Input sismico a Nimis per l`applicazione dell`isolamento sismico all
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Input sismico a Nimis per l`applicazione dell`isolamento sismico all
Ù S T F̀ S M, F N C L S F C F T ’A T L Input sismico a Nimis per l’applicazione dell’isolamento sismico all’edilizia residenziale Laureanda: Relatore: Elisa Z Ill.mo Prof. Giuliano F. P Correlatori: Dott. Franco V Dott.ssa Antonella P A A 2005/2006 In memoria di mio padre Indice Introduzione 3 1 Normativa antisismica e metodo probabilistico 1.1 Normativa antisismica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 PSHA e condizioni locali del terreno per il Friuli Venezia Giulia . . . . 1.3 Stima della pericolosità sismica: metodo probabilistico e metodo deterministico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 5 11 2 Stima deterministica della pericolosità sismica a scala nazionale 2.1 Sorgenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Struttura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Siti e sismogrammi sintetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Risultati al sito di Nimis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 Aree ad elevato potenziale sismogenetico . . . . . . . . . . . . . . . . 17 17 19 20 21 25 3 Somma dei modi per le onde di Rayleigh e di Love in strutture stratificate 3.1 Equazioni del moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Funzione di dispersione dei modi di Love . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Funzione di dispersione dei modi di Rayleigh . . . . . . . . . . . . . . 3.4 Velocità di gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5 Integrale dell’energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6 Funzione di Green in un semispazio stratificato . . . . . . . . . . . . . 3.7 Sismogrammi sintetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7.1 Attenuazione di fase . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 33 38 41 44 45 46 53 59 4 Metodo ibrido 4.1 Differenze finite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.1.1 Schema alle differenze finite per le onde SH . . 4.1.2 Schema alle differenze finite per le onde P-SV 4.2 Accoppiamento somma modale - differenze finite . . . 4.3 Confini artificiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4 Attenuazione intrinseca . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 62 62 66 70 70 71 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 INDICE 5 Microzonazione ed effetti di sito 5.1 Inquadramento geologico e scelta dei profili . . . . . . . . . . . . . . . 5.2 Scelta del modello di bedrock di riferimento e delle sorgenti sismiche . 5.3 Effetti di sito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4 Analisi parametriche di variazione delle velocità . . . . . . . . . . . . . 5.4.1 Variazione della velocità del bacino sedimentario . . . . . . . . 5.4.2 Variazione della velocità del substrato roccioso . . . . . . . . . 5.4.3 Variazione della velocità del substrato roccioso e del modello 1D di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5 Sorgenti estese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5.1 Direttività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5.2 Sorgente S1 e leggi di attenuazione . . . . . . . . . . . . . . . 5.6 Amplificazioni spettrali nel punto d’intersezione tra i vari profili . . . . 5.7 Pulsyn03 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 77 82 85 91 91 92 92 99 107 109 111 113 6 Moto sismico delle strutture 6.1 Risposta dinamica di un sistema ad un grado di libertà (oscillatore semplice) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2 Spettro di progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.1 Microzonazione e spettri di risposta . . . . . . . . . . . . . . . 6.3 Isolamento sismico degli edifici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.3.1 Esempio di applicazione dell’isolamento sismico ad un edificio residenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 Conclusioni 132 A Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia 137 B Isolamento sismico per una casa di civile abitazione 163 Bibliografia 177 2 119 121 122 126 129 Introduzione La pericolosità sismica (seismic hazard) rappresenta il pericolo potenziale connesso con i fenomeni naturali derivanti da un terremoto (scuotimento del terreno, rottura di faglia, liquefazione del suolo, frane, ecc.), che possono avere diverse conseguenze sulla società, come la perdita di vite umane, la distruzione di edifici e l’interruzione delle linee di comunicazione. La valutazione della pericolosità è propedeutica a qualsiasi azione di valutazione e mitigazione del rischio sismico (seismic risk), nel quale rientrano invece le conseguenze causate da un terremoto sulla società, come la distruzione degli edifici. Infatti la stima quantitativa del rischio sismico può essere definita con la seguente relazione: Rischio Sismico = Pericolosità Sismica x Vulnerabilità x Esposizione. La vulnerabilità consiste nella predisposizione da parte di persone, beni o attività a subire danni o modificazioni a causa del verificarsi di un terremoto. Tali danni possono indurre alla momentanea riduzione di efficienza da parte di questi elementi o anche ad una totale irrecuperabilità. L’esposizione può essere definita come la dislocazione, consistenza, qualità e valore dei beni e delle attività presenti sul territorio che possono essere influenzate direttamente o indirettamente dall’evento sismico (insediamenti, edifici, attività economiche-produttive, infrastrutture, densità di popolazione). Quindi, per prevenire in modo adeguato eventuali danni connessi con il moto del terreno derivante da un terremoto, occorre stimare correttamente l’input sismico al quale le strutture dovranno far fronte. A tal fine un ruolo di primaria importanza è rivestito dalle tecniche di modellazione che, sviluppatesi in seguito alla conoscenza del processo di sorgente e della propagazione delle onde sismiche, possono simulare realisticamente il moto del terreno. I terremoti forti sono infatti eventi rari e pertanto il numero di registrazioni strong-motion di cui si dispone è insufficiente per caratterizzare in modo completo il potenziale sismico di una certa zona. Tuttavia, grazie alle tecniche di modellazione è possibile definire dei terremoti di scenario e calcolare i corrispondenti sismogrammi sintetici senza dover aspettare che si verifichi, con i conseguenti danni, un evento forte. La modellazione può essere effettuata a diversa scala di dettaglio, a seconda del grado di conoscenza geologica, geofisica, sismologica e sismotettotica di cui si dispone. La presente tesi si pone pertanto come obiettivo la stima deterministica, con metodologie avanzate, della pericolosità sismica nel mio comune di residenza, ossia il comune di Nimis, in provincia di Udine, finalizzata alla costruzione di un edificio residenziale secondo le moderne tecnologie antisismiche (isolamento sismico). La tesi è articolata nel 3 INTRODUZIONE seguente modo. Nel Capitolo 1 viene presentata la nuova normativa antisismica, basata sull’approccio probabilistico per la valutazione della pericolosità sismica, presentando gli aspetti principali e i punti deboli del metodo stesso. Nel Capitolo 2 viene effettuata una zonazione deterministica a scala nazionale basata sul calcolo di sismogrammi sintetici, trascurando gli effetti di sito, considerando le sorgenti sismiche come sorgenti puntiformi e limitando a 1 Hz il contenuto in frequenza dei segnali stessi. Dai sismogrammi vengono poi estratti i valori massimi in spostamento, velocità ed accelerazione di progetto (DGA) e convertiti in intensità macrosismiche. Il metodo usato viene poi integrato con la procedura per il riconoscimento delle aree ad elevato potenziale sismogenetico. Nel Capitolo 3 viene presentato in dettaglio il metodo della somma modale su cui si basa la zonazione deterministica a scala nazionale. Esso consente infatti il calcolo di sismogrammi sintetici in mezzi anelastici lateralmente omogenei (struttura a strati piani paralleli), che rappresentano le proprietà della litosfera a scala regionale. Nel Capitolo 4 viene introdotto il metodo ibrido, usato poi nel Capitolo 5 per effettuare la microzonazione sismica di Nimis. Il metodo ibrido, combinando la tecnica della somma modale, usata per simulare la propagazione delle onde dalla posizione della sorgente al sito di interesse, con quella delle differenze finite, che permette di propagare il campo d’onda all’interno della struttura locale, anelastica ed eterogenea che si vuole modellare in dettaglio, consente infatti di includere nel calcolo dei sismogrammi sintetici gli effetti di sito. Nel Capitolo 5, facendo uso del metodo ibrido e delle informazioni geologiche e geotecniche disponibili per il comune di Nimis, viene effettuato uno studio dettagliato del moto del suolo lungo quattro sezioni, associate a quattro diverse sorgenti sismiche. In questo caso viene aumentato il contenuto in frequenza dei segnali e considerata, attraverso l’uso del programma PULSYN, l’estensione finita delle sorgenti sismiche. Nel Capitolo 6 vengono mostrati i risultati della microzonazione effettuata nel capitolo precedente in termini di spettri di risposta, che rappresentano la risposta di un oscillatore semplice ad un dato input sismico. L’aspetto ingegneristico del rischio sismico viene quindi introdotto presentando un esempio di applicazione dell’isolamento sismico ad un edificio residenziale. 4 Capitolo 1 Normativa antisismica e metodo probabilistico 1.1 Normativa antisismica Recentemente è stata redatta una nuova mappa di pericolosità sismica di riferimento per l’individuazione delle zone sismiche prevista dall’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n.3274 del 20 marzo 2003 concernente i “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”. Secondo i limiti previsti dall’Allegato 1 di tale Ordinanza (“Criteri per l’individuazione delle zone sismiche. Individuazione, formazione e aggiornamento degli elenchi nelle medesime zone”), il comune di Nimis viene inserito nella prima zona sismica, corrispondente ad una accelerazione orizzontale di ancoraggio dello spettro di risposta elastico pari a 0.35 g e ad una accelerazione orizzontale con probabilità di superamento del 10% in 50 anni > 0.25 g (Tabella 1.1). Tabella 1.1: Criteri per l’individuazione delle zone sismiche fissati dall’Ordinanza PCM n.3274. zona accelerazione orizzontale accelerazione orizzontale con probabilità di superamento di ancoraggio dello spettro pari al 10 % in 50 anni (g) di risposta elastico (g) 1 > 0.25 0.35 2 0.15-0.25 0.25 3 0.05-0.15 0.15 4 < 0.05 0.05 La mappa di pericolosità sismica prevista dall’Ordinanza è stata prodotta dal Gruppo di Lavoro istituito dall’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), seguendo il classico approccio probabilistico della pericolosità sismica proposto da Cornell (1968) e tradotto in codici software (SEISRISK III) da Bender e Perkins (1987). Questo metodo è stato seguito a livello mondiale (e.g. GSHAP) per valutazioni di pericolosità sismica e 5 Capitolo 1. NORMATIVA ANTISISMICA E METODO PROBABILISTICO viene spesso adottato per scopi di normativa sismica, nonostante trascuri i risultati conseguiti dalla ricerca negli ultimi venti anni. Esso si basa sostanzialmente sulle seguenti informazioni: 1. zonazione sismogenetica; 2. caratteristiche di ricorrenza (o distribuzione di probabilità) della sismicità e valutazione della magnitudo massima per ciascuna zona sismogenetica; 3. relazioni di attenuazione, in funzione della distanza, dei parametri che descrivono il moto del suolo. Va sottolineato che lo scopo di un’analisi di tipo probabilistico della pericolosità sismica (PSHA - Probabilistic Seismic Hazard Analysis) è di quantificare il tasso (o probabilità) di eccedenza, durante uno specificato periodo di tempo, di varie soglie di moto del suolo ad un dato sito (o ad una mappa di siti), prendendo in considerazione il possibile contributo di tutte le sorgenti sismogenetiche che influenzano la regione studiata. Il parametro che illustra il movimento del suolo più comunemente usato per la caratterizzazione della pericolosità sismica, e previsto anche dall’Ordinanza, è il PGA (accelerazione di picco orizzontale del suolo atteso in un determinato sito), in quanto i manuali di ingegneria sismica fanno riferimento alla forza orizzontale che un edificio deve sopportare durante un terremoto. Questo anche se negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza dell’importanza che possono avere le forze verticali nell’aggravamento dei danni strutturali. 1. Definizione delle zone sismogenetiche. Nell’analisi probabilistica standard della pericolosità sismica, le sorgenti sismiche sono modellate mediante le zone sismogenetiche (SZ), nell’ipotesi che esse siano fra loro indipendenti per quanto riguarda il meccanismo di generazione dei terremoti. Si assume inoltre che la sismicità sia uniformemente distribuita all’interno delle zone sismogenetiche: in altre parole, la probabilità di avere un terremoto di una certa magnitudo è la medesima per ogni punto della zona sismogenetica. L’assunzione acritica di omogeneità delle sorgenti sismiche, all’interno di ciascuna SZ, può introdurre tuttavia significativi errori nella valutazione della pericolosità sismica ad un dato sito. Inoltre, l’assenza di una definizione chiara ed univoca di “zona sismogenetica”, rende impossibile stabilire un criterio standard per l’individuazione delle zone stesse, introducendo cosı̀ un elemento di sostanziale incertezza nella stima della pericolosità sismica. Come conseguenza, per effettuare calcoli di pericolosità sismica di tipo probabilistico possono essere usati diversi modelli di sorgenti sismiche, ottenendo in questo modo diverse stime di PSHA, che risultano peraltro notevolmente influenzate dalla geometria delle SZ usate per il calcolo (Peruzza et al., 2001). A partire da un sostanziale ripensamento della precedente zonazione ZS4 (Scandone e Stucchi, 2000), che aveva rappresentato il punto di riferimento per la maggior parte delle valutazioni di pericolosità sismica nell’area italiana, in [33] è stata elaborata una nuova zonazione sismogenetica, denominata ZS9, alla luce delle evidenze di tettonica attiva e delle valutazioni sul potenziale sismogenetico acquisite negli ultimi anni. In totale le zone sismogenetiche di ZS9 sono 36, alle quali vanno aggiunte 6 zone non utilizzate in quanto non contribuiscono significativamente alla pericolosità del territorio italiano. Ogni ZS è corredata da un meccanismo focale prevalente (meccanismo focale che ha 6 1.1 Normativa antisismica la massima probabilità di caratterizzare i futuri terremoti significativi), determinato nella prospettiva di utilizzo delle relazioni di attenuazione classiche modificate secondo le procedure di Bommer et al. (2003). Va sottolineato tuttavia che alcune delle zone sismogenetiche di ZS9 non sono indipendenti, come indicato dalla distribuzione di aftershocks di terremoti forti nell’Italia meridionale. 2. Caratterizzazione dei tassi di ricorrenza e della magnitudo massima. Un altro elemento fondamentale nella stima probabilistica è rappresentato dalla caratterizzazione dei tassi di ricorrenza degli eventi sismici e dalla valutazione della magnitudo massima per i terremoti attesi entro ciascuna zona sismogenetica. Una relazione di ricorrenza descrive la probabilità che un terremoto avvenga, entro un certo intervallo di tempo e di magnitudo, in un punto qualsiasi della SZ. Queste relazioni, che consentono di incorporare nell’analisi della pericolosità l’informazione disponibile sulla storia sismica, vengono derivate sulla base dei cataloghi di terremoti, compilati utilizzando sia registrazioni strumentali che informazioni storiche. Per la redazione della mappa di pericolosità è stato abbandonato il catalogo NT4.1 (Camassi e Stucchi, 1996), che era stato finalizzato alla valutazione della pericolosità sismica del territorio italiano in combinazione con la zonazione sismogenetica ZS4, ed è stata realizzata una versione aggiornata del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, denominata CPTI04 [40]. Essendo un catalogo concepito e compilato essenzialmente per operazioni di valutazione della pericolosità sismica del territorio nazionale, la magnitudo minima riportata in esso è M = 4. Inoltre, per l’applicazione dell’approccio probabilistico di Cornell (1968), il catalogo contiene solo gli eventi principali, in quanto l’assunzione poissoniana che i terremoti non abbiano memoria, richiede l’eliminazione preventiva degli eventi dipendenti. In [33] i fore-shocks e gli aftershocks (repliche) sono stati rimossi utilizzando un criterio basato su finestre spazio-temporali prefissate, più precisamente all’interno di finestre spazio-temporali di raggio 30 km e 90 giorni è stato conservato solo l’evento maggiore. Questo rappresenta un ulteriore punto critico nell’analisi probabilistica, in quanto il “fore-shock” non è formalmente e fisicamente ben definito; la stessa definizione delle repliche, sebbene caratterizzata in modo più rigoroso grazie al gran numero di osservazioni disponibili, appare tutt’ora controversa. La procedura per il calcolo dei tassi di sismicità, i.e. il numero medio di terremoti osservati in 100 anni, in funzione della magnitudo, prevede una stima preliminare della soglia di completezza del catalogo in funzione del tempo, ossia l’identificazione degli intervalli temporali nei quali si può ritenere che tutti gli eventi accaduti, con magnitudo superiore ad una certa soglia, siano stati effettivamente riportati nel catalogo stesso. Una tipica legge di ricorrenza, usata anche in [33] è la legge di Gutenberg-Richter (GR): LogN = a + bM, dove N rappresenta il numero di eventi in un certo periodo con magnitudo ≥ M. Va ricordato tuttavia che, in considerazione dei modelli di sismicità MS (modello multi-scala; Molchan et al., 1997) e CE (“terremoto caratteristico”; Schwartz e Coppersmith, 1984), la linearità della GR non è sempre applicabile. In altre parole, l’estrapolazione della GR, se non accompagnata da un adeguato ampliamento della regione considerata, può portare ad una pericolosa sottostima della probabilità di occorrenza degli eventi più forti. Infatti, secondo il modello MS, la linearità può essere applicata solo per gli eventi la cui dimensione lineare è circa un ordine di grandezza inferiore rispetto alla scala caratteristica della zona sismogenetica. In caso contrario, la GR non è più rap7 Capitolo 1. NORMATIVA ANTISISMICA E METODO PROBABILISTICO presentativa della sismicità per la zona sismogenetica, ma bisogna introdurre il concetto di CE. Un altro elemento rilevante nella stima probabilistica è la definizione della magnitudo massima attesa in ogni zona sismogenetica. Questo valore rappresenta generalmente solo un elemento di tipo cautelativo, che viene adottato per includere nella stima del moto del suolo atteso la possibilità che si verifichino, sia pure con probabilità molto bassa, eventi di magnitudo superiore a quelli verificatisi nel periodo considerato dal catalogo. Tale scelta riflette ovviamente la scarsa conoscenza del potenziale sismogenetico di una regione. 3. Relazioni di attenuazione dei parametri che descrivono il moto del terreno. Una volta caratterizzato il potenziale sismogenetico delle diverse zone (i.e. le sorgenti sismiche), la pericolosità in un dato sito viene valutata trasferendo il contributo allo scuotimento da ciascuna zona al sito stesso, mediante opportune relazioni di attenuazione del moto del suolo. Le più comunemente usate hanno la seguente forma: 1 Log(y) = a + bM + cLog(r2 + h20 ) 2 + eS ± σ dove y è il parametro del moto del terreno (ad esempio il PGA), a, b, c, ed e sono dei coefficienti stimati empiricamente, abbastanza sensibili al set di dati usato per la determinazione delle relazioni stesse, r è una misura della distanza dalla sorgente, h0 rappresenta una profondità di riferimento, S è una variabile binaria (0 o 1) che dipende dal tipo di terreno, e σ è lo scarto quadratico medio espresso in unità logaritmiche, che viene stimato direttamente dalle regressioni dei dati strong-motion tramite opportuni funzionali. Il valore dello scarto quadratico medio della relazione di attenuazione considerata esprime il livello di confidenza da associare ai parametri che descrivono il moto del suolo: valori elevati implicano minore confidenza nella stima dei parametri del moto del suolo e quindi nella legge di attenuazione. L’elevato numero di equazioni disponibili in letteratura testimonia la difficoltà nella definizione delle relazioni di attenuazione da usare per il calcolo probabilistico della pericolosità sismica. Per la redazione della nuova mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale sono state utilizzate relazioni di attenuazione europee ed italiane. Più precisamente è stato fatto riferimento alla relazione di Ambraseys et al. (1996), calibrata su qualche centinaio di dati strong-motion europei (tra cui anche la registrazione del terremoto del Friuli 1976), ed alla relazione di Sabetta e Pugliese (1996), calibrata invece su dati italiani. È opportuno sottolineare che una data relazione di attenuazione assume lo stesso modello di propagazione per tutti gli eventi, sebbene questa ipotesi non sia molto realistica. Inoltre le relazioni di attenuazione non sono invarianti per traslazione, ma dipendono fortemente dal set di dati usato per la calibrazione delle relazioni stesse. La relazione proposta da Ambraseys et al. (1996): Log(PHA) = −1.48+0.266M s −0.992Log(r2 +3.52 )1/2 +0.117S A +0.124S S ±0.25 (1.1) per l’attenuazione del PHA (accelerazione orizzontale di picco) ha il vantaggio di essere applicata in un ampio intervallo di magnitudo (MS compresa tra 4.0 e 7.9) e di essere calibrata su tre diversi tipi di terreno, suddivisi in base al valore della velocità delle onde 8 1.1 Normativa antisismica di taglio nei primi 30 m: “roccia”, “suoli rigidi”, e “suoli soffici”. La relazione di Sabetta e Pugliese (1996): Log(PGA) = −1.562 + 0.306M − Log(r2 + 5.82 )1/2 + 0.169S 1 + 0.0S 2 ± 0.173 (1.2) utilizza invece due differenti tipi di magnitudo (ML o MS a seconda dell’entità del terremoto) e copre un intervallo di magnitudo inferiore, mentre le condizioni geologiche al sito sono definite da tre categorie, in base alla velocità delle onde di taglio ed allo spessore dei sedimenti. Per poter quindi applicare quest’ultima relazione, in [33] è stata necessaria una estrapolazione per valori maggiori del suo valore di soglia ed una conversione delle magnitudo disponibili in ML o MS . Inoltre, per entrambe le relazioni di attenuazione la definizione della distanza tra sito e sorgente non è unica; infatti può corrispondere alla distanza dalla proiezione in superficie della faglia (che a sua volta può essere stimata in modi diversi) per gli eventi più forti, oppure alla distanza epicentrale per i terremoti più deboli. Tutto ciò contribuisce evidentemente ad accrescere l’incertezza e la soggettività della valutazione della pericolosità. Infine, per entrambe le relazioni, in [33] sono stati utilizzati i fattori correttivi proposti da Bommer et al. (2003), che permettono di tenere conto del meccanismo focale prevalente (normale, inverso o trascorrente) della ZS considerata. Oltre a queste relazioni di attenuazione di carattere generale, in [33] sono state calibrate anche delle relazioni di attenuazione regionali per quattro macrozone a partire da registrazioni strong- e weak-motion. Per quanto riguarda le porzioni di territorio per le quali non sono state preparate le relazioni di attenuazione regionali, in [33] il problema è stato risolto estendendo i risultati disponibili per le quattro macrozone predette a macrozone con caratteristiche crostali analoghe. 4. Stima probabilistica della pericolosità sismica. A partire da questi elementi, in [33] è stata valutata la mappa di pericolosità sismica per il territorio nazionale. Come previsto dall’Ordinanza, i calcoli sono stati fatti “in termini di accelerazione massima del suolo” considerando una “probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni”, che corrisponde ad un periodo medio di ritorno di 475 anni. Si tratta di una scelta usuale nell’ingegneria sismica, che è stata adottata anche come valore di riferimento nel recente codice sismico europeo (Eurocode EC8) per la progettazione degli edifici di civile abitazione. I risultati delle stime di PSHA si riferiscono ad un generico sito su roccia. Infatti le “Norme tecniche per il progetto, la valutazione e l’adeguamento sismico degli edifici”, All.2 dell’Ordinanza, prevedono che al fine dell’applicazione delle norme, il territorio nazionale venga suddiviso in “zone sismiche, ciascuna contrassegnata da un diverso valore del parametro ag - accelerazione orizzontale massima su suolo di categoria A” (punto 3.2.1), definito nelle stesse norme (al punto 3.1) come costituito da “Formazioni di litoidi o suoli omogenei molto rigidi caratterizzati da valori di vS 30 superiori a 800 m/s, comprendenti eventuali strati di alterazione superficiale di spessore massimo pari a 5 m”, dove vS 30 è la media pesata della velocità delle onde di taglio nei primi 30 m di profondità. La mappa di pericolosità finale (Figura 1.1) è stata ottenuta seguendo il criterio dell’albero logico, che affronta il problema della definizione non univoca di: - modalità di valutazione degli intervalli di completezza del catalogo; - modalità di calcolo dei tassi di sismicità e della magnitudo massima; 9 Capitolo 1. NORMATIVA ANTISISMICA E METODO PROBABILISTICO - tipi di relazione di attenuazione del moto del suolo e attribuzione areale delle relazioni a carattere regionale e della loro influenza sulla stima probabilistica della pericolosità sismica. Più precisamente essa è stata ottenuta come mediana delle 16 mappe corrispondenti ad altrettanti rami di un albero logico (ciascuno dei quali rappresenta specifiche scelte dei tre elementi in gioco), cui viene attribuito un peso diverso. Questo metodo consente di valutare Figura 1.1: Mappa conclusiva di pericolosità sismica (PGA con probabilità di superamento del 10% in 50 anni), ottenuta come mediana delle 16 mappe corrispondenti ai 16 rami dell’albero logico. l’influenza delle diverse scelte nella stima della pericolosità, permettendo cosı̀ una valutazione delle incertezze epistemiche associate al processo di calcolo. Infatti le incertezze in gioco in una analisi di tipo probabilistico della pericolosità sismica sono di due tipi: aleatorie ed epistemiche. Le incertezze aleatorie sono quelle proprie di un sistema fisico, rappresentano la variabilità naturale di un processo e non possono essere ridotte mediante l’accumulo di ulteriori dati o informazioni aggiuntive: non importa quanto accuratamente si conosce la magnitudo e la distanza da un terremoto, perchè ci sarà sempre qualche incertezza nel predire quale sarà il moto del terreno; pertanto la quantificazione di questo tipo di incertezze viene fatta introducendo nel calcolo la stima della deviazione standard delle relazioni di attenuazione. D’altro canto le incertezze epistemiche sono quelle che derivano da una mancanza di dati o dall’incompleta conoscenza scientifica che noi abbiamo di un fenomeno, e per questo non possiamo modellarlo completamente. Le incertezze epistemiche si riflettono nell’ampia scelta delle metodologie da adottare nei singoli passi procedurali per generare le mappe di pericolosità, che variano da autore ad autore e determinano differenze notevoli nei risultati finali. A questo punto è opportuno sottolineare come, nonostante la consapevolezza delle incertezze che entrano in gioco nella stima della pericolosità sismica, i valori riportati nella legenda di Figura 1.1 sono espressi con tre cifre significative, fornendo in questo modo una precisione non realistica. Il metodo dell’albero logico, tuttavia, pur consentendo di valutare 10 1.2 PSHA e condizioni locali del terreno per il Friuli Venezia Giulia la stabilità/sensibilità dei risultati rispetto alle scelte effettuate, non consente necessariamente di ottenere una stima più realistica della pericolosità sismica, rispetto a quelle che si otterrebbero considerando scelte ben precise, poiché, ad esempio, non vengono considerate le condizioni locali del terreno. Un’ulteriore punto debole del metodo dell’albero logico sta nel fatto che ad ogni ramo viene associato un certo peso: gran parte del risultato finale dipende quindi da questa scelta che non può essere fatta, di regola, seguendo criteri rigorosamente obiettivi. Dalla Figura 1.1, può essere facilmente constatato come il comune di Nimis sia caratterizzato per lo più da valori di PGA compresi tra 0.250 e 0.275 g, mentre nella punta meridionale, la pericolosità scende (PGA compreso tra 0.225 e 0.250 g). 1.2 PSHA e condizioni locali del terreno per il Friuli Venezia Giulia È ben risaputo che un elemento che influenza notevolmente la pericolosità sismica è la risposta locale del terreno. I calcoli di pericolosità previsti dall’Ordinanza sono, però, riferiti ad un terreno particolare, ossia roccia o suolo molto rigido (Categoria A, con vS 30 > 800 m/s, secondo la classificazione introdotta nella stessa Ordinanza, All.2 Norme Tecniche, Azione sismica, 3.1). Di conseguenza la mappa finale di pericolosità è poco rappresentativa del moto del suolo realmente atteso ad uno specifico sito. Quando però si valuta la pericolosità a scala regionale si possono tentare valutazioni che riguardano eventuali amplificazioni del moto del suolo dovute alle condizioni locali del terreno. Per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia si trovano in letteratura due lavori antecedenti l’Ordinanza, Peruzza et al., (2001) [64] e Rebez et al, (2001) [65], che calcolano la pericolosità sismica tenendo conto della tipologia reale dei terreni nella regione in considerazione. Questa tipologia è stata definita da Peruzza et al. (2001) alla scala amministrativa dei comuni. In tal caso a ciascun comune è stato assegnato un terreno tipico (roccia, suolo rigido, suolo soffice), corrispondente alla tipologia di terreno sul quale insiste la maggior parte dell’edificato, e la relazione di attenuazione ad esso correlata, secondo la classificazione di Ambraseys et al., (1996). Dalla Figura 1.2 si può vedere come la maggioranza dei comuni della regione risulta caratterizzata da terreno rigido, mentre nella fascia costiera, in alcuni comuni della Carnia (dove il centro comunale è posto in fondovalle) e a Nimis, prevale il terreno soffice. Utilizzando queste informazioni, assieme alla zonazione ZS4 e al catalogo NT4, è stata ottenuta una mappa di PGA con periodo di ritorno pari a 475 anni (Figura 1.3) che potenzialmente descrive in modo più adeguato lo scuotimento atteso e nella quale si possono osservare valori di PGA diversi anche tra comuni confinanti, se caratterizzati da terreni differenti. La mappa di Figura 1.3 mostra inoltre come nel comune di Nimis ci si possa aspettare un valore PGA compreso tra 0.24 e 0.279 g, comunque comparabile con quello fornito dalla mappa di Figura 1.1. Una variante di tale mappa probabilistica è stata proposta da Rebez et al. (2001), che utilizza una diversa zonazione sismogenetica (appositamente preparata per tale studio) ed una più dettagliata caratterizzazione della tipologia del suolo. Più precisamente è stata predisposta una carta numerica alla scala 1:25000 (Figura 1.4), nella quale sono 11 Capitolo 1. NORMATIVA ANTISISMICA E METODO PROBABILISTICO Figura 1.2: Tipologie di terreni nei comuni della regione Friuli Venezia Giulia secondo la classificazione di Ambraseys et al. (1996). Figura 1.3: Mappa in PGA con periodo di ritorno di 475 ottenuta considerando per ogni comune il terreno specifico della Figura 1.2. stati distinti tutti gli areali caratterizzati da affioramento di roccia, mentre la restante parte del territorio è stata attribuita alla categoria dei terreni soffici. Tenendo conto della suddivisione del territorio in areali a diversa litologia (roccia o suolo) è stata redatta una mappa di pericolosità sismica alla “superficie libera” per il Friuli Venezia Giulia, ove il moto del suolo è espresso sia in termini di PGA che SA (accelerazione spettrale). Infatti, anche nell’applicazione della metodologia probabilistica si va facendo strada la consapevolezza che il PGA da solo non è in grado di descrivere adeguatamente tutti gli effetti associati allo scuotimento del terreno, in quanto sia la frequenza che la durata del treno d’onde sismiche possono giocare un ruolo decisivo nel determinare la risposta degli edifici. Anche dalla Figura 1.5, che rappresenta la mappa di pericolosità sismica per il Friuli Venezia Giulia in termini di PGA con periodo medio di ritorno di 475 anni, si nota come, in contrasto con le mappe usuali di pericolosità, lo scuotimento non mostra un pattern regolare: si possono quindi osservare diversi valori di PGA anche all’interno 12 1.2 PSHA e condizioni locali del terreno per il Friuli Venezia Giulia Figura 1.4: Tipologie di suoli presenti nella regione Friuli Venezia Giulia. Figura 1.5: Mappa in PGA con periodo di ritorno di 475 anni ottenuta considerando la suddivisione del territorio in areali a diversa litologia. dello stesso comune, se caratterizzato da litologie differenti. Infatti all’interno del comune di Nimis i valori di PGA variano da 0.32 g a 0.56 g. In altre parole, considerando le condizioni locali del terreno, si possono ottenere a Nimis valori di PGA anche doppi rispetto a quelli della mappa di Figura 1.1. 