Input sismico a Nimis per l`applicazione dell`isolamento sismico all

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Input sismico a Nimis per l`applicazione dell`isolamento sismico all
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Input sismico a Nimis
per l’applicazione dell’isolamento sismico
all’edilizia residenziale
Laureanda:
Relatore:
Elisa Z
Ill.mo Prof. Giuliano F. P
Correlatori:
Dott. Franco V
Dott.ssa Antonella P
A A 2005/2006
In memoria di mio padre
Indice
Introduzione
3
1 Normativa antisismica e metodo probabilistico
1.1 Normativa antisismica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 PSHA e condizioni locali del terreno per il Friuli Venezia Giulia . . . .
1.3 Stima della pericolosità sismica: metodo probabilistico e metodo deterministico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2 Stima deterministica della pericolosità sismica a scala nazionale
2.1 Sorgenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Struttura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Siti e sismogrammi sintetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.4 Risultati al sito di Nimis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5 Aree ad elevato potenziale sismogenetico . . . . . . . . . . .
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3 Somma dei modi per le onde di Rayleigh e di Love in strutture stratificate
3.1 Equazioni del moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Funzione di dispersione dei modi di Love . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3 Funzione di dispersione dei modi di Rayleigh . . . . . . . . . . . . . .
3.4 Velocità di gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.5 Integrale dell’energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.6 Funzione di Green in un semispazio stratificato . . . . . . . . . . . . .
3.7 Sismogrammi sintetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.7.1 Attenuazione di fase . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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4 Metodo ibrido
4.1 Differenze finite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.1.1 Schema alle differenze finite per le onde SH . .
4.1.2 Schema alle differenze finite per le onde P-SV
4.2 Accoppiamento somma modale - differenze finite . . .
4.3 Confini artificiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.4 Attenuazione intrinseca . . . . . . . . . . . . . . . . .
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INDICE
5 Microzonazione ed effetti di sito
5.1 Inquadramento geologico e scelta dei profili . . . . . . . . . . . . . . .
5.2 Scelta del modello di bedrock di riferimento e delle sorgenti sismiche .
5.3 Effetti di sito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.4 Analisi parametriche di variazione delle velocità . . . . . . . . . . . . .
5.4.1 Variazione della velocità del bacino sedimentario . . . . . . . .
5.4.2 Variazione della velocità del substrato roccioso . . . . . . . . .
5.4.3 Variazione della velocità del substrato roccioso e del modello
1D di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.5 Sorgenti estese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.5.1 Direttività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.5.2 Sorgente S1 e leggi di attenuazione . . . . . . . . . . . . . . .
5.6 Amplificazioni spettrali nel punto d’intersezione tra i vari profili . . . .
5.7 Pulsyn03 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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6 Moto sismico delle strutture
6.1 Risposta dinamica di un sistema ad un grado di libertà (oscillatore semplice) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2 Spettro di progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2.1 Microzonazione e spettri di risposta . . . . . . . . . . . . . . .
6.3 Isolamento sismico degli edifici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.3.1 Esempio di applicazione dell’isolamento sismico ad un edificio
residenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
119
Conclusioni
132
A Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia
137
B Isolamento sismico per una casa di civile abitazione
163
Bibliografia
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122
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129
Introduzione
La pericolosità sismica (seismic hazard) rappresenta il pericolo potenziale connesso con
i fenomeni naturali derivanti da un terremoto (scuotimento del terreno, rottura di faglia,
liquefazione del suolo, frane, ecc.), che possono avere diverse conseguenze sulla società, come la perdita di vite umane, la distruzione di edifici e l’interruzione delle linee
di comunicazione. La valutazione della pericolosità è propedeutica a qualsiasi azione di
valutazione e mitigazione del rischio sismico (seismic risk), nel quale rientrano invece
le conseguenze causate da un terremoto sulla società, come la distruzione degli edifici.
Infatti la stima quantitativa del rischio sismico può essere definita con la seguente relazione:
Rischio Sismico = Pericolosità Sismica x Vulnerabilità x Esposizione.
La vulnerabilità consiste nella predisposizione da parte di persone, beni o attività a subire danni o modificazioni a causa del verificarsi di un terremoto. Tali danni possono
indurre alla momentanea riduzione di efficienza da parte di questi elementi o anche ad
una totale irrecuperabilità. L’esposizione può essere definita come la dislocazione, consistenza, qualità e valore dei beni e delle attività presenti sul territorio che possono essere
influenzate direttamente o indirettamente dall’evento sismico (insediamenti, edifici, attività economiche-produttive, infrastrutture, densità di popolazione).
Quindi, per prevenire in modo adeguato eventuali danni connessi con il moto del terreno derivante da un terremoto, occorre stimare correttamente l’input sismico al quale le
strutture dovranno far fronte.
A tal fine un ruolo di primaria importanza è rivestito dalle tecniche di modellazione che,
sviluppatesi in seguito alla conoscenza del processo di sorgente e della propagazione
delle onde sismiche, possono simulare realisticamente il moto del terreno. I terremoti
forti sono infatti eventi rari e pertanto il numero di registrazioni strong-motion di cui si
dispone è insufficiente per caratterizzare in modo completo il potenziale sismico di una
certa zona. Tuttavia, grazie alle tecniche di modellazione è possibile definire dei terremoti di scenario e calcolare i corrispondenti sismogrammi sintetici senza dover aspettare
che si verifichi, con i conseguenti danni, un evento forte.
La modellazione può essere effettuata a diversa scala di dettaglio, a seconda del grado
di conoscenza geologica, geofisica, sismologica e sismotettotica di cui si dispone. La
presente tesi si pone pertanto come obiettivo la stima deterministica, con metodologie
avanzate, della pericolosità sismica nel mio comune di residenza, ossia il comune di
Nimis, in provincia di Udine, finalizzata alla costruzione di un edificio residenziale secondo le moderne tecnologie antisismiche (isolamento sismico). La tesi è articolata nel
3
INTRODUZIONE
seguente modo.
Nel Capitolo 1 viene presentata la nuova normativa antisismica, basata sull’approccio
probabilistico per la valutazione della pericolosità sismica, presentando gli aspetti principali e i punti deboli del metodo stesso.
Nel Capitolo 2 viene effettuata una zonazione deterministica a scala nazionale basata sul
calcolo di sismogrammi sintetici, trascurando gli effetti di sito, considerando le sorgenti sismiche come sorgenti puntiformi e limitando a 1 Hz il contenuto in frequenza dei
segnali stessi. Dai sismogrammi vengono poi estratti i valori massimi in spostamento,
velocità ed accelerazione di progetto (DGA) e convertiti in intensità macrosismiche. Il
metodo usato viene poi integrato con la procedura per il riconoscimento delle aree ad
elevato potenziale sismogenetico.
Nel Capitolo 3 viene presentato in dettaglio il metodo della somma modale su cui si
basa la zonazione deterministica a scala nazionale. Esso consente infatti il calcolo di
sismogrammi sintetici in mezzi anelastici lateralmente omogenei (struttura a strati piani
paralleli), che rappresentano le proprietà della litosfera a scala regionale.
Nel Capitolo 4 viene introdotto il metodo ibrido, usato poi nel Capitolo 5 per effettuare
la microzonazione sismica di Nimis. Il metodo ibrido, combinando la tecnica della somma modale, usata per simulare la propagazione delle onde dalla posizione della sorgente
al sito di interesse, con quella delle differenze finite, che permette di propagare il campo
d’onda all’interno della struttura locale, anelastica ed eterogenea che si vuole modellare
in dettaglio, consente infatti di includere nel calcolo dei sismogrammi sintetici gli effetti
di sito.
Nel Capitolo 5, facendo uso del metodo ibrido e delle informazioni geologiche e geotecniche disponibili per il comune di Nimis, viene effettuato uno studio dettagliato del
moto del suolo lungo quattro sezioni, associate a quattro diverse sorgenti sismiche. In
questo caso viene aumentato il contenuto in frequenza dei segnali e considerata, attraverso l’uso del programma PULSYN, l’estensione finita delle sorgenti sismiche.
Nel Capitolo 6 vengono mostrati i risultati della microzonazione effettuata nel capitolo
precedente in termini di spettri di risposta, che rappresentano la risposta di un oscillatore semplice ad un dato input sismico. L’aspetto ingegneristico del rischio sismico viene
quindi introdotto presentando un esempio di applicazione dell’isolamento sismico ad un
edificio residenziale.
4
Capitolo
1
Normativa antisismica e metodo
probabilistico
1.1 Normativa antisismica
Recentemente è stata redatta una nuova mappa di pericolosità sismica di riferimento
per l’individuazione delle zone sismiche prevista dall’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n.3274 del 20 marzo 2003 concernente i “Primi elementi in materia
di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative
tecniche per le costruzioni in zona sismica”. Secondo i limiti previsti dall’Allegato 1
di tale Ordinanza (“Criteri per l’individuazione delle zone sismiche. Individuazione,
formazione e aggiornamento degli elenchi nelle medesime zone”), il comune di Nimis
viene inserito nella prima zona sismica, corrispondente ad una accelerazione orizzontale di ancoraggio dello spettro di risposta elastico pari a 0.35 g e ad una accelerazione
orizzontale con probabilità di superamento del 10% in 50 anni > 0.25 g (Tabella 1.1).
Tabella 1.1: Criteri per l’individuazione delle zone sismiche fissati dall’Ordinanza PCM n.3274.
zona
accelerazione orizzontale
accelerazione orizzontale
con probabilità di superamento
di ancoraggio dello spettro
pari al 10 % in 50 anni (g)
di risposta elastico (g)
1
> 0.25
0.35
2
0.15-0.25
0.25
3
0.05-0.15
0.15
4
< 0.05
0.05
La mappa di pericolosità sismica prevista dall’Ordinanza è stata prodotta dal Gruppo
di Lavoro istituito dall’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), seguendo
il classico approccio probabilistico della pericolosità sismica proposto da Cornell (1968)
e tradotto in codici software (SEISRISK III) da Bender e Perkins (1987). Questo metodo
è stato seguito a livello mondiale (e.g. GSHAP) per valutazioni di pericolosità sismica e
5
Capitolo 1. NORMATIVA ANTISISMICA E METODO PROBABILISTICO
viene spesso adottato per scopi di normativa sismica, nonostante trascuri i risultati conseguiti dalla ricerca negli ultimi venti anni. Esso si basa sostanzialmente sulle seguenti
informazioni:
1. zonazione sismogenetica;
2. caratteristiche di ricorrenza (o distribuzione di probabilità) della sismicità e valutazione della magnitudo massima per ciascuna zona sismogenetica;
3. relazioni di attenuazione, in funzione della distanza, dei parametri che descrivono
il moto del suolo.
Va sottolineato che lo scopo di un’analisi di tipo probabilistico della pericolosità sismica
(PSHA - Probabilistic Seismic Hazard Analysis) è di quantificare il tasso (o probabilità)
di eccedenza, durante uno specificato periodo di tempo, di varie soglie di moto del suolo
ad un dato sito (o ad una mappa di siti), prendendo in considerazione il possibile contributo di tutte le sorgenti sismogenetiche che influenzano la regione studiata. Il parametro che illustra il movimento del suolo più comunemente usato per la caratterizzazione
della pericolosità sismica, e previsto anche dall’Ordinanza, è il PGA (accelerazione di
picco orizzontale del suolo atteso in un determinato sito), in quanto i manuali di ingegneria sismica fanno riferimento alla forza orizzontale che un edificio deve sopportare
durante un terremoto. Questo anche se negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza dell’importanza che possono avere le forze verticali nell’aggravamento dei danni
strutturali.
1. Definizione delle zone sismogenetiche. Nell’analisi probabilistica standard della
pericolosità sismica, le sorgenti sismiche sono modellate mediante le zone sismogenetiche (SZ), nell’ipotesi che esse siano fra loro indipendenti per quanto riguarda il meccanismo di generazione dei terremoti. Si assume inoltre che la sismicità sia uniformemente
distribuita all’interno delle zone sismogenetiche: in altre parole, la probabilità di avere
un terremoto di una certa magnitudo è la medesima per ogni punto della zona sismogenetica. L’assunzione acritica di omogeneità delle sorgenti sismiche, all’interno di ciascuna SZ, può introdurre tuttavia significativi errori nella valutazione della pericolosità
sismica ad un dato sito. Inoltre, l’assenza di una definizione chiara ed univoca di “zona
sismogenetica”, rende impossibile stabilire un criterio standard per l’individuazione delle zone stesse, introducendo cosı̀ un elemento di sostanziale incertezza nella stima della
pericolosità sismica. Come conseguenza, per effettuare calcoli di pericolosità sismica di
tipo probabilistico possono essere usati diversi modelli di sorgenti sismiche, ottenendo
in questo modo diverse stime di PSHA, che risultano peraltro notevolmente influenzate
dalla geometria delle SZ usate per il calcolo (Peruzza et al., 2001).
A partire da un sostanziale ripensamento della precedente zonazione ZS4 (Scandone e
Stucchi, 2000), che aveva rappresentato il punto di riferimento per la maggior parte delle
valutazioni di pericolosità sismica nell’area italiana, in [33] è stata elaborata una nuova
zonazione sismogenetica, denominata ZS9, alla luce delle evidenze di tettonica attiva e
delle valutazioni sul potenziale sismogenetico acquisite negli ultimi anni. In totale le
zone sismogenetiche di ZS9 sono 36, alle quali vanno aggiunte 6 zone non utilizzate
in quanto non contribuiscono significativamente alla pericolosità del territorio italiano.
Ogni ZS è corredata da un meccanismo focale prevalente (meccanismo focale che ha
6
1.1 Normativa antisismica
la massima probabilità di caratterizzare i futuri terremoti significativi), determinato nella prospettiva di utilizzo delle relazioni di attenuazione classiche modificate secondo le
procedure di Bommer et al. (2003). Va sottolineato tuttavia che alcune delle zone sismogenetiche di ZS9 non sono indipendenti, come indicato dalla distribuzione di aftershocks
di terremoti forti nell’Italia meridionale.
2. Caratterizzazione dei tassi di ricorrenza e della magnitudo massima. Un altro
elemento fondamentale nella stima probabilistica è rappresentato dalla caratterizzazione
dei tassi di ricorrenza degli eventi sismici e dalla valutazione della magnitudo massima
per i terremoti attesi entro ciascuna zona sismogenetica. Una relazione di ricorrenza
descrive la probabilità che un terremoto avvenga, entro un certo intervallo di tempo e
di magnitudo, in un punto qualsiasi della SZ. Queste relazioni, che consentono di incorporare nell’analisi della pericolosità l’informazione disponibile sulla storia sismica,
vengono derivate sulla base dei cataloghi di terremoti, compilati utilizzando sia registrazioni strumentali che informazioni storiche. Per la redazione della mappa di pericolosità
è stato abbandonato il catalogo NT4.1 (Camassi e Stucchi, 1996), che era stato finalizzato alla valutazione della pericolosità sismica del territorio italiano in combinazione
con la zonazione sismogenetica ZS4, ed è stata realizzata una versione aggiornata del
Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, denominata CPTI04 [40].
Essendo un catalogo concepito e compilato essenzialmente per operazioni di valutazione della pericolosità sismica del territorio nazionale, la magnitudo minima riportata in
esso è M = 4. Inoltre, per l’applicazione dell’approccio probabilistico di Cornell (1968),
il catalogo contiene solo gli eventi principali, in quanto l’assunzione poissoniana che i
terremoti non abbiano memoria, richiede l’eliminazione preventiva degli eventi dipendenti. In [33] i fore-shocks e gli aftershocks (repliche) sono stati rimossi utilizzando
un criterio basato su finestre spazio-temporali prefissate, più precisamente all’interno di
finestre spazio-temporali di raggio 30 km e 90 giorni è stato conservato solo l’evento
maggiore. Questo rappresenta un ulteriore punto critico nell’analisi probabilistica, in
quanto il “fore-shock” non è formalmente e fisicamente ben definito; la stessa definizione delle repliche, sebbene caratterizzata in modo più rigoroso grazie al gran numero di
osservazioni disponibili, appare tutt’ora controversa.
La procedura per il calcolo dei tassi di sismicità, i.e. il numero medio di terremoti osservati in 100 anni, in funzione della magnitudo, prevede una stima preliminare della
soglia di completezza del catalogo in funzione del tempo, ossia l’identificazione degli
intervalli temporali nei quali si può ritenere che tutti gli eventi accaduti, con magnitudo superiore ad una certa soglia, siano stati effettivamente riportati nel catalogo stesso.
Una tipica legge di ricorrenza, usata anche in [33] è la legge di Gutenberg-Richter (GR):
LogN = a + bM, dove N rappresenta il numero di eventi in un certo periodo con magnitudo ≥ M. Va ricordato tuttavia che, in considerazione dei modelli di sismicità MS
(modello multi-scala; Molchan et al., 1997) e CE (“terremoto caratteristico”; Schwartz e
Coppersmith, 1984), la linearità della GR non è sempre applicabile. In altre parole, l’estrapolazione della GR, se non accompagnata da un adeguato ampliamento della regione
considerata, può portare ad una pericolosa sottostima della probabilità di occorrenza degli eventi più forti. Infatti, secondo il modello MS, la linearità può essere applicata solo
per gli eventi la cui dimensione lineare è circa un ordine di grandezza inferiore rispetto
alla scala caratteristica della zona sismogenetica. In caso contrario, la GR non è più rap7
Capitolo 1. NORMATIVA ANTISISMICA E METODO PROBABILISTICO
presentativa della sismicità per la zona sismogenetica, ma bisogna introdurre il concetto
di CE.
Un altro elemento rilevante nella stima probabilistica è la definizione della magnitudo
massima attesa in ogni zona sismogenetica. Questo valore rappresenta generalmente solo un elemento di tipo cautelativo, che viene adottato per includere nella stima del moto
del suolo atteso la possibilità che si verifichino, sia pure con probabilità molto bassa,
eventi di magnitudo superiore a quelli verificatisi nel periodo considerato dal catalogo.
Tale scelta riflette ovviamente la scarsa conoscenza del potenziale sismogenetico di una
regione.
3. Relazioni di attenuazione dei parametri che descrivono il moto del terreno. Una
volta caratterizzato il potenziale sismogenetico delle diverse zone (i.e. le sorgenti sismiche), la pericolosità in un dato sito viene valutata trasferendo il contributo allo scuotimento da ciascuna zona al sito stesso, mediante opportune relazioni di attenuazione del
moto del suolo. Le più comunemente usate hanno la seguente forma:
1
Log(y) = a + bM + cLog(r2 + h20 ) 2 + eS ± σ
dove y è il parametro del moto del terreno (ad esempio il PGA), a, b, c, ed e sono
dei coefficienti stimati empiricamente, abbastanza sensibili al set di dati usato per la
determinazione delle relazioni stesse, r è una misura della distanza dalla sorgente, h0
rappresenta una profondità di riferimento, S è una variabile binaria (0 o 1) che dipende dal tipo di terreno, e σ è lo scarto quadratico medio espresso in unità logaritmiche,
che viene stimato direttamente dalle regressioni dei dati strong-motion tramite opportuni funzionali. Il valore dello scarto quadratico medio della relazione di attenuazione
considerata esprime il livello di confidenza da associare ai parametri che descrivono il
moto del suolo: valori elevati implicano minore confidenza nella stima dei parametri del
moto del suolo e quindi nella legge di attenuazione.
L’elevato numero di equazioni disponibili in letteratura testimonia la difficoltà nella definizione delle relazioni di attenuazione da usare per il calcolo probabilistico della pericolosità sismica. Per la redazione della nuova mappa di pericolosità sismica del territorio
nazionale sono state utilizzate relazioni di attenuazione europee ed italiane. Più precisamente è stato fatto riferimento alla relazione di Ambraseys et al. (1996), calibrata su
qualche centinaio di dati strong-motion europei (tra cui anche la registrazione del terremoto del Friuli 1976), ed alla relazione di Sabetta e Pugliese (1996), calibrata invece su
dati italiani. È opportuno sottolineare che una data relazione di attenuazione assume lo
stesso modello di propagazione per tutti gli eventi, sebbene questa ipotesi non sia molto
realistica. Inoltre le relazioni di attenuazione non sono invarianti per traslazione, ma
dipendono fortemente dal set di dati usato per la calibrazione delle relazioni stesse.
La relazione proposta da Ambraseys et al. (1996):
Log(PHA) = −1.48+0.266M s −0.992Log(r2 +3.52 )1/2 +0.117S A +0.124S S ±0.25 (1.1)
per l’attenuazione del PHA (accelerazione orizzontale di picco) ha il vantaggio di essere
applicata in un ampio intervallo di magnitudo (MS compresa tra 4.0 e 7.9) e di essere
calibrata su tre diversi tipi di terreno, suddivisi in base al valore della velocità delle onde
8
1.1 Normativa antisismica
di taglio nei primi 30 m: “roccia”, “suoli rigidi”, e “suoli soffici”. La relazione di Sabetta
e Pugliese (1996):
Log(PGA) = −1.562 + 0.306M − Log(r2 + 5.82 )1/2 + 0.169S 1 + 0.0S 2 ± 0.173 (1.2)
utilizza invece due differenti tipi di magnitudo (ML o MS a seconda dell’entità del terremoto) e copre un intervallo di magnitudo inferiore, mentre le condizioni geologiche
al sito sono definite da tre categorie, in base alla velocità delle onde di taglio ed allo spessore dei sedimenti. Per poter quindi applicare quest’ultima relazione, in [33] è
stata necessaria una estrapolazione per valori maggiori del suo valore di soglia ed una
conversione delle magnitudo disponibili in ML o MS . Inoltre, per entrambe le relazioni
di attenuazione la definizione della distanza tra sito e sorgente non è unica; infatti può
corrispondere alla distanza dalla proiezione in superficie della faglia (che a sua volta
può essere stimata in modi diversi) per gli eventi più forti, oppure alla distanza epicentrale per i terremoti più deboli. Tutto ciò contribuisce evidentemente ad accrescere
l’incertezza e la soggettività della valutazione della pericolosità. Infine, per entrambe le
relazioni, in [33] sono stati utilizzati i fattori correttivi proposti da Bommer et al. (2003),
che permettono di tenere conto del meccanismo focale prevalente (normale, inverso o
trascorrente) della ZS considerata. Oltre a queste relazioni di attenuazione di carattere
generale, in [33] sono state calibrate anche delle relazioni di attenuazione regionali per
quattro macrozone a partire da registrazioni strong- e weak-motion. Per quanto riguarda
le porzioni di territorio per le quali non sono state preparate le relazioni di attenuazione regionali, in [33] il problema è stato risolto estendendo i risultati disponibili per le
quattro macrozone predette a macrozone con caratteristiche crostali analoghe.
4. Stima probabilistica della pericolosità sismica. A partire da questi elementi, in
[33] è stata valutata la mappa di pericolosità sismica per il territorio nazionale. Come
previsto dall’Ordinanza, i calcoli sono stati fatti “in termini di accelerazione massima del
suolo” considerando una “probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni”, che corrisponde
ad un periodo medio di ritorno di 475 anni. Si tratta di una scelta usuale nell’ingegneria
sismica, che è stata adottata anche come valore di riferimento nel recente codice sismico
europeo (Eurocode EC8) per la progettazione degli edifici di civile abitazione.
I risultati delle stime di PSHA si riferiscono ad un generico sito su roccia. Infatti le
“Norme tecniche per il progetto, la valutazione e l’adeguamento sismico degli edifici”,
All.2 dell’Ordinanza, prevedono che al fine dell’applicazione delle norme, il territorio
nazionale venga suddiviso in “zone sismiche, ciascuna contrassegnata da un diverso
valore del parametro ag - accelerazione orizzontale massima su suolo di categoria A”
(punto 3.2.1), definito nelle stesse norme (al punto 3.1) come costituito da “Formazioni
di litoidi o suoli omogenei molto rigidi caratterizzati da valori di vS 30 superiori a 800
m/s, comprendenti eventuali strati di alterazione superficiale di spessore massimo pari a
5 m”, dove vS 30 è la media pesata della velocità delle onde di taglio nei primi 30 m di
profondità.
La mappa di pericolosità finale (Figura 1.1) è stata ottenuta seguendo il criterio dell’albero
logico, che affronta il problema della definizione non univoca di:
- modalità di valutazione degli intervalli di completezza del catalogo;
- modalità di calcolo dei tassi di sismicità e della magnitudo massima;
9
Capitolo 1. NORMATIVA ANTISISMICA E METODO PROBABILISTICO
- tipi di relazione di attenuazione del moto del suolo e attribuzione areale delle relazioni
a carattere regionale
e della loro influenza sulla stima probabilistica della pericolosità sismica. Più precisamente essa è stata ottenuta come mediana delle 16 mappe corrispondenti ad altrettanti
rami di un albero logico (ciascuno dei quali rappresenta specifiche scelte dei tre elementi in gioco), cui viene attribuito un peso diverso. Questo metodo consente di valutare
Figura 1.1: Mappa conclusiva di pericolosità sismica (PGA con probabilità di superamento del 10% in
50 anni), ottenuta come mediana delle 16 mappe corrispondenti ai 16 rami dell’albero logico.
l’influenza delle diverse scelte nella stima della pericolosità, permettendo cosı̀ una valutazione delle incertezze epistemiche associate al processo di calcolo. Infatti le incertezze
in gioco in una analisi di tipo probabilistico della pericolosità sismica sono di due tipi:
aleatorie ed epistemiche. Le incertezze aleatorie sono quelle proprie di un sistema fisico, rappresentano la variabilità naturale di un processo e non possono essere ridotte
mediante l’accumulo di ulteriori dati o informazioni aggiuntive: non importa quanto
accuratamente si conosce la magnitudo e la distanza da un terremoto, perchè ci sarà
sempre qualche incertezza nel predire quale sarà il moto del terreno; pertanto la quantificazione di questo tipo di incertezze viene fatta introducendo nel calcolo la stima della
deviazione standard delle relazioni di attenuazione. D’altro canto le incertezze epistemiche sono quelle che derivano da una mancanza di dati o dall’incompleta conoscenza
scientifica che noi abbiamo di un fenomeno, e per questo non possiamo modellarlo completamente. Le incertezze epistemiche si riflettono nell’ampia scelta delle metodologie
da adottare nei singoli passi procedurali per generare le mappe di pericolosità, che variano da autore ad autore e determinano differenze notevoli nei risultati finali. A questo
punto è opportuno sottolineare come, nonostante la consapevolezza delle incertezze che
entrano in gioco nella stima della pericolosità sismica, i valori riportati nella legenda di
Figura 1.1 sono espressi con tre cifre significative, fornendo in questo modo una precisione non realistica. Il metodo dell’albero logico, tuttavia, pur consentendo di valutare
10
1.2 PSHA e condizioni locali del terreno per il Friuli Venezia Giulia
la stabilità/sensibilità dei risultati rispetto alle scelte effettuate, non consente necessariamente di ottenere una stima più realistica della pericolosità sismica, rispetto a quelle
che si otterrebbero considerando scelte ben precise, poiché, ad esempio, non vengono
considerate le condizioni locali del terreno. Un’ulteriore punto debole del metodo dell’albero logico sta nel fatto che ad ogni ramo viene associato un certo peso: gran parte
del risultato finale dipende quindi da questa scelta che non può essere fatta, di regola,
seguendo criteri rigorosamente obiettivi.
Dalla Figura 1.1, può essere facilmente constatato come il comune di Nimis sia caratterizzato per lo più da valori di PGA compresi tra 0.250 e 0.275 g, mentre nella punta
meridionale, la pericolosità scende (PGA compreso tra 0.225 e 0.250 g).
1.2 PSHA e condizioni locali del terreno per il Friuli
Venezia Giulia
È ben risaputo che un elemento che influenza notevolmente la pericolosità sismica
è la risposta locale del terreno. I calcoli di pericolosità previsti dall’Ordinanza sono,
però, riferiti ad un terreno particolare, ossia roccia o suolo molto rigido (Categoria A,
con vS 30 > 800 m/s, secondo la classificazione introdotta nella stessa Ordinanza, All.2
Norme Tecniche, Azione sismica, 3.1). Di conseguenza la mappa finale di pericolosità è poco rappresentativa del moto del suolo realmente atteso ad uno specifico sito.
Quando però si valuta la pericolosità a scala regionale si possono tentare valutazioni che
riguardano eventuali amplificazioni del moto del suolo dovute alle condizioni locali del
terreno. Per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia si trovano in letteratura due lavori
antecedenti l’Ordinanza, Peruzza et al., (2001) [64] e Rebez et al, (2001) [65], che calcolano la pericolosità sismica tenendo conto della tipologia reale dei terreni nella regione
in considerazione.
Questa tipologia è stata definita da Peruzza et al. (2001) alla scala amministrativa dei
comuni. In tal caso a ciascun comune è stato assegnato un terreno tipico (roccia, suolo
rigido, suolo soffice), corrispondente alla tipologia di terreno sul quale insiste la maggior parte dell’edificato, e la relazione di attenuazione ad esso correlata, secondo la
classificazione di Ambraseys et al., (1996). Dalla Figura 1.2 si può vedere come la maggioranza dei comuni della regione risulta caratterizzata da terreno rigido, mentre nella
fascia costiera, in alcuni comuni della Carnia (dove il centro comunale è posto in fondovalle) e a Nimis, prevale il terreno soffice. Utilizzando queste informazioni, assieme
alla zonazione ZS4 e al catalogo NT4, è stata ottenuta una mappa di PGA con periodo di
ritorno pari a 475 anni (Figura 1.3) che potenzialmente descrive in modo più adeguato
lo scuotimento atteso e nella quale si possono osservare valori di PGA diversi anche tra
comuni confinanti, se caratterizzati da terreni differenti. La mappa di Figura 1.3 mostra
inoltre come nel comune di Nimis ci si possa aspettare un valore PGA compreso tra 0.24
e 0.279 g, comunque comparabile con quello fornito dalla mappa di Figura 1.1.
Una variante di tale mappa probabilistica è stata proposta da Rebez et al. (2001), che
utilizza una diversa zonazione sismogenetica (appositamente preparata per tale studio)
ed una più dettagliata caratterizzazione della tipologia del suolo. Più precisamente è
stata predisposta una carta numerica alla scala 1:25000 (Figura 1.4), nella quale sono
11
Capitolo 1. NORMATIVA ANTISISMICA E METODO PROBABILISTICO
Figura 1.2: Tipologie di terreni nei comuni della regione Friuli Venezia Giulia secondo la classificazione
di Ambraseys et al. (1996).
Figura 1.3: Mappa in PGA con periodo di ritorno di 475 ottenuta considerando per ogni comune il
terreno specifico della Figura 1.2.
stati distinti tutti gli areali caratterizzati da affioramento di roccia, mentre la restante
parte del territorio è stata attribuita alla categoria dei terreni soffici. Tenendo conto della suddivisione del territorio in areali a diversa litologia (roccia o suolo) è stata redatta
una mappa di pericolosità sismica alla “superficie libera” per il Friuli Venezia Giulia,
ove il moto del suolo è espresso sia in termini di PGA che SA (accelerazione spettrale).
Infatti, anche nell’applicazione della metodologia probabilistica si va facendo strada la
consapevolezza che il PGA da solo non è in grado di descrivere adeguatamente tutti gli
effetti associati allo scuotimento del terreno, in quanto sia la frequenza che la durata del
treno d’onde sismiche possono giocare un ruolo decisivo nel determinare la risposta degli edifici. Anche dalla Figura 1.5, che rappresenta la mappa di pericolosità sismica per
il Friuli Venezia Giulia in termini di PGA con periodo medio di ritorno di 475 anni, si
nota come, in contrasto con le mappe usuali di pericolosità, lo scuotimento non mostra
un pattern regolare: si possono quindi osservare diversi valori di PGA anche all’interno
12
1.2 PSHA e condizioni locali del terreno per il Friuli Venezia Giulia
Figura 1.4: Tipologie di suoli presenti nella regione Friuli Venezia Giulia.
Figura 1.5: Mappa in PGA con periodo di ritorno di 475 anni ottenuta considerando la suddivisione del
territorio in areali a diversa litologia.
dello stesso comune, se caratterizzato da litologie differenti. Infatti all’interno del comune di Nimis i valori di PGA variano da 0.32 g a 0.56 g. In altre parole, considerando
le condizioni locali del terreno, si possono ottenere a Nimis valori di PGA anche doppi
rispetto a quelli della mappa di Figura 1.1.
13
Capitolo 1. NORMATIVA ANTISISMICA E METODO PROBABILISTICO
1.3 Stima della pericolosità sismica: metodo probabilistico e metodo deterministico
Il metodo probabilistico fornisce delle informazioni potenzialmente utili ma non certamente sufficienti per caratterizzare completamente la pericolosità sismica ad un dato
sito.
È già stata sottolineata l’importanza della geologia, che può determinare un aumento
non trascurabile della pericolosità sismica. Tuttavia i cosiddetti “effetti di sito” possono
essere stimati solo mediante una modellazione dettagliata delle condizioni locali al sito
e la caratterizzazione delle sorgenti che determinano la sollecitazione sismica. È vero
infatti che data una sorgente, siti diversi rispondono in modo diverso alla sollecitazione,
ma uno stesso sito non risponde sempre allo stesso modo cambiando sorgente. Per questo motivo il metodo probabilistico, che separa il termine di sito dai termini di sorgente e
propagazione, ritenendo che il moto sismico possa essere espresso dal prodotto convolutivo dei tre termini, risulta applicabile solo a situazioni particolarmente semplici (fasi o
modi singoli, che non interferiscono fra loro) e non alla maggior parte dei casi reali, nei
quali il moto sismico è formato dalla sequenza di varie fasi che interferiscono fra loro
o, equivalentemente, da un certo numero di modi di vibrazione. Diventa quindi importante la modellazione del moto del suolo mediante il calcolo di sismogrammi sintetici
realistici. In questo modo anche i valori di picco, tra cui il PGA, possono essere stimati
direttamente dai sismogrammi sintetici, senza dover ricorrere alle leggi di attenuazione,
che hanno una validità generale e non sono quindi rappresentative di situazioni specifiche.
Per venire incontro a queste necessità, accanto al metodo probabilistico è stato inizialmente sviluppato un metodo diverso: il metodo deterministico. Esso fornisce una descrizione della severità del moto del terreno dovuta a un terremoto di una data distanza
e magnitudo (“terremoto di scenario”). Nel capitolo successivo si vedrà come anche il
metodo deterministico faccia uso delle zone sismogenetiche, ma in maniera diversa: la
sismicità non sarà più uniformemente distribuita all’interno delle zone sismogenetiche,
