Enzo Pace** Resumo: no cristianismo do Terceiro Milênio renova

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Enzo Pace** Resumo: no cristianismo do Terceiro Milênio renova
IL CRISTIANESIMO DEL TERZO
MILLENNIO FRA IMMAGINAZIONE
E CRISI*
Enzo Pace**
Resumo: no cristianismo do Terceiro Milênio renova-se o dilema que o caracteriza desde
sua origem: no princípio está a palavra, aquela dada por Jesus, em seguida
está o movimento que a acolheu. Esta palavra dividiu o campo religioso, que,
aos poucos, ia se definindo em suas fronteiras simbólicas, entre aqueles que
pretendiam experimentá-la como fundamento de uma comunidade carismática
e profética e aqueles que a traduziram como fundamento de uma autoridade
que pretendia definir verdade. O cenário dos tempos atuais nos mostra como
a imaginação cristã sobreviveu à virtude da obediência à autoridade. Os
grandes sistemas de crença institucionais – o modelo da grande igreja, por
exemplo – sofrem, hoje, um grande desafio, dentro e fora dos movimentos, que
geralmente denominamos de pentecostais, mas que na realidade poderiam ser
simplesmente definidos como movimentos de libertação do modelo de organização católico-romano e de emancipação pós-colonial da teologia eurocêntrica.
Palavras-chave: Pentecostalismo. Religiões pós-coloniais. Novo imaginário. Cristão.
L
’intento di questo articolo è di riflettere sulle complesse vicende che riguardano
il Cristianesimo, una religione globale ante litteram che si confronta con la globalizzazione. Nel Cristianesimo del Terzo Millennio si rinnova il dilemma che
–––––––––––––––––
* Recebido em: 09.11.2011.
Aprovado em: 15.12.2011.
** Professore di sociologia delle religioni, Dipartimento di Sociologia, Università di Padova. E’stato Presidente
dell’International Society for the Sociology of Religion (ISSR) e Visiting Professor all’Ecole des Hautes
Etudes en Sciences Sociales di Parigi. Si è interessato alla sociologia dell’islam, al rapporto fra religione
e migrazioni, ai movimenti del tipo setta, alle religioni pentecostali e alla teoria dei sistemi applicata alla
religione. Fra le sue più recenti pubblicazioni: Sociologia do Islã, Petropolis, Vozes 2005; Perché le religioni
scendono in guerra, Roma-Bari, Laterza 2006; Introduzione alla sociologia delle religioni, Roma, Carocci
2007; Le religioni pentecostali, Roma, Carocci 2010; Religion as Communication, Farham, Ashgate 2011.
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sin dalle origini caratterizza questa religione: in principio c’è la parola, quella
data da Gesù, poi c’è il movimento di chi l’ha accolta. Una parola che ha presto
diviso il campo religioso che andava definendosi nei suoi confini simbolici: fra
chi la intendeva viverla come fondamento di una comunità carismatica e profetica e chi l’ha trasformata tradotta come fondamento di un’autorità che sola può
definire la verità. Lo scenario dei tempi presenti ci mostra come l’immaginazione
cristiana ha preso il sopravvento sulla virtù dell’obbedienza all’autorità (PACE,
2011). I grandi sistemi istituzionali di credenza – il modello della grande chiesa,
per intenderci – soffrono oggi la sfida dentro e fuori di essa dei movimenti che
genericamente chiamiamo pentecostali, ma che in realtà potrebbero essere più
semplicemente definiti come movimenti di liberazione dal modello organizzativo cattolico-romano e di emancipazione post-coloniale dalla teologia eurocentrica.
Per sostenere questa tesi ci soffermeremo su alcuni processi in atto negli ultimi ventitrenta anni nel Cristianesimo: a) la diffusione di chiese di tipo pentecostale e
carismatico, b) le forme nuove di Cristianesimo espressione della grammatica
immaginativa che tale religione ha sin dalle origini ha elaborato (essa possiede una parola che genera parole, le quali messe assieme generano prodotti
simbolici diversi che si organizzano secondo regole di vita che danno senso
alla combinazione delle parole, trasformandole in tante e diverse ricette per
vivere le regole, che si ordinano secondo procedure liturgiche e stili di vita
socialmente rilevanti); c) la verifica di quanto sta accadendo rispettivamente
in Europa e nel mondo ortodosso.
IL RISVEGLIO DEI CARISMI
Per disegnare scenari ragionevolmente credibili sul futuro del cristianesimo nel mondo
nei prossimi cinquant’anni, occorre prendere le mosse dalle tendenze in atto.
Le più importanti sono nell’ordine:
a) l’espansione delle forme religiose di tipo pentecostale d’origine protestante,
soprattutto in America Latina, nell’Africa sub-sahariana e in alcune aree del
Sud Est asiatico (FERNANDES et al., 1998; COLEMAN, 2001; CORTEN,
MARSHAL-FRATANI, 2001; ANDERSON, 2004; FRESTON, 2004; GIFFORD, 2005; OJO, 2006; PACE, BUTTICCI, 2010).
