nuovo» Museo di Palazzo San Francesco
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Elisabetta Farioli Il «nuovo» Museo di Palazzo San Francesco 1) Il nuovo ingresso (rendering) Premessa L’esigenza di un progetto di intervento per la rifunzionalizzazione di Palazzo San Francesco – sede principale del sistema museale cittadino reggiano - si è fatta stringente a partire dalla metà degli anni novanta, stimolata dalla possibilità di destinazione museale di tutto l’immobile ma anche dalla cogenza di un sempre più forte sistema di obblighi in materia di sicurezza e accessibilità. Il progetto di Panstudio / Arrigo Rudi (capogruppo Cesare Mari), avviato nel 2002, aveva infatti come obiettivi l’adeguamento dell’edificio rispetto alle norme di sicurezza, il rinnovamento impiantistico, la realizzazione di più adeguati collegamenti in verticale e il ripristino dell’ultimo piano del palazzo. Idea forte della soluzione progettuale approvata era la scelta di un nuovo ingresso sul retro dell’edificio e la riproposizione dell’antico scalone come elemento distributivo centrale al sistema museografico. Nel 2004 a causa di un contenzioso con la ditta appaltatrice i lavori si sono interrotti consegnando un edificio ancora non accessibile e solo parzialmente ristrutturato. Nel frattempo si sono delineate nuove linee di intervento per il centro storico della città di Reggio Emilia: piazza della Vittoria, oggetto di un significativo progetto di riqualificazione, è stata individuata come il nuovo focus della vita culturale cittadina, in grado di coordinare le proposte dei 79 principali teatri e istituzioni museali. L’affaccio del Museo sulla piazza si presentava quindi come una imprescindibile opportunità che ha comportato la totale revisione degli assunti del progetto Mari – Rudi e ne ha consigliato quindi l’abbandono. E’ stato contattato lo studio dell’ar- 2) La “sala nera” al piano 0 (rendering) chitetto Italo Rota, personaggio di punta dell’architettura italiana, con al suo attivo importanti realizzazioni museografiche e allestitive (recentissimo il suo allestimento del Museo del Novecento a Milano). A lui è stata chiesta una proposta che, a partire dalla progettazione degli allestimenti del Museo, contribuisse a rafforzarne l’identità e le capacità di comunicazione. Obiettivi quindi molto diversi e più ampi rispetto a quanto richiesto al progetto precedente che prefigurava per il Museo di Palazzo San Francesco una direzione di sviluppo in continuità, legata all’adeguamento agli attuali standard museali ministeriali e all’esigenza di valorizzare il patrimonio (consentendo in particolare l’esposizione delle opere d’arte contemporanea). Nel gennaio 2007 il concept generale del progetto Rota è stato approvato dalla Giunta municipale. Dopo diverse difficoltà legate al reperimento dei fondi (non ultimo l’annullamento del finanziamento di 1.500.000 di euro inserito nel programma 80 per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia) un primo importante stralcio del progetto (finanziato dal Comune di Reggio Emilia con 4.300.000 euro) è pronto per essere appaltato, compatibilmente con i vincoli che il patto di stabilità impone agli enti locali. Il progetto proposto dall’architetto Rota è un progetto ambizioso, dedicato in larga parte agli allestimenti e invece molto «leggero» per quanto riguarda gli interventi strutturali, impegnato nella ricucitura degli interventi precedenti ma poco preoccupato di nascondere realtà impiantistiche o sovrapposizione di preesistenze. Un progetto che tocca anche da vicino il tema dei confini, sempre più incerti, tra il ruolo dell’architetto e il ruolo del direttore o responsabile del museo, in una visione nuova in cui l’ambito della museografia e quello della museologia tendono a confondersi, o meglio a presupporsi a vicenda, in una sempre più avvertita esigenza della molteplicità di competenze necessarie alla vita di una moderna istituzione museale e del complesso quadro di relazioni che ne presiede la conduzione. Non mi soffermerò in questo articolo sulla descrizione del progetto Rota, se non nelle sue linee principali, e invece cercherò di approfondire le conseguenze che il progetto avrà sulla fruizione delle collezioni e del patrimonio limitatamente al primo stralcio in