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Omelia di mons. Antonio Napolioni
Vescovo di Cremona
Cattedrale di Cremona
2 giugno 2016
Giubileo dei ministranti
Lasciatevi distrarre dall’amore di Dio
Oggi scendo nella navata, perché lassù mi mancate. Il vostro posto, in genere, non è tra i banchi,
ma vicino all’altare, sul presbiterio, dove ci sono i presbiteri. E voi siete ministranti, chierichetti! La
parola chierichetto deriva da piccolo clero ... magari, col clero, anche piccolo vescovo! Pezzetti di
vescovo, pezzetti di Cristo, sacerdote, re e profeta, dignità che tutti abbiamo ricevuto attraverso il
Battesimo.
Purtroppo molti intendono questo servizio quasi come un gioco e lo smettono con l’adolescenza.
Io devo dire che nella nostra diocesi ci sono anche chierichetti che non si stancano. Bravi! Non è un gioco
solo da bambini! E poi, chi ha detto che le cose da bambini sono quelle che bisogna smettere di fare: forse
sono le più belle! I bambini sorridono, mangiano, giocano. E penso che anche da grandi sia bello giocare,
mangiare, essere in comunità. Allora non stancatevi mai di vivere le cose belle che avete scoperto da
bambini. Perché diventano cose grandissime. Ad esempio, io sono felice di essere vescovo non perché ho
fatto carriera. Anzi, in certi momenti pesa, eccome! Ma perché mi avvicina ancora di più a quelle cose
profonde e vere che da bambino assaporavo come voi. E sono racchiuse in poche parole.
La prima: servire. Siamo vicini all’altare per fare un servizio, perché la celebrazione sia più bella
per tutti. Allora, farlo bene è la prima attenzione da avere. Se qualche incarico non riuscite ad eseguirlo
alla perfezione, ricevete un’occhiataccia del parroco o del capo dei chierichetti? Può capitare. Si impara a
farlo meglio la prossima volta. Che cosa, però, dobbiamo sempre far bene? La preghiera, la celebrazione.
San Paolo ci ha ricordato nella seconda lettura (1Cor 3, 9-11. 16-17) che siamo collaboratori di Dio. Che
cosa fa Dio nella liturgia, nella Messa? Ci dona se stesso, la sua parola, la sua grazia, il suo amore, il suo
corpo, il suo sangue. Allora, siamo suoi collaboratori non come i folletti di Babbo Natale. Infinitamente di
più! Perché Babbo Natale è una favola, mentre l’amore di Dio è la realtà più profonda di cui ognuno di
noi ha bisogno per vivere. Dio non ci lascia mai senza il suo amore: amore che perdona, amore che salva,
amore che guarisce. Guarisce non dalle sbucciature quando cadiamo in bici, ma dalla paura, dal male
dell’anima, e rende i nostri occhi sempre più trasparenti, come i vostri.
Dice ancora san Paolo che siamo anche il campo, l’edificio di Dio. Da qui mi sembrate proprio
come quei campi di granoturco che stanno crescendo nelle nostre campagne, ve ne accorgete? Tra poco i
nostri paesi in pianura quasi non si vedranno più per quanto cresce il granoturco. E anche voi crescete:
non solo di altezza e di età. Che cosa cresce in voi, se siete il campo di Dio? Cresce l’amore di Dio!
Allora, ecco il secondo verbo: adorare. Non siete solo quelli che fanno un servizio ma, come ha
detto Gesù alla Samaritana (Gv 4, 19-24): «Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno
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il Padre in spirito e verità». Nella liturgia, chi è più vicino all’altare? Pensate al sacerdote che prende in
mano quell’ostia e ripete: «Questo è il mio corpo». È solo un teatro quello che noi facciamo? Oppure si
rinnovano e si realizzano quelle parole? Io vorrei quasi fermarmi lì, in quei momenti, vorrei che non
passassero mai e mi commuovo al pensiero che, nonostante i miei peccati e la mia confusione, il Signore
si fa adorare, amare, abbracciare, prendere in mano da me e da tutti noi.
Vi auguro, perciò, di sapervi “distrarre” nella Messa. Siete sempre attentissimi? Capita di
distrarsi... Ma vi auguro di distrarvi pregando, lasciandovi prendere talmente da quello che Gesù ha detto,
da quello che accade sull’altare da poter qualche volta anche chiudere gli occhi. Sì, dovete fare il servizio,
ma ogni tanto dovete anche dire: «Che bello, Signore, sei qui per me, sei qui con me; che bella la
comunità; che bello diventare un’unica famiglia; che bello questo anticipo di Paradiso che è la liturgia».
E allora sarete innamorati di quel servizio che fate, e quel servizio vi aiuterà a crescere ancora di più, per
diventarne testimoni.
Questo è il Giubileo! Sì un anno, un giorno, un gesto, ma soprattutto una comunità che non si
stanca di gioire per il suo Signore. Chi meglio di voi può contagiare tutti gli altri con questa gioia? Nelle
parrocchie vedo i chierichetti seri: poi inizio a scherzare – e se non scherzo io, scherza don Flavio, il
nostro bravo cerimoniere – e allora si scioglie l’atmosfera. Sorridenti, felici, sempre! Attenti a far bene!
Ma anche pronti a distrarsi, perché il Signore passa e chiama a seguirlo! Comincia adesso a chiamarvi,
poi magari vi chiamerà a vent’anni e vi dirà: perché no? Tutta la vita vicino all’altare, tutta la vita in
preghiera, tutta la vita spesa per i poveri, tutta la vita a cantare le lodi di Dio. E magari gli direte quel sì
che – come è accaduto a me e ai vostri don e alle suore – segna la vita per sempre. Preghiamo per questo,
e perché le famiglie di domani, quelle che anche voi costruirete, siano capaci di educare i figli alla fede
come siete stati educati voi.
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