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DOSSIER
La grande riforma Onu?
Più coraggio ed efficienza
di Donato Speroni
Siamo davvero alla vigilia di una profonda trasformazione
dell’Onu? In Europa e in Italia si sa ben poco della portata delle proposte di riforma presentate da Kofi Annan: tutto è stato ridotto a un
meschino gioco di potere per un posto in più al Consiglio di
Sicurezza. In realtà, anche il problema epocale della povertà…
“Nel settembre 2005, i governanti di tutto il mondo si riuniranno a New York per esaminare i progressi fatti dalla
Dichiarazione del Millennio, adottata da tutti gli Stati membri
nel 2000. Il rapporto del Segretario Generale propone di adottare
al vertice un’agenda che fornisca le linee di azione lungo le quali
agire in seguito. Si tratta di decisioni che prefigurano azioni e
riforme che potranno essere attuate se solo si raggiungerà la
sufficiente volontà politica tra gli Stati”. Comincia così il documento In larger freedom, verso sviluppo, sicurezza e diritti
umani per tutti presentato dal Segretario generale delle Nazioni
Unite Kofi Annan il 21 marzo, in una data scelta espressamente
per il suo valore simbolico, trattandosi del primo giorno di primavera. Con altrettanta decisione, per una riforma delle strutture e degli impegni internazionali, si muove il governo inglese,
che quest’anno presiede le riunioni del G8. Il premier Tony Blair
ha posto al centro dell’agenda il tema della lotta alla povertà e
degli aiuti allo sviluppo, a costo di scontrarsi con l’alleato americano, che non ha nessuna fretta di rafforzare le istituzioni multilaterali preposte a questi obiettivi.
Una grande macchina da cambiare
“Il mondo ha bisogno di Stati capaci e forti, di una cooperazione effettiva con la società civile e il settore privato, e di istituzioni regionali e intergovernative globali che siano in grado di
mobilitare e coordinare un’azione collettiva”, dice il documento
di Annan. E il suo preambolo si conclude con una frase che mai
era stata pronunciata da chi è al vertice dell’Onu: “Le Nazioni
Unite devono essere ristrutturate secondo modalità inedite, con
un’audacia e un’efficienza senza precedenti”.
Siamo veramente alla vigilia di una profonda trasformazione
dell’Onu? Di questo dibattito, e dell’ampia portata delle proposte
presentate da Annan, l’opinione pubblica italiana ha percepito
ben poco, perché quasi tutti i commenti si sono concentrati sul
tema di più immediato e diretto interesse per il governo di
Roma: l’eventuale allargamento del Consiglio di Sicurezza, con il
rischio che l’Italia resti relegata tra i Paesi di secondo rango,
mentre altri come la Germania vengono promossi al tavolo dei
potenti. Di questo tema tratta ampiamente l’articolo di Gaetano
Ferrieri che segue. C’è però il rischio, segnalato dall’ex ambasciatore italiano a Washington, Ferdinando Salleo, che la questione del Consiglio di Sicurezza finisca col paralizzare una
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riforma della quale si sente davvero la necessità.
“Bisognerebbe”, scrive Salleo , “che gli Stati più impegnati nel
multilateralismo accantonino per il momento il Consiglio di
Sicurezza e concentrino le energie sulle parti della riforma
immediatamente attuabili”.
Per capire l’importanza della posta in gioco è necessario capire
che cosa è davvero il “sistema Onu” in questo Terzo millennio,
quali sono le sfide che deve affrontare e quali le forze in gioco.
L’istituzione nata nella località sciistica di Bretton Woods, nel
New Hampshire, il 24 ottobre 1945 con l’adesione di 51 Paesi si
è evoluta in un aggregato di 191 nazioni governate dai regimi
politici più diversi. Le riunioni dell’Assemblea generale che si
svolgono nel palazzo di New York sono solo una parte minima
del lavoro dell’organizzazione. Basti dire che l’elenco dei siti
web relativi a soggetti, programmi e attività dell’Onu e delle
organizzazioni multilaterali collegati supera le cento voci.