b) L’indebolimento dei confini simbolici dei grandi sistemi di credenza religiosa (incarnati dalle istituzioni di salvezza come le chiese, siano esse di area
cattolica, protestante o ortodossa), che delimitavano il campo dell’ortodossia
e dell’ortoprassi; le persone erano in tal modo partecipi alla vita dello loro
chiese e certe nelle loro credenze. L’indebolimento dei confini, invece, produrrà il divaricarsi dell’appartenenza dalla credenza: fra il senso normativo,
che le religioni sono solite infondere nei cuori e nelle menti dei loro seguaci
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e la ricerca individuale, personalizzata, di spiritualità e di senso religioso da
conferire alla vita (PACE, 1987; DAVIE, 2000); ciò implicherà un’accentuata
propensione da parte degli individui a varcare i confini delle religioni di
nascita e a esplorare altri territori della fede, che sarà perciò tendenzialmente
sempre più frutto di scelta personale;
c) La mobilità religiosa, che ne consegue, provoca un effetto non desiderato
per tutte le tradizioni religiose consolidate nella storia: forme di neosincretismo orizzontali (MARY, 2000), senza rispetto alcuno per i confini
che tradizionalmente ogni sistema di credenza ha eretto nel tempo ed ha
imparato a difendere strenuamente; nessuno dei sistemi di credenza, nati
sul ceppo del cristianesimo, potrà essere sicuro di poter controllare che
propri simboli, riti e metodi spirituali circolino senza impedimenti di
sorta e potranno con maggiore estensione di quanto non accada già oggi,
essere appropriati liberamente da nuovi e differenti imprenditori dello
spirito; ciò significa altresì che i processi di conversione costituiranno,
più del presente, un tratto caratteristico della futura religiosità cristiana
(HERVIEU-LÉGER, 1999);
d) L’emergere, specularmene, di correnti di tipo fondamentaliste che si sforzano
di ristabilire certezze e sicurezze nel credere, nel tentativo di contrastare tutte
le forme di religiosità neo-sincretistiche, cominciano a mostrare tutti i limiti
della loro proposta: gli anni a venire renderanno evidente, ancor più, che la
pretesa, avanzata da movimenti, sorti vigorosamente nel mondo protestante
e in modo meni vistosi nel cattolicesimo verso la fine del XX secolo, di
veder riflesso negli ordinamenti politici le leggi di Dio è neutralizzata dal
pluralismo culturale e religioso esistente in molte società occidentali di
tradizione cristiana.
Abbiamo scelto, fra molte altre, le quattro tendenze appena esposte, perché esse possono
essere ricondotte ad un processo storico e sociale che alcuni hanno chiamato
di “de-secolarizzazione del mondo” (BERGER, 1999) ed altri di post-secolarizzazione (CASANOVA, 1994). Fatta eccezione per l’Europa continentale, il
resto del mondo, infatti, compresi gli Stati Uniti d’America, non assistono né
assisteranno al declino del cristianesimo, quale inevitabile conseguenza della
modernizzazione sociale ed economico. Dall’interdipendenza economica,
dallo spostamento di grandi masse di persone da un punto all’altro del globo e
dalla libera circolazione di merci e stili di consumo, a livello planetario, prevedibilmente, non deriveranno necessariamente né omogeneità culturale, né
tanto meno il riavvicinamento tecnologico e produttivo fra Paesi ricchi e Paesi
poveri. Le differenze si accentueranno. La modernizzazione delle economie
e delle società procederà a diverse velocità. La trasformazione sociale che, a
diversi gradi d’intensità, le multiple forme della modernizzazione in ogni caso
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provocheranno, alla luce di quanto già sta accadendo, non sarà accompagnata
dall’eclisse del sacro e dalla perdita di plausibilità sociale del cristianesimo.
Ci deve attendere, invece, una sua metamorfosi, un progressivo adattamento
al cambiamento sociale che gradualmente produrrà un mutamento interno alle
stesse varie confessioni cristiane. Le avvisaglie si possono già cogliere.
La vitalità religiosa del cristianesimo nel mondo è oggi rappresentata soprattutto dalla
fioritura di nuove chiese di tendenza carismatica. Molte di esse possono essere
ricondotte alla tradizione protestante e, in particolare, al pentecostalismo. Tuttavia fra le forme storiche che il pentecostalismo ha conosciuto nel XIX secolo
e le chiese neo-pentecostali, nate fra la fine degli anni Settanta del secolo XX
e in continua espansione, lo scarto è notevole. In particolare, le novità saranno
notevoli, se prendiamo in considerazione quanto potrà accadere in un prossimo
futuro nei Paesi latino-americani. Tradizionalmente cattolici, retaggio della
prima intensa colonizzazione europea, in molti di queste Nazioni (dal Brasile
al Guatemala, dalla Colombia al Venezuela, dal Paraguay all’Argentina) la
maggioranza dei credenti non si sarà più cattolica e non si sentirà più tale. Oggi
le cifre indicano che il 10% della popolazione latino-americana è ex-cattolica.
E’ già divenuta qualcos’altro. Che cosa diventerà in seguito? Come gli aderenti
alle tante, diverse, nuove chiese pentecostali e carismatiche si autodefiniranno?
Non più cattolici a pieno titolo, ma nemmeno protestanti, almeno nel senso che
storicamente questa definizione religiosa serviva a designare, in quei Paesi,
coloro che aderivano, rispettivamente, alla chiesa metodista o a quella luterana
o alle prime chiese pentecostali. Eppure essi continueranno ad andare in chiesa, a seguire riti che esibiranno ancora simboli cristiani, ma non potranno più
essere catalogati secondo le formule convenzionali con le quali le generazioni
precedenti si definivano cattolici o protestanti. Ci saranno, dunque, i cattolici
e i protestanti (nelle varie suddivisioni interne ed esterne che conosciamo già),
ma, al loro fianco e in continua competizione con loro, nuovi cristiani postcattolici e post-protestanti.
Un nuovo cristianesimo, dunque (HERVIEU-LÉGER, 1986; POULAT, 1994). Con tale
formula possiamo condensare due processi, strettamente uniti fra loro: quello che
si è chiuso e quello che si apre davanti a noi. Il cristianesimo capace di plasmare
intere civiltà, di diventare appunto una serie di ben temperate cristianità sociali
non c’è già più e probabilmente non ci sarà più, nonostante le ultime strenue
resistenze delle chiese nazionali ortodosse (dalla Russia alla Grecia, dalla Serbia
alla Romania) e da parte della Chiesa cattolica. Il destino di queste chiese non
sarà dissimile da quelle protestanti: tute dovranno rassegnarsi a constatare la
loro difficoltà crescente ad influenzare, a tutto tondo, dalla culla alla tomba, la
vita collettiva delle società umane; avranno ancora un peso, ma la loro forza
integratrice, che a livello sociale esse hanno esercitato sino a qualche tempo
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addietro, non potrà essere ripristinata come per il passato. Come ha scritto
efficacemente Poulat (1994, p. XI):
La domenica si è trasformata in week-end. Le vacanze di Natale e di Pasqua in ferie invernali
e primaverili…. Secoli di storia avevano operato per l’iscrizione della fede cristiana e della
presenza divina in tutti i campi della vita pubblica. Il nostro (secolo) si muove in direzione
opposta, conducendo verso l’allontanamento delle menti da quest’universo religioso e alla
cancellazione della sua iscrizione sociale.
