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n° 310 - maggio 2003
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Amedeo Modigliani
La Vita è un Dono,
dei pochi ai molti,
di Coloro che sanno e che
hanno a Coloro che non Sanno
e che non hanno
Questa frase di D’Annunzio, partcolarmente
amata da Modigliani, ricorre più volte sul retro
dei suoi schizzi e disegni
come una sorta di motto
che l’artista aveva eletto
a epigrafe del significato
della propria esistenza,
una frase che testimonia
non solo la coscienza del
proprio valore, ma il concetto della vita e dell’arte
come portatrici di un messaggio. Un concetto che
attraversa tutti gli scritti
di Modigliani spesso
oscuri e misticheggianti:
ne è un esempio emblematico la frase “La felicità è un angelo dal volto
severo”, tratta da una cartolina inviata nel 1913
all’amico e mecenate Paul
Alexandre, che fa da sottotitolo alla grande monografica dedicata ad
Amedeo Modigliani,
aperta nelle sale di Palazzo Reale a Milano fino
al 6 luglio.
Dopo lo straordinario successo di Parigi, dove ha
superato il mezzo milione
di visitatori, la versione
milanese della rassegna
si presenta in un allestimento diverso e ampliato, nell’intento di
porre l’accento sulla determinante presenza di
Jeanne Hébuterne nel
percorso esistenziale ed
artistico di Modigliani.
Infatti, ciò che differenzia la rassegna milanese
dalla mostra del Palais
du Luxembourg è proprio la presenza di un corpus di dipinti e disegni
della Hébuterne, che mira
a metterne in risalto il significativo ruolo nella
vita di Modigliani, non
solo come compagna ma
come artista di talento e
interlocutore privilegiato
nel viaggio intrapreso dal
maestro alla scoperta delle
arti primitive.
Mentre il rapporto con
la modella-pittrice rappresenta il nucleo attorno
al quale si riunisce la seconda parte della mostra,
ricca complessivamente
di circa 110 opere, la
prima sezione prende avvio da quel momento cruciale nel percorso artistico di Modigliani rappresentato dal suo arrivo
a Parigi nel gennaio del
1906, all’età di ventidue
anni, e all’incontro con
l’ambiente artistico internazionale che animava
la vita della città.
La formazione di Modigliani si era fino ad allora
svolta in maniera discontinua, soprattutto a causa
delle gravi malattie che
lo avevano colpito: dopo
un periodo a Firenze,
presso la Libera Scuola di
Nudo tenuta da Giovanni
Fattori all’Accademia,
dal 1902 al 1905 aveva
soggiornato a Venezia,
studiando presso l’Istituto di Belle Arti. Il giovane Amedeo aveva dovuto ben presto rinunciare alla scultura, sua
massima aspirazione, per
ragioni di salute, e si cimenterà solo periodica-
mente in opere plastiche,
abbandonando definitivamente questa attività
nel 1914. Significativo
appare comunque il fatto
che, giunto a Parigi, dove
entrò ben presto in contatto con Paul Alexandre, il medico che fu il
suo primo mecenate, il
circolo artistico che frequentò più assiduamente
fu quello incentrato attorno alla figura dello
scultore Costantin Brancusi, che avvicinerà Modigliani allo studio della
figura umana idealizzata,
traendo ispirazione per
la semplificazione essenziale delle forme dalla
scultura africana.
Nelle opere del primo
periodo parigino, prevalentemente ritratti, l’influenza più forte appare
comunque quella di Toulouse-Lautrec, come nella
Testa di donna di profilo
(un’impostazione rara
nella ritrattistica di Modigliani, che presenta
quasi sempre il soggetto
frontalmente), dipinta
nel 1907 e dedicata a Paul
Alexandre. Questo giovane medico, appassionato d’arte al punto di
acquistare una piccola
casa in rue du Delta e
metterla a disposizione
degli amici artisti, era
stato colpito dalla personalità e dalla cultura di
Modigliani fin dal primo
incontro; Alexandre rimase a lungo l’unico acquirente delle opere dell’artista livornese, incoraggiandolo e procurandogli le prime commissioni - ritratti di parenti
A. Modigliani: Testa di donna in profilo
Coll. privata
pag. 2
ed amici - e cercando di
dissuaderlo ogni volta
che, scontento della sua
opera, si accingeva a bruciare quadri e disegni.
L’altissimo concetto che
Modigliani aveva della
propria missione di artista, e che gli impedì sempre di dedicarsi alla piccola produzione occasionale con la quale i colleghi cercavano in qualche modo di sopravvivere
(caricature, manifesti),
appare già chiaramente
espresso in una lettera del
1901 al compagno di
studi Oscar Ghiglia, anch’egli allievo di Fattori:
«Cerco di formulare con
la maggior lucidità le verità sull’arte e sulla vita
che ho raccolto sparse
nelle bellezze di Roma;
e come me ne è balenato
anche il collegamento intimo, cercherò di rivelarlo e di ricomporne la
costruzione e quasi direi
l’architettura metafisica
per crearne la mia verità
sulla vita, sulla bellezza
e sull’arte».