Comprende anche organizzazioni che hanno una loro autonomia rispetto all’Onu, come la Banca Mondiale o la Wto,
l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Tuttavia il sistema
multilaterale è fortemente interconnesso e una riforma
dell’Onu finirebbe inevitabilmente col toccare tutte le altre
componenti.
Una navigazione attraverso questi siti dà l’idea della vastità
e della complessità dei lavori in corso in tutto il mondo, una
complessità di cui spesso non ci rendiamo conto, perché l’attenzione dei media è attratta quasi esclusivamente dai grandi
dibattiti internazionali o dalle difficili e talvolta fallimentari
operazioni di peace keeping, ignorando il lavoro portato avanti
da migliaia di funzionari, esperti o dipendenti locali in pressoché tutti i Paesi in via di sviluppo.
Ma funziona, questa macchina? Oppure, come dicono i neoconservatori americani nelle loro tesi più estreme, tanto varrebbe smantellare tutto e lasciare ai singoli Paesi (e, innanzitutto,
agli Stati Uniti) il compito di mantenere l’ordine e di promuovere la democrazia e lo sviluppo?
In realtà per cercare una valutazione obiettiva sul funzionamento dell’Onu non c’è bisogno di andare lontano, basta ascoltare quello che dice lo stesso Annan nel suo rapporto. “Molto è
già stato fatto”, dice Annan, ricordando tutti gli interventi
organizzativi da lui introdotti dal 1997 (quando fu nominato
Segretario generale) fino a oggi. “Oggi le strutture organizzative sono meglio definite, i metodi di lavoro più efficienti e i programmi meglio coordinati, con una cooperazione effettiva in
molte aree con la società civile e col settore privato.” Ma
aggiunge: “Molti altri cambiamenti sono necessari: attualmente,
la presenza di diverse strutture di governance nelle diverse
parti del sistema, e le missioni che si sovrappongono o che
riflettono priorità non più attuali contribuiscono a ridurre la
nostra efficacia. Dobbiamo dare ai nostri manager poteri effettivi, allineare gli obiettivi a quelli indicati dagli Stati membri (…)
e professionalizzare il Segretariato, per far sì che la performance del suo staff e l’intera sua gestione siano rigorosamente verificabili. E dobbiamo assicurare una maggiore coerenza tra i rappresentanti e le attività dell’intero sistema della Nazioni Unite
nei diversi Paesi, soprattutto nei settori economici e sociali”.
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Contrasto_Reuters
Le proposte di riforma
La riforma delineata da Annan nel documento proposto il 21
marzo era stata anticipata da un Rapporto di studio affidato a un
panel di sedici esperti di alto livello e presieduto dall’ex premier
thailandese Anand Panyarachun. Il Segretario generale evita saggiamente di scegliere tra le due opzioni per la riforma del
Consiglio di Sicurezza delineate in quest’ultimo Rapporto
(lasciando così la decisione più scottante alla responsabilità degli
Stati membri), ma è molto esplicito su tutti gli altri punti della
riforma. Il suo documento si articola sulle misure necessarie per
conseguire tre libertà fondamentali per l’umanità (vedere riquadro) e si conclude poi con una serie di concrete proposte organizzative.
Riuscirà il Segretario generale dell’Onu a condurre in porto la
sua riforma? Molti ne dubitano, per una somma di ragioni.
Intanto, Annan è indebolito dallo scandalo “Oil for food” che
coinvolge suo figlio. Inoltre, il disegno generale della sua proposta incontra resistenze in tutto lo schieramento che si oppone
all’ipotesi di un rafforzamento del sistema multilaterale, a cominciare dagli Stati che temono di perdere una parte della loro sovranità. È certo che il governo di George Bush non condivide una
buona parte delle proposte avanzate, a cominciare dall’aumento
degli aiuti, dal rafforzamento del Tribunale penale internazionale
e dal rafforzamento dell’Alto commissario per i diritti umani. La
candidatura stessa di John Bolton alla carica di ambasciatore Usa
presso le Nazioni Unite è indicativa di un atteggiamento fortemente critico verso l’organizzazione. È di Bolton la frase: “l’Onu
è qualcosa di inesistente. Se dal palazzo di vetro di New York spa74
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rissero una decina di piani nessuno noterebbe la differenza”.