In realtà, lo scenario futuro che l’evoluzione in atto in America latina ci mostra sarà
contrassegnato dalla liberalizzazione dell’offerta religiosa, che, un tempo, era
monopolizzato da un’unica istituzione di salvezza, come la chiesa cattolica e,
in minima parte, da quelle protestanti classiche. Una liberalizzazione che si
presenterà come un giano bifronte. Per un verso, si moltiplicheranno nuovi liberi
imprenditori religiosi, capaci di creare nuove chiese, con un’organizzazione
flessibile, leggera nell’apparato dogmatico, ma calda e partecipativa nell’offerta
dei servizi liturgici, rigida nelle alte gerarchie, ma poco preoccupata del ricambio
continuo dei credenti e seguaci, con basso profilo di fedeltà: costoro, infatti,
saranno alla ricerca di benefici soggettivi e saranno poco disposti, di conseguenza, ad investire energie per il successo dei fini istituzionali dell’organizzazione
cui aderiscono. Essi preferiranno mettersi al seguito di chi dimostra di possedere poteri straordinari, carismatici. Diventeranno credenti in libertà, attratti
dall’offerta più entusiasmante o rassicurante, che il mercato propone, liberati
dal peso della religione di nascita (nel caso del cattolicesimo, di cui stiamo
parlando) o dal credere per tradizione, ansiosi di esplorare nuove frontiere
dello spirito. La ricerca dello spirito costituirà l’orizzonte di senso di questi
nuovi credenti. Essi saranno sempre meno interessati a sentirsi membri di una
chiesa (l’appartenere) o a seguire verità teologiche indubitabili (l’ortodossia),
ma quanto piuttosto a fare un’esperienza personale, soggettiva e diretta della
presenza qui ed ora della potenza terapeutica e munifica dello spirito. Fintanto
che tale esperienza sarà rinnovabile nelle performances liturgiche, una persona
continuerà ad essere fedele; quando tutto ciò si esaurirà, ci dobbiamo attendere che egli sarà portato a muovere verso altri imprenditori religiosi, che gli
appariranno più soddisfacenti.
Chiese senza più chiesa: è questo l’avvenire di una parte del cristianesimo, almeno stando
alle tendenze in atto in America latina (COURTEN; MARY 2001). Ciononostante, si continuerà a credere vigorosamente e, soprattutto, non ponendo più
limiti alla ragionevolezza ordinata del credere, così com’era stata disciplinata
dalle chiese storiche, sia in ambiente protestante (in misura più netta) che in
quello cattolico ed ortodosso. In un cristianesimo, senza più la forma storica
della chiesa, i confini simbolici di un sistema di credenza saranno molto più
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facilmente che per il passato varcati dai credenti. Un nuovo sincretismo caratterizzerà gli universi simbolico-religiosi del futuro (IRELAND, 1991).
L’IMMAGINAZIONE RELIGIOSA AL POTERE
Alla fine del Ventesimo secolo, il Sud Corea conosce l’espansione senza precedenti del
cristianesimo. Più nella forma del protestantesimo che non attraverso le missioni
cattoliche, che, pur tuttavia, hanno, anch’esse, cominciato a mettere radici. La
Corea del Sud, come altre regioni del Sud est asiatico, è stata tradizionalmente
influenzata, dapprima dallo sciamanesimo e successivamente dal buddismo e
dal confucianesimo. I dati, raccolti dagli studiosi (KIM, 2002; DAIBER, 2000),
mostrano che fra il 1962 e il 1994, i protestanti sono passati dalle 735.000 unità
ad otto milioni, i cattolici da poco meno di seicentomila a due milioni e seicentomila e, infine, i buddisti da 687.000 a più di dieci milioni. La crescita delle
confessioni cristiane si accompagna alla rapida trasformazione economica che
la Corea del Sud, una delle nuove “tigri asiatiche”, conosce appunto fra il 1960
e il 1990, senza che si possano stabilire nessi causali precisi fra i due eventi.
