CHIGIANA - UNICO SETT. 2007

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CHIGIANA - UNICO SETT. 2007
CHIGIANA - UNICO SETT. 2007
22-06-2007
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PICCOLA RIFLESSIONE INTRODUTTIVA
MICHELE SERRA
a profano/orecchiante, ho del melodramma un’idea piuttosto
ingenua. Lo vivo come luogo potentemente espressivo,
facilmente enfatico, nel quale possono darsi avvenimenti e
sentimenti estremi. Non so se ancora oggi, nel teatro d’opera, si
abbia il diritto di morire di tisi, languire per amore, partire per la
guerra, esultare e disperarsi nell’arco dello stesso atto. Immagino,
anzi, che siano state adottate sane misure di profilassi artistica per
evitare che questo avvenga con troppa frequenza e disinvoltura.
Resta il fatto che la suggestione melodrammatica, per un
apprendista librettista, è inevitabilmente legata alla tentazione di
raccontare una storia a tinte forti o perlomeno robuste, e di farlo
con un linguaggio all’altezza (o alla bassezza) della bisogna.
Capisco bene che ideare un “melodramma melodrammatico”,
nel 2000, porti diritto tra le braccia della parodia. Qualunque postgenere, del resto, non può che essere parodistico (nei casi peggiori,
lo è involontariamente). Se però si ha (e noi l’abbiamo, non è vero
Fabio Vacchi?) anche una piccola presunzione di lirismo (post-lirismo?), ci si deve preoccupare di allargare parecchio le maglie della
parodia. O quantomeno, di “abitare” nella parodia senza farsene
troppo condizionare. Cioè avere il coraggio, quando serve, quando
c’entra, di dimenticare che si sta rifacendo qualcosa di strafatto, e
di provare a farlo come una cosa nuova, intatta, capace di pronunciare le emozioni e non solo di storpiarle satiricamente. Cioè essere
ingenui, che è davvero l’ultimo lusso che i tempi parrebbero consentirci.
Non credo, in fin dei conti, che il mix di comico e di tragico
sia poi così arduo, così delicato. Nei miei (pochi) precedenti letterari e teatrali, ho sempre risolto la questione nel più impudente dei
modi: ignorandola. Cioè confidando nell’elasticità e nell’ambiguità
dei due modi espressivi, l’uno continuamente sconfinante in quell’altro, dialetticamente complementare a quell’altro.
Ho dunque provato a immaginare una storia che contenesse,
tutte intere, entrambe le possibilità. Quella comica fondata, oltre
che su una situazione di per sé grottesca (1’“eroe”, il mostro, è un
ultrà di calcio che parla della Coppa Uefa come del Sacro Graal),
sull’utilizzo parodistico di alcuni decrepiti stilemi retorici: quale
altra preziosa occasione per uno scrittore, se non il melodramma,
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