Foglio n. 376 - Parrocchia Sant`Angela Merici

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Foglio n. 376 - Parrocchia Sant`Angela Merici
Natale 2008
Era una mattina carica di nuvole
e un bimbo mi domandò:
«Ma tu lo vedi il sole?».
Era un giorno d’intensa pioggia
e un giovane mi chiese:
«Ma tu lo immagini un futuro?».
Era una gelida sera d’inverno
e un anziano mi disse:
«Ma tu lo senti il calore dell’amore?».
In questi tempi fragili,
carichi di paura e di incertezza,
la solidarietà non è più una virtù.
Auguri per un Natale coraggioso
della forza delle idee e del pensiero,
dell’amore e della condivisione.
p.Giuseppe, p.Guglielmo, p.Battista,
p.Antonio e f.Luigi
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Parrocchia
S.Angela Merici
magistero
La città rinnovata dal dialogo
dal discorso dell’Arcivescovo alla città per la vigilia di S.Ambrogio
Carissimi,
[…] Sull’esempio di Ambrogio - uomo, vescovo, santo, che scelse di rimanere in continuo dialogo con la “sua” Città -, vorrei anch’io offrire il mio contributo, riflettendo questa sera con voi sul fondamentale tema del dialogo, vera e propria emergenza del nostro
tempo, a Milano e non solo.
1. L’UOMO SAPIENTE E GIUSTO È L’UOMO DEL DIALOGO
Il dialogo non è uno tra i tanti atteggiamenti che l’uomo può assumere e vivere, ma è un
tratto fondamentale, costitutivo, oso dire ontologico, della sua umanità. Il dialogo deve essere assunto come atteggiamento stabile nell’uomo: non sempre è dote innata, bensì – più
spesso - è virtù che l’uomo sapiente sa ricercare e coltivare, anche a prezzo di fatica.
Così sant’Ambrogio scrive dell’uomo sapiente, commentando il versetto biblico «Lo stolto muta come la luna»: «Il sapiente non è abbattuto dal timore, non è mutato dal potere,
non è esaltato dalla prosperità, non è sommerso dalla sventura. Dove c’è la sapienza, c’è
la virtù dell’animo, ci sono la costanza e la fermezza. Il sapiente, dunque, è immutabile
nell’animo, non è diminuito né accresciuto dal mutar delle cose né “vacilla come un
bimbo così da essere sballottato da ogni vento di dottrina”, ma rimane perfetto in Cristo,
“fondato nella carità”, “radicato” nella fede. Il sapiente dunque ignora i cedimenti delle
cose e non sa essere mutevole d’animo, ma “risplenderà come il sole di giustizia”, che
rifulge nel regno di suo Padre» .
Di nuovo, anche quest’anno, ci guida nelle nostre riflessioni il paradigma dell’uomo sapiente secondo Cristo, un uomo che in momenti a volte oscuri e critici resta immutabile
nell’animo, non viene sballottato da ogni mutevole pensiero o dottrina, ma permane
radicato nella sua fede e nella sua carità, segue sempre la bussola della giustizia. È certamente un ideale forte, questo, in un tempo di ideali deboli e sfocati, ma l’uomo che
vediamo dedito al dialogo non può che essere così, libero e ben saldo nella sapienza.
Questa non è patrimonio esclusivo dei colti o degli studiosi, ma è per tutti, anche per i
poveri, i semplici, gli umili, perché – lo riconoscono i credenti – scaturisce dalla sapienza di
Cristo. Essa ci aiuta a “distinguere”, a capire in profondità il tempo, a discernere ciò che è
bene da ciò che è male, a dare il vero peso alle realtà e alle vicende della vita, a muoversi
secondo le ispirazioni che Dio suscita nella coscienza, a confrontarsi con gli altri.
Una sapienza che è profondamente alleata con la giustizia, come ci ricorda sant’Ambrogio nel suo libro sui Doveri:
«Risulta dalla Scrittura divina, più antica dei filosofi, che la sapienza non può esistere senza la giustizia, perché dove si trova una si trova anche l’altra. Con questa sapienza Daniele
smascherò le menzogne di una falsa accusa per mezzo di un interrogatorio approfondito,
sicché le risposte dei calunniatori si contraddissero tra loro. Fu compito della prudenza
smascherare i colpevoli con la testimonianza della loro stessa voce, ma fu anche compito
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della giustizia mandare al supplizio i colpevoli e salvare l’innocente» .
E, dunque, la sapienza costruisce percorsi di giustizia, “regola” la vita sociale, difende
l’innocente, tutela il più debole. Non è oggi questo uno dei compiti primari della civiltà
e delle istituzioni? E di ciascuno di noi, che non si esercita in un amore generico bensì si
fa operatore di giustizia e, per ciò stesso, diventa costruttore di pace e di speranza? […]
2. ALLA RICERCA DI UN DIALOGO POSSIBILE
[…] Guardando alla nostra amata Città mi si ripropongono domande analoghe: “Sappiamo dialogare a Milano?”, “Crediamo nel dialogo, insostituibile atteggiamento per
abitare insieme, tutti, a pieno titolo, la nostra Città?”, “Quanto, dunque, ciascuno di noi
è disponibile al dialogo?”.
Osservando la nostra Città, incontrandola nei suoi quartieri, nelle sue parrocchie, nelle
sue associazioni, nelle sue espressioni di impegno sociale e civile, visitandola nei luoghi
dell’educazione e della sofferenza, ne ricavo sempre di più l’immagine di una grande
città fatta da tante piccole isole, spesso non comunicanti tra di loro.
Le periferie distanti dal centro (e non solo spazialmente), le istituzioni percepite come
lontane dai cittadini, i giovani che rischiano di essere separati dagli adulti, i “nuovi venuti” non in piena comunicazione con chi è milanese da più tempo, chi ha un lavoro sicuro
e ben remunerato disattento a chi è precario o disoccupato, chi ha una casa da abitare
con la propria famiglia ignaro del grave disagio di chi non riesce ad ottenerla, chi è sano
e a volte è insensibile rispetto a chi vive il dramma della malattia…
Anche la stessa “nuova” toponomastica sembra suggerire, al di là della necessaria e ordinata organizzazione delle funzioni urbane, questa divisione: la città della moda, la città
della salute, la città dei servizi, la città della fiera, quella della tecnologia, i nuovi quartieri
“esclusivi” ben isolati e protetti dai confinanti.
Quante fatiche subisce il dialogo nella nostra Milano!
Il mistero della reciprocità
A quali condizioni il dialogo è possibile?
Il dialogo autentico esige come condizione fondamentale l’attenzione all’altro, la propensione ad ascoltarlo e perfino a comprenderlo, anche quando non se ne condividono
le vedute.
Si tratta di un esercizio ascetico vero e proprio, che ha bisogno di pratica continua e di
verifiche costanti, di un’umiltà grande per ricominciare ogni volta da capo.
Non è semplice dialogare. Non è facile. Mette in gioco tutto di noi stessi: l’identità, la
storia, la persona. La relazione nel dialogo non può essere generica: ha bisogno di un
“tu”, ma anche di un “io”, di una persona che, non avendo paura dell’altro, si lascia
coinvolgere in questa affascinante esperienza che rende unico e contraddistingue l’essere umano dal resto del creato. Il libro biblico di Genesi, al suo inizio, mostra come
Adamo diventi pienamente uomo quando può entrare in dialogo con Eva, suo simile, e
con Dio, il Creatore: l’uomo è costitutivamente un essere-in-dialogo .
Il dialogo ci immette nel mistero della reciprocità, nel mistero della prossimità umana e
cristiana. Ciascuno, dialogando, mostra il proprio volto più autentico.
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Ma quanto siamo disponibili a lasciarci coinvolgere in questo mistero, ad affrontare la
sfida della prossimità, quel “farci prossimo” all’altro – sconosciuto e ferito – come il buon
samaritano? .
Ci è chiesto un cammino personale. L’uomo infatti – pur avendone in sé dei tratti innati – a dialogare impara. Impara cioè a comprendere l’altro. E comprendere esige una
disponibilità iniziale che ci fa lasciare alle spalle ogni egoismo ed ogni individualismo,
anche i più nascosti ed i più sconosciuti. È necessario un cammino interiore progressivo,
deciso e ordinato.
La virtù della comprensione
Per il dialogo è richiesta in particolare la virtù della comprensione, virtù negletta nell’era
in cui sembra trionfare ogni genere di egoismo. Scrive Romano Guardini:
«L’inizio di ogni comprensione sta nel fatto che uno consenta all’altro la libertà d’essere
quello che è; che non lo consideri con l’occhio dell’egoismo prescrivendogli dalla prospettiva del proprio interesse ciò che ha da essere, ma con l’occhio della libertà, la quale
dice anzitutto: Sii quello che sei; e solo dopo: Ed ora vorrei sapere come sei e perché.
Ogni comprensione [...] presuppone che si consenta all’altro il suo diritto a sé medesimo:
che non lo si guardi come un elemento del proprio ambito vitale, di cui ci si serve, ma
come un essere che possiede un centro originario, un suo ordine di vita, desideri e diritti
propri» .
Per iniziare il dialogo occorre riconoscere e rispettare la libertà dell’altro, consentirgli
di essere se stesso, senza imposizioni e pretese. Non è dialogo quello che costringe e
riduce l’altro ad essere come lo vorremmo, a nostra immagine e somiglianza: è invece
da scoprire sempre nella sua irripetibile unicità. Ad immagine e somiglianza di Dio, ci
porta ad affermare la fede cristiana. Solo l’occhio della libertà riconosce la persona, la
sua unicità. Solo così può cominciare il dialogo.
Ogni volta che le nostre azioni, i nostri appelli, i nostri provvedimenti (parlo come pastore, ma so di interloquire con amministratori, educatori, genitori…) lasciano trasparire
solo la domanda “Perché fai questo?”, inchiodando l’altro al suo gesto, fosse anche al
suo errore, in realtà - prima di riconoscerlo come persona nella sua unicità e irripetibilità
– non lo stiamo forse riducendo alla nostra misura?
