Foglio n. 376 - Parrocchia Sant`Angela Merici
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Foglio n. 376 - Parrocchia Sant`Angela Merici
Natale 2008 Era una mattina carica di nuvole e un bimbo mi domandò: «Ma tu lo vedi il sole?». Era un giorno d’intensa pioggia e un giovane mi chiese: «Ma tu lo immagini un futuro?». Era una gelida sera d’inverno e un anziano mi disse: «Ma tu lo senti il calore dell’amore?». In questi tempi fragili, carichi di paura e di incertezza, la solidarietà non è più una virtù. Auguri per un Natale coraggioso della forza delle idee e del pensiero, dell’amore e della condivisione. p.Giuseppe, p.Guglielmo, p.Battista, p.Antonio e f.Luigi 1 Parrocchia S.Angela Merici magistero La città rinnovata dal dialogo dal discorso dell’Arcivescovo alla città per la vigilia di S.Ambrogio Carissimi, […] Sull’esempio di Ambrogio - uomo, vescovo, santo, che scelse di rimanere in continuo dialogo con la “sua” Città -, vorrei anch’io offrire il mio contributo, riflettendo questa sera con voi sul fondamentale tema del dialogo, vera e propria emergenza del nostro tempo, a Milano e non solo. 1. L’UOMO SAPIENTE E GIUSTO È L’UOMO DEL DIALOGO Il dialogo non è uno tra i tanti atteggiamenti che l’uomo può assumere e vivere, ma è un tratto fondamentale, costitutivo, oso dire ontologico, della sua umanità. Il dialogo deve essere assunto come atteggiamento stabile nell’uomo: non sempre è dote innata, bensì – più spesso - è virtù che l’uomo sapiente sa ricercare e coltivare, anche a prezzo di fatica. Così sant’Ambrogio scrive dell’uomo sapiente, commentando il versetto biblico «Lo stolto muta come la luna»: «Il sapiente non è abbattuto dal timore, non è mutato dal potere, non è esaltato dalla prosperità, non è sommerso dalla sventura. Dove c’è la sapienza, c’è la virtù dell’animo, ci sono la costanza e la fermezza. Il sapiente, dunque, è immutabile nell’animo, non è diminuito né accresciuto dal mutar delle cose né “vacilla come un bimbo così da essere sballottato da ogni vento di dottrina”, ma rimane perfetto in Cristo, “fondato nella carità”, “radicato” nella fede. Il sapiente dunque ignora i cedimenti delle cose e non sa essere mutevole d’animo, ma “risplenderà come il sole di giustizia”, che rifulge nel regno di suo Padre» . Di nuovo, anche quest’anno, ci guida nelle nostre riflessioni il paradigma dell’uomo sapiente secondo Cristo, un uomo che in momenti a volte oscuri e critici resta immutabile nell’animo, non viene sballottato da ogni mutevole pensiero o dottrina, ma permane radicato nella sua fede e nella sua carità, segue sempre la bussola della giustizia. È certamente un ideale forte, questo, in un tempo di ideali deboli e sfocati, ma l’uomo che vediamo dedito al dialogo non può che essere così, libero e ben saldo nella sapienza. Questa non è patrimonio esclusivo dei colti o degli studiosi, ma è per tutti, anche per i poveri, i semplici, gli umili, perché – lo riconoscono i credenti – scaturisce dalla sapienza di Cristo. Essa ci aiuta a “distinguere”, a capire in profondità il tempo, a discernere ciò che è bene da ciò che è male, a dare il vero peso alle realtà e alle vicende della vita, a muoversi secondo le ispirazioni che Dio suscita nella coscienza, a confrontarsi con gli altri. Una sapienza che è profondamente alleata con la giustizia, come ci ricorda sant’Ambrogio nel suo libro sui Doveri: «Risulta dalla Scrittura divina, più antica dei filosofi, che la sapienza non può esistere senza la giustizia, perché dove si trova una si trova anche l’altra. Con questa sapienza Daniele smascherò le menzogne di una falsa accusa per mezzo di un interrogatorio approfondito, sicché le risposte dei calunniatori si contraddissero tra loro. Fu compito della prudenza smascherare i colpevoli con la testimonianza della loro stessa voce, ma fu anche compito foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 2 della giustizia mandare al supplizio i colpevoli e salvare l’innocente» . E, dunque, la sapienza costruisce percorsi di giustizia, “regola” la vita sociale, difende l’innocente, tutela il più debole. Non è oggi questo uno dei compiti primari della civiltà e delle istituzioni? E di ciascuno di noi, che non si esercita in un amore generico bensì si fa operatore di giustizia e, per ciò stesso, diventa costruttore di pace e di speranza? […] 2. ALLA RICERCA DI UN DIALOGO POSSIBILE […] Guardando alla nostra amata Città mi si ripropongono domande analoghe: “Sappiamo dialogare a Milano?”, “Crediamo nel dialogo, insostituibile atteggiamento per abitare insieme, tutti, a pieno titolo, la nostra Città?”, “Quanto, dunque, ciascuno di noi è disponibile al dialogo?”. Osservando la nostra Città, incontrandola nei suoi quartieri, nelle sue parrocchie, nelle sue associazioni, nelle sue espressioni di impegno sociale e civile, visitandola nei luoghi dell’educazione e della sofferenza, ne ricavo sempre di più l’immagine di una grande città fatta da tante piccole isole, spesso non comunicanti tra di loro. Le periferie distanti dal centro (e non solo spazialmente), le istituzioni percepite come lontane dai cittadini, i giovani che rischiano di essere separati dagli adulti, i “nuovi venuti” non in piena comunicazione con chi è milanese da più tempo, chi ha un lavoro sicuro e ben remunerato disattento a chi è precario o disoccupato, chi ha una casa da abitare con la propria famiglia ignaro del grave disagio di chi non riesce ad ottenerla, chi è sano e a volte è insensibile rispetto a chi vive il dramma della malattia… Anche la stessa “nuova” toponomastica sembra suggerire, al di là della necessaria e ordinata organizzazione delle funzioni urbane, questa divisione: la città della moda, la città della salute, la città dei servizi, la città della fiera, quella della tecnologia, i nuovi quartieri “esclusivi” ben isolati e protetti dai confinanti. Quante fatiche subisce il dialogo nella nostra Milano! Il mistero della reciprocità A quali condizioni il dialogo è possibile? Il dialogo autentico esige come condizione fondamentale l’attenzione all’altro, la propensione ad ascoltarlo e perfino a comprenderlo, anche quando non se ne condividono le vedute. Si tratta di un esercizio ascetico vero e proprio, che ha bisogno di pratica continua e di verifiche costanti, di un’umiltà grande per ricominciare ogni volta da capo. Non è semplice dialogare. Non è facile. Mette in gioco tutto di noi stessi: l’identità, la storia, la persona. La relazione nel dialogo non può essere generica: ha bisogno di un “tu”, ma anche di un “io”, di una persona che, non avendo paura dell’altro, si lascia coinvolgere in questa affascinante esperienza che rende unico e contraddistingue l’essere umano dal resto del creato. Il libro biblico di Genesi, al suo inizio, mostra come Adamo diventi pienamente uomo quando può entrare in dialogo con Eva, suo simile, e con Dio, il Creatore: l’uomo è costitutivamente un essere-in-dialogo . Il dialogo ci immette nel mistero della reciprocità, nel mistero della prossimità umana e cristiana. Ciascuno, dialogando, mostra il proprio volto più autentico. 3 Parrocchia S.Angela Merici Ma quanto siamo disponibili a lasciarci coinvolgere in questo mistero, ad affrontare la sfida della prossimità, quel “farci prossimo” all’altro – sconosciuto e ferito – come il buon samaritano? . Ci è chiesto un cammino personale. L’uomo infatti – pur avendone in sé dei tratti innati – a dialogare impara. Impara cioè a comprendere l’altro. E comprendere esige una disponibilità iniziale che ci fa lasciare alle spalle ogni egoismo ed ogni individualismo, anche i più nascosti ed i più sconosciuti. È necessario un cammino interiore progressivo, deciso e ordinato. La virtù della comprensione Per il dialogo è richiesta in particolare la virtù della comprensione, virtù negletta nell’era in cui sembra trionfare ogni genere di egoismo. Scrive Romano Guardini: «L’inizio di ogni comprensione sta nel fatto che uno consenta all’altro la libertà d’essere quello che è; che non lo consideri con l’occhio dell’egoismo prescrivendogli dalla prospettiva del proprio interesse ciò che ha da essere, ma con l’occhio della libertà, la quale dice anzitutto: Sii quello che sei; e solo dopo: Ed ora vorrei sapere come sei e perché. Ogni comprensione [...] presuppone che si consenta all’altro il suo diritto a sé medesimo: che non lo si guardi come un elemento del proprio ambito vitale, di cui ci si serve, ma come un essere che possiede un centro originario, un suo ordine di vita, desideri e diritti propri» . Per iniziare il dialogo occorre riconoscere e rispettare la libertà dell’altro, consentirgli di essere se stesso, senza imposizioni e pretese. Non è dialogo quello che costringe e riduce l’altro ad essere come lo vorremmo, a nostra immagine e somiglianza: è invece da scoprire sempre nella sua irripetibile unicità. Ad immagine e somiglianza di Dio, ci porta ad affermare la fede cristiana. Solo l’occhio della libertà riconosce la persona, la sua unicità. Solo così può cominciare il dialogo. Ogni volta che le nostre azioni, i nostri appelli, i nostri provvedimenti (parlo come pastore, ma so di interloquire con amministratori, educatori, genitori…) lasciano trasparire solo la domanda “Perché fai questo?”, inchiodando l’altro al suo gesto, fosse anche al suo errore, in realtà - prima di riconoscerlo come persona nella sua unicità e irripetibilità – non lo