Il problema degli universali da Platone ad oggi e suoi riflessi didattici.
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Il problema degli universali da Platone ad oggi e suoi riflessi didattici.
C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 Il problema degli universali da Platone ad oggi e suoi riflessi didattici. Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica I/1. Carlo Marchini Il tema degli universali è legato ad importanti attività mentali, spesso utilizzate in matematica: –astrazione, –generalizzazione, –universalizzazione, –classificazione. Inoltre è connesso con importanti problemi ontologici. La parola universale, usata nel lessico filosofico deriva dal latino universalis, termine che traduce in modo non preciso più parole (e significati) della lingua greca: ò membri di un insieme omogeneo, oppure ò a cavallo), o anche ò , l’idea o ò , ciò che è comune a , il genere rispetto alla specie (mammifero rispetto , l’essenza che è propria di molti, ad esempio ‘razionale’ riferita agli uomini. 1. Gli universali nella filosofia greca. A Socrate si attribuisce il problema degli universali. Egli assegnò alla filosofia il compito di cercare e definire il concetto. Antistene fondatore della scuola cinica, e Platone, Antistene (436 - 366 a.C.) due scolari di Socrate, sono in accordo, con sfumature diverse, sul negare la possibilità di costruire il Socrate (470 - 399 a.C.) concetto per astrazione. Per Platone universale è opposto a individuale. L' universale è proprio delle idee (ante rem), l' individuale attiene alla rappresentazione sensibile dell' idea. Per Platone la conoscenza umana è il risultato di un contatto con gli universali precedente alla nascita, in quanto non sarebbe possibile ricavare l' universale dai particolari se questi non fossero già anticipati come quei particolari rilevanti e -1- Platone (427 - 347 a.C.) C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 connessi tra loro in base alla preventiva conoscenza della loro essenza universale. Anche per Stoici ed Epicurei l’anticipazione permette di giungere ai concetti generali in quanto i dati dell' esperienza vengono anticipati dalla mente. Per Aristotele l’interrogazione socratica è un procedimento induttivo che astrae da più cose ciò che esse hanno in comune. Per questo sostiene che l' universale non esiste al di fuori delle cose (è in re), ma è l’essenza delle cose stesse. Dall' esame delle cose che l' uomo ottiene la conoscenza, mediante un giudizio, di ciò che è comune ad esse. Aristotele (384 - 322 a.C.) Per lui universale è in contrapposizione a particolare, che si riferisce solo ad alcuni enti dello stesso genere o specie. Negli Analitici posteriori Aristotele fa l’esempio: la somma degli angoli interni di un triangolo equivale a due angoli retti come determinazione universale del triangolo perché appartiene ad esso in virtù della sua essenza ed è proprio perché questa determinazione viene stabilita sulla base dell' essenza del triangolo che essa può essere estesa ad ogni triangolo particolare. Da questa posizione Aristotele conclude che non può esservi scienza se non dell'universale. L' uomo con la sua capacità logica coglie dagli enti l' universale e lo produce come concetto, ma ciò è reso possibile, in ultima istanza, dall' atto del pensiero divino che intuisce le forme come tali (in atto) prima ed al di là di ogni individuazione materiale (in potenza). 2. Gli universali nella filosofia medievale. Punto di snodo tra filosofia antica e medievale è il filosofo neoplatonico Porfirio di Tiro (233 - 305 d.C.) che nel testo Isagoge, vale a dire Introduzione alle Categorie, affronta il problema della natura dei termini universali. Egli parte da un' analisi della definizione aristotelica e specifica cinque forme degli universali, la cosiddetta teoria delle cinque voci. In essa propone che ci siano cinque generi di universali, in funzione di termini Porfirio di Tiro (233 - 305 d.C.) che possono essere soggetto di predicazione, e ne studia i loro rapporti. Per illustrare la gerarchia dei termini da quelli generici a quelli specifici, dal genere generalissimo alla specie specialissima, con termini suoi, escogita l' immagine di un albero logico, il cosiddetto albero di Porfirio, -2- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 in cui il tronco e i rami stanno a rappresentare il rapporto tra l' individuo e l' universale. Un esempio di costruzione di un albero siffatto è il seguente: sostanza corporea animata sensibile razionale incorporea inanimata insensibile irrazionale Socrate, Platone, … La metafora pretende di spiegare come siano possibile percorrere i vari gradi dell' essere, ascendendo o discendendo lungo l' albero. L' albero è ordinato dal basso all' alto secondo un criterio di comprensione. Al genere sommo, quello della sostanza, la cima dell' albero, si subordinano nuove specificazioni, dalla prima delle quali si subordinano nuove specificazioni, fino all' individuo singolare dotato della massima comprensione di caratteri e della minima estensione. E'interessante il tentativo di porre ordine mediante uno schema di diagramma ad albero. Si noti poi che una situazione molto simile c' è nella odierna biologia. La tassonomia prevede infatti una suddivisione di questo tipo, anche in questo caso con uno schema che i biologi chiamano dendrogramma, subordinato dalla comprensione, dal Regno al Phylum, dal Phylum alla Classe, da questa all' Ordine, passando poi dall' Ordine alla Famiglia ed infine dalla Famiglia al Genere e da questo alla Specie. Dunque ci si avvicina al problema della classificazione, così come interpretato da Linneo. da Linneo. Porfirio però si astiene dal suggerire una soluzione come vera, ma si limita ad indicare possibili vie da seguire per trovare una soluzione. Karl von Linné (1707 – 1778) Le idee di Porfirio vengono riprese da Severino Boezio, traduttore della Isagoge, che nel panorama del Cristianesimo imposta di nuovo il problema degli universali spostandolo dall' ambito logico a quello teologico. Boezio non risolve il problema degli universali, ma, e questo è uno dei sui meriti maggiori, scorge il legame tra pensiero ed espressione verbale: l' intelletto Severino Boezio (480 - 524) -3- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 conosce o comprende le cose, la parola che designa il concetto. Le nozioni possedute dal nostro intelletto corrispondono ad enti reali in sé e poi nel nostro intelletto sussistono nozioni universali definibili mediante concetti, oppure tali nozioni universali si riducono a nomi, a voci non significative d' altro che di sé medesime? In Boezio sono riassunte varie posizioni della filosofia antica ed anticipati (talora implicitamente), i motivi del dibattito centrale nella filosofia scolastica: il problema degli universali. Accanto ad esso si sviluppa il problema del linguaggio e del suo rapporto col pensiero. 