L’artista, per Modigliani,
non è soggetto alle stesse
leggi degli altri, ma piuttosto «deve essere libero,
senza legami. Una vita
eccezionale»: questa concezione esistenziale lo
porta ad abbandonarsi all’abuso di alcool e stupefacenti, come molti artisti dell’avanguardia parigina a cominciare da
Picasso, nell’intento di
ampliare le proprie percezioni e sperimentarne
di nuove. Paul Alexandre, che partecipava a
queste serate, testimoniò
l’influenza di tali sostanze
sull’attività di Modigliani:
«per quanto ne so, non
ha mai disegnato in stato
di ebbrezza, ma si è ricordato delle sue visioni
nel lavoro di semplifica-
zione, di depurazione
della forma e dei colori
che gli fu sempre proprio. Anche i suoi studi
sulle marionette, che l’incantavano per l’aspetto
rigido e meccanico, e che
ci hanno appassionati per
qualche tempo, li ha incominciati sotto l’influsso
dell’hascisc».
Nel 1907, in occasione
del Salon d’Automne, dove
espone due tele, Modigliani incontra la pittura
di Cézanne, al quale il
Salon dedicava quell’anno
una monografica. La lezione di Cézanne impronta fortemente una
serie di dipinti di Modigliani, in particolare Il
mendicante di Livorno, realizzato durante l’estate
del 1909 durante il soggiorno nella città natale.
L’opera appare in tutto
un omaggio al grande
maestro da poco scomparso, non solo nella struttura volumetrica del volto
del modello, ma anche
nella tavolozza prettamente “cézanniana”, con
i contorni della figura
nettamente profilati in
azzurro intenso. Lo sfondo,
in cui è appena accennato
il vano di una porta alle
spalle del soggetto, ha
una sobrietà descrittiva
che resterà una costante
in tutta l’opera di Modigliani: l’ambiente in cui
viene rappresentato il personaggio ritratto è connotato solo in minimi
scarni tratti, presenti quel
tanto che basta a dare
spicco alla figura in primo
piano; in questa essenzialità austera che caratterizza tutta l’opera di
Modigliani, la ritrattistica resta il genere privilegiato in assoluto, insieme con il nudo femminile, mentre al paesaggio l’artista dedicherà
solo quattro tele, dipinte
nel 1918 durante il lungo
soggiorno a Nizza.
Gli anni fra il 1910 e il
1914 costituirono un periodo durante il quale
Modigliani si muoveva
in più direzioni, alla ricerca di punti di riferimento con i quali confrontare le sue esperienze
e la definizione delle forme
che più rispecchiassero il
suo mondo interiore. E’
di questi anni l’interesse
per la statuaria antica e
primitiva, attraverso le
frequentazioni del Louvre, dove studiava le opere
egizie e assiro-babilonesi,
e la scoperta della scultura africana presso il
grande collezionista
Burty-Haviland, con il
quale aveva stretto amicizia, e in seguito presso
Paul Guillaume, collezionista e mercante di
Modigliani nel suo atelier
in una foto scattata da Paul Guillaume
A. Modigliani: Il mendicante di Livorno - Coll. privata
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opere africane.
Inoltre, erano gli anni in
cui la figura di Picasso
faceva sentire potentemente la sua influenza su
tutto l’ambiente artistico
parigino, ed era una presenza con la quale tutti i
pittori e scultori d’avanguardia dovevano, comunque, fare i conti.
Tra il 1911 e il 1913, Modigliani si dedica assiduamente a progettare
un complesso di sculture,
figure femminili di cariatidi, che avrebbero dovuto ornare, come “colonne di tenerezza” un
tempio dedicato al culto
della voluttà. Oltre a numerosi schizzi, restano
del progetto una decina
di oli di grande formato,
nei quali Modigliani tenta
una sintesi tra elementi
della statuaria etrusca,
africana e dell’arte khmer
- che ornava i templi birmani - così descritta da
Paul Alexandre: «Nei
suoi disegni c’è invenzione, semplificazione e
purificazione della forma.
Ecco perché l’arte negra
l’ha affascinato. Modigliani ha ricostruito a
modo suo le linee del volto
umano adattandole ai canoni negroidi. Era attratto da tutti i tentativi
di semplificazione delle
linee e vi si interessava
per la sua ricerca personale». Nel 1912 la produzione di Modigliani è
prevalentemente plastica,
tanto che al Salon di quell’anno è presente con sette
sculture e nessun dipinto.
Appena due anni dopo,
però, a causa di una salute sempre più precaria,
Modigliani abbandonò
defin itivamente la scultura per dedicarsi esclusivamente a dipingere.
Nel 1914 iniziava anche
il rapporto con Paul Guil-
laume, che fino al 1916
sarebbe stato l’unico mercante del maestro, mentre con l’entrata in guerra
della Francia l’amico Paul
Alexandre veniva reclutato e i contatti con Modigliani si interrompevano definitivamente.