Ciò che è certo, è il progressivo spostamento della popolazione dalla campagna
e dai villaggi dell’interno verso le metropoli, che sono sorte, nel frattempo,
attorno ai poli industriali. La società coreana, come altre realtà dell’estremo
Oriente, coinvolte nei processi di modernizzazione economica di tipo capitalistico, ha visto tramontare l’universo dei valori tradizionali legati al mondo
contadino e alle comunità di villaggio. Valori fondati su un diffuso ed ereditato
senso del sacro, che combinavano elementi dell’antica cultura sciamanica con
la spiritualità confuciana. La modernizzazione socio-economica ha portato con
sé, da un lato, maggiore benessere individuale, ma, dall’altro, nuove forme di
disuguaglianza sociale. La chiesa cattolica ha così potuto espandersi, perché
è riuscita a presentare il suo messaggio religioso come una risposta etica al
bisogno di giustizia sociale, piegando il suo linguaggio teologico alle categorie
mentali proprie del popolo coreano. Divenendo una chiesa nazionale coreana,
il cattolicesimo ha potuto mettere radici, distanziandosi dalla teologia romana
e guadagnando una relativa autonomia dalla Chiesa di Roma. Parallelamente
a questo fenomeno, anche il protestantesimo ha conosciuto una straordinaria
crescita, non tanto e non solo nelle forme tradizionali, ma quanto piuttosto
secondo modelli radicalmente nuovi rispetti a quelli del passato: sia le grandi
chiese pentecostali (come la Full Gospel Church) che le nuove chiese postprotestanti, come la Chiesa dell’Unificazione del reverendo Moon o la Chiesa
che fa proseliti trasformando le partite di calcio in scontri fra le forze dello
spirito e quelle del male (LUCA, 1997), proliferate e moltiplicatesi negli ultimi decenni, mostrano quale sarà la direzione di marcia che il cristianesimo
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assumerà nel futuro: per un verso, come religione non estranea alla culture
nazionali e locali, anzi capace di accogliere concezioni che provengono dagli
strati profondi delle credenze storicamente precedenti e, per un altro, come
nuova immaginazione nel credere. In fondo, queste aree del mondo, in cui il
cristianesimo ha avuto una storia relativamente recente, possono essere considerate un cantiere aperto dove l’elaborazione di nuove teologie e liturgie non
conosce né conoscerà limiti di sorta. Si creerà un mercato competitivo fra fedi
religiose del ceppo cristiano, che stimolerà, da un lato la nazionalizzazione del
cattolicesimo e, dunque, la sua ancor più accentuata tendenza al particolarismo
regionale in tensione con l’universalismo accentratore della Chiesa romana e,
dall’altro, la crescita di tante denominazioni cristiane e post-protestanti allo
stesso tempo, moderne e carismatiche, moderne negli stili di predicazione e di
reclutamento, carismatiche nella concezione della leadership, giacché i credenti
si lasceranno mobilitare da chi si pone nei loro confronti come portatore di doni
straordinari e di poteri eccezionali e da chi saprà loro offrire un’esperienza
immediata e diretta del sacro.
Considerazioni analoghe possono essere fatte sia per le chiese cristiane d’Africa che per
le altre insediate in Asia (dal sub-continente indiano al Giappone e alla Cina): la
loro capacità di espandersi e radicarsi dipenderà sempre più dall’arte del mimetismo sociale. Quanto più esse si adatteranno ai costumi e alla cultura religiosa
preesistente, nonché alle forme di celebrazione del sacro proprie delle popolazioni locali, come la danza, il culto degli antenati, il ricorso ai riti di guarigione,
tanto più avranno la possibilità di presentarsi con il volto di una religiosità non
estranea ai volti del sacro indigeno. Nel futuro sarà sempre più possibile veder
ripetersi la scena accaduta nel settembre del 2000, nella cattedrale anglicana di
Exeter in Inghilterra, quando i dignitari della missione anglicana in Melanesia
(Melanesian Brotherhood) si sono esibiti all’interno della chiesa in una danza
“selvaggia” (come riportava il giornale locale) con i costumi tradizionali, per
celebrare la memoria di un vescovo, che aveva per primo avviato la missione in
quell’arcipelago, senza che tutto ciò abbia turbato –più di tanto i fedeli di una
chiesa mediamente conservatrice come quell’inglese (DAVIE, 2002).
L’EUROPA TERRA DI MISSIONE DEI NUOVI CRISTIANESIMI POST-COLONIALI
Nel XX secolo gli europei hanno assistito ad una grande catastrofe: l’eliminazione fisica
di donne e uomini di religione e cultura ebraica. Si è trattata di una vera e propria manipolazione del patrimonio storico della civiltà europea. Una tradizione
religiosa e spirituale è stata violentemente cancellata. Ci sono voluti molti
decenni perché gli europei, rivisitando la loro memoria storica, tornassero a
riscoprire, fra le molte radici della loro cultura, proprio quell’ebraica, tuttora
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viva, nonostante i milioni di morti. La presenza delle comunità ebraiche, sparse
da Livorno a Vilnius, da Parigi a Berlino, dall’Olanda alla Bielorussia, erano, a
ben guardare, la trama sottile che nel tempo gli ebrei askenazi o sefarditi erano
riusciti a stendere, al di sotto e a dispetto della religione che per due millenni,
ad Ovest come ad Est, aveva dominato la scena: il cristianesimo con tutte le sue
varianti nazionali e con il corollario delle fratture teologiche e dottrinarie interne fra cattolicesimo, protestantesimo e ortodossia. Dopo la loro cacciata dalla
Spagna nel 1492, gli ebrei in realtà non erano scomparsi. L’Europa era diventata
per loro una larga casa comune, i cui confini andavano dall’Atlantico agli Urali,
entro i quali riusciranno a sopravvivere sino all’Olocausto ordinato da Hitler.
Invece, chi sarà definitivamente espulso dalla storia europea sarà l’islam, nello stesso 1492, con la caduta dell’ultimo baluardo arabo-musulmano per opera
dell’invincibile armata della Cattolicissima Spagna. Mentre la cultura ebraica
rimarrà sottotraccia, in continuità diacronica, viva e presente sino ai nostri
giorni, quella musulmana sarà oggetto di una diffusa opera di rimozione dalla
memoria collettiva europea.
L’Europa, infatti, ha finito per rappresentarsi come cristiana. Si è identificata con le
immagini, le architetture, i simboli e le istituzioni che il cristianesimo ha
contribuito a creare nel tempo. Anzi, si può dire di più: molti popoli europei
hanno costruito la propria identità nazionale, ricorrendo di volta in volta al
cattolicesimo o alle chiese protestanti e ortodosse per marcare le differenze con
altri popoli. E’ avvenuto così che una stessa religione, il cristianesimo, abbia
alimentato non solo fedi e credenze diverse, ma anche sentimenti d’identità
nazionali profondamente antagonisti fra loro.