stiamo forse riducendo alla nostra misura? La domanda sul “perché” è legittima e necessaria, ma non può essere così “rapida” da schiacciare la persona e la sua libertà: il dialogo esige anche tempo, quel tempo che è sempre più scarso, pressati come siamo da mille cose e mille impegni. Ma concederci più tempo ci aiuterebbe a metterci di fronte a noi stessi, a guardarci dentro, a fare chiarezza, a scorgere le nostre debolezze e ad assumerci le nostre responsabilità! Solo a queste condizioni il dialogo diventa possibile. Ovviamente ciò che vale per i singoli, vale anche, se pure con modalità differenti, per le diverse componenti sociali, per le diverse generazioni, per le parti politiche, per i popoli, i laici e i credenti, le diverse razze, nelle istituzioni, dentro la Chiesa… Nella comprensione dell’altro e riconoscendo la sua libertà, non ci sarà mai la pretesa dell’asservimento al proprio punto di vista, ma l’incontro cordiale e attento, che cerca di comprendere le ragioni dell’altro anche quando non si condividono. Un simile incontro foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 4 è l’occasione opportuna per testimoniare con rispetto i propri valori e per costruire tutti insieme la Città che tutti vogliamo, una Città sempre più a misura d’uomo. La Città chiamata all’incontro delle genti e delle culture Intraprendiamo insieme, con determinazione, il cammino del dialogo. Lo ritengo urgente: la nostra Città ne ha un bisogno profondo, forse mai come oggi. Solo in un clima di dialogo autentico e vero, non con gli slogan e con i proclami estemporanei, potremo rinnovare la Città e iniziare così la costruzione della Milano del futuro. Nel dialogo e nell’incontro la Città mostrerà il suo volto più vero, più amabile e, in definitiva, il suo volto autentico. È una Città, la nostra, da sempre chiamata all’incontro delle genti e all’incontro delle Città: in questo si giocherà la sua identità e metterà in evidenza la sua anima. È una Città che non può mancare un appuntamento così importante e che può dare molto nell’incontro con le culture e le genti. Milano è un crocevia naturale, sede di incontro, di scambio tra persone e culture e tradizioni diverse: e questa naturalità nei secoli si è saldata con l’identità cittadina. Ma una città che assume come proprio tratto sintetico, distintivo, il volto del dialogo, non corre il rischio di divenire un luogo senza identità precisa? No, sono fermamente convinto che il dialogo rafforza l’identità, la arricchisce, la rinnova, la proietta verso il futuro. La paura di indebolire o di perdere, nel dialogo, la nostra identità non è forse segno di una identità già indebolita, se non addirittura estenuata, all’insegna del “Tutto è eguale. Tutto è relativo”? Siamo stati disposti ad un percorso debole nella storia occidentale, perché abbiamo ritenuto che questo ci permettesse di vivere meglio, più comodamente, senza problemi di confronto, consentendoci individualismo e separazione, lasciando ad ognuno di vivere il proprio fondamentale egoismo. Adesso però la sfida, anzitutto culturale, portata alle nostre Città dai popoli e dalle genti che domandano cittadinanza ci provoca a questo inevitabile confronto. È venuto il tempo, ed è questo, di rinnovare e accrescere la disponibilità all’incontro e al dialogo, per scoprire e ricordarci “chi” veramente siamo. Ci vuole coraggio. Abbiamo bisogno di donne e uomini desiderosi, animati, anzi appassionati del dialogo autentico. Le voci già in dialogo Ma l’opera che abbiamo definito urgente, quella cioè della costruzione di una Città che sa dialogare, non inizia da zero. Tante positive esperienze di dialogo sono già in atto. Esperienze a volte piccole, che non hanno l’onore della cronaca ma che, se si scruta con attenzione, possono essere riconosciute e mostrate. Sono segni incoraggianti, da leggere: c’è già chi tra noi crede, vuole e pratica il dialogo. Non è questa la sede per elencare tutte queste esperienze. Mi limiterò a citarne alcune con le quali, da vescovo della Chiesa ambrosiana, ho maggiore familiarità. Penso, ad esempio, al dialogo con le persone più bisognose di relazione, anzitutto gli anziani. Per loro la solitudine, la mancanza di dialogo è una povertà grande che nella nostra Milano coinvolge una percentuale considerevole di popolazione. Ma tanti cittadini, tante 5 Parrocchia S.Angela Merici associazioni (sia laiche sia espressione del volontariato cattolico), alcuni servizi pubblici sono già attivi per entrare in dialogo con loro e assicurare una presenza amica. Lo stesso si può dire a proposito di coloro che vengono da paesi lontani. Troppe volte, e con troppa insistenza, negli ultimi tempi si è pensato allo straniero soltanto come ad una minaccia per la nostra sicurezza, per il nostro benessere. Pregiudizi e stereotipi che hanno impedito un dialogo autentico con queste persone, causando spesso il loro isolamento, relegandole così in condizioni che hanno provocato e provocano illegalità e fenomeni di delinquenza. Ma noncuranti delle tante, troppe, eccessive polemiche dei mesi scorsi, molte persone, in modo silenzioso e nel nome della propria fede e di un alto senso umanitario, hanno operato per assistere questi nuovi venuti nei loro bisogni elementari: il cibo, un riparo, degli indumenti, la cura dei più piccoli. Penso alla Caritas e alle sue molteplici emanazioni, alla Casa della Carità, a quegli interventi delle amministrazioni locali che hanno saputo distinguersi per intelligenza, vivo senso umanitario, creatività. Penso al buon cuore anche di tanti semplici cittadini e ai loro piccoli ma sinceri gesti di aiuto. Tutto ciò è segno di un dialogo già in atto. Un dialogo forse ancora troppo flebile, da incoraggiare e sostenere, ma che dice del riconoscimento della comune condizione umana cui tutti, italiani e stranieri di qualsiasi etnia, apparteniamo. Il dialogo franco e sincero, la vicinanza paziente favoriranno l’inserimento degli immigrati nel tessuto delle città, contrastando così il rischio che cadano vittima dell’illegalità. Questi segni positivi e carichi di speranza domandano però di essere preceduti, accompagnati e sostenuti da un approccio culturale nuovo nei confronti degli immigrati, così che gli interventi nei loro confronti non si risolvano con la delega a chi si occupa di assistenza e non siano motivati solo da provvedimenti d’emergenza. Occorre, con una visione complessiva del fenomeno, guardare agli immigrati non solo come individui, più o meno bisognosi, o come categorie oggetto di giudizi negativi inappellabili, ma innanzitutto come persone, e dunque portatori di diritti e doveri: diritti che esigono il nostro rispetto e doveri verso la nuova comunità da loro scelta che devono essere responsabilmente da essi assunti. La coniugazione dei diritti e dei doveri farà sì che essi non restino ai margini, non si chiudano nei ghetti, ma - positivamente - portino il loro contributo al futuro della città secondo le loro forze e con l’originalità della propria identità. La persona non si definisce però solo per un insieme di diritti e di doveri, ma per un quadro di valori, uno stile di vita, una visione del mondo, una religiosità: in una parola, per una “cultura”. In tal senso dialogare con gli immigrati significa entrare in contatto con la loro cultura, conoscerla, apprezzarla, valorizzarla perché essi, a loro volta, conoscano, apprezzino e valorizzino la nostra cultura, il nostro modo di vedere e di vivere. Certo, occorre tempo, tanto tempo; occorre pazienza, apertura, passione, desiderio di dialogare per crescere insieme e approdare ad una nuova sintesi culturale che caratterizzerà la Milano di domani: una Milano dei milanesi da generazioni (ma sono pochi perché gli attuali milanesi vengono da ogni parte d’Italia…) e dei “nuovi” milanesi. Per il suo alto valore simbolico più che per la rilevanza numerica desidero qui ricordare l’iniziativa delle visite guidate in Duomo destinate agli stranieri che vivono in città: e così il nostro Duomo – ne sono certo – diventerà a poco a poco anche la loro casa, il simbolo in cui foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 6 identificarsi, il loro orgoglio. Non posso poi non citare la felice esperienza del Consiglio delle Chiese Cristiane, nato nella nostra città dieci anni fa, per iniziativa di alcune Chiese e progressivamente accresciuto fino ad abbracciare oggi 18 confessioni cristiane. Tante le iniziative comuni realizzate insieme in questi anni ed è significativo che lo scorso 15 novembre in Duomo, in occasione della solenne messa vigiliare per l’entrata in vigore del nuovo Lezionario ambrosiano, i rappresentanti delle Chiese Cristiane fossero presenti a questo evento storico della Chiesa Cattolica. Anche con i fedeli dell’Islam è possibile dialogare. Spesso si dice: “L’Islam disprezza le altre religioni ed i loro credenti, non ha il senso dello Stato tipico della tradizione occidentale, non accetta il principio della laicità, è fanatico, strumentalizza la fede per finalità distorte o criminose, non usa la ragione come mezzo nel confronto e nella discussione con i popoli, schiavizza le donne…”. Sì, ma intanto cominciamo questo dialogo, anzitutto culturale. Cominciamo a discuterne con i credenti dell’Islam, cominciamo a capire se tutto questo è vero o, almeno, se è vero per tutti. Singoli gesti e atteggiamenti, per quanto gravi e da deprecare con forza, non siano occasione per guardare con sospetto ed accusare tutti gli appartenenti ad una religione. Per questo è significativo che in occasione della visita natalizia delle case, i sacerdoti e i laici offrano agli islamici – quale segno di disponibilità al dialogo - una lettera di saluto. Qualcuno potrà obiettare che per un vero dialogo occorre una disponibilità reciproca. Ma è pur necessario che almeno uno inizi, cerchi l’incontro, stabilisca una relazione. Ci vogliono pazienza, fiducia, onestà intellettuale, rispetto della libertà dell’altro, capacità di ascolto. E lasciare che il tempo faccia crescere quanto di buono è stato seminato. 