Ma non sarà solo colpa degli Stati Uniti se le Nazioni Unite
non riusciranno a riformarsi. Molti temono che ormai l’Onu sia
cresciuta fino a diventare ingestibile. I membri d’origine erano
quasi tutti uniti dal trauma della Seconda guerra mondiale. Degli
attuali 191, una buona maggioranza è governata da regimi che a
fatica si possono definire democratici. È dunque venuta a mancare quella comunanza di valori che ha fatto nascere
l’Organizzazione, con conseguenze anche paradossali: per esempio, la presenza nella Commissione diritti umani di Paesi nei
quali questi diritti sono oppressi, come lo Zimbabwe.
I tentativi di autoriforma dell’Onu incontrano dunque dubbi e
molte resistenze. Abbiamo già citato quelle dei neoconservatori;
sul versante opposto dello schieramento politico c’è l’insieme di
chi si oppone alla globalizzazione o la vede con occhio molto critico. Per i “no global”, istituzioni come il Wto, la Banca Mondiale
o il Fondo Monetario sono diventate il simbolo stesso della globalizzazione che essi rifiutano, anche se col passare del tempo le
posizioni si sono più sfumate.
La sinistra alternativa, infatti, non nega la necessità d’istituzioni multilaterali, ma (se è possibile sintetizzare una galassia
così composita) chiede innanzitutto maggiore trasparenza in tutti
i loro lavori. È una richiesta realistica. Da quando esiste internet
il concetto stesso di trasparenza è cambiato: milioni di pagine di
documenti sono effettivamente consultabili rapidamente da
milioni di persone ed è facile immaginare che questo fatto cambierà l’intero modus operandi di molte organizzazioni.
Più difficilmente attuabile l’altra richiesta: si vorrebbe che
_Un mondo di 6 miliardi di persone in cui
2,8 miliardi vivono con meno di due dollari al
giorno rischia uno tsunami demografico che
porterebbe al collasso l’intero sistema
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DOSSIER
Le proposte di riforma dell’Onu
presentate da Kofi Annan
LIBERTÀ DALLA MISERIA
Negli ultimi 25 anni si è registrato il maggior progresso in termini di riduzione delle condizioni di
povertà estrema. Eppure decine di Paesi sono
diventati più poveri. Gli Obiettivi del Millennio
(Mdg) potranno essere raggiunti entro il 2015 solo
se tutte le parti in causa cambieranno il loro
approccio imprimendo una decisiva accelerazione
alla loro azione.
STRATEGIE NAZIONALI: ogni Paese in via di sviluppo affetto da estrema povertà dovrebbe adottare e
avviare una strategia nazionale di sviluppo entro
il 2006, che sia sufficientemente audace da permettere loro di raggiungere gli obiettivi di sviluppo
entro il 2015. Ogni strategia deve prendere in considerazione sette ampi “gruppi” di politiche e di
investimenti pubblici: uguaglianza tra i sessi;
ambiente; sviluppo agricolo; sviluppo urbano;
sistema sanitario; educazione; scienza, tecnologia
e innovazione.
FINANZIAMENTO PER LO SVILUPPO: l’assistenza
globale allo sviluppo deve più che raddoppiare nei
prossimi anni. Ciò non richiede specificamente
nuovi impegni da parte dei Paesi donatori, ma
almeno il rispetto di quelli già presi in passato.
Ogni Paese industrializzato che non ha ancora
provveduto, dovrebbe stabilire un’agenda per raggiungere la soglia dello 0,7% del PIL quale livello
di assistenza ufficiale allo sviluppo non oltre il
2015, iniziando con significativi aumenti non oltre
il 2006 per raggiungere lo 0.5% entro il 2009.
COMMERCIO: I negoziati commerciali di Doha
dovrebbero rispettare gli impegni presi per lo sviluppo e essere portati a termine non oltre il 2006.
Come primo passo, gli Stati membri dovrebbero
garantire un accesso ai mercati senza restrizioni
né dal punto di vista delle quantità che della tassazione a tutte le esportazioni provenienti dai
Paesi meno sviluppati.