ma verranno definite delle sorgenti caratterizzate dal terremoto massimo atteso e dalla
loro distanza dai siti. Perde quindi validità anche il concetto di legge di ricorrenza, di
difficile definizione e che porta a pesare maggiormente gli eventi deboli e frequenti rispetto a quelli forti, ma rari.
Nella formulazione classica del metodo deterministico il moto del terreno ad un determinato sito viene valutato a partire dalla legge di attenuazione corrispondente alla
magnitudo del terremoto di scenario: la pericolosità in un dato sito viene quindi definita
come il valore del parametro, ad es. l’accelerazione, estrapolato dalla curva di attenuazione alla distanza del sito dalla sorgente. Dato che le leggi di attenuazione non sono
invarianti per traslazione, è stato sviluppato un nuovo approccio per il metodo deterministico, basato sul calcolo di sismogrammi sintetici, dai quali possono essere poi estratti
i parametri di interesse. Svincolandosi, quindi, dai problemi legati alle leggi di ricorrenza e alle leggi di attenuazione, che portano ad una stima della sismicità che rappresenta
solo una grossolana approssimazione della realtà, e basandosi, invece, su tecniche di
modellazione che si sono sviluppate in seguito alla conoscenza del processo di sorgente e della propagazione delle onde sismiche, il metodo deterministico permette ora di
simulare realisticamente il moto del terreno associato ad un dato terremoto di scenario
14
1.3 Stima della pericolosità sismica: metodo probabilistico e metodo deterministico
(Panza et al., 1996, 2000; Field et al., 2000). Per tali motivi, nel corso di questa tesi verrà
adottato, per la valutazione del moto del suolo a Nimis, il metodo neo-deterministico.
15
Capitolo
2
Stima deterministica della pericolosità
sismica a scala nazionale
La procedura per la stima deterministica della pericolosità sismica si basa sulla possibilità di modellare il moto del suolo in qualsiasi sito di interesse, mediante il calcolo
di sismogrammi sintetici realistici, a partire dalle informazioni disponibili sulla struttura della Terra, sorgenti sismiche e livello di sisimicità dell’area investigata. Infatti, lo
studio completo della risposta non lineare delle strutture alla sollecitazione sismica richiede l’utilizzo di sismogrammi in un opportuno intervallo di frequenze, che vengono
efficientemente generati ai siti di interesse con la tecnica della somma modale (per la
trattazione analitica si rimanda al Capitolo 3). In questo modo si ottiene una stima realistica della pericolosità sismica anche in quelle aree per le quali l’informazione storica
o strumentale è scarsa o assente. La stima della pericolosià viene effettuata al bedrock
(basamento), in quanto il livello di dettaglio assunto nella modellazione non permette di
considerare le condizioni locali del terreno.
Per la stima della pericolosità sismica a scala nazionale il metodo deterministico considera diversi insiemi di poligoni, che vengono utilizzati per caratterizzare le sorgenti
sismiche (e.g. i meccanismi focali, le aree sismogenetiche ed i cataloghi di terremoti) e per delimitare le aree associabili a differenti modelli strutturali (modelli 1D, ossia
con proprietà anelastiche del mezzo attraversato dalle onde sismiche definite in funzione
della profondità). In tale analisi, effettuata mediante la simulazione del moto del suolo
al basamento, chiaramente gli effetti di sito vengono trascurati.
Il diagramma di flusso della procedura è mostrato in Figura 2.1.
2.1 Sorgenti
Per la definizione delle sorgenti sismiche ci si rifà agli eventi contenuti nei cataloghi di terremoti. La sismicità viene discretizzata in celle di dimensioni 0.2°x0.2°e a
ciascuna cella viene assegnata la massima magnitudo in essa registrata. Un esempio di
distribuzione delle magnitudo massime sul territorio è mostrato in Figura 2.2(a) assie17
Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A
SCALA NAZIONALE
Figura 2.1: Diagramma di flusso della procedura deterministica per la valutazione della pericolosità
sismica a scala nazionale. La componente verticale in genere non viene usata.
me ai poligoni di validità dei cataloghi di terremoti italiano (CPTI04), sloveno e croato.
Successivamente per tenere conto:
a) dei possibili errori di localizzazione dei terremoti presenti nei cataloghi storici,
b) delle dimensioni finite delle sorgenti sismiche,
c) della possibilità, per un terremoto avvenuto in passato in un certo punto, di avvenire in un altro punto della faglia, se questa è attiva,
viene effettuata una procedura di lisciamento (smoothing). In pratica viene definita una
finestra di lisciamento con raggio pari a 3 celle, che ha la funzione di “spalmare” sulle celle della finestra la magnitudo della cella centrale se questa è maggiore di quella
della cella in esame. I risultati dell’operazione di smoothing vengono mostrati in Figura 2.2(b). Completata l’operazione di smoothing, vengono selezionate le sole celle
che cadono all’interno delle zone sismogenetiche. La distribuzione della magnitudo lisciata per le celle che appartengono alla zonazione sismogenetica ZS9 è mostrata in
Figura 2.2(c).
Infine, ad ogni poligono che definisce una zona sismogenetica viene assegnato un meccanismo focale rappresentativo della tettonica della zona. Questo meccanismo focale
può essere assegnato a priori, come è stato possibile fare in concomitanza all’uso della
zonazione sismogenetica ZS9, oppure può essere calcolato mediante la media aritmetica
18
2.2 Struttura
degli elementi dei tensori dei meccanismi disponibili all’interno della zona sismogenetica. Dal meccanismo focale medio cosı̀ ottenuto, in generale non corrispondente ad una
doppia coppia, viene quindi estratta la miglior doppia coppia.
(a)
(b)
(c)
Figura 2.2: (a) Distribuzione sul territorio delle magnitudo massime; (b) distribuzione sul territorio delle
magnitudo “lisciate”; (c) distribuzione delle magnitudo “lisciate” all’interno delle zone sismogenetiche.
2.2 Struttura
Per quanto riguarda la struttura, la procedura considera un insieme di poligoni regionali (17 sono quelli usati nell’applicazione della procedura al territorio italiano), ciascuno dei quali rappresenta le proprietà della litosfera a scala regionale. Ogni modello
strutturale è caratterizzato da strati piani paralleli, fino a una profondità di circa 1000
km, alla quale la velocità delle onde S raggiunge il valore di circa 6.4 km/s. Questo
viene fatto per garantire che la velocità delle onde S nel semispazio sia maggiore delle
velocità delle onde P nei singoli strati crostali più superficiali. Infatti, con la tecnica della somma modale, i sismogrammi sintetici conterranno tutte le onde che viaggiano con
una velocità di fase inferiore alla velocità delle onde S del semispazio omogeneo con cui
termina la struttura stratificata. Per ogni strato vengono quindi definiti spessore, densità,
velocità delle onde P, velocità delle onde S e i rispettivi parametri di attenuazione. Nel
19
Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A
SCALA NAZIONALE
calcolo dei sismogrammi sintetici, l’effetto delle eterogeneità laterali viene preso in considerazione in modo approssimativo: se il percorso sorgente-ricevitore attraversa uno o
più confini tra modelli strutturali adiacenti, il segnale è calcolato assumendo il modello del ricevitore come rappresentativo dell’intero percorso, massimizzandone quindi gli
effetti.
L’utilizzo di un modello semplificato di struttura della Terra deriva, come verrà dimostrato nel Capitolo 3, dalla scelta di una risoluzione analitica delle equazioni del
moto.
2.3 Siti e sismogrammi sintetici
Le strutture e le sorgenti vengono utilizzate come dati di input per generare un database di sismogrammi sintetici realistici, secondo il metodo della somma dei modi. I
sismogrammi sintetici vengono calcolati in siti collocati ai vertici di una griglia di passo
0.2°x0.2°, che copre l’intero territorio italiano, e viene stimata ad ogni sito la somma
vettoriale delle componenti radiale e trasversale del moto del suolo ai fini della mappatura dello scuotimento. Per ridurre il numero di elaborazioni, la distanza massima
sorgente-ricevitore viene fissata a 25, 50 e 90 km, in funzione della magnitudo associata
alla sorgente stessa (M < 6, 6 ≤ M < 7 e M ≥ 7, rispettivamente). Tutti i sismogrammi sono valutati per un contenuto in frequenza massimo di 1 Hz in quanto il livello di
dettaglio assunto nella modellazione delle strutture rende non significativo spingersi a
frequenze maggiori. Si vedrà invece nel Capitolo 5 come sia possibile espandere lo spettro dei segnali fino a una frequenza di 5 Hz considerando strutture locali più dettagliate.
La profondità ipocentrale viene fissata in funzione della magnitudo (10 km per M < 7,
15 km per M ≥ 7), ma è anche possibile assegnare ad ogni sorgente una profondità media determinata dall’analisi dei cataloghi disponibili. Tenere la profondità ipocentrale
fissa (per classi di magnitudo) e superficiale è necessario a causa dei grandi errori che
generalmente interessano la profondità ipocentrale riportata nei cataloghi di terremoti.
I sismogrammi sintetici sono inizialmente valutati per un momento sismico unitario (1
dyna cm), poi la finitezza della sorgente viene tenuta in considerazione scalando lo spettro con le leggi di scala proposte da Gusev (1983): la magnitudo viene convertita in
momento usando la relazione di Kanamori (1977) e viene adottata una curva interpolandola tra quelle di Gusev note (Figura 2.3).
A ciascun sito restano cosı̀ associati diversi segnali completi, generati dalle varie sorgenti, ed è quindi possibile produrre un insieme di mappe di pericolosità sismica che
descrivono il moto del suolo e che rappresentano scenari regionali. Tali mappe vengono
tracciate considerando i valori massimi dello spostamento, della velocità, dell’accelerazione di progetto (DGA, Design Ground Acceleration), o di qualsivoglia altro parametro
di progetto estraibile dai sismogrammi sintetici. Solitamente non vengono prodotte mappe considerando i valori massimi dell’accelerazione, in quanto si ritiene che essi siano
sottostimati, dal momento che il contenuto in frequenza viene limitato a 1 Hz. Per questo
motivo, per le accelerazioni, i risultati deterministici vengono estesi a frequenze più alte
di 1 Hz calcolando uno spettro di risposta sintetico, a cui viene raccordata, per periodi
compresi tra 1 s e 5 s, la forma spettrale dello spettro di normativa EC8 (Eurocode 8,
1993), che definisce uno spettro di risposta del moto del terreno per uno smorzamento
pari al 5% dello smorzamento critico. Dato che i modelli strutturali regionali usati sono
20
2.4 Risultati al sito di Nimis
0.001
23
frequency (Hz)
0.01
0.1
1
10
100
0.1
Log M0 (N m)
21
19
17
15
13
1000
10
period (s)
1
Figura 2.3: Spettri di ampiezza medi proposti da Gusev (1983).
di tipo A, come definiti nell’EC8, il valore dell’intercetta dell’EC8 rappresenta il valore
di DGA cercato. Un esempio di tale procedura è illustrato in Figura 2.4.
I risultati della procedura deterministica sono particolarmente adatti per l’ingegneria
civile come input sismico per la progettazione di speciali edifici.
Figura 2.4: Esempio di calcolo del DGA: lo spettro sintetico calcolato a partire dai sismogrammi
sintetici viene prolungato mediante la forma spettrale dell’EC8 verso i corti periodi, fino ad ottenere, per
T = 0, il valore di DGA cercato.
2.4 Risultati al sito di Nimis
Al fine di associare una incertezza ai valori di pericolosità calcolati al sito di Nimis con la procedura sopraillustrata, sono state prodotte diverse mappe di pericolosità
risultanti dall’uso di due diverse zonazioni sismogenetiche (ZS4 e ZS9) e da tre diversi
cataloghi di terremoti (NT4 [18], CPTI04 [40], UCI [62]). Per entrambe le zonazioni sismogenetiche i meccanismi focali sono stati calcolati come miglior doppia coppia;
21
Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A
SCALA NAZIONALE
inoltre, per la zonazione sismogenetica ZS9 è stato possibile adottare i meccanismi focali medi mostrati in Figura 4 dell’Appendice n°2 al Rapporto Conclusivo. Per comodità
di notazione, d’ora in poi, la zonazione sismogenetica ZS9 associata ai meccanismi focali calcolati come miglior doppia coppia sarà denominata ZS9m; se associata invece
ai meccanismi focali “fissi” forniti dal GNDT sarà denominata ZS9f. Sono stati cosı̀
prodotti 9 scenari di pericolosità sismica considerando in ciascun caso i valori di picco
dello spostamento, della velocità e dell’accelerazione di progetto (DGA).
Per analizzare i dati è stato elaborato un software specifico, mediante il quale è stato
possibile estrarre i valori relativi al nodo di griglia più vicino a Nimis (46.2 N, 13.2 E),
e calcolarne le differenze e i rapporti tra le varie mappe, nonchè i valori massimi e medi.
I risultati sono illustrati in Appendice A. In Tabella 2.1 vengono invece mostrati i valori
massimi e i valori medi aumentati di una deviazione standard.
Tabella 2.1: Valori di riferimento massimi e medi per il nodo di griglia più vicino a Nimis ottenuti
dall’analisi dei 9 scenari calcolati.
valore massimo
valore medio
più una deviazione standard
spostamento (cm)
13.1
8.8 + 2.0
velocità (cm/s)
34.5
24.2 + 4.9
DGA (g)
0.44
0.30 + 0.06
Al fine di valutare l’influenza del catalogo di terremoti usato sui risultati ottenuti al
nodo di griglia più vicino a Nimis, questi ultimi sono stati tra loro confrontati variando
il catalogo e mantenendo fissa la zonazione sismogenetica. Si nota che per entrambe le
zonazioni i cataloghi NT4 e UCI non presentano differenze nei risultati di spostamento,
velocità ed accelerazione. Questo è direttamente riscontrabile nelle mappe che rappresentano la distribuzione delle magnitudo lisciate dei due cataloghi in quanto esse, nella
zona di Nimis, sono identiche. Il catalogo CPTI04 fornisce invece valori più alti. I risultati sono mostrati in Figura 2.5.
L’influenza della scelta dei meccanismi focali è stata invece valutata confrontando tra
loro le mappe associate alla zonazione sismogenetica ZS9, per la quale sono disponibili
due set di meccanismi focali. Nella Figura 2.6 si può osservare che la zonazione ZS9f
porta ad un accentuamento della pericolosità rispetto alla ZS9m.
In un’ultima indagine, a parità di catalogo, sono state confrontate le zonazioni ZS4,
ZS9m e ZS9f. Si nota in questo caso (Figura 2.7) come la zonazione ZS4 sottostimi la
pericolosità di Nimis rispetto alla ZS9f; invece la scelta tra ZS4 o ZS9m influisce poco
sui risultati.
Dalle analisi precedenti si può facilmente dedurre come i valori più alti si ottengono
nel caso della zonazione ZS9f e usando il catalogo CPTI04, ossia nel caso della versione deterministica della mappa di pericolosità sismica prevista dall’Ordinanza PCM 20
marzo 2003 n.3274, All.1. I risultati sono visualizzati in Figura 2.8.
È opportuno sottolineare che i valori minori di pericolosità si ottengono nel caso della
zonazione ZS9m e i cataloghi NT4 e UCI. Questa scelta porta ad una stima inferiore della pericolosità a Nimis di circa un grado di intensità rispetto alle mappe della Figura 2.8.
22
2.4 Risultati al sito di Nimis
Figura 2.5: Differenze e rapporti nei valori di spostamento (a), velocità (b) e DGA (c) ottenuti per il
sito di Nimis al variare del catalogo.
Infatti, leggi empiriche dimostrano che ad un raddoppio dei valori di picco corrisponde
un incremento di un grado di intensità. Ed in effetti i valori forniti dalle mappe prodotte
usando la zonazione ZS9m ed i cataloghi NT4 e UCI sono circa la metà di quelli ottenuti
nel caso della zonazione ZS9f con il catalogo CPTI04.
Utilizzando le relazioni che legano i valori dei parametri del moto del suolo alle intensità macrosismiche riportate nella base dati ING [16] e ISG (INGV, SSN e GNDT)
[51], sviluppate da Panza et al. (1997) per il territorio italiano (Tabella 2.2 e Tabella 2.3 rispettivamente), è stato possibile stimare le massime intensità attese al sito di
Nimis. I risultati sono riportati nelle Tabelle 2.4 e 2.5. L’intensità osservata a Nimis
(Iosservata = IX) è la stessa nelle due banche dati considerate.
Dato che le massime intensità stimate per il sito di Nimis sono quasi tutte maggiori della massima intensità osservata, è stata effettuata un’ulteriore analisi, usando il catalogo
di terremoti CPTI04 e la zonazione ZS9f, al fine di estrarre dagli scenari deterministici
valori di intensità direttamente confrontabili con i dati macrosismici osservati. Le mappe
prodotte precedentemente, infatti, non rispondono a questo scopo poichè in tal caso non
devono essere tenuti in considerazione nè i possibili errori di localizzazione presenti nei
23
Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A
SCALA NAZIONALE
Figura 2.6: Differenze e rapporti nei valori di spostamento (a), velocità (b) e DGA (c) ottenuti per il
sito di Nimis al variare dei meccanismi focali.
cataloghi storici, in quanto lo stesso tipo di errori è presente anche nelle osservazioni,
nè la possibilità per un dato terremoto di avvenire in un punto diverso della faglia, se
l’obiettivo dell’analisi è il confronto con i terremoti passati. L’unico elemento di cui si
deve tenere ancora conto è la dimensione delle sorgenti. Per questo motivo è stata applicata una finestra di lisciamento di raggio 1 cella per eventi con magnitudo maggiore
o uguale a 6.8 (3 celle ∼ 50 km, comparabile con le dimensioni rotte da un terremoto di
magnitudo 6.8), mentre non è stato applicato alcun lisciamento per eventi più piccoli.
I risultati della procedura sono mostrati in Figura 2.9. Si può osservare come la distribuzione delle magnitudo lisciate (Figura 2.9(b)) sia identica alla distribuzione delle
magnitudo discretizzate (Figura 2.9(a)), in quanto la magnitudo massima presente in
Friuli è 6.7, quindi inferiore a quella richiesta per effettuare una operazione di “smoothing”. Dalle mappe 2.9 si possono ricavare, per il sito di Nimis, i valori riportati nelle
Tabelle 2.6 e 2.7.
In questo caso, a parte il DGA, si nota un buon accordo tra le intensità stimate usando
le relazioni riportate in Tabella 2.3 e l’intensità osservata. Va comunque precisato che
24
2.5 Aree ad elevato potenziale sismogenetico
Figura 2.7: Differenze e rapporti nei valori di spostamento (a), velocità (b) e DGA (c) ottenuti per il
sito di Nimis al variare della zonazione sismogenetica.
il valore di intensità X in Tabella 2.7 deriva da un valore di DGA (0.26 g) non eccessivamente lontano dal limite superiore della classe di intensità IX (0.20 g) e, quindi, ci si
può ritenere soddisfatti dei risultati ottenuti dalla modellazione.
Usando invece le relazioni riportate in Tabella 2.2 si ottengono valori maggiori di un grado di intensità rispetto a quella osservata. Va comunque tenuto presente che il catalogo
CPTI04 e la zonazione ZS9f rappresentano le scelte più conservative.
2.5 Aree ad elevato potenziale sismogenetico
Finora il calcolo della pericolosità deterministica al sito di Nimis è stata fatta tenendo in considerazione le sole sorgenti che cadono all’interno delle zone sismogenetiche
(ZS4 e ZS9). A questo punto va però osservato che le zone sismogenetiche non sono state disegnate appositamente per il codice di calcolo usato in questa tesi, bensı̀ per
un’analisi probabilistica della pericolosità sismica (Capitolo 1). Ne segue la possibilità,
per le sorgenti capaci di generare forti terremoti, ma incluse in quelle aree dove l’infor25
Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A
SCALA NAZIONALE
(a)
(b)
(c)
Figura 2.8: Mappe dei massimi spostamenti orizzontali (a), velocità orizzontali (b) e DGA (c) attesi,
dedotti dai sismogrammi sintetici, secondo il metodo per la stima deterministica della pericolosità sismica
a livello nazionale.
mazione storica e strumentale è scarsa, di essere escluse dal calcolo della pericolosità
deterministica.
Per ovviare a questo problema è stata effettuata un’analisi della pericolosità deterministica includendo nel calcolo anche le aree ad elevato potenziale sismogenetico (areas
prone to strong events); questo permette una stima cautelativa e più realistica del rischio
sismico, in particolare laddove non si sono verificati forti terremoti in tempi storici. La
procedura è la stessa di quella seguita nella sezione precedente (discretizzazione delle
sorgenti e lisciamento della magnitudo), tranne che per il fatto che ora sono considerate
le sole sorgenti i cui epicentri cadono all’interno dei nodi morfostrutturali (chiamati nel
seguito solo nodi), anzichè all’interno delle zone sismogenetiche: il metodo deterministico, infatti, a differenza di quello probabilistico, non è vincolato al concetto di zona
sismogenetica.
I nodi rappresentano particolari strutture che si formano attorno alle intersezioni tra lineamenti (zone che separano due aree caratterizzate da diversa morfologia e che sono
spesso l’espressione superficiale di fratture situate in profodità). I lineamenti vengono
identificati secondo il Metodo della Zonazione Morfostrutturale, MZ (Alekseevskaya,
1977), che permette di delineare una struttura gerarchica a blocchi della regione in esame, usando informazioni di tipo tettonico e geologico, con particolare riguardo per la
topografia. Le zone di confine tra i blocchi prendono il nome di lineamenti e all’interse26
2.5 Aree ad elevato potenziale sismogenetico
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura 2.9: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione sismogenetica ZS9f e il catalogo CPTI04, prodotte per il confronto con i dati macrosismici osservati. Le mappe
mostrano: (a) la distribuzione delle magnitudo massime sul territorio, assieme ai poligoni di validità
dei cataloghi italiano, sloveno e croato; (b) il risultato dell’operazione di “lisciamento” delle magnitudo,
assieme ai poligoni di validità dei cataloghi italiano, sloveno e croato; (c) le zone sismogenetiche e le
magnitudo lisciate al loro interno; (d) i valori di spostamento di picco, assieme ai poligoni strutturali; (e)
i valori della velocità di picco, assieme ai poligoni strutturali; (f) i valori di DGA, assieme ai poligoni
strutturali.
27
Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A
SCALA NAZIONALE
Tabella 2.2: Conversione tra le Intensità macrosismiche (MCS) riportate nella base dati ING e gli
intervalli medi dei valori di picco del moto del suolo stimati per il territorio italiano, [58].
IMCS
PGD (cm)
PGV (cm/s)
DGA (g)
V
0,1-0,5
0,5-1,0
0,005-0,01
VI
0,5-1,0
1,0-2,0
0,01-0,02
VII
1,0-2,0
2,0-4,0
0,02-0,04
VIII
2,0-3,5
4,0-8,0
0,04-0,08
IX
3,5-7,0
8,0-15,0
0,08-0,15
X
7,0-15,0
15,0-30,0
0,15-0,30
XI
15,0-30,0
30,0-60,0
0,30-0,60
Tabella 2.3: Conversione tra le Intensità macrosismiche (MCS) riportate nella base dati ISG (INGV,
SSN, GNDT) e gli intervalli medi dei valori di picco del moto del suolo stimati per il territorio italiano,
[58].
IMCS
PGD (cm)
PGV (cm/s)
DGA (g)
VI
1,0-1,5
1,0-2,0
0,01-0,025
VII
1,5-3,0
2,0-5,0
0,025-0,05
VIII
3,0-6,0
5,0-11,0
0,05-0,10
IX
6,0-13,0
11,0-25,0
0,10-0,20
X
13,0-26,0
25,0-56,0
0,20-0,40
zione tra due o più lineamenti si formano i nodi. Pertanto in un nodo confluiscono più
forme topografiche e questo rivela l’instabilità della zona. Fra i nodi delineati dalla MZ,
la procedura di pattern recognition (identificazione dei tratti caratteristici) identifica i
nodi che risultano capaci di forti terremoti, sulla base di dati geologici, geomorfologici
e geofisici, indipendentemente dalle informazioni sulla sismicità. A tal fine i nodi sono
definiti come circoli con raggio di 25 km, centrati sulle intersezioni dei lineamenti. Questo algoritmo è stato applicato anche nelle Alpi e nelle Dinaridi (Gorshkov et al., 2004,
2006), portando all’individuazione, mediante l’algoritmo CORA-3, dei nodi capaci di
generare terremoti con magnitudo M ≥ 6.0 e M ≥ 6.5. Per quanto riguarda il riconoscimento dei nodi associabili ad eventi con M ≥ 6.5, a causa del numero insufficiente
di registrazioni, sono stati usati i criteri ottenuti applicando l’algoritmo CORA-3 alla
regione del Pamirs-Tien Shan.
Pertanto, nell’analisi della pericolosità deterministica, si è scelto di associare alle sorgenti comprese nei nodi la magnitudo maggiore tra quella minima associata al nodo e
quella derivante dal lisciamento. A tutte le sorgenti appartenenti a uno stesso nodo è
stato poi assegnato lo stesso meccanismo focale: in un caso è stato scelto il meccanismo
focale del terremoto avvenuto più vicino al nodo e nell’altro il meccanismo focale del
terremoto più forte correlato con il nodo. Ogni nodo è stato quindi trattato separatamente, calcolando i sismogrammi sintetici fino ad una distanza tenuta fissa al valore di 200
km. Gli scenari complessivi in spostamento, velocità e DGA sono stati infine calcolati
scegliendo, per ogni sito, il massimo tra tutti i valori ottenuti.
28
2.5 Aree ad elevato potenziale sismogenetico
Tabella 2.4: Confronto tra le Intensità massime stimate per il sito di Nimis (usando le relazioni riportate
in Tabella 2.2) sulla base dei risultati riportati in Tabella 2.1) e l’intensità massima osservata [16]. σ
rappresenta la deviazione standard.
Imax
(osservata)
Imax stimata da
Imax stimata da
PGD
PGD PGV
PGV
DGA
massimi
IX
X
XI
DGA
medi + σ
XI
X
X
XI
Tabella 2.5: Confronto tra le Intensità massime stimate per il sito di Nimis (usando le relazioni riportate
in Tabella 2.3) sulla base dei risultati riportati in Tabella 2.1) e l’intensità massima osservata [51]. σ
rappresenta la deviazione standard.
Imax
(osservata)
Imax stimata da
Imax stimata da
PGD
PGD PGV
PGV
DGA
massimi
IX
X
X
DGA
medi + σ
XI
IX
X
X
Tabella 2.6: Confronto tra le Intensità stimate per il sito di Nimis (usando le relazioni riportate in
Tabella 2.2) sulla base delle mappe 2.9(d)-2.9(e)-2.9(f) e l’intensità massima osservata.
Imax
Imax stimata da
(osservata)
PGD
PGV
DGA
IX
X
X
X
Tabella 2.7: Confronto tra le Intensità stimate per il sito di Nimis (usando le relazioni riportate in
Tabella 2.3) sulla base delle mappe 2.9(d)-2.9(e)-2.9(f) e l’intensità massima osservata.
Imax
Imax stimata da
(osservata)
PGD
PGV
DGA
IX
IX
IX
X
I risultati di questa procedura sono illustrati nelle Figure 2.10, 2.11 e 2.12.
Si nota innanzitutto (Figura 2.10) come molte più sorgenti, ad esempio rispetto alla
Figura 2.2(c), concorrano alla definizione della pericolosità a Nimis. Nonostante questo, per quanto riguarda Nimis, essendosi verificati in tempi recenti terremoti forti e
vicini (e.g. terremoto del 1976), le mappe di Figura 2.11 e Figura 2.12 non rivelano un
aumento significativo della pericolosità rispetto a quelle di Figura 2.8.
29
Capitolo 2. STIMA DETERMINISTICA DELLA PERICOLOSITÀ SISMICA A
SCALA NAZIONALE
(a)
(b)
Figura 2.10: Distribuzione delle magnitudo “lisciate” all’interno dei nodi sismogenetici capaci di generare terremoti con magnitudo M ≥ 6.0 (a) e M ≥ 6.5 (b) (Gorshkov, 2006). In entrambi i casi il catalogo
di terremoti usato è il CPTI04.
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura 2.11: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia ottenute usando il catalogo CPTI04 ed
i nodi sismogenetici capaci di generare terremoti con magnitudo M ≥ 6.0 (Gorshkov, 2006). (a,d) Mappe
dei massimi spostamenti orizzontali, (b,e) mappe delle massime velocità orizzontali, (c,f) mappe dei massimi valori di DGA. Le mappe (a,b,c) sono state ottenute associando alle sorgenti il meccanismo focale
del terremoto più vicino al nodo cui appartengono, mentre le mappe (d,e,f) sono state ottenute associando
alle sorgenti il meccanismo focale del terremoto più forte correlato con il nodo cui appartengono.
30
2.5 Aree ad elevato potenziale sismogenetico
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura 2.12: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia ottenute usando il catalogo CPTI04 ed
i nodi sismogenetici capaci di generare terremoti con magnitudo M ≥ 6.5 (Gorshkov, 2006). (a,d) Mappe
dei massimi spostamenti orizzontali, (b,e) mappe delle massime velocità orizzontali, (c,f) mappe dei massimi valori di DGA. Le mappe (a,b,c) sono state ottenute associando alle sorgenti il meccanismo focale
del terremoto più vicino al nodo cui appartengono, mentre le mappe (d,e,f) sono state ottenute associando
alle sorgenti il meccanismo focale del terremoto più forte correlato con il nodo cui appartengono.
31
Capitolo
3
Somma dei modi per le onde di Rayleigh
e di Love in strutture stratificate
Per la costruzione dei sismogrammi sintetici può essere usato il metodo della somma
modale, che permette di modellare la risposta da parte di una terra piatta e stratificata.
Ponendosi nelle condizioni di far field, ovvero a distanze dalla sorgente maggiori della
lunghezza d’onda delle onde considerate, si possono agevolmente e rapidamente calcolare sismogrammi sintetici “completi” fino ad una frequenza di 10 Hz. I sismogrammi
valutati in questo modo contengono tutte le fasi la cui velocità di fase è inferiore alla velocità delle onde di taglio propria del semispazio con cui termina il modello strutturale
stratificato.
3.1 Equazioni del moto
Le onde sismiche possono essere rappresentate come perturbazioni elastiche che si
propagano all’interno di un mezzo, originate da un disequilibrio transiente nel campo di
sforzi. Nell’ambito dello studio dei corpi elastici, al fine di prendere in considerazione
fenomeni macroscopici, essi sono riguardati come distribuzioni continue di materia. Per
un continuo elastico è possibile definire funzioni matematiche che descrivono i campi
associati allo spostamento, sforzo e deformazione, u(X, t) = x(X, t)− X, σ(X, t), x(X, t),
rispettivamente.
L’equazione del bilancio della quantità di moto per un mezzo continuo ha la seguente
forma vettoriale:
∂2 u
(3.1)
ρ 2 = ρf + ∇·σ
∂t
dove ρ è la densità del mezzo, f è un vettore che rappresenta le forze di volume specifiche esterne agenti sul corpo dovute, ad esempio, alla gravità o alle sorgenti sismiche, σ
è un tensore del secondo ordine detto tensore degli sforzi o tensore di Cauchy.
Introducendo rispetto ad un sistema di riferimento di coordinate cartesiane il tensore di
deformazione infinitesima ε, anch’esso del secondo ordine, di componenti:
1 ∂ui ∂u j εi j =
+
= ε ji
(3.2)
2 ∂x j ∂xi
33
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
il tensore degli sforzi di Cauchy per un mezzo elastico lineare, omogeneo ed isotropo
assume la forma:
σi j = λεkk δi j + 2µεi j
(3.3)
dove λ e µ sono i coefficienti di Lamè del mezzo in esame ed εkk = tr(ε).
Sostituendo nell’equazione del bilancio della quantità di moto l’espressione del tensore
di Cauchy e proiettando sugli assi del sistema di riferimento in considerazione l’equazione stessa, si ottiene un sistema lineare di equazioni differenziali alle derivate parziali
nelle tre incognite componenti del vettore spostamento.
Si consideri ora un semispazio riferito a un sistema di coordinate cartesiane in cui l’asse
z è verticale e rivolto verso il basso e la superficie libera coincide con il piano z = 0 (Fig.
3.1).
Nel caso in cui i parametri di Lamè (λ e µ) e la densità (ρ) dipendano solo dalla
Superficie libera
y
x
z
Figura 3.1: Sistema di riferimento cartesiano adottato per un semispazio stratificato.
coordinata z, le equazioni del moto, in assenza di forze di corpo, possono essere scritte
come:
∂2 u y
∂2 u x
∂2 u x
∂2 u z
ρ 2 = (λ + 2µ) 2 + (λ + µ)
+ (λ + µ)
+
∂t
∂x
∂x∂y
∂x∂z
∂2 u x
∂2 u x ∂µ ∂u x ∂µ ∂uz
+µ 2 + µ 2 +
+
∂y
∂z
∂z ∂z
∂z ∂x
∂2 u y
∂2 uy
∂2 u x
∂2 uz
ρ 2 = (λ + 2µ) 2 + (λ + µ)
+ (λ + µ)
+
∂t
∂y
∂x∂y
∂y∂z
∂2 u y
∂2 uy ∂µ ∂uy ∂µ ∂uz
+µ 2 + µ 2 +
+
∂x
∂z
∂z ∂z
∂z ∂y
ρ
∂2 u y
∂2 uz
∂2 u x
∂2 u z
=
(λ
+
2µ)
+
(λ
+
µ)
+
(λ
+
µ)
+
∂t2
∂z2
∂x∂z
∂y∂z
∂2 u z
∂2 uz ∂λ ∂u x ∂uy ∂uz ∂µ ∂uz
+µ 2 + µ 2 +
+
+
+2
∂x
∂y
∂z ∂x
∂y
∂z
∂z ∂z
(3.4)
Le condizioni al contorno che devono essere soddisfatte dalle soluzioni della (3.4) sono:
1. l’annullamento degli sforzi verticali alla superficie libera z = 0:
∂u
∂uy ∂uz
x
+λ
+
=0
σzz (x, z = 0, t) = (λ + 2µ)
∂z
∂x
∂y
34
3.1 Equazioni del moto
∂u
∂uz σzx (x, z = 0, t) = µ
+
=0
∂z
∂x
∂u
∂uz y
σzy (x, z = 0, t) = µ
+
=0
∂z
∂y
x
(3.5)
2. la continuità degli sforzi (σzx , σzy , σzz ) e degli spostamenti (u x , uy , uz ) lungo tutto
l’asse verticale.
Nell’ipotesi di una sorgente posta all’infinito, si può considerare come soluzione della (3.4) un’onda piana che si propaga lungo l’asse positivo delle x e modulata da una
funzione peso che ne determina la dipendenza verticale. Essa può essere espressa come:
i(ωt−kx)
~
~u(x, z, t) = F(z)e
(3.6)
dove k è il numero d’onda orizzontale legato alla velocità di fase c e alla frequenza
angolare ω da k = ω/c.
Inserendo la soluzione di prova (3.6) nell’equazione (3.4) ci si trova a dover affrontare
due problemi indipendenti per le tre componenti del vettore F~ = (F x , Fy , Fz ). Il primo è
legato al moto dell’onda nel piano (x, z):
∂ ∂F x
∂Fz
µ
− ikµFz − ikλ
+ F x [ω2 ρ − k2 (λ + 2µ)] = 0
∂z ∂z
∂z
Fy = 0
(3.7)
∂
∂Fz
∂F x
(λ + 2µ)
− ikλF x − ikµ
+ Fz [ω2 ρ − k2 µ)] = 0
∂z
∂z
∂z
Il secondo, invece, è legato al moto lungo y:
Fx = 0
∂ ∂Fy µ
+ Fy [ω2 ρ − k2 µ] = 0
∂z ∂z
(3.8)
Fz = 0
Non è però possibile trovare per le equazioni (3.7-3.8) una soluzione analitica ed è pertanto necessario introdurre ulteriori approssimazioni, a seconda del metodo di risoluzione che si intende impiegare. Risultano praticabili due percorsi diversi: nel primo
(non adottato in questa tesi) si usa un’esatta definizione della struttura da investigare che
viene poi trattata con metodi matematici approssimati. Nel secondo, invece, vengono
applicate tecniche analitiche esatte ad un modello approssimato della struttura, dove il
grado di approssimazione introdotto è controllabile dal dettaglio con cui viene rappresentato il modello semplificato adottato.
Il prototipo di strutture che possono essere investigate con quest’ultimo metodo, in geometria piana, è quello di una sequenza di N − 1 strati omogenei, paralleli alla superficie
libera, che sormontano un semispazio posto a una profondità H − 1 (Figura 3.2).
All’interno di ciascuno strato i parametri di Lamè λ e µ e la densità ρ sono costanti,
35
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
Figura 3.2: Semispazio stratificato, prototipo di struttura utilizzato nelle tecniche di risoluzione
analitiche delle eq. (3.7-3.8).
ma possono variare da uno strato all’altro: in questo modo λ, µ e ρ diventano funzioni
continue a tratti dell’asse z. Come già sottolineato, si assume, inoltre, che le velocità
delle onde di corpo, in ogni singolo strato m:
s
r
αm + 2µm
µm
αm =
(3.9)
e
βm =
ρm
ρm
siano sempre minori di quelle che si raggiungono alla profondità del semispazio.
L’utilizzo di una struttura stratificata permette di riscrivere le equazioni (3.7-3.8) all’interno di ogni singolo strato:
2 ∂ ∂F x
2 ∂F z
βm
+ ikFz − ikαm
− ikF x + ω2 F x = 0
∂z ∂z
∂z
(3.10)
∂F
∂F
∂
x
z
α2m
− ikF x + ikβ2m
+ ikFz + ω2 Fz = 0
∂z ∂z
∂z
∂2 F y
1
2 1
+
ω
−
Fy = 0
(3.11)
∂z2
β2m c2
Le soluzioni dell’equazione (3.10) possono essere trovate introducendo i potenziali compressionale (simmetrico), ∆, e rotazionale (antisimmetrico), δ,:
∂u x ∂uz ∂Fz
+
=
− ikF x ei(ωt−kx)
∆=
∂x
∂z
∂z
(3.12)
1 ∂u x ∂uz
1 ∂F x
δ=
−
=
+ ikFz ei(ωt−kx)
2 ∂z
∂x
2 ∂z
36
3.1 Equazioni del moto
Inserendo questi ultimi nella (3.10), si ottiene:
∂δ
− ikα2m ∆ + ω2 F x = 0
(3.13)
∂z
∂∆
α2m
+ 2ikβ2m δ + ω2 Fz = 0
(3.14)
∂z
Differenziando rispetto a z la (3.13), moltiplicando per ik la (3.14) e sommandole, si
ottiene un’equazione analoga alla (3.11) per δ:
1
∂2 δ
2 1
+ω 2 − 2 δ=0
(3.15)
∂z2
βm c
2β2m
Moltiplicando la (3.13) per −ik, differenziando la (3.14) rispetto a z e sommandole, si
ottiene ancora:
1
∂2 ∆
2 1
+ω 2 − 2 ∆=0
(3.16)
∂z2
αm c
Le equazioni (3.11), (3.15) e (3.16) sono equazioni differenziali del secondo ordine che
possono essere scritte nella forma generica:
∂2 Ψ
+ kz2m Ψ = 0
∂z2
(3.17)
Ψ(z) = Aeikzm z + Be−ikzm z
(3.18)
la cui soluzione è data da:
Il comportamento lungo z della (3.18) dipende dal segno del parametro kz2m . Nel caso
dell’equazione (3.11) kzm è scrivibile come:
s
1
1
− 2
(3.19)
kzm = ω
2
βm c
A seconda del valore di c questa quantità può essere reale o immaginaria. Pertanto per
ciascuno strato possono essere definiti i seguenti parametri:
 q 

c 2


se c > αm
 qαm − 1
rαm = 
(3.20)