3. Il problema degli universali. Si possono grossolanamente suddividere le varie scuole di pensiero sul problema degli universali secondo tre grandi filoni. La più diffusa è un' interpretazione platonico-agostiniana o realista degli universali, sostenuta da S.Anselmo d'Aosta (1033 - 1109) e ripresa da Guglielmo di Champeaux (1070 - 1121) in base alla quale gli universali sono realtà o idee effettivamente esistenti nella mente di Dio. Il pensiero quindi rimanda ad una struttura ontologica che sta al di sopra della realtà materiale empirica del mondo (ante rem). Tale struttura costituisce l' essenza e svolge il ruolo di modello della creazione. Guglielmo di Champeaux dapprima sostiene che i generi e le specie hanno una realtà sostanziale (in re) e formano l' essenza comune degli individui che differirebbero solo per gli accidenti. Sotto l' impulso delle critiche mossegli da Pietro Abelardo, Guglielmo di Champeaux cambiò opinione sostenendo poi che l' universale non è una cosa essenzialmente identica nei singoli, ma che è solo un' identità di indifferenza, cioè che individui della stessa specie pur essendo tra loro distinti, non sono apprezzabilmente differenti e in questa non-differenza consiste l' universalità del Pietro Abelardo (1079 - 1142) genere e della specie. Con il termine nominalismo si identifica la posizione di Roscelin de Compiègne (Roscellino) (1050 - 1120). Dei suoi scritti non è rimasta che solo una lettera al suo scolaro Abelardo. Le sue posizioni filosofiche ci sono state tramandate attraverso i giudizi dei suoi avversari che forse peccano di partigianeria. Secondo Roscellino esistono solo gli individui, i concetti universali non hanno alcun corrispettivo nella realtà e sono solo nomi, nel senso restrittivo di suoni (flatus vocis), cioè alterazioni fisiche delle corde vocali e vibrazioni atmosferiche. -4- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 La sua posizione lo portò a negare la Trinità sostituendola con il triteismo e per questo venne condannato dal concilio di Soisson. In un senso lato Roscellino è visto come anticipatore di certe idee dell' empirismo. Pietro Abelardo prende posizione contro entrambi i suoi maestri facendo osservare che sia il realismo che il nominalismo attribuiscono agli universali, pur su piani diversi, la natura di «cosa», res. I primi individuandone l' essenza trascendentale, i secondi la vox. Invece l' universale non è nulla di materiale che sia negli individui o fuori di essi, l' universale è conceptus o sermo predicabilis, «significato» logico-linguistico nel senso di ciò che si può predicare di molti. L' universale non è una cosa in quanto fa da predicato in quanto res de re non praedicatur, ma non è neppure una semplice funzione astrattiva perché è qualcosa di essenziale degli individui stessi. Questa posizione è nota col nome di concettualismo ed è evidentemente influenzata dalla logica stoica. Queste tre linee di pensiero trovano sintesi e conciliazione nella dottrina di S. Alberto Magno e di S. Tommaso d'Aquino. Per essi, in Dio l' universale è l' idea, la ragione eterna, l'esemplare delle cose create, la forma di cui aveva parlato Platone e perciò ante rem. Nelle cose create l' universale è ancora reale, ma è S. Alberto Magno (1205 - 1280) individuato in re come forma presente nella materia data da Dio con la creazione. E'quindi possibile per la mente umana ricavare l' universale visto come intentio formae per astrazione dalle cose particolari, trasformandolo così in conceptus mentis ed infine in parole e segni convenzionali. S. Tommaso d'Aquino (1221 - 1274) L' universale sarebbe quindi post rem. Il problema degli universali ebbe poi una "coda" nell' opera di Duns Scoto il quale rifiuta l' impostazione che vede come oggetti propri dell' intelletto le essenze astratte delle realtà materiali. Tra gli individui di una stessa specie intercorrono legami precisi, espressi dalla presenza in essi di una natura communis, cioè di una comunanza fisica che li attraversa e dalla quale è possibile passare al singolo individuo mediante un incremento formale, detto haecceitas. -5- Duns Scoto (1265 - 1308) C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 Il panorama della logica medievale sul problema degli universali si conclude con Guglielmo di Occam. Per lui l' universale torna ad essere un ens rationis, rifiutando una interpretazione realistica. L' universale non é né in re, né ante rem, in quanto «Entia non sunt praeter necessitatem multiplicanda», formulazione del cosiddetto rasoio di Occam. Secondo il filosofo la realtà è tutta individuale: l' universalità è il risultato dell' azione dell'intelletto che raccoglie sotto un unico segno mentale (il concetto generico o specifico) gli individui contraddistinti da particolari gradi di somiglianza. Occam si può fare rientrare in tutte e tre le correnti di pensiero sopra delineate: l' universale per lui non è frutto di una convenzione arbitraria, ma è un segno Guglielmo di Occam (1280 - 1349) naturale delle cose particolari. Il significato dei concetti è garantito dalla supposizione (suppositio) in particolare dalla supposizione personale che si dà quando il termine, all' interno di una proposizione, mantiene la sua capacità di rinviare a precise realtà individuali. Un altro tipo si supposizione, detta semplice si dà quando il termine suppone per un significato mentale e consente di riferirsi all' universo logico, mediante i termini delle proposizioni che le costituiscono. 