La domanda sul “perché” è legittima e necessaria, ma non può essere così “rapida” da
schiacciare la persona e la sua libertà: il dialogo esige anche tempo, quel tempo che è
sempre più scarso, pressati come siamo da mille cose e mille impegni. Ma concederci
più tempo ci aiuterebbe a metterci di fronte a noi stessi, a guardarci dentro, a fare chiarezza, a scorgere le nostre debolezze e ad assumerci le nostre responsabilità!
Solo a queste condizioni il dialogo diventa possibile. Ovviamente ciò che vale per i singoli, vale anche, se pure con modalità differenti, per le diverse componenti sociali, per
le diverse generazioni, per le parti politiche, per i popoli, i laici e i credenti, le diverse
razze, nelle istituzioni, dentro la Chiesa…
Nella comprensione dell’altro e riconoscendo la sua libertà, non ci sarà mai la pretesa
dell’asservimento al proprio punto di vista, ma l’incontro cordiale e attento, che cerca di
comprendere le ragioni dell’altro anche quando non si condividono. Un simile incontro
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è l’occasione opportuna per testimoniare con rispetto i propri valori e per costruire tutti
insieme la Città che tutti vogliamo, una Città sempre più a misura d’uomo.
La Città chiamata all’incontro delle genti e delle culture
Intraprendiamo insieme, con determinazione, il cammino del dialogo. Lo ritengo urgente: la nostra Città ne ha un bisogno profondo, forse mai come oggi.
Solo in un clima di dialogo autentico e vero, non con gli slogan e con i proclami estemporanei, potremo rinnovare la Città e iniziare così la costruzione della Milano del futuro.
Nel dialogo e nell’incontro la Città mostrerà il suo volto più vero, più amabile e, in definitiva, il suo volto autentico. È una Città, la nostra, da sempre chiamata all’incontro delle
genti e all’incontro delle Città: in questo si giocherà la sua identità e metterà in evidenza
la sua anima. È una Città che non può mancare un appuntamento così importante e che
può dare molto nell’incontro con le culture e le genti. Milano è un crocevia naturale,
sede di incontro, di scambio tra persone e culture e tradizioni diverse: e questa naturalità nei secoli si è saldata con l’identità cittadina.
Ma una città che assume come proprio tratto sintetico, distintivo, il volto del dialogo,
non corre il rischio di divenire un luogo senza identità precisa?
No, sono fermamente convinto che il dialogo rafforza l’identità, la arricchisce, la rinnova,
la proietta verso il futuro. La paura di indebolire o di perdere, nel dialogo, la nostra identità non è forse segno di una identità già indebolita, se non addirittura estenuata, all’insegna del “Tutto è eguale. Tutto è relativo”? Siamo stati disposti ad un percorso debole
nella storia occidentale, perché abbiamo ritenuto che questo ci permettesse di vivere
meglio, più comodamente, senza problemi di confronto, consentendoci individualismo
e separazione, lasciando ad ognuno di vivere il proprio fondamentale egoismo.
Adesso però la sfida, anzitutto culturale, portata alle nostre Città dai popoli e dalle genti
che domandano cittadinanza ci provoca a questo inevitabile confronto. È venuto il tempo, ed è questo, di rinnovare e accrescere la disponibilità all’incontro e al dialogo, per
scoprire e ricordarci “chi” veramente siamo.
Ci vuole coraggio. Abbiamo bisogno di donne e uomini desiderosi, animati, anzi appassionati del dialogo autentico.
Le voci già in dialogo
Ma l’opera che abbiamo definito urgente, quella cioè della costruzione di una Città che
sa dialogare, non inizia da zero.
Tante positive esperienze di dialogo sono già in atto. Esperienze a volte piccole, che non
hanno l’onore della cronaca ma che, se si scruta con attenzione, possono essere riconosciute e mostrate. Sono segni incoraggianti, da leggere: c’è già chi tra noi crede, vuole
e pratica il dialogo.
Non è questa la sede per elencare tutte queste esperienze. Mi limiterò a citarne alcune
con le quali, da vescovo della Chiesa ambrosiana, ho maggiore familiarità.
Penso, ad esempio, al dialogo con le persone più bisognose di relazione, anzitutto gli anziani. Per loro la solitudine, la mancanza di dialogo è una povertà grande che nella nostra
Milano coinvolge una percentuale considerevole di popolazione. Ma tanti cittadini, tante
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associazioni (sia laiche sia espressione del volontariato cattolico), alcuni servizi pubblici
sono già attivi per entrare in dialogo con loro e assicurare una presenza amica.
Lo stesso si può dire a proposito di coloro che vengono da paesi lontani. Troppe volte,
e con troppa insistenza, negli ultimi tempi si è pensato allo straniero soltanto come ad
una minaccia per la nostra sicurezza, per il nostro benessere. Pregiudizi e stereotipi che
hanno impedito un dialogo autentico con queste persone, causando spesso il loro isolamento, relegandole così in condizioni che hanno provocato e provocano illegalità e
fenomeni di delinquenza.
Ma noncuranti delle tante, troppe, eccessive polemiche dei mesi scorsi, molte persone,
in modo silenzioso e nel nome della propria fede e di un alto senso umanitario, hanno
operato per assistere questi nuovi venuti nei loro bisogni elementari: il cibo, un riparo,
degli indumenti, la cura dei più piccoli. Penso alla Caritas e alle sue molteplici emanazioni, alla Casa della Carità, a quegli interventi delle amministrazioni locali che hanno
saputo distinguersi per intelligenza, vivo senso umanitario, creatività. Penso al buon cuore anche di tanti semplici cittadini e ai loro piccoli ma sinceri gesti di aiuto.
Tutto ciò è segno di un dialogo già in atto. Un dialogo forse ancora troppo flebile, da
incoraggiare e sostenere, ma che dice del riconoscimento della comune condizione
umana cui tutti, italiani e stranieri di qualsiasi etnia, apparteniamo. Il dialogo franco e
sincero, la vicinanza paziente favoriranno l’inserimento degli immigrati nel tessuto delle
città, contrastando così il rischio che cadano vittima dell’illegalità.
Questi segni positivi e carichi di speranza domandano però di essere preceduti, accompagnati e sostenuti da un approccio culturale nuovo nei confronti degli immigrati, così che
gli interventi nei loro confronti non si risolvano con la delega a chi si occupa di assistenza e non siano motivati solo da provvedimenti d’emergenza. Occorre, con una visione
complessiva del fenomeno, guardare agli immigrati non solo come individui, più o meno
bisognosi, o come categorie oggetto di giudizi negativi inappellabili, ma innanzitutto come
persone, e dunque portatori di diritti e doveri: diritti che esigono il nostro rispetto e doveri verso la nuova comunità da loro scelta che devono essere responsabilmente da essi
assunti. La coniugazione dei diritti e dei doveri farà sì che essi non restino ai margini, non
si chiudano nei ghetti, ma - positivamente - portino il loro contributo al futuro della città
secondo le loro forze e con l’originalità della propria identità.
La persona non si definisce però solo per un insieme di diritti e di doveri, ma per un
quadro di valori, uno stile di vita, una visione del mondo, una religiosità: in una parola,
per una “cultura”. In tal senso dialogare con gli immigrati significa entrare in contatto con
la loro cultura, conoscerla, apprezzarla, valorizzarla perché essi, a loro volta, conoscano,
apprezzino e valorizzino la nostra cultura, il nostro modo di vedere e di vivere. Certo,
occorre tempo, tanto tempo; occorre pazienza, apertura, passione, desiderio di dialogare per crescere insieme e approdare ad una nuova sintesi culturale che caratterizzerà
la Milano di domani: una Milano dei milanesi da generazioni (ma sono pochi perché
gli attuali milanesi vengono da ogni parte d’Italia…) e dei “nuovi” milanesi. Per il suo
alto valore simbolico più che per la rilevanza numerica desidero qui ricordare l’iniziativa
delle visite guidate in Duomo destinate agli stranieri che vivono in città: e così il nostro
Duomo – ne sono certo – diventerà a poco a poco anche la loro casa, il simbolo in cui
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identificarsi, il loro orgoglio.
Non posso poi non citare la felice esperienza del Consiglio delle Chiese Cristiane, nato
nella nostra città dieci anni fa, per iniziativa di alcune Chiese e progressivamente accresciuto fino ad abbracciare oggi 18 confessioni cristiane. Tante le iniziative comuni
realizzate insieme in questi anni ed è significativo che lo scorso 15 novembre in Duomo,
in occasione della solenne messa vigiliare per l’entrata in vigore del nuovo Lezionario
ambrosiano, i rappresentanti delle Chiese Cristiane fossero presenti a questo evento
storico della Chiesa Cattolica.
Anche con i fedeli dell’Islam è possibile dialogare. Spesso si dice: “L’Islam disprezza le
altre religioni ed i loro credenti, non ha il senso dello Stato tipico della tradizione occidentale, non accetta il principio della laicità, è fanatico, strumentalizza la fede per finalità
distorte o criminose, non usa la ragione come mezzo nel confronto e nella discussione
con i popoli, schiavizza le donne…”.
Sì, ma intanto cominciamo questo dialogo, anzitutto culturale. Cominciamo a discuterne
con i credenti dell’Islam, cominciamo a capire se tutto questo è vero o, almeno, se è vero
per tutti. Singoli gesti e atteggiamenti, per quanto gravi e da deprecare con forza, non siano
occasione per guardare con sospetto ed accusare tutti gli appartenenti ad una religione.
Per questo è significativo che in occasione della visita natalizia delle case, i sacerdoti e i
laici offrano agli islamici – quale segno di disponibilità al dialogo - una lettera di saluto.
Qualcuno potrà obiettare che per un vero dialogo occorre una disponibilità reciproca.