2


 −i 1 − c
se c < αm
αm
rβm
 q 

c 2


se c > βm
 qβm − 1
=

2


 −i 1 − βc
se c < βm
m
(3.21)
Dalle (3.20-3.21) kzm è scrivibile, a seconda dei casi, come:
kzm = krβm
e
kzm = krαm
A seconda della disuguaglianza esistente tra la velocità di fase dell’onda e la velocità
delle onde P o S dello strato si può determinare il tipo d’onda che in esso si propaga.
Per quanto riguarda il semispazio si impone c < βH e che il comportamento esponenziale
della soluzione sia decrescente, in modo da considerare solo i modi normali di oscillazione. Questi ultimi vengono chiamati di Rayleigh, soluzioni dell’equazione (3.7), o
di Love, soluzioni dell’equazione (3.8), a seconda del tipo di polarizzazione del moto.
Il moto descritto dalla soluzione generica (3.18) negli altri strati sarà invece dato dalla
combinazione lineare di:
37
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
Figura 3.3: Possibili onde presenti in uno strato omogeneo.
• due esponenziali, uno crescente (Figura 3.3d) e uno decrescente (Figura 3.3b), che
rappresentano la trasmissione dell’onda da uno strato al successivo nel momento
in cui l’angolo di incidenza è superiore all’angolo critico, se c < βm oppure c < αm .
• due onde oscillanti, una diretta verso il semispazio (Figura 3.3a) e una diretta
verso la superficie libera (Figura 3.3c), se c > βm o c > αm . L’angolo che viene a
formarsi tra l’asse delle z crescenti e la direzione di propagazione dell’onda è:
(
cotg−1 rβm per le soluzioni delle equazioni (3.11) e (3.15)
θm =
(3.22)
cotg−1 rαm per la soluzione dell’ equazione (3.16)
3.2 Funzione di dispersione dei modi di Love
Utilizzando la soluzione (3.17) all’interno dell’m-esimo strato si può scrivere la
soluzione dell’equazione (3.8) come:
ux = 0
0
00
uy = vm e−ikrβm z + vm eikrβm z ei(ωt−kx)
38
(3.23)
3.2 Funzione di dispersione dei modi di Love
uz = 0
mentre lo sforzo sui piani perpendicolari all’asse z diventa:
σzx = 0
σzy = µm
∂uy
0
00
= ikµm rβm − vm e−ikrβm z + vm eikrβm z ei(ωt−kx)
∂z
(3.24)
σzz = 0
0
00
dove vm e vm sono delle costanti di strato. Sotto le condizioni al contorno di annullamento degli sforzi alla superficie libera, continuità degli sforzi e degli spostamenti ad ogni
interfaccia e decadimento esponenziale degli spostamenti nel semispazio, le soluzioni
(3.23-3.24) non esistono per qualunque ω e qualunque c, ma fissato ω, c può assumere
solo un set determinato di valori c(ω)
n , n = 0, 1, . . .. Pertanto la ricerca delle soluzioni
(3.23-3.24) soddisfacenti le condizioni al contorno sopra elencate è un problema agli
autovalori: c(ω)
un (z), σ~n (z) sono le compon è un autovalore e le corrispondenti soluzioni ~
nenti dell’autovettore.
Il calcolo degli autovalori al variare di ω si effettua determinando la funzione di dispersione F L (ω, c) (dove il pedice L indica le onde di Love) e risolvendo l’equazione
F L (ω, c) = 0. Il primo metodo per calcolare la funzione di dispersione, sia per le onde
di Love che di Rayleigh, fu messo a punto da Thomson (1950) e Haskell (1953), ed è
basato sulla costruzione di una serie di matrici di strato che propagano il campo degli
sforzi e degli spostamenti dall’interfaccia superiore di uno strato a quella inferiore.
Si considerino ad esempio l’m-esimo strato, di spessore dm , e l’(m − 1)-esima interfaccia
posta alla profondità zm−1 . Si può, senza perdita di generalità, porre l’origine dell’asse
z a tale profondità, riscalando opportunamente le quantità che definiscono l’ampiezza
del moto. Inoltre, essendo c costante per tutta la struttura, si può utilizzare la quantità
u̇
adimensionale cy = ikuy invece dello spostamento, in quanto la continuità delle velocità
assicura quella degli spostamenti.
Sull’(m − 1)-esima interfaccia si avrà allora che:
u̇ 0
y
c
m−1
00
= ik(vm + vm )
(3.25)
0
00
(σzy )m−1 = ikµm rβm (vm − vm )
Mentre alla m-esima interfaccia le analoghe quantità sono:
u̇ 0
y
c
m
00
00
0
= ik(vm + vm ) cos Qm − k(vm − vm ) sin Qm
(3.26)
00
00
0
0
(σzy )m = −kµm rβm (vm + vm ) sin Qm + ikµm rβm (vm − vm ) cos Qm
dove è stata definita la quantità Qm = krβm dm ed è stato trascurato il termine ei(ωt−kx) .
00
0
u̇
Eliminando i termini in vm e vm nelle (3.25-3.26), si possono scrivere le quantità cy e σzy
39
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
relative all’m-esima interfaccia in funzione di quelle dell’(m − 1)-esima interfaccia:
u̇ u̇ y
y
=
cos Qm + i(µm rβm )−1 (σzy )m−1 sin Qm
c m
c m−1
(3.27)
u̇ y
(σzy )m = iµm rβm
sin Qm + (σzy )m−1 cos Qm
c m−1
Introducendo la matrice di strato am :

i sin Qm

cos Qm
µm rβm

am = 

iµm rβm sin Qm cos Qm
si può riscrivere le (3.27) come:
 u̇y  c
m



(σzy )m

 u̇y 
 c
m−1


 = am 


(σzy )m−1





(3.28)





(3.29)
Procedendo iterativamente è possibile propagare gli sforzi e gli spostamenti dalla superficie libera (m − 1 = 0) fino al semispazio (m = N − 1), ottenendo una matrice A (2x2),
prodotto di tutte le singole matrici am , che tiene conto delle caratteristiche elastiche
dell’intera struttura:
 u̇y 
 u̇y 
 c


 c
N−1 
0 





(3.30)

 = A 





(σzy )0
(σzy )N−1
dove A = aN−1 aN−2 ...a2 a1 . In questo modo lo sforzo e lo spostamento all’inizio del semispazio possono essere ricavati a partire dalle analoghe quantità della superficie libera.
Se ora si usa la (3.25) con m = N e ricordando le condizioni al contorno che devono
soddisfare le soluzioni, affinchè siano onde di superficie, e cioè:
1. condizione di superficie libera, ossia σzy (z = 0) = 0
00
2. decadimento esponenziale nel semispazio (c < βN ), ossia vN = 0
si ricava che:



ik 

 u̇y 
 c

0


= A 


0


−µN rβN vN
0
0
vN





(3.31)
Affinchè la (3.31) risulti soddisfatta deve valere la seguente relazione tra gli elementi
della matrice A:
(3.32)
A21 + µN rβN A11 = 0
Questa rappresenta l’equazione di dispersione F L (ω, c) = 0 per le onde di Love, che lega
la velocità di fase c dell’onda alla frequenza ω. La coppia (ω, c) per cui la funzione di
dispersione è uguale a zero è una soluzione del problema. Gli autovalori, a seconda del
numero di punti lungo z in cui le autofunzioni corrispondenti, uy (z, ω, c) e σzy (z, ω, c), si
annullano, possono essere divisi nella curva di dispersione del modo fondamentale (che
40
3.3 Funzione di dispersione dei modi di Rayleigh
non ha alcun piano nodale), del primo modo superiore (che ha un piano nodale), del
secondo modo superiore (che ha due piani nodali), e cosı̀ via. Nota la velocità di fase c,
si possono calcolare sia le autofunzioni che la velocità di gruppo usando la teoria delle
funzioni implicite (Schwab e Knopoff, 1972).
3.3 Funzione di dispersione dei modi di Rayleigh
Una procedura analoga a quella descritta nel paragrafo precedente può essere seguita
per il calcolo della funzione di dispersione per i modi di Rayleigh [36], derivanti dall’interferenza delle onde P ed SV all’interno della struttura. Differentemente dal caso di
Love, dove si lavora con matrici di strato 2x2, le matrici che regolano la propagazione
del vettore sforzo - spostamento lungo l’asse verticale sono ora 4x4.
In ogni singolo strato la soluzione (3.17) riferita ai potenziali compressionale, ∆m , e
rotazionale, δm , assume la forma:
h
i
∆m = ∆0m e−ikrαm z + ∆00m eikrαm z ei(ωt−kx)
(3.33)
h
i
0 −ikrβm z
00 ikrβm z i(ωt−kx)
δm = δm e
+ δm e
e
Gli spostamentei u x , uz , e gli sforzi σzx , σzz associati alle (3.33) risultano essere:
ux
uz
α2m ∂∆m β2m ∂δm = − 2
−2 2
ω ∂x
ω ∂z
α2m ∂∆m β2m ∂δm = − 2
+2 2
ω ∂z
ω ∂x
m
β2 ∂2 δm 2 m2
ω ∂z∂x
(3.34)
m
+
ω2 ∂x2
α2 ∂2 ∆ β2 ∂2 δ
∂2 δm m
m
= 2β2m ρm − m2
+ m2
−
ω ∂x∂z
ω ∂x2
∂z2
σzz = ρm α2m ∆m + 2β2m
σzx
α 2 ∂2 ∆ Sostituendo le (3.33) nelle (3.34), adottando la stessa notazione usata per le onde di
Love, si ottiene:
i
α2 h
u̇ x
= − m2 ∆0m + ∆00m cos(krαm z) − i ∆0m − ∆00m sin(krαm z)
c
c
h
i
−γm rβm δ0m − δ00m cos(krβm z) − i δ0m + δ00m sin(krβm z)
i
α2 rα h
u̇z
= − m 2 m ∆0m − ∆00m cos(krαm z) − i ∆0m + ∆00m sin(krαm z)
c
c
h
i
+γm δ0m + δ00m cos(krβm z) − i δ0m − δ00m sin(krβm z)
41
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
h
i
σzz = −ρm α2m (γm − 1) ∆0m + ∆00m cos(krαm z) − i ∆0m − ∆00m sin(krαm z)
h
i
−ρm c2 γm2 rβm δ0m − δ00m cos(krβm z) − i δ0m + δ00m sin(krβm z)
h
i
σzx = ρm rαm α2m γm ∆0m − ∆00m cos(krαm z) − i ∆0m + ∆00m sin(krαm z)
h
i
−ρm c2 γm (γm − 1) δ0m + δ00m cos(krβm z) − i δ0m − δ00m sin(krβm z)
(3.35)
dove γm = 2(βm /c)2 , sono stati sviluppati i termini contenenti ikrβm , ikrαm in funzioni
trigonometriche ed è stato semplificato il termine contenente ei(ωt−kx) . Ponendo
l’origine
di z all’interfaccia m − 1, dalle (3.35) si ottiene una relazione lineare tra u̇cx
, u̇cz
,
m−1
m−1
σzz
, σzx
e le costanti ∆0m + ∆00m , ∆0m − ∆00m , δ0m − δ00m , δ0m + δ00m , rappresentabile
m−1
m−1
nel modo seguente:
 u̇
 ( x )m−1
 c
 ( u̇z )
 c m−1

 (σzz )m−1

(σzx )m−1

 0

 (∆m + ∆00m )

 0
00


 = E  (∆m − ∆m )
m 
0
00

 (δm − δm )


 0
00

(δm + δm )








(3.36)
dove Em è la seguente matrice:

α2

− cm2


0

 −ρm α2 (γm − 1)
m

0
−γm rβm
0
− cm2 rαm
0
γm
0
2r
−ρm c2 γm
βm
0
α2
ρm α2m γm rαm
0
0
−ρm c2 γm (γm
− 1)







Considerando invece l’interfaccia m-esima, ad una profondità z = dm , le (3.35) diventano:




 ( u̇x )m
 c
 ( u̇z )
 c m

 (σzz )m

(σzx )m

 (∆0m + ∆00m )

 0
00


 = D  (∆m − ∆m )
m 
0
00

 (δm − δm )


00

 0
(δm + δm )







(3.37)
dove Dm è la matrice:
Dm

α2
α2

− cm2 cos Pm
i cm2 sin Pm

α2
α2

i cm2 rαm sin Pm
− cm2 rαm cos Pm
= 
 −ρm αm2 (γm − 1) cos Pm iρm α2m (γm − 1) sin Pm

ρm α2m γm rαm cos Pm
−iρm α2m γm rαm sin Pm

−γm rβm cos Qm
iγm rβm sin Qm


−iγm sin Qm
γm cos Qm


iρm c2 γm2 rβm sin Qm
−ρm c2 γm2 rβm cos Qm

iρm c2 γm (γm − 1) sin Qm −ρm c2 γm (γm − 1) cos Qm
(3.38)
42
3.3 Funzione di dispersione dei modi di Rayleigh
in cui si è definito Pm = krαm dm e Qm = krβm dm . Infine, eliminando dalla (3.36) e dalla
(3.37) le costanti (∆0m + ∆00m ), (∆0m − ∆00m ), (δ0m − δ00m ), e (δ0m + δ00m ), si ottiene una relazione
lineare tra le velocità e gli sforzi alla sommità dello strato m-esimo e alla sua base:
u̇ 







Dm E−1
m
La matrice
elementi sono:
x
u̇c m
z
c m
σzz
σzx
m








 = D E−1 
m
m 





m
u̇ 







x
u̇c m−1
z
c m−1
σzz
m−1
σzx
(3.39)
m−1
= am rappresenta la matrice di strato per le onde di Rayleigh, i cui
(am )11 = γm cos Pm − (γm − 1) cos Qm
(am )12 = i[(γm − 1)rα−1m sin Pm + γm rβm sin Qm ]
(am )13 = −(ρm c2 )−1 (cos Pm − cos Qm )
(am )14 = i(ρm c2 )−1 (rα−1m sin Pm + rβm sin Qm )
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
=
(am )21
(am )22
(am )23
(am )24
(am )31
(am )32
(am )33
(am )34
(am )41
(am )42
(am )43
(am )44
−i[γm rαm sin Pm + (γm − 1)rβ−1m sin Qm ]
−(γm − 1) cos Pm + γm cos Qm
i(ρm c2 )−1 (rαm sin Pm + rβ−1m sin Qm )
(am )13
ρm c2 γm (γm − 1)(cos Pm − cos Qm )
iρm c2 [(γm − 1)2 rα−1m sin Pm + γm2 rβm sin Qm ]
(am )22
(am )12
iρm c2 [γm2 rαm sin Pm + (γm − 1)2 rβ−1m sin Qm ]
(am )31
(am )21
(am )11
(3.40)
Si ricava, cosı̀, che il vettore sforzo - spostamento all’interfaccia del semispazio è legato
mediante la matrice di propagazione della struttura al vettore sforzo - spostamento alla
superficie libera:
 
















 = aN−1 . . . a1 




u̇ x
u̇c N−1
z
c N−1
σzz
σzx
N−1
N−1
u̇ x
Se ora si considerano le quantità c
ottiene:

 00
0







∆
N
∆0
N
δ0
N
δN
m−1
,
u̇ z
c m−1






σzz 
0

σzx
u̇ x
u̇c 0
z
c 0
, σzz


+ ∆N 




00
− ∆N 

 = E−1
a
.
.
.
a
1 
N N−1
00



− δN 


+ δ00N
43
0
m−1
, σzx
(3.41)
m−1
con m = N, si
u̇ 





σzz 
0 
σzx
x
u̇c 0
z
c 0
0
(3.42)
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
Le condizioni al contorno che devono essere soddisfate dalle soluzioni dell’equazione
(3.7) sono:
1. annullamento degli sforzi alla superficie libera, ossia:
σ xz (z = 0, ω, c) = σzz (z = 0, ω, c) = 0
(3.43)
2. annullamento degli spostamenti per z tendente ad infinito.
Le precedenti condizioni possono essere soddisfatte imponendo nella (3.42) che:
σzz = σzx = ∆00N = δ00N = 0
(3.44)
0
0
Ponendo J = E−1
N aN−1 . . . a1 , la (3.42) diventa:

 ∆0
 N
 ∆0
 N
 0
 δN

δN

 u̇ 

 x 

 c 0 

 u̇z 
 = J  c 0 




 0 



0
(3.45)
che porta, eliminando le costanti ∆0N , δ0N a:
J22 − J12 J42 − J32
−
=0
J11 − J21 J31 − J41
(3.46)
Questa rappresenta l’equazione di dispersione FR (ω, c) = 0 (il pedice R indica le onde
di Rayleigh) che lega la velocità di fase c al numero d’onda k per le onde di Rayleigh.
3.4 Velocità di gruppo
Nei paragrafi precedenti si è visto come una struttura stratificata porti ad una relazione di dispersione tra la velocità delle onde sul piano orizzontale c e la frequenza ω.
L’effetto della propagazione di onde che possiedono velocità c(ω) diversa a seconda della frequenza può risultare in un’interferenza costruttiva o distruttiva delle onde stesse.
Le interferenze si comportano come “pacchetti d’onda” che, a loro volta, si propagano
con una velocità ben definita: la velocità di gruppo vg (ω). La velocità di gruppo a una
data frequenza viene definita come:
vg (ω) =
∂ω
=
∂k
1
∂(ω/c)
∂ω
=
1
1
c
−
ω ∂c
c2 ∂ω
=
c
1−
ω ∂c
c ∂ω
(3.47)
Per calcoli precisi della (3.47) si può applicare la teoria delle funzioni implicite alla
funzione di dispersione F(ω, c) (Schwab e Knopoff, 1972), ottenendo, sia per i modi di
Love che di Rayleigh:
∂F
∂c
∂ω
= − c
∂F
∂ω
∂c ω
44
(3.48)
3.5 Integrale dell’energia
3.5 Integrale dell’energia
Un’altra quantità necessaria per la costruzione dei sismogrammi sintetici è l’integrale dell’energia. In questa sezione viene considerata l’energia portata da ogni singolo
modo di oscillazione, secondo la trattazione riportata in Ben-Menahem [14].
In una struttura elastica e lineare la densità di energia hamiltoniana (energia per unità di
volume), H è data dalla somma tra l’energia cinetica, Ek , e quella potenziale elastica,
collegata alla deformazione, E p = 21 σi j ei j ; essa può essere espressa come:
1 2 1 2
H = Ek + E p = ρu̇i + λ(ekk ) + µei j ei j
(3.49)
2
2
Si può considerare l’energia totale in un volume arbitrario V e mediarla ripetto al tempo.
In questo modo si ottiene:
Z
Z
1 T
< U >=
dt HdV
(3.50)
T 0
V
L’espressione esplicita delle quantità presenti nell’integrando della (3.50) può essere
ottenuta considerando, naturalmente, solo la parte reale delle componenti del vettore
spostamento. In questo modo i termini cos2 (ωt − kx) e sin2 (ωt − kx) presenti nella (3.50)
vengono rimpiazzati da 21 . Indicando le componenti di Love e di Rayleigh come:
(
0
per le onde di Love
u x (x, ω, z) =
i(ωt−kx)
−ir3 (ω, k, z)e
per le onde di Rayleigh
(
i(ωt−kx)
l1 (ω, k, z)e
per le onde di Love
uy (x, ω, z) =
0
per le onde di Rayleigh
(
0
per le onde di Love
uz (x, ω, z) =
r1 (ω, k, z)ei(ωt−kx)
per le onde di Rayleigh
le quantità da usare nel calcolo della (3.50) diventano:
uy = l1 (z) cos(ωt − kx)
(3.51)
per le onde di Love, e
u x = r3 (z) sin(ωt − kx)
uz = r1 (z) cos(ωt − kx)
(3.52)
per le onde di Rayleigh. Usando le (3.51-3.52) e considerando l’energia per unità di
area, si ha a che fare solo con integrali rispetto alla coordinata verticale, che nel caso
delle onde di Love diventa:
1
1
1
< U Love >= ω2 I1L + k2 I2L + I3L
4
4
4
(3.53)
Nel caso delle onde di Rayleigh si ha:
1
1
1
1
< URayleigh >= ω2 I1R + k2 I2R + kI3R + I4R
4
4
2
4
dove sono stati definiti i seguenti integrali:
Z ∞
Z ∞
2
I1L =
ρl1 dz I2L =
µl12 dz
0
0
Z
∞
I3L =
0
45
∂l 2
1
dz
µ
∂z
(3.54)
(3.55)
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
R∞
R∞ 2
I1R = 0 ρ[r12 + r32 ]dz
I2R = 0 µ αβ2 r32 + r12 dz
(3.56)
R ∞ λ ∂r
R ∞ α2 ∂r 2 ∂r 2 ∂r3
3
1
1
I3R = 0 µ − µ r3 ∂z + r1 ∂z dz I4R = 0 µ β2 ∂z + ∂z dz
in cui i suffissi L e R stanno a indicare rispettivamente i modi di Love e di Rayleigh.
Si può notare che in entrambe le (3.53-3.54), il primo termine del membro a destra
dell’equazione rappresenta il termine cinetico, mentre il resto dei termini rappresenta
l’energia potenziale. Adesso si può applicare il teorema del viriale, che afferma che
per un sistema conservativo nel quale l’energia potenziale è una funzione quadratica
delle coordinate, la media temporale dell’energia cinetica e dell’energia potenziale sono
uguali. Perciò:
ω2 I1L = k2 I2L + I3L
(3.57)
e
ω2 I1R = k2 I2R + 2kI3R + I4R
(3.58)
In altre parole, mediata su un ciclo, l’energia cinetica contenuta in un modo normale è
uguale all’energia potenziale elastica dello stesso e quindi I1L e I1R risultano essere delle
quantità proporzionali all’energia del modo.
Le equazioni (3.57-3.58) possono essere usate anche per calcolare la velocità di gruppo senza la differenziazione che era stata usata nella definizione della (3.47). A questo
scopo può essere invocato il principio di Rayleigh, che afferma che una piccola perturbazione di un autovalore k di un sistema vibrante di una quantità δk, indurrà un cambiamento del secondo ordine in δk nelle autofunzioni corrispondenti. Applicando questo
principio all’equazione (3.57), si può perturbare k in k + δk e considerare il cambiamento corrispondente di ω in ω + δω. Per il principio di Rayleigh, il cambiamento
δl1 = l1 (z, k + δk, ω + δω) − l1 (z, k, ω) sarà del secondo ordine in δk. Tenendo solo le
quantità al primo ordine in δk, si ha, dalla (3.57):
ωδωI1L = kδkI2L + O(δk)2
(3.59)
Nel limite δk → 0, si ha che:
vg =
δω
k I2L 1 I2L
=
=
δk
ω I1L c I1L
(3.60)
Questa formula esatta dà la velocità di gruppo in termini degli integrali dell’energia, e il
risultato è numericamente più stabile della differenziazione, ma meno preciso di quanto
ottenibile con l’eq. (3.48).
In modo analogo si ottiene per le onde di Rayleigh che:
vg =
δω kI2R + I3R 1 I2R + I3R /k
=
=
δk
ωI1R
c
I1R
(3.61)
3.6 Funzione di Green in un semispazio stratificato
A questo punto nel mezzo isotropo viene introdotta una sorgente rappresentata da
una faglia planare, che matematicamente viene modellata mediante una dislocazione
di taglio. Si assume quindi che gli spostamenti e gli sforzi di taglio siano discontinui
46
3.6 Funzione di Green in un semispazio stratificato
attraverso il piano di faglia, mentre gli sforzi normali sono supposti essere continui.
Nei primi anni ’60 Maruyama (1963) e Burridge e Knopoff (1964) hanno dimostrato,
con il teorema di rappresentazione, che il campo di spostamento generato da una tale
dislocazione è equivalente a quello generato da una distribuzione di doppie coppie che
sono poste in un mezzo elastico, omogeneo ed isotropo, senza alcuna dislocazione. Lo
spostamento un cosı̀ generato può essere calcolato mediante la convoluzione tra il tensore
momento M pq e la derivata della funzione di Green Gnp,q , che rappresenta la risposta del
sistema, nella direzione n, a un singoletto che agisce nella direzione p:
un (~x, t) = M pq (t) ∗ Gnp,q (t)
(3.62)
In M pq il pedice p indica la direzione dello scorrimento, mentre il pedice q indica la
direzione del braccio della coppia. Quando ci si pone nelle condizioni di far source
(ossia a distanze maggiori della dimensione della faglia, r L) e si considerano periodi
maggiori della durata dello slip (ossia del tempo di risalita, T τ), allora la forza di
corpo equivalente in un mezzo non fagliato viene descritta da una doppia coppia con
momento totale nullo. In questo caso il tensore momento diventa, ad esempio:


 M0 0
0 


0 
M pq (doppia coppia) =  0 0
(3.63)


0 0 −M0
dove M0 = µA|ū| rappresenta il momento sismico scalare (A è l’area della superficie di
faglia che si è rotta e |ū| è la dislocazione media lungo la superficie di faglia). Dal momento che generalmente i sismogrammi sono calcolati per un momento sismico unitario
e poi scalati in base alla magnitudo, il problema del calcolo dei sismogrammi mediante
la somma dei modi si riconduce essenzialmente alla determinazione della funzione di
Green nel mezzo stratificato mostrato in Figura 3.2. In altre parole si devono risolvere le
~
equazioni del moto (3.4) in presenza di una forza impulsiva del tipo Fδ(x)δ(y)δ(z
− h).
~
Il teorema di rappresentazione permette di scrivere gli effetti della forza F come una
discontinuità degli sforzi sul piano orizzontale z = h:
~
T~ (h + 0) − T~ (h − 0) = −Fδ(x)δ(y)
(3.64)
Seguendo Aki e Richards (1980), una conveniente trattazione del problema richiede
l’uso di un sistema di coordinate cilindriche (r, θ, z) in cui θ è misurato positivamente in senso antiorario dalla direzione positiva di strike (x = 0) quando visto da sopra
il semispazio verso il basso e r è misurato positivamente allontanandosi dalla sorgente
(Figura 3.4).
Il sistema di riferimento cilindrico risulta utile per esprimere lo spostamento del terreno, generato dall’azione di una sorgente sismica, lungo tre direzioni che permettono
di distinguere automaticamente, per le onde di superficie, la componente radiale (componente orizzontale delle onde di Rayleigh), da quella trasversale (onde di Love) e da
quella verticale (componente verticale delle onde di Rayleigh).
Il passaggio dalla base cartesiana a quella cilindrica lascia immutata la dipendenza da
z delle equazioni del moto, ma impone lo sviluppo dell’onda piana, e−ikx , in armoniche
sferiche:
Ykm (r, θ) = Jm (kr)eimθ ,
47
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
z
y
r
θ
x
Figura 3.4: Orientazione delle coordinate cartesiane e cilindriche usate per analizzare le onde prodotte
da una sorgente puntiforme in un mezzo verticalmente eterogeneo.
dove Jm (kr) è la funzione di Bessel cilindrica di prima specie di ordine m (m è un intero).
Per la natura vettoriale del problema è necessario servirsi di un sistema di armoniche
vettoriali cilindriche, tra di loro ortogonali, definito come:
1 ∂Ykm
1 ∂Ykm
m
~
T k (r, θ) =
r̂ −
θ̂
kr ∂θ
k ∂r
1 ∂Ykm
1 ∂Ykm
S~ km (r, θ) =
r̂ +
θ̂
k ∂r
kr ∂θ
(3.65)
~ mk (r, θ) = Ykm ẑ
R
Queste funzioni vettoriali costituiscono nel loro complesso un insieme completo e or~m (r, θ) una delle qualsiasi funzioni T~ m (r, θ), S~ m (r, θ),
togonale: infatti, denotando con A
k
k
k
~ m (r, θ), si ha:
R
k
Z 2π Z ∞
h 0
i∗
~mk (r, θ) A
~mk0 (r, θ) rdrdθ = √2π δmm0 δ(k − k0 )
(3.66)
A
0
0
kk0
dove ∗ indica il complesso coniugato. La completezza permette di espandere la discontinuità delle trazioni sul piano z = h su questa base di funzioni come:
∞ Z ∞h
i
1 X
~ mk kdk
~
fT (k, m)T~km + fS (k, m)S~ km + fR (k, m)R
−Fδ(x)δ(y) =
(3.67)
2π m=−∞ 0
dove i coefficienti della serie sono dati da:
Z 2π Z ∞
h
i∗
~
~mk (r, θ) rdrdθ
fA (k, m) = −
Fδ(x)δ(y)
A
0
(3.68)
0
Per valutare l’integrale (3.68) conviene passare alla base di coordinate cartesiane
(x, y,
R 2π R ∞
z), mediante x = r cos θ e y = r sin θ. In questo modo l’integrale doppio 0 dθ 0 rdr
R∞
R∞
diventa −∞ dx −∞ dy. Tenendo inoltre in considerazione il fatto che T~km (r, θ) = k−1 ∇ ×
(0, 0, Ykm ) e scrivendo l’operatore gradiente in coordinate cartesiane, si trova che:
Z ∞Z ∞ ∂Y −m
∂Y −m 1
F x k − Fy k δ(x)δ(y)dxdy
fT (k, m) = −
∂y
∂x
−∞ −∞ k
(3.69)
∂
∂
Jm (ky) + Fy
Jm (kx)
= −F x e−imπ/2
∂(ky)
∂(kx)
y=0
x=0
48
3.6 Funzione di Green in un semispazio stratificato
Sfruttando le proprietà delle funzioni di Bessel di prima specie all’origine, ossia che Jm
ha derivate nulle all’origine, tranne che per m = ±1 (quindi fT (k, m) = 0 a meno che
m = ±1) e che (d/dξ)J±1 (ξ) = ± 21 in ξ = 0, si trova che la dipendenza angolare θ dei
coefficienti fA è tale per cui i soli termini non nulli dello sviluppo sono:
1
fT (k, m = ±1) = (±Fy + iF x )
2
(3.70)
In modo analogo si procede per fS (k, m), usando S~ km = k−1 ∇Ykm (r, θ) e lavorando in
coordinate cartesiane per trovare fS (k, m) = 0 a meno che m = ±1, e quindi:
1
fS (k, m = ±1) = (∓F x + iFy )
2
(3.71)
Per fR (k, m) si può lavorare direttamente in coordinate cilindriche, notando che δ(x)δ(y) =
δ(r)/(2πr):
Z 2π Z ∞
δ(r) −imθ
fR (k, m) = −
dθ
Fz
e Jm (kr)rdr
(3.72)
2πr
0
0
Si trova che fR (k, m) = 0 a meno che m = 0, e quindi:
fR (k, m = 0) = −J0 (0)Fz = −Fz
(3.73)
In questo modo sono stati trovati tutti i coefficienti per l’espansione della discontinuità
degli sforzi: i soli termini che contribuiscono sono quelli con m = 0 e m = ±1.
Il passo successivo è trovare il vettore (l1 , l2 , r1 , r2 , r3 , r4 ) che ha causato le discontinuità
fT , fS e fR nelle componenti degli sforzi l2 , r2 , r4 rispettivamente. La soluzione dovrà
soddisfare:
• le equazioni del moto;
• la condizione di superficie libera:
l2 = r2 = r4 = 0
su
z = 0;
(3.74)
• la condizione di assenza di radiazione nel semispazio, richiedendo che l1 , r1 e r3
contengano solo onde che viaggiano verso il basso
p per z → ∞, o, se
p il numero
2
2
2
d’onda è abbastanza grande da far sı̀ che γ = k − ω /α e ν = k2 − ω2 /β2
siano reali (positivi), allora:
l1 = r1 = r3 → 0
per
z → ∞.
(3.75)
Va notato che quando si era risolto il problema agli autovalori per le onde di superficie,
era stato trovato che una soluzione continua alle equazioni del moto non soddisfava le
condizioni al contorno omogenee (3.74-3.75) a meno che non si considerassero particolari valori discreti di k e ω. Ma quando si introduce una discontinuità negli spostamenti
alla profondità della sorgente, è possibile trovare una soluzione per ogni valore di k. La
soluzione in tal caso è data da:
Z
o
1 X ∞n
~ mk kdk (3.76)
~u(r, θ, z) =
l1 (k, m, z, ω)T~km + r3 (k, m, z, ω)S~ km + r1 (k, m, z, ω)R
2π m 0
49
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
Bisogna trovare le soluzioni l1 (k, m, z, ω), r3 (k, m, z, ω) e r1 (k, m, z, ω). Di seguito viene
sviluppato il procedimento per il calcolo dello spostamento dovuto ai modi di Love. Il
problema si riduce quindi al calcolo di l1 (k, m, z, ω), ricapitolando che:
!
l
1
~l =
(3.77)
l2
soddisfa:
!
∂~l
0
µ−1 ~
=
l
(3.78)
k 2 µ − ω2 ρ 0
∂z
con l2 = 0 su z = 0 (condizione di sforzi nulli alla superficie libera) e per z → ∞ si
ha una condizione di radiazione, per cui o ~l diventa un’onda diretta verso il basso (nel
caso di un’onda di corpo omogenea (c > βH )) oppure ~l → 0 (se è un’onda inomogenea
(c < βH )). Infine si ha che:
!
0
~l − ~l − =
(3.79)
f (k, m = ±1)
z=h+
z=h
T
Si può costruire una soluzione discontinua, ~l0 (k, ω, z), che soddisfa la (3.79) e quindi
costruire una soluzione continua, ~l00 (k, ω, z), in modo tale che la combinazione lineare:
~00
~l = ~l0 + l
∆(k)
(3.80)
soddisfa tutte le condizioni richieste. Sia ~l0 che ~l00 soddisfano l’equazione del moto in
presenza di una sorgente, e le condizioni al contorno sono:
(a) l10 = 0 e l20 = 0 per z > h;
(b) l10 = 0 e l20 = − fT per z = h− ;
(c) l100 diretta verso il basso o l100 → 0 per z → ∞;
(d) l200 = −∆(k)l20 per z = 0.
La funzione ∆(k) è definita in modo tale che lo sforzo di taglio alla superficie libera
della soluzione discontinua ~l0 , quando moltiplicato per −∆(k), sia esattamente uguale
allo sforzo di taglio alla superficie libera della soluzione continua ~l00 . Ma se k è un
autovalore delle onde di Love, allora lo sforzo della soluzione continua, l200 si annulla
alla superficie libera. Ne segue che ∆(k) deve essere 0 quando k è un autovalore e
~l00 è un’onda di superficie. Poiché ~l00 soddisfa un’equazione d’onda con condizioni al
contorno omogenee e nessun termine di sorgente, in questo caso non sono permesse
onde che viaggiano verso il basso (per z → ∞). Costruendo ~l mediante la (3.80), si può
usare la (3.76) per sintetizzare uno spostamento come:
Z
l100 (k) m
1 X ∞ 0
~u(r, θ, z) =
T~ (r, θ)dk
(3.81)
k l1 (k) +
2π m 0
∆(k) k
La funzione integranda nella (3.81) ha dei poli per ∆(k) = 0, ossia quando k è un
autovalore. Per valutare l’integrale bisogna effettuare la sostituzione:
1
Jm (k, r) = [Hm(1) (kr) + Hm(2) (kr)],
2
50
Hm(1) (−kr) = (−1)m+1 Hm(2) (kr)
3.6 Funzione di Green in un semispazio stratificato
dove Hm(1) (kr) e Hm(2) (kr) sono le funzioni di Hankel di ordine m di prima e seconda specie,
convertire l’integrale di Hm(1) sui k positivi in un integrale di Hm(2) sui k negativi, in modo
tale che la (3.81) diventi un integrale sull’intero asse k reale. Pertanto, riscrivendo T~km
con Jm rimpiazzato da 12 Hm(2) come T~km(2) , il contributo dello spettro discreto è dato dalla
somma dei residui1 della (3.81) nel seguente modo:
~u(r, θ, z) = −i
XX
m
l100 (kn , ω, z) m(2)
kn T~kn (r, θ)
∂∆
∂k k=kn
n
(3.82)
dove kn (n = 0, 1, 2, ...) sono radici reali positive di ∆(k).
Un’espressione di ∂∆
(k ) può essere ricavata in termini dell’autofunzione e dell’energia
∂k n
portata dal modo di oscillazione l100 (kn , ω, z), utilizzando il principio variazionale. Moltiplicando la seconda delle eq. (3.78) per l1 e integrandola lungo l’asse z, si ricava,
integrando per parti:
Z
0=
0
∞
ω2 ρl12 − k2 µl12 + l1
∂l ∞
∂ ∂l1 1
µ
= [ω2 I1L − k2 I2L − I3L ] + l1 µ
∂z ∂z
∂z 0
(3.83)
Si può quindi cercare una soluzione dell’equazione del moto continua, ~l00 , tale che:
2
2
[l100 l200 ]∞
0 = −ω I1L + k I2L + I3L
(3.84)
Dalle condizioni al contorno, la (3.84) diventa:
∆(k)(l20 l100 )z=0 = −ω2 I1L + k2 I2L + I3L
(3.85)
Se k è quasi un autovalore, allora ~l00 è quasi un’autofunzione. Per la stazionarietà di
−ω2 I1L + k2 I2L + I3L per piccoli scostamenti di ~l00 da una vera autofunzione, segue
che i cambiamenti in ∆(k) rispetto a piccole variazioni di k, possono essere trovati
differenziando la (3.85) rispetto a k, e scritti come:
∂∆(k) (l0 l00 )z=0 = 2kn I2L = 2kn cvg I1L
(3.86)
∂k k=kn 2 1
dove c e vg sono la velocità di fase e di gruppo corrispondenti a ω e kn .
Nell’eq.(3.86) il valore di l20 (z = 0) può essere ricavato considerando che, essendo ~l0
e ~l00 soluzioni dell’equazione (3.78), per ogni z deve valere che ∂/∂z(l10 l200 − l20 l100 ) = 0.
Calcolando la costante l10 l200 − l20 l100 in z = 0 e in z = h− si ottiene:
l10 (0)l200 (0) − l20 (0)l100 (0) = l10 (h− )l200 (h− ) − l20 (h− )l100 (h− )
(3.87)
Il primo e il terzo termine della (3.87) sono nulli poiché l10 (h− ) = 0 (condizione (b)) e
l200 (0) = 0, per cui, sempre dalla condizione (b):
l20 l100 |z=0 = − fT (kn , m)l100 |z=h−
(3.88)
Teorema dei residui di Cauchy: Se Γ è un percorso semplice chiuso orientato positivamente, e f (z) è
R
P
una funzione analitica dentro e su Γ, tranne nei punti zi dentro Γ, allora Γ f (z)dz = 2πi nj=i Res(z j ).
Teorema: Se f ha un polo semplice in z0 allora Res( f ; z0 ) = limz→z0 (z − z0 ) f (z).
1
51
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
∂∆(k) Dalla (3.86) e dalla (3.88) si può esprimere ∂k in termini di quantità dipendenti
k=kn
solo dal modo di oscillazione ~l00 (kn , ω, z), come:
2kn c(kn )vg (kn )I1L (k2 )
∂∆(k) =−
(3.89)
∂k k=kn
fT (kn , m)l100 (kn , ω, h)
Si può quindi riscrivere lo spostamento dovuto ai modi di Love (3.82) come:
X X fT (kn , m)l00 (h)l00 (z)
1
1
~uLove = i
T~km(2)
(r, θ)
n
2c(k
)v
(k
)I
(k
)
n g n 1L n
m
n
(3.90)
La somma su m è di semplice valutazione in quanto fT = 0 a meno che m = ±1. Poiché
l100 è semplicemente un particolare modo di Love, ci si può dimenticare dell’apice 00 e
usare solo l1 . Se ci si pone a grandi disatanze dalla sorgente (far field, kr > 10), si può
rimpiazzare T~km(2) con il suo comportamento asintotico, commettendo un errore inferiore
al millesimo, cioè con la precisione di tre cifre significative. Asintoticamente le funzioni
di Hankel per kr tendente a ∞ si comportano come delle funzioni trigonometriche che
decadono con la radice quadrata della distanza:
r
1 2 −i(kr− 2m+1
4 π) + O
Hm(2) (r, θ) =
e
(3.91)
πkr
(kr)3/2
e dunque a grandi distanze dalla sorgente il comportamento di un’onda cilindrica è lo
stesso di un’onda
di grandezza
√ piana. Trascurando i termini che decadono con un1 ordine
(2)
superiore a 1/ kr, le armoniche vettoriali con Jm rimpiazzato da 2 Hm possono essere
espresse come:
r
1 −i(kr− 2m+1
4 π−mθ) θ̂
e
T~km(2) (r, θ) ∼ i
2πkr
r
1 −i(kr− 2m+1
m(2)
4 π−mθ) r̂
S~ k (r, θ) ∼ −i
(3.92)
e
2πkr
r
1 −i(kr− 2m+1
~ m(2) (r, θ) ∼
4 π−mθ) ẑ
R
e
k
2πkr
In questo limite le onde cilindriche coincidono localmente con onde piane e il moto di
queste ultime avviene nella direzione dei versori θ̂, r̂ e ẑ.
A grande distanza dalla sorgente il campo degli spostamenti generati dai modi di Love
sarà allora descritto asintoticamente da:
X (F x sin θ − Fy cos θ)l1 (kn , h, ω) r 2
3π
~uLOV E =
l1 (kn , z, ω)e−i(kn r− 4 ) θ̂
(3.93)
4c(kn )vg (kn )I1L (kn )
πkn r
n
In modo analogo si può ricavare il moto per le onde di Rayleigh. Se si suppone che F~ abbia una dipendenza temporale, nel dominio delle frequenze si ottiene che lo spostamento
è dato da:
LOV E
ui (~x, ω) = F p (ω)Gip
(~x; ~ξ; ω)
(3.94)
dove G(~x; ~ξ; ω) dove è la trasformata di Fourier della funzione di Green per le onde
superficiali generate da una forza puntiforme che agisce nel punto ~ξ = (0, 0, h) all’istante
zero.
52
3.7 Sismogrammi sintetici
3.7 Sismogrammi sintetici
Seguendo la notazione proposta da Ben-Menahem e Harkrider (1964), Florsch et al.
(1991) per le onde di Love, Panza (1985) e Panza et al. (1973) per le onde di Rayleigh,
è possibile definire il vettore F~θ , le cui componenti rispetto al sistema di riferimento
cartesiano sono:
1
1 i(ωt−kn r)
i(ωt−kn r)
i 3π
−i π4
~
4
Fθ = √
e
sin θe Nθ , √
e
cos θe Nθ , 0
(3.95)
2πr
2πr
dove Nθ è una funzione che dipende della frequenza, dalla profondità della sorgente e
dalle costanti del mezzo stratificato e rappresenta la risposta in in ampiezza del mezzo
in direzione trasversale dovuta a una forza elementare agente in direzione orizzontale.
In pratica, visto il sistema di riferimento assunto, il termine Nθ coincide con la risposta
del mezzo al passaggio delle onde di Love. Dall’eq. (3.93) si deduce che l’espressione
esplicita di Nθ è data da:
Nθ =
l1 (kn , h, ω)l1 (kn , z, ω)AL
√
kn
(3.96)
dove con AL si è indicata la quantià 1/(2c(kn )vg (kn )I1L (kn )). Nella sezione 3.2 si è visto il
vantaggio di usare le velocità piuttosto che gli spostamenti, perciò notando che u˙y = iωuy
u̇ (h) u̇ (z)
e (uy (0), σzy (0)) = (1, 0), si può porre l1 (h)l1 (z) = u̇yy (0) u̇yy(0) . In questo modo l’eq. (3.96)
alla superficie libera (z = 0) diventa:
Nθ (h) =
u̇y (h) AL
√
u̇y (0) kn
(3.97)
Per quanto riguarda le onde di Rayleigh possono essere definiti i seguenti vettori:
1 i(ωt−kn r) π
π
π
e
cos θe−i 4 Nrr , sin θe−i 4 Nrr , ei 4 Nrz
F~r = √
2πr
F~z =
1 i(ωt−kn r)
3π
π
3π
e
cos θe−i 4 Nzr , sin θe−i 4 Nzr , e−i 4 Nzz
√
2πr
(3.98)
dove le funzioni Ni j alla superficie libera sono espresse come:
u̇∗ (h) A
R
Nzr (h) = − x
√
u̇z (0) kn
u̇∗ (0) Nrr (h) = − x
Nzr (h) = 0 Nzr (h)
u̇z (0)
u̇ (h) A
z
R
Nzz (h) =
√
u̇z (0) kn
Nrz (h) = 0 Nzz (h)
(3.99)
Dalle equazioni (3.99) si può ricavare l’ellitticità dei modi di Rayleigh:
0 =
u∗ (0)
Nrz (h) Nrr (h)
=
=− x
Nzz (h) Nzr (h)
uz (0)
53
(3.100)
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
in cui l’asterisco ∗ viene usato per indicare la parte immaginaria di una quantità complessa, ossia u∗x = −iu x .
Le quantità Nrr , Nrz , Nzz e Nzr rappresentano rispettivamente:
- la risposta in ampiezza del mezzo in direzione radiale dovuta a una forza elementare agente nella stessa direzione;
- la risposta in ampiezza del mezzo in direzione radiale dovuta a una forza elementare agente in direzione verticale;
- la risposta in ampiezza del mezzo in direzione verticale dovuta a una forza elementare agente nella stessa direzione;
- la risposta in ampiezza del mezzo in direzione verticale dovuta a una forza elementare agente in direzione radiale.
Avendo definito i vettori (3.95-3.98), è possibile scrivere lo spostamento nel far filed per
~ combinazione lineare di tre forze di
un singolo modo, dovuto a una forza generica R,
modulo unitario che agiscono lungo le tre direzioni elementari ~e1 , ~e2 , ~e3 :
~ S = (R
~ · F~r )~er + (R
~ · F~θ )~eθ + (R
~ · F~r )~er = UrS ~er + UθS ~eθ + UzS ~ez
U
(3.101)
Se si adotta la rappresentazione indicata in Figura 3.5 si ottiene che:
~ =| R | (cos λê1 + sin λ cos δê2 + sin λ sin δê3 )
R
(3.102)
Si assume inoltre che la dipendenza temporale della forza sia data dalla Delta di Dirac.
Figura 3.5: Geometria degli elementi di sorgente e posizione relativa del ricevitore sulla superficie libera. Geometria sorgente-ricevitore. Gli angoli δ, θ e λ rappresentano rispettivamente l’angolo di immersione del piano di faglia, dip, l’angolo tra ricevitore e sorgente, strike-receiver, e l’angolo di scorrimento
della faglia, rake. Le componenti trasversali (tra) sono dovute al moto delle onde di Love, le componenti
radiali (rad) e verticali (ver) a quelle di Rayleigh.
In modo analogo, il versore normale al piano di faglia (che ha le dimensioni di una
lunghezza) è dato da:
~n =| n | (− sin δê2 + cos δê3 )
(3.103)
54
3.7 Sismogrammi sintetici
dove 0 ≤ δ ≤ π e 0 ≤ λ ≤ 2π.
Dalle eq. (3.101-3.102) si ottengono gli spostamenti generati da una forza singola in
termini degli elementi della faglia (λ, δ) e dell’angolo di strike-receiver (θ):
1 i(ωt−kn r) i 3π4
UrS =| R | √
e
e [Nrr (cos λ cos θ + sin λ cos δ sin θ) + iNrz sin λ sin δ] (3.104)
2πr
1 i(ωt−kn r) i 3π4
UθS =| R | √
e
e Nθ (cos λ sin θ − sin λ cos δ cos θ)
(3.105)
2πr
π
UzS = UrS 0−1 e−i 2
(3.106)
Se la sorgente sismica viene invece rappresentata da una coppia di forze di modulo R, si
può ricavare il campo degli spostamenti U C generato da tale sorgente applicando l’operatore gradiente al campo di spostamenti U S associato a una singola forza, anch’essa di
modulo R:
~ C = −(~n · grad)U
~S
U
(3.107)
dove si è usato il segno negativo per il gradiente in quanto la derivata viene fatta rispetto
alla sorgente, mantenendo fisso il ricevitore, e ~n rappresenta il versore che individua il
braccio della coppia di forze. Le componenti del versore ~n e dell’operatore gradiente
lungo gli assi del sistema di riferimento cilindrico sono:
nr = ~n · ~er =| n | (− sin δ sin θ)
nθ = ~n · ~eθ =| n | (sin δ cos θ)
nz = ~n · ~ez =| n | (cos δ)
(3.108)
1 ∂
∂
∂
gradθ =
gradh =
(3.109)
∂r
r ∂θ
∂h
Inserendo le eq. (3.108-3.109-) nell’eq. (3.107), ed usando le note relazioni trigonometriche:
cos 2x = cos2 x − sin2 x
e
sin 2x = 2 sin x cos x
gradr =
si ottiene:
UθC
∂
∂ S
= sin δ sin θ − cos δ
Uθ + O(r−3/2 )
∂r
∂h
1
1 i(ωt−kn r) −i 3π4
= | R || n | √
e
e kNθ (h) − cos λ sin δ +
2
2πr
+i((cos λ cos δG(h)) sin θ + (− sin λ cos2 δG(h)) cos θ) +
1
1
+ sin λ sin 2δ cos 2θ + cos λ sin δ cos 2θ
4
2
(3.110)
UrC
∂ S
∂
= sin δ sin θ − cos δ
Ur + O(r−3/2 )
∂r
∂h
1
1 i(ωt−kn r) −i 3π4
e
e kNrz (h)
sin 2δ sin λ B(h) +
= | R || n | √
4
2πr
+i(sin λ(1 − C(h) cos2 δ) sin θ − (cos δ cos λ)[1 − C(h)] cos θ) +
1
1
+ (cos λ sin δ)A(h) sin 2θ + − sin 2δ sin λ A(h) cos 2θ
2
4
(3.111)
55
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
∂
∂ S
C
Uz = sin δ sin θ − cos δ
Uz + O(r−3/2 )
∂r
∂h
C −1 −i π2
= Ur 0 e
(3.112)
dove:
Nrr
Nrz
1 2 ∂Nrz B(h) =
Nrr +
Nrz
k ∂h
1
1 ∂Nrr (h) C(h) =
Nrz (h) +
Nrz
k ∂h
1 ∂Nθ (h)
G(h) =
kNθ (h) ∂h
A(h) =
(3.113)
(3.114)
(3.115)
(3.116)
e in cui, essendo interessati solo al far field, sono stati trascurati sia il termine contenente
la derivata rispetto a θ, in quanto risulta essere un infinitesimo di ordine pari a r−3/2 a
causa del fattore 1/r associato a tale derivata, sia la derivata rispetto a r del termine
(2πr)1/2 , che risulta anch’essa proporzionale a r−3/2 .
La sorgente come doppia coppia viene ottenuta dalla sovrapposizione di due coppie
uguali ad angolo retto in modo tale che il momento totale del sistema sia zero. Per
ottenere il campo di spostamento far field per questo sistema, si deve aggiungere alla
rappresentazione di U C data dall’eq. (3.107) il campo di spostamento dovuto a una
~ con ~n. Si ha quindi:
seconda coppia formata scambiando R
~
~ S (| R | ~n)
~ DC = −(~n · grad)U
~ S (R)
~ − R · grad U
(3.117)
U
|R|
Per calcolare la (3.117) bisogna dapprima conoscere:
- le componenti di
~
R
|R|
lungo gli assi del sistema di riferimento cilindrico:
~
Rr
R
=
· ~er = cos λ cos θ + sin λ cos δ sin θ
|R|
|R|
~
Rθ
R
=
· ~eθ = cos λ sin θ − sin λ cos δ cos θ
|R|
|R|
~
R
Rz
=
· ~ez = sin λ sin δ
|R|
|R|
(3.118)
~ R | ~n):
- il campo di spostamento U(|
UθS (| R | ~n) = (| R | ~n · F~θ )êθ
1 i(ωt−kn r) i 3π4
= | R || n | √
e
e Nθ (h) sin δ cos θ
2πr
UrS (| R | ~n) = (| R | ~n · F~r )êr
1 i(ωt−kn r) −i π4
= | R || n | √
e
e (− sin θ sin δNrr (h) + i cos δNrz (h))
2πr
(3.119)
56
3.7 Sismogrammi sintetici
Dalle eq. (3.109-3.118-3.119) si ricava il campo di spostamento per la seconda coppia:
∂
∂
∂
UθCII (| R | ~n) = − cos λ cos θ − sin λ cos δ sin θ − sin λ sin δ
∂r
∂r
∂h
1
3π
UθS (| R | ~n) + O(r−3/2 ) =| R || n | √
ei(ωt−kn r) e−i 4 kn Nθ (h)
2πr
1
1
sin δ cos λ (1 + cos 2θ) + sin 2δ sin λ sin 2θ +
2
4
+i(sin λ sin2 δG(h)) cos θ
(3.120)
∂
∂
∂ S
U
− sin λ cos δ sin θ − sin λ sin δ
∂r
∂r
∂h r
(| R | ~n) + O(r−3/2 )
1
1 i(ωt−kn r) −i 3π4
= | R || n | √
e
e kn Nrz (h) sin λ sin 2δB(h) +
4
2πr
i (sin λ(−1 + C(h) sin2 δ)) sin θ + (− cos λ cos δ) cos θ +
1
1
cos λ sin δA(h) sin 2θ + − sin λ sin 2δA(h) cos 2θ
2
4
(3.121)
UrCII (| R | ~n) =
− cos λ cos θ
Sostituendo le (3.120-3.121-3.110-3.111) nell’eq. (3.117) si ottiene:
1 i(ωt−kn r) −i 3π4
UθDC = | R || n | √
e
e Nθ (h)kn
2πr
1 N (h) θ
i
(sin θ(cos λ cos δ) + cos θ(− sin λ cos 2δ)) +
kn Nθ (h) ∂h
1
+ sin 2θ sin λ sin 2δ + cos 2θ(cos λ sin δ)
2
(3.122)
1
1 i(ωt−kn r) −i 3π4
UrDC = | R || n | √
e
e Nrz (h)kn sin λ sin 2δB(h) +
2
2πr
i (− sin λ cos 2δC(h)) sin θ) + (− cos λ cos δC(h)) cos θ +
1
cos λ sin δA(h) sin 2θ + − sin λ sin 2δA(h) cos 2θ
2
(3.123)
In conclusione, l’espressione asintotica della trasformata di Fourier dello spostamen~ DC , può essere scritta come
to alla superficie libera causato da una doppia coppia, U
~ DC = P∞
~ DC , dove n è l’indice del modo, e:
U
n=1 U
n
UrDC (r, 0, ω)
n
= R(ω) | n | e
−i 3π
4
57
p
e−ikR r −ωrC2R e
kR χR (θ, h)AR 0 √
n
2πr
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
−ikL r
p
e
DC
−i 3π
−ωrC
2L
Uθ (r, 0, ω) = R(ω) | n | e 4 kL χL (θ, h)AL √
e
n
2πr
n
π
UzDC (r, 0, ω) = e−i 2 0−1 UrDC (r, 0, ω)
n
n
R(ω) rappresenta la trasformata di Fourier della funzione che descrive l’evoluzione temporale di una forza puntiforme equivalente (R(ω) = |R(ω)|eiΦ0 , con Φ0 = arg(R(ω)) rappresentante la fase iniziale). I termini χL (θ, h) e χR (θ, h) rappresentano la dipendenza
azimutale della risposta:
χL (h s , θ) = i(d1L sin θ + d2L cos θ) + d3L sin 2θ + d4L cos 2θ
χR (h s , θ) = d0R + i(d1R sin θ + d2R cos θ) + d3R sin 2θ + d4R cos 2θ
(3.124)
(3.125)
con:
d1L = G(h) cos λ cos δ
d2L = −G(h) sin λ cos 2δ
1
d3L =
V(h) sin λ sin 2δ
2
d4L = V(h) cos λ sin δ
1
d0R =
B(h) sin λ sin 2δ
2
d1R = −C(h) sin λ cos 2δ
d2R = −C(h) cos λ cos δ
d3R = A(h) cos λ sin δ
1
d4R = − A(h) sin λ sin 2δ
2
(3.126)
dove le funzioni dipendenti dalla profondità dell’eq. (3.126), sono date da:
∗
1 σzy (h)
1 σzy (h)
=
µ(h) u̇y (0)/c µ(h)kn uy (0)
u̇y (h) uy (h)
=
u̇y (0) uy (0)
u∗ (h)
− x
uz (0)
σ∗zz (h)
β2 (h) u∗x (h)
2
− 3−4 2
−
α (h) uz (0) ρ(h)α2 (h) u̇z (0)/c
1 σzx (h)
−
µ(h) u̇z (0)/c
G(h) = −
V(h) =
A(h) =
B(h) =
C(h) =
(3.127)
I termini e−ωrC2L e e−ωrC2L , che rappresentano lo smorzamento dell’ampiezza, sono stati
introdotti per tenere conto dell’anelasticità del mezzo.
58
3.7 Sismogrammi sintetici
3.7.1 Attenuazione di fase
Il trattamento dell’anelasticità richiede che le velocità delle onde P ed S diventino
complesse (Schwab e Knopoff, 1971):
1
1
1
=
=
− iA2
α
α1 + iα2 A1
(3.128)
1
1
1
=
=
− iB2
α
β1 + iβ2 B1
A1 e B1 sono, rispettivamente, la velocità di fase delle onde P e la velocità di fase delle
onde S, mentre A2 e B2 sono, rispettivamente, l’attenuazione di fase delle onde P e
l’attenuazione di fase delle onde S. In un mezzo anelastico anche la velocità di fase c
delle onde di superficie deve essere espressa come una quantità complessa:
1
1
=
− iC2
c C1
(3.129)
La quantità C1 rappresenta la velocità di fase attenuata, mentre C2 rappresenta l’attenuazione di fase. Questa attenuazione può essere stimata usando la tecnica variazionale
(Takeuchi e Saito, 1972; Aki e Richards, 1980).
Per i modi di Love si trova che (Florsch et al., 1991):
∗ 2 2 R∞
σzy
uy
1
µB
B
+
dz
1
2
2
uy (0)
µ u̇y (0)/c̄
0
C2L =
(3.130)
R ∞ uy 2
c̄ 0 µ uy (0) dz
dove c̄ rappresenta la velocità di fase nel caso perfettamente elastico.
Per i modi di Rayleigh si trova che (Panza, 1985):
C2R =
Im(I4R )
2ωk̄I3R
(3.131)
dove k̄ è il numero d’onda nel caso perfettamente elastico e gli integrali I3R e I4R sono
definiti come:
Z ∞ λ2 2 1 λ
I3R =
(λ + 2µ) −
y3 + y1 y4 −
y2 y3 dz
(3.132)
(λ + 2µ)
k
(λ + 2µ)
0
Z
I4R =
λ2
1
2
2
+
2
k̄λy
y
)
+
k̄
1
+
(y
y2 +
2 3
2 2
2 3
(λ
+
2µ)
(λ
+
2µ)
0
(3.133)
2k̄
1
+δµ 2 y24 + δλ
(y2 y3 + k̄λy23 ) dz
µ
(λ + 2µ)
∞
δ(λ + 2µ)
in cui:
y1 =
uz (z)
uz (0)
y2 =
σzz (z)
uz (0)
y3 = −i
59
u x (z)
uz (0)
y4 = −i
σzx (z)
uz (0)
(3.134)
Capitolo 3. SOMMA DEI MODI PER LE ONDE DI RAYLEIGH E DI LOVE IN
STRUTTURE STRATIFICATE
Le quantità variazionali nella (3.133) sono:
δ(λ + 2µ) = ρ(α21 − α22 − ᾱ2 ) + i2ρα1 α2
δ(µ) = ρ(β21 − β22 − β̄2 ) + i2ρβ1 β2
δ(λ) = ρ[(α21 − α22 − ᾱ2 ) − 2(β21 − β22 − β̄2 )] + i2ρ(α1 α2 − 2β1 β2 )
dove ᾱ e β̄ sono le velocità delle onde P ed S nel caso perfettamente elastico.
60
(3.135)
Capitolo
4
Metodo ibrido
Nel Capitolo 3 le equazioni del moto sono state risolte analiticamente, approssimando la struttura geologica con un modello 1-D. Tipicamente la soluzione analitica viene
applicata ai modelli regionali che caratterizzano il percorso dalla sorgente al sito di interesse. Quando però si vogliono modellare le condizioni locali al sito, è opportuno
adottare un metodo di calcolo bidimensionale, quale, ad esempio, il metodo delle differenze finite.
Nell’ambito di questa tesi è stato usato il metodo ibrido proposto da Fäh et al. (1993)
e ampiamente usato per scopi di microzonazione sismica. Esso combina la tecnica della
somma modale con quella delle differenze finite, applicando ciascuna delle due tecniche
alla parte del del modello strutturale nella quale risulta più efficace. La somma modale,
valida per mezzi anelastici lateralmente omogenei, viene infatti usata per simulare la
propagazione delle onde dalla posizione della sorgente fino ai bordi di una griglia che
rappresenta la struttura locale, anelastica ed eterogenea che si vuole modellare in dettaglio, all’interno della quale il campo d’onda viene propagato secondo lo schema delle
differenze finite. L’accoppiamento tra i due metodi viene effettuato introducendo le serie
temporali ottenute con la somma modale nei calcoli delle differenze finite attraverso due
linee di griglia verticali, trasparenti a ogni riflessione dalla parte lateralmente eterogenea del modello strutturale. La griglia delle differenze finite, a causa della limitatezza
della memoria e dei tempi di calcolo dei computer, è racchiusa da contorni artificiali che
generano riflessioni, alterando in tal modo le serie temporali finali. Per ridurre queste riflessioni indesiderate, viene usata una tecnica che consiste nella riduzione graduale delle
onde in una regione di assorbimento, caratterizzata da un Q dipendente dallo spazio che
decresce linearmente verso il confine artificiale sinistro. L’anelasticità viene inclusa nei
calcoli alle differenze finite usando il modello reologico del corpo di Maxwell generalizzato. L’algoritmo è stato sviluppato da Emmerich e Korn (1987) per le onde SH ed
esteso al caso delle onde P-SV da Fäh (1992) ed Emmerich (1992).
Lo schema della procedura è illustrato in Figura 4.1.
61
Capitolo 4. METODO IBRIDO
Figura 4.1: Diagramma schematico del metodo ibrido (somma modale e differenze finite).
4.1 Differenze finite
Per modellare la propagazione delle onde in aree topograficamente accidentate e con
variazioni laterali è opportuno usare tecniche diverse dalla somma modale. In questa
sezione viene presentato il metodo delle differenze finite, particolarmente adatto nella
valutazione della propagazione delle onde in mezzi bidimensionali.
Il cuore di questa tecnica consiste nella sostituzione nell’equazione d’onda degli operatori differenziali con operatori alle differenze finite. Uno dei vantaggi del metodo delle
differenze finite sta nella sua facilità di programmazione. I limiti di questa tecnica risiedono nella velocità e nella memoria disponibile dei computer.
4.1.1 Schema alle differenze finite per le onde SH
Nel calcolo delle onde SH viene usato lo schema alle differenze finite basato sulla
formulazione di Korn e Stöckl (1982). Il punto di partenza è l’equazione del moto per
le onde SH che si propagano nel piano xz di un mezzo omogeneo:
ρ
∂2 u
∂2 u y ∂2 uy
y
=
µ
+
∂t2
∂x2
∂z2
62
(4.1)
4.1 Differenze finite
Usando l’espansione in serie di Taylor, l’equazione (4.1) può essere approssimata da
un’equazione alle differenze finite con un errore di troncamento del secondo ordine:
ρ
t
t−∆t
ut+∆t
y(m,n) − 2uy(m,n) + uy(m,n)
∆t2
= µ
uty(m+1,n) − 2uty(m,n) + uty(m−1,n)
∆x2
(4.2)
+ µ
uty(m,n+1)
−
2uty(m,n)
∆z2
+
uty(m,n−1)
dove è stata usata la seguente notazione: ut+∆t
y(m,n) = uy (m∆x, n∆z, t + ∆t). In questo modo
sia il tempo che lo spazio vengono discretizzati: le proprietà dei materiali e lo spostamento sono ora definite su una griglia regolare (Figura 4.2) di passi ∆x e ∆z, in tempi
successivi distanti tra loro ∆t. Per passare da un mezzo omogeneo ad uno eterogeneo
Figura 4.2: Griglia di passi ∆x e ∆z usata per definire le proprietà dei materiali e lo spostamento uty : ❍
indica i punti di griglia in cui sono definiti lo spostamento uty , la densità ρ e il modulo di taglio µ; ● indica
i punti di griglia in cui sono definiti anche i punti fittizi per lo spostamento ũty .
si devono soddisfare le condizioni di continuità degli sforzi e spostamenti ad ogni interfaccia. Si supponga dapprima di voler soddisfare le condizioni al contorno solo ad
un’interfaccia posta alla profondità z = a (Figura 4.2). Le condizioni al contorno che
devono essere soddisfatte su questa interfaccia sono:
∂u(1)
∂u(2)
y y (1)
(2)
µ
= µ
∂z z=a
∂z z=a
(4.3)
(1)
(2)
uy |z=a = uy |z=a
dove gli indici (1) e (2) denotano i mezzi 1 e 2. Per soddisfare le condizioni al contorno
sulla griglia di punti, vengono introdotti dei punti fittizi sulle linee di griglia poste ai
lati dell’interfaccia, ossia in z = n e z = n + 1 (Figura 4.2). I punti fittizi vengono
introdotti solo per soddisfare le condizioni al contorno; non entreranno, quindi, nello
schema finale alle differenze finite. Denotando le quantità definite nei punti fittizi con
una tilde, le (4.3) possono essere approssimate nel seguente modo:
63
Capitolo 4. METODO IBRIDO
- mediante differenze centrali rispetto all’interfaccia per lo sforzo:
ũt
(1) y(m,n+1)
µ
− uty(m,n)
∆z
=µ
ut
(2) y(m,n+1)
− ũty(m,n)
(4.4)
∆z
- mediante un’interpolazione lineare per lo spostamento:
1
1 t
(ũy(m,n+1) + uty(m,n) ) = (uty(m,n+1) + ũty(m,n) )
2
2
(4.5)
Le eq. (4.4-4.5) possono essere risolte rispetto ai punti fittizi:
ũty(m,n)
=
2uty(m,n) + (G − 1)uty(m,n+1)
G+1
(4.6)
ũty(m,n+1) =
2uty(m,n+1)
+ (G
−1
−
1)uty(m,n)
G−1 + 1
(2)
dove G = µµ(1) .
Si consideri ora un mezzo completamente eterogeneo con densità ρ(x, z) e modulo di
taglio µ(x, z). Si assuma inoltre che ciascun nodo di griglia (m,n) sia posto al centro
di una regione rettangolare omogenea. Tra due punti di griglia vicini c’è quindi un’interfaccia sulla quale devono essere soddisfatte le condizioni di continuità degli sforzi e
degli spostamenti. Per un mezzo eterogeneo, l’equazione alle differenze finite (4.2) può
essere riscritta come:
ρ(m,n)
t
t−∆t
ut+∆t
y(m,n) − 2uy(m,n) + uy(m,n)
∆t2
= µ(m,n)
ũty(m+1,n) − 2uty(m,n) + ũty(m−1,n)
∆x2
(4.7)
+ µ(m,n)
ũty(m,n+1)
−
2uty(m,n)
∆z2
+
ũty(m,n−1)
Esprimendo lo spostamento nei punti fittizi vicini al punto (m,n) in termini degli spostamenti ai punti reali, l’equazione (4.7) diventa:
t−∆t
t
2
ut+∆t
y(m,n) = −uy(m,n) + 2uy(m,n) ∆t
µ(m,n) ∆t 2 t
+2
G1 uy(m+1,n) − uty(m,n) + G2 uty(m−1,n) − uty(m,n)
ρ(m,n) ∆x
µ(m,n) ∆t 2 t
+2
G3 uy(m,n+1) − uty(m,n) + G4 uty(m,n−1) − uty(m,n)
ρ(m,n) ∆z
(4.8)
con
G1 =
G3 =
µ(m+1,n)
µ(m,n) +µ(m+1,n)
µ(m,n+1)
µ(m,n) +µ(m,n+1)
G2 =
G4 =
µ(m−1,n)
µ(m,n) +µ(m−1,n)
µ(m,n−1)
µ(m,n) +µ(m,n−1)
(4.9)
La (4.8) è una formulazione eterogenea, nella quale le costanti elastiche possono variare
da punto di griglia a punto di griglia.
Poiché gli errori di troncamento, , crescono esponenzialmente all’aumentare del tempo,
64
4.1 Differenze finite
la stabilità numerica del sistema, 1/, tende a zero, rendendo lo schema adottato nella
(4.8) sempre instabile. Un’analisi standard di stabilità (O’Brien et al., 1950) indica
che lo schema alle differenze finite per un mezzo omogeneo è stabile se il passo di
integrazione temporale soddisfa la relazione:
∆t <
1
p
(4.10)
β 1/∆x2 + 1/∆z2
che per una griglia regolare (∆x=∆z) diventa:
∆t <
∆x
√
β 2
(4.11)