Le linee di frattura, così tracciate nella storia passata, sono riapparse alla fine del XX secolo,
di nuovo, e hanno contribuito ad esasperare conflitti politici ed economici fra popolazioni, che erano riuscite, per un certo tempo, a convivere, come nel caso dei serbi
(ortodossi), dei croati (cattolici) e dei bosniaci (musulmani), sfociando in un ciclo
di guerre sanguinose. Il cristianesimo in quell’angolo di Europa è uscito a pezzi:
le rispettive chiese – cattolica per i croati e ortodossa per i serbi – non sono state
in grado di arrestare il conflitto, proprio perché esse hanno finito per identificarsi
con la coscienza nazionale dei rispettivi popoli. Lungo il crinale dell’estraniazione
reciproca, non percorrendo la via della riconciliazione. Del resto, considerazioni
simili possiamo fare nei confronti degli irlandesi, cattolici e protestanti, gli uni
contro gli altri armati; essi si sono sterminati a vicenda e solo in tempi recenti
hanno cominciato a svegliarsi dal sonno della ragione, dopo essersi barricati, per
lunghi anni, dietro le rispettive trincee dell’identità etno-religiosa. L’Europa ha
accumulato, lungo il corso della sua storia, una tale quantità di conflitti religiosi
da renderla esperta in tema di tolleranza e intolleranza, a difesa della libertà di
fede e di stermini in nome della fede. La storia, anche più recente, dell’Europa
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è perciò piena di paradossi. Senza tenere in debito conto questi paradossi, non
si possono disegnare scenari plausibili sull’avvenire della religione in Europa e
capirne le particolari tendenze che nella nuova creatura che sorgerà – l’Unione
degli Stati europei – la religione cristiana svilupperà.
Fatta eccezione per alcune aree periferiche, che abbiamo appena ricordato, l’Europa
ha, ormai da tempo, metabolizzato la grande discordia fra cattolicesimo e
protestantesimo. Almeno nei fatti. Le barriere culturali, che la differenza religiosa aveva alimentato nei cuori e nelle menti di molte generazioni di cattolici
e protestanti in Europa, sono cadute. Gli stili di vita indotti dalla modernità
hanno finito per rendere omogenei i comportamenti: in materia di fede: un
cattolico tende a vivere la sua scelta religiosa in modo più autonomo che per
il passato. In ciò egli finisce per avvicinarsi allo spirito del protestantesimo.
L’individualizzazione del credere interessa non solo il mondo protestante, ma
anche, e sempre più in Europa, i Paesi di più lunga tradizione cattolica. Recenti
inchieste, condotte a livello europeo (HALMAN, 2001), mostrano come le due
aree europee, marcate rispettivamente dal cattolicesimo e dal protestantesimo,
presentino più aspetti simili che profonde differenze. L’unica vera differenza
riguarda la diversa capacità organizzativa delle chiese: da questo punto di vista,
quella cattolica sembra possedere maggiori risorse rispetto alle protestanti nel
saper contrastare i processi d’individualizzazione del credere e della secolarizzazione dei costumi. L’invecchiamento però del clero e l’insufficiente numero
di vocazioni tali da compensare che il numero di preti fa registrare ogni anno in
Europa, fanno prevedere che anche per la Chiesa cattolica si porrà il problema
di un ripensamento di una delle forme storiche che il cattolicesimo ha saputo
esprimere in Europa: la civilizzazione parrocchiale. Venendo a mancare, in
un prossimo futuro, i numeri sufficienti di parroci in grado reggere le “unità
di cura d’anime”, c’è da attendersi che si verifichino due effetti indesiderati
per la Chiesa cattolica: per un verso, un ulteriore allentamento del rapporto
di direzione spirituale fra clero e laicato e, per un altro, la necessità di dover
abbandonare sia il rigido divieto del sacerdozio delle donne che l’obbligo del
celibato ecclesiastico. Il tentativo di compensare il deficit di personale ecclesiastico, ricorrendo ai flussi migratori di sacerdoti nati e formati, almeno in
parte, in Paesi extra-europei si rivelerà ancora per un certo periodo di tempo
un’operazione rischiosa per l’incompatibilità culturale di questo tipo di clero
con l’ambiente dove esso verrà trapiantato. Le cose potranno cambiare quando
il panorama socio-religioso europeo si sarà modificato sensibilmente grazie
all’apporto d’immigrati e di loro discendenti che, a quel punto, avranno bisogno di sacerdoti prossimi alla loro cultura. Avremmo, da questo punto di vista,
chiese etno-cristiane che convivranno con le chiese “storiche” nazionali, fin
quando anche questi confini finiranno per risultare insignificanti.
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Tenderà, in ogni caso, a rafforzarsi u processo che è già in atto: i contenuti di una credenza o di una tradizione religiosa saranno sempre più esposti al rischio delle
scelte soggettive: l’individuo diventerà il criterio ultimo di validità di ciò in
cui egli crederà. Per tutte le chiese, ma in particolare per una come quella di
Roma che fonda la sua forza sul principio dell’obbedienza alla verità assoluta,
il moderno credere nel relativo indebolirà il senso dell’appartenenza religiosa
ad un’organizzazione di salvezza strutturata come una chiesa. Emergerà, nella
società europea, un nuovo mondo dove i tradizionali confini (e conflitti) fra
grandi religioni storiche si diluiranno sempre più e si moltiplicheranno le occasioni d’intese e riconoscimenti reciproci fra confessioni diverse. L’Unione
europea dovrà utilizzare il modello di tolleranza reciproca, ormai raggiunto fra
le chiese cristiane (ma non solo), per regolare i rapporti fra le religioni storiche
e le nuove che tenderanno a rendersi visibili con l’arrivo e il radicamento di
nuovi gruppi di persone provenienti da altre culture e da altri mondi religiosi
(islam, hinduismo, buddismo, sikh, culti afro-americani, animiamo).