3. ALLA RICERCA DI UN VOLTO Del dialogo c’è urgente bisogno e, nello stesso tempo, segni più o meno evidenti di dialogo sono già in atto. È una contraddizione? Quale allora il volto vero della nostra Città? Il volto della Città Una risposta potrebbe essere questa: la Città è fatta, costruita, vivificata dai suoi abitanti e il suo volto è esattamente quello di chi la abita. Il volto della Città però non va confuso con la rappresentazione di alcuni tratti, di alcune evidenze: manifestazioni culturali, ardite realizzazioni architettoniche, eccellenze scolastiche e imprenditoriali, i quartieri esclusivi. Queste sono solo delle “figurazioni” della nostra Città, delle singole fotografie di lineamenti più appariscenti. Ma il volto non è solo questione di apparenza, il volto sa dire della profondità dell’io, del cuore, dell’anima. Il volto della nostra Città coincide quindi con quello delle persone che la abitano, con le loro bellezze e le loro bruttezze, le loro fragilità e le loro ricchezze, le loro preoccupazioni e speranze. A volte sembra che questi volti generino un affastellamento casuale, informe, senza coesione: una composizione astratta, dove i tratti distintivi sono sparsi sulla tela in modo disordinato. La negazione stessa di ogni figura. Ma occorre leggere il segno oltre ogni esteriorità, in profondità. La realtà non è solo ciò che si vede. La verità delle persone e delle esperienze ha sempre un “oltre”. 7 Parrocchia S.Angela Merici La Città ha il volto dei suoi abitanti. È quindi la composizione di cittadini di antica data e di nuovi venuti, più o meno accettati. Cittadini benestanti e cittadini da poco caduti in condizioni di nuova povertà; cittadini che compiono con abnegazione il proprio dovere, che si occupano con dedizione dei più deboli; cittadini che pensano solo ai propri interessi e a volte li realizzano a danno degli altri. La Città, ancora, ha il volto di chi progetta il futuro e spera con tutto il cuore che possa divenire migliore; di chi semina paura con azioni malvagie e delittuose; di chi procura e diffonde visioni esageratamente negative. Ha il volto di chi è sul limitare ultimo della vita; di chi è solo; di chi studia e vorrebbe una scuola migliore; di chi è espulso dal mondo del lavoro e non riesce più a rientrarvi; di chi vive come può, di espedienti e di qualche bugia o di qualche mezza verità… Riusciamo a cogliere in queste molteplici esperienze l’unico volto della nostra Città? È questa la nostra Città, non è un’altra, non è quella perfetta che tutti – ciascuno però a proprio modo – utopicamente vorremmo. Amiamo, prendiamoci cura, serviamo questo volto concreto della nostra Città! Il volto sfigurato Occorre passare quindi dalla “figurazione” alla “trasfigurazione”. Quest’ultimo è un termine caro ai cristiani, perché rimanda immediatamente al volto del Cristo. Il volto trasfigurato di Gesù sul monte Tabor prepara i discepoli a riconoscere nello stesso volto del Crocifisso - questa volta sfigurato - lo stesso Salvatore. La vicenda del Cristo ci insegna che anche il volto sfigurato può essere riconosciuto ed accolto, se amato. […] Ma accanto al mistero, incomprensibile per la ragione umana, del volto sfigurato, ce n’è un altro, forse ancora più incomprensibile ed accettabile solo alla luce della fede: c’è il mistero della Trasfigurazione. È il mistero che sostiene la speranza cristiana, che la orienta e le offre l’indicazione precisa di andare oltre le apparenze, che le mostra una verità ben al di là del semplice sguardo umano. Il credente - oserei dire - è, o dovrebbe essere, uno che “si intende bene” di ciò che sfigura un volto, ma, allo stesso tempo, è anche uno che sa, o dovrebbe sapere, andare oltre le apparenze, alla ricerca, nel silenzio interiore, del volto della Trasfigurazione. Persino la Chiesa, a volte, per usare le parole forti di Paolo VI, ci mostra il suo volto più misero e miserabile. Ma i credenti devono andare oltre, alla ricerca del vero Volto, devono diventare protagonisti della riscoperta del volto trasfigurato di Cristo, devono essi stessi “diventare” quella Trasfigurazione! E qualcosa di analogo possiamo dire di tutti i segni lasciati sul volto della nostra Città - e quindi dei suoi abitanti – dai mali, dalle crisi, dai problemi, dalle incomprensioni, dalle incomunicabilità che la affliggono e la sfigurano. Non sono la parola ultima, la sentenza definitiva! Ci deve essere posto per la speranza, e tanti segni sono già in atto. Tutti insieme possiamo andare oltre le apparenze – che segnalano comunque sofferenze – e riconoscere nel volto sfigurato la trasfigurazione, il futuro possibile già iniziato. […] + Dionigi card. Tettamanzi, Milano, 5 dicembre 2008 foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 8 anno paolino -4 SAN PAOLO SECONDO L’ISLAM Ripetutamente il Corano rimprovera gli ebrei e i cristiani di aver falsificato il Libro rivelato. Nella Sura 2 al v. 75, Dio interroga i musulmani a questo proposito: «Come poter desiderare che essi credano con noi, quando di certo alcuni di voi hanno coscientemente alterato la Parola di Dio, dopo averla ascoltata?». E più avanti Dio si rivolge ai “detentori della Scrittura: «Perché travestite la verità con le falsità? Perché tenete segreta la verità mentre voi la conoscete?» (3, 71). In un altro passaggio il Corano se la prende espressamente con i cristiani accusandoli di aver divinizzato Gesù (cfr 5, 116), di averne fatto il “Figlio di Dio”, di aver associato due divinità al Dio unico (5, 73) di aver, quindi, immaginato la Trinità, e a questo proposito li fustiga: «Non esagerate nella vostra religione (…) non dite Tre» (4, 171). A causa di tutto questo le persone del Vangelo sono definite perverse e miscredenti (5, 47 e 73). Essi sono passibili di un doloroso castigo (2, 174). Secondo la credenza islamica queste falsificazioni non possono essere imputabili a Gesù perché il Corano lo presenta come un profeta assolutamente monoteista e completamente sottomesso, cioè musulmano, inviato a confermare la Legge e ad annunciare Maometto (61, 6). D’altra parte il Libro fondatore dell’Islam mette inoltre in scena Gesù per rifiutare la credenza cristiana.: «Dio dice:”O Gesù, figlio di Maria! È questo che tu hai detto agli uomini: prendete me e mia madre per due divinità, al di sotto di Dio?”. Gesù dice: “Gloria a Te. Non mi spetta dichiarare ciò che non ho il diritto di dire”» (5, 116). 9 Dal punto di vista musulmano Gesù è il trasmettitore di una rivelazione eternamente identica e, a partire da tutto questo, i maestri della scienza coranica hanno concepito la dottrina della falsificazione (tahrif). Le prime controversie dei musulmani contro i cristiani si sono appoggiate a questa dottrina. In un articolo sul rispetto che i musulmani degli inizi portavano verso i cristiani, il ricercatore tunisino contemporaneo, Abdelmajid Charfi espone il loro modo di vedere. Dopo aver lodato l’ideale rappresentato dall’insegnamento di Gesù che tutti i musulmani avrebbero dovuto ammirare, egli si interroga: «Che cosa è allora successo perché dei musulmani si siano sentiti costretti a rifiutare tutti coloro (i cristiani) che credevano a tale insegnamento?». Poi ne fornisce la spiegazione: «E’ successo che coloro che si consideravano discepoli del Messia in realtà non sono stati fedeli al suo messaggio agli occhi degli altri ( i musulmani). Essi hanno creato un sistema teologico e ecclesiale che, ha funzionato in modo tale da non poter essere imputabile a lui (a Gesù)». Lo stesso autore spiega poi che per i musulmani il fatto che l’Antico Testamento e il Vangelo non sono, secondo i cristiani, un dettato divino come lo è il Corano per i musulmani, e necessita delle interpretazioni umane, non solamente come spiegazioni così come succede nell’Islam) apre la porta a ogni sorta di innovazioni e di deformazioni della Parola di Dio. Antiche critiche Secondo Charfi, i conflitti dottrinali e i gruppi divergenti appaiono nella Chiesa Parrocchia S.Angela Merici dei primi secoli cristiani. È quello che, a suo parere, assicurano i suoi lontani correligionari: «Le gerarchie ecclesiastiche furono obbligate a non urtare le credenze popolari influenzate dal paganesimo e a imporre soluzioni che mediassero tra opposte interpretazioni soprattutto quando il cristianesimo divenne religione ufficiale dell’Impero romano prima e poi bizantino che assorbiva popoli con sensibilità religiose estranee al monoteismo rappresentato dal giudaismo, prima della nascita dell’Islam. (…) Così il cristianesimo che all’inizio era uno sforzo di sublimazione spirituale degli insegnamenti e delle credenze giudaiche circa il Messia atteso, riconosciuto in Gesù, non ha potuto sfuggire a due pericoli