Si può pertanto introdurre la quantità γ come:
γ=
√ ∆t
2β
≤1
∆x
(4.12)
Essa può essere usata come parametro per controllare l’errore numerico nella velocità di
fase introdotto dalla discretizzazione nello spazio e nel tempo. Risulta infatti importante,
in uno schema alle differenze finite, il controllo dell’accuratezza dello schema adottato,
ad esempio la velocità di convergenza delle velocità di fase e di gruppo numeriche a
quelle corrette.
Si consideri ad esempio un’onda armonica piana che si propaga in una griglia regolare
(∆x = ∆z):
~u(x, z, ω) = ~u0 (ω)ei(ωt−kx cos θ−kz sin θ)
(4.13)
dove θ è l’angolo tra la direzione di propagazione dell’onda piana e l’asse x, k è il numero
d’onda ed ω la frequenza angolare. Se si sostituisce la (4.13) nelle approssimazioni alle
differenze finite di secondo ordine per gli operatori ∂2 /∂x2 , ∂2 /∂z2 e ∂2 /∂t2 , essi possono
essere riscritti nello spazio ω − k come (Alford et al., 1974; Kindelan et al., 1990):
∆x ∆x
4
4
2
2
D (k x ) = − 2 sin k x
= − 2 sin k
cos θ
∆x
2
∆x
2
∆x ∆x
4
4
D2 (kz ) = − 2 sin2 kz
= − 2 sin2 k
sin θ
∆x
2
∆x
2
∆t 4
D2 (ω) = − 2 sin2 ω
∆t
2
2
(4.14)
L’equazione del moto per la propagazione delle onde di taglio (eq. (4.1)) può essere
scritta nello spazio ω − k come:
D2 (ω) = β2 (D2 (k x ) + D2 (kz )),
con
β=
µ
ρ
(4.15)
dove β è la velocità delle onde di taglio. Sostituendo D2 (ω), D2 (k x ) e D2 (kz ) con le
espressioni (4.14), si ottiene:
1 2 k∆x
1
2 ω∆t
2 k∆x
sin
=
sin
cos θ + sin
sin θ
β2 ∆t2
2
∆x2
2
2
65
(4.16)
Capitolo 4. METODO IBRIDO
La velocità di fase c, che è la velocità nel mezzo discretizzato, è data da c = ω/k, e
quindi:
r
"
#
2
β∆t
2 k∆x
2 k∆x
c=
arcsin
sin
cos θ + sin
sin θ
(4.17)
k∆t
∆x
2
2
A questo punto si può definire il rapporto adimensionale q tra la velocità di fase c e la
velocità di fase reale in funzione del numero di punti di griglia per lunghezza d’onda
N = λ/∆x, come:
r
"
#
c N∆x
β∆t
2 π cos θ
2 π sin θ
q= =
sin
(4.18)
arcsin
+ sin
β πβ∆t
∆x
N
N
La quantità q descrive l’errore della velocità di fase numerica rispetto alla velocità di
fase reale (fisica). Questa quantità è sempre inferiore a 1, avvicinandosi a 1 per grandi
valori di N.
Tenendo conto della (4.12), l’eq. (4.18) diventa:
r
√
"
#
2N
γ
2 π cos θ
2 π sin θ
q=
arcsin √
sin
+ sin
(4.19)
πγ
N
N
2
L’eq. (4.19) mostra che q è indipendente dalla velocità di fase fisica β, e dipende solo
dal numero di punti per lunghezza d’onda N. Può essere dimostrato che l’accuratezza
nel modellare la dispersione di un segnale (dispersione di griglia) richiede che almeno
10 punti di griglia siano definiti per lunghezza d’onda:
∆x <
β2π
10ω
(4.20)
Questo limita la dimensione massima del modello strutturale, ma permette di modellare
la propagazione delle onde in strutture con rapide variazioni laterali, e quindi non solo
con variazioni di velocità che avvengono su distanze comparabili con le lunghezze d’onda sismiche.
In un mezzo eterogeneo, dato che sia la (4.11) che la (4.20) devono essere simultaneamente soddisfatte, la scelta di ∆x è guidata dalla velocità di taglio più bassa, mentre
la velocità di taglio più alta determina la scelta del passo temporale ∆t. Questo, a causa
di limiti computazionali, viene generalmente scelto il più possibile vicino al più alto
valore permesso. Pertanto, in un mezzo eterogeneo, l’errore numerico introdotto non
è costante in tutti in punti del modello strutturale: è minore nelle zone che hanno una
velocità di taglio più grande ed è maggiore nelle zone con le più basse velocità di taglio.
4.1.2 Schema alle differenze finite per le onde P-SV
Per quanto riguarda le onde P-SV, viene adottato uno schema basato sulla formulazione “staggered grid” di Madariaga (1976)-Virieux(1986), nella quale i campi (si considerano ora le velocità e non gli spostamenti) sono definiti su griglie separate sfasate
nello spazio (Figura 4.3). In questo caso le equazioni che riguardano il moto delle onde
66
4.1 Differenze finite
Figura 4.3: “Staggered grid” usata per definire le proprietà dei materiali e lo spostamento nel caso delle
onde P-SV: ■ indica i punti di griglia in cui sono definiti la componente verticale della velocità, u̇z , e la
densità ρ; ● indica i punti di griglia in cui sono definiti la componente orizzontale della velocità, u̇ x , e la
densità ρ; 4 indica i punti di griglia in cui sono definiti gli sforzi normali σ xx e σzz e i parametri di Lamè
λ e µ; 5 indica i punti di griglia in cui sono definiti lo sforzo tangenziale σ xz e il modulo di taglio µ.
P-SV sono:
∂u̇ x
∂t
∂u̇z
∂t
∂σ xx
∂t
∂σzz
∂t
∂σ xz
∂t
=
=
=
=
=
1 ∂σ xx ∂σ xz +
ρ ∂x
∂z
1 ∂σ xz ∂σzz +
ρ ∂x
∂z
∂u̇ x
∂u̇z
(λ + 2µ)
+λ
∂x
∂z
∂u̇z
∂u̇ x
(λ + 2µ)
+λ
∂z
∂x
∂u̇
∂u̇
x
z
µ
+
∂z
∂x
(4.21)
dove u̇ x e u̇z sono le componenti orizzontale e verticale della velocità, ρ è la densità e
λ e µ sono i coefficienti di Lamé. La componente orizzontale della velocità e la densità
sono definite nei punti (m, n + 1/2), mentre la componente verticale della velocità e la
densità sono definite nei punti (m + 1/2, n). Gli sforzi normali e i parametri di Lamé
sono definiti nei punti (m + 1/2, n + 1/2), mentre lo sforzo tangenziale e la rigidità sono
definiti nei punti (m, n). La griglia è anche sfasata nel tempo. Le velocità sono valutate
al tempo t + ∆t/2 a partire dalle componenti degli sforzi al tempo t; gli sforzi, invece,
sono valutati al tempo t + ∆t a partire dalle velocià al tempo t + ∆t/2.
Le eq. (4.21) possono essere approssimate mediante uno schema alle differenze finite,
in cui le derivate spaziali e temporali sono definite come:
h
i
h
i
L
∆x
∆x
2
X
f
x
+
(2l
−
1)
−
f
x
−
(2l
−
1)
∂f
2
2
=
d2l−1
(4.22)
∂x
∆x
l=1
dove L (L = 2,4,6,. . . ) è l’ordine dell’operatore, e ∆x è il passo di griglia nella direzione
x, mentre i coefficienti d2l−1 rappresentano dei pesi che possono essere scelti in modo da
67
Capitolo 4. METODO IBRIDO
ottenere un determinato errore relativo sulla velocità di gruppo. Lo schema alle differenze finite delle eq. (4.21) è riportato in Virieux (1986) (schema alle differenze finite
di secondo ordine, con L = 2 e d1 = 1) e Levander (1988) (schema alle differenze finite
del quarto ordine, con L = 4, d1 = 9/8 e d3 = −1/24).
La condizione di stabilità numerica del sistema è data, nel caso di uno schema alle
differenze finite di secondo ordine in cui ∆x = ∆z, da (Virieux, 1986):
∆t <
∆x
√
α 2
(4.23)
Nel caso in cui la derivata temporale venga approssimata con un operatore del secondo
ordine e le derivate temporali con operatori del quarto ordine, la condizione di stabilità
diventa:
∆x
∆t <
(4.24)
√
α(|d1 | + |d3 |) 2
Nella parte superiore dei modelli strutturali, dove generalmente le velocità sono più
basse, si usano degli operatori alle differenze finite spaziali di quarto ordine: questo
permette di mantenere un passo di campionamento più grande senza aumentare l’errore
numerico introdotto. L’operatore alle differenze finite temporale è sempre di secondo
ordine, in quanto un’approssimazione del quarto ordine richiederebbe troppa memoria
del computer. La quantità γ, che controlla l’errore numerico, è quindi definita come:
γ=
√
2α
∆t
≤1
∆x
(4.25)
nel caso di operatori alle differenze finite del secondo ordine, e:
γ=
√
∆t
2α(|d1 | + |d3 |)
≤1
∆x
(4.26)
nel caso di operatori spaziali del quarto ordine. Analogamente al caso delle onde SH,
considerando un’onda piana armonica che si propaga in una griglia regolare, gli operatori alle differenze finite di ordine L possono essere scritti come (Alford et al., 1974;
Kindelan et al., 1990):
h
i
L
2
X
sin (2l − 1)k x ∆x
2
D(k x ) =
id2l−1
(4.27)
∆x
l=1
2
Si consideri dapprima il caso di uno schema alle differenze finite del secondo ordine per
un mezzo omogeneo. Analogamente all’eq. (4.17) la velocità di fase numerica c è data
da:
r
"
#
c0 ∆t
2
2 k∆x
2 k∆x
arcsin
cos θ + sin
sin θ
c=
sin
(4.28)
k∆t
∆x
2
2
dove c0 rappresenta la velocità di fase (fisica) corrispondente alla velocità delle onde di
taglio β o alla velocità delle onde compressionali α nel mezzo omogeneo. Definendo i
rapporti adimensionali qP = c/α e qS = c/β in funzione del numero di punti di griglia
per lunghezza d’onda N = λ/∆x, e sostituendo l’eq. (4.25) si ottiene:
r
√
"
#
γ
2N
2 π cos θ
2 π sin θ
arcsin √
sin
+ sin
qP =
πγ
N
N
2
68
4.1 Differenze finite
qS
r
√
"
#
α 2N
βγ
2 π sin θ
2 π cos θ
=
arcsin √
sin
+ sin
βπγ
N
N
α 2
(4.29)
Le quantità qP e qS rappresentano le deviazioni dalle rispettive velocità di fase teoriche
(fisiche). Una volta fissate le quantità γ e N, la quantità qP è determinata; il calcolo di
qS richiede invece la conoscenza del rapporto tra le velocità di fase delle onde S e P, i.e.
qS dipende, attraverso αβ , dal rapporto di Poisson ν1 . Dato che la velocità delle onde S è
sempre inferiore a quella delle onde P, l’errore per le onde S è sempre maggiore di quello
delle onde P. Vierieux (1986) ha dimostrato che per ottenere un’accuratezza ragionevole
dello schema alle differenze finite di secondo ordine, sono richiesti dieci punti di griglia
per lunghezza d’onda, in modo da limitare la dispersione di griglia e l’errore numerico a
poche percentuali. Dato che il comportamento di qS non degrada man mano che ν si avvicina a 0.5, questo schema alle differenze finite è stabile per tutti i rapporti di Poisson;
qS diventa invece infinito dentro i liquidi per uno schema standard alle differenze finite
(Bamberger et al., 1980).
Nel caso di uno schema alle differenze finite del quarto ordine per le derivate spaziali e del secondo ordine per la derivata temporale, si ottiene per un mezzo omogeneo,
introducendo la definizione di γ (eq. (4.26)):
√
#
"
√
2N(|d1 | + |d3 |)
γ
qP =
a1 + a2 + a3
arcsin √
πγ
2(|d1 | + |d3 |)
(4.31)
√
"
#
√
βγ
α 2N(|d1 | + |d3 |)
qS =
arcsin √
a1 + a2 + a3
βπγ
α 2(|d1 | + |d3 |)
con:
a1 =
a2
a3
d12
2
π cos θ 2
π sin θ + sin
N
N
3π cos θ 2
2 3π sin θ
2
= d3 sin
+ sin
N
N
3π cos θ π sin θ 3π sin θ π cos θ = 2d1 d3 sin
sin
+ sin
sin
N
N
N
N
sin
(4.32)
Il passo di campionamento spaziale richiede ora almeno cinque punti di griglia per lunghezza d’onda in modo da tenere la dispersione di griglia e l’errore numerico entro valori
accettabili. Inoltre l’errore è ridotto rispetto al caso dello schema alle differenze finite
del secondo ordine.
1
Il rapporto di Poisson, ν:
ν=
λ
2(λ + µ)
(4.30)
esprime il rapporto tra la deformazione che avviene ortogonalmente allo sforzo assiale e la deformazione
assiale. Per un solido di Poisson (λ = µ) si ha che ν = 0.25, mentre per un fluido ideale (µ = 0) ν = 0.5.
69
Capitolo 4. METODO IBRIDO
4.2 Accoppiamento somma modale - differenze finite
L’accoppiamento tra il metodo della somma modale e il metodo delle differenze
finite viene effettuato introducendo le serie temporali ottenute con la somma modale
nei calcoli delle differenze finite. Nel caso delle onde SH viene usato come input per
le differenze finite lo spostamento, mentre nel caso delle onde P-SV, l’input consiste di
serie temporali in velocità, in relazione alle specifiche tecniche alle differenze finite usate
nei due casi. Seguendo Alterman e Karal (1968), il campo d’onda viene introdotto nello
schema delle differenze finite attraverso due linee verticali di griglia trasparenti a ogni
riflessione dalla parte lateralmente eterogenea del modello. Per le onde SH ciò viene
realizzato nel modo seguente: a ogni passo di iterazione temporale, l’algoritmo alle
differenze finite usa lo spostamento presente e precedente per calcolare quello futuro
(Sezione 4.1.1). Durante ogni passo temporale, l’energia del campo d’onda incidente
viene inserita nel rispettivo punto di griglia sulla linea di griglia S 1 (Figura 4.4); esso
è costituito dalla soluzione analitica ottenuta con il metodo della somma modale e dal
campo d’onda retrodiffuso dalla parte lateralmente eterogenea del modello. Se uy(m,n) (t)
è lo spostamento al tempo t nel punto (m, n) sulla linea di griglia S 1 (Figura 4.4), esso
può essere scritto come la sovrapposizione di due campi d’onda:
uy(m,n) (t) = u0y(m,n) (t) + ry(m,n) (t)
(4.33)
dove u0y(m,n) (t) è il contributo della soluzione analitica e ry(m,n) (t) rappresenta il campo
d’onda retrodiffuso. Lo spostamento uy(m+1,n) (t + ∆t) nel punto m + 1 sulla linea di
griglia S 2 viene calcolato con il solito schema alle differenze finite. Poiché si conosce
il contributo della soluzione analitica u0y(m+1,n) (t + ∆t) sulla linea di griglia S 2 , si può
ricavare il campo d’onda retrodiffuso:
ry(m+1,n) (t + ∆t) = uy(m+1,n) (t + ∆t) − u0y(m+1,n) (t + ∆t)
(4.34)
Il residuo ry(m+1,n) (t + ∆t) viene usato come input nello schema alle differenze finite sul
piano fittizio A (Figura 4.4), sul quale è presente solo il campo retrodiffuso. Essendo
stato separato dal campo d’onda incidente, si può calcolare il residuo ry(m+1,n) (t + 2∆t),
che viene poi sommato al contributo u0y(m+1,n) (t + 2∆t) della soluzione analitica, in modo
da avere lo spostamento totale uy(m+1,n) (t + 2∆t) al tempo t + 2∆t sulla linea di griglia S 1 .
In questo modo il campo retrodiffuso passa le linee di griglia S 1 ed S 2 senza produrre
alcuna riflessione. Per fare questo è richiesta la conoscenza della soluzione analitica
sulle due linee di griglia adiacenti S 1 ed S 2 ad ogni passo temporale. Per le onde P-SV
viene usato lo stesso schema numerico per le due componenti di velocità.
4.3 Confini artificiali
Poiché la memoria dei computer e i tempi di calcolo sono limitati, la griglia alle differenze finite deve essere racchiusa entro dei confini artificiali. Questi confini, non essendo
realistici, generano delle riflessioni che contaminano la soluzione finale. Per superare
questo problema sono stati proposti nel corso degli anni vari metodi, tra cui quello che
consiste nella riduzione graduale delle onde in una regione di alto assorbimento, usato
70
4.4 Attenuazione intrinseca
Figura 4.4: Configurazione della griglia usata per rendere le linee di griglia verticali S 1 ed S 2 trasparenti
alle onde retrodiffuse: ❍ indica i punti di griglia del piano fittizio (piano A) in cui è definito il campo
retrodiffuso; ● indica i punti di griglia del piano reale in cui è definito il campo totale.
nella presente tesi. Tale regione è caratterizzata da un fattore di attenuazione Q che varia nello spazio, diminuendo linearmente verso il confine artificiale sinistro del modello,
con un gradiente non troppo rapido in modo da evitare ulteriori riflessioni.
4.4 Attenuazione intrinseca
In un solido lineare perfettamente elastico, in accordo alla legge di Hooke, lo sforzo
è proporzionale alla deformazione e l’energia meccanica viene immagazzinata senza
dissipazione. In un fluido viscoso, invece, in accordo alla legge di Newton, lo sforzo è
proporzionale al tasso di deformazione; in questo caso l’energia viene completamente
dissipata. Per modellare le proprietà della terra può essere usata una combinazione delle
proprietà meccaniche dei solidi elastici e dei fluidi viscosi. Bisogna quindi considerare i
solidi viscoelastici, nei quali l’energia viene in parte immagazzinata e in parte dissipata.
La relazione tra sforzo σ e deformazione ε nel caso della viscoelasticità lineare viene
formulata nel dominio delle frequenze come:
σ(ω) = M(ω)ε(ω)
(4.35)
dove M(ω) rappresenta il modulo viscoelastico complesso in funzione della frequenza. Dato che lo schema alla differenze finite lavora nel dominio temporale, bisogna
antitrasformare l’eq. (4.35):
Z t
σ(t) = M(t) ∗ ε(t) =
(4.36)
M(t − τ)ε(τ)dτ
−∞
In altre parole lo sforzo è il risultato della convoluzione tra il modulo viscoelastico M
e la deformazione ε. È opportuno introdurre a questo punto la funzione di rilassamento
71
Capitolo 4. METODO IBRIDO
R(t), che rappresenta la risposta dello sforzo a una funzione a gradino unitaria nella
deformazione (ossia a ε(t) = H(t)) (Figura 4.5). Dall’eq. (4.36) si può scrivere:
R(t) = M(t) ∗ H(t)
(4.37)
Figura 4.5: Risposta R(t) a una deformazione H(t) applicata al tempo t = 0. Sono mostrati anche il
modulo rilassato MR e il modulo non rilassato MU .
R(t) può essere scritto come (Emmerich e Korn, 1987):
Z ∞
0
R(t) = MR + δM
r(ω0 )e−ω t dω0 H(t)
(4.38)
0
R∞
dove r(ω0 ) rappresenta lo spettro di rilassamento normalizzato, ossia 0 r(ω0 )dω0 = 1.
Il modulo rilassato MR e il modulo non rilassato MU sono definiti come:
MR = lim R(t)
t→∞
MU = lim R(t) = MR + δM.
e
t→0
(4.39)
Il modulo non rilassato MU fornisce la proporzionalità tra lo sforzo e la deformazione nel
momento di applicazione della deformazione, prima che il materiale cominci a rilassarsi.
La variazione della deformazione può essere realizzata mediante una serie di piccoli
passi ripetuti in tempi successivi, e quindi, ricordando che se ε(t) = H(t) allora ε̇(t) =
δ(t), si ha che dε(t) = δ(t)dt = ε̇(t)dt, σ(t) può essere riscritto in funzione di R(t) come:
Z t
Z t
σ(t) =
R(t − τ)dε(τ) =
R(t − τ)ε̇(τ)dτ = R(t) ∗ ε̇(t)
(4.40)
−∞
−∞
Integrando per parti l’eq. (4.40) si ha che:
Z
t
σ(t) = MU ε(t) +
Ṙ(t − τ)ε(τ)dτ
(4.41)
−∞
Inserendo ora la (4.38) nell’eq. (4.41) si ottiene:
Z t Z ∞
0
σ(t) = MU ε(t) − δM
ω0 r(ω0 )e−ω (t−τ) ε(τ)dω0 dτ
−∞
(4.42)
0
In generale, lo sforzo al tempo t dipende dalla deformazione allo stesso tempo (risposta
istantanea, elastica) e ai tempi passati (memoria del sistema).
72
4.4 Attenuazione intrinseca
Nei calcoli numerici l’eq. (4.42) è difficile da maneggiare in quanto l’integrazione della storia della deformazione in ogni punto del mezzo e ad ogni passo temporale
richiede una grande quantità di tempo e memoria dei computer. Per ovviare a questo problema si può approssimare il modulo viscoelastico M mediante una funzione razionale
della frequenza. Questo viene fatto (Emmerich e Korn, 1987) assumendo che lo spettro
di rilassamento consista solo di n picchi di ampiezza a j alle frequenze di rilassamento
discrete ω j :
n
n
X
X
r(ω) =
a j δ(ω − ω j );
aj = 1
(4.43)
j=1
j=1
Inserendo l’eq. (4.43) nell’eq. (4.38), si ha:
n
X
R(t) = MR + δM
a j e−ω j t H(t)
(4.44)
j=1
e, dalla 4.41, ricordando che la trasformata di Fourier di una convoluzione è uguale al
prodotto delle trasformate di Fourier delle due funzioni:
n
X
a jω j
M(ω) ≈ Mn (ω) = MU − δM
iω + ω j
j=1
Tenendo conto che:
δM =
n
X
a j δM
j=1
iω + ω j
iω + ω j
(4.45)
(4.46)
l’espressione del modulo viscoelastico (eq. (4.45)) può essere riscritta come:
Mn (ω) = MR +
n
X
j=1
a j δM
iω
iω + ω j
(4.47)
Questa espressione rappresenta il modello reologico del corpo di Maxwell generalizzato
(Figura 4.6). Ogni termine della somma nell’eq. (4.47) può essere interpretato come un
corpo di Maxwell classico: una molla (unità elastica) con modulo elastico a j δM (Christensen, 1982) in serie con dashpot (unità viscosa) con viscosità a j δM/ω j . Il termine
MR è dato dall’addizionale elemento elastico posto in parallelo.
È necessario a questo punto introdurre introdurre il fattore di qualità Q, definito in
Figura 4.6: Corpo di Maxwell generalizzato.
funzione del modulo viscoelastico M come:
Im(M(ω))
Q−1 (ω) =
Re(M(ω))
73
(4.48)
Capitolo 4. METODO IBRIDO
Affinchè l’eq. (4.35) sia causale, cioè l’output σ(ω) non cominci prima dell’input ε(ω),
la parte reale e la parte immaginaria di M devono seguire la relazione di KramersKronig. In una teoria lineare questa relazione determina la parte reale di una funzione complessa a partire dai valori della sua parte immaginaria sommati sull’intero
range di frequenze. Conseguentemente, M(ω) è univocamente determinato dalla legge di attenuazione Q(ω). Introducendo il modulo viscoelastico del corpo di Maxwell
generalizzato (eq. 4.47) nell’eq. (4.48), si ottiene la seguente relazione:
Pn
ω/ω j
j=1 a j 1+(ω/ω j )2
δM
−1
Q (ω) =
(4.49)
MR 1 + δM Pn a j (ω/ω j )2 2
j=1
MR
1+(ω/ω j )
Se si assume che δM MR , l’eq. (4.49) diventa approssimativamente:
n
ω/ω j
δM X
aj
Q (ω) ≈
MR j=1 1 + (ω/ω j )2
−1
(4.50)
Questo significa che il Q−1 del corpo di Maxwell generalizzato è approssimativamente
la somma di n funzioni di Debye con massimo a j δM/2MR in ω j . Queste funzioni sono
simmetriche su una scala logaritmica. Se si vuole ottenere un Q−1 approssimativamente
costante su un certo range di frequenze, bisogna scegliere le frequenze di rilassamento
equidistanti su una scala logaritmica all’interno della banda di frequenze di interesse.
I pesi a j vengono determinati (Emmerich e Korn, 1987) richiedendo che il Q del corpo
e
di Maxwell generalizzato (eq. 4.49) coincida con una data legge di attenuazione Q(ω)
per certe frequenze discrete ω̃k (k = 1,. . . ,K). Con:
yj =
δM
aj
MR
(4.51)
e l’eq. (4.49) si ha:
n
X
e−1 (ω̃k )ω̃k
ω̃k ω j − Q
j=1
ω2j + ω̃2k
e−1 (ω̃k ),
yj = Q
k = 1, ..., K
(4.52)
L’eq. (4.52) è un sistema di equazioni nelle incognite y j . Mediante scelte opportune
delle frequenze ω̃k è possibile rendere il sistema (4.52) sovradeterminato e risolverlo
con il metodo dei minimi quadrati. Dall’eq. (4.51) e la condizione di normalizzazione:
n
X
yj =
j=1
si ricava:
aj = yj
δM
MR
(4.53)
n
X
yj
(4.54)
j=1
L’espressione finale del modulo di taglio viscoelastico risulta quindi essere (dall’eq.
4.45):
Pn
#
"
j=1 y j ω j /(iω + ω j )
P
(4.55)
Mn (ω) = MU 1 −
1 + nj=1 y j
74
4.4 Attenuazione intrinseca
Per il corpo di Maxwell generalizzato l’equazione sforzo-deformazione nel dominio
temporale (eq. 4.36) diventa (dall’eq. (4.45)):
σ(t) = MU ε(t) −
n
X
ζ j (t)
(4.56)
j=1
(Emmerich e Korn, 1987), dove ciascuna delle nuove variabili ζ j soddisfa l’equazione
differenziale di secondo ordine:
ζ̇ j (t) + ω j ζ j (t) = a j ω j
δM
ε(t)
MU
(4.57)
Lo sforzo totale risulta uguale alla differenza tra il termine elastico MU ε(t) e il termine
anelastico dato dalla somma delle funzioni ζ j .
Questa relazione tra sforzo e deformazione può essere ora implementata nello schema
alle differenze finite.
Nel caso delle onde SH essa diventa:
σkl = 2MU εkl −
n
X
ζ j,kl ,
kl = yx o yz
(4.58)
j=1
con ζ j,kl da:
δM
εkl
(4.59)
MU
Ponendo la (4.58) nell’equazione del moto per un mezzo omogeneo (MU =µ=costante):
ζ̇ j,kl + ω j ζ j,kl = a j ω j
∂2 uy ∂σyx ∂σyz
=
+
∂t2
∂x
∂z
(4.60)
n
2
∂2 uy
∂2 u y X
2 ∂ uy
ζj
=β
+ 2 −
∂t2
∂x2
∂z
j=1
(4.61)
δM ∂2 uy ∂2 uy + 2
ζ̇ j + ω j ζ j = a j ω j
MU ∂x2
∂z
(4.62)
ρ
si ottiene:
p
dove β = MU /ρ è la velocità delle onde nel caso elastico e ζ j = 2(∂ζ j,yx /∂x + ∂ζ j,yz /∂z).
ζ j soddisfa l’equazione:
Una discretizzazione di secondo ordine delle eq. (4.61-4.62-) risulta essere:
n
2
∂2 uy 1 X
∂2 u y
t+∆t/2
t−∆t/2
2 ∂ uy
=
β
+
−
(ζ
+
ζ
)
j
∂t2
∂x2
∂z2
2 j=1 j
ζ t+∆t/2
= A j ζ t−∆t/2
+ Bj
j
j
con:
Aj =
2 − ω j ∆t
2 + ω j ∆t
∂2 u
75
∂2 u y ∂z2 t
(4.64)
2a j ω j ∆tδM
(2 + ω j ∆t)MU
(4.65)
y
∂x2
Bj =
e
(4.63)
+
Capitolo 4. METODO IBRIDO
In termini degli y j definiti nella (4.51) B j può essere scritto come:
Bj =
2y j ω j ∆t
P
(2 + ω j ∆t)(1 + nj=1 y j )
(4.66)
In conclusione, lo schema alle differenze finite (eq. (4.8)) risulta modificato nel seguente
modo (con ∆x = ∆z) (Emmerich e Korn, 1987):
ut+∆t
y(m,n)
=
−ut−∆t
y(m,n)
+
2uty(m,n) ∆t2
n
M(m,n) ∆t 2 ∆x2 X t+∆t/2
t−∆t/2
(ζ
Cm,n −
+ ζ j,m,n ) (4.67)
+2
ρ(m,n) ∆x
4 j=1 j,m,n
dove:
M(m+1,n)
M(m−1,n)
uty(m+1,n) − uty(m,n) +
uty(m−1,n) − uty(m,n) +
M(m,n) + M(m+1,n)
M(m,n) + M(m−1,n)
(4.68)
M(m,n+1)
M(m,n−1)
t
t
t
t
+
u
− uy(m,n) +
u
− uy(m,n)
M(m,n) + M(m,n+1) y(m,n+1)
M(m,n) + M(m,n−1) y(m,n−1)
Cm,n =
e:
t−∆t/2
2
ζ t+∆t/2
j,m,n = A j ζ j,m,n + 2B jC m,n /∆x
(4.69)
L’errore dello schema viscoelastico risulta essere di secondo ordine in ∆t; pertanto esso
non richiede una discretizzazione più fine degli intervalli rispetto allo schema elastico
(Emmerich e Korn, 1987).
Mentre nel caso delle onde SH la propagazione delle onde viene descritta mediante
un solo modulo complesso, nel caso delle onde P-SV sono necessari due moduli. La relazione sforzo-deformazione derivata per il corpo di Maxwell generalizzato e introdotta
nelle equazioni del moto per le onde P-SV può essere trovata in Fäh (1992).
76
Capitolo
5
Microzonazione ed effetti di sito
Nel Capitolo 2 sono stati descritti degli scenari di pericolosità sismica a scala nazionale ottenuti mediante la simulazione del moto del suolo al basamento. Essi non comprendono quindi gli effetti di sito, dal momento che il contenuto in frequenza massimo
considerato nel calcolo dei sismogrammi sintetici è 1 Hz. Tuttavia la cosiddetta risposta di sito costituisce uno dei principali fenomeni che influenzano la variabilità spaziale
del moto sismico del suolo. Gli effetti dell’amplificazione o de-amplificazione locale
possono infatti dominare la risposta sismica locale ogni volta che eterogeneità locali,
quali rilievi topografici o bacini riempiti da sedimenti, sono presenti nei pressi del sito
in esame.
È quindi necessario effettuare, in seconda approssimazione, una microzonazione sismica di Nimis che includa gli effetti di sito e si spinga a considerare serie temporali con
un contenuto in frequenza più elevato. A questo scopo è stato adottato il metodo ibrido
proposto da Fäh et al. (1993) (Capitolo 4) che permette di includere nel calcolo dei sismogrammi sintetici le eterogeneità laterali che definiscono le condizioni geologiche e
geotecniche al sito. Pertanto, a partire dalla definizione di tre ingredienti di base:
a) sorgente (terremoto di scenario),
b) mezzo lateralmente omogeneo attraversato dalle onde (modello strutturale medio
di riferimento),
c) sito (modello locale lateralmente eterogeneo),
è possibile effettuare una modellazione dettagliata del moto del suolo a Nimis calcolando segnali sintetici completi a larga banda (fino a 5 Hz).
Gli effetti di sito vengono poi valutati in termini di accelerazioni spettrali relative, o amplificazioni spettrali, definite come il rapporto tra lo spettro di risposta (lo smorzamento
considerato è pari al 5% dello smorzamento critico) dei segnali cosı̀ calcolati e quello
dei segnali corrispondenti calcolati per la struttura di riferimento (basamento).
5.1 Inquadramento geologico e scelta dei profili
Dalla Figura 5.1, che riporta una parte della “Carta geologica dell’area maggiormente colpita dal terremoto friulano del 1976 (scala 1:50000)” [49], si osserva come la
77
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.1: Carta geologica dell’area maggiormente colpita dal terremoto friulano del 1976 - zona di
Nimis.
zona di Nimis sia caratterizzata principalmente da due formazioni geologiche diverse: il
substrato roccioso (flysch e calcari), che costituisce i fianchi e il fondo di una valle, e i
depositi alluvionali che la riempiono.
Per modellare in dettaglio lo scuotimento del suolo mediante il calcolo di sismogrammi
sintetici in mezzi lateralmente eterogenei sono stati individuati i quattro profili riportati
in Figura 5.2. La “Carta Tecnica Regionale Numerica”, in scala 1:10000 [19], è stata
usata per ricavare la topografia. I profili, lunghi ciascuno 5 km, sono stati scelti in modo da incrociarsi con il loro punto mediano in corrispondenza del sondaggio meccanico
[38] (Figura 5.2) situato nelle vicinanze della piazza centrale di Nimis. In questo modo
essi tengono conto delle aree più densamente abitate del comune.
Per ottenere i parametri necessari alla ricostruzione delle caratteristiche dei terreni al
fine di poter dedurre il loro comportamento sotto le sollecitazioni sismiche, è stato fatto
uso dei pozzi, sondaggi sismici e sondaggi elettrici verticali disponibili per la zona di
Nimis [66, 38]. Inoltre, per quanto riguarda la profondità del substrato lungo i vari profi78
5.1 Inquadramento geologico e scelta dei profili
Figura 5.2: Topografia della zona di Nimis e profili considerati per la modellazione di dettaglio dello
scuotimento del suolo e per la stima degli effetti di sito. Ciascun profilo è lungo 5 km. La carta riporta
inoltre l’ubicazione dei pozzi (●), sondaggi sismici (◆) ed elettrici (■) menzionati nel testo. La indica
l’ubicazione del sondaggio meccanico scelto come punto d’intersezione tra i 4 profili.
8
li, un andamento qualitativo è stato stimato dalla carta “Spessore dei depositi alluvionali
(Gasperi-Gelmini)” allegata allo “Studio geologico dell’area maggiormente colpita dal
terremoto friulano del 1976” [49]. Da essa si può osservare come lo spessore delle
alluvioni aumenti allontanandosi dagli affioramenti rocciosi e procedendo da N verso
SSE, raggiungendo una profondità massima di 30 m. A questo punto va precisato che il
sondaggio meccanico scelto come punto di incrocio dei profili si spinge fino ad una profondità di 30.5 m senza raggiungere il substrato litoide; tuttavia, in base alla carta sopra
menzionata ed ai sondaggi elettrici verticali effettuati nelle vicinanze di tale sondaggio
(Figura 5.2), non c’è motivo di credere che la potenza delle alluvioni in tale punto sia
sensibilmente maggiore di 30 m.
La velocità delle onde longitudinali è stata stimata sulla base dei sondaggi sismici, che
hanno permesso di attribuire ai sedimenti una velocità media per le onde longitudinali
di 400 m/s. Oltre ai sedimenti (prevalentemente ghiaia), i pozzi effettuati nella zona
industriale di Nimis (Figura 5.2) rivelano anche la presenza di lenti di conglomerato di
spessore variabile tra 5 e 10 m e velocità media delle onde longitudinali pari a 1700 m/s,
che localmente affiorano in superficie (come si può osservare dalla “Carta geolitologi79
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
ca della Comunità Montana delle Valli del Torre” [39]). Pertanto, per quanto riguarda
la geologia di superficie, si è preferito usare quest’ultima carta geologica, essendo più
dettagliata (la scala è 1:25000) della Figura 5.1. Tuttavia è stato necessario operare delle semplificazioni. Innanzitutto non è stato tenuto conto della differenza tra alluvioni
prevalentemente fini e prevalentemente grossolane, poichè in profondità i due membri
risultano molto spesso mescolati tra di loro [66]. Inoltre, il detrito di falda presente ai
piedi degli affioramenti flyschoidi da cui è prodotto ha una potenza ridotta, generalmente
inferiore ai 4-5 m (risoluzione spaziale dello schema alle differenze finite), e per questo
motivo è stato trascurato nella preparazione delle sezioni.
Per quanto concerne il flysch in affioramento, la Figura 5.1 rivela che esso è in prevalenza di tipo marnoso e arenaceo, mentre nella parte settentrionale del comune compare il
membro calcarenitico. Essendo quest’ultimo molto fratturato, le sue velocità scendono
agli stessi valori di quelle del membro marnoso arenaceo. Pertanto, per la modellazione
del moto del suolo è stato adottato un unico valore di velocità rappresentativo del flysch,
che per le onde longitudinali è pari a 2500 m/s. Tuttavia, data la presenza di un sondaggio sismico eseguito in località Centa (Figura 5.2) che fornisce un valore di velocità
per il substrato litoide pari a 3800 m/s per le onde longitudinali (ossia troppo elevato per
essere classificato come flysch marnoso e arenaceo), sono state fatte tre modellazioni
del sottosuolo per la sezione AA0 , che passa in prossimità del luogo in cui è disponibile
tale sondaggio.
1. Il primo modello (Figura 5.3(a)), che adotta un valore unico di velocità per il
flysch, interpreta semplicemente il valore elevato di velocità misurato in località
Centa come un trovante calcareo, oppure come un errore di misura e pertanto lo
trascura.
2. Il secondo modello (Figura 5.3(b)) ipotizza la presenza di una lente di flysch a
velocità maggiore che si è prodotta in seguito al processo di cementazione (causato, ad esempio, dalla percolazione delle acque o dalla soluzione di parte della
sostanza mineraria della roccia, seguita da rideposizione).
3. Il terzo modello (Figura 5.3(c)), tenendo invece conto del normale andamento
della velocità delle onde sismiche all’interno della Terra, che cresce all’aumentare
della profondità, spiega l’elevato valore di velocità misurato mediante la presenza
verso la superficie di uno strato di calcari a velocità 3800 m/s posto sotto lo strato
di flysch a velocità 2500 m/s. Tuttavia questa inclusione, che potrebbe essere spiegata come la parte meno erosa delle rocce circostanti, sembra un pò improbabile,
in quanto l’erosione avrebbe dovuto interessare due tipi di flysch (quello calcarenitico e quello marnoso-arenaceo), che hanno uno spessore dell’ordine di centinaia
di metri. Malgrado ciò, è stato ritenuto opportuno includere nella simulazione
anche questo modello, in modo da non tralasciare alcuna ipotesi.
Le tre simulazioni effettuate hanno evidenziato come la modellazione rende non necessaria la penetrometria, che è costosa, visto che i risultati delle tre modellazioni non sono
troppo diversi. Infatti, le amplificazioni spettrali relative al primo e al secondo modello
sono quasi indistinguibili tra di loro, mentre il terzo modello presenta, nel punto centrale
del profilo, delle amplificazioni lievemente maggiori (si passa da 3 a 5 per la componente
trasversale, da 6 a 7 per la componente radiale e da 3 a 4 per la componente verticale). La
80
5.1 Inquadramento geologico e scelta dei profili
differenza maggiore si osserva per la componente radiale all’estremità destra del bacino
sedimentario, dove si raggiungono, a 5 Hz, con il terzo modello, amplificazioni spettrali pari a 10 (mentre con il primo modello si arriva a 6); tale valore può essere tuttavia