Alla luce delle considerazioni appena svolte, sembrano tre, dunque, le principali tendenze
che consentono di descrivere lo scenario della religiosità in Europa:
a) L’allargamento dell’offerta di beni religiosi, in primo luogo, è destinata ad aumentare, riflesso del nuovo pluralismo delle fedi e delle tradizioni spirituali, che
si diffondono grazie all’immigrazione di popolamento, con la conseguente,
inevitabile, maggiore concorrenza fra di esse;
b) Ci sarà, in secondo luogo, una spinta maggiore all’autonomia del credere da parte
degli individui, i quali, proprio per il dilatarsi dei confini delle religioni storiche, saranno portati, più che per il passato, a comporre e ricomporre universi di
credenze a misura dei propri bisogni soggettivi, combinando simboli, pratiche
religiose e concezioni del mondo tratti da differenti tradizioni;
c) A fronte, inoltre, di questa deriva dell’individualizzazione del credere, che mette capo
inevitabilmente a forme moderne di neo-sincretismo, tenderà a svilupparsi, in
parallelo, fra una parte dei credenti sia il bisogno di tornare alle certezze della
tradizione religiosa di nascita che la volontà di difendere l’identità religiosa
ricorrendo a forme di pressione politica e ad un più marcato intervento delle
religioni nella sfera pubblica;
d) Le grandi organizzazioni religiose (le chiese) o le formazioni del tipo setta, nate sul
terreno cristiano, infine, dovranno confrontarsi con società nelle quali diventerà sempre più difficile, per un aspetto, comunicare il messaggio religioso,
rendendolo attraente e convincente per una massa crescente d’individui, che
non avranno vissuto i processi di trasmissione della fede religiosa come un
evento naturale (circoscritto in un ambiente sociale e familiare che li ha educati a credere) (ZULEHNER, 1992) e, per un altro, coinvolgere attivamente
nei servizi liturgici e nelle iniziative organizzative i propri fedeli. In tal senso
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l’Europa continuerà ad essere considerata dalle grandi chiese come una terra di missione, da re-evangelizzare, giacché diventata post-cristiana. Non è
detto che questa convinzione corrisponderà al comune sentire degli europei,
poiché è probabile che essi avranno ormai imparato a tenere assieme libertà
e fede, a credere nel relativo, senza dover necessariamente identificarsi con
un’istituzione di salvezza e ad utilizzare, semmai, la religione come marcatore
d’identità nazionale.
La concorrenza fra religioni non necessariamente darà luogo a conflitti. Anzi, la consapevolezza da parte dei responsabili delle chiese e delle nuove comunità
religiose, di dover fronteggiare un comune avversario - la crescente tendenza
dell’individuo a ridurre la scelta di fede ad un affare privato o ad un’esperienza
interiore -, le spingerà a ricercare una limitata convergenza su temi etici tradizionali (la difesa della famiglia, la lotta contro l’aborto e la salvaguardia della
memoria collettiva radicata nella matrice religiosa cristiana) o su problematiche
di frontiera, come la bioetica e la manipolazione genetica.
La volontà di ricostruire vincoli di comunità partendo da comuni premesse di fede,
senza però necessariamente, rifondare strutture gerarchiche rigide, ma anzi
preferendo e ricercando la relazione orizzontale, carismatica, egualitaria fra i
membri della comunità, costituirà l’altra faccia della modernità religiosa, che
forse riuscirà ad intercettare le moderne forme del credere individualizzato. Ad
una fede cristiana de-regolata, dunque, meno religiosa in senso letterale del
termine (a basso contenuto di legami sociali), corrisponderà un cristianesimo
senza dogmi e senza forti appartenenze istituzionali.
L’APPARENTE ECCEZIONE ORTODOSSA
In questo panorama di profonde trasformazioni che toccano sia il campo cattolico sia
quello protestante, l’ortodossia, la terza grande corrente germinata dal cristianesimo, sembra collocarsi in modo diverso. A partire dal 1988-89 le chiese
ortodosse ritrovano la libertà, compressa e compromessa per lungo tempo dai
regimi comunisti di tipo sovietico (MICHEL, 1989). Nel 1988 la chiesa russa
ha celebrato solennemente il “battesimo della Russia” e ha rapidamente riconquistato il ruolo di depositaria della coscienza culturale e nazionale, non solo
nei cuoi e nelle menti delle persone, ma anche e soprattutto nella sfera pubblica. Migliaia di chiese e monasteri hanno riaperto, altri sono stati restaurati
prontamente. Non solo in Russia, ma anche in Bulgaria, Romania, Ucraina e
Moldavia. In alcuni stati l’insegnamento della religione a scuola è divenuto
un’opzione possibile per chi lo richieda, come nel caso della Romania. Le fratture che, storicamente, hanno diviso le chiese nazionali e che si sono prodotte
quando, durante i regimi comunisti l’atteggiamento compromissorio, scelto
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da vescovi e patriarchi nei confronti degli autocrati al potere, è stato criticato
e respinto da movimenti che hanno finito poi per creare sette o chiese scismatiche, come nel caso della Bulgaria, non si sono ricomposte e, probabilmente,
non si risaneranno facilmente in un prossimo futuro. La partita, infatti, che il
mondo ortodosso è chiamato a giocare è un reale rinnovamento che coinvolga
la dottrina teologica, la liturgia e, soprattutto, la struttura gerarchica interna,
che ancor oggi separa nettamente il clero dai laici. Finora l’unica chiesa, quella
rumena, che ha intrapreso timidamente questo processo, ha visto rapidamente
esaurirsi la spinta al mutamento. Tutto è tornato come prima, aggravando i
conflitti fra basso clero e vescovi, da un lato, e movimento di laici e istituzione
ecclesiastica, dall’altro. Lo scontro fra innovatori e conservatori attraversa tutte
le chiese ortodosse e tenderà a provocare tensioni crescenti nell’avvenire. I punti
del conflitto non sono del resto di poco conto (CLÉMENT, 1991). La riforma
liturgica, di cui si discute in Russia e in Romania, riguarda l’introduzione delle
lingue nazionali chiamate a soppiantare l’antica lingua slava che nessuno più
comprende, salvo il clero; fatte le debite differenze, l’impatto che una riforma
del genere potrà avere sulle chiese ortodosse non sarà irrilevante ed indolore, se
pensiamo agli effetti inattesi e indesiderati, per molti aspetti, che l’abolizione
del latino ha avuto nella liturgia cattolica. Che tutto ciò andrà a rafforzare le
tendenze, vive già oggi sia nella chiesa russa che in quella rumena e greca,
all’ammodernamento delle categorie teologiche e dell’apertura convinta al dialogo ecumenico non è difficile prevederlo. Tutto ciò sarà accompagnata da una
positiva stagione di conflitti interni che alla lunga gioverà al risveglio religioso
dell’ortodossia, dopo la lunga fase storica o di silenzio o di eccessiva subalternità ai poteri politici dominanti. Laddove, infatti, come in Medio Oriente, le
chiese ortodosse hanno avviato un rinnovamento spirituale ciò ha contribuito
a far avanzare il confronto intrreligioso. È il caso della chiesa d’Antiochia, la
quale, grazie al movimento della Gioventù ortodossa, ha avviato sin dal 1945
un vasto lavoro d’aggiornamento teologico, dell’impegno sociale e di ricerca
di un dialogo profondo con il mondo musulmano, provocando positive reazioni
da parte di quest’ultimo. In un angolo di mondo gravemente danneggiato da
conflitti e guerre, da tensioni fra comunità religiose (cristiane, musulmane e
druse), l’azione pacificatrice che il Patriarcato d’Antiochia potrà svolgere sarà
molto importante. Grazie a quest’opera di rinnovamento il Patriarcato potrà
consolidare il processo già avviato di riconciliazione interna alle diverse famiglie ortodosse calcedoniche e non (come quella armena, siriana orientale,
copta, etiope e dell’India del sud) (KHAWAM, 1987).
