere il cuore aperto a orizzonti di
infinito: «Se vuoi costruire una imbarcazione, non preoccuparti tanto di radunare uomini forti e
robusti per raccogliere legname, preparare attrezzi, affidare incarichi e distribuire il lavoro; vedi,
piuttosto, di risvegliare in loro la nostalgia del mare e della sua sconfinata grandezza…» (A. de
Saint-Exupéry).
don Luciano Luppi
direttore del CRV dell’Emilia-Romagna
I lavori sono stati aperti da mons. Italo Castellani, arcivescovo di Lucca e presidente della
Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata, che ha approfittato dell’occasione per
presentare il nuovo direttore del CNV, don Nico Dal Molin, della diocesi di Vicenza, da sempre
impegnato nella formazione e nella pastorale vocazionale, ringraziandolo per la sua disponibilità e
ricordando contemporaneamente con gratitudine il predecessore, mons. Luca Bonari. I lavori sono
continuati con il saluto e la presentazione dei lavori da parte della dott.sa Piera Grignolo, vice
presidente della CIIS e la tavola rotonda con le ricche e stimolanti testimonianze di don Vincenzo
Barone, direttore del CDV di Novara, e di tre giovani rappresentanti di diversi cammini vocazionali.