attribuito all’assottigliamento non realistico dello strato di calcari posto nel sottosuolo.
Pertanto, per le analisi successive, è stato adottato, per il profilo AA0 , il primo modello
descritto. Per quanto riguarda i valori di densità dei vari litotipi, nonchè i parametri di
attenuazione per le onde P ed S, in assenza di misure specifiche, sono stati assunti dei
valori scegliendoli all’interno dei range di variabilità presenti in letteratura.
In Figura 5.3 sono illustrate le sezioni dei profili adottati nella modellazione del moto
del suolo a Nimis.
(a) Sezione AA0 - primo modello
(b) Sezione AA0 - secondo modello
(c) Sezione AA0 - terzo modello
(d) Sezione BB0
(e) Sezione CC 0
(f) Sezione DD0
Densità (g/cm3 ) V p (km/s) V s (km/s)
Qp
Qs
Alluvioni
1.90
0.40
0.23
40
20
Conglomerato
2.20
1.70
0.98
200
100
Flysch marnoso e arenaceo
2.40
2.50
1.44
200
100
Flysch cementato/calcari
2.45
3.80
2.20
200
100
Figura 5.3: Vista in sezione dei profili considerati, e proprietà associate ai diversi litotipi utilizzati nella
modellazione.
81
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
5.2 Scelta del modello di bedrock di riferimento e delle
sorgenti sismiche
Il modello strutturale di riferimento (Tabella 5.1), usato nelle modellazioni per la
propagazione delle onde dalla sorgente all’inizio dei profili locali, è stato ottenuto a partire dai modelli di riferimento usati per la modellazione di dettaglio del moto sismico del
suolo a Trieste (Vaccari et al., 2005), per eventi prossimi alla giunzione Alpi-Dinaridi,
modificando i valori di velocità delle onde P ed S nei primi 2 km di profondità in modo
da renderli rappresentativi della formazione del flysch considerata nella definizione dei
modelli locali a Nimis. Tale modello è stato anche utilizzato per il calcolo dei segnali
di riferimento (segnali al basamento) da confrontare con i risultati della modellazione
dettagliata, al fine di studiare gli effetti di sito mediante rapporti tra spettri di risposta.
Tabella 5.1: Modello strutturale di riferimento adottato per la modellazione del moto del suolo a Nimis.
La tabella riporta, per ciascuno strato lateralmente omogeneo, lo spessore (thk, km), la densità (rho,
g/cm3 ), la velocità delle onde P (Vp, km/s) ed S (Vs, km/s), i loro rispettivi parametri di attenuazione (Qp
e Qs), la profondità raggiunta (depth, km) e il numero (layer).
thk
rho
1.0
2.40
1.0
Vp
Vs
Qp
Qs
depth
layer
2.50 1.44
200
100
1.0
1
2.45
3.80 2.20
200
100
2.0
2
12.9 2.50
5.80 3.20
200
100
14.9
3
11.0 2.70
6.30 3.65
1000
400
25.9
4
10.0 2.75
6.50 3.75
1000
400
35.9
5
30.0 3.00
7.20 4.20
1000
400
65.9
6
10.0 3.20
7.50 4.25
1000
400
75.9
7
5.0
3.40
8.00 4.50
1000 400
80.9
8
5.0
3.45
8.20 4.65
1000 400
85.9
9
Per quanto riguarda le sorgenti sismiche, ne sono state selezionate 4 allineate con le direzioni dei profili scelti (Figura 5.4). La sorgente S1 è quella del terremoto del Friuli
del 1976, i cui parametri del meccanismo focale, forniti da Aoudia et al. (2000), sono
mostrati in Tabella 5.2. Gli stessi parametri sono stati attribuiti anche alla sorgente S2.
Alle sorgenti S3 ed S4 sono stati invece attribuiti i parametri del terremoto di Bovec del
1998, forniti da Bajc et al. (2001) e mostrati sempre in Tabella 5.2.
Sebbene l’angolo di strike-receiver (cioè l’angolo compreso tra la retta congiungente
il ricevitore con l’epicentro e la direzione di strike, determinata dall’intersezione tra il
piano di faglia e la superficie orizzontale), necessario per il calcolo dei sismogrammi
sintetici, sia determinato solo dallo strike della faglia, dall’ubicazione dell’epicentro e
del ricevitore, è stato effettuato, per ciascuna sorgente sismica considerata nella modellazione, un test parametrico preliminare al fine di esaminare la dipendenza del profilo di
radiazione dall’orientamento della faglia (Figura 5.5). Ciò è stato realizzato calcolan82
5.2 Scelta del modello di bedrock di riferimento e delle sorgenti sismiche
Figura 5.4: Ubicazione delle sorgenti (S1, S2, S3 ed S4) utilizzate per il calcolo degli scenari di
scuotimento a Nimis. La figura rappresenta inoltre la mappa delle faglie attive tratta da Aoudia (1998).
Tabella 5.2: Parametri focali delle sorgenti puntiformi utilizzate per il calcolo degli scenari di
scuotimento a Nimis.
Sorgente
prof. focale (km)
strike (°)
dip (°)
rake (°)
MS
S1 - S2 (Friuli 1976)
5
288
29
112
6.5
S3 - S4 (Bovec 1998)
7.6
315
82
189
5.7
do i segnali sintetici tramite la somma modale per le tre componenti del moto (radiale,
trasversale e verticale), adottando i parametri focali riportati in Tabella 5.2 e facendo
variare l’angolo di strike-receiver da 0°a 360°. Il profilo di radiazione è stato quindi
valutato estraendo da ogni segnale il valore di picco nel dominio delle accelerazioni. La
distanza cui sono stati calcolati i segnali sintetici corrisponde alla distanza epicentrale
tra la sorgente e l’inizio dei profili. Questa analisi si proponeva come obiettivo di modificare l’angolo di strike-receiver individuato, qualora a questo corrispondesse un minimo
di radiazione in una delle tre componenti del moto.
Gli angoli di strike-receiver adottati nelle simulazioni successive sono mostrati in Tabella 5.3, unitamente alle distanze epicentrali delle quattro sorgenti.
83
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
(a)
(b)
(c)
(d)
Figura 5.5: Prove parametriche di variazione dell’angolo di strike-receiver per le quattro sorgenti utilizzate nella modellazione del moto del suolo a Nimis. (syr: componente radiale, syz: componente verticale, syl: componente trasversale; in ordinata è mostrato il valore dell’accelerazione di picco espresso in
cm/s2 .) (a) S1, (b) S2, (c) S3, (d) S4.
Tabella 5.3: Angoli di strike-receiver e distanze epicentrali adottate per la modellazione dettagliata del
moto del suolo a Nimis.
Sorgente
angolo strike-ricevitore (°)
distanza epicentrale (km)
S1
110
7.5
S2
60
16.0
S3
50
31.5
S4
5
41.5
84
5.3 Effetti di sito
5.3 Effetti di sito
È già stato accennato che gli effetti di sito sono legati principalmente a due situazioni
fisiche: topografia superficiale e stratificazione nel sottosuolo.
Effetti di topografia Gli effetti di sito dovuti alla topografia non sono stati studiati
estensivamente in letteratura, ma la loro importanza è confermata sia da evidenze strumentali (Géli et al., 1988; Bard, 1997) che da simulazioni numeriche (Pedersen et al.,
1988; Chávez-Garcı́a et al., 1996). Benché non ci sia alcun riscontro quantitativo generale tra la teoria e le osservazioni, una valida conclusione qualitativa sta nel fatto che il
moto sismico del terreno risulta amplificato sulle cime delle montagne rispetto al fondo
delle valli (Bard, 1977). Simulazioni numeriche hanno dimostrato (Géli et al., 1988)
che il pattern di amplificazione è fortemente dipendente dall’angolo di incidenza, dal
tipo di forma d’onda incidente e dalla forma della topografia. Dalla Figura 5.6, che
rappresenta il pattern di amplificazione ottenuto lungo il profilo BB0 , risulta evidente
una amplificazione del moto del terreno sulle cime e una deamplificazione lungo le valli
situate nei primi 2 km del profilo. Dopo 2 km, invece, il moto del terreno risulta notevolmente amplificato, benché in corrispondenza di una valle: ciò che domina è infatti
l’effetto derivante dalla copertura sedimentaria. Per verificare se, in assenza dello strato
di sedimenti, nella valle prevarrebbero le deamplificazioni, è stata fatta una simulazione
sostituendo a tale strato uno di flysch con caratteristiche analoghe a quello circostante.
In questo modo le variazioni attese della risposta sismica rispetto ad un modello omogeneo sono causate solo dalla topografia. I risultati della simulazione, in accordo con le
previsioni, sono mostrati in Figura 5.7.
Effetti dei bacini sedimentari Dalle analisi effettuate lungo tutti i profili (Figure 5.6,
5.8, 5.9, 5.10) risulta evidente come l’effetto di topografia sia nettamente inferiore a
quello causato dalla copertura sedimentaria. Una semplice spiegazione fisica dell’amplificazione locale del moto sismico del suolo, dovuta alla presenza di strati sedimentari, più o meno consolidati, nei pressi della superficie, è fornita dall’intrappolamento
dell’energia sismica, dovuto al forte contrasto d’impedenza fra gli strati superficiali non
consolidati ed il sottostante basamento. Inoltre, il relativamente semplice instaurarsi di
risonanze verticali può evolvere in un complesso sistema di risonanze, fortemente dipendenti dalle caratteristiche geometriche e geotecniche dei depositi sedimentari.
Nel caso più semplice in cui si consideri un solo strato piano di sedimenti che sormonta
il basamento sottostante, le amplificazioni maggiori avvengono per le onde la cui lunghezza d’onda è quattro volte lo spessore dello strato sedimentario. In altre parole, per
le onde di taglio, la frequenza amplificata maggiormente è data dalla formula:
f =
β
4H
(5.1)
dove β è la velocità delle onde di taglio nello strato e H il suo spessore. E infatti, dalle
Figure 5.6, 5.8, 5.9, 5.10, si osserva come a 2.5 km (H = 30 m, β =230 m/s), le amplificazioni maggiori per la componente trasversale si ottengono sempre ad una frequenza
di circa 2 Hz.
85
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.6: Amplificazioni spettrali ottenute come rapporto fra gli spettri di risposta dei segnali sintetici
calcolati lungo il profilo BB0 ed i segnali sintetici calcolati in corrispondenza dei medesimi siti utilizzando
il modello strutturale di riferimento. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale
del moto.
86
5.3 Effetti di sito
Figura 5.7: Amplificazioni spettrali ottenute come rapporto fra gli spettri di risposta dei segnali sintetici
calcolati lungo il profilo BB0 (con lo strato di sedimenti sostituito da uno di flysch) ed i segnali sintetici
calcolati in corrispondenza dei medesimi siti utilizzando il modello strutturale di riferimento. Dall’alto
verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto.
87
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.8: Amplificazioni spettrali ottenute come rapporto fra gli spettri di risposta dei segnali sintetici
calcolati lungo il profilo AA0 ed i segnali sintetici calcolati in corrispondenza dei medesimi siti utilizzando
il modello strutturale di riferimento. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale
del moto.
88
5.3 Effetti di sito
Figura 5.9: Amplificazioni spettrali ottenute come rapporto fra gli spettri di risposta dei segnali sintetici
calcolati lungo il profilo CC 0 ed i segnali sintetici calcolati in corrispondenza dei medesimi siti utilizzando
il modello strutturale di riferimento. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale
del moto.
89
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.10: Amplificazioni spettrali ottenute come rapporto fra gli spettri di risposta dei segnali sintetici calcolati lungo il profilo DD0 ed i segnali sintetici calcolati in corrispondenza dei medesimi siti
utilizzando il modello strutturale di riferimento. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e
trasversale del moto.
90
5.4 Analisi parametriche di variazione delle velocità
5.4 Analisi parametriche di variazione delle velocità
Finora i calcoli sono stati effettuati considerando valori “medi” delle velocità delle
onde sismiche all’interno dei materiali geologici interessati. In realtà questi materiali sono caratterizzati da range di velocità piuttosto ampi. Pertanto è stato ritenuto opportuno
dare un’idea di quali possano essere le influenze sui risultati derivanti dalle incertezze
sulle velocità adottate nella modellazione del moto del suolo. A questo scopo è stato
effettuato uno studio parametrico considerando, per il profilo BB0 , le velocità massime e
minime caratterizzanti le alluvioni e il flysch, riportate in Iacuzzi e Vaia (1981).
5.4.1 Variazione della velocità del bacino sedimentario
Per quanto riguarda i sedimenti, adottando una velocità più bassa (α = 290 m/s, β
= 170 m/s), si può osservare che le tre componenti del moto presentano dei picchi in
accelerazione simili a quelli ottenuti lungo lo stesso profilo, adottando i valori “medi”
delle velocità riportati in Figura 5.3. Tuttavia, dalla Figura 5.11, che mostra i rapporti
tra gli spettri di risposta (2D/1D) in funzione della coordinata lungo il modello lateralmente eterogeneo e della frequenza, risulta evidente un abbassamento dei periodi cui
si osservano le amplificazioni maggiori. Questo trova una buona, anche se grossolana,
giustificazione nella formula (5.1), da cui si ricava facilmente come, mantenendo fisso
lo spessore dello strato, le frequenze cui si osservano le amplificazioni maggiori diminuiscano linearmente con la velocità delle onde di taglio all’interno dello strato. Infatti il
modello BB0 , per la sua semplicità di forma, approssima abbastanza bene la condizione
di strato piano posto sopra un semispazio.
Considerando invece sedimenti con una velocità più alta (α = 830 m/s, β = 480 m/s),
si osserva innanzitutto, per la componente trasversale, una minor durata e articolazione
della forma d’onda, anche se il picco non diminuisce significativamente; questo si riflette anche nei rapporti spettrali, dove praticamente spariscono le amplificazioni dovute al
bacino sedimentario (Figura 5.12). Le componenti verticale e radiale risentono diversamente della presenza del bacino a velocità relativamente alta: i valori di picco in accelerazione risultano praticamente dimezzati rispetto a quelli ottenuti con i valori “medi”
delle velocità e si nota un aumento dell’alta frequenza nei segnali. Di conseguenza, dai
rapporti spettrali, si notano per queste due componenti valori di amplificazione spostati
ad una frequenza doppia rispetto a quelli della Figura 5.6, come ci si aspettava indicativamente in base alla formula (5.1), dato che la velocità di taglio è stata raddoppiata.
Merita un’ultima osservazione il pattern di amplificazione per le componenti radiale e
verticale. Dalla Figura 5.12 si nota la perdita delle grosse amplificazioni per la componente verticale, che si possono invece osservare per la componente radiale: questo
implica che c’è stata una polarizzazione delle onde.
In conclusione, è importante avere una stima corretta della velocità dei sedimenti, perchè
da essa dipendono i periodi cui si hanno cui si hanno le amplificazioni maggiori. Una
conoscenza molto approssimata (variazioni dell’ordine del 200%) di tali velocità può
essere fonte di una errata valutazione di tali periodi, che nel caso analizzato, variano da
1.4 Hz a 4 Hz laddove il bacino raggiunge il suo spessore massimo di 30 m. Per quanto riguarda invece le amplificazioni spettrali esse variano da 1 a 7 per la componente
trasversale, da 5 a 7 per quella radiale e da 2 a 10 per quella verticale.
91
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
5.4.2 Variazione della velocità del substrato roccioso
Anche in questo caso sono state effettuate due prove, considerando il valore massimo e minimo tra i quali può variare la velocità del flysch nella zona considerata. Essi
sono: α = 1800 m/s e β = 1000 m/s come valore minimo, e α = 3800 m/s e β = 2222 m/s
come valore massimo (Iacuzzi e Vaia, 1981). In entrambi i casi non variano i periodi
cui si hanno le amplificazioni maggiori, in quanto la formula (5.1) non tiene conto della
velocità del substrato roccioso, ma variano i valori delle amplificazioni, che sono legate
al contrasto d’impedenza tra i due strati. In pratica, variando il contrasto d’impedenza si
determinano focalizzazioni diverse dell’energia sismica.
Nello specifico, considerando un substrato roccioso più veloce, si viene a creare un
contrasto d’impedenza tra i due strati che porta a una polarizzazione che esalta la componente radiale rispetto alla verticale, sia in termini di valori di picco dei sismogrammi,
che di amplificazione (Figura 5.13). Rispetto alla Figura 5.6, si nota una diminuzione
dei valori di amplificazione per la componente verticale in corrispondenza dell’assottigliamento del bacino sedimentario. La componente radiale presenta, invece, un aumento
dei valori di amplificazione, non solo in corrispondenza dell’assottigliamento del bacino, ma anche nella parte più spessa di esso (ossia per frequenze attorno ai 2 Hz).
Nel caso in cui si consideri un substrato roccioso più lento, non cambiano i valori di
picco delle componenti radiale e verticale, ma si spostano le zone dove si hanno le amplificazioni maggiori: non più dove il bacino è più sottile, ma dove è più spesso.
Nella componente trasversale, invece, sia il pattern di amplificazione che i valori rimangono pressocchè immutati in entrambe le prove.
5.4.3 Variazione della velocità del substrato roccioso e del modello
1D di riferimento
Un’ultima prova è stata fatta variando non solo la velocità del substrato roccioso,
ma anche quella del primo strato del modello 1D, ponendola uguale a quella del flysch
sovrastante usato nelle due prove precedenti.
In particolare, nel caso in cui si considera un modello 1D veloce, confrontando le Figure 5.13 e 5.15, si nota che i rapporti spettrali per la componente trasversale rimangono
pressocchè identici sia come pattern che come amplificazione, mentre per la componente
radiale e verticale, i valori di amplificazione sono abbastanza diversi, ma questo perchè
sono diversi non solo gli spettri 2D, ma anche gli spettri 1D. Infatti il segnale per la
componente radiale prodotto nel mezzo lateralmente omogeneo ad alta velocità risulta
più piccato di quello prodotto nel modello 1D “medio”. L’alta frequenza corrispondente
a tale picco risulta dominante nello spettro di risposta del segnale 1D, dove si osservano valori elevati anche nelle frequenze vicine a quella del picco. Nel caso del modello
1D medio, invece, dove non c’è un picco dominante, si osserva uno spettro di riposta
più sparpagliato e con valori inferiori. Per quanto riguarda la componente verticale, e
soprattutto trasversale, gli spettri di risposta 1D non cambiano molto. Le amplificazioni
spettrali, comunque, avvengono alle stesse frequenze.
Anche considerando un modello 1D lento (Figura 5.16), si può osservare che grossolanamente le frequenze a cui si hanno le amplificazioni rimangono le stesse, ma le ampli92
5.4 Analisi parametriche di variazione delle velocità
ficazioni rispetto al bedrock sono in genere inferiori rispetto a quelle mostrate in Figura 5.14, rispecchiando il fatto che in questo caso si sta effettuando un confronto rispetto
a un modello 1D più lento, e quindi il contrasto è inferiore.
In conclusione, come viene ipotizzato il modello medio dalla sorgente al ricevitore
dà incertezza ai valori di amplificazione, ma non ai periodi cui avvengono. Infatti,
indipendentemente dal bedrock utilizzato, si individuano bene tali periodi.
Figura 5.11: Amplificazioni spettrali ottenute per profilo BB0 adottando per il bacino sedimentario i
valori più bassi (α = 290 m/s, β = 170 m/s) riportati in Iacuzzi e Vaia (1981). Dall’alto verso il basso:
componente verticale, radiale e trasversale del moto.
93
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.12: Amplificazioni spettrali ottenute per profilo BB0 adottando per il bacino sedimentario i
valori più alti (α = 830 m/s, β = 480 m/s) riportati in Iacuzzi e Vaia (1981). Dall’alto verso il basso:
componente verticale, radiale e trasversale del moto.
94
5.4 Analisi parametriche di variazione delle velocità
Figura 5.13: Amplificazioni spettrali ottenute per profilo BB0 adottando per il flysch i valori più alti
(α = 3800 m/s, β = 2222 m/s) riportati in Iacuzzi e Vaia (1981). Dall’alto verso il basso: componente
verticale, radiale e trasversale del moto.
95
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.14: Amplificazioni spettrali ottenute per profilo BB0 adottando per il flysch i valori più bassi
(α = 1800 m/s, β = 1000 m/s) riportati in Iacuzzi e Vaia (1981). Dall’alto verso il basso: componente
verticale, radiale e trasversale del moto.
96
5.4 Analisi parametriche di variazione delle velocità
Figura 5.15: Amplificazioni spettrali ottenute per profilo BB0 adottando per il flysch e per il primo
strato del modello 1D i valori più alti (α = 3800 m/s e β = 2222 m/s) riportati in Iacuzzi e Vaia (1981).
Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto.
97
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.16: Amplificazioni spettrali ottenute per profilo BB0 adottando per il flysch e per il primo
strato del modello 1D i valori più bassi (α = 1800 m/s, β = 1000 m/s) riportati in Iacuzzi e Vaia (1981).
Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto.
98
5.5 Sorgenti estese
5.5 Sorgenti estese
Finora le sorgenti sono state modellate come sorgenti puntiformi. In realtà le sorgenti sismiche hanno una dimensione ben definita, che non può essere trascurata in una
modellazione dettagliata e realistica del moto del suolo.
Pertanto, nelle elaborazioni successive, è stato fatto uso di un algoritmo di simulazione
della radiazione di sorgente da una faglia di dimensioni finite, denominato PULSYN
(PULse-based wideband SYNthesis) e ideato da Gusev (2003). I concetti di base per la
modellazione di una sorgente sismica sono contenuti nella teoria del rimbalzo elastico
proposta da Reid (1911). Nella teoria di Reid, la rottura avviene quando gli sforzi sulla
faglia superano il limite di resistenza delle rocce presenti. La rottura comincia in un punto chiamato punto di nucleazione e si propaga rapidamente lungo la faglia a una velocità
tipicamente inferiore o prossima alla velocità di taglio delle rocce costituenti la faglia.
Non appena il fronte di rottura raggiunge un punto sulla faglia, ha inizio la dislocazione
o slip in quel punto, che impiega una certa quantità di tempo (in secondi) per raggiungere
il suo valore finale e fermarsi. Il tempo intercorso tra l’inizio e la fine della dislocazione
viene chiamato tempo di risalita o rise time. Per descrivere un simile processo vengono
solitamente adottati modelli cinematici, come quello di Haskell (1964), che è descritto
completamente da 5 parametri: lunghezza e larghezza della faglia (assunta rettangolare),
velocità di rottura, dislocazione finale e tempo di risalita. Tale modello ha il pregio di
riuscire a determinare il corretto andamento dello spettro di sorgente a basse frequenze
(proporzionale al momento sismico), tenendo in considerazione come la radiazione sismica percepita da un osservatore vari al variare della sua posizione rispetto alla faglia
e, soprattutto rispetto alla direzione di rottura (effetto di direttività).
Per rappresentare una sorgente di dimensioni finite, il programma PULSYN utilizza le
caratteristiche principali del modello di Haskell, discretizzando il piano di faglia rettangolare in una serie di sub-sorgenti puntiformi, ciascuna delle quali rappresenta lo
scorrimento, attivato al passaggio del fronte di rottura, sulla sub-area pertinente della
faglia. Tuttavia, a differenza del modello di Haskell, sia la distribuzione spaziale dello
slip che la velocità di rottura vengono trattati come un fenomeno random e caratterizzati
stocasticamente. Sono infatti i dettagli su piccola scala del processo di rottura, legati alle eterogeneità nella distribuzione degli sforzi incontrate dal fronte di rottura durante la
sua propagazione, e generalmente troppo complicati per essere specificati esattamente,
ad essere responsabili dell’eccitazione delle onde ad alta frequenza. In questo modo il
programma PULSYN riesce a costruire uno spettro (di ampiezza e di fase) di sorgente
che, oltre a seguire l’andamento delle curve sperimentali di Gusev, tiene conto degli effetti di direttività previsti dal modello teorico di Haskell.
Gli spettri di sorgente, ottenuti considerando una rottura bilatera e un azimuth del ricevitore di 90° rispetto alla direzione di rottura, per terremoti di magnitudo 6.5 e 5.7 sono
mostrati in Figura 5.17.
Per calcolare il segnale ad un particolare sito, gli spettri di sorgente mostrati in Figura 5.17 sono poi stati moltiplicati, nel dominio delle frequenze, con gli spettri dei segnali
ottenuti mediante il metodo ibrido per ciascuna sorgente puntiforme (senza che essi siano stati precedentemente scalati con le curve di Gusev classiche riportate in Figura 2.3).
Gli accelerogrammi e le amplificazioni ottenute per i 4 profili analizzati sono riportati
nelle Figure 5.18-5.25.
99
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.17: Spettri di sorgente per terremoti di magnitudo 6.5 e 5.7 ottenuti con il programma
PULSYN considerando un azimuth di 90° rispetto alla direzione di rottura (bilaterale).
Figura 5.18: Accelerogrammi sintetici calcolati lungo il profilo AA0 con la sorgente S1 modellata come
sorgente estesa. Il valore di picco è indicato in cm/s2 in corrispondenza del segnale di ampiezza maggiore.
Da sinistra verso destra: componente trasversale, radiale e verticale del moto.
100
5.5 Sorgenti estese
Figura 5.19: Accelerogrammi sintetici calcolati lungo il profilo BB0 con la sorgente S2 modellata come
sorgente estesa. Il valore di picco è indicato in cm/s2 in corrispondenza del segnale di ampiezza maggiore.
Da sinistra verso destra: componente trasversale, radiale e verticale del moto.
Figura 5.20: Accelerogrammi sintetici calcolati lungo il profilo CC 0 con la sorgente S3 modellata come
sorgente estesa. Il valore di picco è indicato in cm/s2 in corrispondenza del segnale di ampiezza maggiore.
Da sinistra verso destra: componente trasversale, radiale e verticale del moto.
101
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.21: Accelerogrammi sintetici calcolati lungo il profilo DD0 con la sorgente S4 modellata come
sorgente estesa. Il valore di picco è indicato in cm/s2 in corrispondenza del segnale di ampiezza maggiore.
Da sinistra verso destra: componente trasversale, radiale e verticale del moto.
102
5.5 Sorgenti estese
Figura 5.22: Amplificazioni spettrali lungo il profilo AA0 con la sorgente S1 modellata come sorgente
estesa. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto.
103
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.23: Amplificazioni spettrali lungo il profilo BB0 con la sorgente S2 modellata come sorgente
estesa. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto.
104
5.5 Sorgenti estese
Figura 5.24: Amplificazioni spettrali lungo il profilo CC 0 con la sorgente S3 modellata come sorgente
estesa. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto.
105
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.25: Amplificazioni spettrali lungo il profilo DD0 con la sorgente S4 modellata come sorgente
estesa. Dall’alto verso il basso: componente verticale, radiale e trasversale del moto.
106
5.5 Sorgenti estese
Come è lecito attendersi, un modello di sorgente estesa genera una forma d’onda
più articolata e di maggior durata rispetto agli analoghi segnali ottenuti con la sorgente
puntiforme (per un confronto diretto si possono osservare, ad esempio, la Figura 5.18 e
la Figura 5.26, relative alla sorgente S1).
Nel caso della sorgente S4 (Figura 5.21 e Figura 5.27), tuttavia, sia la durata che i valori
di picco dei segnali sono confrontabili. Questo significa che l’approssimazione di sorgente puntiforme è accettabile per un evento di magnitudo 5.7 ad una distanza di 41.5
km, in quanto si è nella condizione di far source (ossia a distanze dalla sorgente maggiori della dimensione lineare massima della faglia). Le relazioni di Wells e Coppersmith
(1994) consentono infatti di associare ad un terremoto di magnitudo 5.7 una dimensione
lineare di 5 km 41.5 km. Viceversa, per la sorgente S1 si può ipotizzare una dimensione lineare della faglia di 17 km, maggiore della distanza epicentrale (condizione di
near source). In questo caso la descrizione di sorgente puntiforme è inadatta in quanto
la distanza di un sito dalle varie parti della faglia non è certamente costante. Pertanto
non possono essere trascurati nè il meccanismo di rottura nè la propagazione relativa
della rottura rispetto al sito.
Figura 5.26: Accelerogrammi sintetici calcolati lungo il profilo AA0 con la sorgente S1 modellata come
sorgente puntiforme. Il valore di picco è indicato in cm/s2 in corrispondenza del segnale di ampiezza
maggiore. Da sinistra verso destra: componente trasversale, radiale e verticale del moto.
5.5.1 Direttività
L’effetto di direttività è legato al tempo di propagazione della rottura, definito come
la differenza tra i tempi di arrivo delle onde generate ai punti iniziale e finale della
faglia, che dipende dall’azimuth tra la direzione della rottura e il sito di interesse. La
Figura 5.28 mostra una faglia di lunghezza L che si rompe da sinistra verso destra. Se
la distanza della stazione ricevitrice è r (r L), allora il tempo di arrivo di un’onda che
107
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.27: Accelerogrammi sintetici calcolati lungo il profilo DD0 con la sorgente S4 modellata come
sorgente puntiforme. Il valore di picco è indicato in cm/s2 in corrispondenza del segnale di ampiezza
maggiore. Da sinistra verso destra: componente trasversale, radiale e verticale del moto.
parte dall’origine della faglia, è t = cr , dove c è la velocità (di fase) del particolare tipo
di onda considerato. Il tempo di viaggio di un’onda di corpo che arriva alla stazione dal
punto finale della faglia (x = L) è invece tL = vLr + r−Lcosθ
.
c
Figura 5.28: Geometria della rottura di faglia rispetto a un osservatore posto ad una stazione ricevitrice
sufficientemente lontana per cui r ed r − xcosθ sono praticamente paralleli.
Il tempo di rottura τc è dato quindi da:
L r − Lcosθ r
L Lcosθ
+
− = −
τc =
vr
c
c vr
c
(5.2)
Come conseguenza, la parte “piatta” dello spettro, che dipende esclusivamente da τc ,
varia in base all’azimuth dell’osservatore: è più lunga a θ=0° e diminuisce gradualmente all’aumentare di θ fino a θ=180°. Difatti il tempo di rottura τc , che dipende da
−cosθ è più breve nella direzione “in avanti”, con la conseguenza che il rapporto τ2c (che
108
5.5 Sorgenti estese
corrisponde alla corner frequency, definita come l’intersezione della parte piatta dello
spettro con l’asintoto ad alta frequenza) è maggiore rispetto a tutti gli alti casi. Ciò è
confermato dalla Figura 5.29, in cui sono mostrati gli spettri relativi a una sorgente di
magnitudo 6.5, calcolati per osservatori posti a θ = 0°, 90° e 180° rispetto alla direzione
di rottura. In questo caso è stata simulata una propagazione della rottura unilaterale.
Figura 5.29: Spettri di sorgente per un terremoto di scenario di magnitudo 6.5 ottenuti con il programma
PULSYN considerando azimuth di 0°, 90° e 180° rispetto alla direzione di rottura (unilaterale).
Va notato come tutte le curve abbiano lo stesso valore dell’intercetta in quanto questo
rappresenta il momento sismico scalare, M0 , che deve rimanere costante a tutti gli azimuth.
L’effetto di direttività si riflette anche nei segnali finali, che sono il risultato della sovrapposizione di impulsi prodotti da diversi punti lungo la faglia. I segnali ottenuti per
un modello 1D a una distanza di 10 km dalla sorgente S1, considerando tre azimuth
(0°, 90° e 180°) rispetto alla direzione di propagazione della rottura, sono mostrati in
Figura 5.30. Risulta evidente come il segnale irradiato nella stessa direzione del movimento della rottura (0°, forward directivity) sia caratterizzato da grandi ampiezze e da
una breve durata; viceversa, il segnale irradiato nella direzione opposta a quella della
rottura (180°, backward directivity) è caratterizzato da una lunga durata, in quanto gli
arrivi delle onde sismiche sono distribuiti nel tempo, e da ampiezze relativamente basse.
Il segnale a 90° (neutral directivity) presenta, invece, una situazione intermedia.
5.5.2 Sorgente S1 e leggi di attenuazione
Merita ancora un’attenzione particolare il caso della sorgente S1. È già stato sottolineato come, per questa sorgente, l’approssimazione di sorgente puntiforme non sia
affatto realistica, data la grande magnitudo (6.5) e la ridotta distanza epicentrale (7.5
km). La modellazione della sorgente S1 come sorgente estesa risulta senz’altro più realistica e lo si può facilmente constatare osservando, ad esempio, il valore di picco in
accelerazione ottenuto al basamento, che cala da 1.1 g, nel caso di sorgente puntiforme
a 0.58 g nel caso di sorgente estesa, considerando un azimuth di 90° rispetto alla direzione di rottura. Va comunque osservato che anche in quest’ultimo caso si raggiungono
109
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.30: Accelerogrammi sintetici calcolati in un modello 1D a una distanza di 10 km dalla sorgente
S1 (ossia nel punto mediano del profilo AA’), considerando tre azimuth diversi rispetto alla direzione
di propagazione della rottura (unilaterale). Da sinistra verso destra, le colonne mostrano la componente
trasversale, radiale e verticale rispettivamente. Dall’alto verso il basso, le righe mostrano i risultati ottenuti
