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Commons/Comune: geografie, luoghi, spazi, città è un volume
delle Memorie Geografiche della Società di Studi Geografici
http://www.societastudigeografici.it
ISBN 978-88-908926-2-2
Numero monografico delle Memorie Geografiche della Società di Studi Geografici
(http://www.societastudigeografici.it)
Certificazione scientifica delle Opere
I contributi pubblicati in questo volume sono stati oggetto di un processo di referaggio a cura
del Comitato scientifico e degli organizzatori delle sessioni della Giornata di studio della Società
di Studi Geografici
Hanno contribuito alla realizzazione di questo volume:
Maura Benegiamo, Luisa Carbone, Cristina Capineri, Donata Castagnoli, Filippo Celata,
Antonio Ciaschi, Margherita Ciervo, Davide Cirillo, Raffaella Coletti, Adriana Conti Puorger,
Egidio Dansero, Domenico De Vincenzo, Cesare Di Feliciantonio, Francesco Dini, Daniela
Festa, Roberta Gemmiti, Cary Yungmee Hendrickson, Michela Lazzeroni, Valeria Leoni,
Mirella Loda, Alessandra Marin, Alessia Mariotti, Federico Martellozzo, Andrea Pase,
Alessandra Pini, Giacomo Pettenati, Filippo Randelli, Luca Simone Rizzo, Patrizia Romei,
Venere Stefania Sanna, Lidia Scarpelli, Massimiliano Tabusi, Alessia Toldo, Paola Ulivi
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L’immagine di copertina è tratta dal volume di Emma Davidson Omnia sunt communia, 2015,
p. 9 (shopgirlphilosophy.com)
© 2016 Società di Studi Geografici
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50129 - Firenze
Aa.Vv. (2016), Commons/Comune, Società di studi geografici. Memorie geografiche NS 14, pp. 245-249
FAUSTO MARINCIONI, CRISTINA CASAREALE
PAESAGGI BELLI E SICURI PER UNA SOSTENIBILE
RIDUZIONE DEL RISCHIO DISASTRI
1. INTRODUZIONE. — I processi di modellazione del territorio da parte delle comunità umane, se
da un lato hanno creato luoghi funzionali alle esigenze culturali e materiali di queste comunità, dall’altro hanno spesso prodotto paesaggi instabili e pericolosi. L’uomo, infatti, plasma il territorio per sfruttarlo secondo le proprie esigenze (Gambi, 1964), producendo paesaggi che facilitano le attività economiche, ma che al contempo possono accentuare i pericoli naturali e la vulnerabilità delle comunità
residenti. Capire perché gli individui e le collettività modellino il loro territorio senza considerare il rischio e le possibili conseguenze di certe scelte, è, da sempre, oggetto di ricerca di chi studia i disastri.
Tra le varie spiegazioni dell’attitudine umana ad accettare rischi vi è la costatazione che l’uomo si
comporta seguendo un principio di “razionalità limitata”; dovendo gestire una situazione complessa,
senza conoscerne tutti gli elementi o le possibili conseguenze (quadro informativo incompleto), gli individui ed i gruppi cercano di raggiungere livelli soddisfacenti di sicurezza, che non sono necessariamente quelli ottimali (Alexander, 1984; Burton et al., 1978). La mediazione tra rischio e guadagno a
breve termine dipende da molti fattori, tra cui valori etici e considerazioni economiche di gestione
delle risorse. Il dibattito accademico, così come il discorso pubblico sulla riduzione del rischio, ruota
attorno a circostanze, considerazioni e fattori che possano migliorare la prevenzione e motivare le persone a intraprendere azioni di adattamento e miglioramento della sicurezza. Tuttavia uno schema efficace di gestione del rischio non è stato ancora raggiunto. Tra i possibili sviluppi, va sottolineato come i
principi della sostenibilità ambientale stiano diventando un potente motore di cambiamento nell’interazione uomo-ambiente (Tinacci Mossello, 2008; Camuffo, Soriani, 2015). Un particolare esempio è la
“Convenzione Europea del Paesaggio”, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa a
Strasburgo il 19 luglio 2000, che unisce i principi della sostenibilità ambientale all’idea di paesaggio
come “patrimonio comune, che coopera all’elaborazione delle culture locali e rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale” (Consiglio d’Europa, 2000). Varie discipline
stanno approfondendo queste tematiche, incluse l’ecologia umana, l’architettura del paesaggio o la
geografia ambientale, discipline che, avvicinando i principi dell’etica e dell’estetica ambientale potrebbero anche promuovere strategie di riduzione del rischio disastri. Indubbiamente, la comunità locale
ed i vari stakeholders devono dialogare per giungere ad un accordo sulle molteplici interpretazioni di
ciò che rappresenta un paesaggio bello e sicuro. In questo, l’estetica ambientale è un importante concetto che guida la trasformazione del paesaggio, anche quando implica importanti costi e può stimolare
azioni di prevenzione e mitigazione dei rischi, più di quanto possano fare mere considerazioni economiche. La sfida è quindi integrare i principi dell’estetica ambientale con quelli della riduzione del rischio disastri, al fine di poter modellare paesaggi belli, ma anche stabili e sicuri. Esempi di tale integrazione, sviluppati tramite strategie partecipate, largamente accettate e potenzialmente durature e provenienti da varie parti del mondo, testimoniano risultati promettenti.