13 Capitolo 1. NORMATIVA ANTISISMICA E METODO PROBABILISTICO 1.3 Stima della pericolosità sismica: metodo probabilistico e metodo deterministico Il metodo probabilistico fornisce delle informazioni potenzialmente utili ma non certamente sufficienti per caratterizzare completamente la pericolosità sismica ad un dato sito. È già stata sottolineata l’importanza della geologia, che può determinare un aumento non trascurabile della pericolosità sismica. Tuttavia i cosiddetti “effetti di sito” possono essere stimati solo mediante una modellazione dettagliata delle condizioni locali al sito e la caratterizzazione delle sorgenti che determinano la sollecitazione sismica. È vero infatti che data una sorgente, siti diversi rispondono in modo diverso alla sollecitazione, ma uno stesso sito non risponde sempre allo stesso modo cambiando sorgente. Per questo motivo il metodo probabilistico, che separa il termine di sito dai termini di sorgente e propagazione, ritenendo che il moto sismico possa essere espresso dal prodotto convolutivo dei tre termini, risulta applicabile solo a situazioni particolarmente semplici (fasi o modi singoli, che non interferiscono fra loro) e non alla maggior parte dei casi reali, nei quali il moto sismico è formato dalla sequenza di varie fasi che interferiscono fra loro o, equivalentemente, da un certo numero di modi di vibrazione. Diventa quindi importante la modellazione del moto del suolo mediante il calcolo di sismogrammi sintetici realistici. In questo modo anche i valori di picco, tra cui il PGA, possono essere stimati direttamente dai sismogrammi sintetici, senza dover ricorrere alle leggi di attenuazione, che hanno una validità generale e non sono quindi rappresentative di situazioni specifiche. Per venire incontro a queste necessità, accanto al metodo probabilistico è stato inizialmente sviluppato un metodo diverso: il metodo deterministico. Esso fornisce una descrizione della severità del moto del terreno dovuta a un terremoto di una data distanza e magnitudo (“terremoto di scenario”). Nel capitolo successivo si vedrà come anche il metodo deterministico faccia uso delle zone sismogenetiche, ma in maniera diversa: la sismicità non sarà più uniformemente distribuita all’interno delle zone sismogenetiche, ma verranno definite delle sorgenti caratterizzate dal terremoto massimo atteso e dalla loro distanza dai siti. Perde quindi validità anche il concetto di legge di ricorrenza, di difficile definizione e che porta a pesare maggiormente gli eventi deboli e frequenti rispetto a quelli forti, ma rari. Nella formulazione classica del metodo deterministico il moto del terreno ad un determinato sito viene valutato a partire dalla legge di attenuazione corrispondente alla magnitudo del terremoto di scenario: la pericolosità in un dato sito viene quindi definita come il valore del parametro, ad es. l’accelerazione, estrapolato dalla curva di attenuazione alla distanza del sito dalla sorgente. Dato che le leggi di attenuazione non sono invarianti per traslazione, è stato sviluppato un nuovo approccio per il metodo deterministico, basato sul calcolo di sismogrammi sintetici, dai quali possono essere poi estratti i parametri di interesse. Svincolandosi, quindi, dai problemi legati alle leggi di ricorrenza e alle leggi di attenuazione, che portano ad una stima della sismicità che rappresenta solo una grossolana approssimazione della realtà, e basandosi, invece, su tecniche di modellazione che si sono sviluppate in seguito alla conoscenza del processo di sorgente e della propagazione delle onde sismiche, il metodo deterministico permette ora di simulare realisticamente il moto del terreno associato ad un dato terremoto di scenario 14 1.3 Stima della pericolosità sismica: metodo probabilistico e metodo deterministico (Panza et al., 1996, 2000; Field et al., 2000). Per tali motivi, nel corso di questa tesi verrà adottato, per la valutazione del moto del suolo a Nimis, il metodo neo-deterministico. 15 Capitolo 2 Stima deterministica della pericolosità sismica a scala nazionale La procedura per la stima deterministica della pericolosità sismica si basa sulla possibilità di modellare il moto del suolo in qualsiasi sito di interesse, mediante il calcolo di sismogrammi sintetici realistici, a partire dalle informazioni disponibili sulla struttura della Terra, sorgenti sismiche e livello di sisimicità dell’area investigata. Infatti, lo studio completo della risposta non lineare delle strutture alla sollecitazione sismica richiede l’utilizzo di sismogrammi in un opportuno intervallo di frequenze, che vengono efficientemente generati ai siti di interesse con la tecnica della somma modale (per la trattazione analitica si rimanda al Capitolo 3). In questo modo si ottiene una stima realistica della pericolosità sismica anche in quelle aree per le quali l’informazione storica o strumentale è scarsa o assente. La stima della pericolosià viene effettuata al bedrock (basamento), in quanto il livello di dettaglio assunto nella modellazione non permette di considerare le condizioni locali del terreno. Per la stima della pericolosità sismica a scala nazionale il metodo deterministico considera diversi insiemi di poligoni, che vengono utilizzati per caratterizzare le sorgenti sismiche (e.g. i meccanismi focali, le aree sismogenetiche ed i cataloghi di terremoti) e per delimitare le aree associabili a differenti modelli strutturali (modelli 1D, ossia con proprietà anelastiche del mezzo attraversato dalle onde sismiche definite in funzione della profondità). In tale analisi, effettuata mediante la simulazione del moto del suolo al basamento, chiaramente gli effetti di sito vengono trascurati. Il diagramma di flusso della procedura è mostrato in Figura 2.1. 2.1 Sorgenti Per la definizione delle sorgenti sismiche ci si rifà agli eventi contenuti nei cataloghi di terremoti. La sismicità viene discretizzata in celle di dimensioni 0.2°x0.2°e a ciascuna cella viene assegnata la massima magnitudo in essa registrata. Un esempio di distribuzione delle magnitudo massime sul territorio è mostrato in Figura 2.2(a) assie17 Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A SCALA NAZIONALE Figura 2.1: Diagramma di flusso della procedura deterministica per la valutazione della pericolosità sismica a scala nazionale. La componente verticale in genere non viene usata. me ai poligoni di validità dei cataloghi di terremoti italiano (CPTI04), sloveno e croato. Successivamente per tenere conto: a) dei possibili errori di localizzazione dei terremoti presenti nei cataloghi storici, b) delle dimensioni finite delle sorgenti sismiche, c) della possibilità, per un terremoto avvenuto in passato in un certo punto, di avvenire in un altro punto della faglia, se questa è attiva, viene effettuata una procedura di lisciamento (smoothing). In pratica viene definita una finestra di lisciamento con raggio pari a 3 celle, che ha la funzione di “spalmare” sulle celle della finestra la magnitudo della cella centrale se questa è maggiore di quella della cella in esame. I risultati dell’operazione di smoothing vengono mostrati in Figura 2.2(b). Completata l’operazione di smoothing, vengono selezionate le sole celle che cadono all’interno delle zone sismogenetiche. La distribuzione della magnitudo lisciata per le celle che appartengono alla zonazione sismogenetica ZS9 è mostrata in Figura 2.2(c). Infine, ad ogni poligono che definisce una zona sismogenetica viene assegnato un meccanismo focale rappresentativo della tettonica della zona. Questo meccanismo focale può essere assegnato a priori, come è stato possibile fare in concomitanza all’uso della zonazione sismogenetica ZS9, oppure può essere calcolato mediante la media aritmetica 18 2.2 Struttura degli elementi dei tensori dei meccanismi disponibili all’interno della zona sismogenetica. Dal meccanismo focale medio cosı̀ ottenuto, in generale non corrispondente ad una doppia coppia, viene quindi estratta la miglior doppia coppia. (a) (b) (c) Figura 2.2: (a) Distribuzione sul territorio delle magnitudo massime; (b) distribuzione sul territorio delle magnitudo “lisciate”; (c) distribuzione delle magnitudo “lisciate” all’interno delle zone sismogenetiche. 2.2 Struttura Per quanto riguarda la struttura, la procedura considera un insieme di poligoni regionali (17 sono quelli usati nell’applicazione della procedura al territorio italiano), ciascuno dei quali rappresenta le proprietà della litosfera a scala regionale. Ogni modello strutturale è caratterizzato da strati piani paralleli, fino a una profondità di circa 1000 km, alla quale la velocità delle onde S raggiunge il valore di circa 6.4 km/s. Questo viene fatto per garantire che la velocità delle onde S nel semispazio sia maggiore delle velocità delle onde P nei singoli strati crostali più superficiali. Infatti, con la tecnica della somma modale, i sismogrammi sintetici conterranno tutte le onde che viaggiano con una velocità di fase inferiore alla velocità delle onde S del semispazio omogeneo con cui termina la struttura stratificata. Per ogni strato vengono quindi definiti spessore, densità, velocità delle onde P, velocità delle onde S e i rispettivi parametri di attenuazione. Nel 19 Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A SCALA NAZIONALE calcolo dei sismogrammi sintetici, l’effetto delle eterogeneità laterali viene preso in considerazione in modo approssimativo: se il percorso sorgente-ricevitore attraversa uno o più confini tra modelli strutturali adiacenti, il segnale è calcolato assumendo il modello del ricevitore come rappresentativo dell’intero percorso, massimizzandone quindi gli effetti. L’utilizzo di un modello semplificato di struttura della Terra deriva, come verrà dimostrato nel Capitolo 3, dalla scelta di una risoluzione analitica delle equazioni del moto. 2.3 Siti e sismogrammi sintetici Le strutture e le sorgenti vengono utilizzate come dati di input per generare un database di sismogrammi sintetici realistici, secondo il metodo della somma dei modi. I sismogrammi sintetici vengono calcolati in siti collocati ai vertici di una griglia di passo 0.2°x0.2°, che copre l’intero territorio italiano, e viene stimata ad ogni sito la somma vettoriale delle componenti radiale e trasversale del moto del suolo ai fini della mappatura dello scuotimento. Per ridurre il numero di elaborazioni, la distanza massima sorgente-ricevitore viene fissata a 25, 50 e 90 km, in funzione della magnitudo associata alla sorgente stessa (M < 6, 6 ≤ M < 7 e M ≥ 7, rispettivamente). Tutti i sismogrammi sono valutati per un contenuto in frequenza massimo di 1 Hz in quanto il livello di dettaglio assunto nella modellazione delle strutture rende non significativo spingersi a frequenze maggiori. Si vedrà invece nel Capitolo 5 come sia possibile espandere lo spettro dei segnali fino a una frequenza di 5 Hz considerando strutture locali più dettagliate. La profondità ipocentrale viene fissata in funzione della magnitudo (10 km per M < 7, 15 km per M ≥ 7), ma è anche possibile assegnare ad ogni sorgente una profondità media determinata dall’analisi dei cataloghi disponibili. Tenere la profondità ipocentrale fissa (per classi di magnitudo) e superficiale è necessario a causa dei grandi errori che generalmente interessano la profondità ipocentrale riportata nei cataloghi di terremoti. I sismogrammi sintetici sono inizialmente valutati per un momento sismico unitario (1 dyna cm), poi la finitezza della sorgente viene tenuta in considerazione scalando lo spettro con le leggi di scala proposte da Gusev (1983): la magnitudo viene convertita in momento usando la relazione di Kanamori (1977) e viene adottata una curva interpolandola tra quelle di Gusev note (Figura 2.3). A ciascun sito restano cosı̀ associati diversi segnali completi, generati dalle varie sorgenti, ed è quindi possibile produrre un insieme di mappe di pericolosità sismica che descrivono il moto del suolo e che rappresentano scenari regionali. Tali mappe vengono tracciate considerando i valori massimi dello spostamento, della velocità, dell’accelerazione di progetto (DGA, Design Ground Acceleration), o di qualsivoglia altro parametro di progetto estraibile dai sismogrammi sintetici. Solitamente non vengono prodotte mappe considerando i valori massimi dell’accelerazione, in quanto si ritiene che essi siano sottostimati, dal momento che il contenuto in frequenza viene limitato a 1 Hz. Per questo motivo, per le accelerazioni, i risultati deterministici vengono estesi a frequenze più alte di 1 Hz calcolando uno spettro di risposta sintetico, a cui viene raccordata, per periodi compresi tra 1 s e 5 s, la forma spettrale dello spettro di normativa EC8 (Eurocode 8, 1993), che definisce uno spettro di risposta del moto del terreno per uno smorzamento pari al 5% dello smorzamento critico. Dato che i modelli strutturali regionali usati sono 20 2.4 Risultati al sito di Nimis 0.001 23 frequency (Hz) 0.01 0.1 1 10 100 0.1 Log M0 (N m) 21 19 17 15 13 1000 10 period (s) 1 Figura 2.3: Spettri di ampiezza medi proposti da Gusev (1983). di tipo A, come definiti nell’EC8, il valore dell’intercetta dell’EC8 rappresenta il valore di DGA cercato. Un esempio di tale procedura è illustrato in Figura 2.4. I risultati della procedura deterministica sono particolarmente adatti per l’ingegneria civile come input sismico per la progettazione di speciali edifici. Figura 2.4: Esempio di calcolo del DGA: lo spettro sintetico calcolato a partire dai sismogrammi sintetici viene prolungato mediante la forma spettrale dell’EC8 verso i corti periodi, fino ad ottenere, per T = 0, il valore di DGA cercato. 2.4 Risultati al sito di Nimis Al fine di associare una incertezza ai valori di pericolosità calcolati al sito di Nimis con la procedura sopraillustrata, sono state prodotte diverse mappe di pericolosità risultanti dall’uso di due diverse zonazioni sismogenetiche (ZS4 e ZS9) e da tre diversi cataloghi di terremoti (NT4 [18], CPTI04 [40], UCI [62]). Per entrambe le zonazioni sismogenetiche i meccanismi focali sono stati calcolati come miglior doppia coppia; 21 Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A SCALA NAZIONALE inoltre, per la zonazione sismogenetica ZS9 è stato possibile adottare i meccanismi focali medi mostrati in Figura 4 dell’Appendice n°2 al Rapporto Conclusivo. Per comodità di notazione, d’ora in poi, la zonazione sismogenetica ZS9 associata ai meccanismi focali calcolati come miglior doppia coppia sarà denominata ZS9m; se associata invece ai meccanismi focali “fissi” forniti dal GNDT sarà denominata ZS9f. Sono stati cosı̀ prodotti 9 scenari di pericolosità sismica considerando in ciascun caso i valori di picco dello spostamento, della velocità e dell’accelerazione di progetto (DGA). Per analizzare i dati è stato elaborato un software specifico, mediante il quale è stato possibile estrarre i valori relativi al nodo di griglia più vicino a Nimis (46.2 N, 13.2 E), e calcolarne le differenze e i rapporti tra le varie mappe, nonchè i valori massimi e medi. I risultati sono illustrati in Appendice A. In Tabella 2.1 vengono invece mostrati i valori massimi e i valori medi aumentati di una deviazione standard. Tabella 2.1: Valori di riferimento massimi e medi per il nodo di griglia più vicino a Nimis ottenuti dall’analisi dei 9 scenari calcolati. valore massimo valore medio più una deviazione standard spostamento (cm) 13.1 8.8 + 2.0 velocità (cm/s) 34.5 24.2 + 4.9 DGA (g) 0.44 0.30 + 0.06 Al fine di valutare l’influenza del catalogo di terremoti usato sui risultati ottenuti al nodo di griglia più vicino a Nimis, questi ultimi sono stati tra loro confrontati variando il catalogo e mantenendo fissa la zonazione sismogenetica. Si nota che per entrambe le zonazioni i cataloghi NT4 e UCI non presentano differenze nei risultati di spostamento, velocità ed accelerazione. Questo è direttamente riscontrabile nelle mappe che rappresentano la distribuzione delle magnitudo lisciate dei due cataloghi in quanto esse, nella zona di Nimis, sono identiche. Il catalogo CPTI04 fornisce invece valori più alti. I risultati sono mostrati in Figura 2.5. L’influenza della scelta dei meccanismi focali è stata invece valutata confrontando tra loro le mappe associate alla zonazione sismogenetica ZS9, per la quale sono disponibili due set di meccanismi focali. Nella Figura 2.6 si può osservare che la zonazione ZS9f porta ad un accentuamento della pericolosità rispetto alla ZS9m. In un’ultima indagine, a parità di catalogo, sono state confrontate le zonazioni ZS4, ZS9m e ZS9f. Si nota in questo caso (Figura 2.7) come la zonazione ZS4 sottostimi la pericolosità di Nimis rispetto alla ZS9f; invece la scelta tra ZS4 o ZS9m influisce poco sui risultati. Dalle analisi precedenti si può facilmente dedurre come i valori più alti si ottengono nel caso della zonazione ZS9f e usando il catalogo CPTI04, ossia nel caso della versione deterministica della mappa di pericolosità sismica prevista dall’Ordinanza PCM 20 marzo 2003 n.3274, All.1. I risultati sono visualizzati in Figura 2.8. È opportuno sottolineare che i valori minori di pericolosità si ottengono nel caso della zonazione ZS9m e i cataloghi NT4 e UCI. Questa scelta porta ad una stima inferiore della pericolosità a Nimis di circa un grado di intensità rispetto alle mappe della Figura 2.8. 22 2.4 Risultati al sito di Nimis Figura 2.5: Differenze e rapporti nei valori di spostamento (a), velocità (b) e DGA (c) ottenuti per il sito di Nimis al variare del catalogo. Infatti, leggi empiriche dimostrano che ad un raddoppio dei valori di picco corrisponde un incremento di un grado di intensità. Ed in effetti i valori forniti dalle mappe prodotte usando la zonazione ZS9m ed i cataloghi NT4 e UCI sono circa la metà di quelli ottenuti nel caso della zonazione ZS9f con il catalogo CPTI04. Utilizzando le relazioni che legano i valori dei parametri del moto del suolo alle intensità macrosismiche riportate nella base dati ING [16] e ISG (INGV, SSN e GNDT) [51], sviluppate da Panza et al. (1997) per il territorio italiano (Tabella 2.2 e Tabella 2.3 rispettivamente), è stato possibile stimare le massime intensità attese al sito di Nimis. I risultati sono riportati nelle Tabelle 2.4 e 2.5. L’intensità osservata a Nimis (Iosservata = IX) è la stessa nelle due banche dati considerate. Dato che le massime intensità stimate per il sito di Nimis sono quasi tutte maggiori della massima intensità osservata, è stata effettuata un’ulteriore analisi, usando il catalogo di terremoti CPTI04 e la zonazione ZS9f, al fine di estrarre dagli scenari deterministici valori di intensità direttamente confrontabili con i dati macrosismici osservati. Le mappe prodotte precedentemente, infatti, non rispondono a questo scopo poichè in tal caso non devono essere tenuti in considerazione nè i possibili errori di localizzazione presenti nei 23 Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A SCALA NAZIONALE Figura 2.6: Differenze e rapporti nei valori di spostamento (a), velocità (b) e DGA (c) ottenuti per il sito di Nimis al variare dei meccanismi focali. cataloghi storici, in quanto lo stesso tipo di errori è presente anche nelle osservazioni, nè la possibilità per un dato terremoto di avvenire in un punto diverso della faglia, se l’obiettivo dell’analisi è il confronto con i terremoti passati. L’unico elemento di cui si deve tenere ancora conto è la dimensione delle sorgenti. Per questo motivo è stata applicata una finestra di lisciamento di raggio 1 cella per eventi con magnitudo maggiore o uguale a 6.8 (3 celle ∼ 50 km, comparabile con le dimensioni rotte da un terremoto di magnitudo 6.8), mentre non è stato applicato alcun lisciamento per eventi più piccoli. I risultati della procedura sono mostrati in Figura 2.9. Si può osservare come la distribuzione delle magnitudo lisciate (Figura 2.9(b)) sia identica alla distribuzione delle magnitudo discretizzate (Figura 2.9(a)), in quanto la magnitudo massima presente in Friuli è 6.7, quindi inferiore a quella richiesta per effettuare una operazione di “smoothing”. Dalle mappe 2.9 si possono ricavare, per il sito di Nimis, i valori riportati nelle Tabelle 2.6 e 2.7. In questo caso, a parte il DGA, si nota un buon accordo tra le intensità stimate usando le relazioni riportate in Tabella 2.3 e l’intensità osservata. Va comunque precisato che 24 2.5 Aree ad elevato potenziale sismogenetico Figura 2.7: Differenze e rapporti nei valori di spostamento (a), velocità (b) e DGA (c) ottenuti per il sito di Nimis al variare della zonazione sismogenetica. il valore di intensità X in Tabella 2.7 deriva da un valore di DGA (0.26 g) non eccessivamente lontano dal limite superiore della classe di intensità IX (0.20 g) e, quindi, ci si può ritenere soddisfatti dei risultati ottenuti dalla modellazione. Usando invece le relazioni riportate in Tabella 2.2 si ottengono valori maggiori di un grado di intensità rispetto a quella osservata. Va comunque tenuto presente che il catalogo CPTI04 e la zonazione ZS9f rappresentano le scelte più conservative. 2.5 Aree ad elevato potenziale sismogenetico Finora il calcolo della pericolosità deterministica al sito di Nimis è stata fatta tenendo in considerazione le sole sorgenti che cadono all’interno delle zone sismogenetiche (ZS4 e ZS9). A questo punto va però osservato che le zone sismogenetiche non sono state disegnate appositamente per il codice di calcolo usato in questa tesi, bensı̀ per un’analisi probabilistica della pericolosità sismica (Capitolo 1). Ne segue la possibilità, per le sorgenti capaci di generare forti terremoti, ma incluse in quelle aree dove l’infor25 Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A SCALA NAZIONALE (a) (b) (c) Figura 2.8: Mappe dei massimi spostamenti orizzontali (a), velocità orizzontali (b) e DGA (c) attesi, dedotti dai sismogrammi sintetici, secondo il metodo per la stima deterministica della pericolosità sismica a livello nazionale. mazione storica e strumentale è scarsa, di essere escluse dal calcolo della pericolosità deterministica. Per ovviare a questo problema è stata effettuata un’analisi della pericolosità deterministica includendo nel calcolo anche le aree ad elevato potenziale sismogenetico (areas prone to strong events); questo permette una stima cautelativa e più realistica del rischio sismico, in particolare laddove non si sono verificati forti terremoti in tempi storici. La procedura è la stessa di quella seguita nella sezione precedente (discretizzazione delle sorgenti e lisciamento della magnitudo), tranne che per il fatto che ora sono considerate le sole sorgenti i cui epicentri cadono all’interno dei nodi morfostrutturali (chiamati nel seguito solo nodi), anzichè all’interno delle zone sismogenetiche: il metodo deterministico, infatti, a differenza di quello probabilistico, non è vincolato al concetto di zona sismogenetica. I nodi rappresentano particolari strutture che si formano attorno alle intersezioni tra lineamenti (zone che separano due aree caratterizzate da diversa morfologia e che sono spesso l’espressione superficiale di fratture situate in profodità). I lineamenti vengono identificati secondo il Metodo della Zonazione Morfostrutturale, MZ (Alekseevskaya, 1977), che permette di delineare una struttura gerarchica a blocchi della regione in esame, usando informazioni di tipo tettonico e geologico, con particolare riguardo per la topografia. Le zone di confine tra i blocchi prendono il nome di lineamenti e all’interse26 2.5 Aree ad elevato potenziale sismogenetico (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura 2.9: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione sismogenetica ZS9f e il catalogo CPTI04, prodotte per il confronto con i dati macrosismici osservati. Le mappe mostrano: (a) la distribuzione delle magnitudo massime sul territorio, assieme ai poligoni di validità dei cataloghi italiano, sloveno e croato; (b) il risultato dell’operazione di “lisciamento” delle magnitudo, assieme ai poligoni di validità dei cataloghi italiano, sloveno e croato; (c) le zone sismogenetiche e le magnitudo lisciate al loro interno; (d) i valori di spostamento di picco, assieme ai poligoni strutturali; (e) i valori della velocità di picco, assieme ai poligoni strutturali; (f) i valori di DGA, assieme ai poligoni strutturali. 27 Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A SCALA NAZIONALE Tabella 2.2: Conversione tra le Intensità macrosismiche (MCS) riportate nella base dati ING e gli intervalli medi dei valori di picco del moto del suolo stimati per il territorio italiano, [58]. IMCS PGD (cm) PGV (cm/s) DGA (g) V 0,1-0,5 0,5-1,0 0,005-0,01 VI 0,5-1,0 1,0-2,0 0,01-0,02 VII 1,0-2,0 2,0-4,0 0,02-0,04 VIII 2,0-3,5 4,0-8,0 0,04-0,08 IX 3,5-7,0 8,0-15,0 0,08-0,15 X 7,0-15,0 15,0-30,0 0,15-0,30 XI 15,0-30,0 30,0-60,0 0,30-0,60 Tabella 2.3: Conversione tra le Intensità macrosismiche (MCS) riportate nella base dati ISG (INGV, SSN, GNDT) e gli intervalli medi dei valori di picco del moto del suolo stimati per il territorio italiano, [58]. IMCS PGD (cm) PGV (cm/s) DGA (g) VI 1,0-1,5 1,0-2,0 0,01-0,025 VII 1,5-3,0 2,0-5,0 0,025-0,05 VIII 3,0-6,0 5,0-11,0 0,05-0,10 IX 6,0-13,0 11,0-25,0 0,10-0,20 X 13,0-26,0 25,0-56,0 0,20-0,40 zione tra due o più lineamenti si formano i nodi. Pertanto in un nodo confluiscono più forme topografiche e questo rivela l’instabilità della zona. Fra i nodi delineati dalla MZ, la procedura di pattern recognition (identificazione dei tratti caratteristici) identifica i nodi che risultano capaci di forti terremoti, sulla base di dati geologici, geomorfologici e geofisici, indipendentemente dalle informazioni sulla sismicità. A tal fine i nodi sono definiti come circoli con raggio di 25 km, centrati sulle intersezioni dei lineamenti. Questo algoritmo è stato applicato anche nelle Alpi e nelle Dinaridi (Gorshkov et al., 2004, 2006), portando all’individuazione, mediante l’algoritmo CORA-3, dei nodi capaci di generare terremoti con magnitudo M ≥ 6.0 e M ≥ 6.5. Per quanto riguarda il riconoscimento dei nodi associabili ad eventi con M ≥ 6.5, a causa del numero insufficiente di registrazioni, sono stati usati i criteri ottenuti applicando l’algoritmo CORA-3 alla regione del Pamirs-Tien Shan. Pertanto, nell’analisi della pericolosità deterministica, si è scelto di associare alle sorgenti comprese nei nodi la magnitudo maggiore tra quella minima associata al nodo e quella derivante dal lisciamento. A tutte le sorgenti appartenenti a uno stesso nodo è stato poi assegnato lo stesso meccanismo focale: in un caso è stato scelto il meccanismo focale del terremoto avvenuto più vicino al nodo e nell’altro il meccanismo focale del terremoto più forte correlato con il nodo. Ogni nodo è stato quindi trattato separatamente, calcolando i sismogrammi sintetici fino ad una distanza tenuta fissa al valore di 200 km. Gli scenari complessivi in spostamento, velocità e DGA sono stati infine calcolati scegliendo, per ogni sito, il massimo tra tutti i valori ottenuti. 28 2.5 Aree ad elevato potenziale sismogenetico Tabella 2.4: Confronto tra le Intensità massime stimate per il sito di Nimis (usando le relazioni riportate in Tabella 2.2) sulla base dei risultati riportati in Tabella 2.1) e l’intensità massima osservata [16]. σ rappresenta la deviazione standard. Imax (osservata) Imax stimata da Imax stimata da PGD PGD PGV PGV DGA massimi IX X XI DGA medi + σ XI X X XI Tabella 2.5: Confronto tra le Intensità massime stimate per il sito di Nimis (usando le relazioni riportate in Tabella 2.3) sulla base dei risultati riportati in Tabella 2.1) e l’intensità massima osservata [51]. σ rappresenta la deviazione standard. Imax (osservata) Imax stimata da Imax stimata da PGD PGD PGV PGV DGA massimi IX X X DGA medi + σ XI IX X X Tabella 2.6: Confronto tra le Intensità stimate per il sito di Nimis (usando le relazioni riportate in Tabella 2.2) sulla base delle mappe 2.9(d)-2.9(e)-2.9(f) e l’intensità massima osservata. Imax Imax stimata da (osservata) PGD PGV DGA IX X X X Tabella 2.7: Confronto tra le Intensità stimate per il sito di Nimis (usando le relazioni riportate in Tabella 2.3) sulla base delle mappe 2.9(d)-2.9(e)-2.9(f) e l’intensità massima osservata. Imax Imax stimata da (osservata) PGD PGV DGA IX IX IX X I risultati di questa procedura sono illustrati nelle Figure 2.10, 2.11 e 2.12. Si nota innanzitutto (Figura 2.10) come molte più sorgenti, ad esempio rispetto alla Figura 2.2(c), concorrano alla definizione della pericolosità a Nimis. Nonostante questo, per quanto riguarda Nimis, essendosi verificati in tempi recenti terremoti forti e vicini (e.g. terremoto del 1976), le mappe di Figura 2.11 e Figura 2.12 non rivelano un aumento significativo della pericolosità rispetto a quelle di Figura 2.8. 29 Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A SCALA NAZIONALE (a) (b) Figura 2.10: Distribuzione delle magnitudo “lisciate” all’interno dei nodi sismogenetici capaci di generare terremoti con magnitudo M ≥ 6.0 (a) e M ≥ 6.5 (b) (Gorshkov, 2006). In entrambi i casi il catalogo di terremoti usato è il CPTI04. (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura 2.11: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia ottenute usando il catalogo CPTI04 ed i nodi sismogenetici capaci di generare terremoti con magnitudo M ≥ 6.0 (Gorshkov, 2006). (a,d) Mappe dei massimi spostamenti orizzontali, (b,e) mappe delle massime velocità orizzontali, (c,f) mappe dei massimi valori di DGA. Le mappe (a,b,c) sono state ottenute associando alle sorgenti il meccanismo focale del terremoto più vicino al nodo cui appartengono, mentre le mappe (d,e,f) sono state ottenute associando alle sorgenti il meccanismo focale del terremoto più forte correlato con il nodo cui appartengono. 30 2.5 Aree ad elevato potenziale sismogenetico (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura 2.12: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia ottenute usando il catalogo CPTI04 ed i nodi sismogenetici capaci di generare terremoti con magnitudo M ≥ 6.5 (Gorshkov, 2006). (a,d) Mappe dei massimi spostamenti orizzontali, (b,e) mappe delle massime velocità orizzontali, (c,f) mappe dei massimi valori di DGA. Le mappe (a,b,c) sono state ottenute associando alle sorgenti il meccanismo focale del terremoto più vicino al nodo cui appartengono, mentre le mappe (d,e,f) sono state ottenute associando alle sorgenti il meccanismo focale del terremoto più forte correlato con il nodo cui appartengono. 