Ma è pur necessario che almeno uno inizi, cerchi l’incontro, stabilisca una relazione. Ci
vogliono pazienza, fiducia, onestà intellettuale, rispetto della libertà dell’altro, capacità di
ascolto. E lasciare che il tempo faccia crescere quanto di buono è stato seminato.
3. ALLA RICERCA DI UN VOLTO
Del dialogo c’è urgente bisogno e, nello stesso tempo, segni più o meno evidenti di dialogo
sono già in atto. È una contraddizione? Quale allora il volto vero della nostra Città?
Il volto della Città
Una risposta potrebbe essere questa: la Città è fatta, costruita, vivificata dai suoi abitanti
e il suo volto è esattamente quello di chi la abita. Il volto della Città però non va confuso
con la rappresentazione di alcuni tratti, di alcune evidenze: manifestazioni culturali, ardite
realizzazioni architettoniche, eccellenze scolastiche e imprenditoriali, i quartieri esclusivi.
Queste sono solo delle “figurazioni” della nostra Città, delle singole fotografie di lineamenti più appariscenti. Ma il volto non è solo questione di apparenza, il volto sa dire
della profondità dell’io, del cuore, dell’anima.
Il volto della nostra Città coincide quindi con quello delle persone che la abitano, con
le loro bellezze e le loro bruttezze, le loro fragilità e le loro ricchezze, le loro preoccupazioni e speranze.
A volte sembra che questi volti generino un affastellamento casuale, informe, senza coesione: una composizione astratta, dove i tratti distintivi sono sparsi sulla tela in modo
disordinato. La negazione stessa di ogni figura. Ma occorre leggere il segno oltre ogni
esteriorità, in profondità. La realtà non è solo ciò che si vede. La verità delle persone e
delle esperienze ha sempre un “oltre”.
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La Città ha il volto dei suoi abitanti. È quindi la composizione di cittadini di antica data
e di nuovi venuti, più o meno accettati. Cittadini benestanti e cittadini da poco caduti
in condizioni di nuova povertà; cittadini che compiono con abnegazione il proprio dovere, che si occupano con dedizione dei più deboli; cittadini che pensano solo ai propri
interessi e a volte li realizzano a danno degli altri.
La Città, ancora, ha il volto di chi progetta il futuro e spera con tutto il cuore che possa
divenire migliore; di chi semina paura con azioni malvagie e delittuose; di chi procura
e diffonde visioni esageratamente negative. Ha il volto di chi è sul limitare ultimo della
vita; di chi è solo; di chi studia e vorrebbe una scuola migliore; di chi è espulso dal
mondo del lavoro e non riesce più a rientrarvi; di chi vive come può, di espedienti e di
qualche bugia o di qualche mezza verità…
Riusciamo a cogliere in queste molteplici esperienze l’unico volto della nostra Città? È
questa la nostra Città, non è un’altra, non è quella perfetta che tutti – ciascuno però a
proprio modo – utopicamente vorremmo.
Amiamo, prendiamoci cura, serviamo questo volto concreto della nostra Città!
Il volto sfigurato
Occorre passare quindi dalla “figurazione” alla “trasfigurazione”. Quest’ultimo è un termine caro ai cristiani, perché rimanda immediatamente al volto del Cristo. Il volto trasfigurato di Gesù sul monte Tabor prepara i discepoli a riconoscere nello stesso volto del
Crocifisso - questa volta sfigurato - lo stesso Salvatore. La vicenda del Cristo ci insegna
che anche il volto sfigurato può essere riconosciuto ed accolto, se amato.
[…] Ma accanto al mistero, incomprensibile per la ragione umana, del volto sfigurato,
ce n’è un altro, forse ancora più incomprensibile ed accettabile solo alla luce della fede:
c’è il mistero della Trasfigurazione. È il mistero che sostiene la speranza cristiana, che la
orienta e le offre l’indicazione precisa di andare oltre le apparenze, che le mostra una
verità ben al di là del semplice sguardo umano.
Il credente - oserei dire - è, o dovrebbe essere, uno che “si intende bene” di ciò che
sfigura un volto, ma, allo stesso tempo, è anche uno che sa, o dovrebbe sapere, andare
oltre le apparenze, alla ricerca, nel silenzio interiore, del volto della Trasfigurazione.
Persino la Chiesa, a volte, per usare le parole forti di Paolo VI, ci mostra il suo volto più
misero e miserabile. Ma i credenti devono andare oltre, alla ricerca del vero Volto, devono diventare protagonisti della riscoperta del volto trasfigurato di Cristo, devono essi
stessi “diventare” quella Trasfigurazione!
E qualcosa di analogo possiamo dire di tutti i segni lasciati sul volto della nostra Città - e
quindi dei suoi abitanti – dai mali, dalle crisi, dai problemi, dalle incomprensioni, dalle
incomunicabilità che la affliggono e la sfigurano. Non sono la parola ultima, la sentenza
definitiva!
Ci deve essere posto per la speranza, e tanti segni sono già in atto. Tutti insieme possiamo andare oltre le apparenze – che segnalano comunque sofferenze – e riconoscere nel
volto sfigurato la trasfigurazione, il futuro possibile già iniziato. […]
+ Dionigi card. Tettamanzi,
Milano, 5 dicembre 2008
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SAN PAOLO SECONDO L’ISLAM
Ripetutamente il Corano rimprovera gli
ebrei e i cristiani di aver falsificato il Libro rivelato. Nella Sura 2 al v. 75, Dio interroga i musulmani a questo proposito:
«Come poter desiderare che essi credano
con noi, quando di certo alcuni di voi hanno coscientemente alterato la Parola di
Dio, dopo averla ascoltata?». E più avanti
Dio si rivolge ai “detentori della Scrittura:
«Perché travestite la verità con le falsità?
Perché tenete segreta la verità mentre voi
la conoscete?» (3, 71).
In un altro passaggio il Corano se la prende espressamente con i cristiani accusandoli di aver divinizzato Gesù (cfr 5, 116),
di averne fatto il “Figlio di Dio”, di aver
associato due divinità al Dio unico (5, 73)
di aver, quindi, immaginato la Trinità, e a
questo proposito li fustiga: «Non esagerate
nella vostra religione (…) non dite Tre» (4,
171). A causa di tutto questo le persone
del Vangelo sono definite perverse e miscredenti (5, 47 e 73). Essi sono passibili
di un doloroso castigo (2, 174).
Secondo la credenza islamica queste falsificazioni non possono essere imputabili a
Gesù perché il Corano lo presenta come
un profeta assolutamente monoteista e
completamente sottomesso, cioè musulmano, inviato a confermare la Legge e ad
annunciare Maometto (61, 6). D’altra parte il Libro fondatore dell’Islam mette inoltre in scena Gesù per rifiutare la credenza
cristiana.: «Dio dice:”O Gesù, figlio di Maria! È questo che tu hai detto agli uomini:
prendete me e mia madre per due divinità, al di sotto di Dio?”. Gesù dice: “Gloria
a Te. Non mi spetta dichiarare ciò che non
ho il diritto di dire”» (5, 116).
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Dal punto di vista musulmano Gesù è il trasmettitore di una rivelazione eternamente
identica e, a partire da tutto questo, i maestri della scienza coranica hanno concepito
la dottrina della falsificazione (tahrif).
Le prime controversie dei musulmani contro i cristiani si sono appoggiate a questa
dottrina. In un articolo sul rispetto che i
musulmani degli inizi portavano verso i
cristiani, il ricercatore tunisino contemporaneo, Abdelmajid Charfi espone il loro
modo di vedere. Dopo aver lodato l’ideale
rappresentato dall’insegnamento di Gesù
che tutti i musulmani avrebbero dovuto
ammirare, egli si interroga: «Che cosa è
allora successo perché dei musulmani si
siano sentiti costretti a rifiutare tutti coloro
(i cristiani) che credevano a tale insegnamento?». Poi ne fornisce la spiegazione:
«E’ successo che coloro che si consideravano discepoli del Messia in realtà non sono
stati fedeli al suo messaggio agli occhi degli
altri ( i musulmani). Essi hanno creato un
sistema teologico e ecclesiale che, ha funzionato in modo tale da non poter essere
imputabile a lui (a Gesù)». Lo stesso autore
spiega poi che per i musulmani il fatto che
l’Antico Testamento e il Vangelo non sono,
secondo i cristiani, un dettato divino come
lo è il Corano per i musulmani, e necessita delle interpretazioni umane, non solamente come spiegazioni così come succede nell’Islam) apre la porta a ogni sorta di
innovazioni e di deformazioni della Parola
di Dio.
Antiche critiche
Secondo Charfi, i conflitti dottrinali e i
gruppi divergenti appaiono nella Chiesa
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dei primi secoli cristiani. È quello che, a
suo parere, assicurano i suoi lontani correligionari: «Le gerarchie ecclesiastiche
furono obbligate a non urtare le credenze
popolari influenzate dal paganesimo e a
imporre soluzioni che mediassero tra opposte interpretazioni soprattutto quando
il cristianesimo divenne religione ufficiale
dell’Impero romano prima e poi bizantino che assorbiva popoli con sensibilità
religiose estranee al monoteismo rappresentato dal giudaismo, prima della nascita dell’Islam. (…) Così il cristianesimo che
all’inizio era uno sforzo di sublimazione
spirituale degli insegnamenti e delle credenze giudaiche circa il Messia atteso, riconosciuto in Gesù, non ha potuto sfuggire
a due pericoli supposti fin dall’inizio: diventare una religione dei misteri e una specie di gnosi certamente moderata in rapporto ad altri, ma comunque una gnosi; e
farsi imbrigliare dalla presunta istituzione
che doveva proteggere dalla marginalizzazione, dal formalismo e dal ritualismo, cioè
la Chiesa».
Questa visione delle cose sembra aver
preso corpo nel X secolo al tempo della
dinastia abbassida regnante a Bagdad, grazie agli scritti del celebre pensatore Tabari
(839-922), di Yacoubi (+ verso il 905) e
Abdel Jabbar (+ 1025).
