Ambiente ed Energia
Transcript
Ambiente ed Energia
Eugenio Guadagno Ambiente ed Energia UTE Cinisello Balsamo Anno Accademico 2009-2010 Introduzione Fino a pochi anni fa “ambiente” ed “energia” erano due argomenti che richiamavano l‟attenzione solo quando accadeva qualcosa di insolito, per esempio un incidente a una petroliera o un “black out”, cioè un‟estesa e prolungata interruzione della corrente elettrica. Negli ultimi tempi però, due problemi hanno colpito la nostra attenzione suscitando qualche comprensibile apprensione: i notevoli aumenti di prezzo dei prodotti energetici di uso comune come la benzina, il gas e l‟elettricità e l‟andamento della temperatura ambientale che sembra in continuo aumento. Si tratta di problemi molto importanti per il benessere e lo sviluppo dell‟umanità. In generale gli organi di comunicazione si danno un gran da fare per spiegarci cosa succede, ma il più delle volte ci lasciano con le idee più confuse di prima, perché le loro informazioni non possono che essere frammentarie e circoscritte. A volte poi esse si colorano di ideologie politiche e gli avvenimenti sono presentati più per dimostrare o confutare delle tesi che per informare correttamente. Questo corso si propone l‟obiettivo di fornire sull‟energia e sull‟ambiente delle informazioni basate il più possibile su fondamenti tecnici e scientifici, nel presupposto che una conoscenza oggettiva, anziché emotiva, dei problemi possa essere di aiuto per affrontarli in modo più razionale. Nel corso vengono illustrate le varie forme di energia oggi esistenti ed utilizzate, le problematiche ambientali provocate dal loro utilizzo e le misure adottate per eliminarle o minimizzarle. L‟esposizione è fatta in maniera semplice in modo che gli argomenti risultino comprensibili anche a chi non abbia una cultura tecnica di base. i L’origine dell’energia Se cerchiamo in un dizionario la parola “energia” troviamo queste definizioni: “vigore fisico” e “capacità di un sistema di compiere lavoro” (Figura 1). Entrambi sembrano dei concetti familiari, ma il lavoro, nel linguaggio tecnico, ha un significato ben preciso che si può esprimere con delle formule matematiche. Senza però addentrarci in queste possiamo dire che si compie lavoro ogni volta che per spostare un corpo bisogna vincere una resistenza che si oppone al movimento, come la gravità, l‟attrito o la resistenza del fluido in cui avviene il movimento. Così, ad esempio, si compie lavoro quando si salgono le scale o si solleva un oggetto perché per spostare il peso del nostro corpo o quello dell‟oggetto da una posizione meno elevata ad una più elevata si deve vincere la forza di gravità (Figura 2), oppure quando si trascina un oggetto perché si deve vincere l‟attrito che si oppone al moto (Figura 3), oppure quando si sposta un oggetto in un fluido perché bisogna vincere la resistenza opposta dal fluido (Figura 4). Per compiere questi lavori occorre impiegare energia e, all‟inizio della storia umana, questa era costituita solo dal vigore fisico dell‟uomo. I bisogni elementari dell‟uomo sono due: mangiare e dormire. Per soddisfarli, l‟uomo primordiale doveva usare il suo vigore fisico per procurarsi il cibo con la caccia e l‟agricoltura e per costruirsi una dimora sicura. L‟uomo però ha sempre aspirato a migliorare la qualità della sua vita e ha quindi cercato di ridurre la fatica, che questi lavori gli procuravano, addomesticando degli animali per sostituire il loro vigore fisico al suo (Figura 5). Ma gli animali non hanno la capacità di compiere tutti i lavori, particolarmente quelli che oltre al vigore fisico richiedono anche una certa dose di vigore mentale. L‟uomo allora assoggettò degli altri uomini per sfruttare a proprio vantaggio il loro vigore fisico. Nacque così una nuova categoria d‟individui, gli schiavi, utilizzati come strumenti per 1 Capacità di compiere lavoro Vigore fisico Figura 1 – Cos’è l’energia Figura 2 – Il lavoro per vincere la gravità 2 Figura 3 – Il lavoro per vincere l’attrito Figura 4 – Il lavoro per vincere la resistenza del mezzo 3 fornire la loro energia a chi li aveva asserviti. Quella degli schiavi è stata la fonte d‟energia più longeva mai esistita: dagli albori dell‟umanità agli Egizi, ai Greci, ai Romani, a tutto il Medio Evo e non è scomparsa nemmeno dopo la scoperta delle macchine. Ridotta la fatica per soddisfare i bisogni primari, l‟uomo non ha cessato di tendere verso ulteriori miglioramenti della qualità di vita. Così, quando ha notato che il fuoco rendeva più confortevole la sua dimora, ha cominciato ad utilizzare la legna come fonte di quell‟energia che gli procurava questo benessere; quando si è accorto che il vento, gonfiando un telo issato su un palo eretto sulla sua nave, la faceva procedere più velocemente dei remi mossi dagli schiavi, ha imparato a costruire le vele per sfruttare l‟energia del vento; quando ha scoperto che l‟acqua corrente del fiume faceva girare le macine del mulino e, a differenza del suo asino, non aveva bisogno di cibo, ha tempestivamente sfruttato questa fonte d‟energia più valida e meno costosa (Figura 6). Per buona parte della sua storia, l‟uomo si è avvalso solo delle fonti di energia che abbiamo visto fin qui, cioè l‟energia animale (la propria, quella degli schiavi e quella degli animali domestici), la legna, l‟energia eolica (vento) e l‟idraulica (acqua). Solo dopo alcuni millenni ha imparato ad utilizzare le altre fonti, che hanno cambiato completamente il corso della storia umana, cioè i combustibili fossili (il carbone, il petrolio ed il gas naturale) ed i combustibili nucleari (Figura 7). Di queste e delle altre fonti d‟energia parleremo diffusamente più avanti. Per ora diciamo solo che esse hanno contribuito in maniera decisiva allo sviluppo dell‟era industriale, perché hanno reso possibile il funzionamento di macchine che la fantasia umana ha continuato a scoprire e sviluppare. La cosiddetta “rivoluzione industriale”, cioè la svolta che verso la fine del XVIII secolo ha dato avvio all‟epoca di accelerato sviluppo industriale in cui viviamo, è iniziata con l‟utilizzo del carbone come fonte incontrastata d‟energia ed ha subìto un ulteriore potente impulso nel corso del XIX secolo con l‟avvento del petrolio. I grafici riportati nelle Figure 8 e 9 mostrano come sono aumentati i consumi mondiali di energia e come si è andata modificando la composizione delle fonti che hanno coperto i fabbi- 4 Figura 5 – Le prime fonti di energia – Gli animali Figura 6 – Le prime fonti di energia – Gli schiavi – Il vento – I fiumi – Il calore 5 Gas Figura 7 – Alcune fonti attuali di energia Figura 8 – Consumi mondiali di energia 6 sogni nel corso del secolo che si è appena concluso(1). Come si vede, il carbone non ha ceduto di colpo il passo al petrolio, nonostante la maggiore maneggevolezza e pulizia di quest‟ultimo, ma il suo uso ha continuato a crescere e, dopo una battuta d‟arresto nell‟ultimo decennio del secolo scorso rimane, ancora oggi, la seconda fonte d‟energia utilizzata nel mondo. Notevole anche la crescita del gas naturale, che ha recentemente conosciuto uno sviluppo considerevole grazie alle innovazioni tecnologiche nel campo delle costruzioni meccaniche (gasdotti) e dei trasporti marittimi che ne hanno reso più agevole il trasporto e quindi l‟utilizzo. L‟energia idraulica e la nucleare hanno avuto uno sviluppo meno rapido, la prima per limitazioni di tipo geografico, la seconda per una cattiva reputazione, di cui parleremo più avanti. Spesso ci si chiede se lo sviluppo industriale conseguente all‟uso intensivo dell‟energia sia davvero sinonimo di progresso ed abbia contribuito veramente ad accrescere il benessere dell‟uomo. L‟uomo infatti ha usato l‟energia non solo per migliorare le sue condizioni di vita, ma anche, e spesso, come arma contro i suoi nemici. Così (Figura 10) gli antichi popoli della Mesopotamia, per primi, coprirono le punte delle frecce con asfalto incendiato per appiccare il fuoco negli accampamenti nemici, i Greci inventarono e lanciarono sulle navi nemiche il “fuoco greco”, micidiale miscuglio di calce e bitume che s‟incendiava a contatto con l‟acqua. Nel Medio Evo, la pece bollente era versata dalle mura della città in testa ai nemici che l‟assaltavano. Poi la polvere da sparo, il tritolo, la bomba atomica! Un‟escalation di utilizzi malvagi che hanno fatto considerare l‟energia, e in particolare alcune forme di energia, come il male peggiore per l‟umanità. È ovvio che questo tipo di utilizzo non rappresenti un fattore di progresso, ma il dubbio è di natura diversa e riguarda gli effetti collaterali, non sempre positivi, dell‟utilizzo pacifico dell‟energia. Ci si chiede cioè se lo sviluppo ad alta e crescente intensità energetica degli ultimi due secoli abbia portato un maggior benessere oppure se abbia reso la vita dell‟uomo qualitativamente peggiore. Numerose e disparate sono le risposte a questa domanda, specialmente quando sono ispirate da ideologie diverse. (1) Le quantità sono espresse in tep ossia “tonnellate equivalenti di petrolio”, per rendere i dati confrontabili. Una tep di una fonte è la quantità di quella fonte che può fornire la stessa energia di una tonnellata di petrolio. 7 Figura 9 – Composizione delle fonti di energia Figura 10 – L’energia usata male 8 È un dato di fatto, però, che in questo periodo (Figura 11), a livello mondiale, la vita media dell‟uomo si è allungata(2) ed il suo stato di salute è enormemente migliorato. E longevità e salute sono le due principali caratteristiche che definiscono la qualità della vita. Torniamo ora all‟energia per approfondirne alcuni aspetti, in particolare, l‟origine ed il funzionamento, anticipando alcune nozioni su cui torneremo più diffusamente nei capitoli seguenti. Quasi tutta l‟energia che interessa la terra ha origine nel sole. All‟interno di questa stella si verificano continuamente delle reazioni nucleari che producono un‟enorme quantità d‟energia, sotto forma di calore, e ne mantengono la superficie ad una temperatura molto elevata. L‟energia così prodotta è irradiata in tutto lo spazio circostante e investe i corpi celesti che vi incontra, fra cui la terra (Figura 12). La terra, come ogni altro corpo celeste investito da quella frazione d‟energia che lo colpisce, si scalda cominciando a sua volta ad irradiare energia intorno a sé e la sua temperatura superficiale sale fino a quando l‟energia che riceve eguaglia quella irradiata. A questo punto si raggiunge un equilibrio che, a meno di grandi sconvolgimenti cosmici, si mantiene nel tempo. Una piccola parte dell‟energia che la terra riceve dal sole non viene però irradiata immediatamente nello spazio, ma rimane, per così dire, intrappolata e trattenuta per il verificarsi di una particolare reazione chimica: la fotosintesi o sintesi clorofilliana. La terra, come è noto, è circondata da uno strato di diversi gas che formano l‟atmosfera fra cui due, l‟anidride carbonica e l‟acqua (vapore), sotto l‟azione dell‟energia solare, reagiscono per formare la materia organica vegetale di cui sono fatte le piante (Figura 13). La materia organica, così formata, trattiene e conserva l‟energia che ha assorbito durante la sua formazione e la può rilasciare successivamente in due modi diversi: trasformandosi in materia organica animale quando è usata come cibo oppure trasformandosi in calore quando viene bruciata. Ma c‟è di più. L‟energia contenuta nella materia organica animale o vegetale può essere rilasciata anche molto tempo dopo che si è formata. Ciò avviene in particolare quando gli organismi animali e vegetali subiscono, dopo la loro morte, un processo naturale particolare, la fossilizzazione, che consente la loro conservazione nel tempo. (2) Alla fine del 2008 è ulteriormente aumentata a 68 anni 9 Figura 11 – Andamento mondiale della vita media Figura 12 – L’origine dell’energia 10 Grazie proprio a questi processi, l‟energia del sole, catturata sulla terra durante milioni di anni, è giunta fino a noi conservata nei combustibili fossili, che oggi ce la rendono sotto forma di calore quando sono bruciati. Oltre alla sintesi clorofilliana ci sono altri due processi naturali che catturano l‟energia che arriva dal sole: la pioggia e il vento. Il calore del sole fa evaporare l‟acqua del mare, dei laghi e dei fiumi. Il vapor d‟acqua è più leggero dell‟aria quindi s‟innalza spontaneamente nell‟atmosfera e vi rimane, sotto forma di nubi, mantenendo e conservando l‟energia che l‟ha generato. Quando poi un abbassamento di temperatura lo fa condensare si forma la pioggia che, durante la condensazione e la ricaduta nel mare o in zone a livello del mare, rilascia tutta l‟energia che aveva catturato. Se però la pioggia cade su zone più elevate rispetto al livello del mare e rimane contenuta in laghi montani naturali o artificiali, trattiene ancora una parte dell‟energia e la rilascia quando l‟acqua, attraverso i fiumi o canali artificiali, defluisce fino a ritornare al mare. In tal modo una parte dell‟energia del sole può essere catturata, conservata e successivamente recuperata sotto forma di energia cinetica (ossia di movimento) dell‟acqua e trasformata in energia elettrica o meccanica. Anche il vento è una forma indiretta dell‟energia solare che si manifesta come energia cinetica di masse d‟aria in movimento. I fenomeni che generano i venti sono abbastanza complessi ma, semplificando al massimo, si può dire che essi si formano quando, per varie ragioni, si stabiliscono delle temperature diverse fra due zone adiacenti della superficie terrestre. Nella zona dove la temperatura è più alta l‟aria calda tende a portarsi in alto ed al suo posto arriva l‟aria che si trova nella zona più fredda: questo movimento d‟aria è il vento. Quando il vento soffia sulla superficie del mare, parte della sua energia si trasmette all‟acqua creando i moti ondosi, che diventano anch‟essi trasportatori e potenziali trasmettitori d‟energia cinetica. Abbiamo detto che “quasi” tutta l‟energia che interessa la terra ha origine nel sole. C‟è dunque dell‟energia che ha un‟origine diversa. Più precisamente ci sono due altre fonti originarie di energia: la gravitazionale e la nucleare (Figura 14). L‟energia gravitazionale deriva dalle forze d‟attrazione reciproca fra i corpi celesti, in particolare fra la terra e la luna e si manifesta, principalmente, con il fenomeno delle maree. La sua importanza come fonte d‟energia è abbastanza modesta. 11 Figura 13 – L’energia catturata dalla terra Nucleare (endogena, artificiale) Gravitazionale (maree) Figura 14 – Le altre origini dell’energia 12 L‟energia nucleare è quella che si sprigiona durante la trasformazione degli atomi di alcune sostanze radioattive presenti sulla terra fin dai primordi. Questa trasformazione, spontanea o provocata artificialmente, avviene con la contemporanea produzione di un‟enorme quantità di energia sotto forma di calore. Qualcosa di simile a quello che avviene nel sole. La trasformazione spontanea avviene per il decadimento naturale delle sostanze radioattive presenti nel nucleo della terra e la relativa energia si manifesta come energia geotermica (sorgenti d‟acqua calda o vapore) o, più violentemente, come energia vulcanica o tellurica. La trasformazione provocata artificialmente dall‟uomo è quella che avviene nei reattori nucleari per la produzione di calore, trasformato poi in energia elettrica, o quella delle bombe atomiche. Nella rapida esposizione fin qui fatta abbiamo più volte utilizzato attributi diversi con la parola energia. È opportuno quindi riassumere e chiarire alcuni concetti (Figura 15). Abbiamo innanzi tutto utilizzato il termine “fonti originarie” d‟energia per indicare i tre sistemi da cui proviene tutta l‟energia che interessa la terra: l‟energia solare, l‟energia nucleare e l‟energia gravitazionale. Abbiamo poi parlato di “fonti indirette” per indicare quei sistemi capaci di catturare, conservare e successivamente rilasciare una parte dell‟energia emessa dalle fonti originarie: l‟energia degli organismi vegetali o animali (detti anche biomasse), l‟energia delle fonti fossili (petrolio, gas, carbone) l‟energia dell‟acqua (idraulica), l‟energia del vento (eolica), l‟energia delle onde (marina), l‟energia geotermica (derivata dalla radioattività interna della terra), l‟energia delle maree (derivata dall‟energia gravitazionale). Aggiungiamo qui che sia le fonti originarie che le fonti indirette si chiamano anche “fonti primarie” di energia per indicare che si tratta di risorse esistenti in natura da cui si può attingere per ottenere energia. Abbiamo infine parlato di forme d‟energia: calore, energia elettrica, energia meccanica, senza tuttavia spiegare il significato di questi termini. L‟energia infatti può avere forme diverse e può essere trasformata da una nell‟altra sia con processi spontanei, sia con apparecchiature e metodi diversi. Le diverse “forme” o “specie” d‟energia sono: chimica, elettrica, elettromagnetica, meccanica, nucleare, termica. Per chiarire meglio questo concetto torniamo a quanto già detto sull‟energia che si origina nel 13 sole (Figura 16). Essa è inizialmente energia nucleare, perché è generata da reazioni nucleari (esplosioni atomiche) che avvengono nell‟interno del sole. Si trasforma poi in calore, ossia in energia termica che porta la temperatura della stella a livelli molto elevati. Essa poi s‟irradia nello spazio sotto forma di luce, ossia di energia elettromagnetica e quando arriva sulla terra viene trasformata in energia termica (calore, che riscalda la terra), in energia chimica con la sintesi clorofilliana, in energia meccanica con i fenomeni meteorologici della pioggia, del vento e delle onde marine. L‟energia è sempre la stessa, ma è cambiata la sua forma. A queste trasformazioni naturali bisogna aggiungere poi quelle che l‟uomo produce allo scopo di facilitare l‟immagazzinamento, il trasporto e l‟utilizzazione energia. La forma d‟energia oggi maggiormente utilizzata è l‟energia elettrica perché può essere facilmente trasportata per lunghe distanze e distribuita in maniera pulita e silenziosa in tutte le case (Figura 17). Ma l‟energia elettrica non esiste tal quale in natura cioè non è una fonte primaria di energia ma deve essere prodotta da altre forme di energia con opportuni macchinari e processi. Un‟altra forma d‟energia grandemente utilizzata è l‟energia meccanica per i trasporti. Anche questa è ottenuta artificialmente trasformando, nel motore del veicolo, l‟energia chimica contenuta nel carburante, a sua volta ricavata dai combustibili fossili (Figura 18). Su questi argomenti ed in particolare sulle apparecchiature (motori, turbine, ecc.) utilizzate per la trasformazione dell‟energia nelle sue diverse forme torneremo più diffusamente in seguito. Concludiamo questo capitolo illustrando il significato di due altri attributi che spesso accompagnano la parola energia: “energia potenziale” e “energia cinetica”. L‟energia “potenziale” è quella che nelle pagine precedenti abbiamo indicato come energia “catturata” o “imbrigliata” o “trattenuta”. Essa è cioè l‟energia che un sistema riceve e trattiene e che ha la possibilità di essere rilasciata in un tempo successivo (per esempio una massa d‟acqua ferma in una posizione elevata o l‟energia chimica contenuta in una sostanza). L‟energia “cinetica” è invece energia in corso di trasformazione che si manifesta sotto forma di masse dotate di movimento (per esempio masse solide, liquide o gasose in movimento). 14 Indirette Originarie Biomasse (animali e vegetali) Fossili (carbone, petrolio, gas) Energia solare Idraulica Eolica e onde marine Solare (tal quale) Geotermica Energia nucleare Atomica Energia gravitazionale Maree Figura 15 – Le fonti primarie di energia Nucleare Termica • Chimica • Elettrica • Elettromagnetica • Meccanica Meccanica Elettromagnetica Chimica • Nucleare • Termica Termica Figura 16 – Le forme di energia 15 Figura 17 – L’energia elettrica Figura 18 – L’energia meccanica 16 Le fonti di energia Come detto nel capitolo precedente, le fonti primarie d‟energia comprendono sia le fonti originarie sia quelle indirette. Per una sistematica presentazione, esse possono essere suddivise in tre categorie (Figura 19): Le fonti fossili, dette anche esauribili, che comprendono il carbone, il petrolio ed il gas naturale. Le fonti rinnovabili, che comprendono le biomasse, l‟energia idraulica, geotermica, eolica, marina e solare. Le fonti nucleari. Questa classificazione è diversa da quella usata nel capitolo precedente che distingueva le fonti di energia in funzione della loro origine. Qui, invece, esse sono classificate in base alla loro disponibilità. Alcune di esse, infatti, sono presenti sulla terra in quantità limitata e probabilmente si esauriranno in un tempo più o meno breve, mentre altre sono presenti in quantità molto elevate oppure si rinnovano continuamente grazie a dei processi naturali che le rigenerano e la loro disponibilità può essere considerata illimitata. È ovvio che si tratta solo di una diversa classificazione fatta per omogeneità di esposizione, ma le fonti sono sempre le stesse. Le fonti fossili o esauribili Il termine “fossile” letteralmente significa: “che si ottiene scavando” e, in questa sede, è riferito in particolare ad organismi animali o vegetali, vissuti in epoche passate, che si sono trasformati e conservati nella crosta terrestre grazie a lenti processi di mineralizzazione. Questa è appunto, come vedremo, l‟origine del carbone, del petrolio e del gas naturale. 17 Queste fonti sono anche dette esauribili perché, a causa della lentezza del processo che le ha originate, le quantità attualmente esistenti, che si sono formate nel corso di milioni d‟anni, non riescono ad essere ricostituite con la stessa velocità con cui sono consumate. Per questa ragione le fonti fossili d‟energia sono destinate inesorabilmente ad esaurirsi. Un‟ipotesi su quando ciò possa prevedibilmente avvenire sarà illustrata più avanti. I processi di fossilizzazione, che hanno dato origine al carbone al petrolio ed al gas naturale, sono molto simili fra loro. In generale si può dire che il carbone derivi prevalentemente dalla fossilizzazione di organismi vegetali, il petrolio ed il gas invece da quella di organismi animali (Figura 20). Noi approfondiremo adesso un po‟ di più ciascuna delle fonti di energia, con particolare riguardo al petrolio e alle varie fasi dell‟industria petrolifera che comprendono l‟esplorazione per la ricerca dei nuovi giacimenti, l‟estrazione del petrolio dagli stessi, la sua successiva lavorazione nelle raffinerie e la distribuzione al consumo dei prodotti derivati. Il Petrolio UN PO‟ DI STORIA Della presenza del petrolio sulla terra l‟uomo si era accorto molti secoli fa perché in parecchie zone esso affiorava spontaneamente dal sottosuolo. Gli antichi Egizi, gli Assiri e i Babilonesi lo bruciavano per riscaldarsi, per accendere fuochi votivi e, con quello di tipo bituminoso, per calafatare le navi e pavimentare le strade. I Persiani lo mettevano sulla punta delle frecce per accenderlo e lanciarlo negli accampamenti nemici e, più tardi, i Greci, impastando zolfo e petrolio, inventarono il “fuoco greco”, l‟arma incendiaria più terribile usata nelle battaglie navali dell‟antichità. Nell‟impero romano e nel medioevo, i medici gli attribuivano particolari virtù curative, mentre i carrettieri lo usavano per lubrificare le ruote dei veicoli. Ma la vera utilizzazione industriale del petrolio ebbe inizio negli Stati Uniti solo verso la metà del secolo XIX, quando si imparò a separare fra loro i diversi tipi di idrocarburi che lo compongono ottenendo, in tal modo, prodotti più adatti a scopi particolari. Fra questi uno, a cui fu dato il nome di kerosene, poteva essere usato nelle lampade per illuminazione in sostituzione dell‟olio di balena, che era un prodotto molto più costoso, maleodorante e deperibile. 18 Petrolio Fossili (esauribili) Carbone Gas naturale Biomasse Idraulica Rinnovabili (inesauribili) Geotermica Eolica Marina Nucleari Solare Figura 19 – Fonti di energia – Classificazione per disponibilità Idrocarburi gassosi (gas naturale) Animali Fossilizzazione di residui organici Idrocarburi liquidi (petrolio) Idrocarburi solidi (asfalti) Vegetali Figura 20 – Origine delle fonti fossili 19 Carbone Il mercato del kerosene si affermò quindi molto rapidamente mentre, per un po‟ di tempo, gli altri prodotti che congiuntamente si ottenevano durante la lavorazione, erano bruciati per essere smaltiti. Ben presto però anch‟essi trovarono utilizzo come combustibili, lubrificanti e prodotti per riscaldamento. In seguito, l‟avvento dell‟automobile e l‟uso di alcuni dei prodotti derivati come combustibili per navi e per il riscaldamento delle abitazioni fecero esplodere la domanda nella misura che abbiamo visto nel grafico di Figura 9. La produzione su scala industriale del petrolio grezzo dagli Stati Uniti ben presto si estese ad altri paesi: Messico, Venezuela, Russia e soprattutto ai paesi del Medio Oriente (Iran, Iraq, Arabia Saudita). Questi paesi però, ad eccezione della Russia, non operarono in modo autonomo nell‟esplorazione e nella produzione, ma si basarono sulle conoscenze tecniche delle grandi società americane che, a loro volta, ne approfittarono per allargare il loro campo d‟azione ai paesi dell‟America Latina e del Medio Oriente. I paesi, in cui queste attività si andavano sviluppando, apprezzarono all‟inizio le briciole di ricchezza che ricadevano su di loro da una risorsa che non pensavano nemmeno di possedere. Ma col passare del tempo aumentava la loro consapevolezza che si trattava di una risorsa esauribile che queste briciole di ricchezza non remuneravano a sufficienza. Fu però solo nel 1960 che cinque di questi paesi, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait e Venezuela, pensarono di unirsi in un‟associazione che ne difendesse gli interessi comuni. Sorse così l‟OPEC3, l‟Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, cui aderirono successivamente altri otto paesi: Qatar nel 1961, Indonesia e Libia nel 1962, Emirati Arabi Uniti nel 1967, Algeria nel 1969, Nigeria nel 1971, Ecuador nel 1973 e Gabon nel 1975. Per oltre un decennio, l‟OPEC non trovò la coesione e la forza necessarie per opporsi alle grandi società petrolifere che continuarono a perseguire una politica di bassi prezzi e intenso sfruttamento delle risorse. Fu solo agli inizi degli anni ‟70 che l‟equilibrio delle forze cominciò a spostarsi verso i paesi produttori fino a sfociare, nell‟ottobre 1973, in un “embargo” delle esportazioni che essi decretarono come arma di pressione in concomitanza della guerra arabo israeliana detta “del Kippur”. 