31 Capitolo 3 Somma dei modi per le onde di Rayleigh e di Love in strutture stratificate Per la costruzione dei sismogrammi sintetici può essere usato il metodo della somma modale, che permette di modellare la risposta da parte di una terra piatta e stratificata. Ponendosi nelle condizioni di far field, ovvero a distanze dalla sorgente maggiori della lunghezza d’onda delle onde considerate, si possono agevolmente e rapidamente calcolare sismogrammi sintetici “completi” fino ad una frequenza di 10 Hz. I sismogrammi valutati in questo modo contengono tutte le fasi la cui velocità di fase è inferiore alla velocità delle onde di taglio propria del semispazio con cui termina il modello strutturale stratificato. 3.1 Equazioni del moto Le onde sismiche possono essere rappresentate come perturbazioni elastiche che si propagano all’interno di un mezzo, originate da un disequilibrio transiente nel campo di sforzi. Nell’ambito dello studio dei corpi elastici, al fine di prendere in considerazione fenomeni macroscopici, essi sono riguardati come distribuzioni continue di materia. Per un continuo elastico è possibile definire funzioni matematiche che descrivono i campi associati allo spostamento, sforzo e deformazione, u(X, t) = x(X, t)− X, σ(X, t), x(X, t), rispettivamente. L’equazione del bilancio della quantità di moto per un mezzo continuo ha la seguente forma vettoriale: ∂2 u (3.1) ρ 2 = ρf + ∇·σ ∂t dove ρ è la densità del mezzo, f è un vettore che rappresenta le forze di volume specifiche esterne agenti sul corpo dovute, ad esempio, alla gravità o alle sorgenti sismiche, σ è un tensore del secondo ordine detto tensore degli sforzi o tensore di Cauchy. Introducendo rispetto ad un sistema di riferimento di coordinate cartesiane il tensore di deformazione infinitesima ε, anch’esso del secondo ordine, di componenti: 1 ∂ui ∂u j εi j = + = ε ji (3.2) 2 ∂x j ∂xi 33 Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE il tensore degli sforzi di Cauchy per un mezzo elastico lineare, omogeneo ed isotropo assume la forma: σi j = λεkk δi j + 2µεi j (3.3) dove λ e µ sono i coefficienti di Lamè del mezzo in esame ed εkk = tr(ε). Sostituendo nell’equazione del bilancio della quantità di moto l’espressione del tensore di Cauchy e proiettando sugli assi del sistema di riferimento in considerazione l’equazione stessa, si ottiene un sistema lineare di equazioni differenziali alle derivate parziali nelle tre incognite componenti del vettore spostamento. Si consideri ora un semispazio riferito a un sistema di coordinate cartesiane in cui l’asse z è verticale e rivolto verso il basso e la superficie libera coincide con il piano z = 0 (Fig. 3.1). Nel caso in cui i parametri di Lamè (λ e µ) e la densità (ρ) dipendano solo dalla Superficie libera y x z Figura 3.1: Sistema di riferimento cartesiano adottato per un semispazio stratificato. coordinata z, le equazioni del moto, in assenza di forze di corpo, possono essere scritte come: ∂2 u y ∂2 u x ∂2 u x ∂2 u z ρ 2 = (λ + 2µ) 2 + (λ + µ) + (λ + µ) + ∂t ∂x ∂x∂y ∂x∂z ∂2 u x ∂2 u x ∂µ ∂u x ∂µ ∂uz +µ 2 + µ 2 + + ∂y ∂z ∂z ∂z ∂z ∂x ∂2 u y ∂2 uy ∂2 u x ∂2 uz ρ 2 = (λ + 2µ) 2 + (λ + µ) + (λ + µ) + ∂t ∂y ∂x∂y ∂y∂z ∂2 u y ∂2 uy ∂µ ∂uy ∂µ ∂uz +µ 2 + µ 2 + + ∂x ∂z ∂z ∂z ∂z ∂y ρ ∂2 u y ∂2 uz ∂2 u x ∂2 u z = (λ + 2µ) + (λ + µ) + (λ + µ) + ∂t2 ∂z2 ∂x∂z ∂y∂z ∂2 u z ∂2 uz ∂λ ∂u x ∂uy ∂uz ∂µ ∂uz +µ 2 + µ 2 + + + +2 ∂x ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z ∂z ∂z (3.4) Le condizioni al contorno che devono essere soddisfatte dalle soluzioni della (3.4) sono: 1. l’annullamento degli sforzi verticali alla superficie libera z = 0: ∂u ∂uy ∂uz x +λ + =0 σzz (x, z = 0, t) = (λ + 2µ) ∂z ∂x ∂y 34 3.1 Equazioni del moto ∂u ∂uz σzx (x, z = 0, t) = µ + =0 ∂z ∂x ∂u ∂uz y σzy (x, z = 0, t) = µ + =0 ∂z ∂y x (3.5) 2. la continuità degli sforzi (σzx , σzy , σzz ) e degli spostamenti (u x , uy , uz ) lungo tutto l’asse verticale. Nell’ipotesi di una sorgente posta all’infinito, si può considerare come soluzione della (3.4) un’onda piana che si propaga lungo l’asse positivo delle x e modulata da una funzione peso che ne determina la dipendenza verticale. Essa può essere espressa come: i(ωt−kx) ~ ~u(x, z, t) = F(z)e (3.6) dove k è il numero d’onda orizzontale legato alla velocità di fase c e alla frequenza angolare ω da k = ω/c. Inserendo la soluzione di prova (3.6) nell’equazione (3.4) ci si trova a dover affrontare due problemi indipendenti per le tre componenti del vettore F~ = (F x , Fy , Fz ). Il primo è legato al moto dell’onda nel piano (x, z): ∂ ∂F x ∂Fz µ − ikµFz − ikλ + F x [ω2 ρ − k2 (λ + 2µ)] = 0 ∂z ∂z ∂z Fy = 0 (3.7) ∂ ∂Fz ∂F x (λ + 2µ) − ikλF x − ikµ + Fz [ω2 ρ − k2 µ)] = 0 ∂z ∂z ∂z Il secondo, invece, è legato al moto lungo y: Fx = 0 ∂ ∂Fy µ + Fy [ω2 ρ − k2 µ] = 0 ∂z ∂z (3.8) Fz = 0 Non è però possibile trovare per le equazioni (3.7-3.8) una soluzione analitica ed è pertanto necessario introdurre ulteriori approssimazioni, a seconda del metodo di risoluzione che si intende impiegare. Risultano praticabili due percorsi diversi: nel primo (non adottato in questa tesi) si usa un’esatta definizione della struttura da investigare che viene poi trattata con metodi matematici approssimati. Nel secondo, invece, vengono applicate tecniche analitiche esatte ad un modello approssimato della struttura, dove il grado di approssimazione introdotto è controllabile dal dettaglio con cui viene rappresentato il modello semplificato adottato. Il prototipo di strutture che possono essere investigate con quest’ultimo metodo, in geometria piana, è quello di una sequenza di N − 1 strati omogenei, paralleli alla superficie libera, che sormontano un semispazio posto a una profondità H − 1 (Figura 3.2). All’interno di ciascuno strato i parametri di Lamè λ e µ e la densità ρ sono costanti, 35 Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE Figura 3.2: Semispazio stratificato, prototipo di struttura utilizzato nelle tecniche di risoluzione analitiche delle eq. (3.7-3.8). ma possono variare da uno strato all’altro: in questo modo λ, µ e ρ diventano funzioni continue a tratti dell’asse z. Come già sottolineato, si assume, inoltre, che le velocità delle onde di corpo, in ogni singolo strato m: s r αm + 2µm µm αm = (3.9) e βm = ρm ρm siano sempre minori di quelle che si raggiungono alla profondità del semispazio. L’utilizzo di una struttura stratificata permette di riscrivere le equazioni (3.7-3.8) all’interno di ogni singolo strato: 2 ∂ ∂F x 2 ∂F z βm + ikFz − ikαm − ikF x + ω2 F x = 0 ∂z ∂z ∂z (3.10) ∂F ∂F ∂ x z α2m − ikF x + ikβ2m + ikFz + ω2 Fz = 0 ∂z ∂z ∂z ∂2 F y 1 2 1 + ω − Fy = 0 (3.11) ∂z2 β2m c2 Le soluzioni dell’equazione (3.10) possono essere trovate introducendo i potenziali compressionale (simmetrico), ∆, e rotazionale (antisimmetrico), δ,: ∂u x ∂uz ∂Fz + = − ikF x ei(ωt−kx) ∆= ∂x ∂z ∂z (3.12) 1 ∂u x ∂uz 1 ∂F x δ= − = + ikFz ei(ωt−kx) 2 ∂z ∂x 2 ∂z 36 3.1 Equazioni del moto Inserendo questi ultimi nella (3.10), si ottiene: ∂δ − ikα2m ∆ + ω2 F x = 0 (3.13) ∂z ∂∆ α2m + 2ikβ2m δ + ω2 Fz = 0 (3.14) ∂z Differenziando rispetto a z la (3.13), moltiplicando per ik la (3.14) e sommandole, si ottiene un’equazione analoga alla (3.11) per δ: 1 ∂2 δ 2 1 +ω 2 − 2 δ=0 (3.15) ∂z2 βm c 2β2m Moltiplicando la (3.13) per −ik, differenziando la (3.14) rispetto a z e sommandole, si ottiene ancora: 1 ∂2 ∆ 2 1 +ω 2 − 2 ∆=0 (3.16) ∂z2 αm c Le equazioni (3.11), (3.15) e (3.16) sono equazioni differenziali del secondo ordine che possono essere scritte nella forma generica: ∂2 Ψ + kz2m Ψ = 0 ∂z2 (3.17) Ψ(z) = Aeikzm z + Be−ikzm z (3.18) la cui soluzione è data da: Il comportamento lungo z della (3.18) dipende dal segno del parametro kz2m . Nel caso dell’equazione (3.11) kzm è scrivibile come: s 1 1 − 2 (3.19) kzm = ω 2 βm c A seconda del valore di c questa quantità può essere reale o immaginaria. Pertanto per ciascuno strato possono essere definiti i seguenti parametri: q c 2 se c > αm qαm − 1 rαm = (3.20) 2 −i 1 − c se c < αm αm rβm q c 2 se c > βm qβm − 1 = 2 −i 1 − βc se c < βm m (3.21) Dalle (3.20-3.21) kzm è scrivibile, a seconda dei casi, come: kzm = krβm e kzm = krαm A seconda della disuguaglianza esistente tra la velocità di fase dell’onda e la velocità delle onde P o S dello strato si può determinare il tipo d’onda che in esso si propaga. Per quanto riguarda il semispazio si impone c < βH e che il comportamento esponenziale della soluzione sia decrescente, in modo da considerare solo i modi normali di oscillazione. Questi ultimi vengono chiamati di Rayleigh, soluzioni dell’equazione (3.7), o di Love, soluzioni dell’equazione (3.8), a seconda del tipo di polarizzazione del moto. Il moto descritto dalla soluzione generica (3.18) negli altri strati sarà invece dato dalla combinazione lineare di: 37 Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE Figura 3.3: Possibili onde presenti in uno strato omogeneo. • due esponenziali, uno crescente (Figura 3.3d) e uno decrescente (Figura 3.3b), che rappresentano la trasmissione dell’onda da uno strato al successivo nel momento in cui l’angolo di incidenza è superiore all’angolo critico, se c < βm oppure c < αm . • due onde oscillanti, una diretta verso il semispazio (Figura 3.3a) e una diretta verso la superficie libera (Figura 3.3c), se c > βm o c > αm . L’angolo che viene a formarsi tra l’asse delle z crescenti e la direzione di propagazione dell’onda è: ( cotg−1 rβm per le soluzioni delle equazioni (3.11) e (3.15) θm = (3.22) cotg−1 rαm per la soluzione dell’ equazione (3.16) 3.2 Funzione di dispersione dei modi di Love Utilizzando la soluzione (3.17) all’interno dell’m-esimo strato si può scrivere la soluzione dell’equazione (3.8) come: ux = 0 0 00 uy = vm e−ikrβm z + vm eikrβm z ei(ωt−kx) 38 (3.23) 3.2 Funzione di dispersione dei modi di Love uz = 0 mentre lo sforzo sui piani perpendicolari all’asse z diventa: σzx = 0 σzy = µm ∂uy 0 00 = ikµm rβm − vm e−ikrβm z + vm eikrβm z ei(ωt−kx) ∂z (3.24) σzz = 0 0 00 dove vm e vm sono delle costanti di strato. Sotto le condizioni al contorno di annullamento degli sforzi alla superficie libera, continuità degli sforzi e degli spostamenti ad ogni interfaccia e decadimento esponenziale degli spostamenti nel semispazio, le soluzioni (3.23-3.24) non esistono per qualunque ω e qualunque c, ma fissato ω, c può assumere solo un set determinato di valori c(ω) n , n = 0, 1, . . .. Pertanto la ricerca delle soluzioni (3.23-3.24) soddisfacenti le condizioni al contorno sopra elencate è un problema agli autovalori: c(ω) un (z), σ~n (z) sono le compon è un autovalore e le corrispondenti soluzioni ~ nenti dell’autovettore. Il calcolo degli autovalori al variare di ω si effettua determinando la funzione di dispersione F L (ω, c) (dove il pedice L indica le onde di Love) e risolvendo l’equazione F L (ω, c) = 0. Il primo metodo per calcolare la funzione di dispersione, sia per le onde di Love che di Rayleigh, fu messo a punto da Thomson (1950) e Haskell (1953), ed è basato sulla costruzione di una serie di matrici di strato che propagano il campo degli sforzi e degli spostamenti dall’interfaccia superiore di uno strato a quella inferiore. Si considerino ad esempio l’m-esimo strato, di spessore dm , e l’(m − 1)-esima interfaccia posta alla profondità zm−1 . Si può, senza perdita di generalità, porre l’origine dell’asse z a tale profondità, riscalando opportunamente le quantità che definiscono l’ampiezza del moto. Inoltre, essendo c costante per tutta la struttura, si può utilizzare la quantità u̇ adimensionale cy = ikuy invece dello spostamento, in quanto la continuità delle velocità assicura quella degli spostamenti. Sull’(m − 1)-esima interfaccia si avrà allora che: u̇ 0 y c m−1 00 = ik(vm + vm ) (3.25) 0 00 (σzy )m−1 = ikµm rβm (vm − vm ) Mentre alla m-esima interfaccia le analoghe quantità sono: u̇ 0 y c m 00 00 0 = ik(vm + vm ) cos Qm − k(vm − vm ) sin Qm (3.26) 00 00 0 0 (σzy )m = −kµm rβm (vm + vm ) sin Qm + ikµm rβm (vm − vm ) cos Qm dove è stata definita la quantità Qm = krβm dm ed è stato trascurato il termine ei(ωt−kx) . 00 0 u̇ Eliminando i termini in vm e vm nelle (3.25-3.26), si possono scrivere le quantità cy e σzy 39 Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE relative all’m-esima interfaccia in funzione di quelle dell’(m − 1)-esima interfaccia: u̇ u̇ y y = cos Qm + i(µm rβm )−1 (σzy )m−1 sin Qm c m c m−1 (3.27) u̇ y (σzy )m = iµm rβm sin Qm + (σzy )m−1 cos Qm c m−1 Introducendo la matrice di strato am : i sin Qm cos Qm µm rβm am = iµm rβm sin Qm cos Qm si può riscrivere le (3.27) come: u̇y c m (σzy )m u̇y c m−1 = am (σzy )m−1 (3.28) (3.29) Procedendo iterativamente è possibile propagare gli sforzi e gli spostamenti dalla superficie libera (m − 1 = 0) fino al semispazio (m = N − 1), ottenendo una matrice A (2x2), prodotto di tutte le singole matrici am , che tiene conto delle caratteristiche elastiche dell’intera struttura: u̇y u̇y c c N−1 0 (3.30) = A (σzy )0 (σzy )N−1 dove A = aN−1 aN−2 ...a2 a1 . In questo modo lo sforzo e lo spostamento all’inizio del semispazio possono essere ricavati a partire dalle analoghe quantità della superficie libera. Se ora si usa la (3.25) con m = N e ricordando le condizioni al contorno che devono soddisfare le soluzioni, affinchè siano onde di superficie, e cioè: 1. condizione di superficie libera, ossia σzy (z = 0) = 0 00 2. decadimento esponenziale nel semispazio (c < βN ), ossia vN = 0 si ricava che: ik u̇y c 0 = A 0 −µN rβN vN 0 0 vN (3.31) Affinchè la (3.31) risulti soddisfatta deve valere la seguente relazione tra gli elementi della matrice A: (3.32) A21 + µN rβN A11 = 0 Questa rappresenta l’equazione di dispersione F L (ω, c) = 0 per le onde di Love, che lega la velocità di fase c dell’onda alla frequenza ω. La coppia (ω, c) per cui la funzione di dispersione è uguale a zero è una soluzione del problema. Gli autovalori, a seconda del numero di punti lungo z in cui le autofunzioni corrispondenti, uy (z, ω, c) e σzy (z, ω, c), si annullano, possono essere divisi nella curva di dispersione del modo fondamentale (che 40 3.3 Funzione di dispersione dei modi di Rayleigh non ha alcun piano nodale), del primo modo superiore (che ha un piano nodale), del secondo modo superiore (che ha due piani nodali), e cosı̀ via. Nota la velocità di fase c, si possono calcolare sia le autofunzioni che la velocità di gruppo usando la teoria delle funzioni implicite (Schwab e Knopoff, 1972). 3.3 Funzione di dispersione dei modi di Rayleigh Una procedura analoga a quella descritta nel paragrafo precedente può essere seguita per il calcolo della funzione di dispersione per i modi di Rayleigh [36], derivanti dall’interferenza delle onde P ed SV all’interno della struttura. Differentemente dal caso di Love, dove si lavora con matrici di strato 2x2, le matrici che regolano la propagazione del vettore sforzo - spostamento lungo l’asse verticale sono ora 4x4. In ogni singolo strato la soluzione (3.17) riferita ai potenziali compressionale, ∆m , e rotazionale, δm , assume la forma: h i ∆m = ∆0m e−ikrαm z + ∆00m eikrαm z ei(ωt−kx) (3.33) h i 0 −ikrβm z 00 ikrβm z i(ωt−kx) δm = δm e + δm e e Gli spostamentei u x , uz , e gli sforzi σzx , σzz associati alle (3.33) risultano essere: ux uz α2m ∂∆m β2m ∂δm = − 2 −2 2 ω ∂x ω ∂z α2m ∂∆m β2m ∂δm = − 2 +2 2 ω ∂z ω ∂x m β2 ∂2 δm 2 m2 ω ∂z∂x (3.34) m + ω2 ∂x2 α2 ∂2 ∆ β2 ∂2 δ ∂2 δm m m = 2β2m ρm − m2 + m2 − ω ∂x∂z ω ∂x2 ∂z2 σzz = ρm α2m ∆m + 2β2m σzx α 2 ∂2 ∆ Sostituendo le (3.33) nelle (3.34), adottando la stessa notazione usata per le onde di Love, si ottiene: i α2 h u̇ x = − m2 ∆0m + ∆00m cos(krαm z) − i ∆0m − ∆00m sin(krαm z) c c h i −γm rβm δ0m − δ00m cos(krβm z) − i δ0m + δ00m sin(krβm z) i α2 rα h u̇z = − m 2 m ∆0m − ∆00m cos(krαm z) − i ∆0m + ∆00m sin(krαm z) c c h i +γm δ0m + δ00m cos(krβm z) − i δ0m − δ00m sin(krβm z) 41 Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE h i σzz = −ρm α2m (γm − 1) ∆0m + ∆00m cos(krαm z) − i ∆0m − ∆00m sin(krαm z) h i −ρm c2 γm2 rβm δ0m − δ00m cos(krβm z) − i δ0m + δ00m sin(krβm z) h i σzx = ρm rαm α2m γm ∆0m − ∆00m cos(krαm z) − i ∆0m + ∆00m sin(krαm z) h i −ρm c2 γm (γm − 1) δ0m + δ00m cos(krβm z) − i δ0m − δ00m sin(krβm z) (3.35) dove γm = 2(βm /c)2 , sono stati sviluppati i termini contenenti ikrβm , ikrαm in funzioni trigonometriche ed è stato semplificato il termine contenente ei(ωt−kx) . Ponendo l’origine di z all’interfaccia m − 1, dalle (3.35) si ottiene una relazione lineare tra u̇cx , u̇cz , m−1 m−1 σzz , σzx e le costanti ∆0m + ∆00m , ∆0m − ∆00m , δ0m − δ00m , δ0m + δ00m , rappresentabile m−1 m−1 nel modo seguente: u̇ ( x )m−1 c ( u̇z ) c m−1 (σzz )m−1 (σzx )m−1 0 (∆m + ∆00m ) 0 00 = E (∆m − ∆m ) m 0 00 (δm − δm ) 0 00 (δm + δm ) (3.36) dove Em è la seguente matrice: α2 − cm2 0 −ρm α2 (γm − 1) m 0 −γm rβm 0 − cm2 rαm 0 γm 0 2r −ρm c2 γm βm 0 α2 ρm α2m γm rαm 0 0 −ρm c2 γm (γm − 1) Considerando invece l’interfaccia m-esima, ad una profondità z = dm , le (3.35) diventano: ( u̇x )m c ( u̇z ) c m (σzz )m (σzx )m (∆0m + ∆00m ) 0 00 = D (∆m − ∆m ) m 0 00 (δm − δm ) 00 0 (δm + δm ) (3.37) dove Dm è la matrice: Dm α2 α2 − cm2 cos Pm i cm2 sin Pm α2 α2 i cm2 rαm sin Pm − cm2 rαm cos Pm = −ρm αm2 (γm − 1) cos Pm iρm α2m (γm − 1) sin Pm ρm α2m γm rαm cos Pm −iρm α2m γm rαm sin Pm −γm rβm cos Qm iγm rβm sin Qm −iγm sin Qm γm cos Qm iρm c2 γm2 rβm sin Qm −ρm c2 γm2 rβm cos Qm iρm c2 γm (γm − 1) sin Qm −ρm c2 γm (γm − 1) cos Qm (3.38) 42 3.3 Funzione di dispersione dei modi di Rayleigh in cui si è definito Pm = krαm dm e Qm = krβm dm . Infine, eliminando dalla (3.36) e dalla (3.37) le costanti (∆0m + ∆00m ), (∆0m − ∆00m ), (δ0m − δ00m ), e (δ0m + δ00m ), si ottiene una relazione lineare tra le velocità e gli sforzi alla sommità dello strato m-esimo e alla sua base: u̇ Dm E−1 m La matrice elementi sono: x u̇c m z c m σzz σzx m = D E−1 m m m u̇ x u̇c m−1 z c m−1 σzz m−1 σzx (3.39) m−1 = am rappresenta la matrice di strato per le onde di Rayleigh, i cui (am )11 = γm cos Pm − (γm − 1) cos Qm (am )12 = i[(γm − 1)rα−1m sin Pm + γm rβm sin Qm ] (am )13 = −(ρm c2 )−1 (cos Pm − cos Qm ) (am )14 = i(ρm c2 )−1 (rα−1m sin Pm + rβm sin Qm ) = = = = = = = = = = = = (am )21 (am )22 (am )23 (am )24 (am )31 (am )32 (am )33 (am )34 (am )41 (am )42 (am )43 (am )44 −i[γm rαm sin Pm + (γm − 1)rβ−1m sin Qm ] −(γm − 1) cos Pm + γm cos Qm i(ρm c2 )−1 (rαm sin Pm + rβ−1m sin Qm ) (am )13 ρm c2 γm (γm − 1)(cos Pm − cos Qm ) iρm c2 [(γm − 1)2 rα−1m sin Pm + γm2 rβm sin Qm ] (am )22 (am )12 iρm c2 [γm2 rαm sin Pm + (γm − 1)2 rβ−1m sin Qm ] (am )31 (am )21 (am )11 (3.40) Si ricava, cosı̀, che il vettore sforzo - spostamento all’interfaccia del semispazio è legato mediante la matrice di propagazione della struttura al vettore sforzo - spostamento alla superficie libera: = aN−1 . . . a1 u̇ x u̇c N−1 z c N−1 σzz σzx N−1 N−1 u̇ x Se ora si considerano le quantità c ottiene: 00 0 ∆ N ∆0 N δ0 N δN m−1 , u̇ z c m−1 σzz 0 σzx u̇ x u̇c 0 z c 0 , σzz + ∆N 00 − ∆N = E−1 a . . . a 1 N N−1 00 − δN + δ00N 43 0 m−1 , σzx (3.41) m−1 con m = N, si u̇ σzz 0 σzx x u̇c 0 z c 0 0 (3.42) Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE Le condizioni al contorno che devono essere soddisfate dalle soluzioni dell’equazione (3.7) sono: 1. annullamento degli sforzi alla superficie libera, ossia: σ xz (z = 0, ω, c) = σzz (z = 0, ω, c) = 0 (3.43) 2. annullamento degli spostamenti per z tendente ad infinito. Le precedenti condizioni possono essere soddisfatte imponendo nella (3.42) che: σzz = σzx = ∆00N = δ00N = 0 (3.44) 0 0 Ponendo J = E−1 N aN−1 . . . a1 , la (3.42) diventa: ∆0 N ∆0 N 0 δN δN u̇ x c 0 u̇z = J c 0 0 0 (3.45) che porta, eliminando le costanti ∆0N , δ0N a: J22 − J12 J42 − J32 − =0 J11 − J21 J31 − J41 (3.46) Questa rappresenta l’equazione di dispersione FR (ω, c) = 0 (il pedice R indica le onde di Rayleigh) che lega la velocità di fase c al numero d’onda k per le onde di Rayleigh. 3.4 Velocità di gruppo Nei paragrafi precedenti si è visto come una struttura stratificata porti ad una relazione di dispersione tra la velocità delle onde sul piano orizzontale c e la frequenza ω. L’effetto della propagazione di onde che possiedono velocità c(ω) diversa a seconda della frequenza può risultare in un’interferenza costruttiva o distruttiva delle onde stesse. Le interferenze si comportano come “pacchetti d’onda” che, a loro volta, si propagano con una velocità ben definita: la velocità di gruppo vg (ω). La velocità di gruppo a una data frequenza viene definita come: vg (ω) = ∂ω = ∂k 1 ∂(ω/c) ∂ω = 1 1 c − ω ∂c c2 ∂ω = c 1− ω ∂c c ∂ω (3.47) Per calcoli precisi della (3.47) si può applicare la teoria delle funzioni implicite alla funzione di dispersione F(ω, c) (Schwab e Knopoff, 1972), ottenendo, sia per i modi di Love che di Rayleigh: ∂F ∂c ∂ω = − c ∂F ∂ω ∂c ω 44 (3.48) 3.5 Integrale dell’energia 3.5 Integrale dell’energia Un’altra quantità necessaria per la costruzione dei sismogrammi sintetici è l’integrale dell’energia. In questa sezione viene considerata l’energia portata da ogni singolo modo di oscillazione, secondo la trattazione riportata in Ben-Menahem [14]. In una struttura elastica e lineare la densità di energia hamiltoniana (energia per unità di volume), H è data dalla somma tra l’energia cinetica, Ek , e quella potenziale elastica, collegata alla deformazione, E p = 21 σi j ei j ; essa può essere espressa come: 1 2 1 2 H = Ek + E p = ρu̇i + λ(ekk ) + µei j ei j (3.49) 2 2 Si può considerare l’energia totale in un volume arbitrario V e mediarla ripetto al tempo. In questo modo si ottiene: Z Z 1 T < U >= dt HdV (3.50) T 0 V L’espressione esplicita delle quantità presenti nell’integrando della (3.50) può essere ottenuta considerando, naturalmente, solo la parte reale delle componenti del vettore spostamento. In questo modo i termini cos2 (ωt − kx) e sin2 (ωt − kx) presenti nella (3.50) vengono rimpiazzati da 21 . Indicando le componenti di Love e di Rayleigh come: ( 0 per le onde di Love u x (x, ω, z) = i(ωt−kx) −ir3 (ω, k, z)e per le onde di Rayleigh ( i(ωt−kx) l1 (ω, k, z)e per le onde di Love uy (x, ω, z) = 0 per le onde di Rayleigh ( 0 per le onde di Love uz (x, ω, z) = r1 (ω, k, z)ei(ωt−kx) per le onde di Rayleigh le quantità da usare nel calcolo della (3.50) diventano: uy = l1 (z) cos(ωt − kx) (3.51) per le onde di Love, e u x = r3 (z) sin(ωt − kx) uz = r1 (z) cos(ωt − kx) (3.52) per le onde di Rayleigh. Usando le (3.51-3.52) e considerando l’energia per unità di area, si ha a che fare solo con integrali rispetto alla coordinata verticale, che nel caso delle onde di Love diventa: 1 1 1 < U Love >= ω2 I1L + k2 I2L + I3L 4 4 4 (3.53) Nel caso delle onde di Rayleigh si ha: 1 1 1 1 < URayleigh >= ω2 I1R + k2 I2R + kI3R + I4R 4 4 2 4 dove sono stati definiti i seguenti integrali: Z ∞ Z ∞ 2 I1L = ρl1 dz I2L = µl12 dz 0 0 Z ∞ I3L = 0 45 ∂l 2 1 dz µ ∂z (3.54) (3.55) Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE R∞ R∞ 2 I1R = 0 ρ[r12 + r32 ]dz I2R = 0 µ αβ2 r32 + r12 dz (3.56) R ∞ λ ∂r R ∞ α2 ∂r 2 ∂r 2 ∂r3 3 1 1 I3R = 0 µ − µ r3 ∂z + r1 ∂z dz I4R = 0 µ β2 ∂z + ∂z dz in cui i suffissi L e R stanno a indicare rispettivamente i modi di Love e di Rayleigh. Si può notare che in entrambe le (3.53-3.54), il primo termine del membro a destra dell’equazione rappresenta il termine cinetico, mentre il resto dei termini rappresenta l’energia potenziale. Adesso si può applicare il teorema del viriale, che afferma che per un sistema conservativo nel quale l’energia potenziale è una funzione quadratica delle coordinate, la media temporale dell’energia cinetica e dell’energia potenziale sono uguali. Perciò: ω2 I1L = k2 I2L + I3L (3.57) e ω2 I1R = k2 I2R + 2kI3R + I4R (3.58) In altre parole, mediata su un ciclo, l’energia cinetica contenuta in un modo normale è uguale all’energia potenziale elastica dello stesso e quindi I1L e I1R risultano essere delle quantità proporzionali all’energia del modo. Le equazioni (3.57-3.58) possono essere usate anche per calcolare la velocità di gruppo senza la differenziazione che era stata usata nella definizione della (3.47). A questo scopo può essere invocato il principio di Rayleigh, che afferma che una piccola perturbazione di un autovalore k di un sistema vibrante di una quantità δk, indurrà un cambiamento del secondo ordine in δk nelle autofunzioni corrispondenti. Applicando questo principio all’equazione (3.57), si può perturbare k in k + δk e considerare il cambiamento corrispondente di ω in ω + δω. Per il principio di Rayleigh, il cambiamento δl1 = l1 (z, k + δk, ω + δω) − l1 (z, k, ω) sarà del secondo ordine in δk. Tenendo solo le quantità al primo ordine in δk, si ha, dalla (3.57): ωδωI1L = kδkI2L + O(δk)2 (3.59) Nel limite δk → 0, si ha che: vg = δω k I2L 1 I2L = = δk ω I1L c I1L (3.60) Questa formula esatta dà la velocità di gruppo in termini degli integrali dell’energia, e il risultato è numericamente più stabile della differenziazione, ma meno preciso di quanto ottenibile con l’eq. (3.48). In modo analogo si ottiene per le onde di Rayleigh che: vg = δω kI2R + I3R 1 I2R + I3R /k = = δk ωI1R c I1R (3.61) 3.6 Funzione di Green in un semispazio stratificato A questo punto nel mezzo isotropo viene introdotta una sorgente rappresentata da una faglia planare, che matematicamente viene modellata mediante una dislocazione di taglio. Si assume quindi che gli spostamenti e gli sforzi di taglio siano discontinui 46 3.6 Funzione di Green in un semispazio stratificato attraverso il piano di faglia, mentre gli sforzi normali sono supposti essere continui. Nei primi anni ’60 Maruyama (1963) e Burridge e Knopoff (1964) hanno dimostrato, con il teorema di rappresentazione, che il campo di spostamento generato da una tale dislocazione è equivalente a quello generato da una distribuzione di doppie coppie che sono poste in un mezzo elastico, omogeneo ed isotropo, senza alcuna dislocazione. Lo spostamento un cosı̀ generato può essere calcolato mediante la convoluzione tra il tensore momento M pq e la derivata della funzione di Green Gnp,q , che rappresenta la risposta del sistema, nella direzione n, a un singoletto che agisce nella direzione p: un (~x, t) = M pq (t) ∗ Gnp,q (t) (3.62) In M pq il pedice p indica la direzione dello scorrimento, mentre il pedice q indica la direzione del braccio della coppia. Quando ci si pone nelle condizioni di far source (ossia a distanze maggiori della dimensione della faglia, r L) e si considerano periodi maggiori della durata dello slip (ossia del tempo di risalita, T τ), allora la forza di corpo equivalente in un mezzo non fagliato viene descritta da una doppia coppia con momento totale nullo. In questo caso il tensore momento diventa, ad esempio: M0 0 0 0 M pq (doppia coppia) = 0 0 (3.63) 0 0 −M0 dove M0 = µA|ū| rappresenta il momento sismico scalare (A è l’area della superficie di faglia che si è rotta e |ū| è la dislocazione media lungo la superficie di faglia). Dal momento che generalmente i sismogrammi sono calcolati per un momento sismico unitario e poi scalati in base alla magnitudo, il problema del calcolo dei sismogrammi mediante la somma dei modi si riconduce essenzialmente alla determinazione della funzione di Green nel mezzo stratificato mostrato in Figura 3.2. In altre parole si devono risolvere le ~ equazioni del moto (3.4) in presenza di una forza impulsiva del tipo Fδ(x)δ(y)δ(z − h). ~ Il teorema di rappresentazione permette di scrivere gli effetti della forza F come una discontinuità degli sforzi sul piano orizzontale z = h: ~ T~ (h + 0) − T~ (h − 0) = −Fδ(x)δ(y) (3.64) Seguendo Aki e Richards (1980), una conveniente trattazione del problema richiede l’uso di un sistema di coordinate cilindriche (r, θ, z) in cui θ è misurato positivamente in senso antiorario dalla direzione positiva di strike (x = 0) quando visto da sopra il semispazio verso il basso e r è misurato positivamente allontanandosi dalla sorgente (Figura 3.4). Il sistema di riferimento cilindrico risulta utile per esprimere lo spostamento del terreno, generato dall’azione di una sorgente sismica, lungo tre direzioni che permettono di distinguere automaticamente, per le onde di superficie, la componente radiale (componente orizzontale delle onde di Rayleigh), da quella trasversale (onde di Love) e da quella verticale (componente verticale delle onde di Rayleigh). Il passaggio dalla base cartesiana a quella cilindrica lascia immutata la dipendenza da z delle equazioni del moto, ma impone lo sviluppo dell’onda piana, e−ikx , in armoniche sferiche: Ykm (r, θ) = Jm (kr)eimθ , 47 Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE z y r θ x Figura 3.4: Orientazione delle coordinate cartesiane e cilindriche usate per analizzare le onde prodotte da una sorgente puntiforme in un mezzo verticalmente eterogeneo. dove Jm (kr) è la funzione di Bessel cilindrica di prima specie di ordine m (m è un intero). Per la natura vettoriale del problema è necessario servirsi di un sistema di armoniche vettoriali cilindriche, tra di loro ortogonali, definito come: 1 ∂Ykm 1 ∂Ykm m ~ T k (r, θ) = r̂ − θ̂ kr ∂θ k ∂r 1 ∂Ykm 1 ∂Ykm S~ km (r, θ) = r̂ + θ̂ k ∂r kr ∂θ (3.65) ~ mk (r, θ) = Ykm ẑ R Queste funzioni vettoriali costituiscono nel loro complesso un insieme completo e or~m (r, θ) una delle qualsiasi funzioni T~ m (r, θ), S~ m (r, θ), togonale: infatti, denotando con A k k k ~ m (r, θ), si ha: R k Z 2π Z ∞ h 0 i∗ ~mk (r, θ) A ~mk0 (r, θ) rdrdθ = √2π δmm0 δ(k − k0 ) (3.66) A 0 0 kk0 dove ∗ indica il complesso coniugato. La completezza permette di espandere la discontinuità delle trazioni sul piano z = h su questa base di funzioni come: ∞ Z ∞h i 1 X ~ mk kdk ~ fT (k, m)T~km + fS (k, m)S~ km + fR (k, m)R −Fδ(x)δ(y) = (3.67) 2π m=−∞ 0 dove i coefficienti della serie sono dati da: Z 2π Z ∞ h i∗ ~ ~mk (r, θ) rdrdθ fA (k, m) = − Fδ(x)δ(y) A 0 (3.68) 0 Per valutare l’integrale (3.68) conviene passare alla base di coordinate cartesiane (x, y, R 2π R ∞ z), mediante x = r cos θ e y = r sin θ. In questo modo l’integrale doppio 0 dθ 0 rdr R∞ R∞ diventa −∞ dx −∞ dy. Tenendo inoltre in considerazione il fatto che T~km (r, θ) = k−1 ∇ × (0, 0, Ykm ) e scrivendo l’operatore gradiente in coordinate cartesiane, si trova che: Z ∞Z ∞ ∂Y −m ∂Y −m 1 F x k − Fy k δ(x)δ(y)dxdy fT (k, m) = − ∂y ∂x −∞ −∞ k (3.69) ∂ ∂ Jm (ky) + Fy Jm (kx) = −F x e−imπ/2 ∂(ky) ∂(kx) y=0 x=0 48 3.6 Funzione di Green in un semispazio stratificato Sfruttando le proprietà delle funzioni di Bessel di prima specie all’origine, ossia che Jm ha derivate nulle all’origine, tranne che per m = ±1 (quindi fT (k, m) = 0 a meno che m = ±1) e che (d/dξ)J±1 (ξ) = ± 21 in ξ = 0, si trova che la dipendenza angolare θ dei coefficienti fA è tale per cui i soli termini non nulli dello sviluppo sono: 1 fT (k, m = ±1) = (±Fy + iF x ) 2 (3.70) In modo analogo si procede per fS (k, m), usando S~ km = k−1 ∇Ykm (r, θ) e lavorando in coordinate cartesiane per trovare fS (k, m) = 0 a meno che m = ±1, e quindi: 1 fS (k, m = ±1) = (∓F x + iFy ) 2 (3.71) Per fR (k, m) si può lavorare direttamente in coordinate cilindriche, notando che δ(x)δ(y) = δ(r)/(2πr): Z 2π Z ∞ δ(r) −imθ fR (k, m) = − dθ Fz e Jm (kr)rdr (3.72) 2πr 0 0 Si trova che fR (k, m) = 0 a meno che m = 0, e quindi: fR (k, m = 0) = −J0 (0)Fz = −Fz (3.73) In questo modo sono stati trovati tutti i coefficienti per l’espansione della discontinuità degli sforzi: i soli termini che contribuiscono sono quelli con m = 0 e m = ±1. Il passo successivo è trovare il vettore (l1 , l2 , r1 , r2 , r3 , r4 ) che ha causato le discontinuità fT , fS e fR nelle componenti degli sforzi l2 , r2 , r4 rispettivamente. La soluzione dovrà soddisfare: • le equazioni del moto; • la condizione di superficie libera: l2 = r2 = r4 = 0 su z = 0; (3.74) • la condizione di assenza di radiazione nel semispazio, richiedendo che l1 , r1 e r3 contengano solo onde che viaggiano verso il basso p per z → ∞, o, se p il numero 2 2 2 d’onda è abbastanza grande da far sı̀ che γ = k − ω /α e ν = k2 − ω2 /β2 siano reali (positivi), allora: l1 = r1 = r3 → 0 per z → ∞. (3.75) Va notato che quando si era risolto il problema agli autovalori per le onde di superficie, era stato trovato che una soluzione continua alle equazioni del moto non soddisfava le condizioni al contorno omogenee (3.74-3.75) a meno che non si considerassero particolari valori discreti di k e ω. Ma quando si introduce una discontinuità negli spostamenti alla profondità della sorgente, è possibile trovare una soluzione per ogni valore di k. La soluzione in tal caso è data da: Z o 1 X ∞n ~ mk kdk (3.76) ~u(r, θ, z) = l1 (k, m, z, ω)T~km + r3 (k, m, z, ω)S~ km + r1 (k, m, z, ω)R 2π m 0 49 Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE Bisogna trovare le soluzioni l1 (k, m, z, ω), r3 (k, m, z, ω) e r1 (k, m, z, ω). Di seguito viene sviluppato il procedimento per il calcolo dello spostamento dovuto ai modi di Love. Il problema si riduce quindi al calcolo di l1 (k, m, z, ω), ricapitolando che: ! l 1 ~l = (3.77) l2 soddisfa: ! ∂~l 0 µ−1 ~ = l (3.78) k 2 µ − ω2 ρ 0 ∂z con l2 = 0 su z = 0 (condizione di sforzi nulli alla superficie libera) e per z → ∞ si ha una condizione di radiazione, per cui o ~l diventa un’onda diretta verso il basso (nel caso di un’onda di corpo omogenea (c > βH )) oppure ~l → 0 (se è un’onda inomogenea (c < βH )). Infine si ha che: ! 