E’ un periodo fecondo per
l’artista, che lavora intensamente ad una serie di ritratti dei protagonisti della vita intellettuale parigina, da Paul
Guillaume ad Apollinaire, da Max Jacob a
Henri Laurens, ma soprattutto Beatrice Hastings, la poetessa inglese,
con la quale Modigliani
visse per due anni, ritratta
in quattordici dipinti e
numerosi disegni.
In alcuni ritratti di questi anni, come in quello
raffigurante Moise Kisling,
un pittore di origine polacca che nel 1916 divideva lo studio con Modigliani, si nota un interesse nei confronti del cubismo, collegabile anche
con i rapporti personali
che intercorrevano tra Picasso e Modigliani in questo periodo: Modigliani
eseguì un ritratto di Picasso e nel 1916 esposero
insieme in diverse mostre collettive. Comunque, Modigliani non riuscì mai ad amare e a sentire profondamente il cubismo, considerandolo
soltanto un esercizio formale che non era in grado
di fornire all’artista gli
strumenti per esprimere
il significato esistenziale
del soggetto, che rimaneva per lui l’obiettivo
di ogni ritratto.
Così, il diverso modo di
trattare gli occhi nel ritratto che Modigliani fece
nel 1916 aPaul Guillaume, rimanda alla domanda di Survage, che
chiedeva al pittore perché lo avesse fatto con un
occhio solo; e Modigliani
rispose: «Perché con uno
guardi il mondo e con
l’altro guardi dentro di
te».
Gli anni tra il 1917 e il
1920, che videro la profonda amicizia di Modigliani con il mercantepoeta Léopold Zwborowski, coincisero con la piena
maturazione dell’artista:
Modigliani raggiungeva
compiutamente l’espressione di quella “figura
ideale”, nella quale le fisionomie dei volti conosciuti ed amati divenivano ieratiche maschere
della più intima ed
A. Modigliani: Cariatide - Düsseldorf,
Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen
Paul Guillaume - Milano, Civico Museo d’Arte Contemporanea
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astratta essenza individuale. Il ritratto come
sublimazione dell’individualità in un archetipo
atemporale toccava così
il punto più alto nella parabola artistica di Modigliani.
I nudi femminili, che
tanto scandalo avevano
destato in occasione della
mostra presso la Galleria Weill nel 1917, e che
allo stesso tempo avevano
assicurato all’artista quel
successo di pubblico a
lungo invano atteso, appaiono anch’essi racchiusi
in un’aura atemporale,
raffigurazioni della femminilità come assoluto,
trascendendo l’individualità del soggetto rappresentato per attingere
ad una elegante classicità, sottolineata dalla
scelta di pochi toni di colore e dalla predilezione
per gli sfondi scuri, grazie ai quali si esaltava la
luminosa bellezza di corpi
armoniosi, come nel Nudo
seduto con camicia tra le
mani, dove la modella
sembra volersi proteggere dall’intrusione di
sguardi indiscreti nel casto gesto di una Venere
rinascimentale.
Grande protagonista nei
dipinti e nei disegni degli ultimi anni di vita di
Modigliani è la sua compagna Jeanne Hébuterne:
giovanissima pittrice, ancora studentessa diciottenne dell’Accademia
quando Modigliani la conobbe nel 1916, Jeanne
rimase una presenza costante nella vita fino ad
allora turbolenta dell’ar-
Nudo seduto - Villeneuve d’Ascq, Musée d’Art Moderne
tista, dedicandosi intensamente al disegno e alla
pittura. Di Jeanne Hébuterne sono esposti nella
mostra milanese una ventina di dipinti e numerosi disegni, che rappresentano un’autentica scoperta, essendo rimasti
fino ad oggi custoditi
presso la famiglia della
giovane pittrice, il cui talento risalta in tutta la
sua forza nelle opere presentate. Assume così uno
spessore diverso, ben più
consistente, la personalità di quella che fino ad
oggi era stata considerata
solo come la protagonista di una storia d’amore
finita tragicamente.
Nei ritratti, nelle nature
morte e nelle vedute di
tetti e cortili osservati
dalle finestre dello studio, emerge una indivi-
dualità artistica consapevolmente autonoma
nei confronti della figura
del maestro: tanto distaccate dal mondo circonstante e dal proprio tempo
le figure immote dei personaggi ritratti da Modigliani, quanto immersi
nella quotidianità domestica, ricca di connotazioni ambientali, i soggetti colti dalla Hébuterne con intensa sensibilità e con una già matura padronanza di mezzi
espressivi, pur nella giovanissima età. Infatti,
quando si suicidò gettandosi da una finestra il
giorno successivo alla
morte di Modigliani, avvenuta nel gennaio del
1920, Jeanne non aveva
ancora compiuto ventidue anni.
donata brugioni
J. Hébuterne: Il cortile - Coll. privata