3 Organization of Petroleum Exporting Countries 20 Gli effetti di questa mossa furono sorprendenti forse anche per gli stessi paesi che l‟avevano decisa. Il prezzo del petrolio quintuplicò nel giro di pochi mesi passando da due a undici dollari per barile dall‟ottobre 1973 al gennaio 1974 (Figura 21). Le conseguenze di questa, che fu chiamata la “prima crisi petrolifera”, furono enormi. Il mondo industrializzato si era ormai abituato a disporre di questa risorsa e non aveva mai dubitato della sua disponibilità. Nelle case la temperatura durante l‟inverno era mantenuta sui 24-25 gradi, si stava con le maniche corte e si dormiva senza coperte. Gli stessi criteri di scarsa considerazione dei consumi vigevano in qualsiasi altro campo in cui il petrolio era usato come fonte d‟energia. Da quel momento questi criteri furono chiamati “sprechi” ed il risparmio energetico divenne un obiettivo primario in ogni iniziativa pubblica o privata. Nei paesi produttori intanto le briciole di ricchezza si erano trasformate in miniere d‟oro che diedero origine a una fortissima spinta verso l‟industrializzazione e a molte aspettative di emulazione del modo di vivere dei paesi industrializzati. In uno di questi paesi, l‟Iran, la lentezza nella realizzazione di queste aspettative e l‟acuirsi di contrasti fra i politici progressisti e i fautori di valori tradizionali sfociò, verso la fine degli anni ‟70, in una rivoluzione interna che diede origine alla “seconda crisi” petrolifera che portò ad un‟ulteriore triplicazione del prezzo del petrolio che, agli inizi degli anni ‟80, si aggirava intorno a 35 dollari per barile con punte di 40 dollari. L‟impatto sulle economie dei paesi industrializzati fu ovvio: profonda recessione e inflazione galoppante. Ma anche una rinnovata presa di coscienza della necessità di adottare forme sempre più ampie di conservazione e di uso razionale dell‟energia. Nel corso degli anni ‟80 il contenimento dei consumi, dovuto sia alla recessione che al risparmio energetico, e l‟aumentata disponibilità conseguente al ritrovamento di nuovi giacimenti, riportò il prezzo a livelli inferiori a 20 dollari per barile, con alcune punte in basso fino a 6-7 dollari. Ed anche quando negli anni ‟90 l‟economia riprese il suo andamento crescente i prezzi del grezzo rimasero contenuti perché l‟offerta rimase superiore alla domanda. Addirittura quella che all‟inizio degli anni „90 sembrava profilarsi come la terza crisi energe- 21 tica causata dalla “guerra del golfo”( 4) dimostrò invece che il mondo, in quel momento, poteva fare a meno sia del petrolio iracheno che di quello del Kuwait che erano venuti contemporaneamente a mancare. Ma, come sempre accade, i bassi prezzi fecero diminuire gli investimenti nella ricerca di nuovi giacimenti e nella realizzazione di nuova capacità produttiva, per cui, verso la fine del decennio si è verificato, dapprima, un riequilibrio della domanda e dell‟offerta di grezzo e, successivamente una carenza di capacità produttiva rispetto alla continua crescita della domanda, dovuta soprattutto allo sviluppo vorticoso delle economie di alcuni Paesi, Cina, India e America Latina (Figura 22). Gli effetti sui prezzi non si sono fatti attendere: 55 $/Barile nel 2005; 65 $/B nel 2006; 72 $/B nel 2007; 97 $/B nel 2008 con punte che hanno raggiunto i 150 $/B (Figura 23) per poi nuovamente retrocedere a causa di una nuova recessione che ormai minacciosamente incombe sull‟economia mondiale. ORIGINE DEL PETROLIO Come già detto, il petrolio si è formato dalla decomposizione di organismi animali che nel corso di milioni di anni si sono depositati sul fondo di mari e di laghi. Contemporaneamente altri sedimenti di natura inorganica, sabbia o terra, trasportati dal vento o dai fiumi, si depositavano mescolandosi con loro e ricoprendoli. In alcuni di questi depositi, particolari condizioni geofisiche hanno favorito l‟azione di batteri che hanno trasformato la materia organica in idrocarburi. Gli idrocarburi sono prodotti costituiti principalmente da due elementi chimici: il carbonio (C) e l‟idrogeno (H) che sono anche i costituenti principali della materia organica da cui traggono origine. Gli idrocarburi differiscono fra loro per il numero degli atomi di carbonio, presenti nella molecola, e per il modo in cui questi atomi sono legati fra loro. Oltre agli idrocarburi nel petrolio sono anche presenti piccole quantità di altri prodotti chimici, fra cui il più importante è lo zolfo (S). Per lo più questi ultimi devono essere rimossi durante le successive lavorazioni perché possono dar origine a sostanze inquinanti. Più avanti approfondiremo un po‟ di più queste nozioni. A seconda della dimensione e della complessità della loro molecola gli idrocarburi che si sono (4) La prima guerra degli Stati Uniti contro l‟Iraq, che aveva invaso e conquistato il Kuwait 22 Figura 21 – Prezzi del grezzo dal 1970 al 1990 333% 233% 164% 114% Figura 22 – Crescita dei consumi di petrolio 23 formati possono essere solidi, liquidi o gassosi. I liquidi costituiscono il petrolio vero e proprio che si chiama anche grezzo o greggio, mentre quelli gassosi costituiscono il gas naturale e quelli solidi gli asfalti o bitumi. Una volta formatisi gli idrocarburi non sono rimasti nella zona di formazione, ma sono stati trasportati dalle acque sotterranee in zone anche molto distanti, finché non sono finiti in una “trappola”, ossia in una zona dove strati di rocce impermeabili ne hanno impedito l‟ulteriore spostamento. Qui si sono accumulati dando origine ad un giacimento. La migrazione delle acque e degli idrocarburi contenuti non è simile ad un fiume che scorre sotto terra, ma è solo un lento movimento di liquidi attraverso la porosità delle rocce. Così anche nel giacimento essi non formano un laghetto sotterraneo né sono contenuti in una cavità, ma impregnano i pori delle rocce contenute nella “trappola”. In genere poi, poiché gli idrocarburi hanno un minor peso specifico dell‟acqua e non sono miscibili con essa, nel giacimento si formano delle stratificazioni in cui l‟acqua si trova nella parte bassa, più in alto ci sono gli idrocarburi liquidi e ancora più in alto quelli gassosi. Esistono vari tipi di trappole (Figure 24, 25 e 26), generalmente formatesi a seguito di fenomeni tellurici che hanno generato delle discontinuità nelle rocce. Una trappola “anticlinale” (Figura 24) è costituita da un‟ondulazione di strati rocciosi sovrapposti. I fluidi che si spostano nello strato poroso trovano sul loro percorso la parete rocciosa impermeabile dello strato superiore. Nella parte alta della zona porosa scorrono, come detto sopra, gli idrocarburi liquidi e gassosi, mentre nella parte inferiore scorre l‟acqua. In tal modo il gas e l‟olio restano intrappolati dalla parete impermeabile e formano un giacimento. Una trappola di “faglia” (Figura 25) è originata da una frattura delle rocce, dovuta ad un forte movimento tellurico, e ad uno scorrimento relativo degli strati rocciosi che porta uno strato impermeabile di fronte ed uno poroso e permeabile. Anche in questo caso i fluidi che scorrono nello strato permeabile sono fermati dalla parete impermeabile e ristagnano formando un giacimento. Un altro tipo di trappola è il “diapiro salino” (Figura 26). Si tratta, in questo caso, di un deposito di salgemma, generato da una penetrazione in una fessura delle rocce di acqua salmastra successivamente evaporata. Se la formazione salina, che è assolutamente impermeabile, penetra in uno strato poroso in cui ci siano dei fluidi in scorrimento, ne blocca ogni ulteriore movimento favorendo così la formazione di un giacimento. 24 Figura 23 – Prezzi del grezzo dal 1970 al 2008 Gas Olio Acqua Figura 24 – Trappola anticlinale 25 Figura 25 – Trappola di faglia Figura 26 – Trappola diapiro salino 26 Ma dove sono questi giacimenti? Come si fa a trovarli? E, una volta trovati, come si fa a tirare fuori dei pori delle rocce gli idrocarburi che le impregnano? ESPLORAZIONE L‟attività di ricerca dei giacimenti di idrocarburi si chiama “esplorazione”. All‟inizio quest‟attività era molto semplice: bastava scavare in prossimità delle manifestazioni superficiali d‟idrocarburi e quasi certamente si trovava un giacimento. Ed è proprio così che i primi giacimenti furono individuati e i primi pozzi scavati, da quello del colonnello Drake in Pennsylvania nel 1859, che era profondo una ventina di metri, a tutti quelli che per parecchi anni furono trovati ed attivati in quei dintorni ed altrove. Ma col passare del tempo di manifestazioni superficiali non se ne trovò quasi più e la ricerca petrolifera dovette affinare i suoi metodi per trovare nuovi giacimenti. All‟inizio del XX secolo, infatti, la ricerca petrolifera cominciò a basarsi sulla geologia e su tecniche geofisiche sempre più raffinate che, ai giorni nostri, hanno portato al ritrovamento di riserve recuperabili d‟idrocarburi situate fino a 6-7000 metri di profondità. La geologia è la scienza che studia la costituzione della crosta terrestre ed i fenomeni di trasformazione che ha subito nel corso dei secoli. Quindi, una volta formulate le ipotesi sull‟origine e formazione degli idrocarburi, la geologia è la scienza che può dare una prima indicazione delle zone dove si sono presentate le condizioni più favorevoli e, quindi, dove esistono le maggiori probabilità di presenza d‟idrocarburi nel sottosuolo. Ma questo non è sufficiente per trovarli. Per procedere bisogna passare ad una seconda fase, vale a dire ad una ricerca effettuata con tecniche geofisiche che permettano di definire, quanto più è possibile, la disposizione degli strati di roccia sotterranei nella zona in esame, in modo da individuare la presenza di quelle “trappole” in cui gli idrocarburi, nella loro migrazione, possono essersi fermati. Le principali tecniche adottate sono le seguenti: Mappatura dell‟area Consiste nell‟effettuare una serie di fotografie aeree (oggi satellitari) della zona esplorata per evidenziare alcune caratteristiche geologiche superficiali che sono, spesso, in- 27 dizi importanti della natura del sottosuolo. Misure gravimetriche e magnetometriche Questo metodo consiste nell‟effettuare una serie di misure della differenza della forza di gravità e dell‟intensità del campo magnetico terrestre fra un punto e l‟altro della zona esplorata. Le differenze, minime ma misurabili con opportuni strumenti, sono dovute alla presenza nel sottosuolo di tipi diversi di roccia, che vengono così messi in evidenza. Metodo sismico È questo il metodo più importante e consiste nell‟inviare nel sottosuolo delle vibrazioni provocate da piccole esplosioni o da apposite apparecchiature vibranti (Figura 27). Le onde, che così si sprigionano, quando incontrano delle discontinuità nelle rocce che attraversano, sono riflesse verso la superficie e rilevate da opportuni apparecchi. Quanto più è profonda la zona da cui l‟onda è riflessa tanto più tempo occorre perché essa ritorni in superficie. L‟analisi di questi dati, che oggi è fatta con l‟ausilio di programmi computerizzati molto raffinati, permette di tracciare una mappatura tridimensionale (Figura 28) della conformazione del sottosuolo ed individua abbastanza chiaramente la presenza di possibili “trappole”. Ma, anche se la trappola è individuata, non è detto che dentro ci sia il topo. L‟unico modo per assicurarsi che l‟olio sia davvero presente è di “andare a vedere”. Questo si può fare solo scavando un pozzo di verifica, detto anche “esplorativo” o, in inglese, “wildcat”. La decisione è importante perché scavare un pozzo è un‟operazione molto costosa, specialmente se la profondità è notevole o se il pozzo è da fare sul fondo marino. Occorre quindi valutare bene tutte le informazioni raccolte, eventualmente ripetere qualche prova che può aver dato valori incerti e …. prendere il coraggio a due mani. Se il pozzo è “secco” non è detto che si tratti necessariamente di un insuccesso. Durante la perforazione, infatti, si prelevano campioni di roccia in profondità le cui analisi forniscono ulteriori informazioni, che possono suggerire di non abbandonare l‟impresa. Quando invece un pozzo esplorativo rivela la presenza d‟idrocarburi, è bene non parlare ancora di successo. Bisogna capire, infatti, cosa si è trovato: una pozzanghera o un lago. È necessario, in altre parole, fare una stima della grandezza del giacimento, per verificare se gli investimenti necessari per procedere alla produzione possono essere ripagati. Per questa ragione, normalmente, si fanno altri pozzi esplorativi nell‟area per determinare la 28 Figura 27 – Metodo sismico Figura 28 – Mappatura del sottosuolo 29 estensione del giacimento e si esegue tutta una serie di altre prove e valutazioni per definire gli assetti tecnici e organizzativi che permettano di massimizzare i risultati della produzione. Una volta definiti il numero e la disposizione dei pozzi bisogna perforarli perché la produzione possa avere inizio. L‟esplorazione è il settore dell‟industria petrolifera che richiede gli investimenti più massicci. Il grande contributo delle nuove tecnologie ha permesso di migliorare notevolmente la percentuale di successo dei pozzi esplorativi. All‟inizio del secolo scorso, mediamente, solo un pozzo su dieci risultava produttivo. Questa percentuale è salita a circa il 50% all‟inizio degli anni ‟90 ed è ulteriormente cresciuta, nell‟ultimo decennio, fino a circa il 70% (Figura 29). Nonostante questo rilevante miglioramento, gli investimenti che le grandi compagnie petrolifere sostengono nel settore dell‟esplorazione sono circa il 75% degli investimenti totali (Figura 30) e l‟importo cresce di anno in anno (Figura 31) soprattutto perché nuove riserve si trovano ormai solo nei luoghi più impervi e difficili da raggiungere: grandi profondità o sul fo ndo degli oceani. PERFORAZIONE All‟inizio dell‟era petrolifera la perforazione di un pozzo era fatta in modo abbastanza semplice e non molto diverso da quello usato per perforare i normali pozzi d‟acqua (Figura 32). Un attrezzo pesante e appuntito era sollevato e fatto ricadere ripetutamente nello stesso punto. I detriti prodotti dalle percussioni erano rimossi e lo scavo diventava sempre più profondo. All‟interno del buco che così si formava erano, man mano, infilati dei tubi d‟acciaio in modo da evitare che le pareti del pozzo franassero. Quando s‟incontrava lo strato contenente idrocarburi questi erano spinti violentemente fuori (“blow out”) inondando la zona circostante e creando situazioni d‟estremo rischio d‟incendio e di esplosioni (Figura 33). Per evitare queste pericolose fuoruscite però il pozzo era riempito, durante lo scavo, con un fango fluido che con il proprio peso controbilanciava la pressione degli strati sotterranei e, nella maggior parte dei casi, impediva al petrolio di arrivare liberamente in superficie. Questo metodo di perforazione era abbastanza soddisfacente quando la profondità non era molto elevata e perciò, con vari perfezionamenti successivi, fu adottato fino all‟inizio del ventesimo secolo. 30 Figura 29 – Pozzi esplorativi - Percentuali di successo Figura 30 – Investimenti di alcune majors – (Anno 2008 – Totali 135 MLD $) 31 Figura 31 - Investimenti in esplorazione Figura 32 – Perforazione a percussione 32 Quando però le profondità degli scavi cominciarono a diventare più consistenti, ed esso subentrò il sistema di perforazione rotativo, ossia un procedimento analogo a quello di un comune trapano. Una punta d‟acciaio duro, montata all‟estremità di un albero tubolare, ruota e perfora la roccia (Figura 34). All‟interno dell‟albero, che ha un diametro inferiore a quello del foro, s‟inietta del fango che fuoriesce nella parte inferiore del pozzo e torna in superficie nello spazio compreso fra la parete esterna dell‟albero e la parete del pozzo (Figura 35). Il fango ha il triplice scopo di raffreddare la punta rotante, di portare in superficie i detriti prodotti dallo scavo e di controbilanciare la pressione sotterranea degli strati d‟idrocarburi eventualmente incontrati. Oltre che col fango il rischio di eruzione spontanea di un pozzo viene oggi enormemente ridotto mediante l‟uso di sistemi automatici, montati sulla bocca del pozzo stesso, che lo chiudono istantaneamente quando vengono rilevate delle pressioni anomale. L‟albero che sostiene la punta rotante deve naturalmente essere lungo quanto tutta la profondità del pozzo ossia, oggi, anche alcune migliaia di metri ed è fatto con pezzi, lunghi normalmente da10 a 20 metri, che sono aggiunti man mano che lo scavo avanza. Ogni tanto la punta deve essere sostituita perché si consuma. Per questo l‟albero deve essere estratto dal pozzo e i vari pezzi devono essere smontati man mano che emergono (Figura 36). Occorrono quindi degli appositi paranchi che sono sostenuti dalle torri a traliccio, che spesso si vedono anche a cinema, e che caratterizzano i campi petroliferi in attività. Fino alla metà del ventesimo secolo la ricerca e la produzione petrolifera furono effettuate essenzialmente in terraferma. Le migliorate conoscenze geologiche e i più moderni metodi di ricerca indicavano però che notevoli risorse dovevano trovarsi anche sotto i fondali marini. Si dovette quindi affrontare il problema della perforazione di pozzi petroliferi in mare. La tecnica di perforazione e produzione in mare, “offshore” come dicono gli americani, si è sviluppata rapidamente e brillantemente nel corso di questi ultimi anni. Essa può essere effettuata da navi appositamente attrezzate (Figura 37) oppure con la realizzazione di isole artificiali, le cosiddette piattaforme petrolifere, da cui effettuare tutte le ope- 33 Figura 33 – Blow out Figura 34 – Punte per perforazioni rotative 34 Figura 35 – Punte rotanti – Circolazione dei fanghi Figura 36 – Torre di perforazione 35 razioni (Figura 38, 39). Sembra semplice. Ma i problemi sono molteplici e di natura diversissima: le condizioni ambientali (dall‟estremo caldo all‟estremo freddo), la profondità del mare oltre a quella dei pozzi, la natura del fondo marino, la distanza dalle coste ecc. Tutti questi problemi sono stati affrontati e risolti. Le piattaforme petrolifere “offshore”, dal polo all‟equatore, in pochi metri d‟acqua o a profondità fino ad oltre mille metri, con ogni forza di vento o di mare, oggi operano con la stessa affidabilità e sicurezza delle installazioni “onshore”. Più di un terzo dell‟olio e del gas oggi proviene da giacimenti sottomarini e questo rapporto è destinato a salire, man mano che la tecnica permetterà di operare a profondità sempre maggiori. Già oggi, infatti, s‟incominciano ad esplorare fondali a tremila metri di profondità e non è detto che anche questo limite non possa essere superato in futuro. PRODUZIONE Una volta perforati i pozzi previsti per lo sfruttamento del giacimento, la produzione può aver inizio. Nella maggior parte dei casi nei giacimenti c‟è una pressione abbastanza elevata che spinge l‟olio in superficie. Questo meccanismo di produzione si chiama “naturale” e la relativa produzione si chiama “recupero primario”. La zona di produzione è poco appariscente perché, a meno di eventuali torri di perforazione ancora presenti, ci sono solo poche tubazioni che convogliano il petrolio dai pozzi ai serbatoi di stoccaggio (Figura 40). Con questo sistema però si recupera solo una parte abbastanza piccola dell‟olio presente, mediamente circa il 25%, perché col passare del tempo la pressione diminuisce e non riesce più a spingere l‟olio fuori del giacimento. A questo punto bisogna estrarre l‟olio con l‟utilizzo di pompe meccaniche (Figura 41), oppure pompando nel giacimento acqua o gas per ristabilire la pressione necessaria a spingere l‟olio in superficie. Questo processo si chiama “recupero secondario”, ma anch‟esso non permette di recuperare tutto l‟olio che era rimasto nel giacimento. Con questo processo, infatti, si recupera solo un altro 15-20% delle quantità originariamente presenti non più per mancanza di pressione, ma perché, per la sua alta viscosità, una parte dell‟olio resta attaccato alle pareti dei pori delle rocce e non riesce a fluire. 36 Figura 37 – Perforazione in mare Figura 38 - Piattaforma 37 Bassa profondità Alta profondità Figura 39 – Piattaforme per basse e alte profondità Figura 40 – Produzione - Recupero primario 38 Le quantità rilevanti, che restano nel giacimento giustificano, a volte, un ulteriore sistema d i estrazione: il cosiddetto “recupero terziario”. I processi di recupero terziario sono tre: termico, con solventi e chimico, tutti con l‟obiettivo di strappare il più possibile l‟olio rimasto attaccato ai pori delle rocce. Il processo termico sfrutta la proprietà dei liquidi di diventare meno viscosi, quindi di scorrere più facilmente, quando s‟innalza la temperatura. Esso consiste quindi nel riscaldare l‟olio del giacimento iniettando acqua calda, o vapore o addirittura facendo bruciare, in modo controllato, una parte dell‟olio nel giacimento stesso. Il processo con solventi consiste nell‟iniettare nel giacimento un liquido, normalmente un altro idrocarburo più leggero, che scioglie l‟olio rimasto nei pori e lo estrae. I processi chimici sono quelli che usano delle sostanze chimiche per modificare le caratterist iche dell‟olio e renderlo più scorrevole. Il recupero addizionale che si può ottenere con questi metodi è notevole e si aggira su un ulteriore 10–15% dell‟olio originariamente presente. Va considerato però che questi metodi sono piuttosto costosi e quindi, a volte, il loro costo è superiore al prezzo cui il grezzo può essere venduto. In questi casi, ovviamente, è più conveniente lasciare il grezzo nel giacimento anziché estrarlo. OPERAZIONI PRELIMINARI All‟uscita dal giacimento il grezzo normalmente contiene una certa quantità di gas e di acqua e viene sottoposto ad alcuni semplici trattamenti fisici che servono ad eliminarli. Il gas deve essere eliminato per ridurre il rischio di esplosioni nelle successive fasi di trasporto e stoccaggio e l‟acqua per ovvie ragioni (non si può vendere acqua salata al prezzo del grezzo). Come già detto, una delle proprietà caratteristiche del grezzo e degli altri prodotti petroliferi è di non essere miscibili con l‟acqua. Quando si trovano in uno stesso recipiente, l‟acqua e il petrolio formano due strati distinti: l‟acqua resta sul fondo ed il petrolio, che ha una minore densità, vi galleggia sopra. Quando il grezzo esce dal giacimento si trascina dietro un po‟ d‟acqua che si trova dispersa in esso sotto forma di piccole bollicine. 39 Lasciando questa miscela per un certo tempo in un serbatoio (Figura 42), le bollicine d‟acqua vanno sul fondo e l‟acqua che così si raccoglie viene asportata. Il gas disciolto nel grezzo si libera quasi spontaneamente come succede, per esempio, a quello disciolto nell‟acqua minerale quando si lascia la bottiglia stappata. A volte, per grezzi molto viscosi, può essere necessario un blando riscaldamento per favorire le separazioni. A questo punto il grezzo è pronto per essere venduto. IL MERCATO PETROLIFERO Dall‟inizio dello sfruttamento industriale del petrolio (1859) fino a poco oltre la metà del „900, il mercato petrolifero nei Paesi Occidentali è stato dominato da un oligopolio formato da poche grandi società petrolifere. Questa situazione è rimasta radicata nella percezione comune, almeno di chi è un po‟ avanti negli anni, ed i prezzi petroliferi continuano ad essere considerati come il risultato delle decisioni di pochi e lo strumento d‟interessi non bene identificati. Lo scenario attuale, invece, è radicalmente diverso ed il petrolio, come tanti altri prodotti comuni, le cosiddette “commodities”, segue la legge di mercato della domanda e offerta. Il cambiamento strutturale del mercato si è verificato a seguito delle crisi petrolifere degli anni ‟70 cui si è già accennato. È da allora, infatti, che la gestione della produzione petrolifera è passata dall‟ambito decisionale delle grandi società internazionali a quello dei Paesi Produttori, in particolare a quelli dell‟OPEC. Di conseguenza è aumentato il numero degli operatori, mentre la dimensione e l‟estensione raggiunte dal mercato hanno reso molto improbabili l‟instaurazione ed il mantenimento di accordi monopolistici (Figura 43). Per comprendere quali sono le caratteristiche attuali del mercato petrolifero internazionale, il meccanismo di formazione dei prezzi del grezzo e la connessione fra il mercato internazionale ed i mercati interni dei vari Paesi, è opportuno fare una rapida carrellata sulla catena operativa che intercorre fra i giacimenti di grezzo e il consumo finale dei prodotti petroliferi, quella che in genere si chiama la filiera del settore (Figura 44). La filiera, procedendo da monte verso valle, parte dai giacimenti di grezzo e dalla capacità produttiva necessaria per estrarlo. 40 Figura 41 – Pompa di estrazione petrolifera Gas Grezzo Grezzo ai dai pozzi serbatoi Acqua Figura 42 – Operazioni preliminari sul grezzo 41 Numero di operatori Segue la legge della domanda e offerta Estensione Dimensione Figura 43 – Il mercato petrolifero La domanda L’offerta Mercato grezzo Riserve e produzione di grezzo Mercato prodotti Raffinerie Distribuzione Depositi Figura 44 – La filiera petrolifera 42 Consumo Il grezzo prodotto è poi commercializzato nel cosiddetto mercato internazionale. Non si tratta di una particolare località, ma del mondo intero e la caratteristica principale è che i movimenti fisici del grezzo avvengono via mare, su grosse petroliere ed in lotti di grandi dimensioni, da 50.000 a 500.000 tonnellate. Per essere utilizzato il grezzo deve essere trasformato in prodotti petroliferi nelle raffinerie. La capacità di raffinazione è costituita da installazioni molto complesse che richiedono investimenti considerevoli. I prodotti delle raffinerie, per lo più, raggiungono direttamente i mercati di consumo locali, ma poiché si tratta di produzioni congiunte, la maggior parte delle raffinerie ha bisogno di smaltire alcuni dei prodotti su un mercato più vasto: il mercato internazionale dei prodotti petroliferi. Anche in questo caso si tratta di un mercato esteso al mondo intero dove i prodotti si muovono via mare in grandi lotti, anche se di dimensioni inferiori a quelli del grezzo (10.000 – 200.000 tonnellate). Dal mercato internazionale i prodotti petroliferi possono raggiungere i mercati interni dei vari paesi attraverso i depositi costieri e da qui distribuiti ai consumi finali. Nella filiera la domanda procede, attraverso i vari stadi, da valle verso monte, mentre l‟offerta procede in senso inverso. Qualunque anomalia lungo la filiera, che interferisca con l‟equilibrio fra domanda e offerta, ha una diretta ripercussione sui prezzi. Come detto sopra, gli operatori presenti lungo la filiera sono diversi e numerosi (Figura 45). Fra questi i più importanti sono i produttori di grezzo (che molto spesso ne sono anche i venditori), i traders e i brokers (5), gli armatori marittimi, i raffinatori, i venditori di prodotti petroliferi, i detentori di depositi, i distributori dei mercati interni ed i venditori al consumo. La produzione di grezzo avviene oggi in più di 50 Paesi per opera di oltre 300 Società petrolifere (Figura 46). In quasi tutti i Paesi Produttori esiste almeno una Società di Stato che opera nel settore della produzione di grezzo. Ci sono poi molte grandi Società petrolifere, soprattutto americane ed europee, che operano in più di un Paese. (5)Traders sono operatori che acquistano il grezzo (o i prodotti) e poi lo rivendono a terzi, i brokers sono invece intermediari che trovano, e mettono poi in contatto, un compratore e un venditore. I primi si accollano il rischio delle oscillazioni dei prezzi ed il loro margine dipende dall‟abilità di rivendere ad un prezzo superiore a quello a cui hanno acquistato, i secondi traggono il loro margine da commissioni di intermediazione che venditore o compratore o entrambi sono disposti a riconoscere. 43 Produttori di grezzo I venditori di grezzo I venditori al consumo I distributori dei mercati interni I traders e i brokers Operatori I detentori di depositi Gli armatori marittimi I venditori di prodotti petroliferi I raffinatori Figura 45 – Gli operatori Più di 50 Paesi (81.8 ML Bbl/g) Più di 300 Società Arabia Saudita 10.8 Exxon Mobil Russia 9.9 Shell Stati Uniti 6.7 Petromin Iran 4.3 Youkos Cina 3.8 BP Canada 3.2 NIOC Messico 3.1 Pemex Emirati Arabi 3.0 Statoil Kuwait 2.8 PDVSA Venezuela 2.6 Total Altri 31.6 Altri (fra cui i Traders) Figura 46 – Produttori e venditori di grezzo (Anno 2008) 44 Le Società produttrici vendono il grezzo prodotto o direttamente o tramite intermediari, traders o brokers. I paesi che producono petrolio tendono in genere a soddisfare prima il loro mercato interno poi, se la produzione è superiore al consumo interno, vendono il grezzo ad utilizzatori che si possono trovare in qualsiasi parte del mondo. Nella maggior parte dei casi il grezzo su questo mercato internazionale si muove via mare. È perciò estremamente importante per un Paese esportatore di petrolio avere un accesso diretto al mare e disporre di terminali marittimi, ossia di depositi, in vicinanza del mare, dotati di attrezzature per l‟ormeggio ed il carico delle navi. Entrano a questo punto in scena altri operatori del mercato internazionale del grezzo e dei prodotti: gli armatori marittimi. Il loro numero, imprecisato, supera certamente alcune centinaia di unità. Gli armatori, proprietari e gestori di una ragguardevole flotta petrolifera, di cui si dirà in dettaglio più avanti, noleggiano le loro navi ai venditori o ai compratori, per un singolo viaggio o per un certo numero di viaggi o per un certo periodo di tempo durante il quale il noleggiatore può disporre della nave a sua discrezione. Alcune Società petrolifere sono esse stesse proprietarie di navi che gestiscono in genere per i loro diretti fabbisogni. Gli operatori successivi della filiera sono i raffinatori. Ci sono nel mondo circa settecento raffinerie (Figura 47), appartenenti a Società che operano in tutti o in alcuni soltanto dei settori della filiera. Alcune raffinerie poi appartengono a Società di servizio che si limitano solo a gestirle tecnicamente, affittandone la capacità ad operatori terzi che forniscono il grezzo e ritirano i relativi prodotti. L‟estensione del mercato petrolifero è il mondo intero e le sue dimensioni sono enormi: si tratta cioè di un mercato “globale” di circa 3.2 miliardi di Ton/anno di grezzo e prodotti (Figura 48). Da quanto detto emerge che effettivamente gli operatori sono molto numerosi e che l‟estensione e le dimensioni del mercato sono veramente notevoli, ma rimane il dubbio che questo mercato sia oggi “controllato” dall‟OPEC, che è indicato da tutte le fonti come “il cartello” internazionale del mercato petrolifero. 45 Capacità di raffinazione ML Bbl/g Lavorazioni ML Bbl/g Nord America 21.0 Nord America 17.8 Sud America 6.6 Sud America 5.5 Europa & Eurasia 25.1 Europa & Eurasia 20.7 Medio Oriente 7.6 Medio Oriente 6.4 Africa 3.2 Africa 2.5 Estremo Oriente 25.1 Estremo Oriente 22.3 Totale Numero di raffinerie 88.6 Totale 700 Percentuale di utilizzo Figura 47 – I raffinatori (Anno 2008) Figura 48 – Estensione e dimensione del mercato 46 75.2 85% In realtà i Paesi dell‟Organizzazione possiedono circa il 79% delle riserve petrolifere mondiali e circa il 46% della capacità produttiva ( 6) di grezzo e questo è certamente un punto di forza, ma il maggiore punto di debolezza dell‟OPEC consiste nel fatto che i suoi membri sono delle Nazioni, spesso assillate da problemi sociali, politici ed economici che prevalgono sul rispetto delle regole della Organizzazione stessa. Per questa ragione l‟OPEC, nonostante tutto, non riesce a funzionare come un vero cartello internazionale e l‟influenza delle sue “decisioni” sul mercato è meno importante di quanto possa sembrare. Qual è dunque il meccanismo attraverso il quale si forma il prezzo del grezzo sul mercato? Il prezzo di mercato di un bene è, normalmente, il punto d‟incontro fra il valore che esso ha per il consumatore ed il costo di produzione. In questo caso il consumatore del grezzo è il raffinatore ed il valore del grezzo, per il raffinatore, è uguale al ricavo dei prodotti che da esso derivano meno i costi necessari per produrli (Figura 49). Questo concetto, che gli addetti ai lavori chiamano “net back”, porta a stabilire che il valore di un grezzo dipende non solo dalla sua qualità, ma anche della complessità della raffineria in cui è lavorato e dalla lontananza di questa dal luogo di produzione del grezzo. Ciò significa anche che lo stesso grezzo ha un valore diverso per ogni raffineria o, in altri termini, che il prezzo che i raffinatori sono disposti a pagare per acquistarlo non è lo stesso per tutti. Anche il costo di produzione del grezzo è molto diverso da caso a caso e va da livelli molto bassi, in alcuni casi inferiori a 5 $/Bbl, a livelli che superano i 20$/Bbl (Figura 50). Ciò dipende da una molteplicità di fattori, fra cui: l‟ubicazione del giacimento (in terra, in mare, in zone impervie ecc.), la complessità geologica (profondità, natura del sottosuolo, ecc.), lo stadio produttivo del giacimento (produzione primaria, secondaria, terziaria) ecc. È evidente che, generalmente, un produttore non è disposto a vendere il suo grezzo ad un prezzo inferiore al costo di produzione, per cui il prezzo che tende a stabilirsi sul mercato non è inferiore al costo del grezzo marginale, ossia quello che ha il costo di produzione più alto ma è ancora necessario per soddisfare la domanda. Nonostante la semplificazione adottata nel descriverli, questi meccanismi sono alquanto com(6) Le 5 maggiori società petrolifere del mondo, ExxonMobil, BP, Shell, Total e ChevronTexaco, detengono meno del 5% delle riserve petrolifere mondiali e circa il 15% della capacità produttiva di grezzo. 