RIDUZIONE DEL DEBITO: la sostenibilità del debito
dovrebbe essere ridefinita come il livello di debito
che consente a un Paese di raggiungere gli
Obiettivi di sviluppo e arrivare al 2015 senza
un’ulteriore incremento nella percentuale del
debito.
Una nuova azione è altresì necessaria per assicu-
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queste istituzioni fossero democratiche, basate cioè su una rappresentanza proporzionale alle popolazioni. “Vogliamo un’Onu
dei popoli, non un’Onu di Stati sovrani armati”, hanno detto
all’ultimo Social Forum di Puerto Alegre gli esponenti dell’organizzazione italiana Tavola della Pace, che ha proposto un dibattito
sulla riforma, senza peraltro negarne l’utilità.
È difficile immaginare una rappresentanza diretta in tutti i
casi in cui le popolazioni non sono neppure rappresentate da
regimi liberamente eletti. Per questa ragione, altri riformatori
propugnano una rifondazione dell’Onu che parta dai governi
effettivamente democratici. È questo l’obiettivo del Council for a
Community of Democracies (Ccd), nato a Varsavia nel giugno
2000 con la partecipazione di 106 Paesi. Il Ccd ha tenuto a
Santiago, dal 28 al 30 aprile 2005, la sua terza conferenza, dove il
governo italiano si era fatto rappresentare dall’europarlamentare
Emma Bonino. Il documento finale, però, secondo il giudizio della
stessa Bonino, ha un po’ deluso le attese di chi si aspettava qualche passo coraggioso sulla via delle riforme delle strutture multilaterali. C’è il rischio che la diffusione della democrazia resti affidata soltanto alla politica americana, con un’Onu relegata a una
funzione notarile.
La partita dello sviluppo
Ma perché è così importante riformare l’Onu e l’intero sistema
multilaterale? La risposta più chiara è stata fornita dal Presidente
uscente della Banca Mondiale, James Wolfensohn: un mondo di
sei miliardi di persone (che diverranno otto tra 25 anni) in cui 2,8
miliardi di persone vivono con meno di due dollari al giorno,
rischia uno “tsunami demografico”, cioè sommovimenti di tale
Contrasto_Corbis
TRE LIBERTÀ,
UN’ORGANIZZAZIONE
PIÙ FORTE
entità da provocare un rischio di collasso dell’intero sistema.
Attualmente “quel miliardo di persone che controlla l’80% delle
risorse spende solo 60 miliardi di dollari all’anno in aiuti a fronte
di 1.000 miliardi di investimenti militari e 300 miliardi in aiuti
alla propria agricoltura”.
Gli aiuti allo sviluppo sono dunque molto limitati e ben al di
sotto di quello 0,7% del Pil che era stato promesso in occasione
dell’adozione dei Millennium Development Goals (Mdg). Ma
quel che è peggio è che una parte consistente di questi aiuti è
spesa male, spesso indirizzata ad accordi bilaterali stipulati con lo
scopo di aprire un mercato di sbocco (o di offrire occasioni di
appalti) alle imprese del Paese donatore o comunque legati a
obiettivi di breve termine.
Gli aiuti risentono anche dell’effetto mediatico che circonda il
Sud del mondo: è molto più facile raccogliere fondi per aiutare le
popolazioni colpite da guerre, carestie o altri disastri, mentre è
molto più difficile indirizzare un flusso costante di aiuti alle politiche di sviluppo cosiddette “ordinarie”. Di questa distorsione
abbiamo tutti avuto una conferma dopo la disastrosa inondazione
che ha colpito il Sud-est asiatico: il flusso degli aiuti è stato così
immediato e di tale entità da far sì che parte dei materiali affluiti
rimanesse inutilizzata nei porti di smistamento.
Un altro esempio significativo è quello che riguarda le malat-
Davide Casali
_È più facile raccogliere fondi per combattere l’Aids che
indirizzarli alla diffusione delle reti e dei repellenti antizanzare che, con pochi euro, consentono di difendere
dalla malaria che miete centinaia di migliaia di vittime
rare la sostenibilità ambientale. Le altre priorità
per un’azione globale comprendono dei meccanismi più efficaci per la sorveglianza e il controllo
delle malattie infettive, un sistema mondiale di
allarme tempestivo per le calamità naturali, il
sostegno a scienza e tecnologia per lo sviluppo e a
infrastrutture regionali e altre istituzioni, la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, e
una più effettiva cooperazione per gestire i fenomeni migratori a beneficio di tutta la comunità.
