Pag. 13-15 - GAL Tradizione delle Terre Occitane

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8. Sanfront (Valle Po). Balma Boves (650m). Balma o Barma , termine
prelatino indicante grotta o riparo sotto roccia. In questo caso lo spazio
coperto dal roccione sporgente è talmente vasto da contenere due case con
altri edifici accessori. La Balma è stata abitata fino ad una cinquantina d’anni
orsono e certamente servì da riparo già per i primi frequentatori della valle.
9. Demonte (valle Stura). Truna semidiroccata in località Le Trune (2298m)
nel Vallone dell’Arma, sotto il Colle di Valcavera. Questi ricoveri per pastori
sono costruiti interamente a secco, compresa la volta, a pieno sesto che
scarica la spinta fino a terra. La ricopre uno strato di zolle cercando di
renderla impermeabile.
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La vita dei primi abitanti
Silio Italico (sec. I d.C.) menziona i Liguri
Vagienni, definendoli “sparsi per saxa Vagienni”.
Essi abitavano le Alpi (saxa) in modo sparso,
come si addice ad un popolo di pastori,
certamente poco numeroso e dedito alla
transumanza dalle sedi invernali, una delle quali
era certamente Bene Vagienna. Allora non tutti i
fondovalle erano abitabili o transitabili, a causa di
frane, alluvioni, boschi ed acquitrini; dove non
era possibile il transito vi sarà stato una specie di
tratturo a mezza costa o sulle creste displuviali
per accedere ai pascoli in alta quota, ossia al di
sopra della vegetazione boschiva. Al piede di
ogni valle dovevano esserci alcuni insediamenti
permanenti, costruiti con muri di pietrame a
secco o con malta di argilla e coperti con felci o
frasche su orditura in legno, secondo la
tradizione mediterranea e ligure in particolare. Le
trune, mezzo interrate, anch’esse di antica
tradizione mediterranea, probabilmente
costituivano i ricoveri estivi sui luoghi di pascolo.
I Romani non modificarono questo stato di cose,
poiché a loro non interessava occupare il
territorio montano (saltus, che incuteva timore)
ma solo garantirsi il passaggio seguendo gli
itinerari di collegamento con la Gallia. I pastori
commerciavano i loro prodotti sui mercati dei
centri pedemontani dove abitavano le famiglie
dei soldati di guarnigione e dei veterani divenuti
agricoltori sulle terre loro assegnate nel piano
(ager soggetto a centuriazione, ossia a partizione
razionale e geometrica) mentre i locali erano
considerati solo in quanto potenziale forza di
lavoro, spesso coatto.
Poco alla volta, comunque, anche i superstiti
Liguri si integrarono nella nuova società, come
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10. Vernante (val Vermenagna). Val Grande (vedi fig 4). Come si presentava
una stalla con soprastante fienile quando la paglia serviva per coprire il tetto
e tamponare il timpano.
11. Limone Piemonte (val Vermenagna). All’epoca in cui il Vallone Sottano
era ancora stabilmente abitato, parte del fieno veniva conservato nei prati fino
all’inverno in fienili cilindrici (mée) ricoperti da un cappello intessuto di paglia
che serviva per diversi anni.
dimostrano le due lapidi funerarie di epoca
romana rinvenute a Paesana e a Monterosso e
dedicate rispettivamente a Cavius L.F. Montanus
Ligur e a Viccius Ablagosius, anch’egli Montanus
Ligur, secondo quanto riferisce il Muletti nella sua
“Storia di Saluzzo”. A completare il lento
processo di integrazione, erano arrivati il
riconoscimento della cittadinanza romana anche
per gli abitanti delle province alpine e l’adozione
dell’originaria toponomastica, ricca di termini,
che sopravvivono tutt’ora, con suffisso in asco o
asca per indicare un insieme abitato.