Giudice religioso (cadi) appartenente alla
corrente moutazilite, che si reputava razionale, quest’ultimo scrive: «Le enunciazioni cristiane sono basate su dei fondamenti irrazionali e delle espressioni di cui
non si afferra il senso».
Poiché l’Islam riconosce l’innocenza di
Gesù per queste “falsificazioni” chi ha potuto indurre i cristiani a compiere degli
errori così gravi?
Ebbene, il falso è di Paolo. In effetti agli
occhi dei dottori e scienziati islamici è lui
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il grande falsificatore della Rivelazione.
Come annota padre Emilio Platti, membro dell’Istituto domenicano per gli studi
orientali del Cairo: «Tutta la tradizione
musulmana tardiva accusa san Paolo di
aver immaginato una reinterpretazione del
Vangelo, deformando così il messaggio originario di Gesù eliminando da questo suo
messaggio l’aspetto fondamentale della
Legge di Dio, la charia».
Inoltre, come ci riferisce lo storico tunisino
contemporaneo Mohamed Talbi, lui stesso aderente a questa tesi dell’alterazione
delle Scritture cristiane, Abdel Jabbar, già
citato, si lanciò in una lunga e dura requisitoria contro l’Apostolo: «San Paolo si è
reso responsabile di aver ellenizzato e romanizzato il cristianesimo per adattarlo agi
usi e consumi dell’Impero romano, senza
riuscire comunque a salvare la testa».
Queste critiche sono state rilanciate nel
celebre Commentario coranico apparso
in brani al Cairo tra il 1898 e il 1940, nella rivista El Manar (il faro) scritto dal gran
mufti d’Egitto, Mohamed Abdou, e il suo
discepolo libanese Rachid Rida. Si tratta di
un’opera apologetica che non risparmia i
cristiani, san Paolo e lo stesso Gesù.
Le due colpe principali indirizzate all’Apostolo dalla tradizione islamica sono: paganizzazione della verità cristiana e abolizione della legge divina, la Torah. Riguardo a
questo Rida scrive: «Nulla di più curioso
e di più estraneo dell’esistenza di questa
religione cristiana sulla terra, una religione
fondata sul monoteismo, il più puro e il più
razionale che hanno trasformato in una religione pagana con l’adozione di una trinità irrazionale improntata alla trinità dei
Greci e dei Romani e imitata dagli Egiziani
e dai Bramini, una religione di legge celeste
dove hanno abrogato e invalidato la legge
per rimpiazzarla con innovazioni e costumi
10
che sono ad essa estranei, una religione di
ascesi, di umiltà e di austerità, di altruismo
e di sottomissione a Dio che essi hanno
trasformato in una religione della avidità,
della cupidigia, del lusso, dell’egoismo e di
sfruttamento del prossimo».
Incensato per diversi anni da molti cattolici per il suo impegno nel dialogo interreligioso, Talbi da qualche anno si segnala
per il discredito implacabile che getta sul
cristianesimo. Per lui il Cristo è una “invenzione cristiana”. «Si sapeva già da tempo che il cristianesimo è in realtà un paolinismo, dal nome di Paolo (…). Egli esercita
una influenza decisiva sulla formazione
del cristianesimo in Occidente, al di fuori
dell’ambiente giudaico, tanto che egli stesso volle essere nominato ”apostolo delle
genti”, vale a dire dei non giudei».
San Paolo “proselita”
Anche altri autori della nostra epoca hanno attaccato san Paolo. Così nel Moderno
Trattato della Teologia islamica di Hamza
Boubakeur, padre dell’attuale rettore della Grande Moschea di Parigi, scrive che «la
metamorfosi del cristianesimo – e qui enumera i “cambiamenti”: divinità di Gesù,
rottura radicale con la tradizione giudaica
con il rigetto del sabato, della circoncisione, della nozione di popolo eletto e del
culto nel Tempio di Gerusalemme – si è
realizzata grazie agli scritti e al proselitismo
di Paolo, colui che era stato anche accusato di doppiezza (si è potuto provare che
apparteneva alla polizia segreta di Roma) e
che i primi testi giudaico-cristiani avevano
denunciato come un nemico publico» (!).
Boubakeur va inoltre a rimettere in discussione “lo stato civile di Paolo”: le date della nascita e della morte, il luogo dove era
venuto al mondo, la sua genealogia, la sua
appartenenza etnica, la sua religione giu11
daica, la sua cittadinanza romana. «Tutte
le risposte da lui date a queste domande
sono inconsistenti», l’unica certezza è che
egli fu «il principale istigatore dell’incendio
di Roma» e che aveva una concubina!
Il rettore onorario della Moschea di Parigi,
in questo caso, si riferisce alla Prima lettera ai Corinzi nella quale l’Apostolo allude
ad alcune donne cristiane a lui vicine e
senza dubbio a Priscilla che l’aiutava nella
sua missione insieme al suo sposo Aquila.
Inoltre Boubakeur osserva che Paolo stesso nella sua leggera ai Galati annuncia che
egli aveva annunciato il proprio evangelo:
«Quando un angelo de cielo annuncerà un
altro vangelo diverso da quello che noi abbiamo predicato che costui sia anatema».
Ignoranza o malafede?
Si rimane sorpresi di trovare simili affermazioni presso chi vuole essere una ricercatore serio e onesto. Il nostro dottore e
scienziato islamico conclude, quindi, che
con Paolo il cristianesimo «ha rotto con
le sue radici semitiche per orientarsi verso
una nuova concezione completamente diversa. Concezione fortemente influenzata
dalla corrente di pensiero ellenistico ed esseno e una organizzazione ricalcata dal modello dello stato romano. È dunque dopo
una trasformazione interna della dottrina
di Gesù che la dottrina diventa dottrina
paolina e che il Vangelo che normalmente
avrebbe dovuto avere la precedenza viene
invece composto solamente dopo più di
trequarti di secolo dopo il ritorno di Cristo
a Dio».
Questa ultima tesi – l’influenza avuta da
Paolo sul Vangelo, basata sulla precedenza delle epistole sulle scritture dei Vangeli
– viene ripresa dal principe giordano Hassan bin Talal, però senza acrimonia perché era ben manifesta la sua simpatia per
i cristiani.
Parrocchia
S.Angela Merici
Lo zio del re Abdallah II ritiene inoltre
che sia grazie alla «sincerità, la pazienza
illimitata, l’instancabile energia e anche la
eccezionale saggezza» dell’Apostolo che
egli riuscì a rendere compatibile il cristianesimo da lui predicato con «l’autorità
dello Stato romano». Egli sostiene questa
sua impressione citando la lettera ai Romani dove Paolo chiede che ciascuno si
sottometta alle autorità preposte (13,17). Non è forse questa la prova della sua
complicità con l’imperatore? Paolo, infine, è considerato da Hassan di Giordania
come il fondatore del sacerdozio e della
Chiesa istituzionale con la sua gerarchia di
vescovi, presbiteri e diaconi. Per spiegare
questa sua affermazione egli rinvia a tre
epistole di Paolo dove, egli dice, che queste funzioni appaiono per la prima volta:
Filippesi 1, 1; Timoteo 3, 1 e 8, 23 ; Tito
1, 7.
Le “invenzioni” di Paolo
In una tesi dedicata al rapporto tra cristiani e musulmani attraverso i secoli, nella
quale egli ci fornisce un campionario delle
prese di posizione più recenti che chiamano in causa san Paolo, il padre Jean-Mari
Jameelah cita una americana Maryam
Jameelah passata dal giudaismo all’islam
che attribuisce la stessa responsabilità a
san Paolo di Tarso. Ma qui il tono è di rimprovero.
«Per rendere il cristianesimo compatibile
con il mondo greco e romano, san Paolo,
di sua esclusiva autorità, ha preso la disastrosa decisione di rendere sorpassata
quasi tutta la legge di Mosé partendo dal
falso principio che “la lettera della legge
uccide mentre lo spirito dona la vita”. Essa
si basa su quanto scritto nella Lettera ai
Romani (2, 17-26; 10, 4 e 12) e precisa:
“Paolo abolisce la circoncisione e dichiara
foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008
permessa l’assunzione di carne di maiale,
del sangue, delle carogne e del vino! Con
quale autorità se non solo la propria convinzione personale, Paolo aveva il diritto
di dichiarare permesso ciò che è proibito?
Gesù stesso (pace a Lui) che Paolo presenta come l’Incarnazione di Dio, non ha mai
preteso di avere questo diritto». Poi conclude dicendo che «in questo modo l’Apostolo dei Gentili ha fatto del cristianesimo
quello che essa è adesso, una religione su
Gesù che presenta poca somiglianza con
l’insegnamento di Gesù. In altri termini i
cristiani, dopo l’epoca di Paolo, hanno dimenticato il messaggio hanno iniziato ad
adorare il messaggero».
Quanto al dogma sulla Trinità anch’esso è
una invenzione di Paolo, secondo quanto
afferma Muhammad Ata-Ur-Rahim, anziano ufficiale dell’armata pakistana, morto
nel 1978, nel suo Gesù, Profeta dell’Islam,
apparso a Londra l’anno prima della sua
morte: «È la visione greca di un universo
dai molti dei che sta alla base di questa
dottrina della Trinità, insieme all’influenza
di alcuni, in particolare di Paolo di Tarso,
che elevarono progressivamente Gesù dal
rango di Profeta a quello di Dio».
Alcuni musulmani militanti francesi diffusero anche loro delle opinioni simili, così
come un certo Hassan M. Baagil, autore di
un libro sotto forma di conversazione con
un battezzato, Dialogo musulmano-cristiano (senza il nome dell’autore) e che si trova in tutte le librerie musulmano dell’Esagono. Baagil che si presenta come uno
che per quattro anni ha studiato la Bibbia,
espone qui quali sono secondo lui gli errori del cristianesimo, imputando a Paolo
la credenza di Gesù come “Figlio di Dio”
e la su risurrezione. Questa critica compare successivamente in un volume inviato
dall’associazione “Soprattutto la Verità” (!)