supposti fin dall’inizio: diventare una religione dei misteri e una specie di gnosi certamente moderata in rapporto ad altri, ma comunque una gnosi; e farsi imbrigliare dalla presunta istituzione che doveva proteggere dalla marginalizzazione, dal formalismo e dal ritualismo, cioè la Chiesa». Questa visione delle cose sembra aver preso corpo nel X secolo al tempo della dinastia abbassida regnante a Bagdad, grazie agli scritti del celebre pensatore Tabari (839-922), di Yacoubi (+ verso il 905) e Abdel Jabbar (+ 1025). Giudice religioso (cadi) appartenente alla corrente moutazilite, che si reputava razionale, quest’ultimo scrive: «Le enunciazioni cristiane sono basate su dei fondamenti irrazionali e delle espressioni di cui non si afferra il senso». Poiché l’Islam riconosce l’innocenza di Gesù per queste “falsificazioni” chi ha potuto indurre i cristiani a compiere degli errori così gravi? Ebbene, il falso è di Paolo. In effetti agli occhi dei dottori e scienziati islamici è lui foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 il grande falsificatore della Rivelazione. Come annota padre Emilio Platti, membro dell’Istituto domenicano per gli studi orientali del Cairo: «Tutta la tradizione musulmana tardiva accusa san Paolo di aver immaginato una reinterpretazione del Vangelo, deformando così il messaggio originario di Gesù eliminando da questo suo messaggio l’aspetto fondamentale della Legge di Dio, la charia». Inoltre, come ci riferisce lo storico tunisino contemporaneo Mohamed Talbi, lui stesso aderente a questa tesi dell’alterazione delle Scritture cristiane, Abdel Jabbar, già citato, si lanciò in una lunga e dura requisitoria contro l’Apostolo: «San Paolo si è reso responsabile di aver ellenizzato e romanizzato il cristianesimo per adattarlo agi usi e consumi dell’Impero romano, senza riuscire comunque a salvare la testa». Queste critiche sono state rilanciate nel celebre Commentario coranico apparso in brani al Cairo tra il 1898 e il 1940, nella rivista El Manar (il faro) scritto dal gran mufti d’Egitto, Mohamed Abdou, e il suo discepolo libanese Rachid Rida. Si tratta di un’opera apologetica che non risparmia i cristiani, san Paolo e lo stesso Gesù. Le due colpe principali indirizzate all’Apostolo dalla tradizione islamica sono: paganizzazione della verità cristiana e abolizione della legge divina, la Torah. Riguardo a questo Rida scrive: «Nulla di più curioso e di più estraneo dell’esistenza di questa religione cristiana sulla terra, una religione fondata sul monoteismo, il più puro e il più razionale che hanno trasformato in una religione pagana con l’adozione di una trinità irrazionale improntata alla trinità dei Greci e dei Romani e imitata dagli Egiziani e dai Bramini, una religione di legge celeste dove hanno abrogato e invalidato la legge per rimpiazzarla con innovazioni e costumi 10 che sono ad essa estranei, una religione di ascesi, di umiltà e di austerità, di altruismo e di sottomissione a Dio che essi hanno trasformato in una religione della avidità, della cupidigia, del lusso, dell’egoismo e di sfruttamento del prossimo». Incensato per diversi anni da molti cattolici per il suo impegno nel dialogo interreligioso, Talbi da qualche anno si segnala per il discredito implacabile che getta sul cristianesimo. Per lui il Cristo è una “invenzione cristiana”. «Si sapeva già da tempo che il cristianesimo è in realtà un paolinismo, dal nome di Paolo (…). Egli esercita una influenza decisiva sulla formazione del cristianesimo in Occidente, al di fuori dell’ambiente giudaico, tanto che egli stesso volle essere nominato ”apostolo delle genti”, vale a dire dei non giudei». San Paolo “proselita” Anche altri autori della nostra epoca hanno attaccato san Paolo. Così nel Moderno Trattato della Teologia islamica di Hamza Boubakeur, padre dell’attuale rettore della Grande Moschea di Parigi, scrive che «la metamorfosi del cristianesimo – e qui enumera i “cambiamenti”: divinità di Gesù, rottura radicale con la tradizione giudaica con il rigetto del sabato, della circoncisione, della nozione di popolo eletto e del culto nel Tempio di Gerusalemme – si è realizzata grazie agli scritti e al proselitismo di Paolo, colui che era stato anche accusato di doppiezza (si è potuto provare che apparteneva alla polizia segreta di Roma) e che i primi testi giudaico-cristiani avevano denunciato come un nemico publico» (!). Boubakeur va inoltre a rimettere in discussione “lo stato civile di Paolo”: le date della nascita e della morte, il luogo dove era venuto al mondo, la sua genealogia, la sua appartenenza etnica, la sua religione giu11 daica, la sua cittadinanza romana. «Tutte le risposte da lui date a queste domande sono inconsistenti», l’unica certezza è che egli fu «il principale istigatore dell’incendio di Roma» e che aveva una concubina! Il rettore onorario della Moschea di Parigi, in questo caso, si riferisce alla Prima lettera ai Corinzi nella quale l’Apostolo allude ad alcune donne cristiane a lui vicine e senza dubbio a Priscilla che l’aiutava nella sua missione insieme al suo sposo Aquila. Inoltre Boubakeur osserva che Paolo stesso nella sua leggera ai Galati annuncia che egli aveva annunciato il proprio evangelo: «Quando un angelo de cielo annuncerà un altro vangelo diverso da quello che noi abbiamo predicato che costui sia anatema». Ignoranza o malafede? Si rimane sorpresi di trovare simili affermazioni presso chi vuole essere una ricercatore serio e onesto. Il nostro dottore e scienziato islamico conclude, quindi, che con Paolo il cristianesimo «ha rotto con le sue radici semitiche per orientarsi verso una nuova concezione completamente diversa. Concezione fortemente influenzata dalla corrente di pensiero ellenistico ed esseno e una organizzazione ricalcata dal modello dello stato romano. È dunque dopo una trasformazione interna della dottrina di Gesù che la dottrina diventa dottrina paolina e che il Vangelo che normalmente avrebbe dovuto avere la precedenza viene invece composto solamente dopo più di trequarti di secolo dopo il ritorno di Cristo a Dio». Questa ultima tesi – l’influenza avuta da Paolo sul Vangelo, basata sulla precedenza delle epistole sulle scritture dei Vangeli – viene ripresa dal principe giordano Hassan bin Talal, però senza acrimonia perché era ben manifesta la sua simpatia per i cristiani. Parrocchia S.Angela Merici Lo zio del re Abdallah II ritiene inoltre che sia grazie alla «sincerità, la pazienza illimitata, l’instancabile energia e anche la eccezionale saggezza» dell’Apostolo che egli riuscì a rendere compatibile il cristianesimo da lui predicato con «l’autorità dello Stato romano». Egli sostiene questa sua impressione citando la lettera ai Romani dove Paolo chiede che ciascuno si sottometta alle autorità preposte (13,17). Non è forse questa la prova della sua complicità con l’imperatore? Paolo, infine, è considerato da Hassan di Giordania come il fondatore del sacerdozio e della Chiesa istituzionale con la sua gerarchia di vescovi, presbiteri e diaconi. Per spiegare questa sua affermazione egli rinvia a tre epistole di Paolo dove, egli dice, che queste funzioni appaiono per la prima volta: Filippesi 1, 1; Timoteo 3, 1 e 8, 23 ; Tito 1, 7. Le “invenzioni” di Paolo In una tesi dedicata al rapporto tra cristiani e musulmani attraverso i secoli, nella quale egli ci fornisce un campionario delle prese di posizione più recenti che chiamano in causa san Paolo, il padre Jean-Mari Jameelah cita una americana Maryam Jameelah passata dal giudaismo all’islam che attribuisce la stessa responsabilità a san Paolo di Tarso. Ma qui il tono è di rimprovero. «Per rendere il cristianesimo compatibile con il mondo greco e romano, san Paolo, di sua esclusiva autorità, ha preso la disastrosa decisione di rendere sorpassata quasi tutta la legge di Mosé partendo dal falso principio che “la lettera della legge uccide mentre lo spirito dona la vita”. Essa si basa su quanto scritto nella Lettera ai Romani (2, 17-26; 10, 4 e 12) e precisa: “Paolo abolisce la circoncisione e dichiara foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 permessa l’assunzione di carne di maiale, del sangue, delle carogne e del vino! Con quale autorità se non solo la propria convinzione personale, Paolo aveva il diritto di dichiarare permesso ciò che è proibito? Gesù stesso (pace a Lui) che Paolo presenta come l’Incarnazione di Dio, non ha mai preteso di avere questo diritto». Poi conclude dicendo che «in questo modo l’Apostolo dei Gentili ha fatto del cristianesimo quello che essa è adesso, una religione su Gesù che presenta poca somiglianza con l’insegnamento di Gesù. In altri termini i cristiani, dopo l’epoca di Paolo, hanno dimenticato il messaggio hanno iniziato ad adorare il messaggero». Quanto al dogma sulla Trinità anch’esso è una invenzione di Paolo, secondo quanto afferma Muhammad Ata-Ur-Rahim, anziano ufficiale dell’armata pakistana, morto nel 1978, nel suo Gesù, Profeta dell’Islam, apparso a Londra l’anno prima della sua morte: «È la visione greca di un universo dai molti dei che sta alla base di questa dottrina della Trinità, insieme all’influenza di alcuni, in particolare di Paolo di Tarso, che elevarono progressivamente Gesù dal rango di Profeta a quello di Dio». Alcuni musulmani militanti francesi diffusero anche loro delle opinioni simili, così come un certo Hassan M. Baagil, autore di un libro sotto forma di conversazione con un battezzato, Dialogo musulmano-cristiano (senza il nome dell’autore) e che si trova in tutte le librerie musulmano dell’Esagono. Baagil che si presenta come uno che per quattro anni ha studiato la Bibbia, espone qui quali sono secondo lui gli errori del cristianesimo, imputando a Paolo la credenza di Gesù come “Figlio di Dio” e la su risurrezione. Questa critica compare successivamente in un volume inviato dall’associazione “Soprattutto la Verità” (!) 