0 ~l − ~l − = (3.79) f (k, m = ±1) z=h+ z=h T Si può costruire una soluzione discontinua, ~l0 (k, ω, z), che soddisfa la (3.79) e quindi costruire una soluzione continua, ~l00 (k, ω, z), in modo tale che la combinazione lineare: ~00 ~l = ~l0 + l ∆(k) (3.80) soddisfa tutte le condizioni richieste. Sia ~l0 che ~l00 soddisfano l’equazione del moto in presenza di una sorgente, e le condizioni al contorno sono: (a) l10 = 0 e l20 = 0 per z > h; (b) l10 = 0 e l20 = − fT per z = h− ; (c) l100 diretta verso il basso o l100 → 0 per z → ∞; (d) l200 = −∆(k)l20 per z = 0. La funzione ∆(k) è definita in modo tale che lo sforzo di taglio alla superficie libera della soluzione discontinua ~l0 , quando moltiplicato per −∆(k), sia esattamente uguale allo sforzo di taglio alla superficie libera della soluzione continua ~l00 . Ma se k è un autovalore delle onde di Love, allora lo sforzo della soluzione continua, l200 si annulla alla superficie libera. Ne segue che ∆(k) deve essere 0 quando k è un autovalore e ~l00 è un’onda di superficie. Poiché ~l00 soddisfa un’equazione d’onda con condizioni al contorno omogenee e nessun termine di sorgente, in questo caso non sono permesse onde che viaggiano verso il basso (per z → ∞). Costruendo ~l mediante la (3.80), si può usare la (3.76) per sintetizzare uno spostamento come: Z l100 (k) m 1 X ∞ 0 ~u(r, θ, z) = T~ (r, θ)dk (3.81) k l1 (k) + 2π m 0 ∆(k) k La funzione integranda nella (3.81) ha dei poli per ∆(k) = 0, ossia quando k è un autovalore. Per valutare l’integrale bisogna effettuare la sostituzione: 1 Jm (k, r) = [Hm(1) (kr) + Hm(2) (kr)], 2 50 Hm(1) (−kr) = (−1)m+1 Hm(2) (kr) 3.6 Funzione di Green in un semispazio stratificato dove Hm(1) (kr) e Hm(2) (kr) sono le funzioni di Hankel di ordine m di prima e seconda specie, convertire l’integrale di Hm(1) sui k positivi in un integrale di Hm(2) sui k negativi, in modo tale che la (3.81) diventi un integrale sull’intero asse k reale. Pertanto, riscrivendo T~km con Jm rimpiazzato da 12 Hm(2) come T~km(2) , il contributo dello spettro discreto è dato dalla somma dei residui1 della (3.81) nel seguente modo: ~u(r, θ, z) = −i XX m l100 (kn , ω, z) m(2) kn T~kn (r, θ) ∂∆ ∂k k=kn n (3.82) dove kn (n = 0, 1, 2, ...) sono radici reali positive di ∆(k). Un’espressione di ∂∆ (k ) può essere ricavata in termini dell’autofunzione e dell’energia ∂k n portata dal modo di oscillazione l100 (kn , ω, z), utilizzando il principio variazionale. Moltiplicando la seconda delle eq. (3.78) per l1 e integrandola lungo l’asse z, si ricava, integrando per parti: Z 0= 0 ∞ ω2 ρl12 − k2 µl12 + l1 ∂l ∞ ∂ ∂l1 1 µ = [ω2 I1L − k2 I2L − I3L ] + l1 µ ∂z ∂z ∂z 0 (3.83) Si può quindi cercare una soluzione dell’equazione del moto continua, ~l00 , tale che: 2 2 [l100 l200 ]∞ 0 = −ω I1L + k I2L + I3L (3.84) Dalle condizioni al contorno, la (3.84) diventa: ∆(k)(l20 l100 )z=0 = −ω2 I1L + k2 I2L + I3L (3.85) Se k è quasi un autovalore, allora ~l00 è quasi un’autofunzione. Per la stazionarietà di −ω2 I1L + k2 I2L + I3L per piccoli scostamenti di ~l00 da una vera autofunzione, segue che i cambiamenti in ∆(k) rispetto a piccole variazioni di k, possono essere trovati differenziando la (3.85) rispetto a k, e scritti come: ∂∆(k) (l0 l00 )z=0 = 2kn I2L = 2kn cvg I1L (3.86) ∂k k=kn 2 1 dove c e vg sono la velocità di fase e di gruppo corrispondenti a ω e kn . Nell’eq.(3.86) il valore di l20 (z = 0) può essere ricavato considerando che, essendo ~l0 e ~l00 soluzioni dell’equazione (3.78), per ogni z deve valere che ∂/∂z(l10 l200 − l20 l100 ) = 0. Calcolando la costante l10 l200 − l20 l100 in z = 0 e in z = h− si ottiene: l10 (0)l200 (0) − l20 (0)l100 (0) = l10 (h− )l200 (h− ) − l20 (h− )l100 (h− ) (3.87) Il primo e il terzo termine della (3.87) sono nulli poiché l10 (h− ) = 0 (condizione (b)) e l200 (0) = 0, per cui, sempre dalla condizione (b): l20 l100 |z=0 = − fT (kn , m)l100 |z=h− (3.88) Teorema dei residui di Cauchy: Se Γ è un percorso semplice chiuso orientato positivamente, e f (z) è R P una funzione analitica dentro e su Γ, tranne nei punti zi dentro Γ, allora Γ f (z)dz = 2πi nj=i Res(z j ). Teorema: Se f ha un polo semplice in z0 allora Res( f ; z0 ) = limz→z0 (z − z0 ) f (z). 1 51 Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE ∂∆(k) Dalla (3.86) e dalla (3.88) si può esprimere ∂k in termini di quantità dipendenti k=kn solo dal modo di oscillazione ~l00 (kn , ω, z), come: 2kn c(kn )vg (kn )I1L (k2 ) ∂∆(k) =− (3.89) ∂k k=kn fT (kn , m)l100 (kn , ω, h) Si può quindi riscrivere lo spostamento dovuto ai modi di Love (3.82) come: X X fT (kn , m)l00 (h)l00 (z) 1 1 ~uLove = i T~km(2) (r, θ) n 2c(k )v (k )I (k ) n g n 1L n m n (3.90) La somma su m è di semplice valutazione in quanto fT = 0 a meno che m = ±1. Poiché l100 è semplicemente un particolare modo di Love, ci si può dimenticare dell’apice 00 e usare solo l1 . Se ci si pone a grandi disatanze dalla sorgente (far field, kr > 10), si può rimpiazzare T~km(2) con il suo comportamento asintotico, commettendo un errore inferiore al millesimo, cioè con la precisione di tre cifre significative. Asintoticamente le funzioni di Hankel per kr tendente a ∞ si comportano come delle funzioni trigonometriche che decadono con la radice quadrata della distanza: r 1 2 −i(kr− 2m+1 4 π) + O Hm(2) (r, θ) = e (3.91) πkr (kr)3/2 e dunque a grandi distanze dalla sorgente il comportamento di un’onda cilindrica è lo stesso di un’onda di grandezza √ piana. Trascurando i termini che decadono con un1 ordine (2) superiore a 1/ kr, le armoniche vettoriali con Jm rimpiazzato da 2 Hm possono essere espresse come: r 1 −i(kr− 2m+1 4 π−mθ) θ̂ e T~km(2) (r, θ) ∼ i 2πkr r 1 −i(kr− 2m+1 m(2) 4 π−mθ) r̂ S~ k (r, θ) ∼ −i (3.92) e 2πkr r 1 −i(kr− 2m+1 ~ m(2) (r, θ) ∼ 4 π−mθ) ẑ R e k 2πkr In questo limite le onde cilindriche coincidono localmente con onde piane e il moto di queste ultime avviene nella direzione dei versori θ̂, r̂ e ẑ. A grande distanza dalla sorgente il campo degli spostamenti generati dai modi di Love sarà allora descritto asintoticamente da: X (F x sin θ − Fy cos θ)l1 (kn , h, ω) r 2 3π ~uLOV E = l1 (kn , z, ω)e−i(kn r− 4 ) θ̂ (3.93) 4c(kn )vg (kn )I1L (kn ) πkn r n In modo analogo si può ricavare il moto per le onde di Rayleigh. Se si suppone che F~ abbia una dipendenza temporale, nel dominio delle frequenze si ottiene che lo spostamento è dato da: LOV E ui (~x, ω) = F p (ω)Gip (~x; ~ξ; ω) (3.94) dove G(~x; ~ξ; ω) dove è la trasformata di Fourier della funzione di Green per le onde superficiali generate da una forza puntiforme che agisce nel punto ~ξ = (0, 0, h) all’istante zero. 52 3.7 Sismogrammi sintetici 3.7 Sismogrammi sintetici Seguendo la notazione proposta da Ben-Menahem e Harkrider (1964), Florsch et al. (1991) per le onde di Love, Panza (1985) e Panza et al. (1973) per le onde di Rayleigh, è possibile definire il vettore F~θ , le cui componenti rispetto al sistema di riferimento cartesiano sono: 1 1 i(ωt−kn r) i(ωt−kn r) i 3π −i π4 ~ 4 Fθ = √ e sin θe Nθ , √ e cos θe Nθ , 0 (3.95) 2πr 2πr dove Nθ è una funzione che dipende della frequenza, dalla profondità della sorgente e dalle costanti del mezzo stratificato e rappresenta la risposta in in ampiezza del mezzo in direzione trasversale dovuta a una forza elementare agente in direzione orizzontale. In pratica, visto il sistema di riferimento assunto, il termine Nθ coincide con la risposta del mezzo al passaggio delle onde di Love. Dall’eq. (3.93) si deduce che l’espressione esplicita di Nθ è data da: Nθ = l1 (kn , h, ω)l1 (kn , z, ω)AL √ kn (3.96) dove con AL si è indicata la quantià 1/(2c(kn )vg (kn )I1L (kn )). Nella sezione 3.2 si è visto il vantaggio di usare le velocità piuttosto che gli spostamenti, perciò notando che u˙y = iωuy u̇ (h) u̇ (z) e (uy (0), σzy (0)) = (1, 0), si può porre l1 (h)l1 (z) = u̇yy (0) u̇yy(0) . In questo modo l’eq. (3.96) alla superficie libera (z = 0) diventa: Nθ (h) = u̇y (h) AL √ u̇y (0) kn (3.97) Per quanto riguarda le onde di Rayleigh possono essere definiti i seguenti vettori: 1 i(ωt−kn r) π π π e cos θe−i 4 Nrr , sin θe−i 4 Nrr , ei 4 Nrz F~r = √ 2πr F~z = 1 i(ωt−kn r) 3π π 3π e cos θe−i 4 Nzr , sin θe−i 4 Nzr , e−i 4 Nzz √ 2πr (3.98) dove le funzioni Ni j alla superficie libera sono espresse come: u̇∗ (h) A R Nzr (h) = − x √ u̇z (0) kn u̇∗ (0) Nrr (h) = − x Nzr (h) = 0 Nzr (h) u̇z (0) u̇ (h) A z R Nzz (h) = √ u̇z (0) kn Nrz (h) = 0 Nzz (h) (3.99) Dalle equazioni (3.99) si può ricavare l’ellitticità dei modi di Rayleigh: 0 = u∗ (0) Nrz (h) Nrr (h) = =− x Nzz (h) Nzr (h) uz (0) 53 (3.100) Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE in cui l’asterisco ∗ viene usato per indicare la parte immaginaria di una quantità complessa, ossia u∗x = −iu x . Le quantità Nrr , Nrz , Nzz e Nzr rappresentano rispettivamente: - la risposta in ampiezza del mezzo in direzione radiale dovuta a una forza elementare agente nella stessa direzione; - la risposta in ampiezza del mezzo in direzione radiale dovuta a una forza elementare agente in direzione verticale; - la risposta in ampiezza del mezzo in direzione verticale dovuta a una forza elementare agente nella stessa direzione; - la risposta in ampiezza del mezzo in direzione verticale dovuta a una forza elementare agente in direzione radiale. Avendo definito i vettori (3.95-3.98), è possibile scrivere lo spostamento nel far filed per ~ combinazione lineare di tre forze di un singolo modo, dovuto a una forza generica R, modulo unitario che agiscono lungo le tre direzioni elementari ~e1 , ~e2 , ~e3 : ~ S = (R ~ · F~r )~er + (R ~ · F~θ )~eθ + (R ~ · F~r )~er = UrS ~er + UθS ~eθ + UzS ~ez U (3.101) Se si adotta la rappresentazione indicata in Figura 3.5 si ottiene che: ~ =| R | (cos λê1 + sin λ cos δê2 + sin λ sin δê3 ) R (3.102) Si assume inoltre che la dipendenza temporale della forza sia data dalla Delta di Dirac. Figura 3.5: Geometria degli elementi di sorgente e posizione relativa del ricevitore sulla superficie libera. Geometria sorgente-ricevitore. Gli angoli δ, θ e λ rappresentano rispettivamente l’angolo di immersione del piano di faglia, dip, l’angolo tra ricevitore e sorgente, strike-receiver, e l’angolo di scorrimento della faglia, rake. Le componenti trasversali (tra) sono dovute al moto delle onde di Love, le componenti radiali (rad) e verticali (ver) a quelle di Rayleigh. In modo analogo, il versore normale al piano di faglia (che ha le dimensioni di una lunghezza) è dato da: ~n =| n | (− sin δê2 + cos δê3 ) (3.103) 54 3.7 Sismogrammi sintetici dove 0 ≤ δ ≤ π e 0 ≤ λ ≤ 2π. Dalle eq. (3.101-3.102) si ottengono gli spostamenti generati da una forza singola in termini degli elementi della faglia (λ, δ) e dell’angolo di strike-receiver (θ): 1 i(ωt−kn r) i 3π4 UrS =| R | √ e e [Nrr (cos λ cos θ + sin λ cos δ sin θ) + iNrz sin λ sin δ] (3.104) 2πr 1 i(ωt−kn r) i 3π4 UθS =| R | √ e e Nθ (cos λ sin θ − sin λ cos δ cos θ) (3.105) 2πr π UzS = UrS 0−1 e−i 2 (3.106) Se la sorgente sismica viene invece rappresentata da una coppia di forze di modulo R, si può ricavare il campo degli spostamenti U C generato da tale sorgente applicando l’operatore gradiente al campo di spostamenti U S associato a una singola forza, anch’essa di modulo R: ~ C = −(~n · grad)U ~S U (3.107) dove si è usato il segno negativo per il gradiente in quanto la derivata viene fatta rispetto alla sorgente, mantenendo fisso il ricevitore, e ~n rappresenta il versore che individua il braccio della coppia di forze. Le componenti del versore ~n e dell’operatore gradiente lungo gli assi del sistema di riferimento cilindrico sono: nr = ~n · ~er =| n | (− sin δ sin θ) nθ = ~n · ~eθ =| n | (sin δ cos θ) nz = ~n · ~ez =| n | (cos δ) (3.108) 1 ∂ ∂ ∂ gradθ = gradh = (3.109) ∂r r ∂θ ∂h Inserendo le eq. (3.108-3.109-) nell’eq. (3.107), ed usando le note relazioni trigonometriche: cos 2x = cos2 x − sin2 x e sin 2x = 2 sin x cos x gradr = si ottiene: UθC ∂ ∂ S = sin δ sin θ − cos δ Uθ + O(r−3/2 ) ∂r ∂h 1 1 i(ωt−kn r) −i 3π4 = | R || n | √ e e kNθ (h) − cos λ sin δ + 2 2πr +i((cos λ cos δG(h)) sin θ + (− sin λ cos2 δG(h)) cos θ) + 1 1 + sin λ sin 2δ cos 2θ + cos λ sin δ cos 2θ 4 2 (3.110) UrC ∂ S ∂ = sin δ sin θ − cos δ Ur + O(r−3/2 ) ∂r ∂h 1 1 i(ωt−kn r) −i 3π4 e e kNrz (h) sin 2δ sin λ B(h) + = | R || n | √ 4 2πr +i(sin λ(1 − C(h) cos2 δ) sin θ − (cos δ cos λ)[1 − C(h)] cos θ) + 1 1 + (cos λ sin δ)A(h) sin 2θ + − sin 2δ sin λ A(h) cos 2θ 2 4 (3.111) 55 Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE ∂ ∂ S C Uz = sin δ sin θ − cos δ Uz + O(r−3/2 ) ∂r ∂h C −1 −i π2 = Ur 0 e (3.112) dove: Nrr Nrz 1 2 ∂Nrz B(h) = Nrr + Nrz k ∂h 1 1 ∂Nrr (h) C(h) = Nrz (h) + Nrz k ∂h 1 ∂Nθ (h) G(h) = kNθ (h) ∂h A(h) = (3.113) (3.114) (3.115) (3.116) e in cui, essendo interessati solo al far field, sono stati trascurati sia il termine contenente la derivata rispetto a θ, in quanto risulta essere un infinitesimo di ordine pari a r−3/2 a causa del fattore 1/r associato a tale derivata, sia la derivata rispetto a r del termine (2πr)1/2 , che risulta anch’essa proporzionale a r−3/2 . La sorgente come doppia coppia viene ottenuta dalla sovrapposizione di due coppie uguali ad angolo retto in modo tale che il momento totale del sistema sia zero. Per ottenere il campo di spostamento far field per questo sistema, si deve aggiungere alla rappresentazione di U C data dall’eq. (3.107) il campo di spostamento dovuto a una ~ con ~n. Si ha quindi: seconda coppia formata scambiando R ~ ~ S (| R | ~n) ~ DC = −(~n · grad)U ~ S (R) ~ − R · grad U (3.117) U |R| Per calcolare la (3.117) bisogna dapprima conoscere: - le componenti di ~ R |R| lungo gli assi del sistema di riferimento cilindrico: ~ Rr R = · ~er = cos λ cos θ + sin λ cos δ sin θ |R| |R| ~ Rθ R = · ~eθ = cos λ sin θ − sin λ cos δ cos θ |R| |R| ~ R Rz = · ~ez = sin λ sin δ |R| |R| (3.118) ~ R | ~n): - il campo di spostamento U(| UθS (| R | ~n) = (| R | ~n · F~θ )êθ 1 i(ωt−kn r) i 3π4 = | R || n | √ e e Nθ (h) sin δ cos θ 2πr UrS (| R | ~n) = (| R | ~n · F~r )êr 1 i(ωt−kn r) −i π4 = | R || n | √ e e (− sin θ sin δNrr (h) + i cos δNrz (h)) 2πr (3.119) 56 3.7 Sismogrammi sintetici Dalle eq. (3.109-3.118-3.119) si ricava il campo di spostamento per la seconda coppia: ∂ ∂ ∂ UθCII (| R | ~n) = − cos λ cos θ − sin λ cos δ sin θ − sin λ sin δ ∂r ∂r ∂h 1 3π UθS (| R | ~n) + O(r−3/2 ) =| R || n | √ ei(ωt−kn r) e−i 4 kn Nθ (h) 2πr 1 1 sin δ cos λ (1 + cos 2θ) + sin 2δ sin λ sin 2θ + 2 4 +i(sin λ sin2 δG(h)) cos θ (3.120) ∂ ∂ ∂ S U − sin λ cos δ sin θ − sin λ sin δ ∂r ∂r ∂h r (| R | ~n) + O(r−3/2 ) 1 1 i(ωt−kn r) −i 3π4 = | R || n | √ e e kn Nrz (h) sin λ sin 2δB(h) + 4 2πr i (sin λ(−1 + C(h) sin2 δ)) sin θ + (− cos λ cos δ) cos θ + 1 1 cos λ sin δA(h) sin 2θ + − sin λ sin 2δA(h) cos 2θ 2 4 (3.121) UrCII (| R | ~n) = − cos λ cos θ Sostituendo le (3.120-3.121-3.110-3.111) nell’eq. (3.117) si ottiene: 1 i(ωt−kn r) −i 3π4 UθDC = | R || n | √ e e Nθ (h)kn 2πr 1 N (h) θ i (sin θ(cos λ cos δ) + cos θ(− sin λ cos 2δ)) + kn Nθ (h) ∂h 1 + sin 2θ sin λ sin 2δ + cos 2θ(cos λ sin δ) 2 (3.122) 1 1 i(ωt−kn r) −i 3π4 UrDC = | R || n | √ e e Nrz (h)kn sin λ sin 2δB(h) + 2 2πr i (− sin λ cos 2δC(h)) sin θ) + (− cos λ cos δC(h)) cos θ + 1 cos λ sin δA(h) sin 2θ + − sin λ sin 2δA(h) cos 2θ 2 (3.123) In conclusione, l’espressione asintotica della trasformata di Fourier dello spostamen~ DC , può essere scritta come to alla superficie libera causato da una doppia coppia, U ~ DC = P∞ ~ DC , dove n è l’indice del modo, e: U n=1 U n UrDC (r, 0, ω) n = R(ω) | n | e −i 3π 4 57 p e−ikR r −ωrC2R e kR χR (θ, h)AR 0 √ n 2πr Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE −ikL r p e DC −i 3π −ωrC 2L Uθ (r, 0, ω) = R(ω) | n | e 4 kL χL (θ, h)AL √ e n 2πr n π UzDC (r, 0, ω) = e−i 2 0−1 UrDC (r, 0, ω) n n R(ω) rappresenta la trasformata di Fourier della funzione che descrive l’evoluzione temporale di una forza puntiforme equivalente (R(ω) = |R(ω)|eiΦ0 , con Φ0 = arg(R(ω)) rappresentante la fase iniziale). I termini χL (θ, h) e χR (θ, h) rappresentano la dipendenza azimutale della risposta: χL (h s , θ) = i(d1L sin θ + d2L cos θ) + d3L sin 2θ + d4L cos 2θ χR (h s , θ) = d0R + i(d1R sin θ + d2R cos θ) + d3R sin 2θ + d4R cos 2θ (3.124) (3.125) con: d1L = G(h) cos λ cos δ d2L = −G(h) sin λ cos 2δ 1 d3L = V(h) sin λ sin 2δ 2 d4L = V(h) cos λ sin δ 1 d0R = B(h) sin λ sin 2δ 2 d1R = −C(h) sin λ cos 2δ d2R = −C(h) cos λ cos δ d3R = A(h) cos λ sin δ 1 d4R = − A(h) sin λ sin 2δ 2 (3.126) dove le funzioni dipendenti dalla profondità dell’eq. (3.126), sono date da: ∗ 1 σzy (h) 1 σzy (h) = µ(h) u̇y (0)/c µ(h)kn uy (0) u̇y (h) uy (h) = u̇y (0) uy (0) u∗ (h) − x uz (0) σ∗zz (h) β2 (h) u∗x (h) 2 − 3−4 2 − α (h) uz (0) ρ(h)α2 (h) u̇z (0)/c 1 σzx (h) − µ(h) u̇z (0)/c G(h) = − V(h) = A(h) = B(h) = C(h) = (3.127) I termini e−ωrC2L e e−ωrC2L , che rappresentano lo smorzamento dell’ampiezza, sono stati introdotti per tenere conto dell’anelasticità del mezzo. 58 3.7 Sismogrammi sintetici 3.7.1 Attenuazione di fase Il trattamento dell’anelasticità richiede che le velocità delle onde P ed S diventino complesse (Schwab e Knopoff, 1971): 1 1 1 = = − iA2 α α1 + iα2 A1 (3.128) 1 1 1 = = − iB2 α β1 + iβ2 B1 A1 e B1 sono, rispettivamente, la velocità di fase delle onde P e la velocità di fase delle onde S, mentre A2 e B2 sono, rispettivamente, l’attenuazione di fase delle onde P e l’attenuazione di fase delle onde S. In un mezzo anelastico anche la velocità di fase c delle onde di superficie deve essere espressa come una quantità complessa: 1 1 = − iC2 c C1 (3.129) La quantità C1 rappresenta la velocità di fase attenuata, mentre C2 rappresenta l’attenuazione di fase. Questa attenuazione può essere stimata usando la tecnica variazionale (Takeuchi e Saito, 1972; Aki e Richards, 1980). Per i modi di Love si trova che (Florsch et al., 1991): ∗ 2 2 R∞ σzy uy 1 µB B + dz 1 2 2 uy (0) µ u̇y (0)/c̄ 0 C2L = (3.130) R ∞ uy 2 c̄ 0 µ uy (0) dz dove c̄ rappresenta la velocità di fase nel caso perfettamente elastico. Per i modi di Rayleigh si trova che (Panza, 1985): C2R = Im(I4R ) 2ωk̄I3R (3.131) dove k̄ è il numero d’onda nel caso perfettamente elastico e gli integrali I3R e I4R sono definiti come: Z ∞ λ2 2 1 λ I3R = (λ + 2µ) − y3 + y1 y4 − y2 y3 dz (3.132) (λ + 2µ) k (λ + 2µ) 0 Z I4R = λ2 1 2 2 + 2 k̄λy y ) + k̄ 1 + (y y2 + 2 3 2 2 2 3 (λ + 2µ) (λ + 2µ) 0 (3.133) 2k̄ 1 +δµ 2 y24 + δλ (y2 y3 + k̄λy23 ) dz µ (λ + 2µ) ∞ δ(λ + 2µ) in cui: y1 = uz (z) uz (0) y2 = σzz (z) uz (0) y3 = −i 59 u x (z) uz (0) y4 = −i σzx (z) uz (0) (3.134) Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN STRUTTURE STRATIFICATE Le quantità variazionali nella (3.133) sono: δ(λ + 2µ) = ρ(α21 − α22 − ᾱ2 ) + i2ρα1 α2 δ(µ) = ρ(β21 − β22 − β̄2 ) + i2ρβ1 β2 δ(λ) = ρ[(α21 − α22 − ᾱ2 ) − 2(β21 − β22 − β̄2 )] + i2ρ(α1 α2 − 2β1 β2 ) dove ᾱ e β̄ sono le velocità delle onde P ed S nel caso perfettamente elastico. 60 (3.135) Capitolo 4 Metodo ibrido Nel Capitolo 3 le equazioni del moto sono state risolte analiticamente, approssimando la struttura geologica con un modello 1-D. Tipicamente la soluzione analitica viene applicata ai modelli regionali che caratterizzano il percorso dalla sorgente al sito di interesse. Quando però si vogliono modellare le condizioni locali al sito, è opportuno adottare un metodo di calcolo bidimensionale, quale, ad esempio, il metodo delle differenze finite. Nell’ambito di questa tesi è stato usato il metodo ibrido proposto da Fäh et al. (1993) e ampiamente usato per scopi di microzonazione sismica. Esso combina la tecnica della somma modale con quella delle differenze finite, applicando ciascuna delle due tecniche alla parte del del modello strutturale nella quale risulta più efficace. La somma modale, valida per mezzi anelastici lateralmente omogenei, viene infatti usata per simulare la propagazione delle onde dalla posizione della sorgente fino ai bordi di una griglia che rappresenta la struttura locale, anelastica ed eterogenea che si vuole modellare in dettaglio, all’interno della quale il campo d’onda viene propagato secondo lo schema delle differenze finite. L’accoppiamento tra i due metodi viene effettuato introducendo le serie temporali ottenute con la somma modale nei calcoli delle differenze finite attraverso due linee di griglia verticali, trasparenti a ogni riflessione dalla parte lateralmente eterogenea del modello strutturale. La griglia delle differenze finite, a causa della limitatezza della memoria e dei tempi di calcolo dei computer, è racchiusa da contorni artificiali che generano riflessioni, alterando in tal modo le serie temporali finali. Per ridurre queste riflessioni indesiderate, viene usata una tecnica che consiste nella riduzione graduale delle onde in una regione di assorbimento, caratterizzata da un Q dipendente dallo spazio che decresce linearmente verso il confine artificiale sinistro. L’anelasticità viene inclusa nei calcoli alle differenze finite usando il modello reologico del corpo di Maxwell generalizzato. L’algoritmo è stato sviluppato da Emmerich e Korn (1987) per le onde SH ed esteso al caso delle onde P-SV da Fäh (1992) ed Emmerich (1992). Lo schema della procedura è illustrato in Figura 4.1. 61 Capitolo 4. METODO IBRIDO Figura 4.1: Diagramma schematico del metodo ibrido (somma modale e differenze finite). 4.1 Differenze finite Per modellare la propagazione delle onde in aree topograficamente accidentate e con variazioni laterali è opportuno usare tecniche diverse dalla somma modale. In questa sezione viene presentato il metodo delle differenze finite, particolarmente adatto nella valutazione della propagazione delle onde in mezzi bidimensionali. Il cuore di questa tecnica consiste nella sostituzione nell’equazione d’onda degli operatori differenziali con operatori alle differenze finite. Uno dei vantaggi del metodo delle differenze finite sta nella sua facilità di programmazione. I limiti di questa tecnica risiedono nella velocità e nella memoria disponibile dei computer. 4.1.1 Schema alle differenze finite per le onde SH Nel calcolo delle onde SH viene usato lo schema alle differenze finite basato sulla formulazione di Korn e Stöckl (1982). Il punto di partenza è l’equazione del moto per le onde SH che si propagano nel piano xz di un mezzo omogeneo: ρ ∂2 u ∂2 u y ∂2 uy y = µ + ∂t2 ∂x2 ∂z2 62 (4.1) 4.1 Differenze finite Usando l’espansione in serie di Taylor, l’equazione (4.1) può essere approssimata da un’equazione alle differenze finite con un errore di troncamento del secondo ordine: ρ t t−∆t ut+∆t y(m,n) − 2uy(m,n) + uy(m,n) ∆t2 = µ uty(m+1,n) − 2uty(m,n) + uty(m−1,n) ∆x2 (4.2) + µ uty(m,n+1) − 2uty(m,n) ∆z2 + uty(m,n−1) dove è stata usata la seguente notazione: ut+∆t y(m,n) = uy (m∆x, n∆z, t + ∆t). In questo modo sia il tempo che lo spazio vengono discretizzati: le proprietà dei materiali e lo spostamento sono ora definite su una griglia regolare (Figura 4.2) di passi ∆x e ∆z, in tempi successivi distanti tra loro ∆t. Per passare da un mezzo omogeneo ad uno eterogeneo Figura 4.2: Griglia di passi ∆x e ∆z usata per definire le proprietà dei materiali e lo spostamento uty : ❍ indica i punti di griglia in cui sono definiti lo spostamento uty , la densità ρ e il modulo di taglio µ; ● indica i punti di griglia in cui sono definiti anche i punti fittizi per lo spostamento ũty . si devono soddisfare le condizioni di continuità degli sforzi e spostamenti ad ogni interfaccia. Si supponga dapprima di voler soddisfare le condizioni al contorno solo ad un’interfaccia posta alla profondità z = a (Figura 4.2). Le condizioni al contorno che devono essere soddisfatte su questa interfaccia sono: ∂u(1) ∂u(2) y y (1) (2) µ = µ ∂z z=a ∂z z=a (4.3) (1) (2) uy |z=a = uy |z=a dove gli indici (1) e (2) denotano i mezzi 1 e 2. Per soddisfare le condizioni al contorno sulla griglia di punti, vengono introdotti dei punti fittizi sulle linee di griglia poste ai lati dell’interfaccia, ossia in z = n e z = n + 1 (Figura 4.2). I punti fittizi vengono introdotti solo per soddisfare le condizioni al contorno; non entreranno, quindi, nello schema finale alle differenze finite. Denotando le quantità definite nei punti fittizi con una tilde, le (4.3) possono essere approssimate nel seguente modo: 63 Capitolo 4. METODO IBRIDO - mediante differenze centrali rispetto all’interfaccia per lo sforzo: ũt (1) y(m,n+1) µ − uty(m,n) ∆z =µ ut (2) y(m,n+1) − ũty(m,n) (4.4) ∆z - mediante un’interpolazione lineare per lo spostamento: 1 1 t (ũy(m,n+1) + uty(m,n) ) = (uty(m,n+1) + ũty(m,n) ) 2 2 (4.5) Le eq. (4.4-4.5) possono essere risolte rispetto ai punti fittizi: ũty(m,n) = 2uty(m,n) + (G − 1)uty(m,n+1) G+1 (4.6) ũty(m,n+1) = 2uty(m,n+1) + (G −1 − 1)uty(m,n) G−1 + 1 (2) dove G = µµ(1) . Si consideri ora un mezzo completamente eterogeneo con densità ρ(x, z) e modulo di taglio µ(x, z). Si assuma inoltre che ciascun nodo di griglia (m,n) sia posto al centro di una regione rettangolare omogenea. Tra due punti di griglia vicini c’è quindi un’interfaccia sulla quale devono essere soddisfatte le condizioni di continuità degli sforzi e degli spostamenti. Per un mezzo eterogeneo, l’equazione alle differenze finite (4.2) può essere riscritta come: ρ(m,n) t t−∆t ut+∆t y(m,n) − 2uy(m,n) + uy(m,n) ∆t2 = µ(m,n) ũty(m+1,n) − 2uty(m,n) + ũty(m−1,n) ∆x2 (4.7) + µ(m,n) ũty(m,n+1) − 2uty(m,n) ∆z2 + ũty(m,n−1) Esprimendo lo spostamento nei punti fittizi vicini al punto (m,n) in termini degli spostamenti ai punti reali, l’equazione (4.7) diventa: t−∆t t 2 ut+∆t y(m,n) = −uy(m,n) + 2uy(m,n) ∆t µ(m,n) ∆t 2 t +2 G1 uy(m+1,n) − uty(m,n) + G2 uty(m−1,n) − uty(m,n) ρ(m,n) ∆x µ(m,n) ∆t 2 t +2 G3 uy(m,n+1) − uty(m,n) + G4 uty(m,n−1) − uty(m,n) ρ(m,n) ∆z (4.8) con G1 = G3 = µ(m+1,n) µ(m,n) +µ(m+1,n) µ(m,n+1) µ(m,n) +µ(m,n+1) G2 = G4 = µ(m−1,n) µ(m,n) +µ(m−1,n) µ(m,n−1) µ(m,n) +µ(m,n−1) (4.9) La (4.8) è una formulazione eterogenea, nella quale le costanti elastiche possono variare da punto di griglia a punto di griglia. Poiché gli errori di troncamento, , crescono esponenzialmente all’aumentare del tempo, 64 4.1 Differenze finite la stabilità numerica del sistema, 1/, tende a zero, rendendo lo schema adottato nella (4.8) sempre instabile. Un’analisi standard di stabilità (O’Brien et al., 1950) indica che lo schema alle differenze finite per un mezzo omogeneo è stabile se il passo di integrazione temporale soddisfa la relazione: ∆t < 1 p (4.10) β 1/∆x2 + 1/∆z2 che per una griglia regolare (∆x=∆z) diventa: ∆t < ∆x √ β 2 (4.11) Si può pertanto introdurre la quantità γ come: γ= √ ∆t 2β ≤1 ∆x (4.12) Essa può essere usata come parametro per controllare l’errore numerico nella velocità di fase introdotto dalla discretizzazione nello spazio e nel tempo. Risulta infatti importante, in uno schema alle differenze finite, il controllo dell’accuratezza dello schema adottato, ad esempio la velocità di convergenza delle velocità di fase e di gruppo numeriche a quelle corrette. Si consideri ad esempio un’onda armonica piana che si propaga in una griglia regolare (∆x = ∆z): ~u(x, z, ω) = ~u0 (ω)ei(ωt−kx cos θ−kz sin θ) (4.13) dove θ è l’angolo tra la direzione di propagazione dell’onda piana e l’asse x, k è il numero d’onda ed ω la frequenza angolare. Se si sostituisce la (4.13) nelle approssimazioni alle differenze finite di secondo ordine per gli operatori ∂2 /∂x2 , ∂2 /∂z2 e ∂2 /∂t2 , essi possono essere riscritti nello spazio ω − k come (Alford et al., 1974; Kindelan et al., 1990): ∆x ∆x 4 4 2 2 D (k x ) = − 2 sin k x = − 2 sin k cos θ ∆x 2 ∆x 2 ∆x ∆x 4 4 D2 (kz ) = − 2 sin2 kz = − 2 sin2 k sin θ ∆x 2 ∆x 2 ∆t 4 D2 (ω) = − 2 sin2 ω ∆t 2 2 (4.14) L’equazione del moto per la propagazione delle onde di taglio (eq. (4.1)) può essere scritta nello spazio ω − k come: D2 (ω) = β2 (D2 (k x ) + D2 (kz )), con β= µ ρ (4.15) dove β è la velocità delle onde di taglio. Sostituendo D2 (ω), D2 (k x ) e D2 (kz ) con le espressioni (4.14), si ottiene: 1 2 k∆x 1 2 ω∆t 2 k∆x sin = sin cos θ + sin sin θ β2 ∆t2 2 ∆x2 2 2 65 (4.16) Capitolo 4. METODO IBRIDO La velocità di fase c, che è la velocità nel mezzo discretizzato, è data da c = ω/k, e quindi: r " # 2 β∆t 2 k∆x 2 k∆x c= arcsin sin cos θ + sin sin θ (4.17) k∆t ∆x 2 2 A questo punto si può definire il rapporto adimensionale q tra la velocità di fase c e la velocità di fase reale in funzione del numero di punti di griglia per lunghezza d’onda N = λ/∆x, come: r " # c N∆x β∆t 2 π cos θ 2 π sin θ q= = sin (4.18) arcsin + sin β πβ∆t ∆x N N La quantità q descrive l’errore della velocità di fase numerica rispetto alla velocità di fase reale (fisica). Questa quantità è sempre inferiore a 1, avvicinandosi a 1 per grandi valori di N. Tenendo conto della (4.12), l’eq. (4.18) diventa: r √ " # 2N γ 2 π cos θ 2 π sin θ q= arcsin √ sin + sin (4.19) πγ N N 2 L’eq. (4.19) mostra che q è indipendente dalla velocità di fase fisica β, e dipende solo dal numero di punti per lunghezza d’onda N. Può essere dimostrato che l’accuratezza nel modellare la dispersione di un segnale (dispersione di griglia) richiede che almeno 10 punti di griglia siano definiti per lunghezza d’onda: ∆x < β2π 10ω (4.20) Questo limita la dimensione massima del modello strutturale, ma permette di modellare la propagazione delle onde in strutture con rapide variazioni laterali, e quindi non solo con variazioni di velocità che avvengono su distanze comparabili con le lunghezze d’onda sismiche. In un mezzo eterogeneo, dato che sia la (4.11) che la (4.20) devono essere simultaneamente soddisfatte, la scelta di ∆x è guidata dalla velocità di taglio più bassa, mentre la velocità di taglio più alta determina la scelta del passo temporale ∆t. Questo, a causa di limiti computazionali, viene generalmente scelto il più possibile vicino al più alto valore permesso. Pertanto, in un mezzo eterogeneo, l’errore numerico introdotto non è costante in tutti in punti del modello strutturale: è minore nelle zone che hanno una velocità di taglio più grande ed è maggiore nelle zone con le più basse velocità di taglio. 