47 Ricavi dei prodotti – Costi di produzione Ricavi Costi Grezzi leggeri Complessità raffineria Grezzi medi Grezzi basso zolfo Grezzi pesanti Grezzi alto zolfo Grezzi paraffinici Grezzi vicini Grezzi naftenici Grezzi lontani Figura 49 – Il valore del grezzo (net back) Figura 50 – Costi di produzione del grezzo 48 plessi, ma ciò non impedisce che giorno per giorno o, meglio, trattativa per trattativa, i prezzi si formino e le transazioni si concludano. La Figura 51 mostra i prezzi medi del grezzo e dei principali prodotti petroliferi che si sono verificati nell‟area del Mediterraneo nell‟anno 2008. Ma quando si sente parlare di prezzo del grezzo, di quale grezzo si tratta? Nel mondo esistono almeno un centinaio di tipi di grezzo, diversi per qualità e luogo di produzione. È evidente però che i relativi prezzi sono fra loro correlati in funzione proprio della loro qualità e ubicazione. È, infatti, proprio così che si comporta il mercato: una volta fissato il prezzo di un grezzo quelli di tutti gli altri risultano automaticamente determinati in funzione di questi parametri. Nasce così il concetto di “marker” che è il grezzo di riferimento. Una volta definito il suo prezzo in base alle dinamiche del mercato, è possibile calcolare il prezzo degli altri grezzi mediante “differenziali”, che sono uguali alla differenza di valore dovuta alla diversa qualità ed alla differenza dei costi di trasporto dal luogo di origine ai diversi mercati. In concreto, in alcune aree del mondo esistono dei mercati petroliferi fra cui i principali sono il NWE (North West Europe), l‟Atlantic Basin (la costa atlantica degli Stati Uniti), il Pacific Basin (la costa asiatica del Pacifico) e, meno importante ma più vicino a noi, il Mediterraneo (Figura 52). In ciascuna delle prime tre aree esiste un “marker” o grezzo di riferimento: il Brent nel North West Europe, il WTI (West Texas Intermediate) nell‟Atlantic Basin e il Dubai nel Pacific Basin, rispetto ai quali tutti gli altri grezzi commercializzati nell‟area hanno un differenziale di prezzo che si forma come detto sopra. Naturalmente anche i prezzi dei markers sono correlati fra loro con lo stesso criterio. Quanto fin qui detto vale per le grandi tendenze strutturali del mercato. Il mercato petrolifero però è caratterizzato da una grande variabilità dei prezzi dovuta a fattori congiunturali, sia dal lato della domanda che da quello dell‟offerta, e da fattori speculativi che ne disturbano il regolare andamento. I più frequenti fattori congiunturali relativi alla domanda sono le anomalie climatiche (temperature troppo alte o basse), i timori di difficoltà di approvvigionamento e le aspettative di aumenti o diminuzioni di prezzi. Quelli relativi all‟offerta sono principalmente le calamità naturali, gli eventi politici, gli scioperi e i guasti tecnici agli impianti. 49 Figura 51 – Prezzi medi del grezzo e dei principali prodotti (Area del Mediterraneo – Anno 2008) Atlantic Basin North West Europe Mediterraneo Figura 52 – Principali mercati petroliferi 50 Asia Pacific Fin qui per quanto riguarda il grezzo. Anche i prodotti petroliferi, però, sono scambiati su un mercato internazionale analogo a quello del grezzo. Come già accennato, il mercato internazionale dei prodotti è un mercato marginale in cui i raffinatori smaltiscono il surplus dei prodotti che non trovano allocazione sui loro mercati principali. È però un mercato di notevoli dimensioni su cui si muovono circa 1,2 miliardi di Ton/a di prodotti e, come per il grezzo, è un mercato globale. I prodotti trattati sono tutti quelli che si ottengono dalle lavorazioni del grezzo e, come per il grezzo, esistono delle grandi aree geografiche che rappresentano i centri delle contrattazioni, fra cui le più importanti sono il NWE, il Mediterraneo, New York Harbour, Singapore. I prezzi si formano dalla libera contrattazione degli operatori commerciali, sulla base, come sarà meglio spiegato in seguito, dell‟esistenza e del costo di prodotti alternativi che possono essere usati per lo stesso scopo. Essi vengono riportati da alcuni listini specializzati, fra cui i più autorevoli sono il Platts ed il Petroleum Argus che giornalmente raccolgono e diffondono i prezzi minimi e massimi delle contrattazioni effettuate il giorno precedente. La diffusione delle informazioni avviene tramite posta elettronica (fino a pochi anni fa a mezzo telex) a tutti gli operatori abbonati al servizio. Non esiste al mondo operatore petrolifero che non abbia giornalmente sulla sua scrivania (o nel suo PC) una copia del Platts. Su questi dati inoltre sono basati la maggior parte dei contratti di compravendita del settore petrolifero. Sull‟attendibilità e sulla possibilità di manipolazione di questi dati si è a lungo discusso e indagato. Ma finora questi listini hanno superato ogni prova (anche un‟indagine fatta dalla Comunità Europea negli anni ‟70) e continuano ad essere i riferimenti più utilizzati nel settore. I DEPOSITI COSTIERI ED I MERCATI NAZIONALI I depositi costieri sono le porte di comunicazione fra il mercato internazionale ed i mercati nazionali. Sono costituiti da grossi serbatoi, capaci di contenere le quantità trasportate dalle petroliere, dalle relative attrezzature portuali, e nella maggior parte dei casi sono collegati ad oleodotti attraverso cui i prodotti raggiungono il mercato entroterra. La libertà di transito di tutti gli operatori attraverso queste strutture è il presupposto essenziale per assicurare la libertà dei mercati nazionali. I mercati interni di una nazione sono generalmente alimentati dai prodotti uscenti dalle raffi- 51 nerie ubicate sul territorio nazionale. Molto spesso tali prodotti transitano anch‟essi attraverso i depositi costieri per raggiungere il mercato interno. Le raffinerie però sono grandi complessi industriali che richiedono ingenti investimenti e sono pertanto possedute da grandi Società petrolifere. Non è difficile, quindi, che qualcuna di queste Società possa raggiungere una posizione dominante nel Paese e non è impossibile pensare che sia tentata di abusarne. Se però, attraverso i depositi costieri, è garantito il libero accesso di altri operatori che si approvvigionano sul mercato internazionale, i prezzi che si stabiliscono nel mercato nazionale non possono discostarsi molto da quelli del mercato internazionale aumentati del costo di transito attraverso il deposito. In tal modo la libertà del mercato internazionale si trasferisce ai mercati nazionali. Sintomatica ed interessante, a questo proposito è la situazione italiana (Figura 53). In Italia, infatti, la maggior parte della capacità di raffinazione è ubicata in Sicilia ed in Sardegna mentre la prevalenza dei consumi è concentrata nell‟Italia del Nord. Esistono quindi grandi flussi di prodotti dalle isole verso i mercati interni peninsulari, attraverso numerosi depositi costieri, dei quali i più importanti sono ubicati a Genova e Venezia. In particolare poi, da Genova alcuni oleodotti raggiungono la periferia di Milano. Fra le società che servono il mercato interno (Figura 54) ve ne sono 12 che dispongono anche di capacità di raffinazione, mentre numerose altre società commerciali si approvvigionano dalle precedenti o dal mercato internazionale. Alcuni grandi consumatori infine si approvvigionano direttamente sul mercato internazionale, oltre che dai raffinatori italiani. Sembrano esistere quindi le condizioni per un mercato nazionale sufficientemente libero, anche se non esente da una serie di altri problemi, sui quali non è possibile soffermarsi in questa sede. I prezzi dei prodotti petroliferi che interessano più da vicino la maggioranza delle persone sono quelli dei carburanti con i quali riforniamo le nostre automobili: la benzina e il gasolio. L‟impressione comune è che questi prezzi siano tutti uguali e i mezzi di comunicazione non perdono occasione per farcelo notare insinuando, o addirittura denunciando, che esistano taciti accordi fra le società petrolifere per tenerli artificiosamente elevati. 52 15 Raffinerie (103 ML Ton/a) Trecate Busalla Cremona 9 Raffinerie costiere (73 ML Ton/a) Venezia Mantova Sannazzaro 5 Raffinerie su isole (55 ML Ton/a) Falconara Livorno 6 Raffinerie Nord Italia (30 ML Ton/a) Roma Mercato Nord Italia 45 ML Ton/a Taranto Sarroch Flusso di prodotti da isole Depositi costieri (Genova - Venezia) Milazzo Augusta Flusso da Sud a Nord Italia Priolo Flusso da mercato estero a interno Gela Figura 53 - Struttura produttiva e logistica italiana Operatori con strutture industriali Agip 29.8 Api 4.6 Esso 12.9 Shell 3.9 K.P.I. 7.8 IP 2.8 Tamoil 7.5 IES 2.7 Erg 6.7 IPLOM < 2.7 Total 5.9 Saras < 2.7 Operatori commerciali 10.3 Importatori e Consumatori diretti 5.1 Figura 54 – Percentuali di copertura del mercato (Anno 2008) 53 In realtà, per i meccanismi descritti e sinteticamente riassunti nella Figura 55, i prezzi della benzina e del gasolio sul mercato interno si formano con riferimento ai relativi prezzi del mercato internazionale, che è lo stesso per tutti gli operatori, per cui le differenze di prezzo fra i vari punti vendita possono derivare solo da efficienze sui costi di distribuzione che sono una parte poco rilevante dei costi totali dei quali, in particolare, gli oneri fiscali rappresentano oltre il 70%. Un altro luogo comune è che i prezzi della benzina e del gasolio si muovono molto rapidamente quando il petrolio aumenta e molto lentamente quando diminuisce. Anche in questo caso i dati effettivi non confermano questa percezione. Le Figure 56 e 57 infatti riportano l‟andamento delle medie mensili dei prezzi di questi prodotti sui due mercati durante l‟anno 2008 e mostrano che il fenomeno non ha carattere di sistematicità. Un ultimo dato rilevante è riportato nella Figura 58 che mostra l‟andamento del numero e del tipo dei punti vendita dei carburanti della rete italiana. Come si può notare, il numero dei punti vendita si è ridotto notevolmente dal 1973 (anno della prima crisi energetica) fino a qualche anno fa e la loro tipologia è migliorata perché si sono ridotti i piccoli chioschi e sono aumentate le stazioni che offrono servizi aggiuntivi oltre alla semplice vendita di carburanti. La riduzione del numero dei punti vendita è un fatto positivo per il consumatore perché si traduce in un aumento dei volumi erogati da ciascuno di essi e rende possibile la riduzione dei costi unitari che incidono su ogni litro erogato e quindi il relativo prezzo di vendita. Inoltre la maggiore complessità del punto vendita permette al gestore di ricavare i suoi margini dalla vendita di altri prodotti e servizi oltre che dalla sola vendita dei carburanti e quindi di incidere meno su questi ultimi con i suoi costi. Purtroppo negli ultimi anni l‟introduzione di una norma, tesa a favorire una maggiore liberalizzazione del settore, ha provocato un‟inversione di tendenza nella riduzione del numero dei punti vendita e di conseguenza una diminuzione dell‟erogato medio. Se questa nuova tendenza dovesse consolidarsi, l‟effetto sui prezzi potrebbe essere negativo. CARATTERISTICHE CHIMICHE Senza addentrarsi in una lezione di chimica organica, conviene ora soffermarsi brevemente su alcune caratteristiche chimiche del petrolio, in modo da capire meglio alcune sue proprietà tipiche e la natura delle lavorazioni da eseguire in raffineria per poterlo utilizzare. 54 Prezzo internazionale Margine gestore Passaggio a deposito Trasporto Perdite Prezzo industriale Prezzo alla pompa Imposte Figura 55 – Prezzi e costi dei carburanti per autotrazione Figura 56 – Benzina – Medie mensili dei prezzi – Anno 2008 55 Figura 57 – Gasolio – Medie mensili dei prezzi – Anno 2008 1973 1980 Autostradali 1990 1995 2000 2005 2006 2007 457 466 465 457 461 459 Stazioni di servizio 6523 6959 8150 8628 8840 9062 Stazioni di rifornimento 8439 7585 7001 6250 6244 6480 13659 11775 7398 5963 5885 5311 1922 1415 886 1559 1020 1188 Chioschi Altri Totali 40000 39000 31000 28200 23900 22400 22450 22500 Erogato mc/a 670 610 966 1205 1479 1621 1618 1609 Figura 58 – Punti vendita carburanti in Italia (dati a fine anno) 56 Come già detto, il petrolio si presenta come un miscuglio di tanti prodotti. Tutti i prodotti che esistono sulla terra, non solo quelli contenuti nel petrolio, sono formati dalla combinazione, ossia dall‟unione, di meno di cento elementi semplici di base. I prodotti che formano il petrolio sono costituiti, per la quasi totalità, da due soli elementi chimici: l‟idrogeno ed il carbonio e perciò prendono il nome generico di idrocarburi. Convenzionalmente gli elementi chimici sono indicati con una o più lettere che, per lo più, sono le iniziali del loro nome. Il carbonio e l‟idrogeno sono indicati con le lettere “C” ed “H” rispettivamente. Le forze che tengono uniti fra loro gli elementi nei composti chimici si chiamano valenze. Esse agiscono come se fossero dei ganci di cui ogni elemento è dotato per legarsi con gli altri. Ogni elemento ha un numero suo caratteristico di valenze; il carbonio ne ha quattro, mentre l‟idrogeno ne ha una sola ed i modi in cui essi si possono legare fra loro sono teoricamente infiniti. Vediamo in pratica come questo avviene. Il più semplice dei prodotti, che il carbonio e l‟idrogeno possono formare combinandosi fra loro, è quello costituito da un solo atomo di carbonio che lega a ciascuno dei suoi quattro ganci un atomo d‟idrogeno. Il composto che così si forma ha un atomo di carbonio e quattro d‟idrogeno, si indica con CH4, si chiama metano ed è il ben noto gas combustibile, oggi distribuito nella maggioranza delle nostre case (Figura 59). Un secondo prodotto, altrettanto semplice, è quello in cui due atomi di carbonio usano un gancio, ciascuno, per legarsi fra loro, mentre sui tre ganci che restano a ciascuno di loro si legano tre atomi d‟idrogeno: il prodotto così formato, che ha quindi due atomi di carbonio e sei d‟idrogeno, C2H6, si chiama etano (Figura 60). Procedendo nella stessa maniera (Figura 61), tre atomi di carbonio legati fra loro con un legame e con i ganci rimanenti legati all‟idrogeno formano un prodotto che si chiama propano. Da notare in questo caso che l‟atomo di carbonio intermedio usa due dei suoi ganci per legarsi uno al C di “destra” e uno al C di “sinistra” e quindi gli rimangono solo due ganci per legare due atomi d‟idrogeno. Allo stesso modo, allungando la catena, si hanno il butano con quattro atomi di carbonio, il 57 Figura 59 – Struttura degli idrocarburi – Il metano CH4 Figura 60 – Struttura degli idrocarburi – L’etano C2 H6 58 pentano con cinque, l‟esano con sei, l‟eptano con sette, l‟ottano con otto ecc. Come si vede si può teoricamente andare avanti all‟infinito. In pratica non si va oltre alcune decine di atomi di carbonio perché le catene più lunghe tendono a dividersi in spezzoni più piccoli. E questa è solo una delle possibili serie degli idrocarburi. Essa è caratterizzata dal fatto che la catena è lineare, ossia senza ramificazioni né anelli, e che gli atomi di carbonio sono legati fra loro con una sola valenza. Questa serie si chiama delle normal-paraffine e la formula chimica generale dei prodotti che la costituiscono è CnH2n+2 perché ogni atomo di carbonio intermedio è legato a due atomi di idrogeno mentre i due estremi ne hanno uno in più per cui gli atomi di idrogeno risultano essere il doppio degli atomi di carbonio più due. A temperatura ambiente ed a pressione atmosferica, gli idrocarburi di questa serie che contengono fino a quattro atomi di carbonio sono gassosi, quelli fino a venti atomi sono liquidi e quelli con più di venti atomi di carbonio sono solidi. Un‟altra serie, abbastanza simile, è quella delle iso-paraffine. In questa gli atomi, anziché disporsi linearmente, si ramificano creando delle catene laterali che a loro volta possono procedere linearmente o ulteriormente ramificarsi (Figura 62). Un‟altra serie ancora è quella delle olefine. L‟etilene è il primo prodotto di questa serie ed è il capostipite dei prodotti che hanno dato origine alla petrolchimica. L‟etilene è formato da due atomi di carbonio ma, a differenza dell‟etano, questi sono legati fra loro con un doppio legame e quindi ciascuno di loro ha soltanto altri due ganci liberi per legare due atomi d‟idrogeno: C2H4 (Figura 63). Due serie abbastanza diverse sono invece quella dei prodotti naftenici e degli aromatici (Figura 64), in cui la catena non si dispone linearmente, ma si chiude ad anello. Nella serie dei naftenici ogni atomo di carbonio utilizza due valenze per legarsi ai due atomi di carbonio adiacenti e le altre due per legarsi a due atomi d‟idrogeno. Un idrocarburo di questa serie è, ad esempio, il cicloesano formato da sei atomi di carbonio e dodici d‟idrogeno C6H12. Nella serie degli aromatici invece ogni atomo di carbonio usa tre delle sue valenze per legarsi ai due atomi di carbonio vicini, due da una parte e una dall‟altra, mentre la valenza residua viene occupata da un atomo di idrogeno. Il prodotto più noto della serie degli aromatici è il benzene formato da un anello di sei atomi di carbonio e sei atomi d‟idrogeno C6H6 . 59 Metano Propano Pentano H H-C-H Etano H HHH H-C-C-C-H Butano HHH HHHHH H-C-C-C-C-C-H Esano HHHHH HH H-C-C-H HH HHHH H-C-C-C-C-H HHHH HHHHHH H-C-C-C-C-C-C-H HHHHHH Figura 61 – Struttura degli idrocarburi – Le normal-paraffine Cn H2n+2 H H-C-H H Iso-ottano H-C H H H-C-H H C H C C H H C -H H H-C-H H Figura 62 - Struttura degli idrocarburi – Le iso-paraffine Cn H2n+2 60 Figura 63 – Struttura degli idrocarburi – L’etilene C2 H4 Nafteni . H H-C Aromatici H C-H H H-C C-H H H-C H-C C-H H-C H C-H C-H H-C C-H H Cicloesano Benzene Figura 64 – Serie dei naftenici e degli aromatici 61 Gli altri prodotti di questa serie possono essere di due tipi: quelli che legano catene lineari ad uno degli atomi di carbonio dell‟anello (toluene, xileni), e quelli che si formano legando altri anelli lungo uno dei lati (naftaleni). Non solo ognuna di queste serie, ma addirittura ognuno dei prodotti che le compongono ha delle caratteristiche particolari che lo rendono diverso dagli altri ed idoneo per determinate applicazioni. Tuttavia, anche se le proprietà e le caratteristiche dei vari idrocarburi sono molto diverse fra loro, le reazioni chimiche attraverso cui tutti gli idrocarburi forniscono energia sono sempre le stesse e sono soltanto due: Il carbonio (C) dell‟idrocarburo brucia, vale a dire reagisce con l‟ossigeno (O 2) dell‟aria, producendo anidride carbonica (CO2) e calore C + O2 = CO2 + CALORE L‟idrogeno (H2) dell‟idrocarburo brucia, cioè anch‟esso reagisce con l‟ossigeno (O 2) dell‟aria, producendo acqua (H2O) e calore 2H2 + O2 = 2 H2O + CALORE I prodotti della combustione degli idrocarburi sono quindi l‟anidride carbonica e l‟acqua. Ricordiamo ora che anidride carbonica e acqua sono proprio quelle due sostanze che, con l‟energia del sole si trasformano in materia organica vivente che è quella da cui gli idrocarburi hanno tratto la loro origine. Si potrebbe quindi affermare che gli idrocarburi sono una forma di energia rinnovabile perché il ciclo si chiude e può ripetersi (Figura 65). Purtroppo però lo stadio di formazione degli idrocarburi è estremamente lento e non tiene il passo con l‟andamento dei consumi d‟energia, perciò quelli che si sono formati e accumulati nel corso dei milioni di anni passati sono destinati ad esaurirsi inesorabilmente. Una domanda che sorge a questo punto è: se i prodotti della combustione degli idrocarburi 62 sono così innocui perché si dice che il loro uso inquina l‟ambiente? A questa domanda daremo una risposta esauriente più avanti, è però opportuno anticipare, fin da ora, che molte forme di inquinamento derivano non tanto dagli idrocarburi ma dalle impurità presenti nel petrolio, particolarmente dallo zolfo. TRASPORTI MARITTIMI E OLEODOTTI I trasporti marittimi, com‟è facile intuire, hanno subito nel corso del ventesimo secolo uno sviluppo paragonabile a quello del petrolio, ma con qualche particolarità non priva d‟interesse. Che il mercato del petrolio si estendesse a tutto il mondo fu chiaro fin dall‟inizio. A quel tempo però, metà del diciannovesimo secolo, il trasporto delle merci via mare era ancora effettuato con le vecchie navi di legno i cui capitani non vedevano di buon occhio il trasporto di una merce tanto infiammabile e quindi tanto pericolosa. Non parliamo poi dei marinai che nemmeno con la prospettiva di allettanti salari accettavano un rischio così grande. Sembra, infatti, che l‟equipaggio di quella nave, che nel 1861 portò il primo carico di kerosene da Filadelfia a Londra, fosse formato da marinai ubriacati e trascinati subdolamente a bordo. Per fortuna però quel carico giunse sano e salvo a destino. In questi primi trasporti il prodotto era contenuto in barili di legno stivati a bordo. Ben presto però questi furono sostituiti da serbatoi metallici contenuti nello scafo della nave, che quindi utilizzavano più efficientemente lo spazio disponibile. Il primo vero sviluppo dei trasporti marittimi si ebbe quando si passò da scafi di legno a scafi di ferro, il che permise di usare lo scafo stesso come serbatoio. Le prime navi avevano una capacità di trasporto abbastanza piccola rispetto a quelle usate attualmente ma rilevante per quell‟epoca: poche migliaia di tonnellate “deadweight” (dwt). Le tonnellate dwt misurano la capacità di trasporto, cioè le tonnellate totali che la nave è capace di caricare a bordo, che comprendono, oltre al carico che è la parte preponderante, anche il bunker, l‟acqua, le vettovaglie e quanto altro sia trasportato. Le dimensioni ed il numero delle petroliere aumentarono gradualmente durante la prima metà del secolo ventesimo, tuttavia alla fine della seconda guerra mondiale la più grande petroliera in circolazione non superava le ventimila tonnellate. 63 Il vero sviluppo cominciò verso la metà del secolo scorso, quando la produzione di grezzo del Medio Oriente cominciò a crescere in modo considerevole ed il boom vero e proprio si ebbe nel corso degli anni „60, alla fine dei quali la più grande petroliera in navigazione aveva una stazza di 480.000 ton dwt e la capacità complessiva delle navi in attività superava i 200 milioni di ton. Fino alla metà degli anni „50, il grezzo del Medio Oriente era prevalentemente lavorato nelle raffinerie localizzate vicino alle zone di produzione ed un flusso imponente di prodotti, dest inati al nord ovest Europa, dai terminali del golfo persico, attraverso lo stretto di Hormuz, l‟Oceano indiano, il Mar Rosso, il canale di Suez, il Mediterraneo e lo stretto di Gibilterra, approdava nei porti belgi, olandesi e inglesi (Figura 66). L‟Italia si trovava su questo percorso. Come un lungo molo proteso nel Mediterraneo rappresentava una posizione ideale per l‟ubicazione di raffinerie che potevano lavorare il grezzo del Medio Oriente e smistarne i prodotti alle aree di consumo. Quando il Medio Oriente diventò un‟area a rischio, a causa dei movimenti indipendentisti locali, fu questo appunto uno dei fattori che favorì il sorgere di un gran numero di raffinerie sulle coste italiane. Un evento che ebbe una grande influenza sulla composizione della flotta delle navi cisterna fu la chiusura del canale di Suez, per un periodo di cinque mesi nel 1957 e per ben otto anni dal 1967 al 1975. La via alternativa per giungere dal Golfo Persico all‟Europa era la circumnavigazione dell‟Africa, ma il tempo necessario a percorrere questa rotta era circa il doppio di quello attraverso il canale e perciò, per trasportare le stesse tonnellate, richiedeva un numero doppio di navi. Ci fu una corsa verso la costruzione di nuove navi e di nuove raffinerie situate in Europa e fu subito evidente che: Il flusso di prodotti si andava trasformando in un flusso di grezzo diretto alle nuove raffinerie europee Sulla rotta intorno all‟Africa non c‟era più il problema dei bassi fondali del canale di Suez e, quindi, si potevano utilizzare navi più grandi per il trasporto Effettuando i trasporti con navi più grandi i costi unitari, ossia il costo per tonnellata trasportata, diventavano più bassi. 64 Energia solare Anidride Carbonica e acqua nell’atmosfera Ossigeno dell’atmosfera Calore Materia organica vegetale e animale Processo di fossilizzazione Idrocarburi Figura 65 – Il ciclo dell’energia nei fossili Figura 66 – Le rotte del petrolio 65 Queste considerazioni portarono ad un cambiamento dei criteri di progettazione e spinsero a realizzare navi più grandi. Nacquero così le cosiddette VLCC (Very Large Crude Carrier), che avevano una stazza fino a 300.000 ton dwt, e poi le ULCC (Ultra Large Crude Carrier), la cui stazza era superiore a 300.000 e raggiungeva quasi 500.000 ton dwt. Non era facile far approdare navi del genere. Innanzi tutto erano pochi i porti europei che avevano fondali ed attrezzature per poterle attraccare, ma erano anche poche le raffinerie che avevano una capacità di stoccaggio tale da ricevere tutto il grezzo che esse contenevano. Queste navi quindi erano spesso adoperate per fare i tragitti lunghi, per esempio dal Golfo Persico al Mediterraneo, per poi trasbordare, in mare aperto, su navi più piccole il grezzo destinato a più raffinerie. I costi erano un po‟ più alti, ma non tanto da annullare l‟economicità rispetto all‟utilizzo di navi più piccole sull‟intero percorso. Ma poi arrivarono le crisi energetiche. La prima in particolare, quella del 1973, arrivava in un momento che era stato preceduto da anni di crescita vertiginosa dei consumi petroliferi. Tutti gli addetti alle previsioni avevano, come il solito, estrapolato per gli anni futuri, lo stesso andamento di crescita degli ultimi anni precedenti e tutti i responsabili delle decisioni avevano deciso di conseguenza. Il mondo era diventato un cantiere: nuove raffinerie, nuovi depositi, nuove attrezzature e anche nuove navi, naturalmente VLCC e ULCC. Chi capì che quella era una svolta strutturale cancellò o ridusse le costruzioni in corso, ma ciò non fu sempre possibile e non tutti lo fecero. E così nel corso degli anni ‟70 un gran numero di queste petroliere continuò ad essere varato in tutti i cantieri del mondo. La seconda crisi energetica del 1979-80 diede il colpo di grazia. Non solo i consumi diminuivano anziché crescere al ritmo di prima, ma con i nuovi prezzi di circa 37 $/Bbl (corrispondenti a 93 $/Bbl attuali), il valore del carico di una ULCC sfiorava i 130 milioni di dollari (250 attuali) e i rischi delle fluttuazioni dei prezzi di mercato ed i problemi di finanziamento e di assicurazione di valori così rilevanti ne rendevano proibitivo l‟uso. Nel giro di pochi anni la maggior parte delle ULCC e molte VLCC galleggiavano inerti in qualche parte del mondo in attesa di qualcosa, che fu poi la rottamazione. Navi con poco più di 10 anni di vita, veri gioielli di tecnica e automazione! La costituzione della flotta petrolifera mondiale alla fine del 2008 è riportata nella Figura 67. 66 Il grezzo, i prodotti petroliferi ed il gas naturale possono anche essere movimentati attraverso apposite tubazioni che prendono il nome di oleodotti e gasdotti. È chiaro che questo è un modo semplice, pulito ed economico di trasporto tanto è vero che il primo oleodotto per prodotti petroliferi, costruito agli albori dell‟era petrolifera negli Stati Uniti, fu distrutto dopo pochi mesi da una squadra di carrettieri infuriati perché avevano perso il loro lavoro. È facile capire quali siano le funzioni di questi oleodotti: Gli oleodotti di grezzo servono a portare il grezzo dalla bocca di pozzo, onshore o offshore, ai terminali marittimi da cui viene poi esportato oppure dai terminali di ricezione alle raffinerie che non si trovano sulla costa. Gli oleodotti per prodotti petroliferi servono per trasportare i prodotti dai terminali marittimi o dalle raffinerie ai depositi interni per la distribuzione al consumo. I gasdotti servono a trasportare il gas naturale dai pozzi di produzione alle aree di consumo. Per lo più gli oleodotti ed i gasdotti sono interrati sia per ragioni di sicurezza sia per ridurre l‟impatto delle condizioni climatiche sul prodotto trasportato, ma non mancano esempi di oleodotti fuori terra, specialmente in zone desertiche o scarsamente popolate. In molti casi gli oleodotti e i gasdotti sono anche sottomarini. Questo avviene generalmente per le produzioni offshore sia di olio che di gas, ma anche nei casi in cui le aree di produzione e quelle di consumo sono divise dal mare (es. il gasdotto dall‟Algeria all‟Italia, o quello di più recente costruzione dalla Libia all‟Italia). Senza entrare in molti dettagli si può dire che le zone più dense di oleodotti sono gli Stati Uniti e l‟Europa centrale, in particolare la Germania. Queste aree sono densamente popolate e molto industrializzate e se la movimentazione dei prodotti energetici consumati dovesse avvenire con autocisterne, ferro-cisterne o chiatte fluviali l‟intasamento del traffico sarebbe colossale. RAFFINAZIONE – LA SEPARAZIONE DEI PRODOTTI Per comprendere a cosa servono le raffinerie bisogna ricordare che il grezzo è formato da una miscela di tanti idrocarburi e contiene inoltre piccole quantità di impurità. 