12 che ha la sua base a Creil (Oise) a numerose parrocchie francesi durante l’estate 2005, allo scopo di convincere i parroci destinatari a dichiararsi musulmani: «La Trinità è una credenza che non risale alle origini del cristianesimo. È una convinzione errata derivante da una falsificazione» E, naturalmente, l’autore del falso è sempre Paolo, «rabbino di Roma, che ha introdotto la dottrina della Trinità e ha attribuito la divinità al Profeta Gesù». Prese di posizione anti-paoline Resta aperta una domanda: come hanno potuto, queste teorie, penetrare in tutte le componenti musulmane? Inizialmente Maometto stesso e i suoi discepoli subirono l’influenza di posizioni anti-cristiane, e quindi anti-paoline, diffuse dai gruppi di giudei che, notoriamente, essi incontravano a Medina dove vivevano tre influenti tribù giudaiche e il profeta dell’islam un tempo aveva frequentato la scuola del rabbino Ibn Sallam. A questo riguardo la posizione ufficiale del giudaismo rimane immutata e, da parte loro, i musulmani odierni la recuperano. Alcuni di loro si riferiscono inoltre a dei teologi cattolici odierni che, allo scopo di raggiungere un avvicinamento con i Giudei, insistono nel sostenere la giudità di Gesù fino a farne perfino una identità esclusiva e finendo così ad accreditare l’idea che Cristo non è mai uscito dai limiti della sua religione, cosa che può escludere la trascendenza unita alla sua divinità. Le ambiguità che provocano questa dimostrazione servono all’argomentazione islamica tra cui quella di Talbi che dice: «Gesù era assolutamente giudeo, egli non era affatto cristiano», appoggiandosi in questo caso a Pierre Grelot: «Gesù è stato giudeo fino alla fine». Leggendo la storia tunisina si ha l’impres13 sione che la Chiesa abbia preso una strada che dovrà, logicamente, condurre a disconoscere la dottrina paolina per tornare alla “purezza delle origini”. Ugualmente si può anche citare Baagil per il quale «Gesù non ha mai preteso di aver fondato il cristianesimo sulla terra e non si è mai chiamato cristiano». Un larvato sospetto Inoltre le accuse di falsificazione che il Corano indirizza ai cristiani e che costituiscono l’essenza del loro dogma (Incarnazione, Redenzione, Trinità) possono essere imputate alle credenze eretiche che professavano dei gruppi di cristiani in Arabia, come pure i discepoli di Ario che negavano la divinità di Cristo e che furono condannati dal concilio di Nicea (325). L’arianesimo era ancora diffuso nella penisola ai tempi di Maometto (VI-VII° sec). Il Corano si fa eco delle dispute cristologiche che agitavano il mondo cristiano: «Dio in verità, giudicherà tra loro e troncherà le loro differenze». Ma l’arianesimo non è un fatto del passato, egli spunta di nuovo nel mondo occidentale anche tra i cristiani anche se in modo sottile perché essi si valgono della scienza. Osservando questi mutamenti tra cui «la sensibile marginalizzazione del dogma della Trinità» presso i cristiani (!) Charfi che sostiene il suo pensiero come apertura al mondo moderno e all’occorrenza come accettazione del pluralismo religioso, può, allora, invitare i musulmani ad abbandonare le loro dispute tradizionali. Guardando a tutto quello che abbiamo detto è veramente urgente che i cristiani tornino a vedere in san Paolo l’autentico e fedele apostolo di Gesù Cristo. Annie Laurent, traduzione di Gemma Calanchi Parrocchia S.Angela Merici calendario delle celebrazioni Natale 2008 e Nuovo Anno 2009 22 dicembre ore 16 e ore 21 lunedì liturgia penitenziale comunitaria ore mercoledì 24 dicembre 18.00 Celebrazione vespertina di Natale giovedì 25 dicembre, NATALE DEL SIGNORE ore 00.00: Eucaristia nella notte del Natale del Signore orario festivo: 8.30 10.00 11.30 18.00 domenica 28 dicembre Santi Innocenti Martiri orario festivo mercoledì ore 31 dicembre 2008 18.00: Eucaristia di ringraziamento di fine anno Vespri solenni, adorazione e canto del “Te Deum” Inaugurazione dell’anno giubilare per il 50° di fondazione della Parrocchia foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 14 1 Gennaio 2009 Giornata della pace giovedì ottava di Natale nella circoncisione del Signore Orario festivo: 8.30 10.00 11.30 18.00 4 gennaio dopo l’ottava del Natale: orario festivo domenica martedì 6 gennaio Epifania del Signore Orario festivo: 8.30 10.00 11.30 18.00 ore 17.00: adorazione comunitaria domenica 11 gennaio Battesimo del signore Orario festivo: 8.30 10.00 11.30 18.00 ore 16.00: celebrazione dei battesimi Nei giorni feriali la celebrazione dell’Eucaristia è alle ore 8.00 e 18.00 15 Parrocchia S.Angela Merici i concili -3 IL CONCILIO DI CALCEDONIA Il dogma di Efeso non mette fine alle dispute teologiche. L’immagine di Cristo degli alessandrini conteneva un germe di errore che dette origine al monofisismo, eresia che sostiene che, dopo l’unione della natura divina con l’umana in Cristo, questa viene assorbita dalla prima, così che poi non si può più parlare che di una natura e precisamente di quella divina, sminuendo così l’umanità del Signore, che è condizione di redenzione. Questa opinione era sostenuta da Eutiche, abate di un monastero di Costantinopoli, molto stimato a corte anche per la sua integrità morale. La contesa rinasce e il vescovo Flaviano di Costantinopoli convoca un sinodo regionale, facendo appello ai vescovi di Roma (Leone) e di Alessandria (Dioscoro). Eutiche venne condannato nonostante l’appoggio di Dioscoro. Quest’ultimo in seguito sollecitò l’imperatore Teodosio II a convocare un altro sinodo regionale in cui Eutiche venne riabilitato. La posizione di Leone era chiara: egli spiegava che il Cristo ha un vero corpo, della stessa natura di quello di sua madre, e che le due sue nature, umana e divina, si uniscono in una sola persona. Bisogna dire che il latino aveva chiarito da tempo la differenza tra natura e persona, cosa che la lingua greca non aveva permesso. Ma quando il sinodo si riunì a Efeso nel 449, non venne data lettura dello scritto inviato da Leone I, che s’indignò e definì questo sinodo: «latrocinio di Efeso». Nel 451, il nuovo imperatore Marciano, sollecitato con insistenza da Leone I, convocò un nuovo concilio, questa volta ecumenico, e chiamò a presiederlo il vescovo di Roma stesso. Il concilio ecumenico riunì a Calcedonia sulla riva del Bosforo di fronte a Costantinopoli, più di 350 vescovi, venuti da tutte le province dell’Impero d’Oriente. In realtà Leone non poté spostarsi perchè gli Unni avevano invaso l’Occidente, ma non si accontentò di farsi rappresentare da un legato. Prese posizione sulla questione in una lettera indirizzata al vescovo di Costantinopoli, il “tomo a Flaviano”, testo che suscitò l’entusiasmo dei presenti: «Ecco la fede dei padri, ecco la fede degli apostoli. Così crediamo tutti. Attraverso Leone ha parlato Pietro». Si lesse il credo di Nicea-Costantinopoli. Si proclamò «un solo e stesso Cristo, Figlio, Signore, senza divisione, senza separazione». La differenza tra le sue due nature non è abolita dalla loro unione. Nella sua unica persona sono ben preservate la divinità e l’umanità di Gesù. Si promulga la formula «Cristo è una persona in due nature». Le parole del grande Leone saranno quindi considerate da parte della Chiesa come la migliore definizione della riflessione cristologica, così come è andata sviluppandosi nei primi quattro concili e la fede nell’incarnazione trova una sua decisa specificazione. Venne condannata la tesi monofisita. Il vescovo di Roma si confermò come il grande garante dell’unità e della fedeltà alla fede della Chiesa. Una tappa chiave nella storia del papato. Tuttavia il Concilio di Calcedonia non condusse alla pace. Gli oppositori alla formula di Calcedonia, che sostenevano la fede in un’unica natura del Cristo si foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 16 separarono dalla Chiesa ufficiale e fondarono le chiese monofisite. Molte province rifiutarono la formula “ortodossa” di Calcedonia per ragioni spesso politiche: fu una maniera di manifestare la loro indipendenza culturale e religiosa di fronte all’imperialismo greco di Costantinopoli. Anche i cristiani copti d’Egitto scelsero il monofisismo. Lo stesso successe ai siriani: il monofisismo diventò la religioni dei cristiani di lingua siriaca. Furono le province e i gruppi di cultura greca a seguire Calcedonia. Anche fuori dall’impero ci furono considerazioni politiche che fecero propendere le regioni a favore dell’una o dell’altra dottrina. L’Impero persiano adottò il nestorianesimo, gli Armeni in opposizione adottarono il monofisismo. Tante secessioni che durano fino a oggi. Ogni tentativo di riunificazione della Chiesa d’Oriente - due altri Concili di Costantinopoli condanneranno il monofisismo (nel 553 e nel 681) - si tradurrà in difficoltà supplementari con la Chiesa d’Occidente. Oggi può apparire che le controversie teologiche di questi primi