4. Gli universali nella filosofia moderna La polemica sugli universali perde molto del suo vigore nella filosofia moderna e contemporanea. Francesco Bacone (1561 - 1626) Cartesio (1596 - 1650) Si possono constatare nelle opere di singoli filosofi, quali Francesco Bacone, Cartesio e Spinoza oscillazioni tra aspetti nominalistici e realistici. Malebranche propone un particolare realismo, Hobbes, Berkeley e Hume e sostengono l' ipotesi nominalista; il concettualismo è adottato dai Giansenisti e da Locke. Malebranche (1638 - 1715) Hobbes (1588 - 1679) Berkeley (1685 - 1753) Hume (1711 - 1776) -6- Baruch Spinoza (1632 - 1677) Locke (1632 - 1704) C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 Kant può essere ritenuto un concettualista, seppure in modo del tutto personale, data l' interpretazione che egli dà del concetto. Hegel, il romanticismo e l' idealismo italiano tornano ad essere realisti. Anzi Hegel propone che l' universale (tesi) si unisca dialetticamente al particolare (antitesi), senza confondersi con Kant (1724 - 1804) esso (sintesi), dando origine ad un universale concreto. Nella filosofia del positivismo, da un lato si assiste ad una Hegel (1770 - 1831) ulteriore diminuzione di importanza accordata alla speculazione sugli universali, dall' altra ad una attenzione al problema della classificazione, che richiama tale tema, a partire dalla classificazione delle Scienze di Comte, tema ripreso anche da Spencer (1820 - 1903). Comte (1798 - 1857) In Italia Ardigò scriveva nel 1870 che «La scienza va in cerca di fatti; osservando e sperimentando, li trova, li nota, li accetta; poi li confronta e li distribuisce secondo le somiglianze e ne forma dei gruppi distinti, sui quali leva le prime generalità; in seguito paragona tra loro queste generalità prime e le distribuisce in categorie e ne astrae generalità superiori … così si forma la scienza, la quale viene ad essere, per tal modo, un Ardigò (1828 - 1920) grande quadro sinottico o una classificazione dei fatti» e in altro passo: «il fatto è divino; l'astratto invece lo formiamo noi, possiamo formarlo più speciale o più generale; dunque l'astratto, l'ideale, il principio è umano». Traendo spunto dal Corso di linguistica generale di de Saussure, pubblicato nel 1916, la corrente filosofica dello strutturalismo sostiene che una medesima struttura opera in popoli ed in situazioni differenti, spostando quindi l' attenzione dai più tradizionali universali relativi a qualità e concetti, a quello di strutture invarianti. de Saussure (1857 - 1913) 5. Gli universali e il linguaggio. Il problema degli universali è legato al linguaggio, uno degli strumenti più importanti per l’acquisizione della conoscenza -7- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 Il linguaggio esprime qualche cosa di più significativo e profondo della parola come suono sensibile? Oppure non esiste altra realtà oltre a quella degli individui, cosicché la parola si identifica con il pensiero, divenendo un segno non pregnante di significazione universale? Bisogna decidere se l' universale sia pensabile o se al contrario la mente non possa che intuire immagini particolari. E'una polemica sorta tra Antistene e Platone. Il cinico obiettava a Platone che si vedeva uno specifico cane, non il cane. Lo stesso problema c' è poi con la conoscenza. Il fondamento della conoscenza si pone su queste basi: è l' esperienza del particolare oppure c' è una posizione ontologica che presuppone, all' atto del pensiero, l' universale come ente? Se il reale è il particolare dato dall' esperienza, il processo formativo dell' universale è l’astrazione e il rapporto in esso tra l' estensione e la comprensione sarà "inversamente proporzionale" come nell' albero di Porfirio. Se l' intelligibile è dato dalla realtà primordiale, al di fuori di ogni processo astrattivo, la conoscenza sarà basata su un' impostazione realistica ed il problema coinvolgerà anche la metafisica. Nella Grammatica di Port Royal del sec. XVII si pone il problema degli universali del linguaggio, cioè le proprietà e i meccanismi comuni a tutte le lingue sulla base del postulato che la lingua è una rappresentazione del pensiero logico e identificando l' ordine naturale dei pensieri con quello che si esprime mediante il linguaggio parlato. I giansenisti francesi giungono a dire che tale ordine è quello della costruzione della frase francese, ma una critica anche recente vede in questo problema un tipico atteggiamento di eurocentrismo che non regge alla prova delle lingue non di matrice indoeuropea. 6. Gli universali e la Scienza. La presenza degli universali nella cultura scientifica è testimoniata dall' opera di Linneo che riprende la distinzione aristotelica tra genere e specie per costruire una nomenclatura binomia con cui classificare gli esseri viventi. Ad esempio il (?) (un?) leone viene indicato come Felis leo, in cui il primo nome è quello del genere, il secondo quello della specie. Un problema irrisolto è cosa sia la specie leo, se la totalità o meno dei leoni viventi, vissuti e che vivranno oppure l’universale, come carattere comune di animali che incrociandosi dànno origine a prole feconda. -8- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 E il Dodo dodo? Fa riflettere inoltre il seguente esempio di due frasi linguisticamente ‘equivalenti’ Il lupo ulula Il lupo è in via di estinzione 7. A chi e a cosa servono gli universali. A cosa servono gli universali e a chi servono? Una mente perfetta non ha bisogno di universali. Nell' impostazione del realismo, gli universali sono presenti nel mondo iperuranio che tale mente comprende o addirittura contiene. Se gli universali sono in re (Aristotele), la conoscenza completa del mondo concreto comprende anche quella degli