In campo edilizio, i Romani introdussero l’uso
della calce, ottenuta per cottura della pietra
calcarea in appositi forni e che, una volta
“spenta” e mescolata alla sabbia, serviva e serve
tuttora da legante per la muratura. Sempre i
Romani diffusero in pianura l’uso dei laterizi e
istruirono le manovalanze locali nell’impiego
dell’arco e della volta. Probabilmente, all’epoca,
le alte valli cuneesi continuarono ad offrire
unicamente un buon terreno di pascolo per
bestiame transumante, poiché è presumibile che
durante l’occupazione romana, tali valli siano
state abitate in modo permanente soltanto nel
loro tratto inferiore, piano ed aperto, dove era
iniziata la colonizzazione e la bonifica da parte di
famiglie d’agricoltori-allevatori stanziali, a cui, tra
il resto, si deve anche la coltivazione del
castagno da frutto. Non è da escludere che i
primi ad insediarsi stabilmente nel territorio più
elevato siano stati proprio quei pastori abituati a
passarvi l’estate. Poco alla volta essi, da nomadi,
si sarebbero sedentarizzati, vuoi perché inibiti nei
loro spostamenti dai consorzi di proprietari che si
erano andati formando sulle terre di pianura e di
bassa montagna, vuoi per questioni di sicurezza
durante il periodo delle invasioni, ossia durante e
dopo l’ultimo secolo dell’Impero di Roma.
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II
II.1
II.2
Tetti in paglia
I tetti in paglia, erano un tempo molto più numerosi di quanto oggi si possa
desumere dai pochi esemplari sopravvissuti. Caratterizzavano
un'architettura rurale alpina che faceva dei materiali costruttivi semplici e
reperibili sul luogo le sue principali componenti.
La paglia di segale era il materiale vegetale utilizzato per le coperture
nelle valli sud-occidentali della provincia di Cuneo, dove il suo impiego era
strettamente legato alla forte diffusione di questo cereale, attualmente
quasi scomparso facendo mancare la materia prima da utilizzare per il
ripristino e la manutenzione di questi particolari tetti.
La segale veniva seminata durante i mesi di agosto-settembre. La varietà
utilizzata per le coperture aveva steli di un’altezza tra i 120 e i 150 cm e
cresceva ad una quota superiore ai 1200 m. s.l.m. , altitudine che ne
migliorava la fibrosità e la resistenza.
La mietitura avveniva generalmente verso la fine di luglio e nelle località
poste ad altitudine maggiore poteva protrarsi fino alle prime settimane di
settembre. Quest'operazione doveva essere effettuata manualmente per
evitare che gli steli venissero fratturati, risultando così inservibili.
Successivamente i covoni venivano legati, lasciati seccare per qualche
giorno nei campi e poi battuti al fine di eliminare la granella, facile preda di
roditori che avrebbero rovinato la copertura.
La carpenteria risente sia di fattori culturali, determinati dalla tradizione,
sia ambientali, determinati dal clima e dal legname disponibile, materiale
che più di tutti ha influenzato il modo di costruire e la tipologia degli edifici.
La struttura caratterizzata da una forte pendenza delle falde, imposta dalla
necessità di scaricare la neve affinché il suo peso non provocasse la
rottura e la conseguente perdita della funzione impermeabile degli steli,
era realizzata mediante capriate arcaiche ravvicinate, spesso
controventate da saette, con il colmo privo di funzione portante e i puntoni
uniti all'estremità superiore mediante un incastro o un piolo.
Sui puntoni venivano fissate pertichette orizzontali per legarvi la paglia.
La prima operazione per la messa in opera del manto in paglia iniziava
con la realizzazione di un “cordolo” partendo dal frontespizio e poi si
procedeva dal basso verso il colmo collocando i mannelli con le spighe
rivolte verso l’alto e legandoli alle pertichette sottostanti.
Per la realizzazione del colmo la paglia di una falda veniva ripiegata
sull'altra falda e fissata con una legatura; infine veniva disposto un ultimo
strato assicurato con due pertiche esterne, unici elementi lignei che
rimanevano in vista.
Francesco Tomatis
Michele Noto
II.3
II.4
II.1 Assonometria della grossa e della piccola
orditura.
II.2 Scheletro di tetto un tempo a paglia alla
Correria della Certosa di Val Pesio.
II.3 e 4 Vista di un tetto a paglia dall’interno e
dall’esterno.
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