secoli fossero incidenti di percorso provocati da eretici più o meno isolati (Ario, Nestorio, Eutiche) messi a tacere dalla dottrina ortodossa. In verità si tratta di un travaglio che ha coinvolto la Chiesa, ha diviso tra loro vescovi e patriarchi, ma ha fatto discutere sulle verità fondamentali del cristianesimo. Nonostante le dure condanne subite, gli eretici erano convinti di difendere la vera fede e argomentavano con passione. Mentre le discussioni erano in corso, non era facile distinguere gli eretici dagli ortodossi. È quindi giusto riconoscere che gli eretici hanno avuto un ruolo importante nella ricerca della verità. Altri concili si svolsero nel primo millennio, ma ai primi quattro, che hanno definito i dogmi della Trinità e dell’Incarnazione, venne riconosciuta un’indiscussa autorità e furono assimilati da papa Gregorio Magno ai quattro Vangeli, come facenti parte del canone della Chiesa. Antonia Amigoni LEONE PRIMO (circa 390 - 461) Nato da genitori toscani trasferitisi a Roma all’inizio del V secolo, il futuro san Leone Magno fin da giovane intraprese la carriera ecclesiastica e fu papa dal 440 al 461. Uno dei rari papi ad essere qualificato “grande”, assieme a Gregorio primo e Nicola primo. Fu, in quanto arcidiacono a Roma, l’uomo di fiducia del suo predecessore Sisto III. La morte di quest’ultimo avvenne mentre Leone era in Gallia nel tentativo di arbitrare un conflitto, su richiesta della corte di Ravenna. Ma la sua reputazione era già così grande che il popolo di Roma lo scelse come vescovo in sua assenza! Fu consacrato al suo ritorno, il 29 settembre 440. Il pontificato di Leone fu tra i più significativi ed importanti dell’antichità cristiana. L’intento principale di Leone era quello di sostenere l’unità della Chiesa. Perciò condusse in Italia una battaglia contro la setta manichea e il pelagianesimo e, così facendo, affermò l’autorità dottrinale del vescovo di Roma. Anche in Gallia, in Spagna, in Africa del Nord incoraggiò la lotta contro le eresie che vi si andavano sviluppando. Leone fu una personalità potente; visse in un’epoca di transizione, in cui il deca17 Parrocchia S.Angela Merici dimento dell’Impero Romano venne a coincidere da un lato con il rafforzamento del cristianesimo e dall’altro con l’irrompere delle invasioni barbariche degli Unni e dei Vandali. Riuscì a contenere la minaccia di Attila, ma dovette assistere impotente al sacco di Roma compiuto dall’esercito di Genserico, re dei Vandali. In Occidente Leone beneficiò dell’appoggio dell’imperatore Valentiniano II che vide nei sui interventi un baluardo contro le minacce dei germani ariani. Questi fatti dimostrano l’alta autorità morale goduta dal papa, che si manifestava anche negli affari temporali. Leone estese anche la sua influenza fino in Oriente ed esercitò la sua giurisdizione sui Balcani, ma dovette fare i conti con il peso dell’autorità imperiale e degli ambienti monastici. Papa Leone fu uno dei maggiori artefici dell’emergere del primato del vescovo di Roma in qualità di successore di Pietro. Egli spiegò nei suoi sermoni il ruolo del sovrano pontefice come erede dell’autorità conferita a Pietro da Gesù stesso. Aveva in effetti un’alta coscienza della dignità di questa funzione, qualunque fosse la persona che l’assumesse, dimostrata in maniera chiara e incisiva dalla sua opera di pastore supremo. Non trascurò tuttavia di affermare l’importanza della collegialità nella Chiesa, convocando a Roma annualmente un sinodo, a cui tutti i vescovi erano tenuti a partecipare. Nel 445 l’imperatore Valentiniano III riconobbe ufficialmente il primato del papa. Si applicò alla liturgia, al restauro degli edifici sacri e alla vita monastica, ma è soprattutto come teologo che Leone si impose. Nel Concilio di Calcedonia, fece trionfare il suo punto di vista nelle questioni cristologiche, esprimendo in maniera magistrale l’unicità della persona di Cristo sussistente in due nature distinte. Una confutazione del monofisismo. La più importante caratteristica della sua teologia è quindi il “cristocentrismo”, che si manifesta anche nelle sue riflessioni sulla grazia e sulla Chiesa: Cristo non solo è un esempio, ma è anche fonte di grazia; la Chiesa è dispensatrice di grazia in forza della continua presenza di Cristo nei sacramenti e nella liturgia. Per sua natura la Chiesa cattolica e universale non può essere che una e la sua unità è più profonda di ogni altra unità. Il papa confermò le delibere del Concilio di Calcedonia ad eccezione del canone che elevava il Patriarcato di Costantinopoli alla pari della Sede di Roma, diminuendo i privilegi degli antichi patriarchi orientali. È il primo papa di cui si possiedono i sermoni e i testi pronunciati durante le grandi feste liturgiche. Semplici e brevi, espongono con grande chiarezza e profondità il mistero del Cristo, e il dogma dell’Incarnazione. I suoi resti si trovano in San Pietro sotto l’altare della cappella della Madonna della Colonna. È dottore della Chiesa, venerato come santo sia dalla Chiesa Cattolica che da quella Ortodossa. La sua memoria nella liturgia romana si celebra il 10 novembre. foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 18 dalla terra santa -2 Da Betlemme… Ormai il Santo Natale sta per arrivare, e noi betlemmiti abbiamo cominciato ad approntare i preparativi per questo grande evento che ebbe compimento nella nostra cittadina più di due mila anni fa. Cominciano ad apparire gli addobbi natalizi, gli scout si stanno preparando per accogliere il patriarca latino il giorno 24 dicembre e il patriarca ortodosso il giorno 6 gennaio. Le scuole hanno iniziato a fare le prove per il saggio che si terrà appena finiti gli esami, mentre le varie parrocchie hanno già iniziato a mettere in atto alcune iniziative che si terranno per l’occasione. Anche i miei due bimbi sono entusiasti per l’avvicinarsi del momento in cui babbo natale gli porterà i regali. Ormai Renad e Jack sanno che quando vedono babbo natale per le strade della città significa che presto vi sarà una sua visita a casa nostra e che quindi stanno per arrivare i regali. Anche quest’anno cercheremo di far dimenticare a questi bimbi la situazione in cui vivono attraverso i pochi regali che avranno. Il regalo è un piccolo mezzo con cui cerchiamo di farli contenti e di renderli un pochino più sereni e tranquilli. Ma questi doni non bastano. Ci vuole un regalo molto più importante e molto più urgente: quello della libertà. Ancora oggi si costruisce il muro di separazione. Ancora adesso vi è un problema grande a Gaza, dove i fratelli continuano a volersi male e dove la chiusura delle frontiere da parte israeliana ha causato più di 350 morti, perché i malati non hanno dei mezzi e delle strutture sanitarie per essere curati. E il male continua a trionfare. 19 A Betlemme arrivano molti pellegrini e turisti, e il giorno 15 novembre abbiamo festeggiato il pellegrino numero 1.000.000, ed è già record. I pellegrini quest’anno ci sono, non mancano, anzi sono troppi e aumentano nonostante non vi siano le strutture adatte per accoglierli tutti. Gli alberghi della città hanno lavorato parecchio, come anche i ristoranti e i negozi di souvenir. La situazione economica della città è migliorata rispetto agli anni precedenti, ma malgrado questo il dramma continua. Carissimi, i regali a Renad e Jack sono poco, quello che questi bambini vogliono è la libertà: recarsi a Gerusalemme, andare al Mediteranno, vedere i nonni che stanno a Ramallah… insomma andare fuori da questo maledetto muro, dentro il quale viviamo veramente male. Il mondo intero deve capire che il muro non è la soluzione a tutti i mali, anzi è una cosa inumana e ingiusta. E perché questo? Rispondono che è per la nostra sicurezza. Ma quale sicurezza, il muro causa solo odio e violenza. La strada esiste, ce l’ha mostrata Giovanni Paolo II quando visitò la Terra Santa nel 2000: mai muri, più ponti. Ma chi ascolta questa voce profetica? Ormai come succedeva nell’Antico Testamento, i profeti non hanno spazio nel mondo di oggi. Volete la pace, benissimo fateci vedere cosa sapete fare per arrivarci. Coraggio avanti, ma mai muri… solo ponti. Charlie ABOU SAADA www.juthouruna.com Parrocchia S.Angela Merici PELLEGRINAGGI 2009 PER IL 50° DELLA PARROCCHIA Per l’anno giubilare della Parrocchia proponiamo due pellegrinaggi, senza limite di numero di partecipanti, così da poter andare incontro al maggior numero di richieste: • Pellegrinaggio in Terrasanta (in aereo, da domenica 26 aprile (sera) a domenica 3 maggio. • Pellegrinaggio a Roma (sui luoghi di s.Paolo e con la partecipazione all’udienza del Papa) e visita ad Anagni e Orvieto [in pullman - da domenica 21 (pomeriggio) a giovedì 25 giugno]. Comunicheremo l’apertura delle iscrizioni non appena saranno disponibili anche i relativi programmi. Itinerario con i fidanzati verso il matrimonio Gennaio-febbraio 2008 L’itinerario è realizzato allo scopo di maturare insieme alle coppie che si preparano al matrimonio la consapevolezza di ciò che comporta la scelta del matrimonio cristiano. Ci incontriamo nell’atrio delle aule di catechesi alle 21.00 secondo il seguente calendario: ven 9 gennaio ven 16 gennaio ven 23 gennaio ven 30 gennaio ven 6 febbraio “Maschio e femmina li creò” (Genesi 2,27) “Quello che Dio ha congiunto” (Matteo 19,6) “Perché il Signore è testimone tra te e la donna della tua giovinezza… essa