12
che ha la sua base a Creil (Oise) a numerose parrocchie francesi durante l’estate
2005, allo scopo di convincere i parroci
destinatari a dichiararsi musulmani: «La
Trinità è una credenza che non risale alle
origini del cristianesimo. È una convinzione
errata derivante da una falsificazione» E,
naturalmente, l’autore del falso è sempre
Paolo, «rabbino di Roma, che ha introdotto la dottrina della Trinità e ha attribuito la
divinità al Profeta Gesù».
Prese di posizione anti-paoline
Resta aperta una domanda: come hanno
potuto, queste teorie, penetrare in tutte
le componenti musulmane? Inizialmente
Maometto stesso e i suoi discepoli subirono l’influenza di posizioni anti-cristiane, e
quindi anti-paoline, diffuse dai gruppi di
giudei che, notoriamente, essi incontravano a Medina dove vivevano tre influenti
tribù giudaiche e il profeta dell’islam un
tempo aveva frequentato la scuola del
rabbino Ibn Sallam.
A questo riguardo la posizione ufficiale
del giudaismo rimane immutata e, da parte loro, i musulmani odierni la recuperano. Alcuni di loro si riferiscono inoltre a
dei teologi cattolici odierni che, allo scopo di raggiungere un avvicinamento con i
Giudei, insistono nel sostenere la giudità
di Gesù fino a farne perfino una identità esclusiva e finendo così ad accreditare
l’idea che Cristo non è mai uscito dai limiti
della sua religione, cosa che può escludere la trascendenza unita alla sua divinità.
Le ambiguità che provocano questa dimostrazione servono all’argomentazione
islamica tra cui quella di Talbi che dice:
«Gesù era assolutamente giudeo, egli non
era affatto cristiano», appoggiandosi in
questo caso a Pierre Grelot: «Gesù è stato
giudeo fino alla fine».
Leggendo la storia tunisina si ha l’impres13
sione che la Chiesa abbia preso una strada
che dovrà, logicamente, condurre a disconoscere la dottrina paolina per tornare alla
“purezza delle origini”. Ugualmente si può
anche citare Baagil per il quale «Gesù non
ha mai preteso di aver fondato il cristianesimo sulla terra e non si è mai chiamato
cristiano».
Un larvato sospetto
Inoltre le accuse di falsificazione che il
Corano indirizza ai cristiani e che costituiscono l’essenza del loro dogma (Incarnazione, Redenzione, Trinità) possono
essere imputate alle credenze eretiche
che professavano dei gruppi di cristiani in
Arabia, come pure i discepoli di Ario che
negavano la divinità di Cristo e che furono condannati dal concilio di Nicea (325).
L’arianesimo era ancora diffuso nella penisola ai tempi di Maometto (VI-VII° sec).
Il Corano si fa eco delle dispute cristologiche che agitavano il mondo cristiano:
«Dio in verità, giudicherà tra loro e troncherà le loro differenze». Ma l’arianesimo
non è un fatto del passato, egli spunta di
nuovo nel mondo occidentale anche tra i
cristiani anche se in modo sottile perché
essi si valgono della scienza. Osservando questi mutamenti tra cui «la sensibile
marginalizzazione del dogma della Trinità»
presso i cristiani (!) Charfi che sostiene il
suo pensiero come apertura al mondo
moderno e all’occorrenza come accettazione del pluralismo religioso, può, allora,
invitare i musulmani ad abbandonare le
loro dispute tradizionali.
Guardando a tutto quello che abbiamo
detto è veramente urgente che i cristiani
tornino a vedere in san Paolo l’autentico e
fedele apostolo di Gesù Cristo.
Annie Laurent,
traduzione di Gemma Calanchi
Parrocchia
S.Angela Merici
calendario delle celebrazioni
Natale 2008 e Nuovo Anno 2009
22 dicembre
ore 16 e ore 21
lunedì
liturgia penitenziale comunitaria
ore
mercoledì 24 dicembre
18.00 Celebrazione vespertina di Natale
giovedì
25 dicembre,
NATALE DEL SIGNORE
ore 00.00: Eucaristia nella notte del Natale del Signore
orario festivo: 8.30 10.00
11.30
18.00
domenica 28 dicembre
Santi Innocenti Martiri
orario festivo
mercoledì
ore
31 dicembre 2008
18.00: Eucaristia di ringraziamento di fine anno
Vespri solenni, adorazione e canto del “Te Deum”
Inaugurazione dell’anno giubilare
per il 50° di fondazione della Parrocchia
foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008
14
1 Gennaio 2009
Giornata della pace
giovedì
ottava di
Natale nella circoncisione
del
Signore
Orario festivo: 8.30 10.00 11.30 18.00
4 gennaio
dopo l’ottava del Natale: orario festivo
domenica
martedì
6 gennaio
Epifania del Signore
Orario festivo: 8.30 10.00 11.30 18.00
ore 17.00: adorazione comunitaria
domenica
11 gennaio
Battesimo del signore
Orario festivo: 8.30 10.00 11.30 18.00
ore 16.00: celebrazione dei battesimi
Nei giorni feriali la celebrazione dell’Eucaristia è alle ore 8.00 e 18.00
15
Parrocchia
S.Angela Merici
i concili
-3
IL CONCILIO DI CALCEDONIA
Il dogma di Efeso non mette fine alle dispute teologiche. L’immagine di Cristo degli
alessandrini conteneva un germe di errore che dette origine al monofisismo, eresia che
sostiene che, dopo l’unione della natura divina con l’umana in Cristo, questa viene
assorbita dalla prima, così che poi non si può più parlare che di una natura e precisamente di quella divina, sminuendo così l’umanità del Signore, che è condizione di
redenzione. Questa opinione era sostenuta da Eutiche, abate di un monastero di Costantinopoli, molto stimato a corte anche per la sua integrità morale.
La contesa rinasce e il vescovo Flaviano di Costantinopoli convoca un sinodo regionale, facendo appello ai vescovi di Roma (Leone) e di Alessandria (Dioscoro). Eutiche
venne condannato nonostante l’appoggio di Dioscoro. Quest’ultimo in seguito sollecitò l’imperatore Teodosio II a convocare un altro sinodo regionale in cui Eutiche venne
riabilitato.
La posizione di Leone era chiara: egli spiegava che il Cristo ha un vero corpo, della
stessa natura di quello di sua madre, e che le due sue nature, umana e divina, si uniscono in una sola persona. Bisogna dire che il latino aveva chiarito da tempo la differenza tra natura e persona, cosa che la lingua greca non aveva permesso.
Ma quando il sinodo si riunì a Efeso nel 449, non venne data lettura dello scritto inviato da Leone I, che s’indignò e definì questo sinodo: «latrocinio di Efeso».
Nel 451, il nuovo imperatore Marciano, sollecitato con insistenza da Leone I, convocò
un nuovo concilio, questa volta ecumenico, e chiamò a presiederlo il vescovo di Roma
stesso.
Il concilio ecumenico riunì a Calcedonia sulla riva del Bosforo di fronte a Costantinopoli, più di 350 vescovi, venuti da tutte le province dell’Impero d’Oriente. In realtà
Leone non poté spostarsi perchè gli Unni avevano invaso l’Occidente, ma non si accontentò di farsi rappresentare da un legato. Prese posizione sulla questione in una
lettera indirizzata al vescovo di Costantinopoli, il “tomo a Flaviano”, testo che suscitò
l’entusiasmo dei presenti: «Ecco la fede dei padri, ecco la fede degli apostoli. Così
crediamo tutti. Attraverso Leone ha parlato Pietro».
Si lesse il credo di Nicea-Costantinopoli. Si proclamò «un solo e stesso Cristo, Figlio,
Signore, senza divisione, senza separazione». La differenza tra le sue due nature non
è abolita dalla loro unione. Nella sua unica persona sono ben preservate la divinità e
l’umanità di Gesù. Si promulga la formula «Cristo è una persona in due nature».
Le parole del grande Leone saranno quindi considerate da parte della Chiesa come la
migliore definizione della riflessione cristologica, così come è andata sviluppandosi nei
primi quattro concili e la fede nell’incarnazione trova una sua decisa specificazione.
Venne condannata la tesi monofisita. Il vescovo di Roma si confermò come il grande
garante dell’unità e della fedeltà alla fede della Chiesa. Una tappa chiave nella storia
del papato. Tuttavia il Concilio di Calcedonia non condusse alla pace. Gli oppositori
alla formula di Calcedonia, che sostenevano la fede in un’unica natura del Cristo si
foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008
16
separarono dalla Chiesa ufficiale e fondarono le chiese monofisite.
Molte province rifiutarono la formula “ortodossa” di Calcedonia per ragioni spesso
politiche: fu una maniera di manifestare la loro indipendenza culturale e religiosa di
fronte all’imperialismo greco di Costantinopoli. Anche i cristiani copti d’Egitto scelsero
il monofisismo. Lo stesso successe ai siriani: il monofisismo diventò la religioni dei cristiani di lingua siriaca. Furono le province e i gruppi di cultura greca a seguire Calcedonia. Anche fuori dall’impero ci furono considerazioni politiche che fecero propendere
le regioni a favore dell’una o dell’altra dottrina.
L’Impero persiano adottò il nestorianesimo, gli Armeni in opposizione adottarono il
monofisismo. Tante secessioni che durano fino a oggi.
Ogni tentativo di riunificazione della Chiesa d’Oriente - due altri Concili di Costantinopoli condanneranno il monofisismo (nel 553 e nel 681) - si tradurrà in difficoltà
supplementari con la Chiesa d’Occidente.
Oggi può apparire che le controversie teologiche di questi primi secoli fossero incidenti di percorso provocati da eretici più o meno isolati (Ario, Nestorio, Eutiche) messi
a tacere dalla dottrina ortodossa. In verità si tratta di un travaglio che ha coinvolto la
Chiesa, ha diviso tra loro vescovi e patriarchi, ma ha fatto discutere sulle verità fondamentali del cristianesimo. Nonostante le dure condanne subite, gli eretici erano
convinti di difendere la vera fede e argomentavano con passione. Mentre le discussioni erano in corso, non era facile distinguere gli eretici dagli ortodossi. È quindi giusto
riconoscere che gli eretici hanno avuto un ruolo importante nella ricerca della verità.