corso di attuazione. La ricerca di una identità E’ nota l’importanza di alcune collezioni storiche conservate nel Museo, in particolare la collezione del naturalista Lazzaro Spallanzani (acquistata dal Comune nel 3) La “galleria rossa” al piano delle collezioni storiche (rendering) 1799 e allestita a Palazzo San Francesco dal 1830) e il Museo di Gaetano Chierici, padre della paletnologia in Italia, allestito a partire dal 1860 come Museo di Storia Patria. A queste due principali nuclei collezionistici si accostano poi numerose altre collezioni minori, da quella di Naborre Campanini (impegnato in particolare nella ricerca e salvaguardia delle arti minori) a quelle degli esploratori reggiani (Antonio Spagni, Raimondo Franchetti) per non citare che qualche nome di un elenco molto più ampio che offre un esemplare spaccato delle caratteristiche e tipologie del collezionismo italiano dalla fine del Settecento ai primi decenni del Novecento. La peculiarità dei Musei di Reggio è stata quella di mantenere praticamente intatte queste collezioni, almeno le principali, non solo nell’ordinamento ma anche nell’allestimento. Il primo piano di Palazzo San Francesco è quindi oggi un importante luogo di testimonianza collezionistica, un esempio in sé coerente di stratificazione di modalità allestitive storiche. Si passa dagli strabilianti armadi storici della collezione Spallanzani, organizzati secondo evidenti criteri di ordine estetico, all’insistito ritmo espositivo delle vetrine della collezione Chierici, sistematica collocazione di reperti utili allo studio e alla catalogazione (purtroppo nei primi anni novanta sono state invece riordinate le collezioni zoologiche con criteri selettivi e sistematici e molti animali impagliati sono stati trasferiti nei depositi). Scarse le informazioni didascaliche (difficile inserirle in un contesto così caratterizzato), inadeguati rispetto alle esigenze della sicurezza e alle moderne regole della conservazione degli arredi (il Museo di Palazzo San Francesco fatica ad ottenere dalla Regione Emilia Romagna il riconoscimento di museo di qualità per le caratteristiche dei vetri storici delle sue vetrine, non in linea con le esigenze della sicurezza del pubblico). Un Museo amato dalla città (31.000 le presenze del 2010), frequentato dalle scuole (attraverso attività didattiche che ricostruiscono percorsi di senso tra le sue collezioni, 22.500 i fruitori nel 2010), vissuto come curiosità dai pochi turisti che lo visitano, considerato un intoccabile punto 81 di riferimento per gli studiosi. Le collezioni più moderne (a parte il Museo di Storia Romana) sono allestite al piano superiore, con allestimenti realizzati in economia e un ambito di interesse esclusivamente territoriale, riferito all’archeologia e alla storia dell’arte. Il progetto dell’architetto Rota (condiviso con la direzione dei Musei) muove dal riconoscimento dell’importanza di salvaguardare le collezioni storiche allestite al primo piano di Palazzo San Francesco: nessuno sfoltimento dei materiali dunque, come richiederebbe una maggiore loro visibilità (e come è stato fatto in una situazione molto simile nel Museo Civico di Modena) nessuna integrazione di apparati didascalici. Invece una riflessione forte sul significato di queste collezioni storiche per l’oggi, il deciso superamento dell’idea di conservazione come statica salvaguardia di un patrimonio, l’affascinante programma di fare diventare questo patrimonio una eredità per tutti in grado di offrire riflessioni al nostro presente e attrezzarci meglio per il nostro futuro. Nella definizione della nuova ipotesi progettuale si è lavorato in particolare su alcuni concetti principali, visti come centrali nell’identità di Palazzo San Francesco: MEMORIA Il museo di Palazzo San Francesco è prima di tutto il luogo della memoria di una comunità. L’imperativo di una sua conservazione si è fino ad ora tradotto in un sostanziale immobilismo, certo provvidenziale rispetto a mode che negli anni sessanta/settanta hanno distrutto simili realizzazioni museali. Tutto il progetto parte dall’obiettivo di valorizzare queste sue caratteristiche e non certo di tradirle o metterle in discussione. Ma – ci siamo chiesti – è possibile tentare un nuovo 82 approccio che, senza toccare