2. PAESAGGIO COME IDENTITÀ E BENE COMUNE. — Fin dalla sua comparsa l’homo sapiens ha
modificato l’ambiente circostante per estrarre le risorse necessarie alla propria sopravvivenza. La trasformazione del territorio in spazi funzionali allo sviluppo sociale ed economico, ha portato alla creazione di luoghi e paesaggi, che rappresentano la sintesi di aspetti naturali, culturali e sociali, sui quali
una comunità si identifica e sviluppa un senso di appartenenza (Linehan, Meir, 1998). Il paesaggio è
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dunque il prodotto finale dei processi storici guidati da una pluralità di attori (Olwig, 2007). In passato
l’impatto delle attività antropiche era tale da permettere agli ecosistemi di riequilibrare i processi naturali, ma, dalla rivoluzione industriale, l’aumentata capacità dell’uomo di modellare il territorio ha provocato impatti ambientali sempre maggiori, fino al superamento dei limiti di reversibilità di certi processi (Goudie, 2000). Inoltre, la crescente pressione demografica e l’enorme consumo di risorse stanno
alterando anche i fragili equilibri su cui è basata l’integrità, stabilità e bellezza del paesaggio stesso
(Leopold, 1949). Il crescente numero di disastri, conseguenza di processi naturali estremi su tessuti socio-economici vulnerabili, è tra le manifestazioni più evidenti dell’aumentata fragilità dei paesaggi, i
quali iniziano ad assumere valore di risorsa collettiva essenziale, da proteggere per il benessere delle
presenti e future generazioni. In questa accezione il paesaggio diventa lo spazio nel quale si confronta il
reale con l’ideale, uno spazio riformulato che si manifesta sia nelle pratiche correnti di uso dello spazio
esistente sia nell’aspirazione ad un uso alternativo del territorio (Soja, 1996; Zanetto et al., 1996; Soja
et al., 2007). Tuttavia, la transizione al paesaggio come bene comune, necessita la definizione del nesso
fra sostenibili usi del suolo, diritti di proprietà, processi decisionali e riduzione del rischio (ad esempio,
paesaggio, cittadinanza e partecipazione democratica). Attraverso quali strumenti ed istituzioni dovremmo gestire il paesaggio? Quali criteri e modelli usare per valutare la trasformazione del paesaggio?
(Castiglioni et al., 2015). Importanti spunti in questo dibattito derivano dall’ecologia del paesaggio
(Troll, 1939) e dall’estetica (Carlson, 1977) ed etica ambientale (Hardin, 1968). Tuttavia, per poter integrare tutti questi principi occorre chiarire prima che cosa spinge gli individui e la collettività ad intraprendere azioni di salvaguardia del territorio. La letteratura scientifica esistente in materia evidenzia
quattro principali motivazioni. La prima è l’“attaccamento al luogo” (Hidalgo, Hernàndez, 2001; Giuliani, 2003; Walker, Ryan, 2008; Lokocz et al., 2011), ossia il legame emozionale che gli individui sviluppano con l’ambiente in cui vivono e con il quale cercano di mantenere una stretta relazione. La seconda motivazione è l’“identità locale” (Yuen, 2005; Sharifi, Murayama, 2013), tramite la quale la comunità si sente parte integrante di un luogo, il quale diventa elemento che caratterizza l’identità stessa
dell’individuo e della collettività. La terza spinta è la “partecipazione” della comunità alle campagne di
protezione ambientale (Lun, 2000), al fine di accrescere e diffondere la consapevolezza della crisi ambientale e far nascere negli individui la volontà di intraprendere e sostenere azioni di tutela ambientale.