67 Le lavorazioni che si compiono nelle raffinerie hanno quindi principalmente tre scopi: Separare gli idrocarburi in classi più omogenee, ossia formate da prodotti aventi un numero di atomi di carbonio non molto diverso l‟uno dall‟altro. Trasformare chimicamente alcuni idrocarburi in altri che abbiano delle proprietà più appropriate all‟utilizzo che se ne vuole fare. Ridurre le impurità inizialmente presenti nel grezzo e trasferitesi nei vari prodotti durante le operazioni sopraddette fino a portarle al livello prescritto dalle leggi in vigore I prodotti che così si ottengono si chiamano “semilavorati”, perché devono essere sottoposti ad un‟ulteriore operazione per diventare “prodotti finiti”, cioè pronti per essere utilizzati. Quest‟operazione si chiama “blending” e consiste in una miscelazione dei semilavorati in dosi opportune in modo da ottenere dei prodotti che abbiano le qualità desiderate. La separazione degli idrocarburi si effettua con un metodo che si chiama distillazione. Essa consiste nel separare gli idrocarburi sfruttando il fatto che essi bollono a temperature diverse l‟uno dall‟altro, ossia a temperature sempre più alte, man mano che cresce il numero di atomi di carbonio da cui sono formati ( 7). Una descrizione del processo di distillazione può essere fatta con un semplice esempio. Se in una pentola, indicata con la lettera A nella Figura 68, si scalda dell‟acqua, man mano che la temperatura aumenta, sulla sua superficie si forma del vapore. Quando la temperatura dell‟acqua raggiunge 100 °C, anche se si continua a riscaldare, la temperatura non sale più, la formazione del vapore diventa più rapida e si estende a tutta la massa. Le bolle di vapore che salgono dal fondo mettono in agitazione l‟acqua provocando quel fenomeno che si chiama ebollizione. La temperatura a cui questo avviene, 100 °C appunto, si chiama temperatura di ebollizione dell‟acqua. Il vapore emesso, se è raccolto con una cappa posta sopra la pentola e raffreddato con un liquido freddo che circola in un tubo incamiciato, condensa e riforma l‟acqua che può essere raccolta in una pentola B. In questo modo si è ottenuta “l‟acqua distillata” che differisce da quella contenuta nella prima pentola, perché non contiene i sali che c‟erano prima. I sali, infatti, non vaporizzano e restano nell‟acqua che rimane nella pentola A. (7) Più precisamente questa regola è valida per idrocarburi appartenenti ad una stessa serie. 68 Stazza navi Dwt Stazza totale (milioni di dwt) Numero 10.000 – 75.000 3072 105 75.000 – 200.000 1252 144 498 147 4 2 4826 398 200.000 – 350.000 Oltre 350.000 Totale Figura 67 – Composizione della flotta petrolifera mondiale (fine 2008) A B B Figura 68 – La distillazione 69 C Questo processo di vaporizzazione e successiva condensazione si chiama distillazione. Se adesso si ripete questo stesso esperimento mettendo nella pentola A alcool etilico invece di acqua, tutto procede nello stesso modo, con l‟unica differenza che la temperatura che si raggiunge nella pentola non è più di 100 gradi, ma 78 gradi, che è la temperatura di ebollizione dell‟alcool etilico. Se ripetiamo ancora l‟esperimento mettendo nella pentola A una miscela di acqua e alcool succede una cosa leggermente diversa. Poiché l‟alcool ha una temperatura di ebollizione più bassa dell‟acqua, i primi vapori che si formano contengono percentualmente più alcool che acqua e quindi se questi vapori sono condensati e raccolti nella pentola B producono un liquido che contiene anch‟esso una percentuale di alcool più alta del liquido iniziale. Più precisamente, quando la temperatura raggiunge 78 °C, cioè la temperatura di ebollizione dell‟alcool, essa non si ferma a questo livello, come avviene nel caso dell‟alcool puro, ma continua ad aumentare fino a raggiungere la temperatura di ebollizione dell‟acqua (100 °C). A questo punto tutto l‟alcool che si trovava inizialmente nella pentola A è evaporato ed il liquido che vi rimane contiene soltanto acqua. Tutti i vapori formatisi in quest‟intervallo contengono percentualmente più alcool che acqua e quindi, quando sono condensati e raccolti nella pentola B, formano un liquido che contiene anch‟esso una percentuale di alcool più alta rispetto al liquido di partenza. Se sul liquido raccolto nella pentola B si ripete ancora una volta questo processo, i vapori che si ottengono ed il liquido che si raccoglie nella pentola C, si arricchiscono ancora di alcool finché, se il processo è ripetuto un certo numero di volte, l‟ultimo liquido ottenuto contiene praticamente solo alcool. In questo modo, grazie alla differenza della loro temperatura di ebollizione, si è ottenuta la separazione dell‟acqua e dell‟alcool contenuti nella miscela di partenza. ( 8) I diversi idrocarburi presenti nel grezzo hanno temperature di ebollizione diverse anche se, a volte, molto vicine fra loro. La temperatura di ebollizione degli idrocarburi di una stessa serie (paraffine, aromatici ecc.) è (8) In realtà la separazione acqua - alcool etilico non si ottiene in modo completo con una semplice distillazione. Non è il caso, in questa sede, di addentrarsi in argomenti che esulano dallo scopo di questa nota. I due liquidi sono stati utilizzati nell‟esempio perché sono familiari anche a chi ha una scarsa conoscenza dei prodotti chimici. 70 in genere crescente al crescere degli atomi di carbonio, da valori molto bassi, es. –42 °C per il propano, a valori molto alti, superiori a 400 °C (Figura 69). Se il grezzo, posto in un recipiente, viene riscaldato, per esempio a 350 °C, produce dei vapori che contengono una maggiore quantità di idrocarburi più leggeri, con temperatura di ebollizione più bassa di 350 °C, perciò nel recipiente rimangono quelli più pesanti, che hanno una temperatura di ebollizione più alta di 350°C. Se i vapori sono raccolti e condensati si ottiene un liquido, più leggero del grezzo originario, e formato anch‟esso da tanti idrocarburi. Se questo liquido è nuovamente riscaldato, per esempio a 250 °C, i vapori che si sprigionano contengono una maggiore percentuale di idrocarburi con temperature di ebollizione inferiore a 250 °C, mentre nel recipiente rimangono quelli che hanno una temperatura di ebollizione compresa fra 250 e 350 °C. Ripetendo questo processo più volte, il grezzo originario può essere suddiviso in frazioni formate da idrocarburi aventi temperature di ebollizione comprese in determinati intervalli decrescenti, o in altri termini in frazioni che contengono idrocarburi sempre più leggeri. In raffineria questo processo avviene in modo continuo in un apparecchio che si chiama “colonna di distillazione” o di “topping”, che è un serbatoio cilindrico verticale nel cui interno si trova una serie di caldaie, disposte una sopra l‟altra (anziché una a fianco dell‟altra, come nell‟esempio fatto). Il grezzo, già riscaldato ad una temperatura di 350°C, entra continuamente nella caldaia che si trova più in basso. I vapori che si levano da questa caldaia passano in quella che si trova subito sopra dove condensano facendo evaporare il liquido che essa contiene, questo a sua volta passa alla caldaia superiore e così via. In tal modo lungo l‟altezza della colonna, nelle varie caldaie sovrapposte, si concentrano idrocarburi sempre più leggeri che possono essere spillati lateralmente e raccolti fuori della colonna stessa. Nessuna di queste frazioni, o “tagli” come usa chiamarli, è ancora un prodotto finito. Essi sono semilavorati che servono per le lavorazioni o per le miscelazioni successive. Tipicamente (Figura 70), partendo dall‟alto della colonna, essi sono: 71 Paraffine Aromatici °C Metano °C -161 Benzene 80 Etano -89 Toluene 111 Propano -42 P-Xilene 138 Butano -1 M-Xilene 139 Pentano 36 O-Xilene 144 Esano 69 Eptano 98 Ottano 126 Figura 69 – Temperatura di ebollizione di alcuni idrocarburi C1- C4 C3- C4 Virgin nafta C5 - C9 Gas GPL Benzina Kerosene C10 - C14 Jet Fuel Gasolio C15 - C25 Gasolio motori Gasolio riscald. Grezzo Residuo > C25 Olio combustibile Figura 70 – Schema semplificato di una raffineria 72 Il gas, che contiene gli idrocarburi più leggeri cioè quelli la cui molecola è formata da 1 a 4 atomi di carbonio, che si chiamano rispettivamente: metano, etano, propano e butano. Comprimendo questo gas il propano ed il butano diventano liquidi e costituiscono il GPL (Gas di Petrolio Liquefatto), mentre il metano e l‟etano restano allo stato gassoso e sono utilizzati come combustibili nella raffineria stessa. La virgin nafta, che contiene gli idrocarburi da 5 a 9 atomi di carbonio ed è usata per la produzione di benzina, attraverso ulteriori lavorazioni in altri impianti della raffineria. Il kerosene, che contiene gli idrocarburi da 10 a 14 atomi di carbonio e serve, principalmente, per produrre il carburante per i motori degli aerei a reazione (jet fuel). Il gasolio, che contiene gli idrocarburi da 15 a 25 atomi di carbonio ed è usato per produrre il gasolio per riscaldamento e per autotrazione. Il residuo, che contiene gli idrocarburi con più di 25 atomi di carbonio ed è usato, principalmente, per la produzione dell‟olio combustibile e del bitume. Il GPL, la benzina, il jet fuel, il gasolio e l‟olio combustibile sono i prodotti principali di una raffineria. Oltre ad essi, con lavorazioni più complesse, sulle quali però non ci addentriamo, se ne producono anche altri, quali i solventi, i lubrificanti, i bitumi ecc., largamente utilizzati in molteplici applicazioni. Potremmo chiederci ora perché i prodotti ottenuti dalla distillazione non possono essere utilizzati direttamente, ma hanno bisogno di ulteriori lavorazioni. Per rispondere a questa domanda abbiamo bisogno di introdurre due nuovi concetti: la specifica dei prodotti il valore dei prodotti. I prodotti petroliferi, pur essendo delle miscele più omogenee del grezzo, restano pur sempre un insieme di idrocarburi diversi. Essi in genere sono usati per fornire energia in modi e con attrezzature diverse, quindi devono avere delle caratteristiche chimico-fisiche adatte alle attrezzature ed ai modi con cui sono utilizzati. Perciò non è tanto importante definire quali idrocarburi devono essere utilizzati per fare un certo prodotto, ma piuttosto quali caratteristiche deve avere il prodotto per poter essere utilizzato. Ad esempio la benzina, per fornire energia in un motore, deve avere delle caratteristiche particolari senza le quali il motore non riuscirebbe a funzionare; l‟insieme di queste caratteristiche costituisce la “specifica” della benzina. 73 Per meglio chiarire questo concetto ed anche per illustrare, come s‟era a suo tempo detto, il modo in cui l‟energia chimica (degli idrocarburi) si trasforma in energia meccanica, daremo ora alcune nozioni elementari sui motori e sul loro funzionamento. IL MOTORE Il motore è un apparecchio col quale si trasforma energia termica in energia meccanica. Esso è costituito (Figura 71) da un cilindro, all‟interno del quale scorre un pistone che lo divide in due parti, in una delle quali agisce il fluido che fornisce l‟energia termica. Dalla parte opposta una biella, collegata al pistone e, in modo eccentrico, ad una ruota, trasforma il movimento rettilineo alternato del pistone nel moto rotatorio della ruota. L‟energia termica posseduta dal fluido è ottenuta per trasformazione dell‟energia chimica di un combustibile fossile (carbone o idrocarburi) o da un‟altra fonte energetica primaria (nucleare, solare, geotermica). Il riscaldamento del fluido può essere effettuato all‟esterno o all‟interno del cilindro motore. Nel primo caso, il fluido è generalmente vapor d‟acqua e l‟applicazione più familiare è il motore del treno a vapore. Il vapore è ottenuto riscaldando acqua in una caldaia a pressione ed è immesso nella camera del cilindro motore delimitata dal pistone. Poiché dall‟altro lato del pistone c‟è la pressione atmosferica, il vapore si espande e spinge il pistone, che trasmette il moto alla ruota. Giunto a fine corsa, il pistone è riportato indietro dalla forza d‟inerzia della ruota e comincia a muoversi nell‟altro verso. A questo punto si chiude la valvola, attraverso cui era stato immesso il vapore, e si apre l‟altra valvola che mette in comunicazione il cilindro con l‟esterno. Il vapore, a bassa pressione e raffreddatosi per l‟espansione, viene così scaricato. Una parte dell‟energia, che possedeva all‟ingresso nel motore, si è trasformata in energia meccanica che è stata trasmessa alla ruota, ma una parte si è dovuta scaricare all‟esterno per permettere di svuotare il cilindro e ripetere il ciclo. È ora il caso di sottolineare che l‟esterno del cilindro si chiama “ambiente”. Quanto descritto ha due implicazioni molto importanti, che sono valide in tutte le trasformazioni e applicazioni dell‟energia: non tutta l‟energia posseduta dalla sorgente energetica può essere utilizzata ovvero, con linguaggio più tecnico, il rendimento energetico di qualsiasi apparecchiatura 74 Figura 71 – Il motore TC TE TF 0 °K Gas Vapore Liquido Solido Figura 72 – Stati fisici della materia 75 che utilizza energia è inferiore a 1 ogni trasformazione o utilizzazione di energia è accompagnata, necessariamente, da un impatto sull‟ambiente. Sul secondo di questi due punti torneremo più diffusamente in seguito. Come si è detto, il riscaldamento del fluido energetico può anche avvenire all‟interno del cilindro motore e, in tal caso, si parla di motore a combustione interna o a scoppio. Gli esempi più noti sono i motori delle auto, a benzina o a gasolio. Il motore a benzina differisce dagli altri principalmente perché sul fondo fisso del cilindro è inserito un dispositivo, la candela, che produce una scintilla a intervalli regolari. Il suo funzionamento avviene, normalmente, in quattro tempi o fasi: all‟inizio della prima fase, il pistone si trova nella posizione più vicina alla testa del cilindro per cui il volume della camera del fluido è minimo. Esso si muove verso la parte opposta (9) mentre, contemporaneamente, si apre la valvola di immissione del fluido, costituito da una miscela di aria e vapori di benzina, che viene così aspirato nella camera nella seconda fase, il pistone, giunto a fine corsa, torna indietro mentre la valvola di immissione si chiude. Il fluido viene così compresso e la sua temperatura aumenta. Quando il pistone giunge a fine corsa la candela produce una scintilla, i vapori di benzina prendono violentemente fuoco (scoppio) e producono un ulteriore aumento di temperatura e pressione dei prodotti della combustione e dell‟aria ad essi miscelata. In questa fase l‟energia chimica della benzina si trasforma in energia termica. Lo scoppio spinge indietro il pistone trasformando così, solo in questa fase, l‟energia termica in energia meccanica, che attraverso la biella si trasferisce alla ruota quando il pistone giunge a fine corsa viene sospinto indietro per inerzia. Durante questa fase si apre la valvola di scarico ed i prodotti della combustione sono scaricati nell‟ambiente. In modo analogo funziona il motore a gasolio che però presenta rispetto a quello a benzina alcune differenze sostanziali. Esso non è dotato di candela e nella prima fase non aspira una mi(9) Quando si comincia da motore fermo, i primi due movimenti del pistone devono essere effettuati utilizzando un apparato esterno, manuale (come la manovella di un tempo) o automatico (come il motorino elettrico di avviamento). Successivamente, a motore avviato, essi avvengono per inerzia. 76 scela d‟aria e vapori di carburante ma soltanto aria. Durante la seconda fase, la compressione fa aumentare grandemente la temperatura dell‟aria e, alla fine di questa fase, il gasolio viene iniettato nella camera di combustione. A contatto con l‟aria rovente il gasolio prende fuoco e produce lo scoppio che per la benzina è invece provocato dalla scintilla della candela. Le fasi di espansione e di scarico sono uguali a quelle del motore a benzina. LE SPECIFICHE DEI PRODOTTI PETROLIFERI Dall‟esperienza quotidiana sappiamo che il motore a benzina non funziona col gasolio e viceversa. Sappiamo anche che fino a poco tempo fa esistevano diversi tipi di benzina: la super, la normale, la verde, la rossa e dovevamo stare attenti a cosa usare nella nostra macchina. Problemi simili si presentano anche in tutti gli altri utilizzi di prodotti petroliferi: i carburanti per aerei, i lubrificanti, i bitumi ecc. In ogni applicazione di un prodotto petrolifero esistono almeno tre categorie di persone coinvolte: il progettista dell‟apparecchiatura, il fornitore del prodotto e l‟utente di entrambe queste cose. Il progettista deve sapere di quale prodotto può disporre o, eventualmente, quale prodotto speciale può richiedere al fornitore per progettare e costruire la sua apparecchiatura. Il fornitore del prodotto, cioè il raffinatore, deve sapere di quali prodotti ha bisogno il mercato e come la sua raffineria li può produrre. L‟utente deve sapere, per ogni apparecchiatura che usa, quali prodotti deve acquistare. C‟è infine l‟esigenza sociale che l‟impatto sull‟ambiente sia contenuto entro i limiti previsti dalle norme vigenti. L‟armonizzazione di tutte queste esigenze si ottiene con la definizione delle caratteristiche che il prodotto deve possedere, per essere utilizzato in quella particolare applicazione. L‟elenco di tali caratteristiche si chiama “specifica” del prodotto in questione. Le specifiche sono emesse da appositi Enti (UNI, CUNA,EN ecc.) che definiscono anche i metodi di analisi con cui le varie caratteristiche devono essere misurate per accertare la corrispondenza del prodotto con le specifiche. Esse possono subire delle modifiche nel tempo per adeguarsi alle innovazioni tecnologiche che intervengono nelle apparecchiature utenti o ai miglioramenti qualitativi richiesti dalle normative ecologiche sempre più stringenti. 77 Quando un prodotto è immesso sul mercato il produttore garantisce che esso sia rispondente alle specifiche commerciali. Eventuali discrepanze, se fatte in mala fede, costituiscono una frode commerciale e sono perseguibili per legge. La specifica di ogni prodotto contiene un notevole numero di caratteristiche che devono essere contemporaneamente rispettate. Riportiamo qui di seguito, per i principali prodotti, alcune delle caratteristiche più importanti contenute nelle relative specifiche: Benzina Una delle più note ed importanti caratteristiche di una benzina è il numero di ottano. Un problema che si può presentare nel motore a benzina è che la miscela d‟aria e benzina, durante la fase di compressione, scoppi prima che scocchi la scintilla della candela e quindi prima che il pistone sia arrivato a fine corsa. Questo scoppio intempestivo si individua facilmente perché si sente uno strano rumore di ferraglie nel motore e si dice che il motore “batte in testa”. Esso provoca una perdita di potenza perché frena il pistone nella sua corsa e, se la cosa si ripete con una certa frequenza, arreca al motore dei danni meccanici rilevanti. La capacità di una benzina di sopportare elevate pressioni senza deflagrare è indicata da una grandezza convenzionale che si chiama “numero di ottano”. Il numero di ottano è una grandezza empirica ossia, per convenzione, si è assegnato un numero di ottano uguale a 100 all‟iso-ottano (2-2-4-trime-tilpentano), che è un idrocarburo che sopporta notevoli pressioni senza deflagrare, ed un numero di ottano uguale a zero all‟eptano che invece deflagra molto più facilmente. Le miscele di questi due idrocarburi hanno un numero di ottano pari alla percentuale di iso-ottano contenuto, ossia una miscela con il 90% di iso-ottano e 10% di eptano ha un numero di ottano di 90 e così via. Per misurare il numero di ottano di una benzina la si usa come carburante in un particolare motore di laboratorio, dotato di strumenti che permettono di determinare la sua capacità di resistenza alla detonazione. Poi nello stesso motore vengono immesse, una dopo l‟altra, varie miscele di iso-ottano ed eptano (di composizione e quindi di numero di ottano noti) e si assegna alla benzina il numero di ottano della miscela che presenta la stessa capacità di resistenza 78 alla detonazione. L‟aggiunta di alcuni additivi a base di piombo, come il piombo tetrametile ed il piombo tetraetile, permette di migliorare il numero di ottano delle benzine. In Italia fino a qualche anno fa erano commercializzati due tipi di benzina, la eurosuper senza piombo con un numero di ottano di 95 e la super con 0.15 gr/lt di piombo con numero di ottano di 97. La commercializzazione di quest‟ultima, in ottemperanza alle direttive dell‟Unione Europea, è cessata dal 1 gennaio 2002. Le due benzine, in pratica, erano identiche. L‟aggiunta dell‟additivo nella seconda aveva il solo effetto di elevare il suo numero di ottano di 2 punti. Le benzine che contengono piombo non possono essere usate nelle auto che hanno la marmitta catalitica, perché il piombo che passa negli scarichi avvelenerebbe il catalizzatore che si trova nella marmitta. Nulla vieta invece di usare le benzine senza piombo nelle macchine che non hanno la marmitta catalitica. L‟unica cosa cui bisogna badare in questo caso è che il motore della macchina sia adatto a funzionare con una benzina che ha un numero di ottano più basso. Un‟altra caratteristica contenuta nella specifica della benzina è il contenuto massimo ammissibile di benzene. Il benzene è un idrocarburo della serie degli aromatici, considerato cancerogeno. Il contenuto massimo ammissibile è stato ridotto qualche anno fa da 5% a 1%. Jet Fuel Il jet fuel è sostanzialmente il cherosene che, come si ricorderà, è stato il capostipite dei prodotti petroliferi ed era usato nelle lampade per illuminazione. Quest‟uso è ormai scomparso. Più recentemente poi il cherosene, distribuito in taniche da 20 litri, è stato utilizzato come combustibile da riscaldamento nelle stufe in campagna ed in montagna, ma anche questo utilizzo va rapidamente scomparendo. L‟uso, molto più nobile, che adesso si fa di questo prodotto è di carburante per i motori a reazione degli aerei. Fra le varie caratteristiche richieste a questi carburanti ci sono: la temperatura di congelamento, che deve essere inferiore a -47°C, per evitare che il carburante congeli nei serbatoi quando gli aerei volano a quote di 9-10.000 metri 79 dove la temperatura esterna è appunto di questo ordine di grandezza. il contenuto di acqua, che deve essere praticamente nullo perché a tali temperature si potrebbero formare tracce di ghiaccio che otturerebbero filtri ed ugelli. il punto di fumo, cioè‟ la capacità del prodotto di bruciare senza fare fumo. Il fumo è indice di combustione incompleta e, quindi, inefficiente e inquinante. La determinazione del punto di fumo si fa, ancora una volta, in modo empirico per confronto con miscele di prodotti che fanno da riferimento standard. In generale la presenza di prodotti insaturi (cioè con atomi di carbonio uniti da doppi legami come le olefine e gli aromatici) è responsabile di combustioni incomplete e quindi del fumo, mentre le paraffine, che sono prodotti saturi, hanno una combustione migliore e senza fumo. Gasolio per motori Nel motore diesel, come si è detto, alla fine della fase di compressione viene iniettato il gasolio che, a contatto con l‟aria rovente, scoppia e spinge il pistone. Per una combustione completa ed efficiente è importante che la fiamma si propaghi rapidamente in tutta la massa di combustibile. La qualità d‟accensione del gasolio per motori, ossia la facilità con cui si accende e la rapidità con cui la combustione si propaga, è misurata da un indice convenzionale che si chiama numero di cetano. Il cetano è un idrocarburo della serie paraffinica, costituito da sedici atomi di carbonio, che è caratterizzato da elevata facilità di accensione e rapidità di propagazione della combustione. Ad esso si attribuisce un numero di cetano pari a 100. L‟alfa-metil-naftalina, un idrocarburo della serie aromatica costituito da 11 atomi di carbonio, ha invece caratteristiche molto scadenti di accensione e propagazione della combustione. Ad esso si attribuisce un numero di cetano uguale a zero. Alle miscele di questi due idrocarburi si attribuisce un numero di cetano uguale alla percentuale di cetano presente nella miscela. La misura del numero di cetano di un gasolio si effettua in laboratorio con un motore di prova per confronto delle sue caratteristiche di combustione con quelle di miscele note di cetano e di alfa-metil-naftalina, allo stesso modo con cui si determina il numero di ottano per le benzine. 80 Il numero di cetano del gasolio autotrazione utilizzato nei paesi europei deve essere almeno uguale a 51. Un‟altra caratteristica riportata nelle specifiche del gasolio per motori è il “cloud point” o punto di intorbidamento. Esso rappresenta quella temperatura al di sotto della quale il gasolio comincia intorbidirsi per il congelamento di alcuni idrocarburi suoi costituenti. I primi idrocarburi a congelare e a formare dei cristallini sono le paraffine. I cristallini che si formano possono intasare filtri ed ugelli del motore ed impedirne il buon funzionamento e, infatti, d‟inverno, se la temperatura esterna è inferiore al punto di intorbidamento del gasolio, il motore diesel parte con difficoltà o non parte per niente. Per abbassare il cloud point bisogna ridurre percentualmente gli idrocarburi pesanti presenti nel gasolio e aumentare quelli leggeri, per esempio, con l‟aggiunta di kerosene. In questo modo si possono produrre tipi di gasolio con basso cloud point, adatti per essere utilizzati anche in zone rigide durante il periodo invernale. Un‟altra caratteristica prescritta dalle specifiche è il tenore massimo di zolfo che il gasolio può contenere. Lo zolfo nel gasolio motori deve essere tenuto a valori bassi per evitare corrosioni nel motore, ma soprattutto per limitarne il contenuto negli scarichi che si riversano nell‟ambiente. Proprio per la seconda ragione, le specifiche del contenuto di zolfo nel gasolio sono state modificate abbastanza frequentemente nel recente passato per ridurne il livello. Il tenore di zolfo ammesso nel gasolio autotrazione fino alla fine del 2004 era di 0.035%, inferiore di quasi dieci volte a quello dello 0.3% di non più di 10 anni prima. Esso è stato ulteriormente ridotto a 0.005% dall‟inizio del 2005, e a 0.001% dall‟inizio del 2008. Questo ha richiesto un continuo aggiornamento e potenziamento degli impianti di desolforazione delle raffinerie e di conseguenza ha comportato una continua lievitazione dei costi di lavorazione e quindi del prezzo del prodotto. Gasolio per riscaldamento Le caratteristiche di un gasolio per riscaldamento, tranne che per il numero di cetano e, dall‟inizio del 2005, per il tenore di zolfo, non sono molto diverse da quelle di un gasolio per motori. 