l’esistente, consenta di rendere il museo in grado di comunicare con l’oggi? Quello di cui noi abbiamo bisogno oggi è una memoria critica, una memoria che, come ha scritto Federico Ferrari1, lungi dal voler ricreare una narrazione del continuum della storia o della storia come un continuum, cerca invece di mostrare, nello spazio reale dell’ esposizione gli scarti, le contraddizioni, le cesure profonde che attraversano quella costellazione di ricordi, opere e passioni che vengono chiamati memoria. Perché la memoria diventi memoria vivente, capace di incidere sul presente, abbiamo bisogno di evidenziare con una sensibilità moderna queste fratture, queste cesure. Solo così la nostra attenzione ma anche la nostra sensibilità e la nostra cultura riusciranno a scuotersi e a farci partecipare del nostro passato. Ecco dunque che il Museo di Palazzo San Francesco, straordinario caleidoscopio di testimonianze di diversi momenti storici rappresentati da testimonianze spesso impreviste, curiose, provenienti da diversi contesti culturali, con materiali provenienti da differenti ambiti tipologici (naturalistici, archeologici, artistici, antropologici) può naturalmente offrirsi come possibile problematica occasione di lettura di una storia non univoca, non trionfalmente tesa alla sua evoluzione progressista, ma più vera e vicina alle nostre esperienze di ambiguità, confusioni, ritardi e pentimenti ma anche di sogni e utopie visionarie. Quella che sarà proposta è una lettura a doppi livelli delle collezioni: da un lato approfondimenti di carattere scientifico adeguati al pubblico dei conoscitori e specialisti, dall’altro una più libera modalità di approccio che parte dall’oggi, dai problemi della contemporaneità e intende leggere nelle testimonianze del passato possibili stimoli a una lettura del presente in vista di future possibili visioni del mondo. In questo modo, come auspica Ferrari, il passato viene scelto, diviene frutto di un atto critico e il patrimonio storico custodito nel museo diventa l’immagine speculare del futuro. Il museo è dunque il passaggio tra una dimensione passata e un’apertura al futuro, tra la memoria di una tradizione e l’invenzione di un avvenire. Un museo storico come quello di Reggio Emilia diventa quindi un «contemporaneo» attivatore di sollecitazioni per il presente e possibili futuri. Si pone così come preziosa metafora zione del rapporto tra memoria e contemdel Tempo, preziosa sineddoche che nel poraneità. racconto di una piccola comunità si pone come atto critico che si interroga sul no- In che modo Questi assunti – maturati in una riflesstro essere contemporanei. sione che dura ormai da alcuni anni coinCONSERVAZIONE Ancora ribadiamo volgendo il personale scientifico dei Muche conservare le collezioni storiche è un sei – sono stati già sperimentati in alcune obbligo imprescindibile che ogni progetto delle attività più fortemente intenzionate di revisione dei nostri musei non può tra- dei Musei. Da alcuni anni infatti, accanto a proposte didattiche più tradizionalmente dire. Ma cosa significa conservare oggi? riferite a precisi ambiti cronologici o temaL’idea di conservazione in ambito museale tici, vengono individuati percorsi trasversi collega al tema del patrimonio, conside- sali rispetto agli ambiti disciplinari che, a rato fino a pochi decenni fa l’essenza stessa partire dalla scelta di un soggetto (Forma, Acqua, Natura, Illusione, etc.) si muovodell’istituzione museale. Patrimonio è qualcosa di fisso e conso- no tra le collezioni scientifiche e quelle lidato, concluso e mummificato, per defi- archeologiche, tra arte antica e arte connizione tramandato di padre in figlio, che temporanea, tra testimonianze territoriali deve essere preservato e non sperperato. e materiali di tutti i paesi coinvolgendo poi Ma l’insieme delle opere del Museo non gli interlocutori in possibili interpretazioni deve soggiacere alle leggi patrimoniali ma riferite all’esperienza personale. Proposte anche al pubblico adulto in incontri di diventare un’eredità vivente. Eredità è l’accettazione di una memoria carattere interattivo queste attività, dopo e il suo prolungamento nel presente, è pre- alcune iniziali difficoltà, sono state accolte con molto favore da parte degli insegnangna della vitalità