Ambiente ed Energia

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Ambiente ed Energia
Eugenio Guadagno
Ambiente ed Energia
UTE Cinisello Balsamo
Anno Accademico 2009-2010
Introduzione
Fino a pochi anni fa “ambiente” ed “energia” erano due argomenti che richiamavano
l‟attenzione solo quando accadeva qualcosa di insolito, per esempio un incidente a una petroliera o un “black out”, cioè un‟estesa e prolungata interruzione della corrente elettrica.
Negli ultimi tempi però, due problemi hanno colpito la nostra attenzione suscitando qualche
comprensibile apprensione: i notevoli aumenti di prezzo dei prodotti energetici di uso comune
come la benzina, il gas e l‟elettricità e l‟andamento della temperatura ambientale che sembra
in continuo aumento.
Si tratta di problemi molto importanti per il benessere e lo sviluppo dell‟umanità.
In generale gli organi di comunicazione si danno un gran da fare per spiegarci cosa succede,
ma il più delle volte ci lasciano con le idee più confuse di prima, perché le loro informazioni
non possono che essere frammentarie e circoscritte. A volte poi esse si colorano di ideologie
politiche e gli avvenimenti sono presentati più per dimostrare o confutare delle tesi che per informare correttamente.
Questo corso si propone l‟obiettivo di fornire sull‟energia e sull‟ambiente delle informazioni
basate il più possibile su fondamenti tecnici e scientifici, nel presupposto che una conoscenza
oggettiva, anziché emotiva, dei problemi possa essere di aiuto per affrontarli in modo più razionale.
Nel corso vengono illustrate le varie forme di energia oggi esistenti ed utilizzate, le problematiche ambientali provocate dal loro utilizzo e le misure adottate per eliminarle o minimizzarle.
L‟esposizione è fatta in maniera semplice in modo che gli argomenti risultino comprensibili
anche a chi non abbia una cultura tecnica di base.
i
L’origine dell’energia
Se cerchiamo in un dizionario la parola “energia” troviamo queste definizioni: “vigore fisico”
e “capacità di un sistema di compiere lavoro” (Figura 1).
Entrambi sembrano dei concetti familiari, ma il lavoro, nel linguaggio tecnico, ha un significato ben preciso che si può esprimere con delle formule matematiche. Senza però addentrarci
in queste possiamo dire che si compie lavoro ogni volta che per spostare un corpo bisogna
vincere una resistenza che si oppone al movimento, come la gravità, l‟attrito o la resistenza
del fluido in cui avviene il movimento. Così, ad esempio, si compie lavoro quando si salgono
le scale o si solleva un oggetto perché per spostare il peso del nostro corpo o quello
dell‟oggetto da una posizione meno elevata ad una più elevata si deve vincere la forza di gravità (Figura 2), oppure quando si trascina un oggetto perché si deve vincere l‟attrito che si oppone al moto (Figura 3), oppure quando si sposta un oggetto in un fluido perché bisogna vincere la resistenza opposta dal fluido (Figura 4).
Per compiere questi lavori occorre impiegare energia e, all‟inizio della storia umana, questa
era costituita solo dal vigore fisico dell‟uomo.
I bisogni elementari dell‟uomo sono due: mangiare e dormire. Per soddisfarli, l‟uomo primordiale doveva usare il suo vigore fisico per procurarsi il cibo con la caccia e l‟agricoltura e per
costruirsi una dimora sicura.
L‟uomo però ha sempre aspirato a migliorare la qualità della sua vita e ha quindi cercato di
ridurre la fatica, che questi lavori gli procuravano, addomesticando degli animali per sostituire
il loro vigore fisico al suo (Figura 5).
Ma gli animali non hanno la capacità di compiere tutti i lavori, particolarmente quelli che oltre al vigore fisico richiedono anche una certa dose di vigore mentale.
L‟uomo allora assoggettò degli altri uomini per sfruttare a proprio vantaggio il loro vigore fisico. Nacque così una nuova categoria d‟individui, gli schiavi, utilizzati come strumenti per
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Capacità di
compiere lavoro
Vigore fisico
Figura 1 – Cos’è l’energia
Figura 2 – Il lavoro per vincere la gravità
2
Figura 3 – Il lavoro per vincere l’attrito
Figura 4 – Il lavoro per vincere la resistenza del mezzo
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fornire la loro energia a chi li aveva asserviti.
Quella degli schiavi è stata la fonte d‟energia più longeva mai esistita: dagli albori
dell‟umanità agli Egizi, ai Greci, ai Romani, a tutto il Medio Evo e non è scomparsa nemmeno dopo la scoperta delle macchine.
Ridotta la fatica per soddisfare i bisogni primari, l‟uomo non ha cessato di tendere verso ulteriori miglioramenti della qualità di vita.
Così, quando ha notato che il fuoco rendeva più confortevole la sua dimora, ha cominciato ad
utilizzare la legna come fonte di quell‟energia che gli procurava questo benessere; quando si è
accorto che il vento, gonfiando un telo issato su un palo eretto sulla sua nave, la faceva procedere più velocemente dei remi mossi dagli schiavi, ha imparato a costruire le vele per sfruttare
l‟energia del vento; quando ha scoperto che l‟acqua corrente del fiume faceva girare le macine
del mulino e, a differenza del suo asino, non aveva bisogno di cibo, ha tempestivamente sfruttato questa fonte d‟energia più valida e meno costosa (Figura 6).