81 Il numero di cetano non è importante in questo caso perché la combustione nelle caldaie di riscaldamento avviene tramite dei bruciatori in maniera più semplice e, in ogni modo, completamente diversa da quella dei motori. Rimangono invece ugualmente valide le considerazioni, già fatte per il gasolio motori, circa il cloud point. Lubrificanti I lubrificanti finiti sono prodotti speciali che, normalmente, non sono fabbricati nelle raffinerie, ma in appositi piccoli stabilimenti, per lo più localizzati vicino alle aree di consumo, in cui si effettuano le varie miscelazioni, formulazioni, aggiunta di additivi e imbottigliamento con cui si arriva al prodotto finito. In raffineria si producono invece quelle che si chiamano “basi per lubrificanti”, che sono gli oli di base utilizzati per queste miscelazioni. Anche le basi però sono prodotte solo in alcune raffinerie specializzate, dotate di impianti particolari. La caratteristica più importante degli oli lubrificanti è la viscosità, ossia la capacità dei vari strati dell‟olio di scorrere l‟uno rispetto all‟altro. Più alta è la viscosità, più difficile è questo scorrimento. La viscosità di un fluido varia con la temperatura e, precisamente, diminuisce al crescere di essa. La temperatura di una macchina normalmente è bassa all‟inizio del funzionamento ed aumenta successivamente. In quest‟escursione il lubrificante non deve essere troppo viscoso a freddo e non deve diventare troppo fluido a caldo, per compiere bene la sua funzione in tutte le fasi di funzionamento. Fino ad alcuni anni fa, i lubrificanti per autotrazione erano diversi fra l‟estate e l‟inverno e dovevano essere cambiati ad ogni cambiamento di stagione. Attualmente si è trovato il modo, grazie ad alcuni additivi, di rendere la viscosità dei lubrificanti meno sensibile alle variazioni di temperatura e quindi questi cambi stagionali non sono più necessari. Con gli additivi si possono conferire ai lubrificanti molte altre proprietà che li rendono adatti 82 ai più svariati usi cui sono destinati. Addentrarsi in questo campo diventa però materia per specialisti. Olio combustibile Anche per l‟olio combustibile la viscosità è la caratteristica più importante perché dà una indicazione delle difficoltà che s‟incontrano per movimentarlo. L‟olio combustibile è un prodotto utilizzato in situazioni molto diverse, che vanno da industrie molto organizzate (centrali termoelettriche, grandi stabilimenti produttivi ecc.) a piccole realtà a carattere familiare. È quindi diversa la disponibilità di mezzi ed attrezzature per movimentare il prodotto. Se esiste la possibilità di mantenere l‟olio combustibile continuamente ed efficacemente riscaldato, si può anche usare un prodotto a viscosità elevata (in genere meno costoso), se invece il riscaldamento è impossibile o inaffidabile è opportuno utilizzare un combustibile a più bassa viscosità, che non ha quindi bisogno di essere riscaldato per essere pompato. La viscosità di un olio combustibile si può modificare graduando la quantità di gasolio che si aggiunge durante la sua preparazione, nella fase di miscelazione (blending). Per ridurre la viscosità bisogna aggiungere più gasolio e, quindi, i combustibili a bassa viscosità sono più costosi. Un‟altra caratteristica di una certa importanza è la densità. L‟olio combustibile si produce soprattutto con i residui che sono i prodotti più pesanti delle lavorazioni di raffineria; come tutti gli idrocarburi anche questi in genere hanno una densità inferiore a quella dell‟acqua, ma capita in qualche caso che essi siano invece più pesanti dell‟acqua. Questo costituisce un pericolo latente da evitare. Infatti, tutte le apparecchiature che utilizzano prodotti petroliferi sono basate sul principio che essi sono più leggeri dell‟acqua e non miscibili con essa. Quando si trovano insieme in un recipiente, infatti, acqua e idrocarburi si dividono in due strati, di cui quello inferiore è formato dall‟acqua e quello superiore dagli idrocarburi. Se però l‟idrocarburo è più pesante dell‟acqua la stratificazione s‟inverte e l‟idrocarburo si dispone sotto anziché sopra l‟acqua. Questa disposizione, essendo diversa dalle assunzioni di base della progettazione delle apparecchiature, può portare ad errati fun- 83 zionamenti con conseguenze che possono anche creare situazioni pericolose. La caratteristica più importante, contenuta nelle specifiche dell‟olio combustibile, è la percentuale massima ammissibile di zolfo. I limiti sempre più restrittivi prescritti per questa caratteristica porteranno molto probabilmente alla scomparsa di questo prodotto da molti degli usi energetici attuali. In relazione al livello di zolfo ammesso, esistono sul mercato due tipi di olio combustibile: L‟olio combustibile ATZ (alto tenore zolfo), la cui specifica prevede un tenore massimo di zolfo del 3% L‟olio combustibile BTZ (basso tenore zolfo), la cui specifica prevede un tenore massimo di 1% di zolfo. Esistono anche, in alcuni mercati, oli combustibili con tenori di zolfo di 0,3% e anche 0,25%, ma non sono molto comuni. Concludendo quest‟argomento, è bene ripetere che quelle sopra riportate sono soltanto alcune delle caratteristiche contenute nelle specifiche d‟ogni prodotto trattato. Le altre coprono aspetti del comportamento dei singoli prodotti, importanti soprattutto per gli addetti ai lavori. Diventa chiaro inoltre che il grezzo, tal quale, ed i prodotti petroliferi che si ottengono con una semplice separazione degli idrocarburi contenuti, non avendo per natura le caratteristiche richieste per i vari usi, hanno bisogno di notevoli trasformazioni per essere utilizzati. È questo appunto uno dei compiti della raffineria. IL VALORE DEI PRODOTTI L‟altro aspetto importante che influenza il funzionamento di una raffineria, oltre all‟ottenimento delle caratteristiche previste nelle specifiche, è il valore di mercato dei vari prodotti che originano dalla raffineria stessa. I prodotti che si ottengono in una raffineria dipendono dal tipo di grezzo trattato e dalla configurazione della raffineria, ma in ogni caso essi si ottengono tutti congiuntamente. Per evitare accumuli dell‟uno o dell‟altro prodotto quindi essi devono essere venduti tutti quasi contemporaneamente. Ma a che prezzo si devono vendere? Come si fa a dare un valore ad ogni prodotto? È possibile per esempio prendere il prezzo del grezzo, aumentato dei costi di produzione, e ripartirlo pro quota su ciascun prodotto? 84 È possibile, ma si avrebbe molto probabilmente la sorpresa di vendere alcuni prodotti molto facilmente e non riuscire assolutamente a vendere gli altri. I prezzi dei prodotti, infatti, non sono arbitrariamente fissati dal raffinatore ma si formano sul mercato in base alla nota legge della domanda e dell‟offerta, a sua volta condizionata dall‟esistenza o meno di altri prodotti alternativi utilizzabili per lo stesso scopo( 10). Si prenda per esempio l‟olio combustibile. Il più importante prodotto alternativo dell‟olio combustibile è il carbone. Se il prezzo dell‟olio combustibile diventa troppo alto esso viene sostituito dal carbone, di conseguenza la sua domanda diminuisce ed il raffinatore è costretto a ridurne il prezzo se vuole vuotare i suoi serbatoi. Naturalmente questo processo non avviene ogni giorno per correggere eventuali oscillazioni temporanee dei prezzi, ma costituisce la ragione principale o, come si dice, “i fondamentali” su cui si basa il prezzo dell‟olio combustibile nel lungo periodo. Lo stesso vale per gli altri prodotti, con qualche considerazione un po‟ più complessa per i prodotti senza succedanei come ad esempio il jet-fuel. Gli equilibri che da parecchi anni si sono stabiliti nei maggiori mercati hanno determinato livelli di prezzo che, in genere, vanno decrescendo dalla benzina, al jet, al gasolio, al combustibile, ossia i prezzi sono più alti per i prodotti “leggeri” che per i “pesanti”. Fra i prodotti che si ottengono dal grezzo il più pregiato è la benzina, seguita dal jet fuel e dal gasolio, mentre il meno pregiato è l‟olio combustibile. Da notare inoltre che i valori della benzina, del jet fuel e del gasolio sono superiori a quello del grezzo, mentre il valore dell‟olio combustibile è notevolmente inferiore(11). Risulta quindi immediatamente comprensibile che fra gli obiettivi di una raffineria c‟è anche quello di massimizzare la produzione di benzina ed in genere di prodotti leggeri e minimizzare la produzione di olio combustibile. (10) Una notevole distorsione sul gioco libero dei prezzi è causata dal regime fiscale a cui i vari prodotti alternativi sono sottoposti. Di questo si avvale il potere politico per indirizzare i consumi verso determinati prodotti. Si pensi per esempio, nel caso del mercato italiano, al metano e al gasolio per riscaldamento, o alla benzina e al gasolio per autotrazione. (11) Negli ultimi anni in verità si nota una variazione di questo andamento. Dal 2004 il prezzo del gasolio si è avvicinato molto e, durante l‟inverno, ha anche superato quello della benzina. Sembra si tratti di un cambiamento strutturale dovuto sia all‟aumento nell‟autotrazione della domanda di gasolio a scapito della benzina, sia al maggior costo di lavorazione del gasolio provocato dall‟ inasprimento delle specifiche per ragioni ecologiche. L‟aumento di prezzo del gasolio ha poi trascinato al rialzo quello del Jet, ad esso strettamente connesso. 85 Questa lunga premessa sulle specifiche e sul valore dei prodotti permette di capire meglio le ragioni per cui in raffineria sono effettuate le lavorazioni chiamate trasformazioni chimiche, che ora saranno esaminate più da vicino. RAFFINAZIONE – LE TRASFORMAZIONI CHIMICHE Le trasformazioni chimiche che si effettuano in una raffineria mirano essenzialmente a due scopi: trasformare chimicamente gli idrocarburi contenuti nei vari tagli del topping in altri che abbiano caratteristiche più adatte a soddisfare le specifiche dei prodotti che si vogliono ottenere massimizzare la produzione dei prodotti leggeri più pregiati. Le trasformazioni chimiche si dividono in tre categorie: Cambiamento della struttura. Rientrano in questa categoria le trasformazioni che tendono a cambiare solo la struttura degli idrocarburi senza cambiare il numero degli atomi di carbonio di cui sono costituiti. I principali processi di questa categoria sono il reforming catalitico e l‟isomerizzazione, con i quali si trasformano idrocarburi a basso numero di ottano in altri ad alto numero di ottano destinati al blending delle benzine. Il reforming catalitico trasforma idrocarburi a catena lineare (paraffinici) e idrocarburi saturi (12) con catena ad anello (naftenici), che hanno un numero d‟ottano molto basso, in idrocarburi insaturi (13) con struttura ad anello (aromatici), che hanno un alto numero d‟ottano. L‟isomerizzazione trasforma invece gli idrocarburi paraffinici in iso-paraffine (paraffine con catena ramificata) anch‟essi ad alto numero d‟ottano. Il reforming catalitico viene alimentato con la virgin nafta, una delle frazioni leggere del grezzo prodotta nel topping. 12 13 Negli idrocarburi saturi gli atomi di carbonio sono uniti da un solo legame. Negli idrocarburi insaturi gli atomi di carbonio sono uniti da più di un legame. 86 Accorciamento delle catene. Sono le trasformazioni che mirano a ridurre la lunghezza degli idrocarburi, spezzando le catene lunghe per ottenerne altri con catene più corte o, in altre parole, per ottenere idrocarburi più leggeri (di maggior valore) da idrocarburi più pesanti. I principali processi di questa categoria sono il cracking termico, il cracking catalitico, e l‟hydro-cracking, nei quali le catene degli idrocarburi vengono spezzate per effetto di alte temperature e pressioni e, in alcuni casi, con l‟ausilio di catalizzatori. Costruzione di nuovi idrocarburi. Sono trasformazioni che, partendo da idrocarburi molto leggeri (che rientrano nella categoria dei gas e che hanno quindi un basso valore non molto diverso da quello dell‟olio combustibile), mirano a costruirne degli altri più pesanti ma qualitativamente più pregiati. I principali processi di questa categoria sono l‟alchilazione e la polimerizzazione nei quali idrocarburi con 3-4 atomi di carbonio sono agglomerati per formarne altri con 7-8 atomi di carbonio, che rientrano pertanto nella categoria della benzina. Ricordiamo infine che fra gli scopi delle lavorazioni di una raffineria c‟è anche quello di eliminare o ridurre le impurità inizialmente presenti nel grezzo, particolarmente lo zolfo. Anche quest‟obiettivo si persegue con delle lavorazioni chimiche che non sono rivolte però agli idrocarburi, ma alle sostanze estranee che li accompagnano. Le specifiche riportano molto minuziosamente il livello massimo di ciascuna impurità che può essere tollerato nei prodotti finiti che escono dalle raffinerie per essere avviati alla commercializzazione. Particolari trattamenti devono poi essere previsti sugli effluenti liquidi e sulle emissioni gassose che originano dalle lavorazioni di raffineria, per evitare che essi possano provocare inquinamento dell‟aria o delle acque in cui gli effluenti liquidi sono immessi. Fra tutti gli inquinanti che entrano col grezzo in raffineria, particolare importanza riveste lo zolfo, sia perché le quantità contenute sono a volte molto rilevanti, sia perché esso si distribuisce in tutti i prodotti della distillazione primaria, a partire dal gas fino al combustibile, sia infine perché i suoi effetti inquinanti, tossici e corrosivi sono particolarmente rilevanti. I trattamenti per la rimozione dello zolfo dagli idrocarburi leggeri (gas o semilavorati destinati 87 al blending delle benzine) non presentano molti problemi. Più difficile invece risulta l‟eliminazione dello zolfo dai distillati medi, kerosene e gasolio, che richiedono trattamenti di desolforazione in processi che impiegano particolari catalizzatori, ad alta pressione e temperatura ed in presenza di idrogeno. In questi processi lo zolfo forma con l‟idrogeno un prodotto gassoso che si chiama idrogeno solforato, che è facilmente separabile dalla massa liquida degli idrocarburi. Questo prodotto, a sua volta, è ulteriormente trattato in altri impianti da cui si ottiene lo zolfo allo stato puro, che può essere rivenduto come materia prima per altre lavorazioni chimiche. Questa lavorazione ha segnato la fine delle miniere di zolfo. Molto problematico invece risulta eliminare o anche ridurre lo zolfo nei residui pesanti. La desolforazione di questi residui in presenza di idrogeno è concettualmente possibile, ma le condizioni operative sono così spinte che questi impianti hanno dei costi di investimento e di esercizio veramente proibitivi. È questa una delle ragioni per cui l‟olio combustibile continua ad essere sostituito dal metano. Le norme, sempre più stringenti, sulle emissioni da forni e caldaie non possono più essere rispettate se si usano combustibili ATZ (ad alto tenore di zolfo) e presto spingeranno fuori uso anche i combustibili BTZ (a basso tenore di zolfo). E le raffinerie dovranno trovare (e alcune hanno già trovato) il modo di smaltire un prodotto che viene sempre più respinto dal mercato. Il gas naturale Perché aggiungiamo l‟aggettivo “naturale” dopo la parola gas? La parola “gas” è usata molto spesso nel linguaggio corrente per indicare una varietà di cose: la cucina a gas, il gas delle bombole, il gas degli accendini, l‟acqua minerale gasata, andare a tutto gas, ecc. In ognuno di questi esempi si tratta di un gas diverso. La parola “gas”, infatti, così come le parole “liquido” e “solido”, non indicano un prodotto definito, ma uno stato fisico in cui una sostanza si può trovare, in funzione della temperatura e della pressione cui è sottoposta. Più precisamente, se si scalda una sostanza solida la sua temperatura aumenta e si raggiunge una temperatura alla quale essa diventa liquida. Se si continua a fornire calore, il liquido raggiunge una temperatura più alta in cui diventa vapore. Il vapore è uno stato fisico simile a 88 quello gassoso ma se ne differenzia perché il vapore può tornare allo stato liquido non solo abbassando nuovamente la temperatura, ma anche, e solo, facendo aumentare la pressione. Se poi il vapore è riscaldato ulteriormente, oltre una certa temperatura passa allo stato fisico di gas, caratterizzato dal fatto che qualsiasi aumento di pressione non è in grado di riportarlo allo stato liquido Le temperature in cui avvengono i cambiamenti di stato si chiamano (Figura 72): Temperatura di fusione (TF), quella in cui avviene il passaggio da solido a liquido, o di solidificazione (che è la stessa) nel passaggio inverso da liquido a solido Temperatura di ebollizione (TE), quella in cui avviene il passaggio da liquido a vapore, o di condensazione nel passaggio inverso Temperatura critica (TC), quella in cui avviene il passaggio da vapore a gas o viceversa. Le variazioni di temperatura di una sostanza sono provocate da un apporto o da una sottrazione di calore, ossia di energia, perciò lo stato fisico della sostanza è anche rappresentativo del suo livello energetico relativo. Infatti, l‟energia fornita ad una sostanza mette in agitazione le sue molecole. Quando il livello energetico è basso, l‟agitazione delle molecole è molto debole ed esse mantengono una posizione relativamente fissa facendo assumere alla sostanza una forma ed un volume propri, che sono appunto le caratteristiche dello stato solido. Quando poi l‟energia aumenta, l‟agitazione delle molecole cresce. Esse perdono la caratteristica di posizione fissa e la sostanza passa in uno stato in cui non ha più una forma propria, ma mantiene un volume definito. Queste sono appunto le caratteristiche di un liquido che ha un proprio volume ma assume la forma del recipiente che lo contiene. Un ulteriore aumento del livello energetico e, quindi, dell‟agitazione delle molecole fa perdere alla sostanza anche il suo volume caratteristico e perciò essa assume lo stato di un aeriforme. Inizialmente la pressione è ancora in grado, da sola, di ridare coesione alle molecole per riportarle allo stato liquido ed allora si dice che la sostanza è nello stato di vapore. Successivamente, se l‟agitazione è molto elevata, anche un forte aumento di pressione non riesce più ad aggregare le molecole e si dice che la sostanza si trova nello stato gassoso. Di ogni sostanza noi normalmente conosciamo lo stato fisico in cui si trova quando la sua temperatura e pressione sono quelle dell‟ambiente, ma non mancano casi in cui i cambiamenti 89 di stato avvengono a temperature non molto diverse da quella ambientale e, in questo caso, di una stessa sostanza conosciamo più di uno stato fisico. L‟esempio più noto è l‟acqua, liquida alla temperatura ambiente, ma di cui conosciamo anche lo stato solido (ghiaccio), in cui si trasforma a 0 °C, e quello di vapore che assume alla temperatura di 100 °C. Non ci è altrettanto familiare invece lo stato gassoso che l‟acqua assume alla temperatura di 374 °C. Le temperature a cui avvengono i cambiamenti di stato sono diverse da sostanza a sostanza. La Figura 73 mostra graficamente lo stato fisico in cui si trovano alcune sostanze nell‟intervallo di temperatura compreso fra -273°C e 500°C (a pressione atmosferica) mentre nella tabella di Figura 74 sono riportate per ciascuna di esse le temperature a cui avvengono i cambiamenti di stato. Dopo questa premessa, un po‟ lunga, ma necessaria per evitare confusioni, diventa chiaro il perché di un aggettivo dopo la parola gas. Con “gas naturale”, infatti, non vogliamo indicare uno stato fisico, ma un prodotto formato da una miscela di idrocarburi leggeri (metano, etano, propano e butano) che si trova in natura in giacimenti che si sono formati milioni di anni fa a seguito della fossilizzazione di materiale organico derivante dal decadimento di organismi animali e vegetali. La sua formazione è avvenuta nello stesso periodo e nello stesso modo del petrolio. Molto spesso, infatti, esso si trova associato al petrolio negli stessi giacimenti, ma può anche trovarsi da solo. I metodi di esplorazione e perforazione dei giacimenti sono analoghi a quelli già visti per il petrolio. La produzione, ossia l‟estrazione dal giacimento, avviene spontaneamente grazie alla pressione esistente che spinge il gas fuori del giacimento stesso. Il gas naturale tal quale però non può essere inviato direttamente al consumo. Quello che noi usiamo, infatti, è essenzialmente formato da metano, mentre il gas contenuto nei giacimenti contiene non solo degli idrocarburi più pesanti, ma anche vapor d‟acqua e impurità, fra cui principalmente idrogeno solforato e anidride carbonica, che devono essere rimossi. La separazione del metano dagli idrocarburi più pesanti si effettua facilmente con operazioni concettualmente simili alla distillazione. Gli idrocarburi più pesanti, che prendono il nome di condensati, sono poi utilizzati in altre applicazioni chimiche o energetiche. L‟essiccazione e la purificazione dalle impurità sono anch‟esse delle operazioni semplici che, 90 400 Temperatura °C 300 200 100 0 -100 -200 -273 Figura 73 – Stati fisici di alcune sostanze TF TE TC °C °C °C 0 100 374 Metano -183 -161 -82 Etano -172 -89 32 Propano -187 -42 97 Butano -135 -1 153 Acqua Figura 74 – Temperature caratteristiche di alcune sostanze 91 come le precedenti, si effettuano normalmente nelle zone di produzione. Il problema principale per l‟utilizzo del gas naturale, fino a non molti anni fa, consisteva nella difficoltà di trasportarlo dai luoghi di produzione a quelli di consumo. A differenza del petrolio, che è liquido e può essere stivato e trasportato agevolmente con navi cisterna, il gas naturale è gassoso e, a causa della bassa densità, non si riesce a trasportarlo efficacemente. Per capire meglio questo concetto basti pensare (Figura 75) che una bottiglia di un litro piena di petrolio pesa, a parte il vetro, circa 850 grammi, mentre se la si riempie di metano pesa meno di un grammo (14). In altri termini, per portare 850 grammi di petrolio basta una bottiglia da un litro, mentre per portare la stessa quantità di metano ne occorrerebbero più di 1200. Per questa ragione, fino a qualche tempo fa, il gas naturale associato al grezzo, quindi necessariamente prodotto insieme con questo, doveva essere buttato via ed era, infatti, bruciato a bocca di pozzo, mentre i giacimenti di solo gas, ubicati in zone molto distanti dai centri di consumo, non potevano essere in pratica sfruttati. In tempi più recenti, lo sviluppo delle tecnologie nell‟industria meccanica e delle costruzioni navali ha portato profondi cambiamenti in questo settore ed ha reso possibile sfruttare alcune proprietà del gas naturale, peraltro comuni a tutti i gas, che ne hanno facilitato il trasporto. Queste proprietà sono: La densità del gas aumenta proporzionalmente alla pressione cui il gas è sottoposto. Per chiarire meglio il concetto, se il gas è sottoposto ad una pressione di 200 atmosfere, le 1200 bottiglie, di cui abbiamo parlato prima, diventano solo 6 (=1200:200). Il gas, raffreddato ad una temperatura molto bassa( 15), diventa liquido e la sua densità aumenta di circa 600 volte, quindi le bottiglie diventano solo 2. Le nuove tecnologie nel campo dell‟industria meccanica hanno permesso di costruire delle tubazioni, resistenti alle alte pressioni, attraverso cui il gas compresso può essere trasportato in località anche molto lontane dal luogo di produzione. Questi gasdotti possono anche essere posati sul fondo dei mari, permettendo così di trasportare il gas fra territori separati dal mare. Quando però le distanze, soprattutto dei tratti marittimi, diventano maggiori è più conveniente liquefare il gas e trasportarlo con delle navi. Per fare ciò occorre costruire nella località di par(14) La densità del metano gassoso, alla pressione e temperatura ambiente, è di circa 0.7 g/lt (15) La temperatura di liquefazione del metano è –161 °C, e la densità del metano liquido è 415 g/lt. 92 tenza appositi impianti per il raffreddamento a bassissime temperature del gas naturale per liquefarlo. Si utilizzano poi navi speciali, capaci di contenere liquidi a temperature molto basse, per trasportare il gas naturale liquefatto alla località di destinazione dove altri impianti (i cosiddetti rigassificatori) lo riportano allo stato gassoso, lo comprimono e lo trasferiscono al consumo mediante gasdotti. In Italia ci sono applicazioni di tutte queste tecniche di trasporto e distribuzione del gas naturale, che si aggiungono alla produzione dai giacimenti locali, ormai in corso di esaurimento (Figura 76). In Italia arrivano, infatti, quattro grandi gasdotti, di cui due terrestri, dal Nord Europa e dalla Russia, e due sottomarini, dall‟Algeria e dalla Libia. Nel Golfo di La Spezia poi possono arrivare ed essere scaricate navi che trasportano gas naturale liquefatto proveniente principalmente dalla Nigeria e dall‟Algeria. Sono poi in corso di realizzazione alcune unità di rigassificazione di gas naturale liquefatto che permetteranno di diversificare ancora di più le fonti di approvvigionamento, riducendo i rischi tecnici o politici connessi con le forniture. In genere la domanda di gas naturale è più alta d‟inverno che d‟estate a causa dei maggiori consumi dovuti al riscaldamento domestico. Per quanto riguarda la produzione e la distribuzione si presentano quindi due alternative: o si segue l‟andamento variabile dei consumi oppure si mantiene un livello costante intermedio fra la richiesta estiva e quella invernale. Nel primo caso occorre dimensionare tutte le apparecchiature e i gasdotti al livello dei picchi invernali, nel secondo è necessario uno stoccaggio intermedio che accumuli i surplus estivi per rilasciarli nel periodo invernale. La seconda soluzione è in generale quella preferita, non solo perché richiede meno investimenti, ma soprattutto perché protegge anche da occasionali interruzioni di fornitura dovute a guasti o altri eventi che impediscano il normale funzionamento delle attrezzature. Lo stoccaggio del gas naturale si effettua in grandi serbatoi sotterranei, che sono principalmente di tre tipi: giacimenti esausti di gas naturale, falde freatiche o caverne saline. I giacimenti esausti di gas naturale rappresentano il caso più frequente. Si tratta delle formazioni di rocce porose che costituivano un giacimento e che sono ormai svuotate del gas che contenevano. Il vantaggio di usarle come serbatoi di gas deriva non solo dal fatto che esse sono certamente adatte a contenerlo, ma anche dalla possibilità di utilizzare tutte le attrezzature già esistenti per la sua estrazione. 93 0.7 gr 850 gr Rapporto = 1:1200 Figura 75 – Peso specifico del metano Nord Europa 12,2 Russia 20.4 3,4 (LNG) Italia 9,9 Algeria 22,2 Libia 8.3 Figura 76 – Fonti di gas naturale in Italia – Anno 2008 (76.4 ML tep) 94 Le falde acquifere sono rocce porose sotterranee che contengono acqua. Esse possono essere trasformate in serbatoi di gas spiazzando l‟acqua contenuta nei pori e sostituendola con gas. Naturalmente bisogna prima accertarsi che le caratteristiche geologiche rendano queste formazioni adatte allo scopo. Questo tipo di stoccaggio è più costoso del precedente, anche perché bisogna costruire tutte le attrezzature per l‟iniezione e l‟estrazione del gas. Esso è quindi usato solo in quelle zone dove non esistono giacimenti esausti di gas. In alcune zone la presenza di grandi formazioni saline sotterranee permette di costruire un terzo tipo di stoccaggio di gas. In queste formazioni, infatti, si possono creare delle grandi caverne semplicemente dilavando con acqua una parte del sale. Le caverne così formate hanno pareti robuste ed impermeabili, formate dal sale rimasto in loco, che ben si prestano a contenere il gas compresso. Anche questo stoccaggio, tuttavia, richiede rilevanti investimenti ed è usato solo quando non sono possibili altre alternative. Il carbone Il carbone, come già detto, è una fonte di energia che ha avuto origine dalla fossilizzazione di organismi vegetali. Esso è composto da una miscela di carbonio, idrogeno e ossigeno, ma contiene anche piccole quantità di azoto e zolfo, tracce di quasi tutti i minerali esistenti in natura e una quantità variabile di umidità. Il processo di fossilizzazione, sensibilmente influenzato dalle condizioni geofisiche in cui è avvenuto e dalla sua durata, ha prodotto qualità diverse di carbone che, dalle peggiori alle migliori, prendono il nome di torba, lignite, litantrace ed antracite. Esse si distinguono soprattutto per il diverso contenuto di umidità e di carbonio che ne determinano, in pratica, il potere calorifico e, quindi, il valore. Fra le fonti fossili, il carbone è stata la prima fonte ad essere usata in maniera intensiva già nel XVIII secolo dando origine all‟era dello sviluppo industriale che, proprio per questa ragione, è iniziato in quei paesi, Gran Bretagna e Germania, in cui esisteva una notevole abbondanza di questa fonte energetica. La produzione del carbone può essere abbastanza semplice quando il giacimento è molto superficiale perché in questo caso basta uno scavo poco profondo o addirittura una miniera a cielo aperto per produrlo (Figura 77). Quando invece il giacimento si trova ad una notevole profondità la produzione diventa più complessa perché è necessario scavare una miniera per 95 raggiungerlo. La costruzione di una miniera è un‟arte antica, che probabilmente risale all‟età del bronzo, quando fu necessario produrre il rame e lo stagno, dalla cui associazione si ottiene appunto il bronzo. Nel periodo romano poi la costruzione e la gestione delle miniere furono migliorate e regolate da apposite leggi, ma solo in tempi più recenti le tecniche minerarie sono state perfezionate e rese più sicure. Una miniera, schematicamente riportata in Figura 78, consiste essenzialmente di un pozzo principale (verticale o inclinato) e di una serie di gallerie orizzontali che da esso si dipartono a varie altezze in corrispondenza dei filoni carboniferi individuati. Nel pozzo principale sono installate svariate attrezzature, tipicamente: Gli ascensori, o gabbie, per portare su e giù i minatori ed i carrelli Le tubazioni per l‟aerazione delle gallerie e per l‟aria compressa, necessaria per operare martelli pneumatici o altre attrezzature della miniera Le tubazioni per l‟eventuale asportazione dell‟acqua che si può trovare nella miniera I cavi per il trasporto dell‟energia elettrica per illuminazione e alimentazione di altre attrezzature elettriche Una scala di salvataggio in caso di evacuazione di emergenza Nelle gallerie in corrispondenza dei filoni carboniferi, il carbone è frantumato dalle pareti con martelli pneumatici o altre macchine azionate ad aria compressa e, a volte, anche con esplosioni controllate. Esso è poi caricato con una ruspa su vagoncini che corrono su binari lungo le gallerie, trainati da piccole locomotive, fino al pozzo principale, dove entrano nella gabbia per essere portati in superficie. Molto spesso le gallerie sono armate con appositi supporti per evitare che franino e, quando sono esaurite, sono normalmente riempite con materiale inerte ottenuto dallo scavo delle gallerie d‟accesso, col doppio vantaggio di non doverlo riportare in superficie e di evitare il rischio di franamento futuro delle gallerie abbandonate. Uno dei maggiori rischi potenziali in una miniera di carbone è la formazione del grisou, cioè 96 Figura 77 – Miniera a cielo aperto Figura 78 – Miniera profonda 97 di una miscela esplosiva formata da metano e aria. Il metano, probabilmente formatosi anch‟esso durante il processo di fossilizzazione, può essere ancora contenuto in qualche filone carbonifero e quindi può sprigionarsi durante la frantumazione. La miscela esplosiva che esso forma con l‟aria, il grisou, esplode però solo se è innescata da una fiamma o da una scintilla. Uno dei modi per ridurre di molto il rischio d‟esplosione consiste pertanto nell‟eliminazione assoluta di ogni tipo di fiamma all‟interno della miniera e nell‟uso di materiali e attrezzature antiscintilla. Oltre a ciò è essenziale che la ventilazione della miniera sia studiata ed effettuata in modo da evitare che si formino sacche dove l‟aria viziata o, peggio, bolle di gas possano ristagnare. Una volta estratto dalla miniera il carbone viene approntato per la spedizione (Figura 79) dopo essere stato sottoposto ad alcune lavorazioni che consistono in: una frantumazione per portare la pezzatura a dimensioni che ne rendono più agevole la maneggevolezza e la successiva purificazione una serie di lavaggi per ridurne le impurità una vagliatura per ottenere lotti di pezzatura omogenea Le ragioni che hanno portato alla progressiva sostituzione del carbone con il petrolio sono principalmente tre: Il carbone, essendo solido, si trasporta meno agevolmente del petrolio Il carbone, sempre per la sua natura di solido, è meno versatile e quindi non adatto per molte applicazioni: si pensi, ad esempio all‟automobile o, ancor più, all‟aereo. Il carbone è più “sporco” del petrolio, sia quando si maneggia sia quando si brucia. Proprio per quest‟ultima ragione il petrolio viene oggi rifiutato dall‟opinione pubblica. Non è ancora cancellata infatti l‟immagine, riproposta ancora da tanti film, del carbone come icona di sporcizia (Figura 80). Le moderne tecnologie però hanno ovviato abbastanza a questi problemi e oggi una moderna centrale a carbone (Figura 81) non ha un‟immagine diversa da una qualsiasi altro impianto in- 98 Frantumazione Lavaggi e riduzione delle impurità Vagliatura Spedizione Figura 79 – Operazioni finali Figura 80 – Il carbone del passato 99 dustriale. Non si può escludere quindi che il carbone riacquisti presto il suo ruolo di primaria importanza nel novero delle fonti energetiche. Le fonti rinnovabili Si chiamano rinnovabili le fonti di energia che derivano da processi naturali che si rinnovano continuamente. Si chiamano anche rinnovabili le fonti che sono disponibili in quantità talmente grandi da poter essere considerate inesauribili. L‟esempio classico del primo tipo è quello dell‟energia idraulica, ossia dell‟energia fornita da masse d‟acqua in movimento dai monti verso il mare. Queste, dopo aver fornito l‟energia che contengono, arrivano al mare, evaporano e ritornano sotto forma di pioggia o di neve sui monti riprendendo il ciclo appena descritto. Un esempio del secondo tipo è l‟energia solare perché la vita prevedibile del sole è talmente lunga da poter essere considerata infinita. Le fonti rinnovabili, come già si è detto quando si è parlato dell‟origine dell‟energia, derivano in maniera diretta o indiretta da due sistemi: il sole e la radioattività naturale presente nelle profondità della terra, che, a sua volta, in tempi molto remoti, ha avuto anch‟essa origine dal sole. Solo l‟energia delle maree (il cui contributo è molto modesto) deriva da un sistema diverso e cioè dalle forze d‟attrazione reciproca fra la terra, il sole e la luna. Ciò premesso, tutte le fonti rinnovabili di energia sono (Figura 82): le biomasse l‟energia idraulica l‟energia geotermica l‟energia eolica l‟energia marina l‟energia solare Di ciascuna daremo una breve descrizione. 