eterna del passato. Il patrimonio spetta solo ai legittimi ti, sollecitati così a una visione che rompe successori, a coloro che ne garantiscono la la divisione per discipline e cronologie (su continuità, l’eredità si sceglie, non è data cui sostanzialmente si struttura l’esperienda alcuna investitura, richiede una decisio- za scolastica), consente una lettura unitaria ne, una presa di posizione critica che con- e trasversale dei saperi, sollecita più mobili duca il passato a porre in una situazione curiosità e possibilità di interazioni. In occasione di queste prime parziali critica il presente. L’eredità può e deve essere assunta an- sperimentazioni (che hanno riguardato anche da «altri» e il tema è particolarmente che l’allestimento di piccole mostre di arte forte nella nostra città dove un museo ci- contemporanea tra le collezioni) il Museo vico, ricco di testimonianze di un passato di Palazzo San Francesco si è rivelato un locale, deve diventare «eredità» di una so- luogo ideale per sperimentare all’interno di una istituzione museale queste comcietà molto più complessa e articolata. Il patrimonio diventa eredità e dà i suoi plesse traiettorie di pensieri sempre più frutti. Come in ogni idea di business, come fortemente avvertite come necessarie dalla nella parabola dei talenti dove il figlio che cultura della nostra contemporaneità incoraggiando quindi ad assumere con forza gli ha sotterrato i denari viene redarguito. Il museo da luogo dell’eterno immobile assunti metodologici del «progetto Rota». «Non si tratta – scrive Elio Grazioli diventa specchio di mutazioni. di ricerca della vaghezza o dell’ambiguità 83 Dall’approfondimento di questi temi come esaltazione della confusione degli emerge la possibilità per il Museo di Palaz- ambiti, della lettura dei confini tra le discizo San Francesco di un possibile rilancio pline, tra arte e scienza e altro ancora, di che, a partire dal riconoscimento delle sue contaminazioni e trasversalità finalizzate al peculiarità ed eccellenze, ne riesca a garan- fantastico e alla fede in una forma unica e tire una più ampia notorietà e lo consolidi pervasiva, originaria e formante, ma piutcome possibile laboratorio di sperimenta- tosto dell’arte che c’è in ogni disciplina, di nodi che si creano tra gli ambiti, di studio esatto della loro forma, della bellezza e del senso che sconfinano dallo specifico e non si pongono come modello ma come incontro sul percorso e risultato di una spinta»2. Come si conciliano queste ipotesi di lettura trasversale tra le collezioni con gli imperativi di mantenimento degli allestimenti storici che abbiamo assunto come imprescindibile limite al nuovo progetto? Come trasformare nel contempo conservando? Gli spazi «attivatori» del progetto Il progetto Rota nella sua prima tranche di attuazione consentirà il recupero di alcune zone di Palazzo San Francesco attualmente non utilizzate per l’esposizione dei materiali, in particolare: - tutto il piano 0 - al piano 1 un’ampio salone dell’antico convento con alcune salette adiacenti 84 - tra il piano 2 e il piano tre zone attigue al grande scalone di smistamento - tutto il piano 3 Questi gli spazi dunque disponibili per introdurre quelle possibilità di lettura «critica» delle collezioni storiche di cui in premessa abbiamo cercato di individuare i principali nodi teorici . Il piano 0, attualmente adibito a spazio deposito e servizi, assume particolare rilevanza come naturale prolungamento di piazza della Vittoria e luogo di osmosi tra il museo e la città. Si pone come polo di forte attrazione urbana caratterizzato da ampissima accessibilità e deve svolgere una funzione attrattiva di invito al museo e alla visita delle sue collezioni. Il nuovo diedro di ingresso, nell’angolo dell’edificio, si caratterizza per le pareti rivestite da fioriti «giardini verticali» e l’installazione di alte strutture di acciaio specchiante che riflettono immagini tratte dai materiali dei Musei. All’interno l’acquario lacustre (evocazione del tema dell’acqua come principio della vita) introdurrà a un antro oscuro, caratterizzato dal ritmo delle volte, una sorta di caverna primordiale da cui emergeranno oggetti simbolo del museo. La minuscola Venere di Chiozza (proposta attraverso una riproduzione dell’originale), carica