Altri concili si svolsero nel primo millennio, ma ai primi quattro, che hanno definito
i dogmi della Trinità e dell’Incarnazione, venne riconosciuta un’indiscussa autorità e
furono assimilati da papa Gregorio Magno ai quattro Vangeli, come facenti parte del
canone della Chiesa.
Antonia Amigoni
LEONE PRIMO
(circa 390 - 461)
Nato da genitori toscani trasferitisi a Roma all’inizio del V secolo, il futuro san Leone
Magno fin da giovane intraprese la carriera ecclesiastica e fu papa dal 440 al 461.
Uno dei rari papi ad essere qualificato “grande”, assieme a Gregorio primo e Nicola primo. Fu, in quanto arcidiacono a Roma, l’uomo di fiducia del suo predecessore
Sisto III. La morte di quest’ultimo avvenne mentre Leone era in Gallia nel tentativo
di arbitrare un conflitto, su richiesta della corte di Ravenna. Ma la sua reputazione
era già così grande che il popolo di Roma lo scelse come vescovo in sua assenza!
Fu consacrato al suo ritorno, il 29 settembre 440. Il pontificato di Leone fu tra i più
significativi ed importanti dell’antichità cristiana. L’intento principale di Leone era
quello di sostenere l’unità della Chiesa. Perciò condusse in Italia una battaglia contro la setta manichea e il pelagianesimo e, così facendo, affermò l’autorità dottrinale del vescovo di Roma. Anche in Gallia, in Spagna, in Africa del Nord incoraggiò
la lotta contro le eresie che vi si andavano sviluppando.
Leone fu una personalità potente; visse in un’epoca di transizione, in cui il deca17
Parrocchia
S.Angela Merici
dimento dell’Impero Romano venne a coincidere da un lato con il rafforzamento
del cristianesimo e dall’altro con l’irrompere delle invasioni barbariche degli Unni
e dei Vandali. Riuscì a contenere la minaccia di Attila, ma dovette assistere impotente al sacco di Roma compiuto dall’esercito di Genserico, re dei Vandali. In
Occidente Leone beneficiò dell’appoggio dell’imperatore Valentiniano II che vide
nei sui interventi un baluardo contro le minacce dei germani ariani. Questi fatti
dimostrano l’alta autorità morale goduta dal papa, che si manifestava anche negli
affari temporali.
Leone estese anche la sua influenza fino in Oriente ed esercitò la sua giurisdizione
sui Balcani, ma dovette fare i conti con il peso dell’autorità imperiale e degli ambienti monastici.
Papa Leone fu uno dei maggiori artefici dell’emergere del primato del vescovo di
Roma in qualità di successore di Pietro. Egli spiegò nei suoi sermoni il ruolo del
sovrano pontefice come erede dell’autorità conferita a Pietro da Gesù stesso. Aveva in effetti un’alta coscienza della dignità di questa funzione, qualunque fosse la
persona che l’assumesse, dimostrata in maniera chiara e incisiva dalla sua opera di
pastore supremo. Non trascurò tuttavia di affermare l’importanza della collegialità
nella Chiesa, convocando a Roma annualmente un sinodo, a cui tutti i vescovi erano tenuti a partecipare.
Nel 445 l’imperatore Valentiniano III riconobbe ufficialmente il primato del papa.
Si applicò alla liturgia, al restauro degli edifici sacri e alla vita monastica, ma è
soprattutto come teologo che Leone si impose. Nel Concilio di Calcedonia, fece
trionfare il suo punto di vista nelle questioni cristologiche, esprimendo in maniera
magistrale l’unicità della persona di Cristo sussistente in due nature distinte. Una
confutazione del monofisismo. La più importante caratteristica della sua teologia è
quindi il “cristocentrismo”, che si manifesta anche nelle sue riflessioni sulla grazia
e sulla Chiesa: Cristo non solo è un esempio, ma è anche fonte di grazia; la Chiesa
è dispensatrice di grazia in forza della continua presenza di Cristo nei sacramenti
e nella liturgia. Per sua natura la Chiesa cattolica e universale non può essere che
una e la sua unità è più profonda di ogni altra unità. Il papa confermò le delibere
del Concilio di Calcedonia ad eccezione del canone che elevava il Patriarcato di
Costantinopoli alla pari della Sede di Roma, diminuendo i privilegi degli antichi patriarchi orientali. È il primo papa di cui si possiedono i sermoni e i testi pronunciati
durante le grandi feste liturgiche. Semplici e brevi, espongono con grande chiarezza
e profondità il mistero del Cristo, e il dogma dell’Incarnazione.
I suoi resti si trovano in San Pietro sotto l’altare della cappella della Madonna della
Colonna.
È dottore della Chiesa, venerato come santo sia dalla Chiesa Cattolica che da quella
Ortodossa. La sua memoria nella liturgia romana si celebra il 10 novembre.
foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008
18
dalla terra santa
-2
Da Betlemme…
Ormai il Santo Natale sta per arrivare, e
noi betlemmiti abbiamo cominciato ad
approntare i preparativi per questo grande
evento che ebbe compimento nella nostra
cittadina più di due mila anni fa. Cominciano ad apparire gli addobbi natalizi, gli
scout si stanno preparando per accogliere
il patriarca latino il giorno 24 dicembre e il
patriarca ortodosso il giorno 6 gennaio. Le
scuole hanno iniziato a fare le prove per
il saggio che si terrà appena finiti gli esami, mentre le varie parrocchie hanno già
iniziato a mettere in atto alcune iniziative
che si terranno per l’occasione.
Anche i miei due bimbi sono entusiasti
per l’avvicinarsi del momento in cui babbo natale gli porterà i regali. Ormai Renad
e Jack sanno che quando vedono babbo
natale per le strade della città significa che
presto vi sarà una sua visita a casa nostra e
che quindi stanno per arrivare i regali. Anche quest’anno cercheremo di far dimenticare a questi bimbi la situazione in cui
vivono attraverso i pochi regali che avranno. Il regalo è un piccolo mezzo con cui
cerchiamo di farli contenti e di renderli un
pochino più sereni e tranquilli.
Ma questi doni non bastano. Ci vuole un
regalo molto più importante e molto più
urgente: quello della libertà. Ancora oggi
si costruisce il muro di separazione. Ancora adesso vi è un problema grande a Gaza,
dove i fratelli continuano a volersi male e
dove la chiusura delle frontiere da parte
israeliana ha causato più di 350 morti,
perché i malati non hanno dei mezzi e
delle strutture sanitarie per essere curati.
E il male continua a trionfare.
19
A Betlemme arrivano molti pellegrini e turisti, e il giorno 15 novembre abbiamo festeggiato il pellegrino numero 1.000.000,
ed è già record. I pellegrini quest’anno
ci sono, non mancano, anzi sono troppi
e aumentano nonostante non vi siano le
strutture adatte per accoglierli tutti.
Gli alberghi della città hanno lavorato parecchio, come anche i ristoranti e i negozi
di souvenir. La situazione economica della città è migliorata rispetto agli anni precedenti, ma malgrado questo il dramma
continua.
Carissimi, i regali a Renad e Jack sono
poco, quello che questi bambini vogliono
è la libertà: recarsi a Gerusalemme, andare al Mediteranno, vedere i nonni che
stanno a Ramallah… insomma andare
fuori da questo maledetto muro, dentro il
quale viviamo veramente male. Il mondo
intero deve capire che il muro non è la soluzione a tutti i mali, anzi è una cosa inumana e ingiusta. E perché questo? Rispondono che è per la nostra sicurezza. Ma
quale sicurezza, il muro causa solo odio e
violenza. La strada esiste, ce l’ha mostrata Giovanni Paolo II quando visitò la Terra
Santa nel 2000: mai muri, più ponti. Ma
chi ascolta questa voce profetica? Ormai
come succedeva nell’Antico Testamento,
i profeti non hanno spazio nel mondo di
oggi. Volete la pace, benissimo fateci vedere cosa sapete fare per arrivarci. Coraggio avanti, ma mai muri… solo ponti.
Charlie ABOU SAADA
www.juthouruna.com
Parrocchia
S.Angela Merici
PELLEGRINAGGI 2009
PER IL 50° DELLA PARROCCHIA
Per l’anno giubilare della Parrocchia proponiamo due pellegrinaggi, senza limite di numero di partecipanti, così da poter andare incontro al maggior numero di richieste:
• Pellegrinaggio in Terrasanta (in aereo, da domenica 26 aprile (sera) a domenica 3 maggio.
• Pellegrinaggio a Roma (sui luoghi di s.Paolo e con la partecipazione all’udienza del Papa) e visita ad Anagni e Orvieto [in pullman - da domenica 21 (pomeriggio) a giovedì 25 giugno].
Comunicheremo l’apertura delle iscrizioni non appena saranno disponibili anche
i relativi programmi.
Itinerario con i fidanzati verso il matrimonio
Gennaio-febbraio 2008
L’itinerario è realizzato allo scopo di maturare insieme alle coppie che si preparano al
matrimonio la consapevolezza di ciò che comporta la scelta del matrimonio cristiano. Ci
incontriamo nell’atrio delle aule di catechesi alle 21.00 secondo il seguente calendario:
ven 9 gennaio
ven 16 gennaio
ven 23 gennaio
ven 30 gennaio ven 6 febbraio
“Maschio e femmina li creò” (Genesi 2,27)
“Quello che Dio ha congiunto” (Matteo 19,6)
“Perché il Signore è testimone tra te e la donna
della tua giovinezza… essa la tua compagna,
la donna dell’alleanza” (Malachia 2, 14)
Festa della famiglia
ore 11.30: Celebrazione dell’Eucaristia e pranzo comunitario
“E commosso gli corse incontro,
gli si gettò al collo e lo baciò” (Luca 15, 20)
“Disposti ad accogliere con amore i figli che Dio
vorrà donarci e a educarli secondo la legge di Cristo e della sua chiesa” (dal Rito del Matrimonio)
ven 13 febbraio
“… Ed essa non cadde, perché era fondata sopra la
roccia” (Matteo 7,25)
dom 25 gennaio per le iscrizioni rivolgersi direttamente a p.Giuseppe
foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008
20
Un Natale da ritrovare
C’era una volta il Natale.