universali. E'evidente allora che il problema si pone per l' uomo o per ogni mente imperfetta. Gli universali svolgono due ruoli: uno conoscitivo ed uno espressivo. Sono uno strumento conoscitivo che permette di distinguere tra specie e genere, per restare nella tradizione filosofica, quindi di evidenziare similarità e differenze, ma questa individuazione si comunica poi mediante il linguaggio ed allora c' è bisogno di termini linguistici che esprimano in modo adeguato quanto il pensiero ha individuato (se non costruito). E'evidente che la comunicazione si svolge sia a livello contingente: «questa mela», sia a livello meno contingente, «la rosa è profumata». La struttura stessa del linguaggio (indoeuropeo) costruisce la frase mediante predicati verbali o nominali che pongono in relazione enti con loro proprietà e queste proprietà sono specifiche: «Galileo è figlio di Vincenzo» oppure fanno riferimento agli universali «Galileo è astronomo». E'attraverso l' esperienza concreta e fantastica comunicata dal linguaggio che si generano anche nei bambini il primo contatto con questo problema. «Zio» è chiaro anche a bambini che non abbiano parenti, dato che Paperone è zio di Paperino. C' è quindi un continuo uso e riferimento a ciò che nella tradizione filosofica è "etichettato" con universale. 8. Gli universali e la Matematica. La Matematica si occupa di cose concrete? -9- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 Questa domanda ha risposta assai complessa. Il successo della Matematica nelle altre scienze ha mostrato che la nostra scienza è applicabile alla Natura. Galileo Galilei diceva che la Matematica è il linguaggio in cui è scritto il libro della Natura. Oggi forse questa è una posizione non condivisa. La Matematica ha un suo contenuto diverso da quello della realtà contingente, anche se molti problemi sono suggeriti dall' esperienza. Ci sono però numerosi esempi di attività matematica che non sono sorti da problemi ‘concreti’, ma si sono evoluti partendo da una specie di curiosità Galileo Galilei (1564 - 1642) intellettuale. Il corpus delle conoscenze che oggi viene socialmente ritenuto Matematica tratta di vari aspetti, alcuni dei quali certamente molto lontani dalla verificabilità immediata. In questo senso il problema della esistenza degli enti matematici è assai vicino al problema degli universali. Si può pensare che si tratti di una questione assai lontana dalla materia che viene insegnata nella scuola, ma così non è. In base ai programmi di varie scuole, si può dire che vengono effettuate dal legislatore scelte precise sulla natura degli enti matematici e spesso l' insegnante non si rende conto che le nozioni che presenta sono il frutto di nette prese di posizione di carattere epistemologico. C’è poi da analizzare come avviene la lezione di Matematica, specie se inserita in una impostazione trasmissiva più o meno dialogata. La sequenza ‘esempi, spiegazione, esercizi’ si colloca diversamente secondo l’ipotesi che si adotta sulla natura e il ruolo degli universali. Cosa intende comunicare l’insegnante con gli esempi? A cosa mira la spiegazione? Qual è il ruolo degli esercizi? Si tratta di fare riconoscere l’idea o di fare maturare l’astrazione o più semplicemente una forma di apprendistato pratico? In ambito matematico il ritorno del problema degli universali si è avuto con la nascita della Logica matematica. L' atteggiamento abbastanza comune agli studiosi di Logica matematica è stato quello di evitare prese di posizione filosofica nel problema degli universali, come mostra la tendenza ad un' impostazione basata più sull' estensione che sull' intensione. La dialettica intensione - estensione si ritrova in molti casi di interesse didattico. Uno esempio per tutti, l' eguaglianza nelle sue molteplici applicazioni. Ad esempio mantenendosi nell' ambito estensionale, l' eguaglianza diventa eguaglianza di estensione. -10- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 Il privilegio degli aspetti estensionale comporta un atteggiamento ben preciso che traduce le proposizioni in cui il soggetto è un universale sostituendolo con un quantificatore universale. Così l' affermazione «L'uomo è mortale» viene ‘tradotta’ in «Ogni uomo è mortale» che si presta ad una più immediata trascrizione simbolica. L' introduzione degli insiemi dovuta a Cantor esprime in modo tipico l' atteggiamento estensionalista: non si tratta dell' universale in sé ma si trattano i soggetti in quanto membri di un insieme. Anzi, l' oggetto degli studi è proprio fornito dagli insiemi, prescindendo dalla natura degli elementi e due insiemi vengono ritenuti eguali quando hanno gli stessi elementi (principio di estensionalità). Cantor (1845 - 1918) Il problema degli universali però riappare in un secondo momento quando si studia il concetto di proprietà o frase aperta, che viene utilizzata per descrivere, mediante comprensione, un insieme dato per caratteristica. Così se a = {x | A(x)}, nel principio di comprensione secondo cui x∈a ↔ A(x); l' affermazione A(x) assume, nella terminologia filosofica, la ratio communis mediante la quale i "molti" si configurano in un uno. Il problema della natura delle proprietà è esattamente lo stesso problema degli universali. In Logica matematica lo si evita sostituendo alla proprietà una formula di un linguaggio (definibile formalmente), ma ciò vuol dire ridurre in maniera sbrigativa la ricchezza dell' intuizione alla capacità espressiva di un linguaggio, per altro assai semplice. Sempre sulla base del principio di comprensione, si considera la formula x∉x. Forse questa formula può causare qualche dubbio di carattere epistemologico. È un esempio di formula impredicativa. Solitamente si cerca di evitare tali tipi di formule per il sospetto di circolo vizioso che portano con sé. Nella matematica tradizionale vi sono molti casi di situazioni analoghe. Ora porre x∉x fa nascere il sospetto di una sorta di circolo vizioso: per dare x si devono dare prima i suoi elementi ma tra essi c' è proprio x e quindi questa assegnazione non è