di naturalismo padano, i frammenti della grande balena ritrovata sulle colline a pochi chilometri della città, l’imponente balenottera approdata in città negli anni cinquanta e da tutti considerata il simbolo del Museo, il calco dei celebri cippi di Rubiera suggeriranno una sorta di percorso iniziatico tra elementi naturali e artistici con riferimento ai temi primigeni della maternità, alla nascita della storia e della scrittura, alla dimensione del tempo e della memoria di una città. Sempre al piano 0 una sorta di grande diorama suggerisce al visitatore una lettura dello sviluppo delle collezioni museali secondo una disposizione stratigrafica evidenziata da oggetti simbolo delle diverse raccolte e collezioni. Il richiamo degli ambienti più luminosi spinge il visitatore a proseguire nella visita e lo conduce agli accessi che in verticale conducono alle collezioni del primo piano. In alternativa, in diretto collegamento e osmosi con lo spazio verde del giardino, è possibile raggiungere lo spazio/laboratorio della città, dedicato ai cantieri progettuali e strategici e alla presentazione di progetti culturali di forte interesse per la comunità, attivo la mattina nell’ambito di proposte didattiche per i ragazzi e liberamente ac- 4,5,6) Il pubblico partecipa alla performance / installazione L’amore ci dividerà, maggio 2010 85 cessibile al pubblico adulto il pomeriggio negli ultimi anni sarà proposto un nuovo approccio alla storia della cultura che, lie la sera. berandosi dal predominio del pensiero ocIl piano 1 si rafforza come parte più im- cidentale, potrà confrontare le espressioni portante del Museo dedicata alle collezioni e testimonianze provenienti dalle diverse parti del mondo. storiche. Un museo locale diventa così un museo Accanto alle raccolte di Lazzaro Spallanzani e Gaetano Chierici, negli spazi ri- planetario, in grado di suggerire orizzonti costruiti dell’antico salone del convento di saperi e culture più adeguate alla consarà allestita la cosiddetta «Sala Rossa», ri- temporaneità e in particolare alla sempre proposizione filologica della grande Espo- più variegata comunità cittadina. sizione d’arte e industria allestita nel 1876 Il terzo e ultimo piano si caratterizza presso Palazzo San Giorgio dove per la prima volta erano state esposte al pubbli- per la libertà degli spazi ma anche dei conco le principali opere d’arte della città, di tenuti museali. La suggestione dei locali, liberata da proprietà sia pubblica che privata, nucleo ogni inserimento incongruo e restituita alla iniziale della Pinacoteca civica. Molti di questi dipinti sono oggi conser- sua spettacolarità, si porrà nella sua ritrovati nei nostri Musei, solo in parte esposti vata semplicità, luogo libero da ogni aura o al pubblico. L’allestimento si porrà come raffinatezza estetica, ideale contenitore per riproposizione contemporanea delle mo- attività culturali e espositive temporanee. Spazi laboratoriali – a utilizzo delle scuodalità espositive di un salon ottocentesco (da qui il nome «sala rossa», con riferimen- le ma anche del pubblico adulto – si intrecciano a spazi di sosta e esposizione, a spazi to all’idea dei damaschi dell’epoca). Saranno esposte anche alcune tipologie di ristoro e intrattenimento (un prestigioso di cosiddette «arti minori» documentate roof restaurant, affacciato sulla piazza e acnel catalogo dell’esposizione, a indicare cessibile in modo autonomo dall’esterno) l’importante momento culturale di incon- nell’intento di offrire un luogo di relazioni tro tra arte, artigianato e nascente produ- «vero», dove le cose accadono, in una sorta di commistione fra l’arte e la vita zione industriale. L’ampia navata espositiva (Kunsthalle) Con lo spostamento dei nuclei storici diventa luogo privilegiato per offrire, atriferiti alle collezioni artistiche il piano 1 consolida così il suo ruolo di custode dei traverso esposizioni periodiche, una divermodelli museografici che hanno presiedu- sa lettura del contesto collezionistico che to la formazione del Museo di Palazzo San il visitatore ha potuto visitare, in ideale Francesco. Con maggiore libertà al piano continuità con gli allestimenti del piano 0 superiore, dedicato alle raccolte di nuova e della sala affacciata sullo scalone. Sono formazione sia di