4.1.2 Schema alle differenze finite per le onde P-SV Per quanto riguarda le onde P-SV, viene adottato uno schema basato sulla formulazione “staggered grid” di Madariaga (1976)-Virieux(1986), nella quale i campi (si considerano ora le velocità e non gli spostamenti) sono definiti su griglie separate sfasate nello spazio (Figura 4.3). In questo caso le equazioni che riguardano il moto delle onde 66 4.1 Differenze finite Figura 4.3: “Staggered grid” usata per definire le proprietà dei materiali e lo spostamento nel caso delle onde P-SV: ■ indica i punti di griglia in cui sono definiti la componente verticale della velocità, u̇z , e la densità ρ; ● indica i punti di griglia in cui sono definiti la componente orizzontale della velocità, u̇ x , e la densità ρ; 4 indica i punti di griglia in cui sono definiti gli sforzi normali σ xx e σzz e i parametri di Lamè λ e µ; 5 indica i punti di griglia in cui sono definiti lo sforzo tangenziale σ xz e il modulo di taglio µ. P-SV sono: ∂u̇ x ∂t ∂u̇z ∂t ∂σ xx ∂t ∂σzz ∂t ∂σ xz ∂t = = = = = 1 ∂σ xx ∂σ xz + ρ ∂x ∂z 1 ∂σ xz ∂σzz + ρ ∂x ∂z ∂u̇ x ∂u̇z (λ + 2µ) +λ ∂x ∂z ∂u̇z ∂u̇ x (λ + 2µ) +λ ∂z ∂x ∂u̇ ∂u̇ x z µ + ∂z ∂x (4.21) dove u̇ x e u̇z sono le componenti orizzontale e verticale della velocità, ρ è la densità e λ e µ sono i coefficienti di Lamé. La componente orizzontale della velocità e la densità sono definite nei punti (m, n + 1/2), mentre la componente verticale della velocità e la densità sono definite nei punti (m + 1/2, n). Gli sforzi normali e i parametri di Lamé sono definiti nei punti (m + 1/2, n + 1/2), mentre lo sforzo tangenziale e la rigidità sono definiti nei punti (m, n). La griglia è anche sfasata nel tempo. Le velocità sono valutate al tempo t + ∆t/2 a partire dalle componenti degli sforzi al tempo t; gli sforzi, invece, sono valutati al tempo t + ∆t a partire dalle velocià al tempo t + ∆t/2. Le eq. (4.21) possono essere approssimate mediante uno schema alle differenze finite, in cui le derivate spaziali e temporali sono definite come: h i h i L ∆x ∆x 2 X f x + (2l − 1) − f x − (2l − 1) ∂f 2 2 = d2l−1 (4.22) ∂x ∆x l=1 dove L (L = 2,4,6,. . . ) è l’ordine dell’operatore, e ∆x è il passo di griglia nella direzione x, mentre i coefficienti d2l−1 rappresentano dei pesi che possono essere scelti in modo da 67 Capitolo 4. METODO IBRIDO ottenere un determinato errore relativo sulla velocità di gruppo. Lo schema alle differenze finite delle eq. (4.21) è riportato in Virieux (1986) (schema alle differenze finite di secondo ordine, con L = 2 e d1 = 1) e Levander (1988) (schema alle differenze finite del quarto ordine, con L = 4, d1 = 9/8 e d3 = −1/24). La condizione di stabilità numerica del sistema è data, nel caso di uno schema alle differenze finite di secondo ordine in cui ∆x = ∆z, da (Virieux, 1986): ∆t < ∆x √ α 2 (4.23) Nel caso in cui la derivata temporale venga approssimata con un operatore del secondo ordine e le derivate temporali con operatori del quarto ordine, la condizione di stabilità diventa: ∆x ∆t < (4.24) √ α(|d1 | + |d3 |) 2 Nella parte superiore dei modelli strutturali, dove generalmente le velocità sono più basse, si usano degli operatori alle differenze finite spaziali di quarto ordine: questo permette di mantenere un passo di campionamento più grande senza aumentare l’errore numerico introdotto. L’operatore alle differenze finite temporale è sempre di secondo ordine, in quanto un’approssimazione del quarto ordine richiederebbe troppa memoria del computer. La quantità γ, che controlla l’errore numerico, è quindi definita come: γ= √ 2α ∆t ≤1 ∆x (4.25) nel caso di operatori alle differenze finite del secondo ordine, e: γ= √ ∆t 2α(|d1 | + |d3 |) ≤1 ∆x (4.26) nel caso di operatori spaziali del quarto ordine. Analogamente al caso delle onde SH, considerando un’onda piana armonica che si propaga in una griglia regolare, gli operatori alle differenze finite di ordine L possono essere scritti come (Alford et al., 1974; Kindelan et al., 1990): h i L 2 X sin (2l − 1)k x ∆x 2 D(k x ) = id2l−1 (4.27) ∆x l=1 2 Si consideri dapprima il caso di uno schema alle differenze finite del secondo ordine per un mezzo omogeneo. Analogamente all’eq. (4.17) la velocità di fase numerica c è data da: r " # c0 ∆t 2 2 k∆x 2 k∆x arcsin cos θ + sin sin θ c= sin (4.28) k∆t ∆x 2 2 dove c0 rappresenta la velocità di fase (fisica) corrispondente alla velocità delle onde di taglio β o alla velocità delle onde compressionali α nel mezzo omogeneo. Definendo i rapporti adimensionali qP = c/α e qS = c/β in funzione del numero di punti di griglia per lunghezza d’onda N = λ/∆x, e sostituendo l’eq. (4.25) si ottiene: r √ " # γ 2N 2 π cos θ 2 π sin θ arcsin √ sin + sin qP = πγ N N 2 68 4.1 Differenze finite qS r √ " # α 2N βγ 2 π sin θ 2 π cos θ = arcsin √ sin + sin βπγ N N α 2 (4.29) Le quantità qP e qS rappresentano le deviazioni dalle rispettive velocità di fase teoriche (fisiche). Una volta fissate le quantità γ e N, la quantità qP è determinata; il calcolo di qS richiede invece la conoscenza del rapporto tra le velocità di fase delle onde S e P, i.e. qS dipende, attraverso αβ , dal rapporto di Poisson ν1 . Dato che la velocità delle onde S è sempre inferiore a quella delle onde P, l’errore per le onde S è sempre maggiore di quello delle onde P. Vierieux (1986) ha dimostrato che per ottenere un’accuratezza ragionevole dello schema alle differenze finite di secondo ordine, sono richiesti dieci punti di griglia per lunghezza d’onda, in modo da limitare la dispersione di griglia e l’errore numerico a poche percentuali. Dato che il comportamento di qS non degrada man mano che ν si avvicina a 0.5, questo schema alle differenze finite è stabile per tutti i rapporti di Poisson; qS diventa invece infinito dentro i liquidi per uno schema standard alle differenze finite (Bamberger et al., 1980). Nel caso di uno schema alle differenze finite del quarto ordine per le derivate spaziali e del secondo ordine per la derivata temporale, si ottiene per un mezzo omogeneo, introducendo la definizione di γ (eq. (4.26)): √ # " √ 2N(|d1 | + |d3 |) γ qP = a1 + a2 + a3 arcsin √ πγ 2(|d1 | + |d3 |) (4.31) √ " # √ βγ α 2N(|d1 | + |d3 |) qS = arcsin √ a1 + a2 + a3 βπγ α 2(|d1 | + |d3 |) con: a1 = a2 a3 d12 2 π cos θ 2 π sin θ + sin N N 3π cos θ 2 2 3π sin θ 2 = d3 sin + sin N N 3π cos θ π sin θ 3π sin θ π cos θ = 2d1 d3 sin sin + sin sin N N N N sin (4.32) Il passo di campionamento spaziale richiede ora almeno cinque punti di griglia per lunghezza d’onda in modo da tenere la dispersione di griglia e l’errore numerico entro valori accettabili. Inoltre l’errore è ridotto rispetto al caso dello schema alle differenze finite del secondo ordine. 1 Il rapporto di Poisson, ν: ν= λ 2(λ + µ) (4.30) esprime il rapporto tra la deformazione che avviene ortogonalmente allo sforzo assiale e la deformazione assiale. Per un solido di Poisson (λ = µ) si ha che ν = 0.25, mentre per un fluido ideale (µ = 0) ν = 0.5. 69 Capitolo 4. METODO IBRIDO 4.2 Accoppiamento somma modale - differenze finite L’accoppiamento tra il metodo della somma modale e il metodo delle differenze finite viene effettuato introducendo le serie temporali ottenute con la somma modale nei calcoli delle differenze finite. Nel caso delle onde SH viene usato come input per le differenze finite lo spostamento, mentre nel caso delle onde P-SV, l’input consiste di serie temporali in velocità, in relazione alle specifiche tecniche alle differenze finite usate nei due casi. Seguendo Alterman e Karal (1968), il campo d’onda viene introdotto nello schema delle differenze finite attraverso due linee verticali di griglia trasparenti a ogni riflessione dalla parte lateralmente eterogenea del modello. Per le onde SH ciò viene realizzato nel modo seguente: a ogni passo di iterazione temporale, l’algoritmo alle differenze finite usa lo spostamento presente e precedente per calcolare quello futuro (Sezione 4.1.1). Durante ogni passo temporale, l’energia del campo d’onda incidente viene inserita nel rispettivo punto di griglia sulla linea di griglia S 1 (Figura 4.4); esso è costituito dalla soluzione analitica ottenuta con il metodo della somma modale e dal campo d’onda retrodiffuso dalla parte lateralmente eterogenea del modello. Se uy(m,n) (t) è lo spostamento al tempo t nel punto (m, n) sulla linea di griglia S 1 (Figura 4.4), esso può essere scritto come la sovrapposizione di due campi d’onda: uy(m,n) (t) = u0y(m,n) (t) + ry(m,n) (t) (4.33) dove u0y(m,n) (t) è il contributo della soluzione analitica e ry(m,n) (t) rappresenta il campo d’onda retrodiffuso. Lo spostamento uy(m+1,n) (t + ∆t) nel punto m + 1 sulla linea di griglia S 2 viene calcolato con il solito schema alle differenze finite. Poiché si conosce il contributo della soluzione analitica u0y(m+1,n) (t + ∆t) sulla linea di griglia S 2 , si può ricavare il campo d’onda retrodiffuso: ry(m+1,n) (t + ∆t) = uy(m+1,n) (t + ∆t) − u0y(m+1,n) (t + ∆t) (4.34) Il residuo ry(m+1,n) (t + ∆t) viene usato come input nello schema alle differenze finite sul piano fittizio A (Figura 4.4), sul quale è presente solo il campo retrodiffuso. Essendo stato separato dal campo d’onda incidente, si può calcolare il residuo ry(m+1,n) (t + 2∆t), che viene poi sommato al contributo u0y(m+1,n) (t + 2∆t) della soluzione analitica, in modo da avere lo spostamento totale uy(m+1,n) (t + 2∆t) al tempo t + 2∆t sulla linea di griglia S 1 . In questo modo il campo retrodiffuso passa le linee di griglia S 1 ed S 2 senza produrre alcuna riflessione. Per fare questo è richiesta la conoscenza della soluzione analitica sulle due linee di griglia adiacenti S 1 ed S 2 ad ogni passo temporale. Per le onde P-SV viene usato lo stesso schema numerico per le due componenti di velocità. 4.3 Confini artificiali Poiché la memoria dei computer e i tempi di calcolo sono limitati, la griglia alle differenze finite deve essere racchiusa entro dei confini artificiali. Questi confini, non essendo realistici, generano delle riflessioni che contaminano la soluzione finale. Per superare questo problema sono stati proposti nel corso degli anni vari metodi, tra cui quello che consiste nella riduzione graduale delle onde in una regione di alto assorbimento, usato 70 4.4 Attenuazione intrinseca Figura 4.4: Configurazione della griglia usata per rendere le linee di griglia verticali S 1 ed S 2 trasparenti alle onde retrodiffuse: ❍ indica i punti di griglia del piano fittizio (piano A) in cui è definito il campo retrodiffuso; ● indica i punti di griglia del piano reale in cui è definito il campo totale. nella presente tesi. Tale regione è caratterizzata da un fattore di attenuazione Q che varia nello spazio, diminuendo linearmente verso il confine artificiale sinistro del modello, con un gradiente non troppo rapido in modo da evitare ulteriori riflessioni. 4.4 Attenuazione intrinseca In un solido lineare perfettamente elastico, in accordo alla legge di Hooke, lo sforzo è proporzionale alla deformazione e l’energia meccanica viene immagazzinata senza dissipazione. In un fluido viscoso, invece, in accordo alla legge di Newton, lo sforzo è proporzionale al tasso di deformazione; in questo caso l’energia viene completamente dissipata. Per modellare le proprietà della terra può essere usata una combinazione delle proprietà meccaniche dei solidi elastici e dei fluidi viscosi. Bisogna quindi considerare i solidi viscoelastici, nei quali l’energia viene in parte immagazzinata e in parte dissipata. La relazione tra sforzo σ e deformazione ε nel caso della viscoelasticità lineare viene formulata nel dominio delle frequenze come: σ(ω) = M(ω)ε(ω) (4.35) dove M(ω) rappresenta il modulo viscoelastico complesso in funzione della frequenza. Dato che lo schema alla differenze finite lavora nel dominio temporale, bisogna antitrasformare l’eq. (4.35): Z t σ(t) = M(t) ∗ ε(t) = (4.36) M(t − τ)ε(τ)dτ −∞ In altre parole lo sforzo è il risultato della convoluzione tra il modulo viscoelastico M e la deformazione ε. È opportuno introdurre a questo punto la funzione di rilassamento 71 Capitolo 4. METODO IBRIDO R(t), che rappresenta la risposta dello sforzo a una funzione a gradino unitaria nella deformazione (ossia a ε(t) = H(t)) (Figura 4.5). Dall’eq. (4.36) si può scrivere: R(t) = M(t) ∗ H(t) (4.37) Figura 4.5: Risposta R(t) a una deformazione H(t) applicata al tempo t = 0. Sono mostrati anche il modulo rilassato MR e il modulo non rilassato MU . R(t) può essere scritto come (Emmerich e Korn, 1987): Z ∞ 0 R(t) = MR + δM r(ω0 )e−ω t dω0 H(t) (4.38) 0 R∞ dove r(ω0 ) rappresenta lo spettro di rilassamento normalizzato, ossia 0 r(ω0 )dω0 = 1. Il modulo rilassato MR e il modulo non rilassato MU sono definiti come: MR = lim R(t) t→∞ MU = lim R(t) = MR + δM. e t→0 (4.39) Il modulo non rilassato MU fornisce la proporzionalità tra lo sforzo e la deformazione nel momento di applicazione della deformazione, prima che il materiale cominci a rilassarsi. La variazione della deformazione può essere realizzata mediante una serie di piccoli passi ripetuti in tempi successivi, e quindi, ricordando che se ε(t) = H(t) allora ε̇(t) = δ(t), si ha che dε(t) = δ(t)dt = ε̇(t)dt, σ(t) può essere riscritto in funzione di R(t) come: Z t Z t σ(t) = R(t − τ)dε(τ) = R(t − τ)ε̇(τ)dτ = R(t) ∗ ε̇(t) (4.40) −∞ −∞ Integrando per parti l’eq. (4.40) si ha che: Z t σ(t) = MU ε(t) + Ṙ(t − τ)ε(τ)dτ (4.41) −∞ Inserendo ora la (4.38) nell’eq. (4.41) si ottiene: Z t Z ∞ 0 σ(t) = MU ε(t) − δM ω0 r(ω0 )e−ω (t−τ) ε(τ)dω0 dτ −∞ (4.42) 0 In generale, lo sforzo al tempo t dipende dalla deformazione allo stesso tempo (risposta istantanea, elastica) e ai tempi passati (memoria del sistema). 72 4.4 Attenuazione intrinseca Nei calcoli numerici l’eq. (4.42) è difficile da maneggiare in quanto l’integrazione della storia della deformazione in ogni punto del mezzo e ad ogni passo temporale richiede una grande quantità di tempo e memoria dei computer. Per ovviare a questo problema si può approssimare il modulo viscoelastico M mediante una funzione razionale della frequenza. Questo viene fatto (Emmerich e Korn, 1987) assumendo che lo spettro di rilassamento consista solo di n picchi di ampiezza a j alle frequenze di rilassamento discrete ω j : n n X X r(ω) = a j δ(ω − ω j ); aj = 1 (4.43) j=1 j=1 Inserendo l’eq. (4.43) nell’eq. (4.38), si ha: n X R(t) = MR + δM a j e−ω j t H(t) (4.44) j=1 e, dalla 4.41, ricordando che la trasformata di Fourier di una convoluzione è uguale al prodotto delle trasformate di Fourier delle due funzioni: n X a jω j M(ω) ≈ Mn (ω) = MU − δM iω + ω j j=1 Tenendo conto che: δM = n X a j δM j=1 iω + ω j iω + ω j (4.45) (4.46) l’espressione del modulo viscoelastico (eq. (4.45)) può essere riscritta come: Mn (ω) = MR + n X j=1 a j δM iω iω + ω j (4.47) Questa espressione rappresenta il modello reologico del corpo di Maxwell generalizzato (Figura 4.6). Ogni termine della somma nell’eq. (4.47) può essere interpretato come un corpo di Maxwell classico: una molla (unità elastica) con modulo elastico a j δM (Christensen, 1982) in serie con dashpot (unità viscosa) con viscosità a j δM/ω j . Il termine MR è dato dall’addizionale elemento elastico posto in parallelo. È necessario a questo punto introdurre introdurre il fattore di qualità Q, definito in Figura 4.6: Corpo di Maxwell generalizzato. funzione del modulo viscoelastico M come: Im(M(ω)) Q−1 (ω) = Re(M(ω)) 73 (4.48) Capitolo 4. METODO IBRIDO Affinchè l’eq. (4.35) sia causale, cioè l’output σ(ω) non cominci prima dell’input ε(ω), la parte reale e la parte immaginaria di M devono seguire la relazione di KramersKronig. In una teoria lineare questa relazione determina la parte reale di una funzione complessa a partire dai valori della sua parte immaginaria sommati sull’intero range di frequenze. Conseguentemente, M(ω) è univocamente determinato dalla legge di attenuazione Q(ω). Introducendo il modulo viscoelastico del corpo di Maxwell generalizzato (eq. 4.47) nell’eq. (4.48), si ottiene la seguente relazione: Pn ω/ω j j=1 a j 1+(ω/ω j )2 δM −1 Q (ω) = (4.49) MR 1 + δM Pn a j (ω/ω j )2 2 j=1 MR 1+(ω/ω j ) Se si assume che δM MR , l’eq. (4.49) diventa approssimativamente: n ω/ω j δM X aj Q (ω) ≈ MR j=1 1 + (ω/ω j )2 −1 (4.50) Questo significa che il Q−1 del corpo di Maxwell generalizzato è approssimativamente la somma di n funzioni di Debye con massimo a j δM/2MR in ω j . Queste funzioni sono simmetriche su una scala logaritmica. Se si vuole ottenere un Q−1 approssimativamente costante su un certo range di frequenze, bisogna scegliere le frequenze di rilassamento equidistanti su una scala logaritmica all’interno della banda di frequenze di interesse. I pesi a j vengono determinati (Emmerich e Korn, 1987) richiedendo che il Q del corpo e di Maxwell generalizzato (eq. 4.49) coincida con una data legge di attenuazione Q(ω) per certe frequenze discrete ω̃k (k = 1,. . . ,K). Con: yj = δM aj MR (4.51) e l’eq. (4.49) si ha: n X e−1 (ω̃k )ω̃k ω̃k ω j − Q j=1 ω2j + ω̃2k e−1 (ω̃k ), yj = Q k = 1, ..., K (4.52) L’eq. (4.52) è un sistema di equazioni nelle incognite y j . Mediante scelte opportune delle frequenze ω̃k è possibile rendere il sistema (4.52) sovradeterminato e risolverlo con il metodo dei minimi quadrati. Dall’eq. (4.51) e la condizione di normalizzazione: n X yj = j=1 si ricava: aj = yj δM MR (4.53) n X yj (4.54) j=1 L’espressione finale del modulo di taglio viscoelastico risulta quindi essere (dall’eq. 4.45): Pn # " j=1 y j ω j /(iω + ω j ) P (4.55) Mn (ω) = MU 1 − 1 + nj=1 y j 74 4.4 Attenuazione intrinseca Per il corpo di Maxwell generalizzato l’equazione sforzo-deformazione nel dominio temporale (eq. 4.36) diventa (dall’eq. (4.45)): σ(t) = MU ε(t) − n X ζ j (t) (4.56) j=1 (Emmerich e Korn, 1987), dove ciascuna delle nuove variabili ζ j soddisfa l’equazione differenziale di secondo ordine: ζ̇ j (t) + ω j ζ j (t) = a j ω j δM ε(t) MU (4.57) Lo sforzo totale risulta uguale alla differenza tra il termine elastico MU ε(t) e il termine anelastico dato dalla somma delle funzioni ζ j . Questa relazione tra sforzo e deformazione può essere ora implementata nello schema alle differenze finite. Nel caso delle onde SH essa diventa: σkl = 2MU εkl − n X ζ j,kl , kl = yx o yz (4.58) j=1 con ζ j,kl da: δM εkl (4.59) MU Ponendo la (4.58) nell’equazione del moto per un mezzo omogeneo (MU =µ=costante): ζ̇ j,kl + ω j ζ j,kl = a j ω j ∂2 uy ∂σyx ∂σyz = + ∂t2 ∂x ∂z (4.60) n 2 ∂2 uy ∂2 u y X 2 ∂ uy ζj =β + 2 − ∂t2 ∂x2 ∂z j=1 (4.61) δM ∂2 uy ∂2 uy + 2 ζ̇ j + ω j ζ j = a j ω j MU ∂x2 ∂z (4.62) ρ si ottiene: p dove β = MU /ρ è la velocità delle onde nel caso elastico e ζ j = 2(∂ζ j,yx /∂x + ∂ζ j,yz /∂z). ζ j soddisfa l’equazione: Una discretizzazione di secondo ordine delle eq. (4.61-4.62-) risulta essere: n 2 ∂2 uy 1 X ∂2 u y t+∆t/2 t−∆t/2 2 ∂ uy = β + − (ζ + ζ ) j ∂t2 ∂x2 ∂z2 2 j=1 j ζ t+∆t/2 = A j ζ t−∆t/2 + Bj j j con: Aj = 2 − ω j ∆t 2 + ω j ∆t ∂2 u 75 ∂2 u y ∂z2 t (4.64) 2a j ω j ∆tδM (2 + ω j ∆t)MU (4.65) y ∂x2 Bj = e (4.63) + Capitolo 4. METODO IBRIDO In termini degli y j definiti nella (4.51) B j può essere scritto come: Bj = 2y j ω j ∆t P (2 + ω j ∆t)(1 + nj=1 y j ) (4.66) In conclusione, lo schema alle differenze finite (eq. (4.8)) risulta modificato nel seguente modo (con ∆x = ∆z) (Emmerich e Korn, 1987): ut+∆t y(m,n) = −ut−∆t y(m,n) + 2uty(m,n) ∆t2 n M(m,n) ∆t 2 ∆x2 X t+∆t/2 t−∆t/2 (ζ Cm,n − + ζ j,m,n ) (4.67) +2 ρ(m,n) ∆x 4 j=1 j,m,n dove: M(m+1,n) M(m−1,n) uty(m+1,n) − uty(m,n) + uty(m−1,n) − uty(m,n) + M(m,n) + M(m+1,n) M(m,n) + M(m−1,n) (4.68) M(m,n+1) M(m,n−1) t t t t + u − uy(m,n) + u − uy(m,n) M(m,n) + M(m,n+1) y(m,n+1) M(m,n) + M(m,n−1) y(m,n−1) Cm,n = e: t−∆t/2 2 ζ t+∆t/2 j,m,n = A j ζ j,m,n + 2B jC m,n /∆x (4.69) L’errore dello schema viscoelastico risulta essere di secondo ordine in ∆t; pertanto esso non richiede una discretizzazione più fine degli intervalli rispetto allo schema elastico (Emmerich e Korn, 1987). Mentre nel caso delle onde SH la propagazione delle onde viene descritta mediante un solo modulo complesso, nel caso delle onde P-SV sono necessari due moduli. La relazione sforzo-deformazione derivata per il corpo di Maxwell generalizzato e introdotta nelle equazioni del moto per le onde P-SV può essere trovata in Fäh (1992). 76 Capitolo 5 Microzonazione ed effetti di sito Nel Capitolo 2 sono stati descritti degli scenari di pericolosità sismica a scala nazionale ottenuti mediante la simulazione del moto del suolo al basamento. Essi non comprendono quindi gli effetti di sito, dal momento che il contenuto in frequenza massimo considerato nel calcolo dei sismogrammi sintetici è 1 Hz. Tuttavia la cosiddetta risposta di sito costituisce uno dei principali fenomeni che influenzano la variabilità spaziale del moto sismico del suolo. Gli effetti dell’amplificazione o de-amplificazione locale possono infatti dominare la risposta sismica locale ogni volta che eterogeneità locali, quali rilievi topografici o bacini riempiti da sedimenti, sono presenti nei pressi del sito in esame. È quindi necessario effettuare, in seconda approssimazione, una microzonazione sismica di Nimis che includa gli effetti di sito e si spinga a considerare serie temporali con un contenuto in frequenza più elevato. A questo scopo è stato adottato il metodo ibrido proposto da Fäh et al. (1993) (Capitolo 4) che permette di includere nel calcolo dei sismogrammi sintetici le eterogeneità laterali che definiscono le condizioni geologiche e geotecniche al sito. Pertanto, a partire dalla definizione di tre ingredienti di base: a) sorgente (terremoto di scenario), b) mezzo lateralmente omogeneo attraversato dalle onde (modello strutturale medio di riferimento), c) sito (modello locale lateralmente eterogeneo), è possibile effettuare una modellazione dettagliata del moto del suolo a Nimis calcolando segnali sintetici completi a larga banda (fino a 5 Hz). Gli effetti di sito vengono poi valutati in termini di accelerazioni spettrali relative, o amplificazioni spettrali, definite come il rapporto tra lo spettro di risposta (lo smorzamento considerato è pari al 5% dello smorzamento critico) dei segnali cosı̀ calcolati e quello dei segnali corrispondenti calcolati per la struttura di riferimento (basamento). 5.1 Inquadramento geologico e scelta dei profili Dalla Figura 5.1, che riporta una parte della “Carta geologica dell’area maggiormente colpita dal terremoto friulano del 1976 (scala 1:50000)” [49], si osserva come la 77 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.1: Carta geologica dell’area maggiormente colpita dal terremoto friulano del 1976 - zona di Nimis. zona di Nimis sia caratterizzata principalmente da due formazioni geologiche diverse: il substrato roccioso (flysch e calcari), che costituisce i fianchi e il fondo di una valle, e i depositi alluvionali che la riempiono. Per modellare in dettaglio lo scuotimento del suolo mediante il calcolo di sismogrammi sintetici in mezzi lateralmente eterogenei sono stati individuati i quattro profili riportati in Figura 5.2. La “Carta Tecnica Regionale Numerica”, in scala 1:10000 [19], è stata usata per ricavare la topografia. I profili, lunghi ciascuno 5 km, sono stati scelti in modo da incrociarsi con il loro punto mediano in corrispondenza del sondaggio meccanico [38] (Figura 5.2) situato nelle vicinanze della piazza centrale di Nimis. In questo modo essi tengono conto delle aree più densamente abitate del comune. Per ottenere i parametri necessari alla ricostruzione delle caratteristiche dei terreni al fine di poter dedurre il loro comportamento sotto le sollecitazioni sismiche, è stato fatto uso dei pozzi, sondaggi sismici e sondaggi elettrici verticali disponibili per la zona di Nimis [66, 38]. Inoltre, per quanto riguarda la profondità del substrato lungo i vari profi78 5.1 Inquadramento geologico e scelta dei profili Figura 5.2: Topografia della zona di Nimis e profili considerati per la modellazione di dettaglio dello scuotimento del suolo e per la stima degli effetti di sito. Ciascun profilo è lungo 5 km. La carta riporta inoltre l’ubicazione dei pozzi (●), sondaggi sismici (◆) ed elettrici (■) menzionati nel testo. La indica l’ubicazione del sondaggio meccanico scelto come punto d’intersezione tra i 4 profili. 8 li, un andamento qualitativo è stato stimato dalla carta “Spessore dei depositi alluvionali (Gasperi-Gelmini)” allegata allo “Studio geologico dell’area maggiormente colpita dal terremoto friulano del 1976” [49]. Da essa si può osservare come lo spessore delle alluvioni aumenti allontanandosi dagli affioramenti rocciosi e procedendo da N verso SSE, raggiungendo una profondità massima di 30 m. A questo punto va precisato che il sondaggio meccanico scelto come punto di incrocio dei profili si spinge fino ad una profondità di 30.5 m senza raggiungere il substrato litoide; tuttavia, in base alla carta sopra menzionata ed ai sondaggi elettrici verticali effettuati nelle vicinanze di tale sondaggio (Figura 5.2), non c’è motivo di credere che la potenza delle alluvioni in tale punto sia sensibilmente maggiore di 30 m. La velocità delle onde longitudinali è stata stimata sulla base dei sondaggi sismici, che hanno permesso di attribuire ai sedimenti una velocità media per le onde longitudinali di 400 m/s. Oltre ai sedimenti (prevalentemente ghiaia), i pozzi effettuati nella zona industriale di Nimis (Figura 5.2) rivelano anche la presenza di lenti di conglomerato di spessore variabile tra 5 e 10 m e velocità media delle onde longitudinali pari a 1700 m/s, che localmente affiorano in superficie (come si può osservare dalla “Carta geolitologi79 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO ca della Comunità Montana delle Valli del Torre” [39]). Pertanto, per quanto riguarda la geologia di superficie, si è preferito usare quest’ultima carta geologica, essendo più dettagliata (la scala è 1:25000) della Figura 5.1. Tuttavia è stato necessario operare delle semplificazioni. Innanzitutto non è stato tenuto conto della differenza tra alluvioni prevalentemente fini e prevalentemente grossolane, poichè in profondità i due membri risultano molto spesso mescolati tra di loro [66]. Inoltre, il detrito di falda presente ai piedi degli affioramenti flyschoidi da cui è prodotto ha una potenza ridotta, generalmente inferiore ai 4-5 m (risoluzione spaziale dello schema alle differenze finite), e per questo motivo è stato trascurato nella preparazione delle sezioni. Per quanto concerne il flysch in affioramento, la Figura 5.1 rivela che esso è in prevalenza di tipo marnoso e arenaceo, mentre nella parte settentrionale del comune compare il membro calcarenitico. Essendo quest’ultimo molto fratturato, le sue velocità scendono agli stessi valori di quelle del membro marnoso arenaceo. Pertanto, per la modellazione del moto del suolo è stato adottato un unico valore di velocità rappresentativo del flysch, che per le onde longitudinali è pari a 2500 m/s. Tuttavia, data la presenza di un sondaggio sismico eseguito in località Centa (Figura 5.2) che fornisce un valore di velocità per il substrato litoide pari a 3800 m/s per le onde longitudinali (ossia troppo elevato per essere classificato come flysch marnoso e arenaceo), sono state fatte tre modellazioni del sottosuolo per la sezione AA0 , che passa in prossimità del luogo in cui è disponibile tale sondaggio. 1. Il primo modello (Figura 5.3(a)), che adotta un valore unico di velocità per il flysch, interpreta semplicemente il valore elevato di velocità misurato in località Centa come un trovante calcareo, oppure come un errore di misura e pertanto lo trascura. 2. Il secondo modello (Figura 5.3(b)) ipotizza la presenza di una lente di flysch a velocità maggiore che si è prodotta in seguito al processo di cementazione (causato, ad esempio, dalla percolazione delle acque o dalla soluzione di parte della sostanza mineraria della roccia, seguita da rideposizione). 3. Il terzo modello (Figura 5.3(c)), tenendo invece conto del normale andamento della velocità delle onde sismiche all’interno della Terra, che cresce all’aumentare della profondità, spiega l’elevato valore di velocità misurato mediante la presenza verso la superficie di uno strato di calcari a velocità 3800 m/s posto sotto lo strato di flysch a velocità 2500 m/s. Tuttavia questa inclusione, che potrebbe essere spiegata come la parte meno erosa delle rocce circostanti, sembra un pò improbabile, in quanto l’erosione avrebbe dovuto interessare due tipi di flysch (quello calcarenitico e quello marnoso-arenaceo), che hanno uno spessore dell’ordine di centinaia di metri. Malgrado ciò, è stato ritenuto opportuno includere nella simulazione anche questo modello, in modo da non tralasciare alcuna ipotesi. Le tre simulazioni effettuate hanno evidenziato come la modellazione rende non necessaria la penetrometria, che è costosa, visto che i risultati delle tre modellazioni non sono troppo diversi. Infatti, le amplificazioni spettrali relative al primo e al secondo modello sono quasi indistinguibili tra di loro, mentre il terzo modello presenta, nel punto centrale del profilo, delle amplificazioni lievemente maggiori (si passa da 3 a 5 per la componente trasversale, da 6 a 7 per la componente radiale e da 3 a 4 per la componente verticale). La 80 5.1 Inquadramento geologico e scelta dei profili differenza maggiore si osserva per la componente radiale all’estremità destra del bacino sedimentario, dove si raggiungono, a 5 Hz, con il terzo modello, amplificazioni spettrali pari a 10 (mentre con il primo modello si arriva a 6); tale valore può essere tuttavia attribuito all’assottigliamento non realistico dello strato di calcari posto nel sottosuolo. Pertanto, per le analisi successive, è stato adottato, per il profilo AA0 , il primo modello descritto. Per quanto riguarda i valori di densità dei vari litotipi, nonchè i parametri di attenuazione per le onde P ed S, in assenza di misure specifiche, sono stati assunti dei valori scegliendoli all’interno dei range di variabilità presenti in letteratura. In Figura 5.3 sono illustrate le sezioni dei profili adottati nella modellazione del moto del suolo a Nimis. (a) Sezione AA0 - primo modello (b) Sezione AA0 - secondo modello (c) Sezione AA0 - terzo modello (d) Sezione BB0 (e) Sezione CC 0 (f) Sezione DD0 Densità (g/cm3 ) V p (km/s) V s (km/s) Qp Qs Alluvioni 1.90 0.40 0.23 40 20 Conglomerato 2.20 1.70 0.98 200 100 Flysch marnoso e arenaceo 2.40 2.50 1.44 200 100 Flysch cementato/calcari 2.45 3.80 2.20 200 100 Figura 5.3: Vista in sezione dei profili considerati, e proprietà associate ai diversi litotipi utilizzati nella modellazione. 81 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO 5.2 Scelta del modello di bedrock di riferimento e delle sorgenti sismiche Il modello strutturale di riferimento (Tabella 5.1), usato nelle modellazioni per la propagazione delle onde dalla sorgente all’inizio dei profili locali, è stato ottenuto a partire dai modelli di riferimento usati per la modellazione di dettaglio del moto sismico del suolo a Trieste (Vaccari et al., 2005), per eventi prossimi alla giunzione Alpi-Dinaridi, modificando i valori di velocità delle onde P ed S nei primi 2 km di profondità in modo da renderli rappresentativi della formazione del flysch considerata nella definizione dei modelli locali a Nimis. Tale modello è stato anche utilizzato per il calcolo dei segnali di riferimento (segnali al basamento) da confrontare con i risultati della modellazione dettagliata, al fine di studiare gli effetti di sito mediante rapporti tra spettri di risposta. Tabella 5.1: Modello strutturale di riferimento adottato per la modellazione del moto del suolo a Nimis. La tabella riporta, per ciascuno strato lateralmente omogeneo, lo spessore (thk, km), la densità (rho, g/cm3 ), la velocità delle onde P (Vp, km/s) ed S (Vs, km/s), i loro rispettivi parametri di attenuazione (Qp e Qs), la profondità raggiunta (depth, km) e il numero (layer). thk rho 1.0 2.40 1.0 Vp Vs Qp Qs depth layer 2.50 1.44 200 100 1.0 1 2.45 3.80 2.20 200 100 2.0 2 12.9 2.50 5.80 3.20 200 100 14.9 3 11.0 2.70 6.30 3.65 1000 400 25.9 4 10.0 2.75 6.50 3.75 1000 400 35.9 5 30.0 3.00 7.20 4.20 1000 400 65.9 6 10.0 3.20 7.50 4.25 1000 400 75.9 7 5.0 3.40 8.00 4.50 1000 400 80.9 8 5.0 3.45 8.20 4.65 1000 400 85.9 9 Per quanto riguarda le sorgenti sismiche, ne sono state selezionate 4 allineate con le direzioni dei profili scelti (Figura 5.4). La sorgente S1 è quella del terremoto del Friuli del 1976, i cui parametri del meccanismo focale, forniti da Aoudia et al. (2000), sono mostrati in Tabella 5.2. Gli stessi parametri sono stati attribuiti anche alla sorgente S2. Alle sorgenti S3 ed S4 sono stati invece attribuiti i parametri del terremoto di Bovec del 1998, forniti da Bajc et al. (2001) e mostrati sempre in Tabella 5.2. Sebbene l’angolo di strike-receiver (cioè l’angolo compreso tra la retta congiungente il ricevitore con l’epicentro e la direzione di strike, determinata dall’intersezione tra il piano di faglia e la superficie orizzontale), necessario per il calcolo dei sismogrammi sintetici, sia determinato solo dallo strike della faglia, dall’ubicazione dell’epicentro e del ricevitore, è stato effettuato, per ciascuna sorgente sismica considerata nella modellazione, un test parametrico preliminare al fine di esaminare la dipendenza del profilo di radiazione dall’orientamento della faglia (Figura 5.5). Ciò è stato realizzato calcolan82 5.2 Scelta del modello di bedrock di riferimento e delle sorgenti sismiche Figura 5.4: Ubicazione delle sorgenti (S1, S2, S3 ed S4) utilizzate per il calcolo degli scenari di scuotimento a Nimis. La figura rappresenta inoltre la mappa delle faglie attive tratta da Aoudia (1998). Tabella 5.2: Parametri focali delle sorgenti puntiformi utilizzate per il calcolo degli scenari di scuotimento a Nimis. Sorgente prof. focale (km) strike (°) dip (°) rake (°) MS S1 - S2 (Friuli 1976) 5 288 29 112 6.5 S3 - S4 (Bovec 1998) 7.6 315 82 189 5.7 do i segnali sintetici tramite la somma modale per le tre componenti del moto (radiale, trasversale e verticale), adottando i parametri focali riportati in Tabella 5.2 e facendo variare l’angolo di strike-receiver da 0°a 360°. Il profilo di radiazione è stato quindi valutato estraendo da ogni segnale il valore di picco nel dominio delle accelerazioni. La distanza cui sono stati calcolati i segnali sintetici corrisponde alla distanza epicentrale tra la sorgente e l’inizio dei profili. Questa analisi si proponeva come obiettivo di modificare l’angolo di strike-receiver individuato, qualora a questo corrispondesse un minimo di radiazione in una delle tre componenti del moto. Gli angoli di strike-receiver adottati nelle simulazioni successive sono mostrati in Tabella 5.3, unitamente alle distanze epicentrali delle quattro sorgenti. 