possibile. Ovviamente se x è dato con una proprietà può essere banale provare che x∉x; anzi il circolo vizioso può non apparire tale. -11- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 In questa posizione c' è una componente ontologica da discutere: se esistono solo gli insiemi che si sanno costruire mediante formule del linguaggio adeguato, x∉x è una formula scorretta; se gli insiemi hanno una loro esistenza indipendente dalle strategie rappresentative utilizzate, la formula x∉x rappresenta solo la descrizione di un fatto, quindi non è scorretta. Non ci sono motivi puramente logici per escludere x∉x, anche se tale esclusione può essere utile. Russell in una lettera a Frege accentrava l' attenzione sulla formula x∉x. L’applicazione ad essa del principio di comprensione porta ad un paradosso, noto col nome di Paradosso di Russell. Ma la formula può essere vista come espressione di un universale. Il fatto che l' assioma di comprensione ipotizzato Russell (1872 - 1970) esplicitamente da Frege, ma presente implicitamente nella tradizione filosofica a partire dagli stoici ed anche nel linguaggio, porti al paradosso di Russell può essere Frege (1848 - 1925) visto come una spia della insolubilità del problema degli universali. Accanto alle frasi aperte il problema degli universali si riflette nell' uso delle variabili o indeterminate, anzi delle due dizioni è meglio utilizzare la seconda in quanto tali simboli non significano niente, come afferma Carnap, ma stanno solo per qualunque termine si voglia sostituire correttamente. Carnap (1891 - 1970) Di diverso avviso è Church che vede le indeterminate come nome ambiguo per una classe di oggetti. Church (1903 - 1990) Più in generale Quine pensa di superare il problema degli universali formulando una logica neutrale. Il tentativo più "astratto" di tale logica è la proposta di Hilbert che sembra attribuire valore solo alla dimostrabilità della coerenza di una teoria all' interno della stessa teoria. Ma proprio Quine etichetta come formalismo tale proposta, in Quine (1908 - 2000) quanto nega ogni entità puramente mentale a quanto indicato Hilbert (1862 - 1943) dalle indeterminate; la Logica diviene così un operare pragmatico su formule prive di significato. La critica di Quine si estende anche: – all'intuizionismo, dato che questa corrente di pensiero ammette che le indeterminate possano riferirsi a entità elaborate dalla mente del soggetto -12- Brouwer (1881 - 1966) C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 creativo (Brouwer) – al logicismo che prevede che le indeterminate si riferiscano ad entità del tutto astratte, indipendenti dalla mente la quale può solo scoprire, non creare. In un certo senso Quine riconduce quindi le posizioni sui fondamenti elaborate nel XX secolo alle correnti del realismo, del concettualismo e del nominalismo. Per quanto riguarda l' individuazione delle proprietà comuni, essa ha molteplici usi nellla vita quotidiana e nella scienza. L' individuazione di una regolarità in un fenomeno matematico o naturale porta alla formulazione di leggi che possono rimanere tali nelle scienze sperimentali o trasformarsi in assiomi o definizioni nella matematica. Nell' impostazione intuizionista di Brouwer, il principio ispiratore di tutta la conoscenza matematica la duità, cioè la capacità di ciascuno di riconoscere ciò che permane invariato e ciò che muta basandosi sull' intuizione a priori del tempo, secondo Kant. Dunque la Matematica secondo lo studioso olandese è strettamente legata al soggetto pensante ed alla sua gestione degli universali che si manifestano alla sua coscienza. Nella prassi matematica convivono idee assai diverse che talora possono risultate conflittuali, ad esempio – nell' eguaglianza; – nella nozione di funzione, e più in generale di relazione, in cui convivono aspetti estensionali ed intensionali. La legge, con cui viene identificata talora la funzione è un tipico esempio di uso degli universali. 9. Omogeneità ed eguaglianza. Nell’intuizione è presente un principio di omogeneità che forse si può porre a fondamento della teoria degli insiemi. I giovani che hanno un primo approccio agli insiemi, sembrano essere in difficoltà se viene loro mostrato un insieme di oggetti disomogenei, ad esempio lettere dell' alfabeto, numeri ed automobiline. La richiesta di omogeneità emerge proprio in situazioni di questo tipo. L' analisi di testi scolastici sembra ribadire il principio di omogeneità, come se si trattasse di una richiesta non esplicitata, ma ben presente, una sorta di convenzione tra libro e docenti e tra i docenti -13- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 e gli studenti. Va invece combattuta questa posizione, almeno al momento della introduzione degli insiemi per fare cogliere agli studenti la totale arbitrarietà della natura degli elementi. Viene da chiedersi se tale concetto (un universale?) sia presente anche nei filosofi che si sono occupati del problema. La risposta non è banale, perché bisognerebbe affrontare i testi originali. Nella teoria degli insiemi è facile provare che la considerazione di insiemi arbitrari porta a considerare anche collezioni di oggetti che non sono identificabili con proprietà del linguaggio, dato che tali proprietà sono al più una infinità numerabile. Se quindi l' omogeneità si presta ad essere espressa in termini linguistici, strumento usato i filosofi antichi e moderni, ci sono sicuramente insiemi i cui elementi non soddisfano tale criterio. Ora essere omogeneo non è la proprietà di un oggetto in sé, dato che l' omogeneità è una proprietà di un oggetto in rapporto ad altri. Ad esempio si trovano esercizi sulla Settimana Enigmistica che chiedono di trovare "l' intruso" in certe situazioni verbali o grafiche in cui sono elencati o raffigurati quattro o cinque elementi. In questo senso se si accetta un principio di omogeneità, non ha senso considerare insiemi di un solo elemento. Essere omogeneo ad altri si può esprimere dicendo avere la stessa proprietà. Ma così facendo si introduce la tematica della