per gli azimuth di 0°, 90° e 180°rispettivamente.
valori di picco molto elevati (1.5 g) se si considerano le condizioni geologiche locali (Figura 5.18). Un simile valore va tuttavia trattato con la dovuta cautela, in quanto le leggi
fisiche che governano il near field sono state studiate da poco e per descrivere correttamente la risposta del suolo in queste condizioni potrebbe essere necessario utilizzare
equazioni non lineari.
Per questi motivi si è voluto confrontare i risultati ottenuti dalla modellazione con le
leggi di attenuazione di Ambraseys et al. (1996) e Sabetta e Pugliese (1996), usate per
la redazione della nuova mappa di pericolosità sismica ([33]), e riportate nel Capitolo 1.
Il confronto è stato effettuato nel range di distanze epicentrali proprie del profilo AA0 ,
considerando come parametro il PHA (accelerazione orizzontale di picco), ottenuto facendo la media quadratica dei valori di picco delle componenti trasversale e radiale.
Dalla Figura 5.31 si osserva come i valori di picco al basamento (1D) siano grossolanamente consistenti con le due leggi di attenuazione. Confrontando invece i valori di picco
ottenuti per il modello 2D con quelli delle relazioni di attenuazione (valutate inserendo
gli opportuni coefficienti di sito), si nota una notevole discrepanza, anche superiore al
200%. Questo dimostra come, per avere una stima realistica del moto del terreno causato da una sollecitazione sismica, sia necessario ricorrere ad una modellazione dettagliata
mediante sismogrammi sintetici, e non si possa semplicemente far uso delle leggi di
attenuazione. Le leggi di attenuazione infatti, non solo assumono lo stesso modello di
propagazione per tutti gli eventi (ipotesi questa non molto realistica), ma tengono anche
conto delle condizioni locali in maniera molto grossolana, mediante l’applicazione di
110
5.6 Amplificazioni spettrali nel punto d’intersezione tra i vari profili
Figura 5.31: Confronto tra l’andamento del PHA ottenuto per il profilo AA0 (lo spettro di sorgente
utilizzato è quello mostrato in Figura 5.17), in funzione della distanza, e le curve di attenuazione di
Ambraseys et al. (1996) e Sabetta e Pugliese (1996). Per entrambe le relazioni si è tenuto conto del
coefficiente correttivo per faglie inverse (Bommer et al., 2003) e della deviazione standard delle relazioni
stesse.
semplici fattori di scala.
Data, inoltre, la presenza in letteratura di leggi di attenuazione per il PHV (velocità
orizzontale di picco) valide nel near source, si è deciso di confrontare con queste l’andamento dei valori di picco in velocità lungo il profilo AA’. Le relazioni utilizzate sono:
ln(PHV) = −2.31 + 1.15M − 0.5ln(r) (Somerville, 1998);
ln(PHV) = 2.44 + 0.5M − 0.41ln(r2 + 3.932 ) (Rodriguez-Marek, 2000) e
ln(PHV) = −5.11 + 1.59M − 0.58ln(r) (Alavi e Krawinkler, 2000).
Poiché esse sono state determinate considerando una rottura “in avanti”, i valori di picco
mostrati in Figura 5.32 rappresentano la media quadratica dei valori di picco in velocità
delle componenti orizzontali ottenute usando la curva corrispondente a un azimuth di
0° tra quelle in Figura 5.29. Inoltre si è voluto riportare in Figura 5.32 anche le curve
che inviluppano i valori di picco ottenuti per un azimuth di 90° (Figura 5.29). La scelta è
stata fatta per evidenziare come, sebbene i valori ottenuti nel modello 1D per un azimuth
di 90° siano inferiori ai corrispondenti valori per un azimuth di 0° (i.e. direttività), e anche a quelli previsti dalle leggi di attenuazione, questo non è necessariamente vero in un
modello 2D, dove le condizioni geologiche locali possono influenzare significativamente la risposta del terreno alla sollecitazione sismica. In ogni caso la discrepanza fra le
relazioni di attenuazione ed i risultati della modellazione realistica può essere superiore
al 100%.
5.6 Amplificazioni spettrali nel punto d’intersezione tra
i vari profili
Avendo scelto di far intersecare i profili individuati in un unico punto, è possibile valutare in che modo le amplificazioni varino per uno stesso sito a seconda della sorgente
e del percorso sorgente-ricevitore. Per questo sono state estratte, dalle Figure 5.22-5.25,
111
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.32: Confronto tra l’andamento del PHV ottenuto per il profilo AA0 (gli spettri di sorgente
utilizzati sono quelli mostrati in Figura 5.17), in funzione della distanza, e le curve di attenuazione per il
near source di Somerville (1998), Rodriguez-Marek (2000) e Alavi e Krawinkler (2000).
(a)
(b)
(c)
Figura 5.33: Amplificazioni spettrali relative al punto d’intersezione dei vari profili: (a) componente
trasversale, (b) componente radiale, (c) componente verticale.
le amplificazioni spettrali relative al punto d’intersezione dei profili e riportate in Figura 5.33. La Figura 5.33 mostra come ci si possa attendere un fattore massimo di
amplificazione di circa 9 per la componente verticale del moto ad una frequenza di 3
Hz, 7 per quella radiale a frequenze poco superiori a 2 Hz e 6 per quella trasversale
sempre a frequenze di poco superiori a 2 Hz. Ma soprattutto mostra come i cosiddetti
effetti di sito dipendano non solo dalle condizioni locali, ma anche dalle proprietà della
sorgente e del ricevitore.
112
5.7 Pulsyn03
5.7 Pulsyn03
Nelle simulazioni precedenti, l’estensione finita delle sorgenti è stata realizzata mediante l’uso del programma Pulsyn02, che ha permesso di costruire uno spettro di sorgente che tiene in considerazione gli effetti derivanti dalla rottura della faglia. Esso è
stato poi moltiplicato, nel dominio delle frequenze, con la funzione di Green calcolata
per una sorgente puntiforme. In un certo senso, quindi, le sorgenti utilizzate finora sono
ancora puntiformi.
Una vera sorgente estesa può essere simulata mediante il programma Pulsyn03. Esso
permette di posizionare la faglia rettangolare nello spazio, definendo le coordinate delle
sub-sorgenti, nonchè gli angoli di strike, dip e rake. In questo modo è possibile calcolare, e poi sommare, le funzioni di Green per ciascuna sub-sorgente, ottenendo un segnale
sintetico al basamento rappresentativo di una sorgente estesa. Tale codice di calcolo,
tuttavia, non è adattabile al metodo ibrido se non nella particolare condizione di faglia
verticale complanare al profilo considerato, e per questo motivo non è stato usato nelle
simulazioni precedenti.
Nelle Figure 5.34-5.37 sono messi a confronto, per la sorgente S1, i segnali calcolati
nel punto d’intersezione dei profili mediante il programma Pulsyn03 con quelli prodotti
dalle singole sub-sorgenti e scalati rispettivamente con la curva di Gusev classica (Figura 2.3) e con lo spettro di sorgente prodotto dal programma Pulsyn02 (Figura 5.17),
relativi a un terremoto di magnitudo 6.5. Poiché per una sorgente estesa non ha più senso parlare di componenti trasversale, radiale e verticale, il confronto è stato effettuato
considerando le componenti del moto nord-sud ed est-ovest. Va notato come i segnali
scalati con la curva di Gusev classica siano molto diversi da quelli ottenuti con il programma Pulsyn03, per cui l’approssimazione di sorgente puntiforme per la sorgente S1
non risulta essere realistica. Viceversa, i segnali prodotti con il programma Pulsyn03
sono simili, sia come durata che come ampiezze, ai segnali prodotti dalle sub-sorgenti
vicine al centro della faglia e scalati con la curva creata dal programma Pulsyn02 (ad.
es. n.44 o n.47 delle Figure 5.36 e 5.37). Pertanto risulta accettabile l’approssimazione
usata per produrre i risultati mostrati nelle sezioni precedenti.
Infine, sempre per la sorgente S1, sono stati calcolati con il programma Pulsyn03 i segnali relativi a ricevitori posti alla stessa distanza dal centro della faglia, ma ad azimuth
diversi. In questo modo è stato possibile produrre un grafico (Figura 5.38) analogo, ma
senz’altro più realistico di quello di Figura 5.5(a), riferito alla sorgente S1 come sorgente
estesa.
113
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.34: Accelerogrammi (componente est-ovest: ew) calcolati nel punto d’intersezione dei vari
profili a partire da ciascuna delle 91 sub-sorgenti che definiscono la sorgente S1 secondo le regole del
programma Pulsyn03. I segnali sono stati scalati con la curva di Gusev (Figura 2.3) relativa a M = 6.5. Il
segnale identificato da pulsyn3ew.plt (in basso a destra) rappresenta il risultato ottenuto con il programma
Pulsyn03.
114
5.7 Pulsyn03
Figura 5.35: Accelerogrammi (componente nord-sud: ns) calcolati nel punto d’intersezione dei vari
profili a partire da ciascuna delle 91 sub-sorgenti che definiscono la sorgente S1 secondo le regole del
programma Pulsyn03. I segnali sono stati scalati con la curva di Gusev (Figura 2.3) relativa a M = 6.5. Il
segnale identificato da pulsyn3ns.plt (in basso a destra) rappresenta il risultato ottenuto con il programma
Pulsyn03.
115
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.36: Accelerogrammi (componente est-ovest: ew) calcolati nel punto d’intersezione dei vari
profili a partire da ciascuna delle 91 sub-sorgenti che definiscono la sorgente S1 secondo le regole del
programma Pulsyn03. I segnali sono stati scalati con le curve di Figura 5.17 relativa a M = 6.5. Il
segnale identificato da pulsyn3ew.plt (in basso a destra) rappresenta il risultato ottenuto con il programma
Pulsyn03.
116
5.7 Pulsyn03
Figura 5.37: Accelerogrammi (componente nord-sud: ns) calcolati nel punto d’intersezione dei vari
profili a partire da ciascuna delle 91 sub-sorgenti che definiscono la sorgente S1 secondo le regole del
programma Pulsyn03. I segnali sono stati scalati con le curve di Figura 5.17 relativa a M = 6.5. Il
segnale identificato da pulsyn3ns.plt (in basso a destra) rappresenta il risultato ottenuto con il programma
Pulsyn03.
117
Capitolo 5. MICROZONAZIONE ED EFFETTI DI SITO
Figura 5.38: Andamento del picco di accelerazione (cm/s2 ) in funzione dell’angolo di strike-receiver
per la sorgente S1, ottenuto utilizzando il programma Pulsyn03. Le componenti illustrate sono l’est-ovest
(ew) e la nord-sud (ns).
118
Capitolo
6
Moto sismico delle strutture
6.1 Risposta dinamica di un sistema ad un grado di libertà (oscillatore semplice)
Un edificio può essere schematizzato come un oscillatore semplice (ad un grado di
libertà), composto dalla massa totale dell’edificio, M, in serie ad un sistema dinamico costituito dal parallelo di una molla di rigidezza k e di un dissipatore viscoso con
coefficiente di dissipazione c. Quest’ultimo costituisce una misura dell’energia sismica dissipata complessivamente dalla costruzione (trasformandola in calore) attraverso
meccanismi non elastici, nell’ipotesi che le forze originate dalla dissipazione energetica
siano proporzionali alla velocità.
L’equilibrio dinamico di un sistema siffatto è verificato quando la forza d’inerzia, la
forza dissipativa (proporzionale alla velocità) e la forza elastica (proporzionale allo spostamento) sono perfettamente bilanciate da una forza esterna. In assenza di quest’ultima,
ma in presenza di terremoto, l’equazione del moto diventa:
M( ẍ(t) + ü(t)) + c ẋ(t) + kx(t) = 0
(6.1)
dove u(t) rappresenta l’andamento temporale dello spostamento della base dell’edificio,
ovvero il moto del terreno, mentre x(t) rappresenta l’andamento temporale dello spostamento dell’edificio, relativo alla sua base. Infatti, contrariamente alla forza d’inerzia,
che dipende dall’accelerazione assoluta dell’edificio, quelle elastiche e dissipative sono
legate solo al moto della struttura rispetto alla sua base (cioè al terreno). Per valutare le
caratteristiche fondamentali della risposta sismica di un edificio, si può ipotizzare:
a) che il moto sismico del terreno sia sinusoidale: ü(t) = A0 sinωt, con A0 > 0;
b) che il coefficiente di smorzamento viscoso c sia nullo, e quindi c ẋ(t) = 0;
c) che, come conseguenza del moto impresso dal terreno alla sua base, l’accelerazione relativa del terreno sia anch’essa sinusoidale e pari a ẍ(t) = a0 sin ωt.
Con queste semplificazioni, l’eq. (6.1) diventa:
Ma0 sin ωt + kx(t) = −MA0 sin ωt
119
(6.2)
Capitolo 6. MOTO SISMICO DELLE STRUTTURE
Dalla condizione (c) si può ricavare lo spostamento relativo x(t):
x(t) = −
a0
sin ωt
ω2
(6.3)
e sostituirlo nell’equazione 6.1, ottenendo:
Ma0 sin ωt − k
a0
sin ωt = −MA0 sin ωt
ω2
(6.4)
A questo punto è necessario definire la frequenza propria, o naturale, angolare dell’edificio, che rappresenta la frequenza alla quale vibra un edificio, schematizzato con un
solo oscillatore, quando è libero di vibrare (nel caso in cui una struttura non sia schematizzabile con un solo oscillatore bisogna considerare anche i modi superiori). Essa è
data dalla relazione:
p
ω0 = (k/M)
(6.5)
Dividendo ambo i membri dell’eq.(6.4) per M e sostituendo la relazione (6.5), si ottiene:
ω20
a0 sin ωt − 2 a0 sin ωt = −A0 sin ωt
ω
(6.6)
Dividendo ora ambo i membri dell’equazione (6.6) per sin ωt, si ottiene la soluzione
dell’equazione del moto (6.1) in corrispondenza delle altre ipotesi fatte:
a0 = −
A0
1 − (ω0 /ω)2
(6.7)
Considerando il valore assoluto della (6.7) (ricordando che A0 è positivo per ipotesi) si
ottiene:
A0
|a0 | =
(6.8)
|1 − (ω0 /ω)2 |
Questa equazione fornisce la relazione, al variare della pulsazione propria, ω0 , che lega
l’accelerazione massima della struttura, relativa alla base, a0 , e l’accelerazione massima
della base, cioè del terreno, A0 , assunta sinusoidale con frequenza angolare ω e periodo
T.
Dalla (6.8) si nota innanzitutto che quando ω0 /ω → 1 ⇒ |a0 | → ∞. Nei casi reali, non
essendo nulla la dissipazione energetica, ciò non si verifica, ma nei diagrammi resta (per
gli usuali valori dei coefficienti di smorzamento) un picco tanto più alto e stretto quanto
più piccolo è il coefficiente di smorzamento viscoso c. In altre parole, quando il moto
sismico alla base eccita la struttura esattamente alla sua frequenza propria, essa risponde
amplificandolo considerevolmente.
Considerando ora la relazione tra a0 e A0 al variare del periodo proprio dell’edificio, T 0
e aggiungendo ad ambo i membri A0 in modo da riprodurre a primo membro l’accelerazione assoluta dell’edificio, si ottiene, a partire dalla (6.7):
1
(6.9)
a0 + A0 = A0 1 −
1 − (T/T 0 )2
Dalla (6.9) si desume che quando il periodo proprio della struttura tende a infinito (T 0 →
∞) l’accelerazione assoluta della base tende a zero (a0 + A0 → 0); viceversa, quando
il periodo proprio tende a zero (T 0 → 0), l’accelerazione assoluta della base tende al
120
6.2 Spettro di progetto
valore di picco dell’accelerazione della base, cioè alla PGA della base (a0 + A0 → A0 ).
Per quanto riguarda l’andamento dello spostamento relativo alla base, s0 , si ottiene, dalla
(6.3), che s0 = − ωa02 , e quindi, dalla 6.7:
s0 =
A0
ω2 − ω20
(6.10)
In altre parole, quando il periodo naturale dell’edificio tende ad un valore infinito (T 0 →
∞, ossia ω0 → 0), lo spostamento relativo al terreno tende al valore (−S 0 ) (s0 → −S 0 ,
dove S 0 = −A0 /ω2 è lo spostamento massimo del terreno), mentre quando il periodo
naturale dell’edificio tende ad un valore nullo (T 0 → 0, ossia ω0 → ∞), lo spostamento
suddetto tende a zero (s0 → 0).
Riguardo ai risultati precedenti, è opportuno sottolineare che il fatto che l’accelerazione
massima a0 e lo spostamento massimo s0 dell’edificio, relativi alla base, tendono a zero
per T 0 → 0, è conforme con l’idea che strutture infinitamente rigide (ω0 → 0) si devono
muovere esattamente come il terreno.
Nelle considerazioni precedenti è stato trascurato il coefficiente di smorzamento c, tuttavia può essere facilmente dimostrato che all’aumentare del coefficiente di smorzamento,
diminuiscono sia l’accelerazione che lo spostamento. Per questo motivo, solitamente,
nei grafici che rappresentano la risposta degli edifici in funzione della frequenza, sono
presenti varie curve, corrispondenti ai diversi valori del coefficiente di smorzamento.
Esse sono tuttavia indicate in funzione della cosiddetta frazione di smorzamento critico,
indicata come η oppure ξ, dove:
η=ξ=
c
2Mω0
(6.11)
La frazione di smorzamento critico, detta anche coefficiente di smorzamento viscoso
equivalente, è uguale al rapporto fra l’area racchiusa da un ciclo d’isteresi (che costituisce una misura dell’energia dissipata dall’edificio) e la quantità (2πks20 ) (proporzionale
all’energia immagazzinata elasticamente dallo stesso).
6.2 Spettro di progetto
Lo spettro di risposta rappresenta la curva interpolante i valori di risposta (in termini
di accelerazione, velocità o di spostamento) massimi di un sistema ad 1 grado di libertà
in funzione del periodo fondamentale del sistema stesso, riferiti ad un predefinito valore
di ξ. Esso descrive pertanto la risposta strutturale di un edificio ad un input sismico realistico. In base alla nuova normativa sismica italiana, che definisce uno spettro di risposta
in accelerazione (spettro di progetto) per le strutture, occorre assumere per le strutture
convenzionali (a base “fissa”) un valore della frazione dello smorzamento critico pari al
5 %. Tale valore è stato anche adottato nel Capitolo 5, per la costruzione degli spettri di
risposta in accelerazione a Nimis.
La nuova normativa definisce lo spettro di progetto delle strutture in funzione sia della
zona sismica ove esse si trovano, che delle caratteristiche del terreno (categorie A, B, C,
D, E). Vengono inoltre descritti spettri diversi per le componenti orizzontali e verticale
del moto sismico. Per la zona 1, cui appartiene Nimis, gli spettri di progetto imposti
dalla nuova normativa sono mostrati in Figura 6.1.
121
Capitolo 6. MOTO SISMICO DELLE STRUTTURE
1.2
Spettri di progetto in base alla nuova normativa
0.6
0.0
0.2
0.4
Sa (g)
0.8
1.0
Orizzontale A
Orizzontale B,C,E
Orizzontale D
Verticale A,B,C,D,E
0
1
2
3
4
T (s)
Figura 6.1: Spettri di progetto (ξ = 5%) imposti dalla nuova normativa antisismica per la zona 1
(Capitolo 3 dell’Allegato 2 dell’Ordinanza).
6.2.1 Microzonazione e spettri di risposta
In alternativa all’impiego delle forme standard dello spettro di risposta elastico per
le diverse zone sismiche, la normativa consente anche “l’impiego di spettri di risposta
specifici per il sito considerato”, ricavati dagli studi di microzonazione sismica, “sulla
base di conoscenze geosismotettoniche e geotecniche, oppure da dati statistici applicabili alla situazione in esame”. In Figura 6.2 vengono mostrati gli spettri di risposta in
accelerazione calcolati per ξ = 5% nel punto d’intersezione tra i vari profili.
Alle aree del comune localizzate fuori dai profili considerati, è possibile assegnare
uno spettro di risposta a partire da quelli calcolati lungo i profili. In particolare, sono
state individuate su ciascun profilo le 4 zone mostrate in Figura 6.3; per ciascuna zona,
sono poi stati raggruppati gli spettri di risposta calcolati a partire dagli accelerogrammi
mostrati nelle Figure 5.18-5.21, calcolandone le accelerazioni spettrali massime, medie
e medie aumentate di una deviazione standard. I risultati di tale procedura sono mostrati
in Figura 6.4.
La suddivisione in zone è stata effettuata sulla base della vS 30 in quanto la normativa
usa questo valore per categorizzare le condizioni dei terreni. Più precisamente è stato
realizzato un software che calcola in ogni punto lungo il profilo il valore della vS 30 . La
prima zona sul primo profilo considerato termina all’(i-1)-esimo punto se la vS 30 relativa
all’(i)-esimo punto soddisfa la seguente condizione:
vS 30 (i) > vS 30 (i-1) + 0.3vS 30 (i-1)
vS 30 (i) < vS 30 (i-1) − 0.3vS 30 (i-1)
o
(6.12)
Per quanto riguarda le zone successive, il confronto non viene effettuato solo con il punto
precedente, ma con tutti i punti precedenti (k < i) relativi a quel profilo. In pratica, se:
vS 30 (k) − 0.3vS 30 (k) ≤ vS 30 (i) ≤ vS 30 (k) + 0.3vS 30 (k)
(6.13)
viene attribuita all’(i)-esimo punto la stessa zona del (k)-esimo punto; se nessun valore
di k soddisfa la relazione precedente, allora l’(i)-esimo punto coincide con l’inizio di
122
6.2 Spettro di progetto
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
(g)
(h)
(i)
(j)
(k)
(l)
Figura 6.2: Spettri di risposta (Sa 5%) ottenuti nel punto d’intersezione tra i vari profili a partire dagli
accelerogrammi mostrati nelle figure 5.18-5.21. Da sinistra verso destra, le colonne mostrano rispettivamente la componente trasversale, radiale e verticale del moto. Dall’altro verso il basso, le righe mostrano
i risultati ottenuti per le sorgenti S1, S2, S3 ed S4 (estese) rispettivamente. Dopo 2 s i valori spettrali sono
trascurabili.
123
Capitolo 6. MOTO SISMICO DELLE STRUTTURE
(a)
(b)
(c)
(d)
Figura 6.3: Zone individuate per il calcolo degli spettri di risposta mostrati in Figura 6.4.
124
6.2 Spettro di progetto
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
(g)
(h)
(i)
(j)
(k)
(l)
Figura 6.4: Spettri di risposta (Sa 5%) massimi (max), medi (med) e medi aumentati di una deviazione
standard (msd), ottenuti per le quattro zone di Figura 6.3, a partire dagli accelerogrammi mostrati nelle
Figure 5.18-5.21. Da sinistra verso destra, le colonne mostrano la componente trasversale, radiale e
verticale rispettivamente. Dall’altro verso il basso, le righe mostrano i risultati ottenuti per le zone 1, 2, 3
e 4 rispettivamente. Dopo 2 s i valori spettrali sono trascurabili.
125
Capitolo 6. MOTO SISMICO DELLE STRUTTURE
una nuova zona. Questa procedura viene ripetuta anche per definire le zone relative agli
altri profili considerati, solo che in questo caso il valore di k da usare nella relazione
(6.13) viene cercato anche tra tutti i punti dei profili precedentemente analizzati dal programma.
6.3 Isolamento sismico degli edifici
Finora sono stati considerati gli spettri di risposta in accelerazione in quanto nell’approccio tradizionale alla progettazione antisismica delle strutture, basato sulle forze, si
assume che uno spettro di risposta in accelerazione fornisca, per uno smorzamento assegnato, una misura affidabile delle forze elastiche di progetto agenti sulla struttura, e che
pertanto esso rappresenti un indicatore adeguato della “domanda” sismica. Infatti, sullo
spettro di risposta si può leggere in corrispondenza di ciascun periodo l’accelerazione
spettrale massima e, moltiplicandola per la massa dell’oscillatore semplice, si ottiene
il valore di picco della forza statica equivalente cui è soggetto l’oscillatore semplice.
La forza statica equivalente è la forza che, applicata staticamente, provoca spostamenti
uguali agli spostamenti dovuti all’eccitazione sismica. Ai fini progettuali interessa solo
il valore massimo di questa forza: questo valore consente, infatti, di calcolare le sollecitazioni massime dovute ad un sisma mediante una semplice analisi statica. A causa della
sua convenienza pratica la progettazione basata sulle forze rappresenta ancora l’approccio di gran lunga più adottato, nonostante sia diffusa la consapevolezza che le forze non
sono sempre adatte a descrivere gli effetti di un terremoto sulle strutture.
In anni recenti, tuttavia, ha suscitato interesse crescente tra gli ingegneri la progettazione agli spostamenti, in quanto gli spostamenti descrivono in maniera più esplicita delle
forze la risposta strutturale, e quindi il danno. Tra le moderne tecniche di progettazione
agli spostamenti, una delle più importanti è senza dubbio l’isolamento sismico.
L’isolamento sismico, come dice la parola stessa, si pone l’obiettivo di isolare la costruzione dal sisma. Normalmente esso è limitato alle componenti orizzontali del terremoto,
che sono quelle più pericolose. Infatti, se il terremoto non è particolarmente violento,
l’accelerazione verticale alla base dell’edificio non supera i pochi decimi dell’accelerazione di gravità g: quindi è come se il terremoto applicasse sulla costruzione delle
variazioni contenute dell’accelerazione di gravità. Dato che una costruzione ben fatta,
anche in assenza di terremoto, è sempre progettata per reggere il proprio peso (con adeguati margini), la componente verticale del terremoto, usualmente, comporta problemi
di resistenza sismica assai inferiori a quelli indotti dalle componenti orizzontali. Pertanto, l’isolamento disaccoppia il moto dell’edificio sul piano orizzontale, da quello del
terreno, “filtrando” in questo modo almeno le componenti orizzontali del terremoto.
Il concetto d’isolamento sismico non è affatto nuovo, ma risale addirittura ad antiche
civiltà, come quelle cinese, greca e degli Incas. Per quanto riguarda la Cina, va menzionato che le pagode ed altri edifici sacri costruiti nel IX secolo sono sopravvissuti a
forti terremoti per più di mille anni grazie al debole accoppiamento delle colonne di tali
strutture, in legno con copertura pesante, con il terreno: le colonne erano appoggiate
al terreno e non fissate ad una fondazione o conficcate nel terreno stesso. I greci e gli
Incas del Perù utilizzavano l’accoppiamento debole terreno-struttura nella costruzione
di alcuni edifici, poggiandoli su pietrisco o altri materiali, mentre in Italia, ad esempio a
126
6.3 Isolamento sismico degli edifici
Paestum, gli antichi costruivano templi poggiandoli su strati di sabbia.
Oggi l’isolamento sismico viene realizzato inserendo tra la costruzione e le sue fondazioni (o in corrispondenza del primo piano) dei dispositivi di appoggio, detti isolatori,
con rigidezza orizzontale molto bassa sotto l’effetto di azioni sismiche violente, che permettono alla costruzione spostamenti laterali lenti, anche se ampi. Gli stessi isolatori
hanno una rigidezza maggiore quando sono sottoposti a piccoli spostamenti, come sotto
l’azione del vento, che, quindi, non provoca nella struttura movimenti avvertibili.
Permettendo alla sovrastruttura, che è la parte sopra gli isolatori, di muoversi rigidamente nel piano orizzontale, l’isolamento porta il periodo proprio del sistema strutturale in una zona dello spettro (periodi dell’ordine di 2-3 s) a bassa accelerazione. Di
conseguenza, le accelerazioni prodotte dal sisma su una struttura isolata risultano drasticamente minori di quelle prodotte su una struttura a base fissa. Avendo aumentato il
periodo proprio, gli spostamenti aumentano, ma queste deformazioni vengono praticamente concentrate negli isolatori. In questo modo la sovrastruttura si muove con valori
molto piccoli sia di accelerazione che di spostamento, e quindi senza danneggiamento
nè della struttura nè dei contenuti.
Va aggiunto, che per il corretto funzionamento degli isolatori, essi devono avere sufficiente tolleranza in termini di spostamento. Diventa quindi importante non solo conoscere le forze sismiche cui è soggetta la struttura, ma anche lo spostamento massimo.
In questi casi, l’azione (o domanda) sismica di progetto viene meglio descritta da uno
spettro di risposta elastico in spostamento, che deve essere definito su un intervallo sufficientemente ampio di valori del periodo proprio di vibrazione (in genere T ≤ 10 s). Lo
spettro di risposta elastico in termini di spostamento può essere, in prima approssimazione, ricavato direttamente dallo spettro di risposta elastico in accelerazione previsto
dalla normativa, secondo la formula:
T 2
S d (T ) = S a (T )
(6.14)
2π
In questo caso lo spettro di risposta elastico previsto dalla normativa risulta leggermente modificato rispetto a quello di riferimento per le strutture convenzionali, in modo da
ottenere una valutazione più cautelativa delle accelerazioni e degli spostamenti nel campo degli alti periodi (T > 2 s), nel quale operano le strutture con isolamento sismico.
Anche in questo caso, dove possibile, devono essere usati gli spettri di risposta elastici
in spostamento derivanti da uno studio di microzonazione sismica basato sul calcolo di
sismogrammi sintetici. Infatti, per definire al meglio le caratteristiche dell’isolamento
per ogni struttura alla quale si voglia applicarlo, è indispensabile stabilire correttamente
l’input sismico al quale la struttura in questione è soggetta. Solitamente, per periodi
sufficientemente elevati, per le strutture isolate sismicamente, si utilizza un valore della frazione di smorzamento critico pari al 10%. In Figura 6.5 sono mostrati gli spettri
di risposta in spostamento (ξ =10%) calcolati nel punto d’intersezione tra i vari profili.
Gli spettri di risposta di Figura 6.4 sono indispensabili agli ingegneri per determinare lo
spostamento obiettivo necessario per il sistema di isolamento.
Per quanto riguarda l’isolamento nella direzione verticale, esso viene poco praticato in
quanto isolando in 3 direzioni l’edificio risulta essere sottoposto ad oscillazioni di rocking (flessione - ribaltamento) che possono diventare pericolose. È questo il caso di
una palazzina a Santa Monica, isolata tridirezionalmente mediante dei dispositivi a molle (GERB), che durante il terremoto di Northridge (1994) ha dimostrato l’inefficacia
127
Capitolo 6. MOTO SISMICO DELLE STRUTTURE
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
(g)
(h)
(i)
(j)
(k)
(l)
Figura 6.5: Spettri di risposta in spostamento (Sd 10%) degli accelerogrammi mostrati nelle Figure,
relativi al punto d’intersezione tra i vari profili. Da sinistra verso destra, le colonne mostrano la componente trasversale, radiale e verticale rispettivamente. Dall’altro verso il basso, le righe mostrano i risultati
ottenuti per le sorgenti S1, S2, S3 ed S4 (estese) rispettivamente.
128
6.3 Isolamento sismico degli edifici
del sistema d’isolamento nel ridurre le accelerazioni indotte dal terremoto, a causa del
fenomeno di rocking.
6.3.1 Esempio di applicazione dell’isolamento sismico ad un edificio
residenziale
In Figura 6.6 vengono mostrati vari spettri, tra cui quelli utilizzati per analizzare il
comportamento di un edificio residenziale isolato alla base sotto una sollecitazione sismica:
- Le linee blu (“S1 + σ”), rossa (“S1”), verde (“S2 + σ”) e rosa (“S2”) sono calcolate
come media delle amplificazioni spettrali, per la zona 4, moltiplicata per lo spettro
di risposta al basamento. I segnali al basamento considerati sono quelli ottenuti
nel punto centrale dei profili AA0 e BB0 in corrispondenza delle sorgenti S1 ed
S2, rispettivamente. Considerare la media delle amplificazioni spettrali porta ad
avere una stima più conservativa del moto del terreno rispetto a quella fornita
dallo spettro del singolo segnale 2D calcolato in corrispondenza della sorgente S2
(Figura 6.7).
- La linea nera rappresenta lo spettro medio più una deviazione standard (“medio +
σ”) relativo alla zona 4, calcolato come media quadratica degli spettri delle due
componenti trasversale e radiale riportate nelle Figure 6.4(j)-6.4(k)).
Lo spettro “medio + σ” riproduce lo spettro mediano rispetto ai tre terremoti più forti
(quello corrispondente alla sorgente S2) fino a 0.4 s ed è più conservativo dello stesso
a periodi più lunghi. Tale spettro presenta inoltre l’utile caratteristica di approssimare
molto bene la forma dello spettro di risposta relativo alla sorgente S1, raggiungendo valori delle ordinate spettrali dimezzati. Risulta quindi giustificata la scelta dello spettro
“medio + σ” come spettro rappresentativo del sito in questione, e pertanto esso verrà
utilizzato nel seguito come spettro di input per la progettazione di un edificio isolato
sismicamente. Una scelta ancora più conservativa, rappresentata dallo spettro “S1 + σ”,
porterebbe al massimo al raddoppio delle ordinate spettrali, il che corrisponde ad un incremento di un grado di intensità.
Tenendo conto che per periodi maggiori o uguali a 0.8 volte il periodo fondamentale
della struttura isolata, la dissipazione associata solitamente al sistema di isolamento sismico è pari ad una percentuale dello smorzamento critico del 10%, le ordinate spettrali
degli spettri considerati sono state ridotte secondo tale valore di smorzamento.
Lo spettro di sito “medio + σ” presenta valori di circa 3 g nell’intorno del periodo
proprio della struttura a base fissa, pari a 0.5 s. Ciò significa che costruire una casa
“convenzionale” con tale spettro risulta un’impresa ardua, anche sfruttando al meglio i
principi della progettazione in alta duttilità. Per quanto riguarda la struttura isolata, gli
spostamenti massimi del sistema d’isolamento sono stati calcolati a partire dai seguenti
spettri:
• spettro elastico di normativa per la prima zona sismica (terreni B,C,E): 28 cm
• spettro elastico di normativa per la seconda zona sismica (terreni B,C,E): 20 cm
129
Capitolo 6. MOTO SISMICO DELLE STRUTTURE
Figura 6.6: Spettri di risposta ottenuti a partire dalla media della amplificazioni spettrali per la zona 4.
σ indica la deviazione standard.
Figura 6.7: Confronto tra lo spettro di risposta ottenuto moltiplicando la media delle amplificazioni
spettrali per la zona 4 con lo spettro del segnale 1D calcolato nel punto centrale del profilo BB0 a partire
dalla sorgente S2 e lo spettro del corrispondente segnale 2D.
130
6.3 Isolamento sismico degli edifici
• spettro di sito “S1 + σ”: 18 cm
• spettro di sito “medio + σ”: 9 cm