83 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO (a) (b) (c) (d) Figura 5.5: Prove parametriche di variazione dell’angolo di strike-receiver per le quattro sorgenti utilizzate nella modellazione del moto del suolo a Nimis. (syr: componente radiale, syz: componente verticale, syl: componente trasversale; in ordinata è mostrato il valore dell’accelerazione di picco espresso in cm/s2 .) (a) S1, (b) S2, (c) S3, (d) S4. Tabella 5.3: Angoli di strike-receiver e distanze epicentrali adottate per la modellazione dettagliata del moto del suolo a Nimis. Sorgente angolo strike-ricevitore (°) distanza epicentrale (km) S1 110 7.5 S2 60 16.0 S3 50 31.5 S4 5 41.5 84 5.3 Effetti di sito 5.3 Effetti di sito È già stato accennato che gli effetti di sito sono legati principalmente a due situazioni fisiche: topografia superficiale e stratificazione nel sottosuolo. Effetti di topografia Gli effetti di sito dovuti alla topografia non sono stati studiati estensivamente in letteratura, ma la loro importanza è confermata sia da evidenze strumentali (Géli et al., 1988; Bard, 1997) che da simulazioni numeriche (Pedersen et al., 1988; Chávez-Garcı́a et al., 1996). Benché non ci sia alcun riscontro quantitativo generale tra la teoria e le osservazioni, una valida conclusione qualitativa sta nel fatto che il moto sismico del terreno risulta amplificato sulle cime delle montagne rispetto al fondo delle valli (Bard, 1977). Simulazioni numeriche hanno dimostrato (Géli et al., 1988) che il pattern di amplificazione è fortemente dipendente dall’angolo di incidenza, dal tipo di forma d’onda incidente e dalla forma della topografia. Dalla Figura 5.6, che rappresenta il pattern di amplificazione ottenuto lungo il profilo BB0 , risulta evidente una amplificazione del moto del terreno sulle cime e una deamplificazione lungo le valli situate nei primi 2 km del profilo. Dopo 2 km, invece, il moto del terreno risulta notevolmente amplificato, benché in corrispondenza di una valle: ciò che domina è infatti l’effetto derivante dalla copertura sedimentaria. Per verificare se, in assenza dello strato di sedimenti, nella valle prevarrebbero le deamplificazioni, è stata fatta una simulazione sostituendo a tale strato uno di flysch con caratteristiche analoghe a quello circostante. In questo modo le variazioni attese della risposta sismica rispetto ad un modello omogeneo sono causate solo dalla topografia. I risultati della simulazione, in accordo con le previsioni, sono mostrati in Figura 5.7. Effetti dei bacini sedimentari Dalle analisi effettuate lungo tutti i profili (Figure 5.6, 5.8, 5.9, 5.10) risulta evidente come l’effetto di topografia sia nettamente inferiore a quello causato dalla copertura sedimentaria. Una semplice spiegazione fisica dell’amplificazione locale del moto sismico del suolo, dovuta alla presenza di strati sedimentari, più o meno consolidati, nei pressi della superficie, è fornita dall’intrappolamento dell’energia sismica, dovuto al forte contrasto d’impedenza fra gli strati superficiali non consolidati ed il sottostante basamento. Inoltre, il relativamente semplice instaurarsi di risonanze verticali può evolvere in un complesso sistema di risonanze, fortemente dipendenti dalle caratteristiche geometriche e geotecniche dei depositi sedimentari. Nel caso più semplice in cui si consideri un solo strato piano di sedimenti che sormonta il basamento sottostante, le amplificazioni maggiori avvengono per le onde la cui lunghezza d’onda è quattro volte lo spessore dello strato sedimentario. In altre parole, per le onde di taglio, la frequenza amplificata maggiormente è data dalla formula: f = β 4H (5.1) dove β è la velocità delle onde di taglio nello strato e H il suo spessore. E infatti, dalle Figure 5.6, 5.8, 5.9, 5.10, si osserva come a 2.5 km (H = 30 m, β =230 m/s), le amplificazioni maggiori per la componente trasversale si ottengono sempre ad una frequenza di circa 2 Hz. 85 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.6: Amplificazioni spettrali ottenute come rapporto fra gli spettri di risposta dei segnali sintetici calcolati lungo il profilo BB0 ed i segnali sintetici calcolati in corrispondenza dei medesimi siti utilizzando il modello strutturale di riferimento. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 86 5.3 Effetti di sito Figura 5.7: Amplificazioni spettrali ottenute come rapporto fra gli spettri di risposta dei segnali sintetici calcolati lungo il profilo BB0 (con lo strato di sedimenti sostituito da uno di flysch) ed i segnali sintetici calcolati in corrispondenza dei medesimi siti utilizzando il modello strutturale di riferimento. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 87 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.8: Amplificazioni spettrali ottenute come rapporto fra gli spettri di risposta dei segnali sintetici calcolati lungo il profilo AA0 ed i segnali sintetici calcolati in corrispondenza dei medesimi siti utilizzando il modello strutturale di riferimento. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 88 5.3 Effetti di sito Figura 5.9: Amplificazioni spettrali ottenute come rapporto fra gli spettri di risposta dei segnali sintetici calcolati lungo il profilo CC 0 ed i segnali sintetici calcolati in corrispondenza dei medesimi siti utilizzando il modello strutturale di riferimento. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 89 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.10: Amplificazioni spettrali ottenute come rapporto fra gli spettri di risposta dei segnali sintetici calcolati lungo il profilo DD0 ed i segnali sintetici calcolati in corrispondenza dei medesimi siti utilizzando il modello strutturale di riferimento. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 90 5.4 Analisi parametriche di variazione delle velocità 5.4 Analisi parametriche di variazione delle velocità Finora i calcoli sono stati effettuati considerando valori “medi” delle velocità delle onde sismiche all’interno dei materiali geologici interessati. In realtà questi materiali sono caratterizzati da range di velocità piuttosto ampi. Pertanto è stato ritenuto opportuno dare un’idea di quali possano essere le influenze sui risultati derivanti dalle incertezze sulle velocità adottate nella modellazione del moto del suolo. A questo scopo è stato effettuato uno studio parametrico considerando, per il profilo BB0 , le velocità massime e minime caratterizzanti le alluvioni e il flysch, riportate in Iacuzzi e Vaia (1981). 5.4.1 Variazione della velocità del bacino sedimentario Per quanto riguarda i sedimenti, adottando una velocità più bassa (α = 290 m/s, β = 170 m/s), si può osservare che le tre componenti del moto presentano dei picchi in accelerazione simili a quelli ottenuti lungo lo stesso profilo, adottando i valori “medi” delle velocità riportati in Figura 5.3. Tuttavia, dalla Figura 5.11, che mostra i rapporti tra gli spettri di risposta (2D/1D) in funzione della coordinata lungo il modello lateralmente eterogeneo e della frequenza, risulta evidente un abbassamento dei periodi cui si osservano le amplificazioni maggiori. Questo trova una buona, anche se grossolana, giustificazione nella formula (5.1), da cui si ricava facilmente come, mantenendo fisso lo spessore dello strato, le frequenze cui si osservano le amplificazioni maggiori diminuiscano linearmente con la velocità delle onde di taglio all’interno dello strato. Infatti il modello BB0 , per la sua semplicità di forma, approssima abbastanza bene la condizione di strato piano posto sopra un semispazio. Considerando invece sedimenti con una velocità più alta (α = 830 m/s, β = 480 m/s), si osserva innanzitutto, per la componente trasversale, una minor durata e articolazione della forma d’onda, anche se il picco non diminuisce significativamente; questo si riflette anche nei rapporti spettrali, dove praticamente spariscono le amplificazioni dovute al bacino sedimentario (Figura 5.12). Le componenti verticale e radiale risentono diversamente della presenza del bacino a velocità relativamente alta: i valori di picco in accelerazione risultano praticamente dimezzati rispetto a quelli ottenuti con i valori “medi” delle velocità e si nota un aumento dell’alta frequenza nei segnali. Di conseguenza, dai rapporti spettrali, si notano per queste due componenti valori di amplificazione spostati ad una frequenza doppia rispetto a quelli della Figura 5.6, come ci si aspettava indicativamente in base alla formula (5.1), dato che la velocità di taglio è stata raddoppiata. Merita un’ultima osservazione il pattern di amplificazione per le componenti radiale e verticale. Dalla Figura 5.12 si nota la perdita delle grosse amplificazioni per la componente verticale, che si possono invece osservare per la componente radiale: questo implica che c’è stata una polarizzazione delle onde. In conclusione, è importante avere una stima corretta della velocità dei sedimenti, perchè da essa dipendono i periodi cui si hanno cui si hanno le amplificazioni maggiori. Una conoscenza molto approssimata (variazioni dell’ordine del 200%) di tali velocità può essere fonte di una errata valutazione di tali periodi, che nel caso analizzato, variano da 1.4 Hz a 4 Hz laddove il bacino raggiunge il suo spessore massimo di 30 m. Per quanto riguarda invece le amplificazioni spettrali esse variano da 1 a 7 per la componente trasversale, da 5 a 7 per quella radiale e da 2 a 10 per quella verticale. 91 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO 5.4.2 Variazione della velocità del substrato roccioso Anche in questo caso sono state effettuate due prove, considerando il valore massimo e minimo tra i quali può variare la velocità del flysch nella zona considerata. Essi sono: α = 1800 m/s e β = 1000 m/s come valore minimo, e α = 3800 m/s e β = 2222 m/s come valore massimo (Iacuzzi e Vaia, 1981). In entrambi i casi non variano i periodi cui si hanno le amplificazioni maggiori, in quanto la formula (5.1) non tiene conto della velocità del substrato roccioso, ma variano i valori delle amplificazioni, che sono legate al contrasto d’impedenza tra i due strati. In pratica, variando il contrasto d’impedenza si determinano focalizzazioni diverse dell’energia sismica. Nello specifico, considerando un substrato roccioso più veloce, si viene a creare un contrasto d’impedenza tra i due strati che porta a una polarizzazione che esalta la componente radiale rispetto alla verticale, sia in termini di valori di picco dei sismogrammi, che di amplificazione (Figura 5.13). Rispetto alla Figura 5.6, si nota una diminuzione dei valori di amplificazione per la componente verticale in corrispondenza dell’assottigliamento del bacino sedimentario. La componente radiale presenta, invece, un aumento dei valori di amplificazione, non solo in corrispondenza dell’assottigliamento del bacino, ma anche nella parte più spessa di esso (ossia per frequenze attorno ai 2 Hz). Nel caso in cui si consideri un substrato roccioso più lento, non cambiano i valori di picco delle componenti radiale e verticale, ma si spostano le zone dove si hanno le amplificazioni maggiori: non più dove il bacino è più sottile, ma dove è più spesso. Nella componente trasversale, invece, sia il pattern di amplificazione che i valori rimangono pressocchè immutati in entrambe le prove. 5.4.3 Variazione della velocità del substrato roccioso e del modello 1D di riferimento Un’ultima prova è stata fatta variando non solo la velocità del substrato roccioso, ma anche quella del primo strato del modello 1D, ponendola uguale a quella del flysch sovrastante usato nelle due prove precedenti. In particolare, nel caso in cui si considera un modello 1D veloce, confrontando le Figure 5.13 e 5.15, si nota che i rapporti spettrali per la componente trasversale rimangono pressocchè identici sia come pattern che come amplificazione, mentre per la componente radiale e verticale, i valori di amplificazione sono abbastanza diversi, ma questo perchè sono diversi non solo gli spettri 2D, ma anche gli spettri 1D. Infatti il segnale per la componente radiale prodotto nel mezzo lateralmente omogeneo ad alta velocità risulta più piccato di quello prodotto nel modello 1D “medio”. L’alta frequenza corrispondente a tale picco risulta dominante nello spettro di risposta del segnale 1D, dove si osservano valori elevati anche nelle frequenze vicine a quella del picco. Nel caso del modello 1D medio, invece, dove non c’è un picco dominante, si osserva uno spettro di riposta più sparpagliato e con valori inferiori. Per quanto riguarda la componente verticale, e soprattutto trasversale, gli spettri di risposta 1D non cambiano molto. Le amplificazioni spettrali, comunque, avvengono alle stesse frequenze. Anche considerando un modello 1D lento (Figura 5.16), si può osservare che grossolanamente le frequenze a cui si hanno le amplificazioni rimangono le stesse, ma le ampli92 5.4 Analisi parametriche di variazione delle velocità ficazioni rispetto al bedrock sono in genere inferiori rispetto a quelle mostrate in Figura 5.14, rispecchiando il fatto che in questo caso si sta effettuando un confronto rispetto a un modello 1D più lento, e quindi il contrasto è inferiore. In conclusione, come viene ipotizzato il modello medio dalla sorgente al ricevitore dà incertezza ai valori di amplificazione, ma non ai periodi cui avvengono. Infatti, indipendentemente dal bedrock utilizzato, si individuano bene tali periodi. Figura 5.11: Amplificazioni spettrali ottenute per profilo BB0 adottando per il bacino sedimentario i valori più bassi (α = 290 m/s, β = 170 m/s) riportati in Iacuzzi e Vaia (1981). Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 93 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.12: Amplificazioni spettrali ottenute per profilo BB0 adottando per il bacino sedimentario i valori più alti (α = 830 m/s, β = 480 m/s) riportati in Iacuzzi e Vaia (1981). Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 94 5.4 Analisi parametriche di variazione delle velocità Figura 5.13: Amplificazioni spettrali ottenute per profilo BB0 adottando per il flysch i valori più alti (α = 3800 m/s, β = 2222 m/s) riportati in Iacuzzi e Vaia (1981). Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 95 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.14: Amplificazioni spettrali ottenute per profilo BB0 adottando per il flysch i valori più bassi (α = 1800 m/s, β = 1000 m/s) riportati in Iacuzzi e Vaia (1981). Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 96 5.4 Analisi parametriche di variazione delle velocità Figura 5.15: Amplificazioni spettrali ottenute per profilo BB0 adottando per il flysch e per il primo strato del modello 1D i valori più alti (α = 3800 m/s e β = 2222 m/s) riportati in Iacuzzi e Vaia (1981). Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 97 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.16: Amplificazioni spettrali ottenute per profilo BB0 adottando per il flysch e per il primo strato del modello 1D i valori più bassi (α = 1800 m/s, β = 1000 m/s) riportati in Iacuzzi e Vaia (1981). Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 98 5.5 Sorgenti estese 5.5 Sorgenti estese Finora le sorgenti sono state modellate come sorgenti puntiformi. In realtà le sorgenti sismiche hanno una dimensione ben definita, che non può essere trascurata in una modellazione dettagliata e realistica del moto del suolo. Pertanto, nelle elaborazioni successive, è stato fatto uso di un algoritmo di simulazione della radiazione di sorgente da una faglia di dimensioni finite, denominato PULSYN (PULse-based wideband SYNthesis) e ideato da Gusev (2003). I concetti di base per la modellazione di una sorgente sismica sono contenuti nella teoria del rimbalzo elastico proposta da Reid (1911). Nella teoria di Reid, la rottura avviene quando gli sforzi sulla faglia superano il limite di resistenza delle rocce presenti. La rottura comincia in un punto chiamato punto di nucleazione e si propaga rapidamente lungo la faglia a una velocità tipicamente inferiore o prossima alla velocità di taglio delle rocce costituenti la faglia. Non appena il fronte di rottura raggiunge un punto sulla faglia, ha inizio la dislocazione o slip in quel punto, che impiega una certa quantità di tempo (in secondi) per raggiungere il suo valore finale e fermarsi. Il tempo intercorso tra l’inizio e la fine della dislocazione viene chiamato tempo di risalita o rise time. Per descrivere un simile processo vengono solitamente adottati modelli cinematici, come quello di Haskell (1964), che è descritto completamente da 5 parametri: lunghezza e larghezza della faglia (assunta rettangolare), velocità di rottura, dislocazione finale e tempo di risalita. Tale modello ha il pregio di riuscire a determinare il corretto andamento dello spettro di sorgente a basse frequenze (proporzionale al momento sismico), tenendo in considerazione come la radiazione sismica percepita da un osservatore vari al variare della sua posizione rispetto alla faglia e, soprattutto rispetto alla direzione di rottura (effetto di direttività). Per rappresentare una sorgente di dimensioni finite, il programma PULSYN utilizza le caratteristiche principali del modello di Haskell, discretizzando il piano di faglia rettangolare in una serie di sub-sorgenti puntiformi, ciascuna delle quali rappresenta lo scorrimento, attivato al passaggio del fronte di rottura, sulla sub-area pertinente della faglia. Tuttavia, a differenza del modello di Haskell, sia la distribuzione spaziale dello slip che la velocità di rottura vengono trattati come un fenomeno random e caratterizzati stocasticamente. Sono infatti i dettagli su piccola scala del processo di rottura, legati alle eterogeneità nella distribuzione degli sforzi incontrate dal fronte di rottura durante la sua propagazione, e generalmente troppo complicati per essere specificati esattamente, ad essere responsabili dell’eccitazione delle onde ad alta frequenza. In questo modo il programma PULSYN riesce a costruire uno spettro (di ampiezza e di fase) di sorgente che, oltre a seguire l’andamento delle curve sperimentali di Gusev, tiene conto degli effetti di direttività previsti dal modello teorico di Haskell. Gli spettri di sorgente, ottenuti considerando una rottura bilatera e un azimuth del ricevitore di 90° rispetto alla direzione di rottura, per terremoti di magnitudo 6.5 e 5.7 sono mostrati in Figura 5.17. Per calcolare il segnale ad un particolare sito, gli spettri di sorgente mostrati in Figura 5.17 sono poi stati moltiplicati, nel dominio delle frequenze, con gli spettri dei segnali ottenuti mediante il metodo ibrido per ciascuna sorgente puntiforme (senza che essi siano stati precedentemente scalati con le curve di Gusev classiche riportate in Figura 2.3). Gli accelerogrammi e le amplificazioni ottenute per i 4 profili analizzati sono riportati nelle Figure 5.18-5.25. 99 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.17: Spettri di sorgente per terremoti di magnitudo 6.5 e 5.7 ottenuti con il programma PULSYN considerando un azimuth di 90° rispetto alla direzione di rottura (bilaterale). Figura 5.18: Accelerogrammi sintetici calcolati lungo il profilo AA0 con la sorgente S1 modellata come sorgente estesa. Il valore di picco è indicato in cm/s2 in corrispondenza del segnale di ampiezza maggiore. Da sinistra verso destra: componente trasversale, radiale e verticale del moto. 100 5.5 Sorgenti estese Figura 5.19: Accelerogrammi sintetici calcolati lungo il profilo BB0 con la sorgente S2 modellata come sorgente estesa. Il valore di picco è indicato in cm/s2 in corrispondenza del segnale di ampiezza maggiore. Da sinistra verso destra: componente trasversale, radiale e verticale del moto. Figura 5.20: Accelerogrammi sintetici calcolati lungo il profilo CC 0 con la sorgente S3 modellata come sorgente estesa. Il valore di picco è indicato in cm/s2 in corrispondenza del segnale di ampiezza maggiore. Da sinistra verso destra: componente trasversale, radiale e verticale del moto. 101 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.21: Accelerogrammi sintetici calcolati lungo il profilo DD0 con la sorgente S4 modellata come sorgente estesa. Il valore di picco è indicato in cm/s2 in corrispondenza del segnale di ampiezza maggiore. Da sinistra verso destra: componente trasversale, radiale e verticale del moto. 102 5.5 Sorgenti estese Figura 5.22: Amplificazioni spettrali lungo il profilo AA0 con la sorgente S1 modellata come sorgente estesa. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 103 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.23: Amplificazioni spettrali lungo il profilo BB0 con la sorgente S2 modellata come sorgente estesa. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 104 5.5 Sorgenti estese Figura 5.24: Amplificazioni spettrali lungo il profilo CC 0 con la sorgente S3 modellata come sorgente estesa. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 105 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.25: Amplificazioni spettrali lungo il profilo DD0 con la sorgente S4 modellata come sorgente estesa. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto. 106 5.5 Sorgenti estese Come è lecito attendersi, un modello di sorgente estesa genera una forma d’onda più articolata e di maggior durata rispetto agli analoghi segnali ottenuti con la sorgente puntiforme (per un confronto diretto si possono osservare, ad esempio, la Figura 5.18 e la Figura 5.26, relative alla sorgente S1). Nel caso della sorgente S4 (Figura 5.21 e Figura 5.27), tuttavia, sia la durata che i valori di picco dei segnali sono confrontabili. Questo significa che l’approssimazione di sorgente puntiforme è accettabile per un evento di magnitudo 5.7 ad una distanza di 41.5 km, in quanto si è nella condizione di far source (ossia a distanze dalla sorgente maggiori della dimensione lineare massima della faglia). Le relazioni di Wells e Coppersmith (1994) consentono infatti di associare ad un terremoto di magnitudo 5.7 una dimensione lineare di 5 km 41.5 km. Viceversa, per la sorgente S1 si può ipotizzare una dimensione lineare della faglia di 17 km, maggiore della distanza epicentrale (condizione di near source). In questo caso la descrizione di sorgente puntiforme è inadatta in quanto la distanza di un sito dalle varie parti della faglia non è certamente costante. Pertanto non possono essere trascurati nè il meccanismo di rottura nè la propagazione relativa della rottura rispetto al sito. Figura 5.26: Accelerogrammi sintetici calcolati lungo il profilo AA0 con la sorgente S1 modellata come sorgente puntiforme. Il valore di picco è indicato in cm/s2 in corrispondenza del segnale di ampiezza maggiore. Da sinistra verso destra: componente trasversale, radiale e verticale del moto. 5.5.1 Direttività L’effetto di direttività è legato al tempo di propagazione della rottura, definito come la differenza tra i tempi di arrivo delle onde generate ai punti iniziale e finale della faglia, che dipende dall’azimuth tra la direzione della rottura e il sito di interesse. La Figura 5.28 mostra una faglia di lunghezza L che si rompe da sinistra verso destra. Se la distanza della stazione ricevitrice è r (r L), allora il tempo di arrivo di un’onda che 107 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.27: Accelerogrammi sintetici calcolati lungo il profilo DD0 con la sorgente S4 modellata come sorgente puntiforme. Il valore di picco è indicato in cm/s2 in corrispondenza del segnale di ampiezza maggiore. Da sinistra verso destra: componente trasversale, radiale e verticale del moto. parte dall’origine della faglia, è t = cr , dove c è la velocità (di fase) del particolare tipo di onda considerato. Il tempo di viaggio di un’onda di corpo che arriva alla stazione dal punto finale della faglia (x = L) è invece tL = vLr + r−Lcosθ . c Figura 5.28: Geometria della rottura di faglia rispetto a un osservatore posto ad una stazione ricevitrice sufficientemente lontana per cui r ed r − xcosθ sono praticamente paralleli. Il tempo di rottura τc è dato quindi da: L r − Lcosθ r L Lcosθ + − = − τc = vr c c vr c (5.2) Come conseguenza, la parte “piatta” dello spettro, che dipende esclusivamente da τc , varia in base all’azimuth dell’osservatore: è più lunga a θ=0° e diminuisce gradualmente all’aumentare di θ fino a θ=180°. Difatti il tempo di rottura τc , che dipende da −cosθ è più breve nella direzione “in avanti”, con la conseguenza che il rapporto τ2c (che 108 5.5 Sorgenti estese corrisponde alla corner frequency, definita come l’intersezione della parte piatta dello spettro con l’asintoto ad alta frequenza) è maggiore rispetto a tutti gli alti casi. Ciò è confermato dalla Figura 5.29, in cui sono mostrati gli spettri relativi a una sorgente di magnitudo 6.5, calcolati per osservatori posti a θ = 0°, 90° e 180° rispetto alla direzione di rottura. In questo caso è stata simulata una propagazione della rottura unilaterale. Figura 5.29: Spettri di sorgente per un terremoto di scenario di magnitudo 6.5 ottenuti con il programma PULSYN considerando azimuth di 0°, 90° e 180° rispetto alla direzione di rottura (unilaterale). Va notato come tutte le curve abbiano lo stesso valore dell’intercetta in quanto questo rappresenta il momento sismico scalare, M0 , che deve rimanere costante a tutti gli azimuth. L’effetto di direttività si riflette anche nei segnali finali, che sono il risultato della sovrapposizione di impulsi prodotti da diversi punti lungo la faglia. I segnali ottenuti per un modello 1D a una distanza di 10 km dalla sorgente S1, considerando tre azimuth (0°, 90° e 180°) rispetto alla direzione di propagazione della rottura, sono mostrati in Figura 5.30. Risulta evidente come il segnale irradiato nella stessa direzione del movimento della rottura (0°, forward directivity) sia caratterizzato da grandi ampiezze e da una breve durata; viceversa, il segnale irradiato nella direzione opposta a quella della rottura (180°, backward directivity) è caratterizzato da una lunga durata, in quanto gli arrivi delle onde sismiche sono distribuiti nel tempo, e da ampiezze relativamente basse. Il segnale a 90° (neutral directivity) presenta, invece, una situazione intermedia. 5.5.2 Sorgente S1 e leggi di attenuazione Merita ancora un’attenzione particolare il caso della sorgente S1. È già stato sottolineato come, per questa sorgente, l’approssimazione di sorgente puntiforme non sia affatto realistica, data la grande magnitudo (6.5) e la ridotta distanza epicentrale (7.5 km). La modellazione della sorgente S1 come sorgente estesa risulta senz’altro più realistica e lo si può facilmente constatare osservando, ad esempio, il valore di picco in accelerazione ottenuto al basamento, che cala da 1.1 g, nel caso di sorgente puntiforme a 0.58 g nel caso di sorgente estesa, considerando un azimuth di 90° rispetto alla direzione di rottura. Va comunque osservato che anche in quest’ultimo caso si raggiungono 109 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.30: Accelerogrammi sintetici calcolati in un modello 1D a una distanza di 10 km dalla sorgente S1 (ossia nel punto mediano del profilo AA’), considerando tre azimuth diversi rispetto alla direzione di propagazione della rottura (unilaterale). Da sinistra verso destra, le colonne mostrano la componente trasversale, radiale e verticale rispettivamente. Dall’alto verso il basso, le righe mostrano i risultati ottenuti per gli azimuth di 0°, 90° e 180°rispettivamente. valori di picco molto elevati (1.5 g) se si considerano le condizioni geologiche locali (Figura 5.18). Un simile valore va tuttavia trattato con la dovuta cautela, in quanto le leggi fisiche che governano il near field sono state studiate da poco e per descrivere correttamente la risposta del suolo in queste condizioni potrebbe essere necessario utilizzare equazioni non lineari. Per questi motivi si è voluto confrontare i risultati ottenuti dalla modellazione con le leggi di attenuazione di Ambraseys et al. (1996) e Sabetta e Pugliese (1996), usate per la redazione della nuova mappa di pericolosità sismica ([33]), e riportate nel Capitolo 1. Il confronto è stato effettuato nel range di distanze epicentrali proprie del profilo AA0 , considerando come parametro il PHA (accelerazione orizzontale di picco), ottenuto facendo la media quadratica dei valori di picco delle componenti trasversale e radiale. Dalla Figura 5.31 si osserva come i valori di picco al basamento (1D) siano grossolanamente consistenti con le due leggi di attenuazione. Confrontando invece i valori di picco ottenuti per il modello 2D con quelli delle relazioni di attenuazione (valutate inserendo gli opportuni coefficienti di sito), si nota una notevole discrepanza, anche superiore al 200%. Questo dimostra come, per avere una stima realistica del moto del terreno causato da una sollecitazione sismica, sia necessario ricorrere ad una modellazione dettagliata mediante sismogrammi sintetici, e non si possa semplicemente far uso delle leggi di attenuazione. Le leggi di attenuazione infatti, non solo assumono lo stesso modello di propagazione per tutti gli eventi (ipotesi questa non molto realistica), ma tengono anche conto delle condizioni locali in maniera molto grossolana, mediante l’applicazione di 110 5.6 Amplificazioni spettrali nel punto d’intersezione tra i vari profili Figura 5.31: Confronto tra l’andamento del PHA ottenuto per il profilo AA0 (lo spettro di sorgente utilizzato è quello mostrato in Figura 5.17), in funzione della distanza, e le curve di attenuazione di Ambraseys et al. (1996) e Sabetta e Pugliese (1996). Per entrambe le relazioni si è tenuto conto del coefficiente correttivo per faglie inverse (Bommer et al., 2003) e della deviazione standard delle relazioni stesse. semplici fattori di scala. Data, inoltre, la presenza in letteratura di leggi di attenuazione per il PHV (velocità orizzontale di picco) valide nel near source, si è deciso di confrontare con queste l’andamento dei valori di picco in velocità lungo il profilo AA’. Le relazioni utilizzate sono: ln(PHV) = −2.31 + 1.15M − 0.5ln(r) (Somerville, 1998); ln(PHV) = 2.44 + 0.5M − 0.41ln(r2 + 3.932 ) (Rodriguez-Marek, 2000) e ln(PHV) = −5.11 + 1.59M − 0.58ln(r) (Alavi e Krawinkler, 2000). Poiché esse sono state determinate considerando una rottura “in avanti”, i valori di picco mostrati in Figura 5.32 rappresentano la media quadratica dei valori di picco in velocità delle componenti orizzontali ottenute usando la curva corrispondente a un azimuth di 0° tra quelle in Figura 5.29. Inoltre si è voluto riportare in Figura 5.32 anche le curve che inviluppano i valori di picco ottenuti per un azimuth di 90° (Figura 5.29). La scelta è stata fatta per evidenziare come, sebbene i valori ottenuti nel modello 1D per un azimuth di 90° siano inferiori ai corrispondenti valori per un azimuth di 0° (i.e. direttività), e anche a quelli previsti dalle leggi di attenuazione, questo non è necessariamente vero in un modello 2D, dove le condizioni geologiche locali possono influenzare significativamente la risposta del terreno alla sollecitazione sismica. In ogni caso la discrepanza fra le relazioni di attenuazione ed i risultati della modellazione realistica può essere superiore al 100%. 