identità e della eguaglianza: due oggetti sono omogenei se hanno eguali proprietà. Ma l' identità è un problema filosofico antico. Per Aristotele l' identità è quella relazione logica che ogni oggetto ha con se stesso. Il principio di identità è allora l' affermazione A=A che si trova nei Topici di Aristotele, come presupposto fondamentale di ogni dimostrazione logica. Questa posizione verrà ripresa da Dag Prawitz nel 1965 con sua proposta di un sistema di deduzione naturale. Euclide (attivo attorno al 300 a.C.) nelle nozioni comuni scardina questa idea affermando che Dag Prawitz (n. 1936) due cose eguali ad una terza sono eguali tra loro, ponendo che due cose possano essere eguali, quindi estendendo l' identità all' eguaglianza. Bisogna aspettare Frege per avere una rigorosa formulazione logica. Frege distingue negli enunciati il ruolo del verbo essere negli enunciati di identità ed il suo ruolo predicativo, interpretando l' eguaglianza come una proprietà universale. -14- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 Di conseguenza i nomi devono essere distinti dai predicati. La caratterizzazione in termini ontologici della nozione di identità è sottoposta alla critica di Wittgenstein il quale osserva che «dire di due cose che sono identiche è un non-senso, dire di una che è identica a sé stessa, non dice nulla». E'possibile interpretare semanticamente la relazione A = B, affermando che è vera se A e B denotano lo stesso ente. Wittgenstein (1889 - 1951) C' è però da capire come interpretare un enunciato, proposto da Frege: «la stella del mattino è la stella della sera». In questa frase non c' è motivo logico per riconoscere che essa sia vera. Il fatto che entrambe le designazioni si riferiscano al pianeta Venere è frutto di risultati astronomici, diversi da quelli logici. Sapendo ciò la frase diviene «Venere è Venere» che stavolta è logicamente accettabile. Così mentre la prima affermazione ha un contenuto informativo non banale, la seconda che pure "è" la stessa, non fornisce informazione. La soluzione di Frege è quella di distinguere tra senso e denotazione: – la denotazione di un' espressione è quella rilevante ai fini della verità, – il senso corrisponde ai diversi modi con cui ci si possa riferire all' oggetto. Questo porta a distinguere tra – principio di identità estensionale, cioè due insiemi sono eguali se hanno gli stessi elementi, – principio di identità intensionale, o definizionale, cioè l' identità nel modo di presentare l' oggetto. Un esempio matematico di questi modi d' intendere si ha nella formulazione del principio di identità dei polinomi. Anzi Curzio, Longobardi, Maj nel testo Lezioni di algebra, Liguori, Napoli, 1994, usano un' ulteriore specificazione introducendo i polinomi identicamente eguali, con la sorpresa che due polinomi identicamente eguali possono essere … diversi. Nello stesso periodo di Frege, Maxwell e Mach, analizzando gli assiomi dell'eguaglianza, rilevano come tali assiomi traducano dei fatti fisici, il verificarsi dei quali costituisce la condizione necessaria perché la realtà ammetta una rappresentazione concettuale. Mach (1838 - 1916) C' è infatti nell' eguaglianza una evidente ipotesi metafisica. Come dice Mach nel 1868 affermare che -15- Maxwell (1831 - 1879) C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 due masse eguali ad una terza siano eguali tra loro ha senso per Galilei o Newton che accolgono l' ipotesi di Democrito di una sostanza omogenea che costituisce gli atomi, diversi solo per forma e dimensione, equivale ad accettare un postulato geometrico in base al quale la massa non è altro che la quantità di materia, quindi il volume complessivo degli atomi. Newton (1642 - 1727) Si tratta quindi di accettare questo principio a priori. Mach rifiuta l' ipotesi metafisica e sostituisce al concetto di massa, quello di Democrito (460 - 370 a.C.) rapporto di masse mediante effettive esperienze in cui vengano confrontate le masse da misurare. Questo tipo di analisi viene condotto da Maxwell sul concetto di temperatura. In entrambi i casi il principio detto è un a posteriori. Per, Helmholtz quando si isola mentalmente, per astrazione, un attributo dei corpi, comparandoli sotto un certo rapporto, si pone un’eguaglianza se la relazione fisica considerata soddisfa la condizione che da a = c e b = c si possa dedurre a = b. Tale postulato è presupposto se si vuole attribuire all' eguaglianza la proprietà, individuata da H. Grassmann, cioè che si possa dire uguale ciò di cui si possa dire lo stesso, o più in generale, Helmholtz (1821 - 1894) ciò che può essere sostituito in ogni giudizio di una data specie. Dunque H. Grassmann (1809 - 1877) un' eguaglianza desumibile a posteriori. Nei sistemi formali odierni, solitamente, viene posta l' eguaglianza come un simbolo primitivo (a priori) come un predicato binario riflessivo (cioè ∀x(x = x)) e sostitutivo, nel senso di Helmholtz e Grassmann. Il principio di sostitutività ha come conseguenza le proprietà simmetrica e transitiva, nomi dovuti a De Morgan, mentre di proprietà riflessiva parla per primo Vailati, dando nome diverso al De Morgan (1806 - 1871) principio di identità di Aristotele. In realtà il filosofo greco vede tale principio come una verità assoluta, Vailati punta l’attenzione sulla proprietà della relazione di eguaglianza, coì come proposto da De Morgan. Vailati (1863 - 1909) Altra dizione per il principio di sostitutività è principio di indiscernibilità degli identici, dato che esso afferma che due enti eguali soddisfano le stesse richieste (universali). A queste richieste Leibniz (1646 - 1716) aggiunge il principio di identità degli indiscernibili, vale a dire la richiesta che due enti che non possano essere distinti da alcuna proprietà, sono da ritenere identici. Leibniz (1646 - 1716) -16- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 L' eguaglianza tra i simboli primitivi comporta problemi in ambito non puramente estensionale, quando intervengono operatori modali quali «è necessario…», «è sufficiente…» o operatori