100 Figura 81 – Centrale elettrica a carbone gassificato Biomasse Idraulica Geotermica Eolica Marina Solare Figura 82 – Le energie rinnovabili 101 Le biomasse Si chiama “biomassa” qualunque combustibile solido, liquido o gassoso originato da un ciclo naturale di tipo animale o vegetale. L‟energia delle biomasse deriva dal sole e si accumula nelle piante attraverso la sintesi clorofilliana e negli animali attraverso la catena alimentare che ha inizio, a sua volta, dalle piante. In generale le biomasse si possono dividere nelle seguenti categorie: Biomasse solide che comprendono prodotti solidi, di origine animale o vegetale, usati come combustibile, ad esempio legno, segatura, carbonella, residui vegetali, sterco ecc. Liquidi e gas derivanti da biomasse. Fra i liquidi sono compresi i biocombustibili (bioetanolo, biodiesel, ecc.), i sottoprodotti liquidi, ricchi di lignina, provenienti dalla lavorazione della carta, ecc. I gas derivano dalla fermentazione anaerobica di biomasse nelle discariche e in altri processi similari (depuratori, ecc.). I rifiuti urbani biodegradabili destinati alla combustione per la produzione di energia elettrica e/o calore. In generale i rifiuti urbani non biodegradabili ed i rifiuti industriali, anche se destinati allo stesso scopo, non sono compresi fra le fonti rinnovabili perché non derivano da processi naturali. Il ciclo energetico delle biomasse è illustrato sinteticamente nella Figura 83. La biomassa è materia organica costituita essenzialmente da carbonio, idrogeno, ossigeno azoto e sali minerali, le stesse sostanze cioè dei combustibili fossili. E, proprio come i combustibili fossili, produce calore per combustione: il carbonio e l‟idrogeno contenuti nella molecola si combinano con l‟ossigeno dell‟aria, ossia bruciano, trasformandosi in anidride carbonica e acqua (sotto forma di vapore). Gli altri costituenti della molecola, i sali minerali, restano sotto forma di cenere. L‟anidride carbonica e l‟acqua, così formate, si disperdono nell‟atmosfera dove, assorbendo l‟energia solare, si combinano e riformano la materia organica, cioè la biomassa. In tal modo l‟energia solare è trattenuta sotto forma di energia chimica che sarà successivamente rilasciata sotto forma di calore durante la combustione. L‟unica differenza fra il ciclo energetico delle biomasse e quello dei combustibili fossili è che nel primo manca il processo di fossilizzazione. 102 Il maggior consumo di biomasse è concentrato nei Paesi in via di sviluppo. Si tratta in genere di una fonte di energia povera, usata soprattutto per usi domestici. Si stima, ad esempio, che in Africa, (Figura 84) nell‟anno 2008, circa il 50% dei consumi di energia siano stati coperti da residui vegetali e sterco animale. Nei paesi industrializzati l‟utilizzo di questa fonte di energia trae impulso principalmente dalla contemporanea esigenza di smaltimento dei rifiuti. Si può notare, infatti, (Figura 85) che negli ultimi anni solo nei Paesi industrializzati si è verificato un incremento nell‟utilizzo di questa fonte energetica, mentre nei Paesi meno sviluppati essa tende ad essere abbandonata e sostituita con altre fonti di più agevole uso. Non mancano anche altre motivazioni che giustificano la crescita nei Paesi industrializzati, come, ad esempio, la chiusura del ciclo dell‟anidride carbonica, ma rinviamo ad un successivo capitolo l‟approfondimento di quest‟aspetto che ci porterebbe ora fuori tema. L’energia idraulica L‟energia idraulica era conosciuta e sfruttata dall‟uomo già qualche millennio prima di Cristo. Il principio di base è semplice ed inconsciamente familiare: una massa d‟acqua (così come qualsiasi altra massa che si trovi sulla terra) è soggetta alla forza di gravità che la fa muovere spontaneamente da posizioni più elevate verso posizioni più basse. L‟energia della massa d‟acqua in movimento, detta energia cinetica, è capace di spostare dei corpi che incontra sul suo percorso. Se questi corpi sono delle pale opportunamente disposte su una ruota, montata su un asse, questa comincia a girare sotto la spinta della massa d‟acqua che fluisce. A sua volta la ruota può essere collegata ad una macina di un mulino, ad una segheria o, nella quasi totalità delle applicazioni attuali, ad un alternatore che è una macchina capace di trasformare l‟energia cinetica dell‟acqua in energia elettrica più agevolmente trasferibile ad utenti lontani. Anche l‟energia idraulica deriva dal sole, come sinteticamente indicato nella Figura 86. L‟energia del sole riscalda e fa evaporare l‟acqua del mare e, poiché il vapor d‟acqua è più leggero dell‟aria, si muove verso l‟alto nell‟atmosfera. L‟energia assorbita dal sole viene conservata nel vapore sotto forma di energia di stato fisico (vapore anziché liquido) e sotto forma di energia potenziale dovuta alla sua posizione elevata rispetto al suolo. Quando nell‟atmosfera si verifica un abbassamento della temperatura, il vapor d‟acqua condensa, cioè l‟acqua ritorna allo stato liquido, e precipita. Durante la condensazione una buona 103 Biomassa C, H, O, N, sali minerali, acqua + Energia del sole CO2 + H2O Figura 83 – Ciclo energetico delle biomasse Figura 84 – Incidenza di biomasse sui consumi energetici totali 104 Figura 85 - Acqua del mare Energia meccanica Dalle montagne al mare Energia del sole Vapore Neve e pioggia Nuvole Figura 86 – Ciclo energetico dell’acqua 105 parte dell‟energia contenuta viene rilasciata come calore che si disperde nell‟atmosfera mentre per quella parte che, come acqua o neve, rimane su posizioni più elevate rispetto al livello del mare, viene trattenuta come energia potenziale. Questa poi si trasforma in energia cinetica utilizzabile per ulteriori trasformazioni in energia meccanica o elettrica quando l‟acqua fluisce verso il basso e ritorna al mare. Un impianto idroelettrico (Figura 87) è essenzialmente costituito da: una diga o sbarramento, sistemato opportunamente sul corso di un fiume, che ha lo scopo di regolare il deflusso dell‟acqua, per trasformarne l‟andamento variabile caratteristico degli eventi naturali in un andamento più regolare. In tal modo, quando la sua disponibilità è abbondante, nella stagione delle piogge o durante lo scioglimento delle nevi, l‟acqua si accumula a monte della diga e forma un lago artificiale da cui può essere attinta durante gli altri periodi. La diga è normalmente posta allo sbocco di una valle in modo da disporre di un ampio bacino a monte, dove si accumula l‟acqua, e di un notevole dislivello a valle dove essa defluisce (Figura 88) una o più condotte forzate, ossia in pressione, attraverso cui l‟acqua può essere convogliata dal bacino superiore fino in fondo al dislivello. La portata dell‟acqua attraverso ogni condotta può essere regolata da apposite apparecchiature. una turbina, posta in fondo ad ogni condotta forzata, collegata ad un alternatore. La turbina è una ruota, munita di pale (Figure 89 e 90), che gira sotto la spinta del flusso d‟acqua. La rotazione della turbina è trasmessa ad un alternatore, che è una macchina che trasforma l‟energia meccanica in energia elettrica. Energia geotermica L‟energia geotermica è una fonte di energia che dalle zone profonde della crosta terrestre arriva in superficie, sotto forma di vapore o di acqua calda, spontaneamente o attraverso dei pozzi appositamente perforati. La sua origine, molto probabilmente, è dovuta al decadimento di materiali radioattivi presenti nella crosta terrestre fin dai tempi della formazione del pianeta. Poiché la quantità di questi materiali presente all‟interno della terra è molto grande, l‟energia geotermica può essere teoricamente considerata inesauribile. In pratica però le difficoltà che si incontrano, particolarmente, nella fase di trivellazione dei pozzi ne limitano notevolmente l‟utilizzo. 106 Linee elettriche Diga Condotta forzata Generatore di energia elettrica mosso dalla turbina Turbina mossa dalla massa d’acqua fluente Sezione di impianto idroelettrico Figura 87 – Schema di impianto idroelettrico Figura 88 – Diga e bacino idroelettrico 107 Figura 89 – Turbina idraulica Figura 90 – Rotore di turbina idraulica 108 L‟arrivo spontaneo si manifesta sotto forma di alti pennacchi di vapore, chiamati “soffioni” (Figura 91). L‟energia geotermica può essere utilizzata, direttamente, come calore per riscaldare ambienti situati nelle vicinanze del luogo di produzione o, indirettamente, come energia elettrica prodotta da turbine mosse dal vapore e accoppiate a generatori elettrici. In Italia ci sono importanti manifestazioni di questo tipo di energia nella zona di Larderello, in Toscana. In questo campo l‟Italia è stata il primo paese al mondo in cui questa forma di energia è stata utilizzata per produrre energia elettrica. Fu infatti nel luglio del 1904 che il Principe Conti Ginori fece accendere “ben cinque lampadine” con l‟energia prodotta da un generatore azionato dal vapore geotermico di Larderello. I soffioni di Larderello, oltre all‟energia, contengono alcuni prodotti chimici, fra i quali il più importante, il boro, è estratto e prodotto in loco. L’energia eolica L‟energia eolica è quella posseduta da grosse masse d‟aria in movimento. Concettualmente essa è molto simile all‟energia idraulica legata allo spostamento di grosse masse d‟acqua. La differenza consiste nel fatto che le masse d‟acqua si spostano da zone più elevate a zone meno elevate per effetto della forza di gravità, l‟aria invece si sposta da zone dove esiste una pressione più alta ad altre dove la pressione è più bassa. Queste differenze di pressione sono a loro volta dovute all‟azione del sole. Più precisamente, e limitandoci per semplicità al fenomeno su scala locale, quando in una zona la temperatura s‟innalza rispetto alle zone circostanti, in conseguenza di una minore presenza di nubi o di una diversità della natura del suolo, l‟aria che sovrasta la zona si scalda e tende a sollevarsi facendovi diminuire la pressione. Le masse d‟aria che si trovano nelle zone circostanti più fredde, quindi rimaste ad una pressione inalterata, affluiscono verso la zona a pressione inferiore creando così il fenomeno chiamato vento. L‟energia eolica è stata una delle prime forme di energia sfruttate dall‟uomo, dapprima per la navigazione a vela, dove ha raggiunto livelli di eccellenza ancora oggi degni della massima ammirazione successivamente per la trasformazione in energia meccanica con i mulini a vento (Figura 92). 109 Figura 91 -Soffioni Figura 92 –L’energia del vento 110 Questi ultimi sono stati usati in molteplici applicazioni, quali la macinazione del grano e dei cereali, la spremitura delle olive, il sollevamento dell‟acqua, l‟azionamento di segherie ecc. In tempi più recenti, ma comunque già nei primi anni del secolo scorso, l‟energia eolica è stata utilizzata per generare energia elettrica in alternatori di piccola potenza. Quest‟utilizzo è stato presto abbandonato perché scalzato dall‟impetuoso progredire del petrolio e dai suoi bassi costi. Negli ultimi anni, però, la presa di coscienza della scarsità delle risorse petrolifere e ragioni di carattere ambientale hanno portato a riconsiderare questa applicazione. Grazie al generalizzato miglioramento delle conoscenze e delle tecniche costruttive si riesce oggi a costruire generatori più potenti, che hanno però il difetto di essere estremamente ingombranti (Figure 93 e 94). L‟energia eolica ha la caratteristica di essere molto incostante. L‟intensità del vento può variare da valori molto elevati a livelli molto bassi fino a cessare del tutto. La disponibilità di energia risulta quindi alquanto variabile e la possibilità di accumulo praticamente nulla. In questo l‟eolica differisce notevolmente dall‟energia idraulica perché l‟acqua, grazie alle dighe ed ai relativi laghi artificiali, può essere accumulata ed utilizzata con una regolarità molto maggiore rispetto alle precipitazioni meteorologiche da cui trae origine. Non è consigliabile quindi utilizzare l‟energia eolica come fonte unica di energia, a meno che l‟utilizzazione ad essa collegata non sia tale da poterne sopportare la discontinuità. Essa invece può essere parte di un sistema in cui l‟energia sia prodotta anche da altre fonti capaci di sopperire, in caso di bisogno, alla quota di energia eventualmente cessante. L’energia marina Anche l‟energia marina è originata dal movimento di grandi masse d‟acqua. In questo caso si tratta dell‟acqua del mare ed il movimento è dovuto a due possibili cause: le onde o le maree. Il movimento delle onde, che deriva direttamente dall‟energia eolica, non si presta molto ad essere sfruttato come fonte di energia, non perché ne contenga poca, ma perché essa è ancora più discontinua, irregolare e non accumulabile dell‟energia eolica. I pochi casi esistenti di utilizzo dell‟energia del moto ondoso del mare hanno quindi più carattere di studio che di vere e proprie applicazioni. Meglio si presta invece ad essere utilizzata l‟energia delle maree. 111 Figura 93 – Rotori per energia eolica Potenza 5 MW rotore 122 m P. rotore 180 Ton H base 90 m Figura 94 – Turbina eolica offshore 112 Le maree, infatti, sono fenomeni ben noti e, soprattutto, regolari e continui, che provocano movimenti di ingenti masse d‟acqua in direzioni opposte durante il succedersi dell‟innalzamento e abbassamento del livello del mare, dovuti all‟attrazione gravitazionale fra la terra e la luna (Figura 95). Per utilizzare questa fonte di energia occorre trasformarla in energia elettrica per trasferirla dove può essere consumata. Si usano per questo scopo delle attrezzature molto simili a quelle usate per l‟energia eolica, ossia delle pale orientabili (Figura 96) mosse dal flusso dell‟acqua e accoppiate a generatori di energia elettrica. Queste macchine ovviamente devono essere installate sott‟acqua, in zone opportune dove il flusso avvenga con regolarità. È facile intuire le difficoltà che presentano la costruzione e la manutenzione di queste attrezzature; per questo esse non sono molto numerose e si può ritenere che, come le precedenti, siano anche loro ancora nella fase sperimentale. L’energia solare Il sole è, in pratica, l‟origine prima di tutte le fonti di energia che esistono sulla terra e la fonte di energia essenziale per l‟esistenza di ogni forma di vita sul pianeta. L‟energia solare, infatti, fa reagire l‟anidride carbonica e l‟acqua per produrre la materia organica vegetale che è l‟alimento primo della vita animale. Essa è quindi l‟origine delle fonti fossili di energia, formatesi appunto dalla fossilizzazione di residui organici animali e vegetali e, come abbiamo visto di volta in volta, è anche l‟origine di quelle rinnovabili. L‟energia solare inoltre è praticamente l‟unica fonte di energia per la terra, perché l‟energia che arriva sul nostro pianeta dalle stelle e dagli altri corpi celesti dell‟universo è talmente piccola da poter essere considerata nulla, mentre l‟energia gravitazionale e geotermica sono quantitativamente molto minori. La quantità di energia che dal sole arriva sulla terra è enorme. Essa è di parecchie migliaia di volte superiore a tutta l‟energia che oggi l‟umanità utilizza e quindi potrebbe costituire una fonte, oltre che inesauribile, anche sufficiente a coprire tutti i fabbisogni di energia dell‟umanità. Purtroppo non è molto agevole catturarla e trasformarla nelle forme di energia che l‟uomo normalmente utilizza (elettrica, meccanica, chimica ecc.). Inoltre, nonostante tutti i progressi della scienza e della tecnica, l‟uomo non è ancora riuscito né ad effettuare artificialmente la 113 Figura 95 – Le maree – Energia gravitazionale Figura 96 – Rotori per energia marina 114 sintesi clorofilliana né ad accrescere la velocità di quella naturale. I sistemi che attualmente si utilizzano per catturare l‟energia solare sono di due tipi: termico e fotovoltaico. Nel sistema termico, l‟energia del sole viene catturata sotto forma di calore che può essere usato direttamente per il riscaldamento di ambienti o di fluidi vari, ad esempio l‟acqua per usi sanitari, o indirettamente per essere ulteriormente trasformato in energia elettrica. Nel sistema fotovoltaico, l‟energia del sole viene trasformata direttamente in energia elettrica, sfruttando delle proprietà caratteristiche di alcuni materiali, come ad es. il silicio. Entrambi i sistemi sono discontinui perché hanno bisogno della luce del sole per funzionare. Più precisamente, il sistema termico ha bisogno della luce diretta del sole, quindi non funziona di notte e quando il cielo è nuvoloso, mentre il fotovoltaico, che funziona anche con la luce diffusa e quindi nei giorni nuvolosi, è in ogni caso fermo di notte. L‟energia solare può quindi essere usata, per ora, o per l‟alimentazione di sistemi, a loro volta, discontinui, o per integrare l‟energia fornita da un‟altra fonte che abbia la caratteristica della continuità. In ogni caso poi, per raccogliere una quantità di energia di una certa entità, sono necessarie, con le tecniche attuali, aree molto vaste (Figura 97) per l‟installazione dei pannelli solari e, ovviamente, situate in zone molto soleggiate, come ad esempio i deserti. Per gli impianti solari termici si usano attualmente degli elementi costituiti da specchi parabolici (Figura 98) che hanno la proprietà di concentrare i raggi del sole e quindi la loro energia in un punto, il fuoco dello specchio. Se in questo punto si dispongono delle tubazioni in cui passa un fluido, questo assorbe l‟energia e si riscalda fino a temperature che possono raggiungere e superare i 400 °C. Il fluido caldo è poi utilizzato per generare del vapore d‟acqua ad alta pressione, che tramite una turbina e alternatore, produce energia elettrica. Le celle fotovoltaiche (Figura 99) sono invece costituite da una sottile lamina di un materiale, generalmente il silicio, opportunamente trattato, che produce direttamente energia elettrica quando è esposto alla luce diretta o diffusa del sole. Le celle fotovoltaiche sono molto versatili e si prestano a molteplici applicazioni anche di modesta entità (Figura 100). 115 Figura 97 – Impianto di energia solare termica Struttura portante Specchio parabolico Tubo di assorbimento Figura 98 – Collettore termico parabolico 116 Cella Modulo Figura 99 – Collettore fotovoltaico Figura 100 – Pensilina solare 117 Pannello L’energia nucleare Abbiamo visto in che modo i combustibili fossili producono energia: l‟idrogeno ed il carbonio, di cui sono costituiti, reagiscono con l‟ossigeno, contenuto nell‟aria, producendo rispettivamente acqua, anidride carbonica e, contemporaneamente, energia sotto forma di calore ( 16). Dai combustibili nucleari l‟energia si sprigiona invece in un altro modo e cioè dalla trasformazione della materia. L‟uomo si è accorto, solo in tempi molto recenti, che la materia e l‟energia sono due entità equivalenti e che l‟una può trasformarsi nell‟altra. La scoperta è dovuta al genio di Einstein che ha, oltre tutto, il merito di aver trovato una relazione matematica molto semplice che lega la materia e l‟energia: E = m * c2 che significa che l‟energia E, equivalente ad una massa m, è uguale al prodotto della massa per il quadrato di una grandezza c che è la velocità della luce. Poiché la velocità della luce è molto grande (circa 300.000 Km/sec) la formula assume valori molto elevati anche per masse molto piccole. Per avere un‟idea dell‟entità del fenomeno si consideri che 1 solo grammo di materia corrisponde a circa 20 miliardi di calorie, ossia all‟energia contenuta in 2000 tonnellate di petrolio. Detto in altri termini, l‟energia trasportata da una petroliera di 200.000 tonnellate è equivalente a quella di una massa di appena un etto. Ma come si fa a trasformare la materia in energia? Per ottenere questo risultato occorre operare nell‟interno dell‟atomo e modificarlo. Ci sono due modi per modificare l‟atomo al suo interno: o romperlo per ottenerne altri diversi o fondere (si badi, non combinare) due atomi per formarne uno diverso; il primo di questi processi si chiama fissione, il secondo fusione. L‟uomo è riuscito finora a realizzare artificialmente solo il primo di questi processi, la fissione, limitatamente a pochi elementi naturali, di cui il più importante è l‟uranio. Non è ancora riuscito, invece, a realizzare il secondo, la fusione, che avviene in continuo nel sole produ16 È stato recentemente dimostrato che anche la produzione di calore delle reazioni di combustione deriva da una trasformazione di massa. Ma non ci addentreremo in questa tematica che esula dagli scopi di questa trattazione. 118 cendo tutta l‟energia che l‟astro diffonde nell‟universo e che ha dato origine alla nostra esistenza. Per dare una descrizione molto elementare di questi processi, occorre riassumere alcuni concetti di base sulla natura e struttura dell‟atomo. L‟ATOMO La parola atomo letteralmente significa “non divisibile”. Con questa parola si designa la più piccola parte di un elemento che conserva le proprietà chimiche dell‟elemento stesso e, fino a non molto tempo fa, era considerata come la più piccola particella esistente in natura, quindi non ulteriormente divisibile. In tempi più recenti si è scoperto che l‟atomo è costituito a sua volta da particelle più piccole di cui le principali sono i protoni, gli elettroni e i neutroni. I protoni hanno una carica elettrica positiva, gli elettroni una carica negativa, mentre i neutroni non hanno carica elettrica (Figura 101). I protoni ed i neutroni si dispongono nella parte centrale e costituiscono il nucleo dell‟atomo, gli elettroni, che sono particelle molto più piccole delle altre due, si dispongono alla periferia e ruotano intorno al nucleo come pianeti intorno al sole. Il numero di protoni del nucleo è uguale al numero di elettroni, cosicché le cariche elettriche positive e negative si compensano e l‟atomo risulta elettricamente neutro. Il numero di protoni costituisce la caratteristica più importante di un atomo. I vari elementi, infatti, si differenziano fra loro proprio per il numero di protoni (e corrispondentemente di elettroni) presenti nel loro atomo. In natura esistono 92 elementi diversi, che partono dal più piccolo, l‟idrogeno, il cui atomo è costituito da un protone e un elettrone, al più grande, l‟uranio, il cui atomo è costituito da 92 protoni e 92 elettroni. Oltre ai protoni nel nucleo è presente un certo numero di neutroni. Ogni elemento può avere nel suo nucleo un numero variabile di neutroni che ne fanno cambiare il peso e le proprietà, chimiche e fisiche, ma non la caratteristica atomica che, come detto, è solo legata al numero di protoni. Gli elementi costituiti da un certo numero di protoni e numeri diversi di neutroni si chiamano isotopi. Ad esempio, l‟idrogeno è formato da un protone, un elettrone e nessun neutrone; esistono però due isotopi dell‟idrogeno che contengono rispettivamente,oltre al protone, un neutrone (il deuterio) e due neutroni (il tritio). L‟uranio ha ben 17 isotopi che contengono 119 numeri diversi di neutroni che vanno da 134 a 150. Ogni elemento presente in natura è formato da una miscela di tutti i suoi isotopi, fra i quali normalmente uno risulta percentualmente preponderante. Ciò premesso, torniamo ora ai due processi sopra accennati, la fissione e la fusione, con cui la materia può essere trasformata in energia. Di essi e dei complessi fenomeni che li regolano daremo, ovviamente, una descrizione molto semplificata. La fissione La fissione è un processo con cui si bombarda il nucleo di un atomo con l‟obiettivo di ro mperlo in due o più parti. Il proiettile usato per colpire il nucleo è un neutrone ed il bersaglio è un atomo di un elemento pesante, come l‟Uranio che, come si è detto, è l‟elemento più pesante presente in natura il cui nucleo è formato da 92 protoni. Il nucleo dell‟uranio, quando è colpito dal neutrone, si rompe in due nuclei più piccoli ed emette contemporaneamente altri due o tre neutroni (Figura 102). In questo processo la somma delle masse dei nuclei e dei neutroni che si formano è leggermente inferiore a quell‟originaria dell‟atomo di uranio e del neutrone che l‟ha colpito e la massa scomparsa si trasforma in un‟enorme quantità di energia, sotto forma di calore, secondo la formula che abbiamo visto prima. I due o tre neutroni prodotti diventano, a loro volta, dei proiettili che vanno a bombardare altri atomi di uranio dando così al processo un andamento crescente che, se non viene controllato, diventa una reazione a catena con carattere esplosivo. Se invece una parte dei neutroni prodotti è assorbita e quindi eliminata da qualche sostanza che agisce da schermo, il processo può continuare con regolarità ed il calore prodotto può essere trasformato in elettricità, con i soliti sistemi. Proprio perché generata da operazioni che interessano il nucleo di un atomo l‟energia che si ottiene si chiama energia “nucleare” o “atomica”. La fusione La fusione è un processo in cui i nuclei di due atomi si fondono, cioè si uniscono, per formare il nucleo di un atomo più grande. 120 Protone + Neutrone Elettrone − Figura 101 – L’atomo Figura 102 – La fissione 121 Anche in questo caso la massa del nucleo dell‟atomo che si forma è inferiore alla somma delle masse dei due nuclei che si sono fusi e la differenza (cioè la massa scomparsa) si trasforma in un‟enorme quantità di energia che si sprigiona sotto forma di calore. Questo processo, come si è già detto, avviene continuamente nel sole. Due nuclei di idrogeno (o meglio, uno di deuterio e uno di tritio) si fondono per formare il nucleo di un atomo avente due protoni e due neutroni. L‟elemento che si forma si chiama elio, che è un gas presente in natura ed è il primo degli elementi più pesanti dell‟idrogeno. Il suo nucleo ha una massa leggermente inferiore alla somma delle masse dei due nuclei che lo hanno formato e la differenza si è trasformata nell‟energia che il sole effonde nell‟universo. L‟uomo non è ancora riuscito a realizzare artificialmente questo processo in modo controllato, soprattutto per l‟enorme difficoltà di riprodurre le condizioni abnormi di temperatura esistenti sul sole. Due nuclei, infatti, avendo entrambi carica positiva, si respingono e occorre una grande quantità d‟energia per vincere questa repulsione. La temperatura, di circa 10 milioni di gradi, esistente nel sole conferisce agli atomi di idrogeno l‟energia sufficiente a vincere questa barriera, ma quel livello di temperatura non sembra realizzabile sulla terra. I tentativi di effettuare il processo a temperature meno elevate, la cosiddetta fusione fredda, sono ancora in uno stadio molto preliminare. 