ambito archeologico che questi gli spazi «attivatori» dove dovranno di ambito artistico, gli allestimenti (non trovare attuazione le nuove modalità espocontemplati nella fase di lavori appaltati) sitive e di accostamento dei materiali a cui potranno organizzarsi secondo diversi cri- viene affidato il compito di risignificare i teri tematici rafforzando la loro funzione più intimi significati delle collezioni storidi spazi laboratoriali frequentati dal mon- che del museo individuando possibilità di contatto con tematiche della nostra condo della scuola. Sempre al piano 1 una nuova sala (de- temporaneità. Nell’ estate 2010 una grande installazio86 nominata «museo planetario») consentirà attraverso l’esposizione di materiali per lo ne - L’amore ci dividerà- Prove generali di più oggi conservati nei depositi una più un museo curata da Italo Rota e accompagnata da completa valorizzazione delle collezioni extraeuropee, frutto di donazioni degli sonorizzazioni di Carlo Antonelli, DJ set esploratori della città o di depositi di altri Fabio De luca, performance di Nico Vamusei. In linea con l’impostazione di di- scellari – ha per la prima volta sperimentaversi progetti culturali realizzati dai Musei to queste nuove possibilità allestitive. L’idea è stata quella di utilizzare gli spazi di cantiere dell’ultimo piano del Palazzo. Qui, all’insegna del motto «Il museo è ora» ha avuto inizio il processo di riallestimento del Museo attraverso una prima tappa espositiva, con lo scopo di sperimentare le nuove modalità di presentazione dei materiali invitando la città a un coinvolgimento che ne stimolasse la creatività. L’installazione si apriva con dodici vetrine in cui oggetti delle diverse collezioni ponevano domande proprie della quotidianità di tutti, esplicito riferimento a quella complessità non comprimibile così caratteristica dei nostri tempi che il museo oggi riesce a rappresentare attraverso la realtà fisica dei propri oggetti. La navata principale dei nuovi spazi era occupata per metà dalla spettacolare installazione «Arca di Noè»: anonimi cittadini hanno collocato sulla scena animali imbalsamati conservati nei depositi dei Musei in una veloce performance ripresa da un video che costituisce «la prima stanza» del sito del progetto del Museo. Al lato opposto la Venere di Chiozza, capolavoro per eccellenza dei Musei, eletta grande progenitrice del nostro territorio, dominava l’allestimento fotografico di trecento ritratti di reggiani del nostro tempo. Le stanze laterali erano dedicate a temi sollecitati dalle collezioni di Palazzo San Francesco e di particolare attualità per la cultura contemporanea (Extreme beauty / Nature-artificial / Y doppio / Hybride / Comunication), con approfondimenti sulla lettura sincronica delle espressioni artistiche delle diverse culture del mondo (Anywhere 1850), sul rapporto con il territorio, così fondante per la nostra cultura (sono esposte alcune immagini fotografiche da Esplorazioni lungo la Via Emilia), con la rilettura della nostra recente storia culturale in ambientazioni d’epoca (period room dedicata al salotto dell’intellettuale reggiano degli anni sessanta). L’installazione, di grande impatto emozionale, si poneva con forza in una dimensione che guarda al futuro sollecitando l’impegno e la responsabilità di ogni visitatore, chiamato ad assumersi un ruolo non solo verso il rinnovamento del museo ma anche verso la città del domani. «Il futuro – recitava una citazione posta all’inizio dell’allestimento – mi interessa molto, è il posto dove dovrò passare il resto della mia vita». Commentando in un incontro pubblico l’allestimento di Rota, in occasione delle giornate inaugurali di Fotografia Europea 2010, Paolo Fabbri, nell’ambito di più ampie considerazioni da lui stesso definite «incentivo semiotico per le energie rinnovabili nell’estetica», poneva una interessante distinzione fra le attività di «implementazione» che di norma accompagnano l’esposizione di un’opera d’arte in un museo (dalla cornice alla didascalia, l’illuminazione etc.) e invece le caratteristiche di «attivazione» riconoscibili nell’installazione proposta. «Cosa significa attivare le opere e non invece semplicemente implementarle? Per esempio accostare ad un’ opera delle altre opere, attivare non le