epistemici quali «sa…», «crede…». Ad esempio l' affermazione «Galileo sa che Venere è la stella del mattino» non permette di sostituire Venere con la stella del mattino, perché il contenuto informativo di «Galileo sa che la stella del mattino è la stella del mattino» è diverso. Si può negare validità al principio di sostitutività, oppure negare che la verità dipenda solo dalla denotazione delle espressioni, ma bisogna far intervenire anche il senso delle stesse, oppure accettare che i nomi e i termini singolari siano solo come etichette. Questa situazione verrà parzialmente risolta dalla introduzione nel 1965 della semantica di Kripke. Kripke vede negli operatori modali funzioni da applicare all' intensione di un predicato, come una funzioni che associano, in corrispondenza a diverse circostanze, a diversi mondi possibili, diverse estensioni, diversi valori di verità. Saul Kripke (n. 1941) Nasce allora il problema delle condizioni in base alle quali gli enti, in differenti contesti possibili, vadano considerati come un unico ente. 10. Astrazione ed induzione. L' astrazione è connessa con gli universali: Platone nega sia un processo conoscitivo, mentre Aristotele la ritiene strumento conoscitivo fondamentale. Nel medioevo sulle orme S. Agostino e di Plotino la tradizione platonica è sostenuta da Pseudo Dionigi (V sec.), Scoto Eriugena S. Agostino (354 - 430) (IX sec.), S. Anselmo, S. Bonaventura, Nicola Cusano. S. Tommaso d'Aquino, riprende ed integra la visione aristotelica. Plotino (205 - 270) Il problema sorge come polemica dei Sofisti con Socrate (e Platone). Per i Sofisti i dati dei sensi ed il relativismo ad essi inerente rendono impossibile un vero universalmente valido. Socrate con la dottrina del concetto, di fronte alle incertezze della S. Bonaventura (1217 - 1274) conoscenza sensitiva, obietta presenta come certezze indubitabili -17- Nicola Cusano (1401 - 1464) C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 quelle della matematica e della metafisica. Così Socrate con la dottrina del concetto metteva in evidenza il valore universale della conoscenza intellettiva rendendo possibile il colloquio tra gli uomini e dando un fondamento alla Scienza. Aristotele riconosceva valore alla conoscenza intellettiva dei concetti generici e specifici, dei concetti matematici e metafisici, ma non esclude che la conoscenza intellettiva dipenda dalla conoscenza sensitiva. A riprova chi manca di un senso a causa di tale carenza non riesce ad avere la conoscenza intellettiva degli oggetti percepibili con quel senso. Inoltre il progresso nella conoscenza sensitiva porta ad un progresso di quella intellettiva. Il nostro intelletto, prima di conoscere con i sensi è una tabula rasa. Per spiegare come sia possibile derivare concetti dai sensi, Aristotele ipotizza la presenza di un' intelligenza specifica per la conoscenza intellettiva. Impiega la metafora della luce: senza una luce che illumini gli oggetti, gli occhi non li percepiscono, così senza la luce intellettuale che illumina i fantasmi degli esseri corporei presenti nell' anima, non si ha la conoscenza intellettiva. Aristotele definisce la luce intellettuale come intelletto attivo, contrapposto all' intelletto possibile. Il primo è come l' arte che può fare tutto, il secondo come la materia che diviene tutto. In De anima dice «Come gli oggetti sensibili sono quelli che direttamente muovono i sensi, così direttamente muovono l'intelletto i fantasmi, sicché l'anima non ha nessuna intellezione se non ci sono i fantasmi…L'intelletto acquista i concetti mediante l'astrazione… Così pure è degli enti matematici, i quali, benché non siano realizzati se non nella materia, sono però concepiti come astratti e separati dalla materia» ed aggiunge «Nel mondo della nostra esperienza non esistono cose che non siano estese e sensibili; perciò le nature intelligibili, sia quelle che sono dette esistere nell'astrazione, come gli enti matematici, sia quelle che rappresentano le proprietà delle cose sensibili, esistono nelle forme sensibili…I concetti non sono fantasmi, ma non si possono avere senza i fantasmi». S. Tommaso riprende e approfondisce le tesi aristoteliche. Per lui la conoscenza intellettiva deve basarsi su universali perché non è in grado di raggiungere la singolarità propria di ciascuno. Questa conclusione è argomentata dal fatto che in presenza di due gemelli identici non siamo in grado di distinguerli. Perciò il nostro intelletto conosce direttamente e propriamente solo l' universale. -18- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 Ma dato che l' astrazione è operata sui fantasmi e i fantasmi si riferiscono agli esseri singolari, i singolari sono percepiti dall' intelletto come gli enti in cui si attuano le nature intelligibili universali. Perciò Pietro e Paolo sono percepiti dai sensi nella loro singolarità concreta e conosciuti intellettivamente come realizzanti le nature di essere, di sostanza, di vivente, di uomo e con le caratteristiche secondarie che li caratterizzano. La metafora dell' artista e del pennello è usata da S. Tommaso per illustrare come i fantasmi agiscono sull' intelletto conoscitivo. Un pittore si serve del pennello, per ottenere un determinato effetto. Nel dipingere i colori vengono disposti sulla tela, ma la disposizione dei colori non dipende dal pennello, bensì sulla base di un' idea esistente nella mente del pittore. Chi agisce è il pittore, la sua azione passa attraverso il pennello che concorre con le sue caratteristiche alla realizzazione dell' opera. Così i fantasmi (pennello) agiscono sull'intelletto conoscitivo (tela) come strumenti, con le loro virtù proprie, alla luce dell' intelletto attivo (pittore). Per il pensiero aristotelico-tomistica, l' astrazione non è cognizione, ma precede la cognizione; è piuttosto la produzione dell' intelligibile, non il possesso dell' intelligibile in cui consiste la cognizione e da cui ha origine la scienza. L' intelletto attivo che produce l' intelligibile, non è intelligenza, ma luce intellettuale. L' intelligenza