122 L’Ambiente Qualsiasi utilizzo o trasformazione dell‟energia è accompagnato da un contemporaneo ed inevitabile impatto sull‟ambiente. Quest‟osservazione è stata già fatta nel capitolo precedente quando si è illustrato il funzionamento del motore. Si è visto allora che il concetto di ambiente s‟identifica con tutto lo spazio esterno al motore o, più in generale, esterno al processo di trasformazione di energia di cui si tratta. Non si è detto, ma è facilmente intuibile, che quest‟esterno non ha confini ovvero l‟ambiente non è uno spazio limitato ma comprende l‟intero universo. L‟uomo è ovviamente interessato a quella parte dell‟universo che gli è più vicina, ma bisogna evitare di porre limiti troppo ravvicinati per non incorrere in errori di valutazione che possono diventare fuorvianti. Un esempio molto banale: se si considerasse che l‟ambiente sia la casa in cui si vive sarebbe corretto mantenere pulito l‟ambiente buttando i rifiuti fuori della finestra. Un confine che può avere una validità oggettiva è quello che delimita quella parte dell‟universo, più vicina al nostro pianeta, dove esiste e si riproduce la vita vegetale ed animale e che prende il nome di biosfera. L’aumento dell’entropia Ciò premesso, chiediamoci ora di che tipo è l‟impatto che l‟uso dell‟energia ha sull‟ambiente senza confini e poi, più in particolare, sulla biosfera. Ritorniamo quindi al motore. Come si è visto, una parte del calore del fluido che aziona il motore deve essere scaricato per permettere al motore di continuare a funzionare. Si tratta di calore a bassa temperatura che nell‟ambiente (infinito) produce un bassissimo e impercettibile aumento di temperatura. 123 Seguiamo ora l‟altra parte del calore che nel motore si è trasformata in energia meccanica ed ha permesso, per esempio, ad un‟auto di muoversi. Essa è servita per compiere un lavoro, cioè per vincere la resistenza dell‟aria che l‟auto incontra nel suo avanzare e l‟attrito delle ruote sul terreno. L‟energia utilizzata in entrambe queste funzioni si trasforma in calore (anch‟esso a bassa temperatura) che si riversa ancora nell‟ambiente. La quantità di calore che si genera è equivalente a tutta l‟energia meccanica impiegata. Nel suo insieme, quindi, tutta l‟energia inizialmente presente nella fonte energetica di partenza, qualunque essa fosse, si è trasformata totalmente in calore e si è riversata nell‟ambiente. C‟è un‟altra grandezza che è entrata in gioco con un ruolo molto importante in tutto questo processo: la temperatura. La temperatura misura una caratteristica del calore posseduto da un corpo che è paragonabile al livello di un liquido in un recipiente. Così come un liquido passa spontaneamente da un livello più alto ad uno più basso, il calore passa spontaneamente da un corpo che ha una temperatura più alta ad uno che ne ha una più bassa. Se si mettono in comunicazione due recipienti contenenti un liquido che raggiunge, in ciascuno di essi, livelli diversi, una parte del liquido passa dal recipiente col livello più alto a quello col livello più basso, fino a quando il liquido raggiunge uno stesso livello intermedio in entrambi i recipienti. Lo stesso avviene per il calore: se due corpi hanno due temperature diverse, si crea un “flusso” di calore dal corpo a temperatura più alta a quello a temperatura più bassa fino a quando non si raggiunge una temperatura intermedia uguale per i due corpi. In entrambi i casi si può sfruttare il flusso d‟acqua o di calore, per trasformare parte della energia (idraulica o termica) in energia meccanica che, quando è usata per compiere lavoro, si trasforma nuovamente in calore a temperatura più bassa. Quando il calore è a temperatura ambiente, così come quando l‟acqua è arrivata al livello del mare, non è più possibile realizzare un flusso di calore o di acqua e quindi l‟energia che ancora contengono diventa inutilizzabile. Si badi bene l‟energia non scompare, ma diventa solo non utilizzabile per altre trasformazioni o per compiere lavoro perché non è più possibile far defluire l‟acqua o il calore verso livelli più bassi. 124 Mentre, però, l‟acqua del mare è nuovamente disponibile per essere vaporizzata dall‟energia del sole, il calore a bassa temperatura, che prende il nome di entropia, va a riempire l‟immenso recipiente che è l‟ambiente senza confini. Tutti i processi energetici hanno questo destino comune e, così, indipendentemente dal fatto che una parte dell‟energia sia o non sia utilizzata per produrre lavoro, l‟energia generata dalla trasformazione continua della materia nel sole e nelle miriadi di stelle, continuerà ad accrescere l‟entropia e, quindi, la temperatura dell‟universo. Nessun processo energetico potrà più avvenire quando la temperatura dell‟universo diventerà tanto alta da eguagliare quella delle sorgenti. Il tempo necessario perché ciò avvenga pone però quest‟evento fuori di qualsiasi proiezione ragionevole. È invece importante osservare che qualsiasi attività umana in campo energetico non influenza assolutamente le sorti dell‟ambiente nella sua accezione più estesa. Una massa d‟acqua che fluisce dal monte al piano trasforma in calore, lungo il percorso, l‟energia cinetica di cui è dotata. Se si inserisce un‟apparecchiatura (turbina e alternatore) per catturare e trasportare altrove parte di questa energia, non si fa altro che spostarne altrove la trasformazione in calore che si riversa poi nello stesso ambiente infinito. In entrambi i casi l‟effetto sull‟ambiente infinito è lo stesso ed è ugualmente impercettibile. Non è così invece per quella parte dell‟ambiente che si chiama biosfera. La biosfera La biosfera è quella parte dell‟universo in cui esistono le condizioni necessarie all‟esistenza della vita animale e vegetale del nostro pianeta. Essa quindi comprende non solo le terre emerse, incluso il sottosuolo, ma anche le acque, interne e del mare, e l‟atmosfera che circonda la terra. L‟impatto delle trasformazioni energetiche sulla biosfera consiste appunto nelle modifiche che esse possono apportare alle condizioni che rendono possibile la vita. Il tipo e l‟entità degli effetti negativi dipendono principalmente dalla fonte energetica utilizzata, ma nessuna ne è completamente esente. In particolare le fonti a maggior impatto ambientale sono i combustibili fossili. Per analizzar- 125 ne le ragioni, ricordiamo quali sono le reazioni chimiche del processo di combustione attraverso cui essi forniscono energia: Il carbonio (C) dell‟idrocarburo brucia, vale a dire reagisce con l‟ossigeno (O 2) dell‟aria, producendo anidride carbonica (CO2) e calore: C + O2 = CO2 + CALORE L‟idrogeno (H2) dell‟idrocarburo brucia, cioè anch‟esso reagisce con l‟ossigeno (O 2) dell‟aria, producendo acqua (H2O) e calore: 2H2 + O2 = 2 H2O + CALORE I prodotti della combustione dei combustibili fossili sono quindi l‟anidride carbonica e l‟acqua, proprio quelle due sostanze che nella biosfera, con l‟energia del sole, danno origine alla materia organica vivente che, a sua volta, ha dato origine ai combustibili fossili stessi. Due sostanze, quindi, non solo di per sé innocue, ma addirittura essenziali per il funzionamento della stessa biosfera. I problemi sorgono però per varie ragioni che adesso esamineremo più dettagliatamente e che si possono classificare nei seguenti tipi (Figura 103): Le combustioni incomplete Le piogge acide L‟incremento dell‟effetto serra Le scorie nucleari. 126 Le combustioni incomplete La reazione di combustione del carbonio, la prima delle due riportate sopra, può avvenire anche nel modo seguente: 2C + O2 = 2CO + CALORE con la formazione di un prodotto (CO), che si chiama ossido di carbonio, e lo sviluppo di una minore quantità di calore. Ciò avviene (Figura 104) quando la quantità di ossigeno (ovvero di aria) presente è scarsa a causa di difettoso funzionamento delle apparecchiature in cui avviene la combustione (ad es. stufe con camini sporchi o altrimenti otturati, ecc.). A differenza dell‟anidride carbonica, l‟ossido di carbonio è un gas tossico e aspirato, anche in piccole quantità, può provocare la morte. È, infatti, il responsabile dei numerosi incidenti conseguenti alle stufe difettose di cui si sente spesso parlare. Un altro caso di combustione incompleta si può verificare anche nei motori a scoppio, sia a benzina sia a gasolio. In questo caso, oltre ad ossido di carbonio, possono essere emessi, dal tubo di scarico, idrocarburi incombusti o addirittura particelle di carbone (si pensi ad es. alle fumate nere che si sprigionano dagli scappamenti di alcuni mezzi pesanti). Alcuni degli idrocarburi emessi, ad es. il benzene, sono cancerogeni, altri (PM10) possono produrre disturbi respiratori di vario tipo. La loro presenza nell‟aria è comunque dannosa per gli esseri viventi che la respirano. Le piogge acide Durante il processo di combustione, lo zolfo (S), eventualmente presente nel combustibile, si combina anch‟esso con l‟ossigeno dell‟aria, formando anidride solforosa (SO 2), prodotto gassoso che viene emesso nell‟ambiente insieme agli altri prodotti della combustione: S + O2 = SO2 Inoltre, alle alte temperature che si raggiungono durante la combustione anche l‟azoto 127 CO Le combustioni incomplete CH C PM10 Le piogge acide Cause: SO2 NOx L’incremento dell’effetto serra CO2 Le scorie nucleari Radiazioni Figura 103 – Le cause dell’impatto C 02 CO2 2H2 02 2H2O Calore Calore Carenza di ossigeno (aria) per apparecchiature difettose CO (gas tossico) Idrocarburi incombusti (fra cui benzene) Particelle di carbonio incombusto (fumate nere) Figura 104 – Le combustioni incomplete 128 Polveri sottili (PM10) dell‟aria (N2) si combina con l‟ossigeno per formare una serie di ossidi di azoto, indicati genericamente con la sigla (NO X), anch‟essi gassosi e scaricati con gli altri prodotti della combustione: N2 + xO2 = 2NOx L‟anidride solforosa e gli ossidi di azoto reagiscono con l‟acqua e l‟ossigeno dell‟atmosfera per formare dei composti acidi, che ricadono al suolo durante le piogge sotto forma di soluzioni diluite di acido solforico e acido nitrico. Entrambi questi acidi hanno effetti perniciosi sulla salute degli organismi vegetali e animali oltre che su alcuni tipi di materiali da costruzione. Le polveri sottili Il concetto di polvere è molto familiare. È quella sottile patina che spesso ricopre mobili ed oggetti che non vengono puliti o utilizzati. La polvere è formata da particelle abbastanza leggere da poter fluttuare nell‟atmosfera ed essere trasportate dal vento. Le particelle più piccole sono chiamate “polveri sottili”, o anche PM 10 e PM 2.5, in cui la sigla PM significa particelle (Particulate Matter) e i numeri indicano la loro dimensione. Più esattamente PM 10 e PM 2.5 sono le particelle di dimensioni inferiori rispettivamente a 10 e a 2.5 millesimi di millimetro (17). Recenti ricerche epidemiologiche hanno trovato che le polveri sottili sono dannose alla salute perché, insieme all‟aria, esse penetrano nelle vie respiratorie e, in particolare le più piccole, raggiungono i polmoni dove ristagnano e provocano gravi disturbi o malattie. L‟origine e la natura delle particelle sono le più svariate. Esse possono derivare da fatti naturali come sporcizia, terriccio, spore, polline ecc., o da attività umane, es. industria, traffico, riscaldamento ecc. In particolare sembra che il traffico veicolare ed il riscaldamento diano un notevole contributo alla quantità di polveri sottili presenti in una certa zona. In entrambi i casi esse deriverebbero dalla combustione incompleta dei combustibili e, nel caso del traffico, an(17) Per dare un‟idea di questa dimensione si consideri che il diametro di un capello è di circa 50 millesimi di mm. 129 che dall‟usura dei pneumatici. L’incremento dell’effetto serra L‟effetto serra è uno dei fenomeni più importanti che avvengono nella biosfera, anzi è proprio grazie ad esso che sulla terra si è sviluppata e si riproduce la vita. Come si è detto più volte, quasi tutta l‟energia che interessa la terra proviene dal sole. L‟energia, irradiata dal sole nell‟intero universo, incontra sul suo percorso gli altri corpi celesti, su ciascuno dei quali quella parte dell‟energia che lo colpisce si trasforma in calore e lo riscalda. La temperatura del corpo celeste aumenta ed esso comincia, a sua volta, ad irradiare energia nello spazio. Il sistema raggiunge un equilibrio, quando la temperatura del corpo si porta ad un livello tale per cui la quantità di energia irradiata eguaglia quella ricevuta. La terra raggiungerebbe quest‟equilibrio ad una temperatura media di -18° C, livello a cui la vita non sarebbe possibile. La terra però è circondata da uno strato gassoso, l‟atmosfera, formato essenzialmente da azoto ed ossigeno, ma in cui sono presenti anche piccole quantità di altre sostanze, fra cui l‟anidride carbonica ed il vapor d‟acqua. La presenza dell‟atmosfera, pur non alterando il principio dell‟uguaglianza fra energia ricevuta e quella riflessa, ne modifica in parte lo svolgimento (Figura 105). L‟energia del sole s‟irradia nello spazio sotto forma d‟energia elettromagnetica (luce). Di quella che raggiunge la terra, una parte (25% circa) viene direttamente riflessa nello spazio dall‟atmosfera e dalle nubi, un altro 25% riscalda l‟atmosfera stessa e viene riflessa come energia termica, mentre il rimanente 50% raggiunge la superficie terrestre, la riscalda e viene riflessa anch‟essa come energia termica (raggi infrarossi). Non tutti i gas presenti nell‟atmosfera sono però trasparenti ai raggi infrarossi: l‟azoto e l‟ossigeno lo sono ma il vapor d‟acqua, l‟anidride carbonica (ed alcuni altri presenti in quantità minori come il metano, i clorofluorocarburi e il protossido di azoto) sono invece opachi e rinviano verso terra una parte dell‟energia che essa aveva riflesso. Ovviamente la terra deve riflettere anche questa energia aggiuntiva e ciò richiede un aumento della sua temperatura. L‟aumento di temperatura richiesto è di circa 33 °C e pertanto la temperatura media d‟equilibrio della terra diventa 15 °C, anziché i –18 °C di una terra senza atmosfera. Grazie quindi all‟effetto serra si sono create sulla terra le condizioni ideali per la vita vegetale 130 25% 25% 50% 50% Terra Figura 105 – L’effetto serra Maggiore benessere Vivibilità futura Minore fatica Protezione della biosfera Figura 106 –Lo sviluppo sostenibile 131 ed animale che conosciamo. Qual è dunque il problema? Come si è visto, la produzione d‟energia da combustibili fossili porta alla formazione di anidride carbonica ed acqua. Ora si è notato che negli ultimi 200 anni, cioè da quando l‟industrializzazione ha richiesto un crescente impiego di combustibili fossili, la percentuale di anidride carbonica nell‟atmosfera è fortemente aumentata, passando da 270 ppm (parti per milione) a circa 370 ppm. Contemporaneamente si è notato che la temperatura media della terra è aumentata in questo periodo di pochi decimi di grado. Le due cose, messe in relazione, hanno portato una parte degli scienziati ad affermare che la maggiore concentrazione dell‟anidride carbonica nell‟atmosfera ha provocato un aumento dell‟effetto serra e quindi della temperatura terrestre. Fra questi, inoltre, alcuni prevedono che il continuo e crescente utilizzo dei combustibili fossili provocherà un ulteriore aumento della temperatura terrestre con catastrofiche conseguenze per la vita sul pianeta. Altri scienziati, invece, pur prendendo atto dell‟aumento intervenuto nella concentrazione di anidride carbonica nell‟atmosfera, non la considerano come un effetto dell‟uso dei combustibili fossili, oppure non la considerano come causa del riscaldamento terrestre, oppure non giungono a proiezioni catastrofiche per il futuro. Ovviamente ciascuno dei due gruppi supporta le proprie tesi con dovizia d‟argomenti. Purtroppo, però, in questa diatriba si è pesantemente inserita la politica e molte delle cose che si dicono e si leggono sull‟argomento hanno perso gran parte del loro carattere scientifico. L‟aspetto più inquietante è che su questo fronte si stanno mobilitando enormi risorse economiche, finanziarie, tecniche e umane che sarebbero state certamente impiegate più efficientemente se la politica fosse rimasta fuori della porta. Le scorie nucleari La produzione dell‟energia nucleare da fissione avviene, come si è visto, quando si bombarda un nucleo di un elemento radioattivo fino a provocarne la rottura. I due pezzi in cui l‟atomo si rompe sono, a loro volta, radioattivi e alcuni possono contribuire anche loro al processo di fissione fornendo ulteriore energia. Quelli però non più utili al processo formano le cosiddette scorie. Si tratta in ogni caso di materiale radioattivo, ossia di so132 stanze che continuano ad emettere radiazioni dannose se sono assorbite in dosi di una certa entità. La radioattività di ogni sostanza diminuisce nel tempo perché la continua emissione di radiazioni porta ad un suo naturale decadimento. Essa però può durare per periodi molto lunghi, a volte anche di migliaia d‟anni. Il problema ed i possibili rimedi Tutte le forme d‟impatto sulla biosfera, sommariamente descritte sopra, costituiscono una minaccia per la vita vegetale ed animale che si svolge sul pianeta. Di conseguenza l‟uso dell‟energia e la protezione dell‟ambiente sembrano porsi come due esigenze antitetiche ed inconciliabili. L‟uomo usa l‟energia per migliorare la qualità della vita, ma l‟uso dell‟energia comporta degli impatti ambientali che la peggiorano. Il dilemma che sembra porsi è: l‟energia o l‟ambiente? Non mancano risposte estremistiche a questo interrogativo esistenziale, ma anche le più moderate tendono oggi a criminalizzare “l‟uomo”, come l‟artefice di una serie continua di misfatti che finiranno col distruggere l‟ambiente in cui vive. Da qui le nuove filosofie che auspicano di togliere all‟uomo il ruolo di attore centrale del pianeta Terra, e di parificarlo a qualsiasi altro essere vivente, animale o pianta che sia. A porre “l‟uomo” sul banco degli accusati, poi, è diventata la moda preferita dei mezzi di comunicazione di massa, giornali, radio televisione, cinema ecc. Il loro potere persuasivo però non è generalmente utilizzato per suggerire le soluzioni più appropriate ai problemi, ma per convincerci che “l‟uomo” non siamo noi ma il nostro nemico preferito: l‟arabo o l‟americano o la multinazionale o l‟industrializzazione o quant‟altro. Il dilemma però non va risolto in questo modo, ma in maniera razionale e costruttiva. Non è pensabile, infatti, che l‟umanità possa rinunciare agli innumerevoli benefici che l‟uso dell‟energia ha permesso di conseguire, e ciò è vero sia per quella parte dell‟umanità che di questi benefici già può godere appieno, sia per quella che ancora aspira a raggiungerli. Ma nemmeno è pensabile che a fronte di questi benefici si possano arrecare alla biosfera danni irreparabili che rendano impossibili le condizioni stesse di vita sul pianeta. 133 Fra queste due opposte esigenze occorre creare un equilibrio (Figura 106) che le renda entrambe soddisfatte. Se dunque è vero che l‟uso dell‟energia è frutto delle innovazioni e delle tecnologie che la ricerca scientifica ha scoperto ed introdotto, è anche possibile che sia proprio la ricerca scientifica a trovare ed applicare i rimedi necessari a ridurre o annullare gli effetti negativi collaterali che si manifestano. È proprio in questa direzione che da oltre un ventennio sono indirizzati gli sforzi della comunità scientifica mondiale e molti risultati sono già stati raggiunti, anche se ben pochi ne parlano. Le buone notizie non sono notizie! Nella Figura 107, che riporta dati pubblicati dall‟Unione Europea, sono indicati i livelli medi dei principali prodotti inquinanti nelle emissioni dei Paesi della Comunità. I dati sono relativi al livello medio degli inquinanti nel 1995, che è stato posto uguale a 100. Nella stessa tabella sono anche riportati i valori previsti nel 2010 e nel 2015, dopo l‟introduzione nel 2008 delle norme più restrittive introdotte dall‟UE. Come si può notare il livello degli inquinanti nelle emissioni, negli ultimi 18 anni, è stato drasticamente ridotto. Per alcuni, come l‟anidride solforosa una delle maggiori responsabili delle piogge acide, la riduzione è dell‟ordine di 90% e, attualmente, non costituisce più un problema. Questi risultati sono ancora più rilevanti se si tiene conto che dal 1990 al 2008 i consumi di energia da fonti fossili sono aumentati di oltre il 20%. Essi sono stati raggiunti grazie all‟impegno congiunto della comunità scientifica ed industriale a livello mondiale. Gli indirizzi seguiti sono stati di due tipi: il miglioramento della qualità dei prodotti energetici e lo sviluppo delle tecnologie delle apparecchiature che li utilizzano. Nel campo dei trasporti, uno dei settori critici per il contributo alle emissioni, il miglioramento della qualità dei carburanti, reso possibile dagli sforzi che l‟industria petrolifera è riuscita a conseguire, è chiaramente visibile dalla tabella della Figura 108. Nello stesso periodo l‟industria automobilistica ha introdotto una serie d‟innovazioni tecnologiche nel motore e, soprattutto, nei sistemi di alimentazioni e di scarico che hanno efficacemente contribuito alla riduzione delle emissioni. Per citarne rapidamente alcuni: 134 Figura 107 – Andamento delle emissioni in Europa (Fonte UE) 1990 1994 1995 1998 2000 2005 2008 150 50 10 Benzina Zolfo ppm Benzene % Vol 1000 500 5 1 Aromatici % Vol Tens. di vapore kPa 40 80 35 60 Gasolio Zolfo ppm 3000 2000 500 350 Numero di cetano 49 51 Densità Kg/m3 860 845 T95 °C 370 360 50 10 Figura 108 – Miglioramento qualitativo dei carburanti autotrazione 135 La marmitta catalitica applicata sugli scarichi dei motori a benzina favorisce, grazie alla presenza di un catalizzatore, la combustione completa di eventuali idrocarburi incombusti riducendo drasticamente le emissioni di CO, di idrocarburi e di polveri sottili. Grazie a questo accorgimento il risultato dell‟analisi degli scarichi di un‟auto dotata di marmitta catalitica, fatta in occasione della verifica per l‟emissione del cosiddetto “bollino blu”, mostra che l‟ossido di carbonio (CO), gli idrocarburi incombusti (HC), e gli ossidi di azoto (NOx) sono assenti. Il cambio automatico ormai installabile anche su motori di piccola cilindrata, eventualmente associato al controllo elettronico dei consumi (i cosiddetti “economizzatori”), regola gli stili di guida in modo da ridurre i consumi e quindi le emissioni. I sistemi d‟iniezione ad alta pressione (“common rail”), nei motori a gasolio, favoriscono un dosaggio più accurato della quantità di carburante introdotto nel motore, quindi la completezza della combustione e la riduzione degli incombusti e delle polveri sottili negli scarichi. Allo stesso risultato contribuiscono altre due innovazioni apportate ai motori a gasolio, ossia i turbocompressori a geometria variabile e le iniezioni multiple controllate elettronicamente (“multijet”). Infine l‟introduzione, specialmente sui grossi motori a gasolio, delle trappole per particolato e dei sistemi catalitici simili a quelli dei motori a benzina favorisce notevolmente il completamento della combustione e quindi la riduzione delle polveri sottili. Sistemi analoghi e, a volte, molto più raffinati sono stati ideati ed applicati per la riduzione delle emissioni industriali particolarmente in alcune applicazioni potenzialmente più pericolose come, ad esempio, l‟incenerimento dei rifiuti solidi urbani. Nel settore industriale si tende ormai verso l‟obiettivo delle emissioni “zero”. Nel terzo grande settore di consumo, il domestico, il cambiamento più importante è avvenuto nel tipo di combustibile utilizzato. Una gran parte delle utenze, infatti, è passata dai più problematici combustibili fossili liquidi (o solidi) al metano, riducendo in tal modo notevolmente il problema delle emissioni nocive. I progressi finora ottenuti nella protezione ambientale con l‟ausilio delle innovazioni tecnologiche sono stati notevoli (ved. Figure 109-112 ricavate dai Rapporti ambientali dell‟ARPA Lombardia) e lasciano ben sperare anche per il futuro. Essi hanno permesso di aggiornare fre136 Figura 109 – Andamento dell’anidride solforosa SO2 Figura 110 – Andamento dell’ossido di azoto NO2 137 Figura 111 – Andamento dell’ossido di Carbonio CO Figura 112 – Andamento delle polveri sottili PM10 138 quentemente le normative sulle emissioni abbassando progressivamente i livelli ammissibili degli agenti inquinanti. È ovvio tuttavia che ad ogni abbassamento di un livello ammissibile corrisponda una maggiore difficoltà nel mantenerlo perciò, nei primi periodi successivi all‟introduzione di norme più severe, aumenta la frequenza dei casi in cui non si riesce a rispettarle. Questo scatena la caccia all‟untore da parte di tanti sedicenti ecologisti, la cui buona fede lascia spesso molto dubbiosi. 139 Uno sguardo al futuro L‟accumulo delle fonti fossili nei giacimenti è stato un processo lento, durato milioni di anni, mentre il loro sfruttamento intensivo è cominciato circa centocinquanta anni fa ed ha avuto un andamento enormemente più rapido. Nel 2008, ad esempio, i consumi mondiali di energia sono stati di circa 12.6 miliardi di Tep ed il contributo percentuale delle varie fonti alla loro copertura (Figura 113) è stato: Petrolio 31.3 % Carbone 26.3 % Gas naturale 21.7 % Nucleare Rinnovabili 4.9 % 15.8 % Poiché la fonte nucleare, usando la tecnologia attualmente disponibile, è probabilmente da considerare anch‟essa esauribile questa situazione mostra che circa l‟84% dei consumi mondiali di energia è coperto da fonti la cui disponibilità è limitata e che, quindi, sono destinate ad esaurirsi. È allora logico chiedersi quante fonti non rinnovabili siano ancora presenti sulla terra e quale possa essere la loro durata. Sono due domande cui è possibile dare delle risposte solo approssimate e vediamo il perché. Per quanto riguarda gli idrocarburi, si può considerarli divisi in due categorie: quelli che sono già stati scoperti e quelli ancora da scoprire. Le quantità di quelli già scoperti sono stimabili con buona approssimazione, grazie ai dati raccolti quando il giacimento è stato trovato e messo in produzione. 140 Le quantità di quelli non ancora scoperti sono evidentemente valutabili in maniera meno precisa, perché la loro stima può essere basata su ipotesi di tipo teorico o su estrapolazioni di tendenze attuali. Per quanto riguarda la seconda domanda, ossia quanto possano ancora durare gli idrocarburi presenti sul pianeta, alle difficoltà precedenti se ne aggiungono almeno altre due. La prima è la previsione dei consumi futuri. Al variare dei consumi, varia, infatti, la produzione di risorse energetiche richieste per soddisfarli e quindi la durata delle riserve. La seconda è la previsione del futuro livello dei prezzi. Infatti, se pure fossero note le quantità di risorse ancora esistenti nel mondo resterebbe la difficoltà di valutare quante ne possano essere economicamente recuperate. Come già visto per il petrolio, infatti, le quantità che si possono recuperare da un giacimento variano a seconda che si utilizzino metodi più o meno costosi di estrazione che si giustificano solo se i loro prezzi di vendita sono sufficientemente elevati ( 18). Nonostante queste difficoltà, esistono dei dati sull‟entità delle riserve esistenti e sulla loro probabile durata. Per una loro corretta interpretazione occorre però qualche chiarimento. Riserve provate Si definiscono “riserve provate” le quantità di idrocarburi estraibili, con metodi di produzione economicamente validi, da giacimenti già scoperti e la cui consistenza sia già stata valutata. Le “riserve provate” cambiano nel tempo: in aumento per la scoperta di nuovi giacimenti e per il progresso tecnologico dei processi produttivi in diminuzione per le quantità che man mano si producono in aumento o in diminuzione per il metodo estrattivo utilizzato (primario, secondario o terziario) in funzione del livello dei prezzi di mercato degli idrocarburi. (18) In realtà, quando una risorsa energetica è limitata non è tanto il costo di produzione (e quindi il prezzo di vendita) a limitarne le quantità prodotte, ma piuttosto il bilancio energetico del processo produttivo. In altri termini una risorsa energetica non è “economicamente” producibile se l‟energia necessaria a produrla è superiore a quella che essa può restituire. 