5.6 Amplificazioni spettrali nel punto d’intersezione tra i vari profili Avendo scelto di far intersecare i profili individuati in un unico punto, è possibile valutare in che modo le amplificazioni varino per uno stesso sito a seconda della sorgente e del percorso sorgente-ricevitore. Per questo sono state estratte, dalle Figure 5.22-5.25, 111 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.32: Confronto tra l’andamento del PHV ottenuto per il profilo AA0 (gli spettri di sorgente utilizzati sono quelli mostrati in Figura 5.17), in funzione della distanza, e le curve di attenuazione per il near source di Somerville (1998), Rodriguez-Marek (2000) e Alavi e Krawinkler (2000). (a) (b) (c) Figura 5.33: Amplificazioni spettrali relative al punto d’intersezione dei vari profili: (a) componente trasversale, (b) componente radiale, (c) componente verticale. le amplificazioni spettrali relative al punto d’intersezione dei profili e riportate in Figura 5.33. La Figura 5.33 mostra come ci si possa attendere un fattore massimo di amplificazione di circa 9 per la componente verticale del moto ad una frequenza di 3 Hz, 7 per quella radiale a frequenze poco superiori a 2 Hz e 6 per quella trasversale sempre a frequenze di poco superiori a 2 Hz. Ma soprattutto mostra come i cosiddetti effetti di sito dipendano non solo dalle condizioni locali, ma anche dalle proprietà della sorgente e del ricevitore. 112 5.7 Pulsyn03 5.7 Pulsyn03 Nelle simulazioni precedenti, l’estensione finita delle sorgenti è stata realizzata mediante l’uso del programma Pulsyn02, che ha permesso di costruire uno spettro di sorgente che tiene in considerazione gli effetti derivanti dalla rottura della faglia. Esso è stato poi moltiplicato, nel dominio delle frequenze, con la funzione di Green calcolata per una sorgente puntiforme. In un certo senso, quindi, le sorgenti utilizzate finora sono ancora puntiformi. Una vera sorgente estesa può essere simulata mediante il programma Pulsyn03. Esso permette di posizionare la faglia rettangolare nello spazio, definendo le coordinate delle sub-sorgenti, nonchè gli angoli di strike, dip e rake. In questo modo è possibile calcolare, e poi sommare, le funzioni di Green per ciascuna sub-sorgente, ottenendo un segnale sintetico al basamento rappresentativo di una sorgente estesa. Tale codice di calcolo, tuttavia, non è adattabile al metodo ibrido se non nella particolare condizione di faglia verticale complanare al profilo considerato, e per questo motivo non è stato usato nelle simulazioni precedenti. Nelle Figure 5.34-5.37 sono messi a confronto, per la sorgente S1, i segnali calcolati nel punto d’intersezione dei profili mediante il programma Pulsyn03 con quelli prodotti dalle singole sub-sorgenti e scalati rispettivamente con la curva di Gusev classica (Figura 2.3) e con lo spettro di sorgente prodotto dal programma Pulsyn02 (Figura 5.17), relativi a un terremoto di magnitudo 6.5. Poiché per una sorgente estesa non ha più senso parlare di componenti trasversale, radiale e verticale, il confronto è stato effettuato considerando le componenti del moto nord-sud ed est-ovest. Va notato come i segnali scalati con la curva di Gusev classica siano molto diversi da quelli ottenuti con il programma Pulsyn03, per cui l’approssimazione di sorgente puntiforme per la sorgente S1 non risulta essere realistica. Viceversa, i segnali prodotti con il programma Pulsyn03 sono simili, sia come durata che come ampiezze, ai segnali prodotti dalle sub-sorgenti vicine al centro della faglia e scalati con la curva creata dal programma Pulsyn02 (ad. es. n.44 o n.47 delle Figure 5.36 e 5.37). Pertanto risulta accettabile l’approssimazione usata per produrre i risultati mostrati nelle sezioni precedenti. Infine, sempre per la sorgente S1, sono stati calcolati con il programma Pulsyn03 i segnali relativi a ricevitori posti alla stessa distanza dal centro della faglia, ma ad azimuth diversi. In questo modo è stato possibile produrre un grafico (Figura 5.38) analogo, ma senz’altro più realistico di quello di Figura 5.5(a), riferito alla sorgente S1 come sorgente estesa. 113 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.34: Accelerogrammi (componente est-ovest: ew) calcolati nel punto d’intersezione dei vari profili a partire da ciascuna delle 91 sub-sorgenti che definiscono la sorgente S1 secondo le regole del programma Pulsyn03. I segnali sono stati scalati con la curva di Gusev (Figura 2.3) relativa a M = 6.5. Il segnale identificato da pulsyn3ew.plt (in basso a destra) rappresenta il risultato ottenuto con il programma Pulsyn03. 114 5.7 Pulsyn03 Figura 5.35: Accelerogrammi (componente nord-sud: ns) calcolati nel punto d’intersezione dei vari profili a partire da ciascuna delle 91 sub-sorgenti che definiscono la sorgente S1 secondo le regole del programma Pulsyn03. I segnali sono stati scalati con la curva di Gusev (Figura 2.3) relativa a M = 6.5. Il segnale identificato da pulsyn3ns.plt (in basso a destra) rappresenta il risultato ottenuto con il programma Pulsyn03. 115 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.36: Accelerogrammi (componente est-ovest: ew) calcolati nel punto d’intersezione dei vari profili a partire da ciascuna delle 91 sub-sorgenti che definiscono la sorgente S1 secondo le regole del programma Pulsyn03. I segnali sono stati scalati con le curve di Figura 5.17 relativa a M = 6.5. Il segnale identificato da pulsyn3ew.plt (in basso a destra) rappresenta il risultato ottenuto con il programma Pulsyn03. 116 5.7 Pulsyn03 Figura 5.37: Accelerogrammi (componente nord-sud: ns) calcolati nel punto d’intersezione dei vari profili a partire da ciascuna delle 91 sub-sorgenti che definiscono la sorgente S1 secondo le regole del programma Pulsyn03. I segnali sono stati scalati con le curve di Figura 5.17 relativa a M = 6.5. Il segnale identificato da pulsyn3ns.plt (in basso a destra) rappresenta il risultato ottenuto con il programma Pulsyn03. 117 Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO Figura 5.38: Andamento del picco di accelerazione (cm/s2 ) in funzione dell’angolo di strike-receiver per la sorgente S1, ottenuto utilizzando il programma Pulsyn03. Le componenti illustrate sono l’est-ovest (ew) e la nord-sud (ns). 118 Capitolo 6 Moto sismico delle strutture 6.1 Risposta dinamica di un sistema ad un grado di libertà (oscillatore semplice) Un edificio può essere schematizzato come un oscillatore semplice (ad un grado di libertà), composto dalla massa totale dell’edificio, M, in serie ad un sistema dinamico costituito dal parallelo di una molla di rigidezza k e di un dissipatore viscoso con coefficiente di dissipazione c. Quest’ultimo costituisce una misura dell’energia sismica dissipata complessivamente dalla costruzione (trasformandola in calore) attraverso meccanismi non elastici, nell’ipotesi che le forze originate dalla dissipazione energetica siano proporzionali alla velocità. L’equilibrio dinamico di un sistema siffatto è verificato quando la forza d’inerzia, la forza dissipativa (proporzionale alla velocità) e la forza elastica (proporzionale allo spostamento) sono perfettamente bilanciate da una forza esterna. In assenza di quest’ultima, ma in presenza di terremoto, l’equazione del moto diventa: M( ẍ(t) + ü(t)) + c ẋ(t) + kx(t) = 0 (6.1) dove u(t) rappresenta l’andamento temporale dello spostamento della base dell’edificio, ovvero il moto del terreno, mentre x(t) rappresenta l’andamento temporale dello spostamento dell’edificio, relativo alla sua base. Infatti, contrariamente alla forza d’inerzia, che dipende dall’accelerazione assoluta dell’edificio, quelle elastiche e dissipative sono legate solo al moto della struttura rispetto alla sua base (cioè al terreno). Per valutare le caratteristiche fondamentali della risposta sismica di un edificio, si può ipotizzare: a) che il moto sismico del terreno sia sinusoidale: ü(t) = A0 sinωt, con A0 > 0; b) che il coefficiente di smorzamento viscoso c sia nullo, e quindi c ẋ(t) = 0; c) che, come conseguenza del moto impresso dal terreno alla sua base, l’accelerazione relativa del terreno sia anch’essa sinusoidale e pari a ẍ(t) = a0 sin ωt. Con queste semplificazioni, l’eq. (6.1) diventa: Ma0 sin ωt + kx(t) = −MA0 sin ωt 119 (6.2) Capitolo 6. MOTO SISMICO DELLE STRUTTURE Dalla condizione (c) si può ricavare lo spostamento relativo x(t): x(t) = − a0 sin ωt ω2 (6.3) e sostituirlo nell’equazione 6.1, ottenendo: Ma0 sin ωt − k a0 sin ωt = −MA0 sin ωt ω2 (6.4) A questo punto è necessario definire la frequenza propria, o naturale, angolare dell’edificio, che rappresenta la frequenza alla quale vibra un edificio, schematizzato con un solo oscillatore, quando è libero di vibrare (nel caso in cui una struttura non sia schematizzabile con un solo oscillatore bisogna considerare anche i modi superiori). Essa è data dalla relazione: p ω0 = (k/M) (6.5) Dividendo ambo i membri dell’eq.(6.4) per M e sostituendo la relazione (6.5), si ottiene: ω20 a0 sin ωt − 2 a0 sin ωt = −A0 sin ωt ω (6.6) Dividendo ora ambo i membri dell’equazione (6.6) per sin ωt, si ottiene la soluzione dell’equazione del moto (6.1) in corrispondenza delle altre ipotesi fatte: a0 = − A0 1 − (ω0 /ω)2 (6.7) Considerando il valore assoluto della (6.7) (ricordando che A0 è positivo per ipotesi) si ottiene: A0 |a0 | = (6.8) |1 − (ω0 /ω)2 | Questa equazione fornisce la relazione, al variare della pulsazione propria, ω0 , che lega l’accelerazione massima della struttura, relativa alla base, a0 , e l’accelerazione massima della base, cioè del terreno, A0 , assunta sinusoidale con frequenza angolare ω e periodo T. Dalla (6.8) si nota innanzitutto che quando ω0 /ω → 1 ⇒ |a0 | → ∞. Nei casi reali, non essendo nulla la dissipazione energetica, ciò non si verifica, ma nei diagrammi resta (per gli usuali valori dei coefficienti di smorzamento) un picco tanto più alto e stretto quanto più piccolo è il coefficiente di smorzamento viscoso c. In altre parole, quando il moto sismico alla base eccita la struttura esattamente alla sua frequenza propria, essa risponde amplificandolo considerevolmente. Considerando ora la relazione tra a0 e A0 al variare del periodo proprio dell’edificio, T 0 e aggiungendo ad ambo i membri A0 in modo da riprodurre a primo membro l’accelerazione assoluta dell’edificio, si ottiene, a partire dalla (6.7): 1 (6.9) a0 + A0 = A0 1 − 1 − (T/T 0 )2 Dalla (6.9) si desume che quando il periodo proprio della struttura tende a infinito (T 0 → ∞) l’accelerazione assoluta della base tende a zero (a0 + A0 → 0); viceversa, quando il periodo proprio tende a zero (T 0 → 0), l’accelerazione assoluta della base tende al 120 6.2 Spettro di progetto valore di picco dell’accelerazione della base, cioè alla PGA della base (a0 + A0 → A0 ). Per quanto riguarda l’andamento dello spostamento relativo alla base, s0 , si ottiene, dalla (6.3), che s0 = − ωa02 , e quindi, dalla 6.7: s0 = A0 ω2 − ω20 (6.10) In altre parole, quando il periodo naturale dell’edificio tende ad un valore infinito (T 0 → ∞, ossia ω0 → 0), lo spostamento relativo al terreno tende al valore (−S 0 ) (s0 → −S 0 , dove S 0 = −A0 /ω2 è lo spostamento massimo del terreno), mentre quando il periodo naturale dell’edificio tende ad un valore nullo (T 0 → 0, ossia ω0 → ∞), lo spostamento suddetto tende a zero (s0 → 0). Riguardo ai risultati precedenti, è opportuno sottolineare che il fatto che l’accelerazione massima a0 e lo spostamento massimo s0 dell’edificio, relativi alla base, tendono a zero per T 0 → 0, è conforme con l’idea che strutture infinitamente rigide (ω0 → 0) si devono muovere esattamente come il terreno. Nelle considerazioni precedenti è stato trascurato il coefficiente di smorzamento c, tuttavia può essere facilmente dimostrato che all’aumentare del coefficiente di smorzamento, diminuiscono sia l’accelerazione che lo spostamento. Per questo motivo, solitamente, nei grafici che rappresentano la risposta degli edifici in funzione della frequenza, sono presenti varie curve, corrispondenti ai diversi valori del coefficiente di smorzamento. Esse sono tuttavia indicate in funzione della cosiddetta frazione di smorzamento critico, indicata come η oppure ξ, dove: η=ξ= c 2Mω0 (6.11) La frazione di smorzamento critico, detta anche coefficiente di smorzamento viscoso equivalente, è uguale al rapporto fra l’area racchiusa da un ciclo d’isteresi (che costituisce una misura dell’energia dissipata dall’edificio) e la quantità (2πks20 ) (proporzionale all’energia immagazzinata elasticamente dallo stesso). 6.2 Spettro di progetto Lo spettro di risposta rappresenta la curva interpolante i valori di risposta (in termini di accelerazione, velocità o di spostamento) massimi di un sistema ad 1 grado di libertà in funzione del periodo fondamentale del sistema stesso, riferiti ad un predefinito valore di ξ. Esso descrive pertanto la risposta strutturale di un edificio ad un input sismico realistico. In base alla nuova normativa sismica italiana, che definisce uno spettro di risposta in accelerazione (spettro di progetto) per le strutture, occorre assumere per le strutture convenzionali (a base “fissa”) un valore della frazione dello smorzamento critico pari al 5 %. Tale valore è stato anche adottato nel Capitolo 5, per la costruzione degli spettri di risposta in accelerazione a Nimis. La nuova normativa definisce lo spettro di progetto delle strutture in funzione sia della zona sismica ove esse si trovano, che delle caratteristiche del terreno (categorie A, B, C, D, E). Vengono inoltre descritti spettri diversi per le componenti orizzontali e verticale del moto sismico. Per la zona 1, cui appartiene Nimis, gli spettri di progetto imposti dalla nuova normativa sono mostrati in Figura 6.1. 121 Capitolo 6. MOTO SISMICO DELLE STRUTTURE 1.2 Spettri di progetto in base alla nuova normativa 0.6 0.0 0.2 0.4 Sa (g) 0.8 1.0 Orizzontale A Orizzontale B,C,E Orizzontale D Verticale A,B,C,D,E 0 1 2 3 4 T (s) Figura 6.1: Spettri di progetto (ξ = 5%) imposti dalla nuova normativa antisismica per la zona 1 (Capitolo 3 dell’Allegato 2 dell’Ordinanza). 6.2.1 Microzonazione e spettri di risposta In alternativa all’impiego delle forme standard dello spettro di risposta elastico per le diverse zone sismiche, la normativa consente anche “l’impiego di spettri di risposta specifici per il sito considerato”, ricavati dagli studi di microzonazione sismica, “sulla base di conoscenze geosismotettoniche e geotecniche, oppure da dati statistici applicabili alla situazione in esame”. In Figura 6.2 vengono mostrati gli spettri di risposta in accelerazione calcolati per ξ = 5% nel punto d’intersezione tra i vari profili. Alle aree del comune localizzate fuori dai profili considerati, è possibile assegnare uno spettro di risposta a partire da quelli calcolati lungo i profili. In particolare, sono state individuate su ciascun profilo le 4 zone mostrate in Figura 6.3; per ciascuna zona, sono poi stati raggruppati gli spettri di risposta calcolati a partire dagli accelerogrammi mostrati nelle Figure 5.18-5.21, calcolandone le accelerazioni spettrali massime, medie e medie aumentate di una deviazione standard. I risultati di tale procedura sono mostrati in Figura 6.4. La suddivisione in zone è stata effettuata sulla base della vS 30 in quanto la normativa usa questo valore per categorizzare le condizioni dei terreni. Più precisamente è stato realizzato un software che calcola in ogni punto lungo il profilo il valore della vS 30 . La prima zona sul primo profilo considerato termina all’(i-1)-esimo punto se la vS 30 relativa all’(i)-esimo punto soddisfa la seguente condizione: vS 30 (i) > vS 30 (i-1) + 0.3vS 30 (i-1) vS 30 (i) < vS 30 (i-1) − 0.3vS 30 (i-1) o (6.12) Per quanto riguarda le zone successive, il confronto non viene effettuato solo con il punto precedente, ma con tutti i punti precedenti (k < i) relativi a quel profilo. In pratica, se: vS 30 (k) − 0.3vS 30 (k) ≤ vS 30 (i) ≤ vS 30 (k) + 0.3vS 30 (k) (6.13) viene attribuita all’(i)-esimo punto la stessa zona del (k)-esimo punto; se nessun valore di k soddisfa la relazione precedente, allora l’(i)-esimo punto coincide con l’inizio di 122 6.2 Spettro di progetto (a) (b) (c) (d) (e) (f) (g) (h) (i) (j) (k) (l) Figura 6.2: Spettri di risposta (Sa 5%) ottenuti nel punto d’intersezione tra i vari profili a partire dagli accelerogrammi mostrati nelle figure 5.18-5.21. Da sinistra verso destra, le colonne mostrano rispettivamente la componente trasversale, radiale e verticale del moto. Dall’altro verso il basso, le righe mostrano i risultati ottenuti per le sorgenti S1, S2, S3 ed S4 (estese) rispettivamente. Dopo 2 s i valori spettrali sono trascurabili. 123 Capitolo 6. MOTO SISMICO DELLE STRUTTURE (a) (b) (c) (d) Figura 6.3: Zone individuate per il calcolo degli spettri di risposta mostrati in Figura 6.4. 124 6.2 Spettro di progetto (a) (b) (c) (d) (e) (f) (g) (h) (i) (j) (k) (l) Figura 6.4: Spettri di risposta (Sa 5%) massimi (max), medi (med) e medi aumentati di una deviazione standard (msd), ottenuti per le quattro zone di Figura 6.3, a partire dagli accelerogrammi mostrati nelle Figure 5.18-5.21. Da sinistra verso destra, le colonne mostrano la componente trasversale, radiale e verticale rispettivamente. Dall’altro verso il basso, le righe mostrano i risultati ottenuti per le zone 1, 2, 3 e 4 rispettivamente. Dopo 2 s i valori spettrali sono trascurabili. 125 Capitolo 6. MOTO SISMICO DELLE STRUTTURE una nuova zona. Questa procedura viene ripetuta anche per definire le zone relative agli altri profili considerati, solo che in questo caso il valore di k da usare nella relazione (6.13) viene cercato anche tra tutti i punti dei profili precedentemente analizzati dal programma. 6.3 Isolamento sismico degli edifici Finora sono stati considerati gli spettri di risposta in accelerazione in quanto nell’approccio tradizionale alla progettazione antisismica delle strutture, basato sulle forze, si assume che uno spettro di risposta in accelerazione fornisca, per uno smorzamento assegnato, una misura affidabile delle forze elastiche di progetto agenti sulla struttura, e che pertanto esso rappresenti un indicatore adeguato della “domanda” sismica. Infatti, sullo spettro di risposta si può leggere in corrispondenza di ciascun periodo l’accelerazione spettrale massima e, moltiplicandola per la massa dell’oscillatore semplice, si ottiene il valore di picco della forza statica equivalente cui è soggetto l’oscillatore semplice. La forza statica equivalente è la forza che, applicata staticamente, provoca spostamenti uguali agli spostamenti dovuti all’eccitazione sismica. Ai fini progettuali interessa solo il valore massimo di questa forza: questo valore consente, infatti, di calcolare le sollecitazioni massime dovute ad un sisma mediante una semplice analisi statica. A causa della sua convenienza pratica la progettazione basata sulle forze rappresenta ancora l’approccio di gran lunga più adottato, nonostante sia diffusa la consapevolezza che le forze non sono sempre adatte a descrivere gli effetti di un terremoto sulle strutture. In anni recenti, tuttavia, ha suscitato interesse crescente tra gli ingegneri la progettazione agli spostamenti, in quanto gli spostamenti descrivono in maniera più esplicita delle forze la risposta strutturale, e quindi il danno. Tra le moderne tecniche di progettazione agli spostamenti, una delle più importanti è senza dubbio l’isolamento sismico. L’isolamento sismico, come dice la parola stessa, si pone l’obiettivo di isolare la costruzione dal sisma. Normalmente esso è limitato alle componenti orizzontali del terremoto, che sono quelle più pericolose. Infatti, se il terremoto non è particolarmente violento, l’accelerazione verticale alla base dell’edificio non supera i pochi decimi dell’accelerazione di gravità g: quindi è come se il terremoto applicasse sulla costruzione delle variazioni contenute dell’accelerazione di gravità. Dato che una costruzione ben fatta, anche in assenza di terremoto, è sempre progettata per reggere il proprio peso (con adeguati margini), la componente verticale del terremoto, usualmente, comporta problemi di resistenza sismica assai inferiori a quelli indotti dalle componenti orizzontali. Pertanto, l’isolamento disaccoppia il moto dell’edificio sul piano orizzontale, da quello del terreno, “filtrando” in questo modo almeno le componenti orizzontali del terremoto. Il concetto d’isolamento sismico non è affatto nuovo, ma risale addirittura ad antiche civiltà, come quelle cinese, greca e degli Incas. Per quanto riguarda la Cina, va menzionato che le pagode ed altri edifici sacri costruiti nel IX secolo sono sopravvissuti a forti terremoti per più di mille anni grazie al debole accoppiamento delle colonne di tali strutture, in legno con copertura pesante, con il terreno: le colonne erano appoggiate al terreno e non fissate ad una fondazione o conficcate nel terreno stesso. I greci e gli Incas del Perù utilizzavano l’accoppiamento debole terreno-struttura nella costruzione di alcuni edifici, poggiandoli su pietrisco o altri materiali, mentre in Italia, ad esempio a 126 6.3 Isolamento sismico degli edifici Paestum, gli antichi costruivano templi poggiandoli su strati di sabbia. Oggi l’isolamento sismico viene realizzato inserendo tra la costruzione e le sue fondazioni (o in corrispondenza del primo piano) dei dispositivi di appoggio, detti isolatori, con rigidezza orizzontale molto bassa sotto l’effetto di azioni sismiche violente, che permettono alla costruzione spostamenti laterali lenti, anche se ampi. Gli stessi isolatori hanno una rigidezza maggiore quando sono sottoposti a piccoli spostamenti, come sotto l’azione del vento, che, quindi, non provoca nella struttura movimenti avvertibili. Permettendo alla sovrastruttura, che è la parte sopra gli isolatori, di muoversi rigidamente nel piano orizzontale, l’isolamento porta il periodo proprio del sistema strutturale in una zona dello spettro (periodi dell’ordine di 2-3 s) a bassa accelerazione. Di conseguenza, le accelerazioni prodotte dal sisma su una struttura isolata risultano drasticamente minori di quelle prodotte su una struttura a base fissa. Avendo aumentato il periodo proprio, gli spostamenti aumentano, ma queste deformazioni vengono praticamente concentrate negli isolatori. In questo modo la sovrastruttura si muove con valori molto piccoli sia di accelerazione che di spostamento, e quindi senza danneggiamento nè della struttura nè dei contenuti. Va aggiunto, che per il corretto funzionamento degli isolatori, essi devono avere sufficiente tolleranza in termini di spostamento. Diventa quindi importante non solo conoscere le forze sismiche cui è soggetta la struttura, ma anche lo spostamento massimo. In questi casi, l’azione (o domanda) sismica di progetto viene meglio descritta da uno spettro di risposta elastico in spostamento, che deve essere definito su un intervallo sufficientemente ampio di valori del periodo proprio di vibrazione (in genere T ≤ 10 s). Lo spettro di risposta elastico in termini di spostamento può essere, in prima approssimazione, ricavato direttamente dallo spettro di risposta elastico in accelerazione previsto dalla normativa, secondo la formula: T 2 S d (T ) = S a (T ) (6.14) 2π In questo caso lo spettro di risposta elastico previsto dalla normativa risulta leggermente modificato rispetto a quello di riferimento per le strutture convenzionali, in modo da ottenere una valutazione più cautelativa delle accelerazioni e degli spostamenti nel campo degli alti periodi (T > 2 s), nel quale operano le strutture con isolamento sismico. Anche in questo caso, dove possibile, devono essere usati gli spettri di risposta elastici in spostamento derivanti da uno studio di microzonazione sismica basato sul calcolo di sismogrammi sintetici. Infatti, per definire al meglio le caratteristiche dell’isolamento per ogni struttura alla quale si voglia applicarlo, è indispensabile stabilire correttamente l’input sismico al quale la struttura in questione è soggetta. Solitamente, per periodi sufficientemente elevati, per le strutture isolate sismicamente, si utilizza un valore della frazione di smorzamento critico pari al 10%. In Figura 6.5 sono mostrati gli spettri di risposta in spostamento (ξ =10%) calcolati nel punto d’intersezione tra i vari profili. Gli spettri di risposta di Figura 6.4 sono indispensabili agli ingegneri per determinare lo spostamento obiettivo necessario per il sistema di isolamento. Per quanto riguarda l’isolamento nella direzione verticale, esso viene poco praticato in quanto isolando in 3 direzioni l’edificio risulta essere sottoposto ad oscillazioni di rocking (flessione - ribaltamento) che possono diventare pericolose. È questo il caso di una palazzina a Santa Monica, isolata tridirezionalmente mediante dei dispositivi a molle (GERB), che durante il terremoto di Northridge (1994) ha dimostrato l’inefficacia 127 Capitolo 6. MOTO SISMICO DELLE STRUTTURE (a) (b) (c) (d) (e) (f) (g) (h) (i) (j) (k) (l) Figura 6.5: Spettri di risposta in spostamento (Sd 10%) degli accelerogrammi mostrati nelle Figure, relativi al punto d’intersezione tra i vari profili. Da sinistra verso destra, le colonne mostrano la componente trasversale, radiale e verticale rispettivamente. Dall’altro verso il basso, le righe mostrano i risultati ottenuti per le sorgenti S1, S2, S3 ed S4 (estese) rispettivamente. 128 6.3 Isolamento sismico degli edifici del sistema d’isolamento nel ridurre le accelerazioni indotte dal terremoto, a causa del fenomeno di rocking. 6.3.1 Esempio di applicazione dell’isolamento sismico ad un edificio residenziale In Figura 6.6 vengono mostrati vari spettri, tra cui quelli utilizzati per analizzare il comportamento di un edificio residenziale isolato alla base sotto una sollecitazione sismica: - Le linee blu (“S1 + σ”), rossa (“S1”), verde (“S2 + σ”) e rosa (“S2”) sono calcolate come media delle amplificazioni spettrali, per la zona 4, moltiplicata per lo spettro di risposta al basamento. I segnali al basamento considerati sono quelli ottenuti nel punto centrale dei profili AA0 e BB0 in corrispondenza delle sorgenti S1 ed S2, rispettivamente. Considerare la media delle amplificazioni spettrali porta ad avere una stima più conservativa del moto del terreno rispetto a quella fornita dallo spettro del singolo segnale 2D calcolato in corrispondenza della sorgente S2 (Figura 6.7). - La linea nera rappresenta lo spettro medio più una deviazione standard (“medio + σ”) relativo alla zona 4, calcolato come media quadratica degli spettri delle due componenti trasversale e radiale riportate nelle Figure 6.4(j)-6.4(k)). Lo spettro “medio + σ” riproduce lo spettro mediano rispetto ai tre terremoti più forti (quello corrispondente alla sorgente S2) fino a 0.4 s ed è più conservativo dello stesso a periodi più lunghi. Tale spettro presenta inoltre l’utile caratteristica di approssimare molto bene la forma dello spettro di risposta relativo alla sorgente S1, raggiungendo valori delle ordinate spettrali dimezzati. Risulta quindi giustificata la scelta dello spettro “medio + σ” come spettro rappresentativo del sito in questione, e pertanto esso verrà utilizzato nel seguito come spettro di input per la progettazione di un edificio isolato sismicamente. Una scelta ancora più conservativa, rappresentata dallo spettro “S1 + σ”, porterebbe al massimo al raddoppio delle ordinate spettrali, il che corrisponde ad un incremento di un grado di intensità. Tenendo conto che per periodi maggiori o uguali a 0.8 volte il periodo fondamentale della struttura isolata, la dissipazione associata solitamente al sistema di isolamento sismico è pari ad una percentuale dello smorzamento critico del 10%, le ordinate spettrali degli spettri considerati sono state ridotte secondo tale valore di smorzamento. Lo spettro di sito “medio + σ” presenta valori di circa 3 g nell’intorno del periodo proprio della struttura a base fissa, pari a 0.5 s. Ciò significa che costruire una casa “convenzionale” con tale spettro risulta un’impresa ardua, anche sfruttando al meglio i principi della progettazione in alta duttilità. Per quanto riguarda la struttura isolata, gli spostamenti massimi del sistema d’isolamento sono stati calcolati a partire dai seguenti spettri: • spettro elastico di normativa per la prima zona sismica (terreni B,C,E): 28 cm • spettro elastico di normativa per la seconda zona sismica (terreni B,C,E): 20 cm 129 Capitolo 6. MOTO SISMICO DELLE STRUTTURE Figura 6.6: Spettri di risposta ottenuti a partire dalla media della amplificazioni spettrali per la zona 4. σ indica la deviazione standard. Figura 6.7: Confronto tra lo spettro di risposta ottenuto moltiplicando la media delle amplificazioni spettrali per la zona 4 con lo spettro del segnale 1D calcolato nel punto centrale del profilo BB0 a partire dalla sorgente S2 e lo spettro del corrispondente segnale 2D. 130 6.3 Isolamento sismico degli edifici • spettro di sito “S1 + σ”: 18 cm • spettro di sito “medio + σ”: 9 cm Figura 6.8: Confronto tra lo spettro di sito “medio + σ” e lo spettro di normativa orizzontale per la zona sismica 2 - terreni B,C,E. Lo spostamento massimo ottenuto con lo spettro di sito “medio + σ” è inferiore a quello ottenuto a partire dallo spettro di normativa per la seconda zona sismica. Ciò è riconducibile al fatto che lo spettro “medio + σ” presenta, nell’intorno del periodo del sistema d’isolamento, assunto pari a 2.5 s (Figura 6.8), ordinate spettrali molto minori di quelle dello spettro di normativa. Anche considerando lo spettro più conservativo, “S1 + σ”, per cui la costruzione a base fissa è impossibile, si ottiene uno spostamento massimo di 18 cm, che risulta inferiore al valore di 20 cm previsto dalla normativa per la seconda zona sismica. Pertanto, a titolo di esempio, sono riportati in Appendice B2 i dettagli delle analisi svolte per un edificio a base fissa relative allo spettro di normativa per la seconda zona sismica. In Appendice B3 vengono invece riportate le analisi riguardanti l’edifico isolato alla base. Le considerazioni precedenti dimostrano come la normativa, che non fa esplicitamente riferimento agli spostamenti a causa della mancanza di osservazioni sperimentali, non sia sempre rappresentativa di situazioni specifiche come quella di Nimis. Un altro esempio è costituito da Marigliano, in provincia di Napoli, [46] e [47]. A differenza di Nimis, dove la normativa fornisce un valore cautelativo, per Marigliano la normativa rappresenta una sottostima per il potenziale terremoto di scenario, a causa della presenza, nell’area di interesse, di depositi alluvionali (piroclastici) di spessore variabile tra 50 e 200 m, che amplificano durata ed ampiezza del moto sismico del suolo. In conclusione, gli spettri di sito generati nell’ambito della tesi sconsigliano la costruzione di un edificio a base fissa, ma sono compatibili con la costruzione di una casa isolata. Dal momento che i costi di costruzione per l’edificio isolato sono proporzionali allo spostamento massimo su cui il sistema d’isolamento deve venir calibrato, si può constatare che, mentre l’adozione dello spettro “S1 + σ” permette solo un piccolo risparmio rispetto all’uso dello spettro di normativa per la seconda zona sismica, con lo spettro “medio + σ” tali costi vengono notevolmente ridotti. 