la tua compagna, la donna dell’alleanza” (Malachia 2, 14) Festa della famiglia ore 11.30: Celebrazione dell’Eucaristia e pranzo comunitario “E commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Luca 15, 20) “Disposti ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarci e a educarli secondo la legge di Cristo e della sua chiesa” (dal Rito del Matrimonio) ven 13 febbraio “… Ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia” (Matteo 7,25) dom 25 gennaio per le iscrizioni rivolgersi direttamente a p.Giuseppe foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 20 Un Natale da ritrovare C’era una volta il Natale. Quello con il profumo dei biscotti, quello con il bianco della neve, quello che i bambini cercavano ostinatamente con le dita i canditi nel panettone, ma soprattutto quello dell’intimità e della comunione. Il periodo natalizio riportava tutti all’origine, ad una riflessione sull’inizio di una storia concentrata in una nascita. Era un’occasione in cui si ritrovava la gioia dello stare insieme con un valore aggiunto dato dal calore di una comunione vera, come se ognuno di noi fosse chiamato per una volta a fermarsi e a guardare, prendendo coscienza di un evento carico di un mistero insondabile e di una delicatezza che solo la nascita di un bambino può avere. Ci sono momenti in cui bisogna rallentare ed essere capaci di farsi trascinare dall’immobilità. Questa è una cosa che ho sempre apprezzato del Natale, lo spazio temporale che concede per guardarsi intorno e dentro, e il silenzio che lo accompagna. Oggi esco di casa e quello che vedo è un fiume di persone che a dispetto della crisi rimbalzano come palline di un flipper da una vetrina all’altra, che stressati gli uni dagli altri corrono sui marciapiedi o si mischiano esasperati al traffico delle automobili per strada. La percentuale degli strombazzamenti aumenta come se fosse in corso una gara a chi riesce a spingere più a fondo il clacson, le crisi isteriche da ‘parcheggite’ provocano siparietti tragicomici in giro per la città e su tutto questo regna una facciata di cordialità perché a Natale, si sa, si è tutti più buoni. A me sembra che invece si sia tutti più falsi. Magicamente le luminarie accese dai negozianti ricordano a tutti di essere battezzati e cristiani, come se la fede venisse alimentata dall’elettricità. Durante l’anno la domenica è il giorno della serie A e ci si accorge di una chiesa solo quando ci si parcheggia davanti, ma incredibilmente si è tutti in prima fila a cantare come lirici alla messa delle notte di Natale e per un giorno a denti stretti si distribuiscono baci e abbracci senza distinzione. Non sono certo un estremista e non condanno del tutto quella che può essere anche un’espressione di gioia e di festa, ma disprezzo l’eccesso e l’esagerazione di una logica commerciale che riesce a soffocare e a mistificare la bellezza di questo periodo. Dall’altro lato non condivido nemmeno una scelta di chiusura totale, misto ad ascetismo, che porti ognuno ad isolarsi dall’altro, ma auspico un’intimità di sentimento e di riflessione maggiore e più profonda. Vorrei che questo Natale fosse caratterizzato da doni sinceri, non per forza materiali. Mi piacerebbe ritrovare un raccoglimento con le poche persone con cui ci tengo veramente a stare. Desidero un Natale di carne e spirito e non di plastica. E che il dono più bello ognuno di noi lo faccia a se stesso, regalandosi un po’ di calma e di silenzio per sé. C’era una volta il Natale e spero che da qualche parte ci sia ancora. Josef Acquati Lozej 21 Parrocchia S.Angela Merici caritas Un grazie ai ragazzi e ai bambini della nostra parrocchia! Grazie ai ragazzi dell’oratorio guidati da p. Guglielmo ed ai bambini della Catechesi coordinati da Ester e Daniela e dalle loro catechiste! Grazie ovviamente che alle loro famiglie! Quando noi, volontari Caritas del Banco Alimentare, siamo stati chiamati per raccogliere quanto da loro donato, abbiamo avuto un attimo di commozione e poi molta gioia. Abbiamo trovato tanti pacchi pieni di panettoni, pasta, omogeneizzati, tonno, biscotti, carne in scatola, pannolini, olio! Fa riflettere il fatto che anche in momenti così difficili, la soliderietà dei nostri bambini, dei nostri ragazzi, delle nostre famiglie, è ancora più grande! Grazie a tutti! Rodolfo La Spada e i volontari Caritas del Banco Alimentare consumo critico GAS ovvero Gruppi di Acquisto Solidale un modo diverso di concepire il consumo Per chi vive nelle grandi città fare la spesa costituisce spesso un problema. Siamo ormai abituati a sentire che non abbiamo tempo, o ne abbiamo molto poco, per cui si reputa molto più comodo recarsi in un punto vendita della grande distribuzione dove troviamo tutti i prodotti che cerchiamo, o quanto meno che crediamo di cercare. Infatti non esiste possibilità di scelta: i prodotti sono omologati, i gusti standardizzati e spesso già indirizzati (come i piatti pronti e i surgelati che cuociono in 4 minuti). Si dice però che la carne non è poi così saporita, che quando cuoce perde molta acqua, che la frutta e la verdura non sanno di nulla. Forse dovremmo chiederci se ha senso comprare dei pomodori a dicembre, e da dove provengono (l’Olanda è sempre stata famosa per i tulipani, non per i pomodori), e se è il caso di acquistare delle pere che provengono dal Cile; da qui quindi l’importanza di acquistare “prodotti di stagione” e “a chilometro zero”. Con un minimo di sforzo e la voglia di modificare lievemente il proprio stile di vita è possibile aderire (o costituire) un GAS – Gruppo di Acquisto Solidale: il GAS è formato da famiglie o persone che hanno deciso di utilizzare un modo diverso di fare la spesa. Creare un gruppo per acquistare consente di ottimizzare gli sforzi e di raggiungere delle economie, grazie alla solidarietà. La solidarietà è all’interno del gruppo: nello schema classico della distribuzione c’è un commerciante che gestisce un negozio e fa una serie di offerte, dall’altra parte c’è un cliente che segue criteri economici contrapposti, ma che delega al commerciante le scelte di approvvigionamento. In un gruppo di acquisto invece i membri del gruppo, a rotazione, si occupano di tutto quello che può servire a gestire gli acquisti: i conti della spesa, la valutazione della correttezza dei prezzi, l’organizzazione della spedizione delle merci, la distribuzione all’interno del gruppo, e anche le eventuali critiche nel caso qualcosa non raggiunga la qualità desiderata. foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 22 Ma la solidarietà è soprattutto verso l’esterno: il gruppo di acquisto diventa solidale perché decide di non fare una spesa basata solo sui costi , ma su altri criteri. Il primo è la solidarietà con i produttori: abbattendo le catene di distribuzione, e stabilendo, per quanto possibile, un contatto diretto tra produttore e consumatore, si consente a chi acquista di risparmiare, ma soprattutto si garantisce al produttore un compenso equo. Si può scegliere poi di rivolgersi a cooperative che hanno specifici progetti di tipo sociale oppure a realtà che producono con criteri differenti da quelli che soddisfano la grande distribuzione. Piccoli proprietari, agricoltori biologici, agricoltori che coltivano vecchie varietà di frutta e verdura. Questi prodotti di solito non raggiungono i negozi. Le grandi distribuzioni hanno bisogno di grandi quantitativi. E per soddisfare un numero più ampio possibile di persone, hanno bisogno di offrire qualcosa che incontri il gusto della media delle persone. L’acquisto diretto dal produttore consente anche di ridurre i trasporti (spesso la logistica sposta i prodotti su e giù per l’Italia) e di avere un prodotto più fresco. L’insalata raccolta il giorno precedente, se ben conservata, oltre che più gustosa, si conserva per un paio di settimane: quella del supermercato che è stata più volte manipolata arriva a casa nostra dopo un tempo superiore e nel giro di 3 o 4 giorni è già da eliminare, con notevole spreco. Certamente bisogna modificare il modo di fare le scorte, riducendo il numero degli acquisti: se la pasta viene comprata 3 volte all’anno anziché una volta al mese, si riescono a raggiungere dei quantitativi che consentono di abbattere i costi di spedizione e magari ottenere alcuni sconti aggiuntivi dai produttori. L’utilizzo della posta elettronica è indispensabile per poter comunicare con i vari aderenti al gruppo contenendo anche i costi delle comunicazioni; è importante poi, soprattutto per ragioni organizzative, abitare tutti nella stessa zona. A Milano ci sono più di 30 gruppi, i cui indirizzi si possono trovare sui siti www.gasmilano.org e www.retegas.org e nella nostra zona è attivo un gruppo chiamato Il Gasino: chi volesse informazioni può richiederle a [email protected] Franco Battaini attualità Buon compleanno! Compie sessant’anno la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo Sessanta anni fa, il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, un passaggio fondamentale per l’umanità, sebbene purtroppo non irreversibile. Celebrarlo significa ricordare il cammino faticoso che lo ha permesso. Nasce al tempo in cui le regole sono determinate dal più forte. Cresce quando il più forte perde il monopolio della forza e le regole vengono concordate per consentire la sopravvivenza. Quindi, finalmente, la comunità guarda oltre la