opere ma le relazioni tra le opere. L’attivazione non approfondisce un’opera, la mette in contatto con un’altra e si inventa delle nuove relazioni. Attivare è relazionare». La modalità allestitiva esplorata da Rota richiama con evidenza la tecnica del «montaggio» e riporta al grande modello di Mnemosyne, l’atlante di immagini dispiegata sui grandi pannelli di legno a cui Aby Warburg lavorò dal 1924 alla morte, «non solo un compendio per immagini ma un pensiero per immagini, non soltanto un ‘promemoria’ ma una memoria al lavoro» come annota G.Dibi Huberman3. Stringenti le analogie tra la riflessione di Warburg sulla storia («un modello fantasmale in cui i tempi non erano ricalcati sulla trasmissione accademica dei saperi ma si esprimevano per assilli, sopravvivenze, ritornanze delle forme, cioè per non saperi, per impensati, per inconsci del tempo» scrive Dibi Huberman) e sul suo rapporto col presente che lui vede intrecciato di passati multipli («Accanto a tutto lo scibile 87 della terra si pone, quale accordo fondamentale che sempre risuona, la storia del mondo antico, ossia di tutti quei popoli la cui vita è sfociata nella nostra»). Ecco quindi che un montaggio di tipo anacronico crea un rapporto tra attualità e primitività, proprio quello che il nuovo allestimento del Museo intende fare scattare, individua una modalità di presentazione dei materiali che «non è né messa in ordine né bric a brac e, nel decostruire una lettura sequenziale della storia, ci consegna un intrigante puzzle delle sopravvivenze dell’antichità». Nel progetto Rota un ruolo importante viene affidato all’inserimento di opere d’arte contemporanea (non so se i budget assegnati ci consentiranno di avviare adeguati progetti di committenza o acquisizioni). E’ indubbio che in numerose ricerche artistiche della contemporaneità rimbalzano con evidenza suggestioni che rimandano ai materiali presenti nelle nostre collezioni; basti citare i famosi animali in formaldeide di Damien Hirst, ma anche le numerose rivisitazioni di temi naturali che attraversano diverse esperienze di artisti contemporanei. Come pure è evidente che i riferimenti potrebbero ampliarsi quasi all’infinito, nella rispondenza per esempio tra le testimonianze musive e i pixel di tante opere contemporanee etc. L’arte contemporanea può assumere questo compito di «risignificazione» del passato. Rispetto a quell’affascinante coagulo di storie, collezioni, oggetti che sono i Musei di Reggio Emilia può svolgere il ruolo di toccare le corde di una sensibilità dell’oggi capace di risuonare nella profondità del passato, può farci percepire la nostra contemporaneità come l’ultimo tassello della storia del mondo, della sua complessità, della sua continua mutazione. Sempre all’ultimo piano di Palazzo San Francesco sarà allestita la sezione delle period rooms del Novecento, una originale rilettura della cultura cittadina dal dopoguerra agli anni ottanta che riprende l’idea originaria di una sezione dedicata all’arte contemporanea dove esporre le opere conservate nei depositi. Attraverso la pre88 sentazione di dipinti, sculture, ma anche di mobili e oggetti di arredo, manifesti e registrazioni televisive saranno allestiti alcuni ambienti che sono stati importanti per le vicende dell’arte del dopoguerra nel nostro territorio con l’intento di restituire uno spaccato della vita sociale e politica del tempo. In questi ambienti il pubblico potrà fisicamente entrare e vedere le opere d’arte nel contesto culturale ma anche sociale che le ha generate, apprezzandole e comprendendole così in modo più autentico. Il sito La parola multimedialità non è stata fin qui ancora citata, in controtendenza con quanto ci si poteva aspettare da una soluzione allestitiva di taglio spiccatamente contemporaneo. L’idea infatti è di valorizzare il museo come luogo di oggetti fisici e tangibili, investiti di forti significati e valenze simboliche, ma «agiti» in quanto tali. Le straordinarie possibilità della multimedialità sono demandate a un altrove che è lo spazio del web, la rete come infinita possibilità di rimandi e citazioni ma soprattutto come possibile luogo di protagonismo attivo del visitatore, sia reale che remoto. La tecnologia accompagna ormai l’uomo come una sua estensione, smartphone e ipad