141 Vita residua La “vita residua” delle riserve è definita come il numero di anni di durata delle “riserve provate” qualora il livello produttivo rimanesse uguale a quello dell‟ultimo anno. Sulla base di queste convenzioni, la stampa specializzata pubblica alla fine di ogni anno il livello delle riserve provate e la vita residua degli idrocarburi. Negli anni passati si è verificato che, nonostante di anno in anno le quantità di idrocarburi estratte dai giacimenti fossero sempre maggiori, la durata prevista tendeva ad aumentare piuttosto che a diminuire. Evidentemente le nuove scoperte e le migliori tecniche di produzione hanno aggiunto idrocarburi alle riserve più di quanto i consumi ne hanno sottratto. Ma sarà sempre così? Certamente no. Nonostante i notevoli miglioramenti delle tecniche di ricerca e di produzione, nonostante l‟orientamento di tutti i paesi verso uno sviluppo che richieda un minor consumo di energia, nonostante il miglioramento dell‟efficienza nelle applicazioni energetiche, nonostante una maggiore propensione verso il risparmio energetico, gli idrocarburi restano una risorsa limitata, destinata ad esaurirsi. Quando questo avverrà è difficile da prevedere, ma non va perso di vista che a fronte di tutti gli obiettivi di riduzione dei consumi ricordati sopra c‟è una popolazione mondiale che cresce a ritmi vertiginosi e, nel secolo che si è appena concluso, è passata da poco più di un miliardo e mezzo a oltre sei miliardi di persone. E ogni persona che si aggiunge alla popolazione mondiale irrimediabilmente accresce il fabbisogno totale di energia. Nonostante le incertezze, si tenterà ugualmente di effettuare una proiezione dell‟andamento delle riserve delle fonti energetiche esauribili, premettendo però che essa è da considerare un‟analisi di tendenza più che una previsione. Può risultare utile, a tal fine, analizzare dapprima l‟andamento di alcuni dati del recente passato, ossia del periodo, di poco più di trenta anni, successivo alla prima crisi petrolifera. Riserve di petrolio L‟andamento delle “riserve provate” di petrolio ha mostrato un deciso incremento verso la metà degli anni ‟80 (Figura 114). Questo è stato il risultato del grande stimolo all‟esplorazione, soprattutto nei paesi OPEC, 142 Figura 113 – Composizione delle fonti di energia Anno 2008 – Consumi totali 12.6 Mld tep Figura 114 – Riserve provate di petrolio (Mld ton) 143 conseguente al balzo dei prezzi del grezzo verificatosi durante gli anni ‟70. Il processo è stato lento perché in questi paesi, come si può facilmente immaginare, l‟improvviso enorme aumento dell‟afflusso di denaro ha creato non pochi problemi di natura organizzativa e decisionale. I nuovi ritrovamenti, localizzati soprattutto nei paesi del Medio Oriente, hanno fatto aumentare ancora di più lo sbilancio già esistente nella distribuzione geografica delle riserve. Circa il 60% delle riserve provate di petrolio si trova, infatti, in Medio Oriente (Figura 115) e ciò spiega l‟importanza e le difficoltà degli equilibri politici in queste zone. Seguono nella graduatoria, ma molto staccati, il Nord America e l‟Europa-Eurasia che sono, invece, le aree in cui sono maggiormente concentrati i consumi. La vita residua delle riserve di petrolio (Figura 116), all‟inizio degli anni ‟70, era di circa trenta anni, ma dopo l‟aumento delle scoperte degli anni ‟80 si è portata sopra i quaranta anni. Recentemente, però, si è manifestato un leggero trend discendente dovuto soprattutto all‟aumento dei consumi. Riserve di gas Le riserve provate di gas naturale (Figura 117) hanno subito, negli ultimi trent‟anni, una crescita più rilevante e sono, ora, praticamente uguali a quelle del petrolio, ossia circa 170 miliardi di tep. La loro distribuzione geografica (Figura 118) è meno concentrata di quella del petrolio. Le zone di alta concentrazione sono due, la Russia con il 23.4% e il Medio Oriente con il 41%. Il resto è abbastanza uniformemente distribuito nelle altre zone. In termini di vita residua, alla fine del 2008, le riserve di gas (Figura 119) possono coprire un consumo di circa 60 anni, ossia un periodo di una volta e mezzo rispetto al petrolio. Questo dipende dal fatto che i consumi di gas sono tuttora inferiori a quelli del petrolio. Essi stanno crescendo però molto rapidamente, sostituendo il petrolio in molte applicazioni. Ciò spiega il declino della vita residua degli ultimi sei anni ed è prevedibile che l‟andamento decrescente continui anche in futuro. 144 Figura 115 – Distribuzione geografica delle riserve di petrolio Figura 116 – Vita residua delle riserve di petrolio (anni) 145 Figura 117 – Riserve provate di gas (Mld tep) Figura 118 – Distribuzione geografica delle riserve di gas 146 Riserve di carbone Il carbone è la fonte fossile d‟energia utilizzata fin dall‟antichità. Si può quindi assumere che le riserve di carbone esistenti sulla terra siano state già tutte individuate. Le quantità disponibili sono molto elevate, anche se, in termini di contenuto di energia, ogni tonnellata di carbone vale, mediamente, circa la metà di una di petrolio. Le riserve di carbone, espresse per omogeneità in tonnellate equivalenti di petrolio, ammontano a fine 2008 a circa 412 Miliardi di Tep e la vita residua, al livello attuale di consumi, è di circa 122 anni. La distribuzione geografica delle riserve (Figura 120) è più omogenea di quella degli idrocarburi liquidi e gassosi e, quasi a compensazione, l‟area più ricca di questi ultimi, il Medio Oriente, è la più povera di carbone. Le riserve di carbone, infatti, sono così distribuite nel mondo: Asia 31.4 % Nord America 29.8 % Europa & Eurasia 14.0 % Russia 19.0 % Africa 4.0 % Sud America 1.8 % Le riserve di Uranio I combustibili nucleari, a differenza del carbone, sono entrati sulla scena energetica soltanto da pochi anni ed il loro utilizzo, come fonte energetica, è tuttora effettuato con una tecnologia non molto efficiente. Il combustibile, infatti, è utilizzato in un unico ciclo produttivo nei reattori e deve poi essere scaricato come scoria. La bassa efficienza è economicamente accettabile perché l‟incidenza del costo del combustibile nucleare sui costi totali di produzione dell‟energia elettrica è molto bassa. Gli aspetti negativi di questa tecnologia sono però un‟elevata produzione di scorie, con i conseguenti problemi ambientali, ed un maggior consumo di combustibile nucleare per unità di 147 Figura 119 – Vita residua delle riserve di gas (anni) Figura 120 – Distribuzione geografica delle riserve di carbone 148 energia elettrica prodotta. Il secondo aspetto ha un immediato riflesso sulla vita residua delle riserve: con i consumi attuali, infatti, le riserve di uranio, di circa 60 miliardi di Tep, avrebbero una vita residua di circa 100 anni. L‟argomento, in verità, è molto più complesso. La quantità di uranio presente nel mondo è molto elevata. Esso è contenuto in molte rocce e anche nell‟acqua del mare, ma a concentrazioni molto basse. Il costo di produzione pertanto può essere molto alto. Tuttavia l‟innovazione tecnologica dei reattori nucleari, ancora in corso di sperimentazione, sta evolvendo verso un utilizzo del combustibile che ne prevede la rigenerazione ed il riciclo, col duplice vantaggio di ridurre sia la produzione di scorie sia il consumo di combustibile. Se questa tecnologia sarà consolidata l‟incidenza del costo del combustibile sulla produzione di energia sarà ancora inferiore, o addirittura trascurabile, e quindi anche gli alti costi di estrazione dell‟uranio dalle acque del mare, potranno essere assorbiti. La vita residua dell‟uranio diventerebbe così talmente lunga da renderlo una risorsa inesauribile. Nella situazione attuale però viene considerato disponibile soltanto l‟uranio che può essere prodotto ad un costo non superiore a 130 $/Ton ed è a questo che sono riferiti i dati riportati sopra. La distribuzione geografica delle riserve di uranio è così ripartita (Figura 121): Africa 27.4 % Eurasia 20.9 % Australia 20.4 % Nord America 18.1 % Sud America 6.0 % Europa 5.2 % Asia 2.0 % 149 Disponibilità delle risorse La tabella della Figura 122, riferita alla fine del 2008, riassume ed integra quanto riportato nei paragrafi precedenti. La seconda colonna della tabella riporta l‟entità delle riserve provate delle fonti esauribili espresse in miliardi di Tep. Nella terza colonna è riportata la vita residua di ciascuna fonte; nella quarta la relativa percentuale di partecipazione alla copertura del fabbisogno totale e, infine, nell‟ultima colonna, la corrispondente vita residua, nel caso che ciascuna fonte dovesse ricoprire l‟intero fabbisogno di energia fornito dalle fonti esauribili (84.2% del totale). I dati riportati nell‟ultima colonna sono quindi sommabili ed il loro totale, 63 anni, rappresenta la durata totale delle riserve di fonti esauribili attuali, se i consumi restassero costanti e uguali a quelli consuntivati nel 2008. Evidentemente però le riserve non rimangono statiche ma variano e, principalmente, aumentano per le scoperte di nuovi giacimenti e diminuiscono per i consumi che devono coprire. Per affinare l‟indagine, occorre quindi fare qualche considerazione su un possibile andamento futuro delle nuove scoperte e dei consumi. Le scoperte di nuovi giacimenti Per quanto già detto sul carbone e sui combustibili nucleari, eventuali giacimenti ancora da scoprire riguardano solo il gas naturale ed il petrolio. L‟andamento delle scoperte di nuovi giacimenti di questi idrocarburi negli ultimi trent‟anni è riportato nella Figura 123, nella quale la linea verde molto variabile indica le scoperte anno per anno mentre la rossa, che interpola i dati annuali, è più regolare e mostra un picco intorno alla fine degli anni ‟80 ed un andamento decrescente negli anni successivi. In particolare, dal 1973 al 1989 si è verificato un aumento medio annuo delle scoperte di olio e di gas del 7.1% all‟anno, mentre dal 1989 al 2008 si è registrata una diminuzione dello 0.2% l‟anno e non sembra che questa tendenza sia destinata ad invertirsi. Inoltre, i nuovi giacimenti si trovano in zone sempre più impervie ed a profondità sempre maggiori, segno evidente della loro minore disponibilità. 150 Figura 121 – Distribuzione geografica delle riserve di Uranio Fonte Mld tep Vita residua (Anni) Copertura % Durata (Anni) Petrolio 172 44 31.3 14 Gas 166 60 21.7 13 Carbone 412 122 26.3 31 Nucleare 60 100 4.9 5 84.2 63 Totale 810 Figura 122 – Disponibilità delle risorse esauribili (Anno 2008) 151 L’andamento dei consumi L‟altro aspetto da considerare è l‟andamento dei consumi nel prossimo futuro. Il fattore più significativo che determina l‟andamento dei consumi di energia è l‟incremento della popolazione mondiale. Tutti conosciamo i diagrammi della vertiginosa crescita della popolazione mondiale negli ultimi due secoli (Figura 124), ma ancora più impressionante è l‟esame dell‟andamento dei tassi di crescita in questo periodo. Il tasso medio d‟incremento della popolazione mondiale è stato dello 0.7%/a nel corso del XIX secolo, ma è salito a 1.3%/a nel XX e a 1.4%/a nei primi anni di questo secolo, grazie soprattutto ad un generale miglioramento della qualità della vita che ha portato ad un allungamento della vita media e ad una riduzione della mortalità infantile. Un altro importante aspetto (Figura 125) è lo sbilancio esistente nella ripartizione dei consumi di energia fra i circa 1.2 miliardi di persone dei paesi più sviluppati e i 5.5 di quelli meno sviluppati (19). Fra questi due gruppi i consumi di energia non sono equamente distribuiti e, più precisamente, nell‟anno 2008 i consumi dei paesi più sviluppati sono stati pari a circa 6.7 miliardi di tep, mentre quelli dei paesi meno sviluppati sono stati circa 5.8 miliardi di tep. In conseguenza i consumi pro capite nei paesi dei due gruppi sono enormemente sbilanciati. La Figura 126 mostra chiaramente la situazione relativa ai Paesi più sviluppati e ad alcuni dei paesi meno sviluppati ed il grande divario esistente fra i due estremi. In estrema sintesi si nota che il consumo medio pro capite è di 5.5 tep per i paesi più sviluppati, di 1.1 tep per i paesi meno sviluppati e di 1.9 tep per il mondo intero. Per una proiezione futura bisogna anche tenere presenti alcuni altri fattori, fra cui almeno i seguenti: Circa il 99% dell‟incremento della popolazione mondiale avviene nei paesi meno sviluppati. (19) La definizione è quella dell‟ONU secondo cui i Paesi più sviluppati sono: Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e tutta l‟Europa, compresi i Paesi dell‟Est Europa. Tutti gli altri paesi fanno parte dei meno sviluppati. 152 Figura 123 – Nuove scoperte di olio e gas Crescita 1800-1900 = 1.3% Crescita 1900-2000 = 0.7% Figura 124 – Popolazione mondiale (Miliardi di persone) 153 Figura 125 – Popolazione ed energia (Anno 2009) Medie tep/procapite: Mondo Paesi più sviluppati Paesi meno sviluppati Figura 126 – Consumi di energia (tep pro capite – Anno 2008) 154 1.9 5.5 1.1 Fra i bisogni primari di queste popolazioni, oltre al cibo ed all‟acqua, bisogna oggi includere anche l‟energia. È lecita quindi la loro aspettativa di veder crescere nel futuro il loro attuale livello dei consumi pro capite di energia. È sempre più generale e pressante in quasi tutto il mondo una maggiore richiesta di energia più “pulita”. Proiezione Tenuto conto di quanto fin qui osservato, sono state formulate le ipotesi di base per una proiezione semplificata dell‟andamento dei consumi e delle riserve delle fonti esauribili nel corso di questo secolo, che possono essere così riassunte: Per l‟andamento della popolazione si è assunto un tasso di crescita di 1% l‟anno, intermedio fra quelli verificatisi negli ultimi due secoli e di parecchio inferiore a quello degli ultimi anni, assumendo, con un po‟ di ottimismo, che un maggior contenimento delle nascite possa derivare da un miglioramento del livello medio culturale della popolazione mondiale. Si è assunto, inoltre, che il 99% dell‟incremento si verifichi ancora nei paesi meno sviluppati. Per quanto riguarda la distribuzione dei consumi di energia si è assunto che i paesi meno sviluppati raggiungano gradualmente, entro la fine del secolo, un livello di consumo pro capite pari alla media mondiale attuale di 1.9 tep, mentre i paesi più sviluppati mantengano invariato l‟attuale livello di 5.5 tep pro capite. Per le nuove scoperte di olio e gas si è assunto per il futuro lo stesso tasso di diminuzione degli ultimi venti anni (-0.2%/a). L‟assunzione, anche in questo caso, è ottimistica perché il tasso di diminuzione di nuove scoperte di un bene esauribile dovrebbe crescere, in valore assoluto, nel tempo. Non si è tenuto conto, invece, dell‟aumento dei consumi di energia che potrebbero derivare da una sempre crescente richiesta di prodotti energetici meno inquinanti. La loro produzione, infatti, richiede un maggior dispendio di energia. Si è inoltre assunto che il contributo percentuale delle fonti rinnovabili alla copertura dei consumi rimanga costante, ossia che il loro impiego cresca con lo stesso ritmo dei consumi. 155 Con queste assunzioni e con calcoli molto semplificati, si evidenzia che, già nel giro di pochi anni, le riserve di combustibili fossili mostrano un marcato declino (Figura 127). È evidente che l‟andamento reale delle riserve o, meglio, dei consumi non potrà essere quello mostrato nel grafico. È verosimile, infatti, che con il consolidarsi di un andamento decrescente delle disponibilità delle fonti tradizionali di energia si verifichi un notevole aumento del loro prezzo, come già si è sperimentato in tempi molto recenti. Ciò produrrà due effetti equilibratori: una riduzione dei consumi ed una maggiore competitività, quindi un maggior sviluppo, di fonti alternative di energia. Il contributo delle fonti rinnovabili Esaminiamo quindi, un po‟ più dettagliatamente, se e quali fonti rinnovabili potranno contribuire alla soluzione del problema energetico che si prospetta nel prossimo futuro. Ricordiamo sinteticamente quali sono le fonti rinnovabili: L‟energia idraulica Le biomasse di origine animale e vegetale(20) L‟energia geotermica L‟energia solare (termica e fotovoltaica) L‟energia eolica L‟energia marina derivante delle maree, delle onde e dai gradienti termici marini La loro partecipazione al fabbisogno di energia nel 2008, come già detto, è stata pari al 15.8% del totale mentre la loro composizione è riportata nelle Figure 128 e 129. La maggior parte è costituita dall‟energia idraulica e dalle biomasse costituite, a loro volta, per lo più dalle biomasse solide usate come combustibile domestico in molti paesi in via di sviluppo. Solo una piccola parte, circa lo 0.6% del consumo mondiale di energia, è costituita dalle altre fonti rinnovabili. Di queste la quasi totalità è energia geotermica, mentre è evidente il bassissimo contributo delle cosiddette “nuove” fonti, che sono poi quelle a contenuto tecnologico (20) Indicate spesso con l‟acronimo CRW che sta per Combustible Renewables and Wastes, comprendenti anche i rifiuti solidi urbani. 156 Figura 127 - Proiezione Figura 128 – Composizione delle fonti rinnovabili – Anno 2008 157 più elevato. Nel periodo successivo alla prima crisi energetica del 1973, il tasso annuo medio di crescita delle fonti rinnovabili è stato leggermente più alto di quello dell‟energia totale, ma non tutte le rinnovabili sono cresciute allo stesso modo (Figura 130): l‟energia idraulica e le biomasse hanno avuto tassi di crescita non molto diversi dalla media, mentre le “nuove” rinnovabili, in particolare l‟eolica e l‟energia solare, hanno sperimentato tassi di crescita notevolmente superiori, ma che non hanno influenzato la media per l‟esiguità della loro consistenza. La differenza dei tassi di crescita, con un‟interpretazione semplicistica, può ascriversi al fatto che le biomasse sono i combustibili dei paesi poveri, che tendono ad essere abbandonate man mano che migliora la loro situazione economica, mentre le “nuove” fonti, che richiedono tecnologie più sofisticate, si vanno affermando particolarmente nei paesi sviluppati e sono favorite dalla generale aspirazione verso forme di energia meno inquinanti. Riusciranno le rinnovabili a sostituire in maniera consistente le fonti fossili in modo da ritardarne o annullarne il completo esaurimento? Quali hanno la maggiore probabilità di affermarsi? Oltre alle rinnovabili, esistono altre fonti che possono risolvere il problema? Innanzi tutto, nessuna delle fonti rinnovabili deve essere scartata a priori. Ciascuna può dare il suo contributo, ma quelle che sembrano avere le prospettive migliori sono l‟energia solare e la nucleare, perché sono sufficienti, da sole, a soddisfare in modo praticamente inesauribile i futuri fabbisogni di energia dell‟umanità. Oltre alle rinnovabili e alle nucleari esistono anche alcune altre fonti denominate “non tradizionali”: gli scisti e i clatrati. Sono anch‟esse delle fonti esauribili, ma disponibili in quantità tali da spostare il problema dell‟esaurimento molto avanti nel tempo. Le tecnologie necessarie per il loro sfruttamento, però, ancora non sono perfezionate. D‟altra parte, anche per l‟energia solare e nucleare le tecnologie devono essere profondamente migliorate se di queste fonti si vuole fare un uso intensivo. Si può quindi concludere che il problema del soddisfacimento futuro del fabbisogno di energia richiede una grande promozione della ricerca scientifica per lo sviluppo di tecnologie innovative. Ed è molto probabile che l‟ingegno dell‟uomo saprà trovare le soluzioni giuste per fornire all‟umanità tutta l‟energia di cui avrà bisogno salvaguardando, contemporaneamente, le situazioni ambientali che garantiscano a tutti gli esseri viventi condizioni di vita sempre migliori. 158 Figura 129 –Ripartizione delle rinnovabili “altre” – Anno 2008 9% 48.1% 8.2% 8% Tasso annuo di crescita 28.1% 7% 7.5% 6% 0.3% 5% Geotermica Solare Eolica Marina 4% 3% 2.6% 2.2% 2.3% Energia totale Rinnovabili 2.1% 2% 1% 0% Idraulica Figura 130 – Tassi di crescita dal 1973 al 2008 159 Biomasse Altre È necessario però agire subito. I tempi della ricerca scientifica infatti non si misurano in mesi ma in anni e, a volte, in decine di anni e la minaccia di esaurimento delle fonti fossili è comparativamente vicina. È auspicabile quindi che le relative risorse umane e finanziarie, la cui disponibilità è sempre limitata, siano orientate, in modo chiaro e prioritario, verso l‟obiettivo dello sviluppo di fonti energetiche alternative. Contemporaneamente è indispensabile progettare ed attuare un corretto e completo programma di informazione dell‟opinione pubblica in modo da evitare o minimizzare il rischio di rigetto delle future soluzioni da adottare. 160 Sommario Introduzione ........................................................................................................................ i L’origine dell’energia............................................................................................................. 1 Le fonti di energia ................................................................................................................ 17 Le fonti fossili o esauribili ................................................................................................ 17 Il Petrolio ..................................................................................................................... 18 Un po’ di storia ......................................................................................................... 18 Origine del petrolio................................................................................................... 22 Esplorazione ............................................................................................................. 27 Perforazione ............................................................................................................. 30 Produzione ............................................................................................................... 36 Operazioni preliminari .............................................................................................. 39 Il mercato petrolifero ................................................................................................ 40 I depositi costieri ed i mercati nazionali .................................................................... 51 Caratteristiche chimiche ........................................................................................... 54 Trasporti marittimi e oleodotti .................................................................................. 63 Raffinazione – La separazione dei prodotti...................................................................... 67 Il motore................................................................................................................... 74 Le specifiche dei prodotti petroliferi ......................................................................... 77 Benzina ................................................................................................................ 78 Jet Fuel ................................................................................................................. 79 Gasolio per motori ................................................................................................ 80 a Gasolio per riscaldamento ..................................................................................... 81 Lubrificanti........................................................................................................... 82 Olio combustibile ................................................................................................. 83 Il valore dei prodotti ................................................................................................. 84 Raffinazione – Le trasformazioni chimiche ..................................................................... 86 Cambiamento della struttura. ................................................................................ 86 Accorciamento delle catene. ................................................................................. 87 Costruzione di nuovi idrocarburi. .......................................................................... 87 Il gas naturale ............................................................................................................... 88 Il carbone ..................................................................................................................... 95 Le fonti rinnovabili ........................................................................................................ 100 Le biomasse ............................................................................................................... 102 L’energia idraulica ..................................................................................................... 103 Energia geotermica ..................................................................................................... 106 L’energia eolica .......................................................................................................... 109 L’energia marina ........................................................................................................ 111 L’energia solare .......................................................................................................... 113 L’energia nucleare ...................................................................................................... 118 L’atomo .................................................................................................................. 119 La fissione .......................................................................................................... 120 La fusione ........................................................................................................... 120 L’Ambiente........................................................................................................................ 123 L’aumento dell’entropia ................................................................................................. 123 La biosfera ..................................................................................................................... 125 Le combustioni incomplete ......................................................................................... 127 Le piogge acide .......................................................................................................... 127 b Le polveri sottili ......................................................................................................... 129 L’incremento dell’effetto serra ................................................................................... 130 Le scorie nucleari ....................................................................................................... 132 Il problema ed i possibili rimedi ...................................................................................... 133 Uno sguardo al futuro......................................................................................................... 140 Riserve provate .............................................................................................................. 141 Vita residua .................................................................................................................... 142 Riserve di petrolio .......................................................................................................... 142 Riserve di gas ................................................................................................................. 144 Riserve di carbone .......................................................................................................... 147 Le riserve di Uranio ....................................................................................................... 147 Disponibilità delle risorse ............................................................................................... 150 Le scoperte di nuovi giacimenti ...................................................................................... 150 L’andamento dei consumi .............................................................................................. 152 Proiezione ...................................................................................................................... 155 Il contributo delle fonti rinnovabili ......................................................................................... 156 c Profilo dell’autore Eugenio Guadagno si è laureato in Ingegneria Chimica nel 1958 presso il Politecnico di Napoli e, nello stesso anno, ha incominciato a lavorare con il Gruppo Montedison (allora ancora Edison) nel settore della progettazione, costruzione ed avviamento di impianti petrolchimici e petroliferi ricoprendo nell’arco di 12 anni posizioni di responsabilità crescenti. Molti degli impianti realizzati in tale periodo sono tuttora in esercizio e fra questi di particolare importanza è la raffineria di Priolo, con una capacità produttiva di circa 10 milioni di Ton/anno di petrolio. Dopo questa fase prettamente tecnica è passato, sempre nell’ambito dello stesso Gruppo, ad incarichi di tipo gestionale nel settore petrolifero, ricoprendo ruoli sempre più impegnativi fino a diventare nel 1977 Direttore Generale del Settore Petrolifero, carica che ha poi ricoperto per circa 11 anni. Nel 1989 è stato nominato Presidente ed Amministratore Delegato della Monteshell SpA, joint venture fra Montedison e Shell, operante in Italia nel campo della produzione e commercializzazione di prodotti petroliferi. Nel 1992 è passato al Gruppo Oilinvest dove ha ricoperto, per quattro anni, la carica di Direttore Generale della Tamoil Italia SpA, e successivamente varie altre cariche all’interno del Gruppo, fra cui quelle di Amministratore Delegato della Tamoil Shipping Ltd e della Tamoil Marketing Ltd, le due società inglesi del Gruppo Oilinvest con sede a Londra, operanti rispettivamente nel campo del brokeraggio marittimo la prima e della commercializzazione di prodotti petroliferi la seconda. d Giugno 2010