LIBERTÀ DALLA PAURA
Dal punto di vista della sicurezza, malgrado un
accresciuto e diffuso senso di minaccia, non c’è
consenso su scala mondiale, e i rari casi in cui si
riesca comunque a mettere in pratica delle misure
vengono spesso contestati.
Le Nazioni Unite devono essere trasformate in
quello strumento per prevenire i conflitti quale
erano state pensate, portando avanti una serie di
priorità fondamentali:
PREVENIRE LE CATASTROFI PROVOCATE DAL TERRORISMO: gli Stati dovrebbero impegnarsi in una
strategia globale e raggiungere un accordo su un
testo di convenzione globale sul terrorismo, basata su una definizione chiara e condivisa, e finalizzare, senza ulteriori ritardi, la convenzione per
soppressione degli atti di terrorismo nucleare.
ARMI NUCLEARI, CHIMICHE E BIOLOGICHE: è
essenziale compiere ulteriori progressi sia in
materia di disarmo sia di non proliferazione.
RIDURRE LA PREVALENZA ED IL RISCHIO DI GUERRA: attualmente, la metà dei Paesi che emergono
da conflitti violenti ripiombano in uno stato di
guerra entro cinque anni. Gli Stati membri dovrebbero creare una commissione intergovernativa per
il Peacebuilding e un ufficio di supporto all’interno
del segretariato delle Nazioni Unite, che consentano all’Onu di fronteggiare con maggiore efficacia
la sfida di aiutare questi Paesi in difficoltà a
completare con successo la transizione dalla
guerra alla pace. Gli Stati membri dovrebbero
inoltre fare i passi necessari per rafforzare la
capacità collettiva di utilizzare al meglio gli strumenti di mediazione, sanzione e mantenimento
della pace (inclusa la politica di “tolleranza zero”
sull’abuso sessuale di minori e altri soggetti vulnerabili da parte del personale dei contingenti
delle operazioni di pace, per mettere in pratica la
politica adottata dal Segretario generale).
USO DELLA FORZA: Il Consiglio di Sicurezza
dovrebbe adottare una risoluzione che indichi i
principi da applicare nelle decisioni relative all’uso della forza ed esprimere la sua intenzione di
attenersi a essi quando deve decidere se autoriz-
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zare o meno il ricorso alla forza.
Altre priorità per un’azione globale includono una
più effettiva cooperazione per combattere il crimine organizzato, per prevenire il commercio illegale
di armi leggere, ed eliminare le mine che continuano a uccidere e mutilare innocenti e frenare lo
sviluppo nella metà degli Stati del pianeta.
Un’azione è soprattutto richiesta nelle seguenti
aree:
STATO DI DIRITTO: la comunità internazionale
dovrebbe sposare il principio della “responsabilità
di proteggere”, quale base per un’azione comune
contro il genocidio, la pulizia etnica e i crimini
contro l’umanità. Tutti i trattati relativi alla protezione dei civili dovrebbero essere ratificati e applicati. Occorre rafforzare la cooperazione con il
Tribunale Penale Internazionale e altri tribunali
internazionali o di guerra, e rendere più efficace la
Corte Internazionale di Giustizia
DIRITTI UMANI: l’Ufficio dell’Alto Commissario per
i Diritti Umani dovrebbe essere rinforzato con ulteriori risorse, umane e finanziarie, e dovrebbe poter
giocare un ruolo più attivo nelle deliberazioni del
Consiglio di Sicurezza e della proposta
Commissione per il Peacebuilding. Gli organi delle
Nazioni Unite che si occupano di diritti umani
dovrebbero altresì essere resi più efficaci e
responsabili.
DEMOCRAZIA: un Fondo per la Democrazia dovrebbe essere creato in seno alle Nazioni Unite per
assistere i Paesi che cercano di stabilire o rafforzare la democrazia al loro interno.