Nonostante questi timidi processi di cambiamento, permarrà per lungo tempo ancor ala
tensione fra questo variegato mondo dell’ortodossia e l’Occidente cristiano.
Quest’ultimo continuerà ad essere visto con sospetto. Se prima, durante i regimi
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comunisti, la modernità occidentale appariva, caricaturalmente nella propaganda
di regime, come regno di Satana, oggi e in futuro questo stereotipo verrà solo
in parte ridimensionato. Un po’ dappertutto, infatti, nel mondo ortodosso andrà
rafforzandosi, fra i credenti e i loro pastori, l’idea che dall’Occidente provengano e continueranno a provenire pericoli esiziali per l’integrità della fede e,
soprattutto, per l’identità nazionale dei popoli che nell’ortodossia trovano una
salda corda per ancorarla. Dovrà passare tutta una generazione prima che tale
diffidenza cada definitivamente. Solo allora l’impulso al rinnovamento potrà
dispiegare tutti i suoi effetti.
CONCLUSIONE
Il pentecostalismo è oggi un modo particolare di essere cristiani. Una nuova forma di
immaginazione religiosa. Con una formula scarna, tale modo di essere può
essere così sintetizzato: una spiritualità liquida dentro una chiesa leggera. Un
cristianesimo che non sopporta dogmi e apparati ecclesiastici, perché crede
nella forza vivente dello Spirito. Si tratta di una spiritualità che dilata i confini
del credere che affannosamente le autorità teologiche delle chiese storiche (da
quella cattolica a quelle protestanti) hanno cercato di definire nel corso del
tempo. Il pentecostalismo è un tipo di religiosità che appare perciò refrattaria
alle liturgie ordinate e composte, segno di un ordine del credere che contiene
e restringe lo spazio della creatività e della partecipazione individuale al rito.
Per molti aspetti il pentecostalismo costituisce la spinta al rinnovamento che
il cristianesimo conosce, in particolare nel Sud del mondo. Mentre i segni di
risveglio in Europa sono ancora fievoli, in Africa, Asia e America Latina il
cristianesimo registra una formidabile espansione. Nel 2025, infatti, secondo
stime statistiche fondate sulle previsioni di crescita demografica – rallentata nel
Vecchio Continente, più accelerata nel così detto Terzo Mondo – sul pianeta
ci saranno nominalmente due miliardi e mezzo di cristiani e il cristianesimo
resterà ancora la prima religione mondiale. Ebbene di questi, 633 milioni si
troveranno in Africa, 640 in America Latina e 460 in Asia. Nel frattempo la
composizione demografica e socio-religiosa del Nord-America – in particolare
degli Stati Uniti – cambierà sempre di più e la figura classica del “protestante
bianco” sarà sostituita da quella inedita e imprevedibile dell’ispano-cristiano che
apparterà in prevalenza ad un terzo tipo di protestantesimo, quello pentecostale.
Già oggi i credenti che fanno capo alle diverse chiese e ai movimenti di matrice pentecostale sono circa seicento milioni, ma nel 2050 arriveranno al miliardo. Le
maggiori comunità o la più fitta rete di comunità e denominazioni di tipo pentecostale oggi si trovano in Ghana o in Nigeria, a Kinshasa o Adis Abeba, a Manila
o Rio de Janeiro, in Guatemala o in molti quartieri delle principali metropoli
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nordamericane. Dal Sud del mondo, muovendo verso il Nord, attraverso i flussi
migratori, questa nuova spiritualità comincia ad abitare anche in Europa, dove,
del resto, sia in ambiente cattolico sia in quello protestante si sono manifestati
dalla fine degli anni Settanta del secolo appena trascorso, i movimenti di risveglio
pentecostale. In Italia, in campo cattolico esso è rappresentato dal Rinnovamento
nello spirito, mentre in quello protestante dalle Assemblee di Dio.
Uno noto teologo presbiteriano del Ghana, recentemente scomparso, Kwane Bediako ha
descritto il fenomeno pentecostale africano come il segno del “rinnovamento di
una religione non-occidentale” (1995) in seno al cristianesimo contemporaneo.
