“Raqam, disegno e segno”: la definitiva mostra sul ricamo al

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“Raqam, disegno e segno”: la definitiva mostra sul ricamo al
“Raqam, disegno e segno”: la definitiva mostra sul ricamo al maschile…
Ovvero: la tela ha tradito Penelope (parte seconda)
13 artisti, 13 fili intrecciati e un solo verbo per definire il loro atto: ricamare. Un’azione spogliata
dall’accento domestico e femminile, ma che conserva intatta il suo tratto intimo e sensibile: questa
è la trama di “RAQAM, disegno e segno”, la definitiva mostra sul ricamo al maschile a cura
di Jack Fisher, nel concept store Rossmut di Roma. Il ricamo è sempre stato un atto creativo e
diventa, per questa esposizione, oggetto e soggetto originale interpretato da 13 artisti uomini. Un
segno sottile ma tangibile, deciso e assieme delicato svela le caratteristiche meccaniche del filo:
inestensibilità e al contempo flessibilità, cucite alla creatività. Le opere in mostra per questo
secondo atto di RAQAM sottolineano la sperimentazione e la manualità dell’azione attraverso
l’utilizzo di differenti supporti: tessuti, tappeti, sculture, video e performance. Una polifonia di
linguaggi che sviscera l’essenza di questa pratica ancestrale.
Un ricamo come atto d’amore nell’opera di Paolo Angelosanto che cuce un cuore appesantito e
grigio, trapiantato sulla camicia disegnata da John Malkovich: il segno ineludibile dello stilista e
l’intervento chirurgico dell’artista creano un’opera unica dal cuore rattoppato là dove serve.
Marco Bernardi dà vita ad un cuore imbastito con tessuto di jeans, che mostra la sua parte più
ruvida e fredda, in cui l’arteria polmonare è annodata su se stessa: il muscolo è pericolosamente
estrapolato dalla cavità toracica trovando un nuovo contesto vitale. Aghi che hanno trafitto
dapprima i muscoli di un cuore di maiale, ora feriscono il tessuto rosso: il ricamo trasmuta i suoi fili
in un simulacro sacro e si fa reincarnazione nell’opera di Giovanni Gaggia, completata dal video
dell’omonima performance Miratus Sum dove il pubblico interagisce con l’artista e si confronta con
l’organo pulsante che condiziona la vita dell’essere umano. La sacralità si mescola ad una scena
materna nella performance di Karelei. L’artista interagisce con una figura feconda che indossa un
mantello ricoperto di calchi di seno cuciti assieme: l’amore matriarcale si confonde in un dolore
intimo, femminile, sessuale e viscerale ispirato alla Pietà di Michelangelo. Scampoli d’infanzia
perduta, adombrata da una maschera di cera compongono la bambola dalla fisionomia incerta
cucita da Max Bottino: non più un archetipo di balocco ma una proiezione che cela la perversione
e il feticcio, avvolto in un sontuoso tessuto rosso come squarcio di un’essenza imprendibile. La
rielaborazione del ritratto fotografico unita ad uno studio sull’espressività umana definiscono
l’universo dell’opera di Maurizio Anzeri: arabeschi geometrici ricamati reinterpretano l’immagine
fatta di segni personali che conferiscono una nuova attitudine fisiognomica.
Una riflessione socio-antropologica connota il trittico di Diego Cinquegrana, in cui il ricamo si
pone in primis come elemento decorativo, conservando l’origine di manufatto artigianale quale
portatore di valori tradizionali e simbologie legate all’universo popolare e folklorico dei regimi
totalitari europei. Dalla moltitudine della fenomenologia sociale al singolo mestiere. Nella bottega
del sarto in cui i ricami nascono dal filatoio di Andrea Guerzoni: una distesa di rocchetti colorati
sottolineano una struttura essenziale; quest’ultima giustapposta alla complessità della parole che
compongono l’aforisma ricamato sulla tela: “Le parole son quelle che contano”, lasciando una
traccia evidente dell’unione invisibile tra mestiere, parola e atto. Seta, canapa e Oriente
ricostruiscono le eco di altre tre opere in mostra. Matia Chincarini sceglie il Sari come tessuto
privilegiato della sua opera in cui mette in gioco un funambolo di seta che tenta disperato una
ricerca d’equilibrio tra Oriente ed Occidente. Shafiqul Kabir intreccia storia, tradizioni popolari e
un sapere provenienti dal suo paese natale, il Bangladesh: canapa, corde, stecche di bambù
diventano racconto contemporaneo di un popolo sofferente e migrante. I due mondi si intrecciano
anche nell’opera di Emilio Leofreddi: un tappeto che descrive la logica perfetta di Le Corbusier
individua lo scontro tra le abitudini indiane incasellate nella città di Cahndhigarh, formata da settori
asettici, artificiali e seriali che soffocano l’identità. L’architettura del ricamo si unisce all’elemento
urbano nell’installazione verticale di Pasquale Altieri: una scala che abbandona il suo attributo
freddo e cantieristico per vestirsi di connotati dell’estetica suburbana, rivelando l’ambiguità del
rivestimento cromatico che ridefinisce un oggetto altro. Un approccio alternativo alla
fenomenologia del quotidiano è rappresentato dal “Drapeau blanc” di Gianluigi Antonelli:
bandiere candide ricamate, fluttuanti nell’aria come icone nazionalpopolari che hanno perso le loro
connotazioni di forza simbolica, divenendo pretesto per un’indagine oltre la fisicità e l’elemento
strutturale.
Lo spazio espositivo Rossmut con la mostra collettiva “RAQAM, disegno e segno” diventa un
luogo delle meraviglie del ricamo al maschile: una prospettiva nuova che sottintende una
ridefinizione della tecnica come spunto per nuovi percorsi di riflessione e stimolo al fare artistico.
L’insieme delle opere selezionate narrano la cura, la raffinatezza e l’eleganza del ricamo dandone
una visione contemporanea, viva e complessa.
Testo critico di Federica Mariani
Mostra RAQAM disegno e segno, presso Rossmut Via dei Vascellari, 33
Roma - dal 28/02/2013 al 30/03/2013