Rafforzare le Nazioni Unite.
Se da una parte gli obiettivi devono essere fermi e
costanti, le procedure e l’organizzazione devono
essere al passo coi tempi.
ASSEMBLEA GENERALE: l’Assemblea generale
dovrebbe adottare misure coraggiose per ottimizzare la propria agenda e accelerare il processo
deliberativo. Essa si dovrebbe concentrare sulle
maggiori questioni del momento, e stabilire meccanismi per coinvolgere in modo pieno e sistematico la societa’ civile.
CONSIGLIO DI SICUREZZA: il Consiglio di Sicurezza
dovrebbe essere ampiamente rappresentativo
della distribuzione del potere nel mondo d’oggi. Il
Segretario generale appoggia i principi di riforma
delineati nel rapporto del Comitato dei Saggi, e
sollecita gli Stati membri a vagliare le due opzioni, il Modello A e il Modello B, presentate nel rapporto, o qualunque altra proposta in materia di
dimensione ed equilibrio dell’istituzione che sia
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LIBERTÀ DI VIVERE CON DIGNITÀ
tie in Africa. È più facile raccogliere fondi per combattere la diffusione dell’Aids, che indubbiamente è un flagello spaventoso,
che indirizzare i fondi alla diffusione delle reti e dei repellenti
antizanzare, che con pochi euro consentono di difendere dalla
malaria, malattia endemica che miete centinaia di migliaia di vittime.
In molti Paesi africani le condizioni di vita stanno migliorando, come testimonia il recente rapporto sul continente stilato
dall’Ocse. Ma una partita fondamentale per tutto il Sud del
mondo si giocherà nei prossimi anni sul miglioramento delle
condizioni di vita nelle zone rurali. Non è pensabile, per esempio,
che un continente come l’Africa si avvii a veder vivere la maggioranza della sua popolazione in megalopoli ingovernabili, perché la gente preferisce una baraccopoli dove però ha la luce elettrica e quindi la televisione e il frigorifero rispetto alle residenze
tradizionali nei villaggi. Ma il miglioramento delle condizioni
rurali si sostanzia nella costruzione di strade o elettrodotti, nel
miglioramento delle condizioni sanitarie e delle scuole: progetti
costosi ma meno brillanti dal punto di vista dell’attenzione
mediatica.
I piani d’azione esistono già. In concomitanza con il varo dei
Mdg, tutti i Paesi del Sud del mondo furono stimolati dalla Banca
Mondiale a varare impegnativi piani di riduzione della povertà. I
cassetti ministeriali delle capitali africane sono pieni di piani Efa
(Education for All), Prs (Poverty Reduction Strategy), Rbm (Roll
Back Malaria) e altre sigle fantasiose. In molti casi si tratta di
piani ben fatti e realistici, redatti con il supporto della Banca
Mondiale e dell'IDA, l'agenzia che lavora con i Paesi più poveri.
Davide Casali
_Una tassa sulle transizioni finanziarie internazionali o
un’emissione obbligazionaria sono le due proposte, rispettivamente di Blair e Chirac, per reperire finanziamenti non pubblici per gli aiuti allo sviluppo
Ma nel frattempo è arrivato l'11 settembre, le priorità del mondo
industrializzato sono cambiate, e i piani sono rimasti nel cassetto:
non ci sono più i soldi.
È da questa situazione che prendono le mosse, in parallelo con i
progetti di riforma delle istituzioni multilaterali, le proposte innovative nel campo dei finanziamenti degli aiuti allo sviluppo. I
governi dei Paesi industrializzati sono tutti condizionati da una
situazione apparentemente contraddittoria: da un lato non sono in
grado di far gravare gli ulteriori aiuti sulla spesa pubblica, fortemente condizionata da vincoli quali il Patto di stabilità dell’area
euro, disavanzi pregressi e dai costi connessi all’invecchiamento
della popolazione. Dall’altro constatano che la causa del Sud del
mondo ha un forte potenziale di mobilitazione di ricchezze private.