Se ci pensiamo attentamente, per molti popoli il cristianesimo storicamente ha
finito per imporsi all’inizio attraverso metodi di conversione sostenuti e strumentalizzati dalle potenze coloniali europee. La formazione stessa del Nuovo
Mondo – gli Stati Uniti d’America – è in fondo una tracimazione religiosa delle
sette protestanti, malviste e perseguitate nel Vecchio Continente, in terra americana. Che siano state la Chiesa cattolica di Roma o le Chiese protestanti storiche
a portare in giro per il mondo il Vangelo di Cristo, ciò non toglie che spesso
l’annuncio evangelico è apparso agli occhi dei popoli che venivano sottomessi
(o peggio ridotti alla schiavitù) al dominio coloniale, come una religione dei
“bianchi”. Ciò a cui assistiamo oggi, con il pentecostalismo (ma non solo), è
l’affermarsi di tante autonome chiese cristiane fondate da profeti Neri, Indios
o Asiatici che hanno creato una sintesi fra le tradizionali religioni degli spiriti,
retaggio di un passato represso ma mai sconfitto, e la nuova religiosità dello
Spirito Santo, figura centrale della teologia cristiana della Pentecoste: dopo che
il Padre ha mandato Suo Figlio a redimere il mondo, è arrivato il tempo dello
Spirito che si annunzia. E lo Spirito soffia dove vuole.
Il pentecostalismo ha, in realtà, a che fare con la memoria lunga del Cristianesimo del
racconto evangelico della discesa dello Spirito sugli Apostoli, dopo la morte e
resurrezione di Gesù Cristo. A fasi alterne, l’idea che il rinnovamento religioso dovesse trovare ispirazione in quell’evento si è manifestata, a fasi alterne,
nel corso della storia del cristianesimo stesso. Movimenti e gruppi di cristiani
hanno creduto alla lettera nel racconto evangelico: lo Spirito si manifesta dove
vuole e come vuole, fa parlare in lingue sconosciute, guarisce e fa entrare in
comunicazione diretta il credente con il soprannaturale. Nel passato ci sono
state varie correnti che, soprattutto nel Medio Evo, hanno innalzato la bandiera
dello Spirito invocando la purificazione di una Chiesa – quella di Roma – che
ai loro occhi era diventata corrotta e lontana dagli insegnamenti di Cristo. Non
è un caso che qualcuno, come il frate calabrese Gioacchino da Fiore, nel XIII
secolo, aveva preconizzato l’avvento dell’Età dello Spirito, dopo quella del
Padre e del Figlio: una età segnata da meno chiesa e più spiritualità diffusa.
Una profezia che per molti aspetti si sta avverando ai nostri tempi.
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La convinzione che lo Spirito esista e sia presente e che possa rivelarsi ad una assemblea
di credenti in fervida attesa dei suoi segni rivelatori diventerà nella seconda metà
del XIX secolo uno dei motivi centrali del rinnovamento nel protestantesimo,
soprattutto nord-americano. Agli inizi del 1900 nascerà il primo nucleo di una
fitta rete di Assemblee di Dio – così si chiamano ancora oggi e sono diffuse in
molti continenti, compresa l’Italia terra dove il movimento conosce una forte
espansione – che della teologia dei doni spontaneamente, elargiti dallo Spirito
a chi lo invoca con passione e fervida convinzione, farà il suo punto di forza.
D’allora è stato tutto un crescendo. E non ha risparmiato nessuno, nemmeno
un’istituzione come la Chiesa cattolica, che ha sempre cercato di regolare il
flusso potenzialmente anarchico dei movimenti carismatici al suo interno,
trasformando spesso il carisma in ordine religioso. Ma oggi non sembra più
riuscire a farlo, se è vero che in alcune realtà come il Brasile (CARRANZA,
2011) o nelle Filippine l’organizzazione della rete parrocchiale non può fare a
meno dell’apporto dei gruppi carismatici. Dunque, siamo di fronte ad una spiritualità a misura dei bisogni di strati sociali emarginati che ritrovano, tramite l’esperienza spirituale dei doni dello Spirito,
motivi di speranza e la convinzione che la potenza dello Spirito può rivelarsi, cambiando la propria vita in meglio, sia in senso morale sia nel successo
economico. Se a tutto ciò si aggiunge il fatto che, in molti casi, le chiese
pentecostali sono in grado di ricostituire legami sociali travolti e sconvolti
dai processi di urbanizzazione o di trasferimento forzato di molte persone
dalle zone rurali sempre più povere verso i centri urbani (e da qui verso le
città del Primo Mondo), si comprende come lo spirito comunitario, che si
viene a creare fra i loro membri, favorisca altresì una solidarietà sociale indispensabile a far fronte al rischio e all’incertezza propri di chi è costretto a
sradicarsi, a spostarsi altrove in un ambiente diverso per cercare di fare fortuna
senza grandi aiuti e, magari, respirando ostilità attorno a sé. La combinazione
fra spiritualità in prima persona e senso di solidarietà aiuta a comprendere
le ragioni del fenomeno pentecostale, che globalmente tocca tutto il mondo
cristiano, compreso il Cattolicesimo.
IL CRISTIANESIMO DEL TERZO MILLENNIO FRA IMMAGINAZIONE E CRISI
Abstract: in the third Millennium, once again Christianity is coping with a dilemma
that since the origins faces the message of Jesus Christ. In the beginnings was
the word, the word gave by Jesus; then there is the movement that believed in.
A word that soon divided the system of belief meanwhile it was building the
religious boundaries. On one hand, those who long to live the word like a vital
impetus for a charismatic and prophetic community, and, on the other, those who
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were interested in transforming the word into the fundamentals of the authority,
the authority of the truth. In contemporary world, the Christian imagination
challenges the submissiveness the sacred authority. The traditional systems of
belief are facing with the so called Pentecostal and Charismatic movements,
within and out of the historical Churches. Indeed many of them are liberation’s
movement both from the organizational Catholic Church pattern and from a
Euro-centric theology.
Keywords: Pentecostalism. Post-Colonial Religion. New Christian Imagination.
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