Figura 6.8: Confronto tra lo spettro di sito “medio + σ” e lo spettro di normativa orizzontale per la zona
sismica 2 - terreni B,C,E.
Lo spostamento massimo ottenuto con lo spettro di sito “medio + σ” è inferiore a quello
ottenuto a partire dallo spettro di normativa per la seconda zona sismica. Ciò è riconducibile al fatto che lo spettro “medio + σ” presenta, nell’intorno del periodo del sistema
d’isolamento, assunto pari a 2.5 s (Figura 6.8), ordinate spettrali molto minori di quelle
dello spettro di normativa. Anche considerando lo spettro più conservativo, “S1 + σ”,
per cui la costruzione a base fissa è impossibile, si ottiene uno spostamento massimo di
18 cm, che risulta inferiore al valore di 20 cm previsto dalla normativa per la seconda
zona sismica. Pertanto, a titolo di esempio, sono riportati in Appendice B2 i dettagli
delle analisi svolte per un edificio a base fissa relative allo spettro di normativa per la
seconda zona sismica. In Appendice B3 vengono invece riportate le analisi riguardanti
l’edifico isolato alla base.
Le considerazioni precedenti dimostrano come la normativa, che non fa esplicitamente
riferimento agli spostamenti a causa della mancanza di osservazioni sperimentali, non
sia sempre rappresentativa di situazioni specifiche come quella di Nimis. Un altro esempio è costituito da Marigliano, in provincia di Napoli, [46] e [47]. A differenza di Nimis,
dove la normativa fornisce un valore cautelativo, per Marigliano la normativa rappresenta una sottostima per il potenziale terremoto di scenario, a causa della presenza, nell’area
di interesse, di depositi alluvionali (piroclastici) di spessore variabile tra 50 e 200 m, che
amplificano durata ed ampiezza del moto sismico del suolo.
In conclusione, gli spettri di sito generati nell’ambito della tesi sconsigliano la costruzione di un edificio a base fissa, ma sono compatibili con la costruzione di una casa
isolata. Dal momento che i costi di costruzione per l’edificio isolato sono proporzionali
allo spostamento massimo su cui il sistema d’isolamento deve venir calibrato, si può
constatare che, mentre l’adozione dello spettro “S1 + σ” permette solo un piccolo risparmio rispetto all’uso dello spettro di normativa per la seconda zona sismica, con lo
spettro “medio + σ” tali costi vengono notevolmente ridotti.
131
Conclusioni
Il problema affrontato in questa tesi è la modellazione del moto del suolo nel comune
di Nimis, duramente colpito dal terremoto del Friuli del 1976. Si è visto come la normativa riconosca la pericolosità sismica del comune di Nimis, inserendolo nella prima
zona sismica e caratterizzandolo mediante una accelerazione orizzontale con probabilità
di superamento del 10% in 50 anni compresa tra 0.225 g e 0.275 g. Tale accelerazione
non è tuttavia rappresentativa del moto del suolo che può venir realmente registrato a
Nimis, in quanto essa si riferisce ad un generico sito su roccia: non viene quindi tenuta
in considerazione la tipologia reale dei terreni presenti all’interno del comune, che può
influenzare notevolmente la risposta sismica. In un’analisi probabilistica della pericolosità sismica è possibile includere le condizioni locali del terreno solamente in modo
grossolano. Si è visto come Peruzza et al. (2001) assegnano a ciascun comune il terreno
tipico corrispondente a quello sul quale insiste la maggior parte dell’edificato, che per
quanto riguarda Nimis, corrisponde alla categoria “soffice”. In questo caso il valore di
PGA atteso, compreso tra 0.24 g e 0.279 g, è analogo a quello previsto dalla normativa
nonostante siano diversi gli elementi che concorrono alla stima della pericolosità (e.g.
zonazione sismogenetica, catalogo di terremoti,..). Rebez et al. (2001) individuano invece gli areali, alla scala 1:25000, caratterizzati da affioramento di roccia, attribuendo la
restante parte del territorio alla categoria dei terreni soffici. Con questa scelta il comune
di Nimis risulta caratterizzato da valori di PGA attesi tra 0.32 g e 0.56 g, più alti di quelli
previsti dalla normativa.
Dopo aver effettuato questa panoramica sui risultati ottenuti mediante una valutazione
probabilistica della pericolosità sismica presenti in letteratura, è stato adottato nella tesi
un metodo sicuramente più valido, che tiene conto della fisica del processo di sorgente
e della propagazione delle onde sismiche: il metodo neo-deterministico. Esso permette,
dalla definizione dei terremoti di scenario, di modellare il moto del suolo in qualsiasi sito
di interesse, mediante il calcolo di sismogrammi sintetici. Il vantaggio di tale procedura
risiede nel fatto che questa può essere applicata anche in assenza di dati strumentali e
con finalità preventive, rispetto al prossimo forte terremoto, producendo serie temporali
tipiche per le condizioni locali. Il metodo è stato applicato a diversa scala di dettaglio.
In prima approssimazione è stata effettuata una zonazione deterministica a scala nazionale, discretizzando il territorio mediante una griglia di passo 0.2°x 0.2°e trascurando
quindi gli effetti di sito. Le sorgenti sismiche sono state considerate puntiformi ma scalate per la loro dimensione e il contenuto in frequenza dei segnali sintetici prodotti è
stato limitato a 1 Hz. Dai sismogrammi calcolati a partire da tutte le sorgenti situate
133
CONCLUSIONI
all’interno delle zone sismogenetiche, sono stati estratti, al nodo di griglia più vicino a
Nimis, i valori massimi in spostamento, velocità e DGA. Al fine di valutare le influenze
di vari ingredienti sui risultati finali, sono stati considerati tre diversi cataloghi di terremoti, due diverse zonazioni sismogenetiche e, per una zonazione sismogenetica (ZS9),
due diverse scelte dei meccanismi focali rappresentativi. La combinazione che fornisce
i massimi valori di pericolosità corrisponde alla zonazione sismogenetica e al catalogo
di terremoti usati per produrre la mappa di pericolosità sismica prevista dall’Ordinanza.
In base a tali valori (7 - 15 cm per lo spostamento, 30 - 60 cm/s per la velocità e 0.3
- 0.6 g per l’accelerazione) ci si può aspettare a Nimis un’intensità massima pari a XI,
ossia due gradi maggiore di quella storica osservata (IX). Da notare come il valore in
accelerazione, compreso tra 0.3 - 0.6 g, che si riferisce ad un generico sito su roccia, sia
compatibile con il valore previsto dalla normativa incrementato di una deviazione standard. La procedura per la valutazione deterministica della pericolosità sismica a scala
nazionale è stata poi ripetuta considerando solo le sorgenti situate all’interno dei nodi
morfostrutturali capaci di generare terremoti con magnitudo M ≥ 6.0 e M ≥ 6.5. A tali
sorgenti è stata associata la magnitudo maggiore tra quella minima associata al nodo e
quella derivante dal lisciamento. I risultati prodotti non portano quindi ad un aumento
della pericolosità rispetto a quanto fatto precedentemente, in quanto il Friuli ha già sperimentato nel corso dei secoli terremoti forti documentati.
In seconda approssimazione è stato possibile effettuare una microzonazione sismica del
comune di Nimis, realizzando quattro sezioni geologiche lungo le quali modellare in
dettaglio la risposta del terreno alla sollecitazione sismica proveniente da quattro sorgenti diverse, ciascuna allineata con la direzione di un profilo. In questo caso le sorgenti
sono state modellate come sorgenti estese e i segnali sono stati valutati per un contenuto
in frequenza massimo di 5 Hz. Tra le quattro, la sorgente senza dubbio più pericolosa per Nimis è quella identificata nel testo con S1 data la sua grande magnitudo (M =
6.5) e la ridotta distanza epicentrale (7.5 km dall’inizio del profilo AA0 ), che determina
un valore massimo di DGA di 0.50 g al basamento e 1.2 g considerando le condizioni
locali. Mentre al basamento si ottiene un valore coerente con quello ottenuto mediante
la zonazione a scala nazionale, le condizioni locali lo amplificano più di due volte, dimostrando come solo una modellazione dettagliata mediante sismogrammi sintetici dia
un’idea di quale possa essere realmente la pericolosità attesa ad un determinato sito. Va
sottolineato inoltre come il bacino sedimentario, di spessore decisamente ridotto, amplifichi soprattutto le accelerazioni, ma non gli spostamenti. E in effetti con la sorgente S1
si ottiene dal sismogramma un valore di picco di 6 cm al basamento e di 9.5 cm considerando le condizioni locali.
Nei quattro profili analizzati si è visto come il cosiddetto effetto di sito derivi soprattutto dalla presenza del bacino sedimentario, ma non possa essere quantificato in maniera
univoca, come invece è stato fatto nei lavori probabilistici sopra illustrati. Infatti, l’aver
fatto incrociare i profili analizzati in un unico punto ha permesso di valutare in che modo le amplificazioni spettrali varino per uno stesso sito a seconda della sorgente e del
percorso sorgente-ricevitore considerati. Ad esempio, il fattore di amplificazione massimo (circa 9, a 3 Hz, componente verticale) è causato dalla sorgente S3, relativamente
distante (31.5 km dall’inizio del profilo CC 0 ), mentre alla stessa frequenza e per la stessa
componente, la sorgente S1 causa il fattore di amplificazione minore (appena superiore
a 3). Ne segue che la stima di amplificazione del moto del suolo ottenuta in un sito
analizzando solo le registrazioni di un singolo evento non possa assolutamente essere
134
CONCLUSIONI
generalizzata. L’importanza della modellazione è pertanto evidente, in quanto consente
il calcolo di scenari d’amplificazione dovuti a terremoti, storici e/o futuri, per i quali le
registrazioni non sono disponibili.
I segnali prodotti con il metodo deterministico hanno anche un’importanza pratica nel
campo dell’ingegneria strutturale: a partire dagli spettri di risposta in accelerazione,
infatti, gli ingegneri calcolano le forze elastiche, causate da un sisma, agenti sulle strutture. Si è visto come la nuova normativa definisca uno spettro di progetto delle strutture
sia in funzione della zona sismica in cui si trovano che delle caratteristiche del terreno.
Tuttavia la forma di tali spettri è una forma media, valida per tutta l’Italia: in condizioni
di sismicità elevata è quindi opportuno disporre di uno spettro di risposta specifico del
sito considerato. Dato che ogni spettro di risposta si riferisce ad un ben preciso evento
sismico, esso non risulta direttamente utilizzabile come strumento di analisi e di progetto. Per questo motivo è necessario raggruppare gli spettri di risposta, lungo i vari profili,
“appartenenti” a zone simili e calcolarne la media. In riferimento ai profili analizzati,
gli spettri sono stati raggruppati secondo quattro zone individuate sulla base della vS 30 .
Lo spettro medio più una deviazione standard (“medio + σ”) cosı̀ ottenuto per la zona
in cui si trova il centro di Nimis, è stato poi usato come input sismico per l’analisi del
comportamento di un edificio residenziale sottoposto all’azione di tale sisma. L’analisi
ha dimostrato come la costruzione di una villa con tecniche tradizionali (a base “fissa”)
risulti particolarmente difficile, mentre isolamento sismico rappresenti la soluzione più
conveniente, anche dal punto di vista economico. Infatti, il valore di 9 cm ottenuto per il
sistema d’isolamento a partire dallo spettro “medio + σ” risulta essere inferiore a quello
che si otterrebbe a partire dallo spettro di normativa per la seconda zona sismica (20
cm). Anche considerando lo spettro massimo (“S1 + σ”) per la zona in questione si
ottiene un valore di spostamento di soli 18 cm, sempre inferiore a quello previsto dalla
normativa per la seconda zona sismica.
In conclusione, solo una modellazione realistica dell’input sismico al quale le strutture
dovranno far fronte permette di progettare al meglio e con costi contenuti degli edifici
che sappiano resistere con efficacia anche a scosse di forte intensità.
135
Appendice
A
Mappe deterministiche per il Friuli
Venezia Giulia
Vengono di seguito riportate tutte le mappe deterministiche per il Friuli Venezia
Giulia ottenute nel corso del presente studio.
Le Figure A.1-A.9 mostrano:
• (a) la distribuzione delle magnitudo massime sul territorio, assieme ai poligoni di
validità dei cataloghi italiano, sloveno e croato;
• (b) il risultato dell’operazione di “lisciamento” delle magnitudo, assieme ai poligoni di validità dei cataloghi italiano, sloveno e croato;
• (c) le zone sismogenetiche e le magnitudo lisciate al loro interno;
• (d) i valori dello spostamento di picco, assieme ai poligoni strutturali;
• (e) i valori della velocità di picco, assieme ai poligoni strutturali;
• (f) i valori di DGA, assieme ai poligoni strutturali.
Le Figure A.10 e A.11 mostrano rispettivamente i valori massimi e medi di tutte le
mappe precedenti (Figure A.1-A.9), calcolati nei soli punti di griglia comuni a tutte
le mappe stesse. Sono ancora stati plottati, a seconda dei casi, i poligoni di validità
dei cataloghi e i poligoni strutturali, mentre si è preferito non visualizzare la geometria
delle zone sismogenetiche in quanto per le stime di pericolosità deterministica sono state
adottate due diverse zonazioni sismogenetiche (ZS4 e ZS9). Scelte analoghe sono state
compiute nella redazione delle mappe A.12-A.17, in cui vengono riportate le differenze
tra le mappe A.1-A.9, sempre nei soli punti comuni a tutte. In questo caso, si è deciso
di plottare con simboli diversi i valori ottenuti, nel caso in cui essi siano positivi (4) o
negativi (5). I nomi delle due mappe tra cui viene eseguita la differenza sono indicati
in cima alle varie figure. Infine, nelle mappe A.18-A.20, vengono visualizzati i rapporti
tra le mappe A.1-A.9, al fine di rendere più significative le differenze riportate nelle
mappe A.12-A.17. Non vengono riportati i risultati dei rapporti per le magnitudo, in
quanto, considerando solo magnitudo M > 5 e, per quanto riguarda l’Italia, M < 7.4,
137
Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
le differenze sono ritenute da sole indicative di un incremento o decremento sostanziale
del potenziale sismico di una certa zona.
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura A.1: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione
sismogenetica ZS4 e il catalogo NT4.
138
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura A.2: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione
sismogenetica ZS4 e il catalogo UCI.
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura A.3: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione
sismogenetica ZS4 e il catalogo CPTI04.
139
Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura A.4: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione
sismogenetica ZS9m e il catalogo NT4.
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura A.5: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione
sismogenetica ZS9m e il catalogo UCI.
140
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura A.6: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione
sismogenetica ZS9m e il catalogo CPTI04.
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura A.7: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione
sismogenetica ZS9f e il catalogo NT4.
141
Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura A.8: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione
sismogenetica ZS9f e il catalogo UCI.
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura A.9: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute usando la zonazione
sismogenetica ZS9f e il catalogo CPTI04.
142
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura A.10: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando i massimi delle
mappe A.1-A.9.
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura A.11: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute come media più una
deviazione standard delle mappe A.1-A.9.
143
Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
Figura A.12: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando le differenze,
nei punti comuni, tra le magnitudo delle mappe A.1(a)-A.9(a).
. . . continua . . .
144
Figura A.12
145
Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
Figura A.13: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando le differenze,
nei punti comuni, tra le magnitudo “lisciate”, delle mappe A.1(b)-A.9(b).
. . . continua. . .
146
Figura A.13
147
Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
Figura A.14: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando le differenze,
nei punti comuni, tra le magnitudo “lisciate” all’interno delle zone sismogenetiche delle le mappe A.1(c)A.9(c).
. . . continua . . .
148
Figura A.14
149
Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
Figura A.15: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando le differenze,
nei punti comuni, tra i valori dello spostamento di picco delle mappe A.1(d)-A.9(d).
. . . continua . . .
150
Figura A.15
151
Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
Figura A.16: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando le differenze,
nei punti comuni, tra i valori delle velocità di picco delle mappe A.1(e)-A.9(e).
. . . continua . . .
152
Figura A.16
153
Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
Figura A.17: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando le differenze,
nei punti comuni, tra i valori di DGA delle mappe A.1(f)-A.9(f).
. . . continua . . .
154
Figura A.17
155
Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
Figura A.18: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando i rapporti, nei
punti comuni, tra i valori dello spostamento di picco delle mappe A.1(d)-A.9(d).
. . . continua . . .
156
Figura A.18
157
Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
Figura A.19: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando i rapporti, nei
punti comuni, tra i valori delle velocità di picco delle mappe A.1(e)-A.9(e).
. . . continua . . .
158
Figura A.19
159
Appendice A. MAPPE DETERMINISTICHE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
Figura A.20: Mappe deterministiche per il Friuli Venezia Giulia, ottenute considerando i rapporti, nei
punti comuni, tra i valori di DGA delle mappe A.1(f)-A.9(f).
. . . continua . . .
160
Figura A.20
161
Appendice
B
Isolamento sismico per una casa di civile
abitazione
Vengono di seguito riportate le analisi svolte dall’ing. Dusi su un edificio destinato
a civile abitazione nella sua configurazione convenzionale ed isolata alla base L’edificio
considerato nel seguito è una piccola costruzione a 2 piani, avente dimensioni in pianta
pari a 13.00 x 13.70 m; dal punto di vista strutturale l’edificio è costituito da un telaio in
cemento armato con tamponamenti in laterizio. Nelle figure che seguono (Figure B.1B.6) sono riportate le piante, i prospetti e le sezioni dell’edificio in oggetto.
Figura B.1: Pianta del piano terra dell’edificio destinato a civile abitazione utilizzato per le analisi
ingegneristiche.
163
Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE
Figura B.2: Pianta del primo piano dell’edificio.
Figura B.3: Prospetto 1 dell’edificio.
Figura B.4: Prospetto 2 dell’edificio.
164
Figura B.5: Sezione 1 dell’edificio.
Figura B.6: Sezione 2 dell’edificio.
165
Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE
B1. Modellazione ad elementi finiti
Le analisi strutturali sono state effettuate implementando un modello ad elementi
finiti della struttura nel codice di calcolo SAP2000NL. Il modello adottato per la struttura riproduce fedelmente la geometria dell’edificio. Il modello è tridimensionale ed
è composto mediante elementi trave che schematizzano le travi ed i pilastri, mentre i
solai e le pareti perimetrali sono modellate con elementi piani flesso-membranali. Per
la valutazione delle sollecitazioni in condizioni sismiche è stata adottata la tecnica dell’analisi modale con utilizzo dello spettro di risposta indicato nell’“Ordinanza del presidente del consiglio dei ministri 20 marzo 2003”. La sovrastruttura e la sottostruttura
sono modellate come aventi comportamento elastico lineare. Anche gli isolatori hanno
comportamento elastico lineare, con rigidezza orizzontale equivalente pari alla rigidezza secante riferita allo spostamento di progetto. Per quanto riguarda la configurazione
isolata alla base, i dispositivi di isolamento sono stati posizionati al di sopra delle travi
di fondazione, sotto i pilastri. La Figura B.7 mostra il modello ad elementi finiti, mentre
le Figure B.8-B.10 mostrano l’orditura dei solai e le travi di piano ai vari livelli.
Figura B.7: Modello dell’edificio ad elementi finiti.
Carichi
I carichi considerati nelle analisi sono ottenuti dalle vigenti normative.
1. Solai:
carichi permanenti 2.5 kN/m2
carichi accidentali 2.0 kN/m2
2. Scale:
carichi permanenti 2.5 kN/m2
166
Figura B.8: Piano terra - carpenterie.
Figura B.9: Primo piano - carpenterie.
Figura B.10: Copertura - carpenterie.
carichi accidentali 4.0 kN/m2
3. Copertura:
carichi permanenti 2.5 kN/m2
carichi accidentali 2.0 kN/m2
167
Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE
carico da neve 1.5 kN/m2
4. Tamponature:
tamponature in blocchi di laterizio 5.0 kN/m2
Masse sismiche
Le masse sismiche vengono derivate dai carichi applicati secondo le indicazioni fornite Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n 3274.
Condizioni di carico
Nel modello di calcolo sono state definite le seguenti condizioni di carico:
DEAD Carichi di peso proprio
SUPERDEAD Carchi permanenti
LIVE Carichi accidentali dei solai intermedi
NEVE Carichi accidentali da neve
TETTO Carichi accidentali della copertura
SCALE Carichi accidentali delle scale
SPEX30Y Azione sismica spettrale in direzione X + 30% in direzione Y (con eccentricità 5%)
SPEY30X Azione sismica spettrale in direzione Y + 30% in direzione X (con eccentricità 5%)
Combinazioni di carico
Edificio convenzionale
Per le verifiche dell’edificio a base fissa sono state considerate le seguenti combinazioni di carico:
VSLU Combinazione di stato limite ultimo per carichi verticali
SISMX30Y Combinazione di stato limite ultimo per verticali + sisma X + 30% sisma
Y
SISMY30X Combinazione di stato limite ultimo per verticali + sisma Y + 30% sisma
X
Edificio isolato
Per le verifiche dell’edificio isolato sono state considerate invece le seguenti combinazioni di carico:
168
VSLU Combinazione di stato limite ultimo per carichi verticali
SISMX30Y Combinazione di stato limite ultimo per verticali + sisma X + 30% sisma
Y
SISMY30X Combinazione di stato limite ultimo per verticali + sisma Y + 30% sisma
X
CHKX30Y Come SISMX30Y per verifica degli elementi strutturali (travi e pilastri)
CHKY30X Come SISMY30X per verifica degli elementi strutturali (travi e pilastri)
Le sollecitazioni nelle combinazioni CHKX30Y ed CHKY30X sono utilizzate per il
calcolo delle armature negli elementi strutturali e corrispondono all’adozione di un
coefficiente di struttura (duttilità) pari ad 1.495 (1.15 x 1.3).
B2. Risultati per l’edificio a base fissa
La massa totale dell’edificio è risultata pari a 412.0 t.
In Tabella B.1 vengono riportati i primi 12 modi di vibrazione della struttura, assieme
ai fattori di partecipazione nelle due direzioni orizzontali X e Y. Le Figure B.11-B.12
riportano il primo modo di vibrazione della struttura a base fissa. A partire dai risultati
Figura B.11: Primo modo di vibrazione della struttura a base fissa (vista 3D).
dell’analisi ad elementi finiti, sono stati progettati e verificati gli elementi strutturali. Si
sono assunte le seguenti caratteristiche dei materiali:
Calcestruzzo:
• modulo di elasticità E=31200000 kN/m2
• peso specifico γ=25 kN/m3
• coefficiente di Poison = 0.15
Il progetto e la verifica degli elementi strutturali è stata condotta facendo riferimento
all’Eurocodice 2 e ai seguenti valori:
169
Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE
Tabella B.1: Primi dodici modi di vibrazione della struttura a base fissa, unitamente ai fattori di
partecipazione nelle due direzioni orizzontali X e Y.
MODAL PERIOD AND FREQUENCIES
mode
period
frequency
frequency
eigenvalue
(s)
(cyc/s)
(rad/s)
(rad/s)**2
1
0.502153
1.991425
12.512493
156.562490
2
0.435163
2.297987
14.438681
208.475496
3
0.418282
2.390732
15.021411
225.642793
4
0.255522
3.913550
24.589558
604.646362
5
0.210992
4.739516
29.779254
886.803992
6
0.190692
5.244050
32.949337
1085.659
7
0.144817
6.905264
43.387051
1882.436
8
0.137832
7.255189
45.585699
2078.056
9
0.135095
7.402213
46.509476
2163.131
10
0.008499
117.666194
739.318501
546591.846
11
0.007730
129.363423
812.814360
660667.184
12
0.006177
161.897388
1017.231
1.0348E+06
MODAL PARTICIPATING MASS RATIOS
mode
period
individual mode (percent)
cumulative sum (percent)
UX
UY
UZ
UX
UY
UZ
1
0.502153
0.5711
48.0976
0.0000
0.5711
48.0976
0.0000
2
0.435163
91.2087
1.2168
0.0000
91.7798
49.3144
0.0000
3
0.418282
0.9216
34.8724
0.0000
92.7014
84.1868
0.0000
4
0.255522
0.0041
9.3478
0.0000
92.7055
93.5346
0.0000
5
0.210992
0.0020
0.0102
0.0000
92.7075
93.5448
0.0000
6
0.190692
3.9466
0.0005
0.0000
96.6541
93.5453
0.0000
7
0.144817
0.0959
0.9516
0.0000
96.7500
94.4969
0.0000
8
0.137832
2.1660
2.5094
0.0000
98.9161
97.0063
0.0000
9
0.135095
1.0839
2.9937
0.0000
100.0000
100.0000
0.0000
10
0.008499
0.0000
0.0000
0.0000
100.0000
100.0000
0.0000
11
0.007730
0.0000
0.0000
0.0000
100.0000
100.0000
0.0000
12
0.006177
0.0000
0.0000
0.0000
100.0000
100.0000
0.0000
• fyk = 413685.5 (acciaio)
• fck = 27579.032 (calcestruzzo)
170
Figura B.12: Primo modo di vibrazione della struttura a base fissa (vista dall’alto).
Nelle Figure B.13-B.14 sono riportate le indicazioni delle armature minime (in cm2 )
calcolate nei pilastri ai diversi livelli.
Figura B.13: Livello 1 (dimensione dei pilastri 30 x 30 cm).
B3. Risultati per l’edificio isolato alla base
Sono state condotte una serie di analisi parametriche per individuare la configurazione ottimale del sistema di isolamento sismico.
E’ importante sottolineare che, essendo l’edificio caratterizzato da una massa decisamente ridotta, risulta tecnologicamente impossibile isolare l’edificio utilizzando solo
dispositivi elastomerici tipo HDRB comunemente disponibili sul mercato. Sarebbero
infatti necessari 16 HDRB (uno per ogni pilastro); considerando gli spostamenti in gioco
(superiori ai 22 cm), al fine di garantire la stabilità dei dispositivi sotto l’azione sismica,
171
Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE
Figura B.14: Livello 2 (dimensione dei pilastri 30 x 30 cm).
si dovrebbero impiegare dispositivi aventi dimensioni tali per cui l’intero sistema di isolamento risulterebbe troppo rigido, impedendo di fatto lo shift del periodo.
Analisi preliminari condotte su un sistema a 1 grado di libert (SDOF), hanno mostrato
che, fissato un periodo della struttura isolata pari a 2.5 s, il sistema di isolamento deve
possedere una rigidezza orizzontale complessiva pari a 2602 kN/m. Dalle stesse analisi
preliminari sul sistema SDOF risulta una significativa riduzione delle sollecitazioni rispetto alla configurazione strutturale a base fissa.
Per l’isolamento sismico dell’edificio si utilizzano:
1. isolatori in gomma naturale ad elevata dissipazione (HDRB), costituiti da piastre
in acciaio, immerse in una matrice elastomerica e a questa collegate mediante
vulcanizzazione. Le caratteristiche fondamentali di questi isolatori sono:
• capacità di sostenere il carico verticale della struttura grazie all’elevata rigidezza in direzione verticale;
• capacità di resistere ai carichi orizzontali per piccoli spostamenti;
• capacità di disaccoppiare il moto della struttura da quello del terreno;
• capacità dissipative tali da ridurre le oscillazioni della struttura.
2. guide lineari ad appoggio tipo CLB (nel seguito denominati Sliding Devices) multidirezionali in grado di supportare il carico verticale e consentire spostamenti con
basso coefficiente d’attrito (Figure B.15-B.16).
Le caratteristiche di rigidezza dei dispositivi impiegati sono le seguenti:
• 8 dispositivi HDRB ∅ 450 mm con rigidezza K = 311 kN/m
• 8 sliding devices con rigidezza equivalente K = 20 kN/m
Si ribadisce che solo grazie all’impiego dei dispositivi a sfere risulta possibile isolare
sismicamente la struttura.
Le analisi ad elementi finiti sull’edificio isolato con la configurazione sopra descritta
mostrano una sostanziale coincidenza del centro di massa e del centro di rigidezza:
172
Figura B.15: Guide lineari ad appoggio tipo CLB.
Figura B.16: Guide lineari ad appoggio tipo CLB - esempio di installazione.
centro di massa: X=6.58 m, Y=6.54 m
centro di rigidezza: X=6.77 m, Y=6.54 m
Dalle analisi modali risultano le caratteristiche dinamiche del modello di calcolo 3D
della struttura isolata riportate in Tabella B.2. Le Figure B.17-B.18 riportano il primo
modo di vibrazione della struttura a base isolata. A partire dai risultati dell’analisi ad
elementi finiti, sono stati progettati e verificati gli elementi strutturali. Si sono assunte
le seguenti caratteristiche dei materiali:
Calcestruzzo:
• modulo di elasticità E=31200000 kN/m2
• peso specifico γ=25 kN/m3
• coefficiente di Poison = 0.15
Il progetto e la verifica degli elementi strutturali è stata condotta facendo riferimento
all’Eurocodice 2 e ai seguenti valori:
• fyk = 413685.5 (acciaio)
173
Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE
Tabella B.2: Primi dodici modi di vibrazione della struttura a base fissa, unitamente ai fattori di
partecipazione nelle due direzioni orizzontali X e Y.
MODAL PERIOD AND FREQUENCIES
mode
period
frequency
frequency
eigenvalue
(s)
(cyc/s)
(rad/s)
(rad/s)**2
1
2.506928
0.382127
2.400977
5.764692
2
2.508455
0.383369
2.408777
5.802204
3
2.132294
0.468979
2.946679
8.682918
4
0.352163
2.839597
17.841713
318.326739
5
0.291446
3.431170
21.558678
464.776612
6
0.286070
3.495643
21.963771
482.407250
7
0.231917
4.311882
27.092353
733.995572
8
0.207012
4.830632
30.351754
921.228999
9
0.185121
5.401879
33.941006
1151.992
10
0.138968
7.195881
45.213054
2044.220
11
0.134839
7.416278
46.597849
2171.360
12
0.129339
7.731595
48.579046
2359.924
MODAL PARTICIPATING MASS RATIOS
mode
period
individual mode (percent)
cumulative sum (percent)
UX
UY
UZ
UX
UY
UZ
1
2.506928
0.0006
99.9104
0.0000
0.0006
99.0104
0.0000
2
2.508455
99.9766
0.0006
0.0000
99.9772
99.0110
0.0000
3
2.132294
0.0001
0.0577
0.0000
99.9773
99.9687
0.0000
4
0.352163
0.0000
0.0256
0.0000
99.9773
99.9943
0.0000
5
0.291446
0.0142
0.0006
0.0000
99.9915
99.9948
0.0000
6
0.286070
0.0076
0.0007
0.0000
99.9992
99.9955
0.0000
7
0.231917
0.0000
0.0042
0.0000
99.9992
99.9997
0.0000
8
0.207012
0.0000
0.0000
0.0000
99.9992
99.9997
0.0000
9
0.185121
0.0007
0.0000
0.0000
99.9998
99.9997
0.0000
10
0.138968
0.0000
0.0000
0.0000
99.9999
99.9998
0.0000
11
0.134839
0.0001
0.0000
0.0000
100.0000
99.9998
0.0000
12
0.129339
0.0000
0.0002
0.0000
100.0000
100.0000
0.0000
• fck = 27579.032 (calcestruzzo)
174
Figura B.17: Primo modo di vibrazione della struttura a base isolata (vista 3D).
Figura B.18: Primo modo di vibrazione della struttura a base isolata (vista dall’alto).
Nelle Figure B.19-B.20 sono riportate le indicazioni delle armature minime (in cm2 ) calcolate nei pilastri ai diversi livelli. Si evidenzia una riduzione delle armature passando
dalla base fissa alla base isolata. Le armature, inoltre, sono più omogenee.
175
Appendice B. ISOLAMENTO SISMICO PER UNA CASA DI CIVILE ABITAZIONE
Figura B.19: Livello 1 (dimensione dei pilastri 30 x 30 cm).
Figura B.20: Livello 2 (dimensione dei pilastri 30 x 30 cm).
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182
Ringraziamenti
Innanzitutto desidero ringraziare il prof. Panza per avermi dato l’opportunità di svolgere questa tesi e per la considerazione che mi ha dimostrato nel corso di questi mesi.
Ringrazio il dott. Vaccari per avermi seguita, con pazienza e amicizia, nella preparazione di tutto il lavoro di tesi.
Ringrazio inoltre la dott.ssa Peresan, il dott. Romanelli e il dott. Aoudia per tutta la
disponibilità e cortesia mostratami in questo periodo.
Desidero inoltre ringraziare tutte le persone che hanno contribuito alla riuscita della
mia tesi: il comune di Nimis, il dott. Iacuzzi, il prof. Tunis, la prof.ssa Poli e il dott.
Avigliano, per le indicazioni e il materiale fornitomi relativamente alla geologia di Nimis; il prof. Martelli e l’ing. Dusi per le analisi relative all’isolamento sismico.
Un sentito ringraziamento a mia madre per aver sempre creduto in me e per avermi
permesso, non senza sacrifici, di arrivare a questo traguardo.
Ringrazio anche Cristian, mio fratello, per i passaggi casa-stazione che mi ha dato nel
corso della mia carriera universitaria e per il suo sostegno morale.
Voglio ringraziare anche Mauro, il mio ragazzo, che ha condiviso con me ogni momento di questo lavoro.
Infine desidero ringraziare i miei compagni di università che si sono rivelati dei buoni compagni di pausa e che mi hanno dato conforto nei momenti in cui sembrava che
nulla funzionasse.
A tutti loro porgo un sentito: grazie!