Tra i tentativi di reperire finanziamenti non pubblici per gli
aiuti allo sviluppo va registrata la proposta del Presidente francese Jacques Chirac di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali (la cosiddetta Tobin tax, dal nome dell’economista James Tobin che per primo la propose). Pochi però considerano questa proposta realistica. Più attuabile sarebbe invece
quella lanciata dal premier inglese Tony Blair a favore
dell’International Finance Facility (Iff), una sorta di emissione
obbligazionaria che consentirebbe di raccogliere risparmio privato
da destinare agli aiuti. Non è chiaro però chi dovrebbe gestire le
risorse raccolte e quest’aspetto ha contribuito alla diffidenza del
governo americano. Mercoledì 1° giugno Bush ha dichiarato che
il lancio degli Iff per l’Africa non corrisponde agli obiettivi di
bilancio degli Stati Uniti. D’altra parte sarà difficile che Blair
possa coinvolgere in quest’impegno la Banca Mondiale e il Fondo
Monetario se non otterrà una qualche forma di appoggio dagli
Stati Uniti.
In conclusione, la situazione attuale è caratterizzata da un
grande fervore di proposte, che nascono da esigenze universalmente riconosciute, ma si scontrano con strategie nazionali fortemente divergenti.. In passato, i grandi passi avanti delle organizzazioni mondiali si verificarono dopo catastrofi globali: la Società
delle Nazioni dopo la Prima guerra mondiale, le Nazioni Unite
dopo la Seconda. C’è da sperare che il mondo abbia imparato la
lezione e riesca a riformare le sue istituzioni senza altre tragedie.
Ma è solo una speranza.
emersa sulla base di entrambi i modelli. Gli Stati
membri dovrebbero convenire di prendere una
decisione su questa importante questione prima
del vertice di settembre 2005.
CONSIGLIO ECONOMICO E SOCIALE: il Consiglio
Economico e Sociale dovrebbe essere riformato
così da poter effettivamente valutare i progressi
compiuti secondo l’agenda ONU in materia di sviluppo, servire come forum di alto livello sulla
cooperazione allo sviluppo, e stabilire linee guida
per l’azione dei vari organi intergovernativi del
sistema ONU che sono impegnati nel settore
sociale ed economico.
PROPOSTA PER UN CONSIGLIO PER I DIRITTI
UMANI: la Commissione per i Diritti Umani soffre
di una credibilita’ e professionalita’ in declino, e
ha bisogno di una profonda riforma. Dovrebbe
essere sostituita da un piu’ ristretto e permanente
Consiglio per i Diritti Umani, con la funzione di
organo principale delle Nazioni Unite o sussidiario
dell’Assemblea Generale, i cui membri dovrebbero
essere eletti direttamente dall’Assemblea
Generale, con la maggioranza dei due terzi dei
membri presenti e votanti.
IL SEGRETARIATO: il Segretariato Generale dovra’
compiere passi concreti per adattare la propria
struttura al conseguimento delle priorita’ delineate nel rapporto, e creera’ un meccanismo decisionale sulla falsariga di un gabinetto governativo. Il
Segretario generale chiede che gli Stati membri
gli conferiscano autorità e risorse per rinnovare e
adattare il personale per meglio affrontare le
necessita’ contingenti, per cooperare in una revisione completa delle regole che sovrintendono il
bilancio e la selezione delle risorse umane e per
commissionare una revisione approfondita dell’
Ufficio dei Servizi di Supervisione Interna volta a
rafforzarne l’indipendenza e l’autorita’.
Altre priorita’ comprendono la creazione di una
maggiore coerenza del sistema attraverso il rafforzamento del ruolo dei Coordinatori Residenti,
dando al sistema di risposta umanitaria un sistema di accordi di prestiti di sostegno più efficaci e
assicurando una migliore protezione dei profughi.
Maggiore supporto dovrebbe essere garantito alle
organizzazioni regionali, in particolare all’Unione
Africana. La Carta stessa dovrebbe essere aggiornata, abolendo le “clausole relative agli Stati
nemici”, il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria
e il Comitato Militare, tutte strutture ormai anacronistiche.
Fonte: In larger freedom, 21 marzo 2005. Compendio a cura del
Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite in Europa.
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