sopravvivenza, riconosce la dignità della persona umana e sceglie regole che la tutelino. Solo recentemente abbiamo raggiunto sul piano mondiale, almeno sulla carta, questa terza fase. La stessa costruzione delle Nazioni Unite, se la osserviamo con occhio critico, appartiene alle prime due fasi. Che nel Consiglio di Sicurezza seggano in modo 23 Parrocchia S.Angela Merici permanente ed abbiano in esclusiva il diritto di veto solo i paesi più forti militarmente (quelli che vinsero la seconda guerra mondiale), richiama infatti un diritto stabilito con la forza per consentire alla vita umana una sopravvivenza non minacciata quotidianamente. Proprio quell’istituzione però ha permesso agli uomini di costruire relazioni internazionali di pace e di redigere una carta che per la prima volta nella storia riconosce in modo universale, con valenza giuridica, la dignità della vita umana. Leggendo oggi questa giovanissima carta emergono tre considerazioni. La prima riguarda il consenso sui suoi contenuti. La Dichiarazione è frutto di un percorso culturale preciso, tipicamente europeo e americano, risultato del dialogo tra cristianesimo e cultura liberale. Non per nulla tra i suoi estensori più illustri figura il grande filosofo cattolico Jacques Maritain. Se il testo è altissimo, non bisogna commettere l’errore di pensare che un consenso universale sia acquisito. Non ci riferiamo al fatto che i diritti possano essere nonostante tutto violati impunemente, ma a quanto quel testo sia da tutti considerato come proprio. Esistono numerose tradizioni culturali e religiose che non hanno ancora concluso una riflessione compiuta sul tema dei diritti umani. E’ un grave errore politico non tenerne conto. Al posto di denunce arroganti su presunte arretratezze vanno invece incoraggiati i percorsi di consenso, che in un tempo delicato come quello attuale sono particolarmente preziosi. Un caso per tutti è l’interessantissimo lavoro di elaborazione di carte islamiche dei diritti umani che sono state elaborate negli ultimi anni proprio nell’ambito delle Nazioni Unite. In esse si sono potute scrivere pagine importanti sulla parità fra uomo e donna, ad esempio, superando il rischio che questo principio fondamentale venisse visto con pregiudizio solo perché imposto dall’esterno. I diritti vanno “riconosciuti” perché vengano rispettati nel tempo, non possono essere imposti. E questo richiede dialogo, autorevolezza e tempo La seconda considerazione riguarda l’incoerenza dei governi che con retorica affermano l’importanza della Dichiarazione in sede ONU, ma se ne dimenticano in tutti gli altri tavoli internazionali. Un esempio per tutti è quello dei negoziati commerciali presso il WTO, in cui si propongono condizioni che non guardano minimamente alla tutela universale dei diritti umani. In uno stato nazionale le leggi ordinarie regolano l’economia in modo da garantire i diritti enunciati dalla Costituzione, finanziando col prelievo fiscale i servizi che tutelano quei diritti. A livello internazionale invece non vi è alcun elemento di cogenza, nonostante le intenzioni, tra Dichiarazione universale e azioni dei governi. La potenza distruttiva di questa incoerenza è devastante. Si pensi al numero di scuole e di ospedali che si potrebbero finanziare con un commercio internazionale più equo. E al rancore che questa consapevolezza suscita in chi si trova dalla parte debole del pianeta. La considerazione finale riguarda la violazione esplicita dei diritti. Gli esempi sono frequenti nei paesi non democratici, ma sempre più spesso si verificano nei paesi che amano definirsi democrazie mature. Ciò che è accaduto a Guantanamo e ad Abu Ghraib è sconvolgente. Ma non si pensi che siano fatti lontani. I terribili fatti della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto hanno costituito violazione diretta di almeno dieci dei trenta articoli della Dichiarazione. Gli esecutori sono stati condannati, ma che i dirigenti che consentirono la degenerazione non siano stati rimossi mostra come la cultura dei diritti umani possa annacquarsi. L’orrore della seconda guerra mondiale è lontano, la nostra coscienza si indurisce e i confini etici sfumano. Celebrare l’anniversario della Dichia- foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 24 razione significa impegnarsi ogni giorno per alimentare la cultura che riconosce per tutti la dignità della vita umana. I diritti richiedono parole. Parole per partecipare, parole per educare, parole per amare. Parole che non si possono tacere. Riccardo Moro (www.agensir.it) Agenda della comunità Lunedì 15 dicembre Alle ore 21, in Oratorio, secondo incontro di formazione per gli educatori con Alessandro Croci della Cooperativa S. Martino. Venerdì 19 dicembre Alle ore 16 (centro culturale) e alle ore 21 (biblioteca) p. Giuseppe guida la lectio sul Vangelo della domenica. Venerdì 19 dicembre, ore 21 - Aule Catechesi fESTA di NATALE e MOSTRA sul COMMERCIO EQUO & SOLIDALE Assaggi di prodotti, panettoni e bibite! Vi aspettiamo numerosi, Gruppo ‘94 Sabato 20 dicembre festa di Natale Orpas ore 15 - ritrovo atleti Judo ore 15,30 - dimostrazione Judo ore 17 - incontro di tutti gli atleti in teatro ore 17,30 - brindisi e auguri Incontri pomeridiani per la terza età Questo il calendario degli incontri promossi dal Movimento Terza età (ore 15.30) martedì 16 dicembre incontro biblico con Renata Andreotti sulla Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi giovedì 18 dicembre catechesi mensile tenuta da padre Battista sul nuovo libro Le due frontiere. Seguirà una piccola festa per scambiarci gli auguri per il Santo Natale giovedì 8 gennaio tombolata in allegria martedì 13 gennaio esercitiamo la mente giocando a “BURRACO” !!! giovedì 15 gennaio la Signora Marisa Carcano ci parlerà di un milanese doc: Vita e ‘spetteguless’ di e su Alessandro Manzoni martedì 20 gennaio incontro biblico con Renata Andreotti sulla Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 25 Parrocchia S.Angela Merici giovedì 22 gennaio giovedì 29 gennaio vedremo insieme il bellissimo film di Olmi L’albero degli zoccoli e ne parleremo insieme catechesi mensile tenuta da padre Battista sul nuovo libro Le due frontiere. Al termine festeggeremo i compleanni di gennaio ceNtro culturale ARTE E fEDE Mercoledì 28 gennaio alle ore 15 visita alla Cappella Portinari guidata da professoressa Anna Roda. Ritrovo in piazza S. Eustorgio all’ingresso della chiesa. CORSI DI PERSONAL COMPUTER Si accettano iscrizioni per corsi base e avanzati che inizieranno a fine gennaio 2009. Per maggiori informazioni e prenotazioni la Segreteria del Centro culturale è aperta al lunedì, dalle 17 alle 18, e martedì mercoledì giovedì, dalle 18 alle 19. In decanato Mercoledì 14 gennaio • Alle ore 20.45, presso la parrocchia di San Martino in Greco, prende avvio un percorso di formazione per una cittadinanza consapevole, Cittadini protagonisti, promosso dall’Azione Cattolica decanale in collaborazione con l’Associazione Culturale G. Lazzati. Tema della prima serata sarà La Parola nella città. Il Vangelo fondamento dell’impegno per il bene comune. Ne parlerà il Vicario per la Vita sociale don Eros Monti, ricordando le figure di Giorgio La Pira e Fioretta Mazzei. In città Domenica 21 dicembre • Alle ore 16.30, in piazzale Cadorna, il Centro Culturale Naar Israel invita all’accensione del Candelabro gigante in occasione della festa di Hanukkah. Autorità e Rabbini onoreranno la serata, mentre i tradizionali dolciumi di Hanukkah la riscalderanno di gusto! Info: [email protected] o tel. 02.70004338- 335.7795493. Giovedì 15 gennaio • Alle ore 21, presso la Sala della Trasfigurazione, in piazza San Fedele, il professor Giuseppe Micheli interverrà sul tema: Fare coppia, prendere il largo. Perché è così difficile mettersi in gioco? foglionformativo - n. 376 - dicembre 2008 26 Rassegna Shoa per non dimenticare 22-23-24-25-25 gennaio 2009 “Norma 44” Compagnia Elefante Bianco Liberamente tratto dal omonimo dramma di Dacia Maraini Regia di Silvano Ilardo; Con Manuela Caspani, Monica Gianfreda, Sabina Levi e Stefano Ronzoni 27/29/30/31 gennaio-01 febbraio 2009 “Io non ero ad Auschwitz” Teatrando Produzioni Tratto da “Lettera da Auschwitz” di Francesca Nughes e “Lettera dall’inferno” a cura di Carlotta Sacchetti; regia e adattamento Silvano Ilardo; con Silvano Ilardo e Francesca D’Antonio; accompagnamento con fisarmonica dal vivo di Ivan Cattaneo. Nella comunità parrocchiale HANNO RICEVUTO IL BATTESIMO Luca Luigi Gera - 14 dicembre 2008 Ariana Biurribe Maldonado Tolosa - 14 dicembre 2008 Anderson Javier Jaramilla – 14 dicembre 2008 Giacomo Verri - 14 dicembre 2008 Ilaria Zerbino - 14 dicembre 2008 SI SONO UNITI IN MATRIMONIO Diana Gianola e Maurizio Barella – 6 dicembre 2008 ABBIAMO ACCOMPAGNATO ALLA PASQUA ETERNA Mara Marin - 13 novembre 2008 (anni 62) Emma Schwarz - 18 novembre 2008 (anni 92) Guido Fabio - 21 novembre 2008 (anni 84) Bruna Venturini - 3 dicembre 2008 (anni 96) Guido Spinelli - 6 dicembre 2008 (anni 82) Direttore responsabile p. Giuseppe Bettoni – Capo Redattore Tata Tanara – Impaginazione Pensieri e Colori – Stampa Francesco Canale Un ringraziamento particolare a tutti coloro che collaborano con gli articoli, alla fascicolatura e alla diffusione del Foglio Informativo Parrocchia Trovate il Foglio Informativo anche su: www.americisss.it 27 S.Angela Merici