Infine, il ritorno alla “naturalità” del paesaggio (Walker, Ryan, 2008), ovvero il ripristino dove possibile di forme ed ambienti nativi, per rafforzare il senso di appartenenza, responsabilità e volontà di
conservazione tramite un utilizzo rispettoso delle risorse.
3. NUOVE FORME DI GOVERNO DEL TERRITORIO. — L’integrazione dell’estetica e dell’etica ambientale nella pianificazione e sviluppo territoriale ai fini della riduzione del rischio è relativamente recente. Lo studio condotto da Kalterborn (1998) nelle Isole Svalbard in Norvegia, è tra i primi esempi
analizzati. Dalle interviste alla popolazione locale risulta che la volontà di prevenire e contrastare gli
eventi calamitosi è influenzata dal senso di appartenenza e legame con i luoghi in cui si vive; maggiore
è il legame, maggiore è la volontà ad impegnarsi in progetti di conservazione e tutela. Similmente,
Walker e Ryan in uno studio svolto nel 2008 in Massachusetts, dimostrano come il legame con il particolare ambiente rurale locale invogli i residenti ad attivarsi per preservare la naturalità degli ambienti.
Nel Massachusetts, infatti, le aree rurali sono minacciate dalla forte espansione delle aree urbane limitrofe, che potrebbe portare al loro ridimensionamento o addirittura alla loro scomparsa. Lo studio
mette in luce il forte senso di appartenenza al luogo dei residenti e di come questi siano disposti a sostenere i costi necessari alla preservazione delle caratteristiche del loro paesaggio (per esempio, pagare
tasse più alte e cedere parte delle proprietà per favorire politiche di difesa del suolo a lungo termine).
Il progetto “Room for River”, sviluppato in Francia, Germania e Paesi Bassi, rappresenta un altro
esempio di come il forte legame con un luogo possa favorire strategie di riduzione dei rischi (de Groot,
2012). Sulla discussione di quali fossero le azioni di mitigazione più idonee per la riduzione del rischio
alluvionale, la popolazione ha chiaramente mostrato una preferenza per il restauro della naturalità
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delle aste fluviali, rispetto ad ulteriori interventi strutturali di controllo delle piene (costruzione di dighe ed argini fluviali). Questo conferma come il mantenimento della naturalità del paesaggio possa essere ben integrato con considerazioni di riduzione del rischio. Un altro esempio che può essere citato è
il piano di assetto territoriale proposto dalla Provincia di Potenza (Regione Basilicata), contenente, fra
altre cose, politiche atte ad aumentare la resilienza della comunità locale ai disastri (Attolico, 2014). Le
direttive per la riduzione del rischio sono strumenti integranti del processo di pianificazione territoriale e dell’urbanistica locale e sono mirate al coinvolgimento non solo dei settori pubblico e privato,
ma anche dei singoli cittadini nel processo di costruzione della resilienza. Dall’altra parte del mondo,
Hong Kong offre un interessante esempio di integrazione di estetica ambientale urbana e riduzione del
rischio. Qui la popolazione sta lottando per la preservazione dei cosiddetti stonewall trees (alberi cresciuti nei muri di pietra) da famelici interessi di alcuni costruttori, che vorrebbero rimuoverli per aumentare lo spazio edificabile di Hong Kong. Questi muri di pietra furono costruiti tra il 1800 e l’inizio
della seconda guerra mondiale allo scopo di stabilizzare i versanti in frana nella città (Lo, Jim, 2015).
Gli alberi e la vegetazione attecchita su questi muri a secco, oltre alla diretta funzione di stabilizzazione
del versante, hanno assunto un valore culturale ed estetico e vengono riconosciuti dai residenti come
simbolo di naturalità della città. Come ultimo esempio di un approccio mirato al restauro e messa in
sicurezza del paesaggio, si può citare il piano di ricostruzione della città di Wilmington (Vermont,
USA). A seguito dei danni causati dall’Uragano Irene nel 2011, la cittadina inizia un progetto di recupero ed abbellimento urbano che arriverà a ridefinire il piano regolatore generale e restringerà lo sviluppo urbano nelle aree costiere soggette ad inondazioni. I residenti hanno accettato le restrizioni allo
sviluppo urbanistico di Wilmington, nonostante la forte vocazione turistica della cittadina, preferendo
ripristinare il suo stile di tradizionale borgo del New England (LaGue, Smith, 2013).