Quello con il profumo dei biscotti, quello con il bianco della neve, quello che i bambini cercavano ostinatamente con le dita i canditi nel panettone, ma soprattutto quello
dell’intimità e della comunione. Il periodo natalizio riportava tutti all’origine, ad una
riflessione sull’inizio di una storia concentrata in una nascita. Era un’occasione in cui si
ritrovava la gioia dello stare insieme con un valore aggiunto dato dal calore di una comunione vera, come se ognuno di noi fosse chiamato per una volta a fermarsi e a guardare,
prendendo coscienza di un evento carico di un mistero insondabile e di una delicatezza
che solo la nascita di un bambino può avere.
Ci sono momenti in cui bisogna rallentare ed essere capaci di farsi trascinare dall’immobilità.
Questa è una cosa che ho sempre apprezzato del Natale, lo spazio temporale che concede per guardarsi intorno e dentro, e il silenzio che lo accompagna.
Oggi esco di casa e quello che vedo è un fiume di persone che a dispetto della crisi
rimbalzano come palline di un flipper da una vetrina all’altra, che stressati gli uni dagli
altri corrono sui marciapiedi o si mischiano esasperati al traffico delle automobili per
strada. La percentuale degli strombazzamenti aumenta come se fosse in corso una gara
a chi riesce a spingere più a fondo il clacson, le crisi isteriche da ‘parcheggite’ provocano
siparietti tragicomici in giro per la città e su tutto questo regna una facciata di cordialità
perché a Natale, si sa, si è tutti più buoni.
A me sembra che invece si sia tutti più falsi. Magicamente le luminarie accese dai negozianti ricordano a tutti di essere battezzati e cristiani, come se la fede venisse alimentata
dall’elettricità. Durante l’anno la domenica è il giorno della serie A e ci si accorge di una
chiesa solo quando ci si parcheggia davanti, ma incredibilmente si è tutti in prima fila
a cantare come lirici alla messa delle notte di Natale e per un giorno a denti stretti si
distribuiscono baci e abbracci senza distinzione.
Non sono certo un estremista e non condanno del tutto quella che può essere anche
un’espressione di gioia e di festa, ma disprezzo l’eccesso e l’esagerazione di una logica
commerciale che riesce a soffocare e a mistificare la bellezza di questo periodo. Dall’altro lato non condivido nemmeno una scelta di chiusura totale, misto ad ascetismo, che
porti ognuno ad isolarsi dall’altro, ma auspico un’intimità di sentimento e di riflessione
maggiore e più profonda.
Vorrei che questo Natale fosse caratterizzato da doni sinceri, non per forza materiali.
Mi piacerebbe ritrovare un raccoglimento con le poche persone con cui ci tengo veramente a stare.
Desidero un Natale di carne e spirito e non di plastica.
E che il dono più bello ognuno di noi lo faccia a se stesso, regalandosi un po’ di calma
e di silenzio per sé.
C’era una volta il Natale e spero che da qualche parte ci sia ancora.
Josef Acquati Lozej
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Parrocchia
S.Angela Merici
caritas
Un grazie ai ragazzi e ai bambini della nostra parrocchia!
Grazie ai ragazzi dell’oratorio guidati da p. Guglielmo ed ai bambini della Catechesi
coordinati da Ester e Daniela e dalle loro catechiste! Grazie ovviamente che alle loro
famiglie! Quando noi, volontari Caritas del Banco Alimentare, siamo stati chiamati per
raccogliere quanto da loro donato, abbiamo avuto un attimo di commozione e poi molta gioia. Abbiamo trovato tanti pacchi pieni di panettoni, pasta, omogeneizzati, tonno,
biscotti, carne in scatola, pannolini, olio! Fa riflettere il fatto che anche in momenti così
difficili, la soliderietà dei nostri bambini, dei nostri ragazzi, delle nostre famiglie, è ancora più grande! Grazie a tutti!
Rodolfo La Spada
e i volontari Caritas del Banco Alimentare
consumo critico
GAS ovvero Gruppi di Acquisto Solidale
un modo diverso di concepire il consumo
Per chi vive nelle grandi città fare la spesa costituisce spesso un problema. Siamo ormai
abituati a sentire che non abbiamo tempo, o ne abbiamo molto poco, per cui si reputa
molto più comodo recarsi in un punto vendita della grande distribuzione dove troviamo
tutti i prodotti che cerchiamo, o quanto meno che crediamo di cercare. Infatti non esiste
possibilità di scelta: i prodotti sono omologati, i gusti standardizzati e spesso già indirizzati (come i piatti pronti e i surgelati che cuociono in 4 minuti).
Si dice però che la carne non è poi così saporita, che quando cuoce perde molta acqua,
che la frutta e la verdura non sanno di nulla. Forse dovremmo chiederci se ha senso
comprare dei pomodori a dicembre, e da dove provengono (l’Olanda è sempre stata
famosa per i tulipani, non per i pomodori), e se è il caso di acquistare delle pere che
provengono dal Cile; da qui quindi l’importanza di acquistare “prodotti di stagione” e “a
chilometro zero”. Con un minimo di sforzo e la voglia di modificare lievemente il proprio stile di vita è possibile aderire (o costituire) un GAS – Gruppo di Acquisto Solidale: il
GAS è formato da famiglie o persone che hanno deciso di utilizzare un modo diverso di
fare la spesa. Creare un gruppo per acquistare consente di ottimizzare gli sforzi e di raggiungere delle economie, grazie alla solidarietà. La solidarietà è all’interno del gruppo:
nello schema classico della distribuzione c’è un commerciante che gestisce un negozio
e fa una serie di offerte, dall’altra parte c’è un cliente che segue criteri economici contrapposti, ma che delega al commerciante le scelte di approvvigionamento. In un gruppo
di acquisto invece i membri del gruppo, a rotazione, si occupano di tutto quello che può
servire a gestire gli acquisti: i conti della spesa, la valutazione della correttezza dei prezzi,
l’organizzazione della spedizione delle merci, la distribuzione all’interno del gruppo, e
anche le eventuali critiche nel caso qualcosa non raggiunga la qualità desiderata.
foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008
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Ma la solidarietà è soprattutto verso l’esterno: il gruppo di acquisto diventa solidale
perché decide di non fare una spesa basata solo sui costi , ma su altri criteri. Il primo è
la solidarietà con i produttori: abbattendo le catene di distribuzione, e stabilendo, per
quanto possibile, un contatto diretto tra produttore e consumatore, si consente a chi
acquista di risparmiare, ma soprattutto si garantisce al produttore un compenso equo.
Si può scegliere poi di rivolgersi a cooperative che hanno specifici progetti di tipo sociale
oppure a realtà che producono con criteri differenti da quelli che soddisfano la grande distribuzione. Piccoli proprietari, agricoltori biologici, agricoltori che coltivano vecchie varietà
di frutta e verdura. Questi prodotti di solito non raggiungono i negozi. Le grandi distribuzioni
hanno bisogno di grandi quantitativi. E per soddisfare un numero più ampio possibile di persone, hanno bisogno di offrire qualcosa che incontri il gusto della media delle persone.
L’acquisto diretto dal produttore consente anche di ridurre i trasporti (spesso la logistica
sposta i prodotti su e giù per l’Italia) e di avere un prodotto più fresco. L’insalata raccolta il
giorno precedente, se ben conservata, oltre che più gustosa, si conserva per un paio di settimane: quella del supermercato che è stata più volte manipolata arriva a casa nostra dopo
un tempo superiore e nel giro di 3 o 4 giorni è già da eliminare, con notevole spreco.
Certamente bisogna modificare il modo di fare le scorte, riducendo il numero degli acquisti: se la pasta viene comprata 3 volte all’anno anziché una volta al mese, si riescono
a raggiungere dei quantitativi che consentono di abbattere i costi di spedizione e magari
ottenere alcuni sconti aggiuntivi dai produttori.
L’utilizzo della posta elettronica è indispensabile per poter comunicare con i vari aderenti al gruppo contenendo anche i costi delle comunicazioni; è importante poi, soprattutto
per ragioni organizzative, abitare tutti nella stessa zona.
A Milano ci sono più di 30 gruppi, i cui indirizzi si possono trovare sui siti www.gasmilano.org e www.retegas.org e nella nostra zona è attivo un gruppo chiamato Il Gasino: chi
volesse informazioni può richiederle a [email protected]
Franco Battaini
attualità
Buon compleanno!
Compie sessant’anno la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
Sessanta anni fa, il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, un passaggio fondamentale per
l’umanità, sebbene purtroppo non irreversibile. Celebrarlo significa ricordare il cammino faticoso che lo ha permesso. Nasce al tempo in cui le regole sono determinate dal
più forte. Cresce quando il più forte perde il monopolio della forza e le regole vengono
concordate per consentire la sopravvivenza. Quindi, finalmente, la comunità guarda
oltre la sopravvivenza, riconosce la dignità della persona umana e sceglie regole che la
tutelino. Solo recentemente abbiamo raggiunto sul piano mondiale, almeno sulla carta,
questa terza fase. La stessa costruzione delle Nazioni Unite, se la osserviamo con occhio
critico, appartiene alle prime due fasi. Che nel Consiglio di Sicurezza seggano in modo
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Parrocchia
S.Angela Merici
permanente ed abbiano in esclusiva il diritto di veto solo i paesi più forti militarmente
(quelli che vinsero la seconda guerra mondiale), richiama infatti un diritto stabilito con
la forza per consentire alla vita umana una sopravvivenza non minacciata quotidianamente. Proprio quell’istituzione però ha permesso agli uomini di costruire relazioni internazionali di pace e di redigere una carta che per la prima volta nella storia riconosce
in modo universale, con valenza giuridica, la dignità della vita umana.