ci rendono in ogni momento collegati. Inutile quindi «sporcare» l’allestimento del museo con scatole tecnologiche di minore o maggiore impatto, la fruizione ai contenuti diventa individuale, il senso di comunità si recupera, più allargato e condiviso, nelle piattaforme di scambio del web. Il sito dunque diventa luogo necessario e parallelo all’esposizione fisica del museo. Non si tratta di un sito di carattere informativo o didascalico, ma di un sito «attivatore» sovrapposto al sito istituzionale dei Musei. Il sito del «nuovo» Palazzo San Francesco non deve tradire le caratteristiche di impatto emozionale e spettacolare che suscita la visita reale alle sue collezioni. Si rivolge a una comunità più allargata ma anche più esigente, interessata a livello culturale alla vicenda di questo straordinario ricettacolo di memorie collezionistiche ma anche motivata a livello professionale dalla possibilità di scaricare gratuitamente contenuti e soprattutto immagini di alto potere evocativo per la contemporaneità, da utilizzare in innovativi progetti di comunicazione. Gli oggetti della collezione, restituiti anche attraverso innovative elaborazioni grafiche, sono dunque disponibili gratuitamente accanto ad altre immagini di materiali simili che possono afferire al sito attraverso contatti e link; la lettura delle collezioni storiche sarà riproposta attraverso modalità di story telling e l’elaborazione di mappe concettuali interattive che, a partire dalle collezioni e dai materiali, esploderanno in più complessive visioni d’insieme che rimanderanno a letture sincroniche dello sviluppo della cultura in tutti i suoi aspetti, con particolare interesse per i più complessivi aspetti antropologici suggeriti, o a letture «a soggetto» capaci di intercettare problematiche dell’attualità. La modalità del «blog», aperta da contributi di studiosi invitati periodicamente a proporre riflessioni o ad aprire dibattiti, garantirà la possibilità di un contributo individuale aperto a tutti, con mediazioni di carattere redazionale che consentano di estrapolare dai contenuti degli specialisti più allargate e quotidiane domande in grado di interfacciare anche un’utenza generica. Così pure le dinamiche dei Dj mix (selezione di brani preesistenti, con spiccate individualità autoriali legate alla caratteristica della scelta) e le modalità del «cover» (reinterpretazione o rifacimento di interventi o contributi) si rivela la più adeguata a un re-mix di contenuti culturali di intrigante attualità . Evidente è la simmetria suggerita tra questo approccio tecnologico e le modalità allestitive di «montaggio» e «accrochage» individuale negli allestimenti dei nuovi spazi museali. Al sito e ai nuovi dispositivi allestitivi viene quindi demandato il compito di risignificare i contenuti delle collezioni storiche estrapolandone nuove possibili attualità. Il completo rispetto delle preesistenze (sia di ordinamento che di allestimento) immobilizza la loro storicità e il loro significato collezionistico salvaguardandone anche la piena disponibilità per la comunità degli studiosi e dei conoscitori. Gli interventi di lettura critica si pongono in maniera del tutto individuata e distinta, con caratteristiche di temporaneità e reversibilità, soggette alla precarietà delle interpretazioni e alla parzialità delle necessarie mediazioni di tipo comunicativo. L’istituzione museo, investita negli ultimi venti anni da una straordinaria attenzione anche mediatica che ne ha fatto uno dei luoghi privilegiati del vivere contemporaneo, da depositario di valori indiscussi e immutabili si trasforma in un più mobile laboratorio di idee e dispositivo di sperimentazione. In questo generale processo di trasformazioni in atto il «nuovo» museo di Palazzo San Francesco, forte delle sue tradizioni, potrà offrire un modello di riferimento che aiuti a percepire il passato come nuova e attuale necessità. note 1. F. Ferrari Lo spazio critico. Note per una decostruzione dell’istituzione museale, Roma 2004. 2. E. Grazioli, in Il collezionismo o il mondo come voluttà e dissimulazione, a cura di A. Martegani, E.Grazioli, G. Ricuperati, Milano 2006 3. Dibi Hubermann, L’Immagine insepolta. Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e la storia dell’arte, Torino, 2006. 89