afferra l' intelligibile, lo penetra, lo sviscera, lo fa divenire affermazione e ragionamento. L' astrazione non è un'operazione intellettiva, ma è originaria ed inconscia. Dà origine all' universale, ma questa origine non è dovuta a una riflessione su alcuni o molti concetti singolari, che si riferiscono a enti singolari, da cui si colga ciò che vi è di comune e si trascuri ciò che è particolare. Questo processo che è presentato da Aristotele come induzione. Essa ha per oggetto "comportamenti" comuni di diversi agenti singolari, indipendenti dalle circostanze particolari degli agenti e perciò modi di agire di nature universali esistenti in quegli agenti. Se l' astrazione fosse cogliere il comune e tralasciare il particolare sarebbe un' induzione; essa presupporrebbe diverse cognizioni precedenti, non sarebbe la prima produzione dell' intelligibile. Con l' induzione è colto in molti individui ciò che è simile o identico, ma non un vero universale, in quanto si tratta di sostanza individuata che potrebbe essere presa come rappresentante degli individui simili, non ne costituirebbe l' universale. L' astrazione libera la natura identica degli individui dalla materializzazione, la fa intelligibile in atto La corrente platonico-agostiniana interpreta, l' astrazione come discriminazione tra sostanza individuale e accidenti. Ciò perché come specifica De rerum principio, un testo attribuito a Duns Scoto, ma che pare essere di Vitale dal Forno (1260 - 1327) -19- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 «Prius cognoscit intellectus singulare quam universale; impossibile est enim quod rationem universalis ab aliquo abstrahat nisi id, videlicet a quo, abstrahit, precognoscat». Ma in questo modo l' universalizzazione diviene una semplice generalizzazione e l' astrazione una forma di induzione. Per Guglielmo di Occam (e la filosofia moderna), l' astrazione è una generalizzazione, conseguente alla cognizione dei singolari. L' intelletto attivo è quello conoscitivo e per la conoscenza intellettiva non è necessario il concorso dei fantasmi. Kant usa esplicitamente l' astrazione come isolamento degli elementi a priori della conoscenza. Solo Husserl riprende interesse per l' astrazione. Scrive nelle Ricerche Logiche: «Mentre abbiamo presente un oggetto rosso, messo in particolare rilievo il suo rosso, noi (producendolo) intendiamo (intellettivamente) il rosso, e lo fissiamo con una conoscenza di nuovo tipo, in virtù della quale diventa per noi oggetto la specie invece dell'individuo…Partendo da un oggetto dato, formiamo la nozione specifica mediante l'astrazione, concepita però in senso diverso da quello della psicologia Husserl (1859 - 1938) empiricista…L'atto con cui intendiamo intellettivamente lo specifico è essenzialmente diverso da quello con cui intendiamo l'individuale, sia questo un tutto o la parte di un tutto». 11. Astrazione in Matematica. Nella Matematica l' astrazione è usata spesso per fornire definizioni. Un primo esempio si ha nel V libro degli Elementi in cui Euclide presenta la teoria delle proporzioni di Eudosso di Cnido (408 - 355 a.C.). Per tale teoria il rapporto ( ) di due grandezze viene definito per mezzo dell' eguaglianza di rapporti: il rapporto a:b si dice eguale al rapporto c:d qualora per ogni n,m∈N, se ma > n b oppure ma = nb oppure ma < nb, rispettivamente si ha mc > nd ; mc = nd ; mc < nd. Il processo di astrazione si trova poi codificato nella matematica moderna nel passaggio alle classi di equivalenza, quindi connesso con relazioni di equivalenza. Così i caratteri comuni a più enti trovano nella classe che li ‘raccoglie’ il risultato dell' astrazione, la concretizzazione della proprietà che li accomuna. Il risultato è una definizione. -20- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 Ad esempio la nozione cantoriana di numero cardinale, oppure partendo dalla relazione riflessiva, simmetrica e transitiva di parallelismo esteso Vailati definisce per astrazione la direzione comune alle rette parallele. Avendo introdotto nuovi enti grazie all' astrazione, si pone il problema della eguaglianza tra essi. Essa viene così definita in termini di opportune proprietà, quelle che esprimono la relazione di equivalenza considerata. Per questo motivo data una proprietà da essa si deduce una relazione di equivalenza tra gli enti ritenendo equivalenti enti che soddisfano in egual grado alla proprietà. Gli oggetti a e b si dicono eguali, rispetto alla data proprietà, se appartengono alla classe individuata dalla relazione di equivalenza. Ciò vuol dire che tali enti si ritengono sostituibili riguardo al concetto astratto della classe (ne sono rappresentanti). L' eguaglianza che in questo modo viene ad essere determinata è una relazione che deve però essere verificata come eguaglianza, vale a dire deve godere del principio di sostitutività. E' questa la problematica che in Matematica è presente col nome di indipendenza dai rappresentanti. Il matematico e filosofo americano Charles Peirce ha individuato due aspetti: l' astrazione prescissiva che è la conoscenza che si esercita isolando determinati aspetti dalle cose e trasformandoli poi, detti aspetti, in temi di argomentazione; a questa egli contrappone l' astrazione ipostatica, che consiste nel produrre entità astratte come sono gli enti matematici. -21- Charles Peirce (1839 - 1914) C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 Per astrazione intenzionale, si intende cogliere mentalmente un aspetto tralasciandone altri. Essa assume due principali significati, generalizzare, tralasciare aspetti particolari universalizzare, tralasciare i caratteri individuali. Nella seconda accezione l' astrazione è soluzione del problema dell' origine delle idee, in contrapposizione all’intuizione delle idee. Il problema dell' origine delle idee perde di significato se non si presuppone una differenza essenziale tra sensazioni e idee, tra fantasmi e concetti, tra sensitività ed intelligenza. -22- C. Marchini - Lezioni Epistemologia e Storia della Matematica I/1 -23-