131 Conclusioni Il problema affrontato in questa tesi è la modellazione del moto del suolo nel comune di Nimis, duramente colpito dal terremoto del Friuli del 1976. Si è visto come la normativa riconosca la pericolosità sismica del comune di Nimis, inserendolo nella prima zona sismica e caratterizzandolo mediante una accelerazione orizzontale con probabilità di superamento del 10% in 50 anni compresa tra 0.225 g e 0.275 g. Tale accelerazione non è tuttavia rappresentativa del moto del suolo che può venir realmente registrato a Nimis, in quanto essa si riferisce ad un generico sito su roccia: non viene quindi tenuta in considerazione la tipologia reale dei terreni presenti all’interno del comune, che può influenzare notevolmente la risposta sismica. In un’analisi probabilistica della pericolosità sismica è possibile includere le condizioni locali del terreno solamente in modo grossolano. Si è visto come Peruzza et al. (2001) assegnano a ciascun comune il terreno tipico corrispondente a quello sul quale insiste la maggior parte dell’edificato, che per quanto riguarda Nimis, corrisponde alla categoria “soffice”. In questo caso il valore di PGA atteso, compreso tra 0.24 g e 0.279 g, è analogo a quello previsto dalla normativa nonostante siano diversi gli elementi che concorrono alla stima della pericolosità (e.g. zonazione sismogenetica, catalogo di terremoti,..). Rebez et al. (2001) individuano invece gli areali, alla scala 1:25000, caratterizzati da affioramento di roccia, attribuendo la restante parte del territorio alla categoria dei terreni soffici. Con questa scelta il comune di Nimis risulta caratterizzato da valori di PGA attesi tra 0.32 g e 0.56 g, più alti di quelli previsti dalla normativa. Dopo aver effettuato questa panoramica sui risultati ottenuti mediante una valutazione probabilistica della pericolosità sismica presenti in letteratura, è stato adottato nella tesi un metodo sicuramente più valido, che tiene conto della fisica del processo di sorgente e della propagazione delle onde sismiche: il metodo neo-deterministico. Esso permette, dalla definizione dei terremoti di scenario, di modellare il moto del suolo in qualsiasi sito di interesse, mediante il calcolo di sismogrammi sintetici. Il vantaggio di tale procedura risiede nel fatto che questa può essere applicata anche in assenza di dati strumentali e con finalità preventive, rispetto al prossimo forte terremoto, producendo serie temporali tipiche per le condizioni locali. Il metodo è stato applicato a diversa scala di dettaglio. In prima approssimazione è stata effettuata una zonazione deterministica a scala nazionale, discretizzando il territorio mediante una griglia di passo 0.2°x 0.2°e trascurando quindi gli effetti di sito. Le sorgenti sismiche sono state considerate puntiformi ma scalate per la loro dimensione e il contenuto in frequenza dei segnali sintetici prodotti è stato limitato a 1 Hz. Dai sismogrammi calcolati a partire da tutte le sorgenti situate 133 CONCLUSIONI all’interno delle zone sismogenetiche, sono stati estratti, al nodo di griglia più vicino a Nimis, i valori massimi in spostamento, velocità e DGA. Al fine di valutare le influenze di vari ingredienti sui risultati finali, sono stati considerati tre diversi cataloghi di terremoti, due diverse zonazioni sismogenetiche e, per una zonazione sismogenetica (ZS9), due diverse scelte dei meccanismi focali rappresentativi. La combinazione che fornisce i massimi valori di pericolosità corrisponde alla zonazione sismogenetica e al catalogo di terremoti usati per produrre la mappa di pericolosità sismica prevista dall’Ordinanza. In base a tali valori (7 - 15 cm per lo spostamento, 30 - 60 cm/s per la velocità e 0.3 - 0.6 g per l’accelerazione) ci si può aspettare a Nimis un’intensità massima pari a XI, ossia due gradi maggiore di quella storica osservata (IX). Da notare come il valore in accelerazione, compreso tra 0.3 - 0.6 g, che si riferisce ad un generico sito su roccia, sia compatibile con il valore previsto dalla normativa incrementato di una deviazione standard. La procedura per la valutazione deterministica della pericolosità sismica a scala nazionale è stata poi ripetuta considerando solo le sorgenti situate all’interno dei nodi morfostrutturali capaci di generare terremoti con magnitudo M ≥ 6.0 e M ≥ 6.5. A tali sorgenti è stata associata la magnitudo maggiore tra quella minima associata al nodo e quella derivante dal lisciamento. I risultati prodotti non portano quindi ad un aumento della pericolosità rispetto a quanto fatto precedentemente, in quanto il Friuli ha già sperimentato nel corso dei secoli terremoti forti documentati. In seconda approssimazione è stato possibile effettuare una microzonazione sismica del comune di Nimis, realizzando quattro sezioni geologiche lungo le quali modellare in dettaglio la risposta del terreno alla sollecitazione sismica proveniente da quattro sorgenti diverse, ciascuna allineata con la direzione di un profilo. In questo caso le sorgenti sono state modellate come sorgenti estese e i segnali sono stati valutati per un contenuto in frequenza massimo di 5 Hz. Tra le quattro, la sorgente senza dubbio più pericolosa per Nimis è quella identificata nel testo con S1 data la sua grande magnitudo (M = 6.5) e la ridotta distanza epicentrale (7.5 km dall’inizio del profilo AA0 ), che determina un valore massimo di DGA di 0.50 g al basamento e 1.2 g considerando le condizioni locali. Mentre al basamento si ottiene un valore coerente con quello ottenuto mediante la zonazione a scala nazionale, le condizioni locali lo amplificano più di due volte, dimostrando come solo una modellazione dettagliata mediante sismogrammi sintetici dia un’idea di quale possa essere realmente la pericolosità attesa ad un determinato sito. Va sottolineato inoltre come il bacino sedimentario, di spessore decisamente ridotto, amplifichi soprattutto le accelerazioni, ma non gli spostamenti. E in effetti con la sorgente S1 si ottiene dal sismogramma un valore di picco di 6 cm al basamento e di 9.5 cm considerando le condizioni locali. Nei quattro profili analizzati si è visto come il cosiddetto effetto di sito derivi soprattutto dalla presenza del bacino sedimentario, ma non possa essere quantificato in maniera univoca, come invece è stato fatto nei lavori probabilistici sopra illustrati. Infatti, l’aver fatto incrociare i profili analizzati in un unico punto ha permesso di valutare in che modo le amplificazioni spettrali varino per uno stesso sito a seconda della sorgente e del percorso sorgente-ricevitore considerati. Ad esempio, il fattore di amplificazione massimo (circa 9, a 3 Hz, componente verticale) è causato dalla sorgente S3, relativamente distante (31.5 km dall’inizio del profilo CC 0 ), mentre alla stessa frequenza e per la stessa componente, la sorgente S1 causa il fattore di amplificazione minore (appena superiore a 3). Ne segue che la stima di amplificazione del moto del suolo ottenuta in un sito analizzando solo le registrazioni di un singolo evento non possa assolutamente essere 134 CONCLUSIONI generalizzata. L’importanza della modellazione è pertanto evidente, in quanto consente il calcolo di scenari d’amplificazione dovuti a terremoti, storici e/o futuri, per i quali le registrazioni non sono disponibili. I segnali prodotti con il metodo deterministico hanno anche un’importanza pratica nel campo dell’ingegneria strutturale: a partire dagli spettri di risposta in accelerazione, infatti, gli ingegneri calcolano le forze elastiche, causate da un sisma, agenti sulle strutture. Si è visto come la nuova normativa definisca uno spettro di progetto delle strutture sia in funzione della zona sismica in cui si trovano che delle caratteristiche del terreno. Tuttavia la forma di tali spettri è una forma media, valida per tutta l’Italia: in condizioni di sismicità elevata è quindi opportuno disporre di uno spettro di risposta specifico del sito considerato. Dato che ogni spettro di risposta si riferisce ad un ben preciso evento sismico, esso non risulta direttamente utilizzabile come strumento di analisi e di progetto. Per questo motivo è necessario raggruppare gli spettri di risposta, lungo i vari profili, “appartenenti” a zone simili e calcolarne la media. In riferimento ai profili analizzati, gli spettri sono stati raggruppati secondo quattro zone individuate sulla base della vS 30 . Lo spettro medio più una deviazione standard (“medio + σ”) cosı̀ ottenuto per la zona in cui si trova il centro di Nimis, è stato poi usato come input sismico per l’analisi del comportamento di un edificio residenziale sottoposto all’azione di tale sisma. L’analisi ha dimostrato come la costruzione di una villa con tecniche tradizionali (a base “fissa”) risulti particolarmente difficile, mentre isolamento sismico rappresenti la soluzione più conveniente, anche dal punto di vista economico. Infatti, il valore di 9 cm ottenuto per il sistema d’isolamento a partire dallo spettro “medio + σ” risulta essere inferiore a quello che si otterrebbe a partire dallo spettro di normativa per la seconda zona sismica (20 cm). Anche considerando lo spettro massimo (“S1 + σ”) per la zona in questione si ottiene un valore di spostamento di soli 18 cm, sempre inferiore a quello previsto dalla normativa per la seconda zona sismica. In conclusione, solo una modellazione realistica dell’input sismico al quale le strutture dovranno far fronte permette di progettare al meglio e con costi contenuti degli edifici che sappiano resistere con efficacia anche a scosse di forte intensità. 135 Appendice A Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia Vengono di seguito riportate tutte le mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia ottenute nel corso del presente studio. Le Figure A.1-A.9 mostrano: • (a) la distribuzione delle magnitudo massime sul territorio, assieme ai poligoni di validità dei cataloghi italiano, sloveno e croato; • (b) il risultato dell’operazione di “lisciamento” delle magnitudo, assieme ai poligoni di validità dei cataloghi italiano, sloveno e croato; • (c) le zone sismogenetiche e le magnitudo lisciate al loro interno; • (d) i valori dello spostamento di picco, assieme ai poligoni strutturali; • (e) i valori della velocità di picco, assieme ai poligoni strutturali; • (f) i valori di DGA, assieme ai poligoni strutturali. Le Figure A.10 e A.11 mostrano rispettivamente i valori massimi e medi di tutte le mappe precedenti (Figure A.1-A.9), calcolati nei soli punti di griglia comuni a tutte le mappe stesse. Sono ancora stati plottati, a seconda dei casi, i poligoni di validità dei cataloghi e i poligoni strutturali, mentre si è preferito non visualizzare la geometria delle zone sismogenetiche in quanto per le stime di pericolosità deterministica sono state adottate due diverse zonazioni sismogenetiche (ZS4 e ZS9). Scelte analoghe sono state compiute nella redazione delle mappe A.12-A.17, in cui vengono riportate le differenze tra le mappe A.1-A.9, sempre nei soli punti comuni a tutte. In questo caso, si è deciso di plottare con simboli diversi i valori ottenuti, nel caso in cui essi siano positivi (4) o negativi (5). I nomi delle due mappe tra cui viene eseguita la differenza sono indicati in cima alle varie figure. Infine, nelle mappe A.18-A.20, vengono visualizzati i rapporti tra le mappe A.1-A.9, al fine di rendere più significative le differenze riportate nelle mappe A.12-A.17. Non vengono riportati i risultati dei rapporti per le magnitudo, in quanto, considerando solo magnitudo M > 5 e, per quanto riguarda l’Italia, M < 7.4, 137 Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA le differenze sono ritenute da sole indicative di un incremento o decremento sostanziale del potenziale sismico di una certa zona. (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura A.1: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione sismogenetica ZS4 e il catalogo NT4. 138 (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura A.2: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione sismogenetica ZS4 e il catalogo UCI. (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura A.3: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione sismogenetica ZS4 e il catalogo CPTI04. 139 Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura A.4: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione sismogenetica ZS9m e il catalogo NT4. (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura A.5: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione sismogenetica ZS9m e il catalogo UCI. 140 (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura A.6: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione sismogenetica ZS9m e il catalogo CPTI04. (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura A.7: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione sismogenetica ZS9f e il catalogo NT4. 141 Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura A.8: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione sismogenetica ZS9f e il catalogo UCI. (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura A.9: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione sismogenetica ZS9f e il catalogo CPTI04. 142 (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura A.10: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando i massimi delle mappe A.1-A.9. (a) (b) (c) (d) (e) (f) Figura A.11: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute come media più una deviazione standard delle mappe A.1-A.9. 143 Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA Figura A.12: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando le differenze, nei punti comuni, tra le magnitudo delle mappe A.1(a)-A.9(a). . . . continua . . . 144 Figura A.12 145 Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA Figura A.13: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando le differenze, nei punti comuni, tra le magnitudo “lisciate”, delle mappe A.1(b)-A.9(b). . . . continua. . . 146 Figura A.13 147 Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA Figura A.14: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando le differenze, nei punti comuni, tra le magnitudo “lisciate” all’interno delle zone sismogenetiche delle le mappe A.1(c)A.9(c). . . . continua . . . 148 Figura A.14 149 Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA Figura A.15: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando le differenze, nei punti comuni, tra i valori dello spostamento di picco delle mappe A.1(d)-A.9(d). . . . continua . . . 150 Figura A.15 151 Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA Figura A.16: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando le differenze, nei punti comuni, tra i valori delle velocità di picco delle mappe A.1(e)-A.9(e). . . . continua . . . 152 Figura A.16 153 Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA Figura A.17: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando le differenze, nei punti comuni, tra i valori di DGA delle mappe A.1(f)-A.9(f). . . . continua . . . 154 Figura A.17 155 Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA Figura A.18: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando i rapporti, nei punti comuni, tra i valori dello spostamento di picco delle mappe A.1(d)-A.9(d). . . . continua . . . 156 Figura A.18 157 Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA Figura A.19: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando i rapporti, nei punti comuni, tra i valori delle velocità di picco delle mappe A.1(e)-A.9(e). . . . continua . . . 158 Figura A.19 159 Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA Figura A.20: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando i rapporti, nei punti comuni, tra i valori di DGA delle mappe A.1(f)-A.9(f). . . . continua . . . 160 Figura A.20 161 Appendice B Isolamento sismico per una casa di civile abitazione Vengono di seguito riportate le analisi svolte dall’ing. Dusi su un edificio destinato a civile abitazione nella sua configurazione convenzionale ed isolata alla base L’edificio considerato nel seguito è una piccola costruzione a 2 piani, avente dimensioni in pianta pari a 13.00 x 13.70 m; dal punto di vista strutturale l’edificio è costituito da un telaio in cemento armato con tamponamenti in laterizio. Nelle figure che seguono (Figure B.1B.6) sono riportate le piante, i prospetti e le sezioni dell’edificio in oggetto. Figura B.1: Pianta del piano terra dell’edificio destinato a civile abitazione utilizzato per le analisi ingegneristiche. 163 Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE Figura B.2: Pianta del primo piano dell’edificio. Figura B.3: Prospetto 1 dell’edificio. Figura B.4: Prospetto 2 dell’edificio. 164 Figura B.5: Sezione 1 dell’edificio. Figura B.6: Sezione 2 dell’edificio. 165 Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE B1. Modellazione ad elementi finiti Le analisi strutturali sono state effettuate implementando un modello ad elementi finiti della struttura nel codice di calcolo SAP2000NL. Il modello adottato per la struttura riproduce fedelmente la geometria dell’edificio. Il modello è tridimensionale ed è composto mediante elementi trave che schematizzano le travi ed i pilastri, mentre i solai e le pareti perimetrali sono modellate con elementi piani flesso-membranali. Per la valutazione delle sollecitazioni in condizioni sismiche è stata adottata la tecnica dell’analisi modale con utilizzo dello spettro di risposta indicato nell’“Ordinanza del presidente del consiglio dei ministri 20 marzo 2003”. La sovrastruttura e la sottostruttura sono modellate come aventi comportamento elastico lineare. Anche gli isolatori hanno comportamento elastico lineare, con rigidezza orizzontale equivalente pari alla rigidezza secante riferita allo spostamento di progetto. Per quanto riguarda la configurazione isolata alla base, i dispositivi di isolamento sono stati posizionati al di sopra delle travi di fondazione, sotto i pilastri. La Figura B.7 mostra il modello ad elementi finiti, mentre le Figure B.8-B.10 mostrano l’orditura dei solai e le travi di piano ai vari livelli. Figura B.7: Modello dell’edificio ad elementi finiti. Carichi I carichi considerati nelle analisi sono ottenuti dalle vigenti normative. 1. Solai: carichi permanenti 2.5 kN/m2 carichi accidentali 2.0 kN/m2 2. Scale: carichi permanenti 2.5 kN/m2 166 Figura B.8: Piano terra - carpenterie. Figura B.9: Primo piano - carpenterie. Figura B.10: Copertura - carpenterie. carichi accidentali 4.0 kN/m2 3. Copertura: carichi permanenti 2.5 kN/m2 carichi accidentali 2.0 kN/m2 167 Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE carico da neve 1.5 kN/m2 4. Tamponature: tamponature in blocchi di laterizio 5.0 kN/m2 Masse sismiche Le masse sismiche vengono derivate dai carichi applicati secondo le indicazioni fornite Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n 3274. Condizioni di carico Nel modello di calcolo sono state definite le seguenti condizioni di carico: DEAD Carichi di peso proprio SUPERDEAD Carchi permanenti LIVE Carichi accidentali dei solai intermedi NEVE Carichi accidentali da neve TETTO Carichi accidentali della copertura SCALE Carichi accidentali delle scale SPEX30Y Azione sismica spettrale in direzione X + 30% in direzione Y (con eccentricità 5%) SPEY30X Azione sismica spettrale in direzione Y + 30% in direzione X (con eccentricità 5%) Combinazioni di carico Edificio convenzionale Per le verifiche dell’edificio a base fissa sono state considerate le seguenti combinazioni di carico: VSLU Combinazione di stato limite ultimo per carichi verticali SISMX30Y Combinazione di stato limite ultimo per verticali + sisma X + 30% sisma Y SISMY30X Combinazione di stato limite ultimo per verticali + sisma Y + 30% sisma X Edificio isolato Per le verifiche dell’edificio isolato sono state considerate invece le seguenti combinazioni di carico: 168 VSLU Combinazione di stato limite ultimo per carichi verticali SISMX30Y Combinazione di stato limite ultimo per verticali + sisma X + 30% sisma Y SISMY30X Combinazione di stato limite ultimo per verticali + sisma Y + 30% sisma X CHKX30Y Come SISMX30Y per verifica degli elementi strutturali (travi e pilastri) CHKY30X Come SISMY30X per verifica degli elementi strutturali (travi e pilastri) Le sollecitazioni nelle combinazioni CHKX30Y ed CHKY30X sono utilizzate per il calcolo delle armature negli elementi strutturali e corrispondono all’adozione di un coefficiente di struttura (duttilità) pari ad 1.495 (1.15 x 1.3). B2. Risultati per l’edificio a base fissa La massa totale dell’edificio è risultata pari a 412.0 t. In Tabella B.1 vengono riportati i primi 12 modi di vibrazione della struttura, assieme ai fattori di partecipazione nelle due direzioni orizzontali X e Y. Le Figure B.11-B.12 riportano il primo modo di vibrazione della struttura a base fissa. A partire dai risultati Figura B.11: Primo modo di vibrazione della struttura a base fissa (vista 3D). dell’analisi ad elementi finiti, sono stati progettati e verificati gli elementi strutturali. Si sono assunte le seguenti caratteristiche dei materiali: Calcestruzzo: • modulo di elasticità E=31200000 kN/m2 • peso specifico γ=25 kN/m3 • coefficiente di Poison = 0.15 Il progetto e la verifica degli elementi strutturali è stata condotta facendo riferimento all’Eurocodice 2 e ai seguenti valori: 169 Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE Tabella B.1: Primi dodici modi di vibrazione della struttura a base fissa, unitamente ai fattori di partecipazione nelle due direzioni orizzontali X e Y. MODAL PERIOD AND FREQUENCIES mode period frequency frequency eigenvalue (s) (cyc/s) (rad/s) (rad/s)**2 1 0.502153 1.991425 12.512493 156.562490 2 0.435163 2.297987 14.438681 208.475496 3 0.418282 2.390732 15.021411 225.642793 4 0.255522 3.913550 24.589558 604.646362 5 0.210992 4.739516 29.779254 886.803992 6 0.190692 5.244050 32.949337 1085.659 7 0.144817 6.905264 43.387051 1882.436 8 0.137832 7.255189 45.585699 2078.056 9 0.135095 7.402213 46.509476 2163.131 10 0.008499 117.666194 739.318501 546591.846 11 0.007730 129.363423 812.814360 660667.184 12 0.006177 161.897388 1017.231 1.0348E+06 MODAL PARTICIPATING MASS RATIOS mode period individual mode (percent) cumulative sum (percent) UX UY UZ UX UY UZ 1 0.502153 0.5711 48.0976 0.0000 0.5711 48.0976 0.0000 2 0.435163 91.2087 1.2168 0.0000 91.7798 49.3144 0.0000 3 0.418282 0.9216 34.8724 0.0000 92.7014 84.1868 0.0000 4 0.255522 0.0041 9.3478 0.0000 92.7055 93.5346 0.0000 5 0.210992 0.0020 0.0102 0.0000 92.7075 93.5448 0.0000 6 0.190692 3.9466 0.0005 0.0000 96.6541 93.5453 0.0000 7 0.144817 0.0959 0.9516 0.0000 96.7500 94.4969 0.0000 8 0.137832 2.1660 2.5094 0.0000 98.9161 97.0063 0.0000 9 0.135095 1.0839 2.9937 0.0000 100.0000 100.0000 0.0000 10 0.008499 0.0000 0.0000 0.0000 100.0000 100.0000 0.0000 11 0.007730 0.0000 0.0000 0.0000 100.0000 100.0000 0.0000 12 0.006177 0.0000 0.0000 0.0000 100.0000 100.0000 0.0000 • fyk = 413685.5 (acciaio) • fck = 27579.032 (calcestruzzo) 170 Figura B.12: Primo modo di vibrazione della struttura a base fissa (vista dall’alto). Nelle Figure B.13-B.14 sono riportate le indicazioni delle armature minime (in cm2 ) calcolate nei pilastri ai diversi livelli. Figura B.13: Livello 1 (dimensione dei pilastri 30 x 30 cm). B3. Risultati per l’edificio isolato alla base Sono state condotte una serie di analisi parametriche per individuare la configurazione ottimale del sistema di isolamento sismico. E’ importante sottolineare che, essendo l’edificio caratterizzato da una massa decisamente ridotta, risulta tecnologicamente impossibile isolare l’edificio utilizzando solo dispositivi elastomerici tipo HDRB comunemente disponibili sul mercato. Sarebbero infatti necessari 16 HDRB (uno per ogni pilastro); considerando gli spostamenti in gioco (superiori ai 22 cm), al fine di garantire la stabilità dei dispositivi sotto l’azione sismica, 171 Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE Figura B.14: Livello 2 (dimensione dei pilastri 30 x 30 cm). si dovrebbero impiegare dispositivi aventi dimensioni tali per cui l’intero sistema di isolamento risulterebbe troppo rigido, impedendo di fatto lo shift del periodo. Analisi preliminari condotte su un sistema a 1 grado di libert (SDOF), hanno mostrato che, fissato un periodo della struttura isolata pari a 2.5 s, il sistema di isolamento deve possedere una rigidezza orizzontale complessiva pari a 2602 kN/m. Dalle stesse analisi preliminari sul sistema SDOF risulta una significativa riduzione delle sollecitazioni rispetto alla configurazione strutturale a base fissa. Per l’isolamento sismico dell’edificio si utilizzano: 1. isolatori in gomma naturale ad elevata dissipazione (HDRB), costituiti da piastre in acciaio, immerse in una matrice elastomerica e a questa collegate mediante vulcanizzazione. Le caratteristiche fondamentali di questi isolatori sono: • capacità di sostenere il carico verticale della struttura grazie all’elevata rigidezza in direzione verticale; • capacità di resistere ai carichi orizzontali per piccoli spostamenti; • capacità di disaccoppiare il moto della struttura da quello del terreno; • capacità dissipative tali da ridurre le oscillazioni della struttura. 2. guide lineari ad appoggio tipo CLB (nel seguito denominati Sliding Devices) multidirezionali in grado di supportare il carico verticale e consentire spostamenti con basso coefficiente d’attrito (Figure B.15-B.16). Le caratteristiche di rigidezza dei dispositivi impiegati sono le seguenti: • 8 dispositivi HDRB ∅ 450 mm con rigidezza K = 311 kN/m • 8 sliding devices con rigidezza equivalente K = 20 kN/m Si ribadisce che solo grazie all’impiego dei dispositivi a sfere risulta possibile isolare sismicamente la struttura. Le analisi ad elementi finiti sull’edificio isolato con la configurazione sopra descritta mostrano una sostanziale coincidenza del centro di massa e del centro di rigidezza: 172 Figura B.15: Guide lineari ad appoggio tipo CLB. Figura B.16: Guide lineari ad appoggio tipo CLB - esempio di installazione. centro di massa: X=6.58 m, Y=6.54 m centro di rigidezza: X=6.77 m, Y=6.54 m Dalle analisi modali risultano le caratteristiche dinamiche del modello di calcolo 3D della struttura isolata riportate in Tabella B.2. Le Figure B.17-B.18 riportano il primo modo di vibrazione della struttura a base isolata. A partire dai risultati dell’analisi ad elementi finiti, sono stati progettati e verificati gli elementi strutturali. Si sono assunte le seguenti caratteristiche dei materiali: Calcestruzzo: • modulo di elasticità E=31200000 kN/m2 • peso specifico γ=25 kN/m3 • coefficiente di Poison = 0.15 Il progetto e la verifica degli elementi strutturali è stata condotta facendo riferimento all’Eurocodice 2 e ai seguenti valori: • fyk = 413685.5 (acciaio) 173 Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE Tabella B.2: Primi dodici modi di vibrazione della struttura a base fissa, unitamente ai fattori di partecipazione nelle due direzioni orizzontali X e Y. MODAL PERIOD AND FREQUENCIES mode period frequency frequency eigenvalue (s) (cyc/s) (rad/s) (rad/s)**2 1 2.506928 0.382127 2.400977 5.764692 2 2.508455 0.383369 2.408777 5.802204 3 2.132294 0.468979 2.946679 8.682918 4 0.352163 2.839597 17.841713 318.326739 5 0.291446 3.431170 21.558678 464.776612 6 0.286070 3.495643 21.963771 482.407250 7 0.231917 4.311882 27.092353 733.995572 8 0.207012 4.830632 30.351754 921.228999 9 0.185121 5.401879 33.941006 1151.992 10 0.138968 7.195881 45.213054 2044.220 11 0.134839 7.416278 46.597849 2171.360 12 0.129339 7.731595 48.579046 2359.924 MODAL PARTICIPATING MASS RATIOS mode period individual mode (percent) cumulative sum (percent) UX UY UZ UX UY UZ 1 2.506928 0.0006 99.9104 0.0000 0.0006 99.0104 0.0000 2 2.508455 99.9766 0.0006 0.0000 99.9772 99.0110 0.0000 3 2.132294 0.0001 0.0577 0.0000 99.9773 99.9687 0.0000 4 0.352163 0.0000 0.0256 0.0000 99.9773 99.9943 0.0000 5 0.291446 0.0142 0.0006 0.0000 99.9915 99.9948 0.0000 6 0.286070 0.0076 0.0007 0.0000 99.9992 99.9955 0.0000 7 0.231917 0.0000 0.0042 0.0000 99.9992 99.9997 0.0000 8 0.207012 0.0000 0.0000 0.0000 99.9992 99.9997 0.0000 9 0.185121 0.0007 0.0000 0.0000 99.9998 99.9997 0.0000 10 0.138968 0.0000 0.0000 0.0000 99.9999 99.9998 0.0000 11 0.134839 0.0001 0.0000 0.0000 100.0000 99.9998 0.0000 12 0.129339 0.0000 0.0002 0.0000 100.0000 100.0000 0.0000 • fck = 27579.032 (calcestruzzo) 174 Figura B.17: Primo modo di vibrazione della struttura a base isolata (vista 3D). Figura B.18: Primo modo di vibrazione della struttura a base isolata (vista dall’alto). Nelle Figure B.19-B.20 sono riportate le indicazioni delle armature minime (in cm2 ) calcolate nei pilastri ai diversi livelli. Si evidenzia una riduzione delle armature passando dalla base fissa alla base isolata. Le armature, inoltre, sono più omogenee. 175 Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE Figura B.19: Livello 1 (dimensione dei pilastri 30 x 30 cm). Figura B.20: Livello 2 (dimensione dei pilastri 30 x 30 cm). 176 Bibliografia [1] Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e normative tecniche per le costruzioni in zona sismica (2003), Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20/03/2003, pubblicata il 08/05/2003, N.3274, con le successive modifiche ed integrazioni delle Ordinanze N.3316 del 02/10/2003 e N.3431 del 03/05/2005. 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[72] Takeuchi H., Saito M.: Seismic surface waves. In: Methods in computational physics (B.A. Bolt editor), Academic Press, New York, 86-180, 1972. [73] Thomson W. T.: Transmission of elastic waves through a stratified solid medium. J. Appl. Phys., 21, 89-93, 1950. [74] Vaccari F., Romanelli F., Panza G.F.: Detailed modelling of strong ground motion in Trieste, 2005. [75] Virieux J.: P-SV wave propagation in heterogeneous media: velocity-stress finitedifference method. Geophysics, 51, 889-901, 1986. [76] Wells D.L., Coppersmith K.J.: New empirical relationship among magnitude, rupture lenght, rupture width, rupture area, and surface displacement. Bull. Seismol. Soc. Am., 84, 974-1002, 1994. [77] Whitten D.G.A, Brooks J.R.V.: Dizionario di geologia, 1978. 182 Ringraziamenti Innanzitutto desidero ringraziare il prof. Panza per avermi dato l’opportunità di svolgere questa tesi e per la considerazione che mi ha dimostrato nel corso di questi mesi. Ringrazio il dott. Vaccari per avermi seguita, con pazienza e amicizia, nella preparazione di tutto il lavoro di tesi. Ringrazio inoltre la dott.ssa Peresan, il dott. Romanelli e il dott. Aoudia per tutta la disponibilità e cortesia mostratami in questo periodo. Desidero inoltre ringraziare tutte le persone che hanno contribuito alla riuscita della mia tesi: il comune di Nimis, il dott. Iacuzzi, il prof. Tunis, la prof.ssa Poli e il dott. Avigliano, per le indicazioni e il materiale fornitomi relativamente alla geologia di Nimis; il prof. Martelli e l’ing. Dusi per le analisi relative all’isolamento sismico. Un sentito ringraziamento a mia madre per aver sempre creduto in me e per avermi permesso, non senza sacrifici, di arrivare a questo traguardo. Ringrazio anche Cristian, mio fratello, per i passaggi casa-stazione che mi ha dato nel corso della mia carriera universitaria e per il suo sostegno morale. Voglio ringraziare anche Mauro, il mio ragazzo, che ha condiviso con me ogni momento di questo lavoro. Infine desidero ringraziare i miei compagni di università che si sono rivelati dei buoni compagni di pausa e che mi hanno dato conforto nei momenti in cui sembrava che nulla funzionasse. A tutti loro porgo un sentito: grazie!