4. CONCLUSIONI. — L’estetica ambientale è uno dei concetti alla base della trasformazione del
paesaggio, tuttavia se non integrata con i fattori sociali ed emozionali della comunità rischia di mercificare il territorio e produrre paesaggi comodi e belli, ma potenzialmente pericolosi. Il territorio e le sue
risorse naturali non sono materia grezza da catalogare e gestire come merce, bensì “luoghi con una storia, dei quali le persone si prendono cura e con i quali sviluppano un senso di appartenenza” (Williams, Patterson, 1996). I principi dell’estetica ambientale dovrebbero quindi essere integrati con
l’ecologia e la conservazione della natura (Nohl, 1997), così come il dibattito sul paesaggio quale bene
comune dovrebbe essere ulteriormente sviluppato. Certamente, la mutata percezione del ruolo dell’homo sapiens nell’ecosistema terrestre, centrale nel dibattito sui cambiamenti ambientali e climatici,
ha portato una maggiore consapevolezza su pericoli, rischi e la responsabilità umana nei disastri. Ciononostante l’incremento delle attività di prevenzione, mitigazione e adattamento ai pericoli naturali è
ancora esiguo. L’imprevedibilità di certi eventi naturali estremi (a causa dell’incompleta conoscenza
degli stessi) rende difficile la razionalizzazione dei costi di prevenzione e mitigazione. Altrettanto difficile è la giustificazione delle perdite derivanti dall’abbandono di aree o infrastrutture pericolose sulla
previsione probabilistica del rischio. La combinazione di elementi del landscape design ed estetica ambientale con i principi di riduzione del rischio disastri potrebbe essere la chiave di volta per intraprendere un processo educativo degli individui che li porti a prendersi cura del proprio territorio in modo
sostenibile e sicuro. Le risorse sono spese più facilmente per abbellire il paesaggio piuttosto che per
renderlo più stabile e sicuro. La sfida è quella di inserire la preoccupazione per la riduzione del rischio
nel discorso estetico ambientale e viceversa. Similmente all’impegno adoperato nella ricerca di cibi
buoni e sani, forse dovremmo immaginare modelli di riduzione del rischio disastri che portino allo
sviluppo di paesaggi che siano belli, stabili e sicuri allo stesso tempo.
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RIASSUNTO: Da sempre l’uomo ha modellato lo spazio in cui vive al fine di garantire la propria sopravvivenza e sviluppare un senso di appartenenza ad un luogo. Tuttavia, il crescente sfruttamento delle risorse ha portato all’intensificazione
del degrado ambientale e all’aumento di eventi estremi e disastri. Nuove forme di governo del territorio si rendono necessarie
per salvaguardare paesaggi e comunità locali. L’imprevedibilità degli eventi naturali rende difficile trasfondere l’importanza
delle attività di mitigazione dei rischi. Altrettanto difficile è la giustificazione delle perdite derivanti dall’abbandono di aree o
infrastrutture pericolose sulla sola previsione probabilistica di un futuro evento estremo. Tuttavia, la combinazione di elementi del landscape design con tecniche di riduzione del rischio disastri sembra avere potenzialità ancora inesplorate.
L’estetica e l’etica ambientale potrebbero guidare la modellazione del paesaggio verso modelli di uso e gestione del territorio
più stabili e sicuri.
SUMMARY: Humankind has always used natural resources to ensure its own survival and model the space in which to
live and identify itself. However, the increased use of resources has led to the intensification of environmental degradation
and the surge of extreme events and disasters. New forms of territorial governance must be developed to safeguard landscapes and local communities. The unpredictability of natural events makes it difficult to instill the importance of risk mitigation activities. Equally difficult is the justification of the losses resulting from the abandonment of hazardous areas or infrastructures on the sole basis of probabilistic prediction of a future extreme event. However, the combination of elements of
landscape design with disaster-risk-reduction techniques appears to have potential not yet explored. Aesthetic and environmental ethics could steer landscape modeling toward safer patterns of land use and management.
Parole chiave: riduzione rischio disastri, paesaggio, etica ambientale
Keywords: disaster risk reduction, landscape design, environmental ethic
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