Leggendo oggi questa giovanissima carta emergono tre considerazioni. La prima riguarda
il consenso sui suoi contenuti. La Dichiarazione è frutto di un percorso culturale preciso,
tipicamente europeo e americano, risultato del dialogo tra cristianesimo e cultura liberale.
Non per nulla tra i suoi estensori più illustri figura il grande filosofo cattolico Jacques Maritain. Se il testo è altissimo, non bisogna commettere l’errore di pensare che un consenso
universale sia acquisito. Non ci riferiamo al fatto che i diritti possano essere nonostante
tutto violati impunemente, ma a quanto quel testo sia da tutti considerato come proprio.
Esistono numerose tradizioni culturali e religiose che non hanno ancora concluso una riflessione compiuta sul tema dei diritti umani. E’ un grave errore politico non tenerne conto. Al
posto di denunce arroganti su presunte arretratezze vanno invece incoraggiati i percorsi di
consenso, che in un tempo delicato come quello attuale sono particolarmente preziosi. Un
caso per tutti è l’interessantissimo lavoro di elaborazione di carte islamiche dei diritti umani
che sono state elaborate negli ultimi anni proprio nell’ambito delle Nazioni Unite. In esse
si sono potute scrivere pagine importanti sulla parità fra uomo e donna, ad esempio, superando il rischio che questo principio fondamentale venisse visto con pregiudizio solo perché
imposto dall’esterno. I diritti vanno “riconosciuti” perché vengano rispettati nel tempo, non
possono essere imposti. E questo richiede dialogo, autorevolezza e tempo
La seconda considerazione riguarda l’incoerenza dei governi che con retorica affermano
l’importanza della Dichiarazione in sede ONU, ma se ne dimenticano in tutti gli altri tavoli
internazionali. Un esempio per tutti è quello dei negoziati commerciali presso il WTO, in
cui si propongono condizioni che non guardano minimamente alla tutela universale dei
diritti umani. In uno stato nazionale le leggi ordinarie regolano l’economia in modo da
garantire i diritti enunciati dalla Costituzione, finanziando col prelievo fiscale i servizi che
tutelano quei diritti. A livello internazionale invece non vi è alcun elemento di cogenza,
nonostante le intenzioni, tra Dichiarazione universale e azioni dei governi. La potenza
distruttiva di questa incoerenza è devastante. Si pensi al numero di scuole e di ospedali
che si potrebbero finanziare con un commercio internazionale più equo. E al rancore che
questa consapevolezza suscita in chi si trova dalla parte debole del pianeta.
La considerazione finale riguarda la violazione esplicita dei diritti. Gli esempi sono frequenti nei paesi non democratici, ma sempre più spesso si verificano nei paesi che amano definirsi democrazie mature. Ciò che è accaduto a Guantanamo e ad Abu Ghraib è
sconvolgente. Ma non si pensi che siano fatti lontani. I terribili fatti della scuola Diaz e
della caserma di Bolzaneto hanno costituito violazione diretta di almeno dieci dei trenta
articoli della Dichiarazione. Gli esecutori sono stati condannati, ma che i dirigenti che
consentirono la degenerazione non siano stati rimossi mostra come la cultura dei diritti
umani possa annacquarsi. L’orrore della seconda guerra mondiale è lontano, la nostra
coscienza si indurisce e i confini etici sfumano. Celebrare l’anniversario della Dichia-
foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008
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razione significa impegnarsi ogni giorno per alimentare la cultura che riconosce per tutti
la dignità della vita umana. I diritti richiedono parole. Parole per partecipare, parole per
educare, parole per amare. Parole che non si possono tacere.
Riccardo Moro (www.agensir.it)
Agenda della comunità
Lunedì 15 dicembre
 Alle ore 21, in Oratorio, secondo incontro di formazione per gli educatori con Alessandro Croci della Cooperativa S. Martino.
Venerdì 19 dicembre
 Alle ore 16 (centro culturale) e alle ore 21 (biblioteca) p. Giuseppe guida la lectio sul
Vangelo della domenica.
Venerdì 19 dicembre, ore 21 - Aule Catechesi
fESTA di NATALE e MOSTRA sul COMMERCIO EQUO & SOLIDALE
Assaggi di prodotti, panettoni e bibite!
Vi aspettiamo numerosi,
Gruppo ‘94
Sabato 20 dicembre
festa di Natale Orpas
ore 15 - ritrovo atleti Judo
ore 15,30 - dimostrazione Judo
ore 17 - incontro di tutti gli atleti in teatro
ore 17,30 - brindisi e auguri
Incontri pomeridiani per la terza età
Questo il calendario degli incontri promossi dal Movimento Terza età (ore 15.30)
martedì 16 dicembre
incontro biblico con Renata Andreotti sulla Prima lettera di
san Paolo apostolo ai Corinzi
giovedì 18 dicembre
catechesi mensile tenuta da padre Battista sul nuovo libro Le
due frontiere. Seguirà una piccola festa per scambiarci gli
auguri per il Santo Natale
giovedì 8 gennaio
tombolata in allegria
martedì 13 gennaio
esercitiamo la mente giocando a “BURRACO” !!!
giovedì 15 gennaio
la Signora Marisa Carcano ci parlerà di un milanese doc: Vita
e ‘spetteguless’ di e su Alessandro Manzoni
martedì 20 gennaio
incontro biblico con Renata Andreotti sulla Prima lettera di
san Paolo apostolo ai Corinzi
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Parrocchia
S.Angela Merici
giovedì 22 gennaio
giovedì 29 gennaio
vedremo insieme il bellissimo film di Olmi L’albero degli
zoccoli e ne parleremo insieme
catechesi mensile tenuta da padre Battista sul nuovo libro
Le due frontiere. Al termine festeggeremo i compleanni di
gennaio
ceNtro culturale
ARTE E fEDE
Mercoledì 28 gennaio alle ore 15 visita alla Cappella Portinari guidata da professoressa
Anna Roda. Ritrovo in piazza S. Eustorgio all’ingresso della chiesa.
CORSI DI PERSONAL COMPUTER
Si accettano iscrizioni per corsi base e avanzati che inizieranno a fine gennaio 2009.
Per maggiori informazioni e prenotazioni la Segreteria del Centro culturale è aperta al
lunedì, dalle 17 alle 18, e martedì mercoledì giovedì, dalle 18 alle 19.
In decanato
Mercoledì 14 gennaio
• Alle ore 20.45, presso la parrocchia di San Martino in Greco, prende avvio un percorso di formazione per una cittadinanza consapevole, Cittadini protagonisti, promosso
dall’Azione Cattolica decanale in collaborazione con l’Associazione Culturale G. Lazzati.
Tema della prima serata sarà La Parola nella città. Il Vangelo fondamento dell’impegno
per il bene comune. Ne parlerà il Vicario per la Vita sociale don Eros Monti, ricordando
le figure di Giorgio La Pira e Fioretta Mazzei.
In città
Domenica 21 dicembre
• Alle ore 16.30, in piazzale Cadorna, il Centro Culturale Naar Israel invita all’accensione del Candelabro gigante in occasione della festa di Hanukkah. Autorità e Rabbini
onoreranno la serata, mentre i tradizionali dolciumi di Hanukkah la riscalderanno di
gusto! Info: [email protected] o tel. 02.70004338- 335.7795493.
Giovedì 15 gennaio
• Alle ore 21, presso la Sala della Trasfigurazione, in piazza San Fedele, il professor
Giuseppe Micheli interverrà sul tema: Fare coppia, prendere il largo. Perché è così
difficile mettersi in gioco?
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Rassegna Shoa per non dimenticare
22-23-24-25-25 gennaio 2009
“Norma 44” Compagnia Elefante Bianco
Liberamente tratto dal omonimo dramma di Dacia Maraini
Regia di Silvano Ilardo; Con Manuela Caspani, Monica Gianfreda,
Sabina Levi e Stefano Ronzoni
27/29/30/31 gennaio-01 febbraio 2009
“Io non ero ad Auschwitz” Teatrando Produzioni
Tratto da “Lettera da Auschwitz” di Francesca Nughes e “Lettera dall’inferno” a cura di
Carlotta Sacchetti; regia e adattamento Silvano Ilardo; con Silvano Ilardo e Francesca
D’Antonio; accompagnamento con fisarmonica dal vivo di Ivan Cattaneo.
Nella comunità parrocchiale
HANNO RICEVUTO IL BATTESIMO
Luca Luigi Gera - 14 dicembre 2008
Ariana Biurribe Maldonado Tolosa - 14 dicembre 2008
Anderson Javier Jaramilla – 14 dicembre 2008
Giacomo Verri - 14 dicembre 2008
Ilaria Zerbino - 14 dicembre 2008
SI SONO UNITI IN MATRIMONIO
Diana Gianola e Maurizio Barella – 6 dicembre 2008
ABBIAMO ACCOMPAGNATO ALLA PASQUA ETERNA
Mara Marin - 13 novembre 2008 (anni 62)
Emma Schwarz - 18 novembre 2008 (anni 92)
Guido Fabio - 21 novembre 2008 (anni 84)
Bruna Venturini - 3 dicembre 2008 (anni 96)
Guido Spinelli - 6 dicembre 2008 (anni 82)
Direttore responsabile p. Giuseppe Bettoni – Capo Redattore Tata Tanara – Impaginazione Pensieri e Colori – Stampa Francesco Canale
Un ringraziamento particolare a tutti coloro che collaborano con gli articoli, alla fascicolatura e alla diffusione del Foglio Informativo
Parrocchia
Trovate il Foglio Informativo anche su: www.americisss.it
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S.Angela Merici