Per buona parte della sua storia, l‟uomo si è avvalso solo delle fonti di energia che abbiamo
visto fin qui, cioè l‟energia animale (la propria, quella degli schiavi e quella degli animali
domestici), la legna, l‟energia eolica (vento) e l‟idraulica (acqua).
Solo dopo alcuni millenni ha imparato ad utilizzare le altre fonti, che hanno cambiato completamente il corso della storia umana, cioè i combustibili fossili (il carbone, il petrolio ed il gas
naturale) ed i combustibili nucleari (Figura 7).
Di queste e delle altre fonti d‟energia parleremo diffusamente più avanti.
Per ora diciamo solo che esse hanno contribuito in maniera decisiva allo sviluppo dell‟era industriale, perché hanno reso possibile il funzionamento di macchine che la fantasia umana ha
continuato a scoprire e sviluppare.
La cosiddetta “rivoluzione industriale”, cioè la svolta che verso la fine del XVIII secolo ha
dato avvio all‟epoca di accelerato sviluppo industriale in cui viviamo, è iniziata con l‟utilizzo
del carbone come fonte incontrastata d‟energia ed ha subìto un ulteriore potente impulso nel
corso del XIX secolo con l‟avvento del petrolio.
I grafici riportati nelle Figure 8 e 9 mostrano come sono aumentati i consumi mondiali di energia e come si è andata modificando la composizione delle fonti che hanno coperto i fabbi-
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Figura 5 – Le prime fonti di energia – Gli animali
Figura 6 – Le prime fonti di energia – Gli schiavi – Il vento – I fiumi – Il calore
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Gas
Figura 7 – Alcune fonti attuali di energia
Figura 8 – Consumi mondiali di energia
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sogni nel corso del secolo che si è appena concluso(1).
Come si vede, il carbone non ha ceduto di colpo il passo al petrolio, nonostante la maggiore
maneggevolezza e pulizia di quest‟ultimo, ma il suo uso ha continuato a crescere e, dopo una
battuta d‟arresto nell‟ultimo decennio del secolo scorso rimane, ancora oggi, la seconda fonte
d‟energia utilizzata nel mondo. Notevole anche la crescita del gas naturale, che ha recentemente conosciuto uno sviluppo considerevole grazie alle innovazioni tecnologiche nel
campo delle costruzioni meccaniche (gasdotti) e dei trasporti marittimi che ne hanno reso più
agevole il trasporto e quindi l‟utilizzo.
L‟energia idraulica e la nucleare hanno avuto uno sviluppo meno rapido, la prima per limitazioni di tipo geografico, la seconda per una cattiva reputazione, di cui parleremo più avanti.
Spesso ci si chiede se lo sviluppo industriale conseguente all‟uso intensivo dell‟energia sia
davvero sinonimo di progresso ed abbia contribuito veramente ad accrescere il benessere
dell‟uomo.
L‟uomo infatti ha usato l‟energia non solo per migliorare le sue condizioni di vita, ma anche,
e spesso, come arma contro i suoi nemici.
Così (Figura 10) gli antichi popoli della Mesopotamia, per primi, coprirono le punte delle
frecce con asfalto incendiato per appiccare il fuoco negli accampamenti nemici, i Greci inventarono e lanciarono sulle navi nemiche il “fuoco greco”, micidiale miscuglio di calce e bitume
che s‟incendiava a contatto con l‟acqua. Nel Medio Evo, la pece bollente era versata dalle mura della città in testa ai nemici che l‟assaltavano. Poi la polvere da sparo, il tritolo, la bomba
atomica! Un‟escalation di utilizzi malvagi che hanno fatto considerare l‟energia, e in particolare alcune forme di energia, come il male peggiore per l‟umanità.
È ovvio che questo tipo di utilizzo non rappresenti un fattore di progresso, ma il dubbio è di
natura diversa e riguarda gli effetti collaterali, non sempre positivi, dell‟utilizzo pacifico
dell‟energia.
Ci si chiede cioè se lo sviluppo ad alta e crescente intensità energetica degli ultimi due secoli
abbia portato un maggior benessere oppure se abbia reso la vita dell‟uomo qualitativamente
peggiore.
Numerose e disparate sono le risposte a questa domanda, specialmente quando sono ispirate
da ideologie diverse.
(1) Le quantità sono espresse in tep ossia “tonnellate equivalenti di petrolio”, per rendere i dati confrontabili.
Una tep di una fonte è la quantità di quella fonte che può fornire la stessa energia di una tonnellata di petrolio.
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Figura 9 – Composizione delle fonti di energia
Figura 10 – L’energia usata male
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È un dato di fatto, però, che in questo periodo (Figura 11), a livello mondiale, la vita media
dell‟uomo si è allungata(2) ed il suo stato di salute è enormemente migliorato. E longevità e
salute sono le due principali caratteristiche che definiscono la qualità della vita.
Torniamo ora all‟energia per approfondirne alcuni aspetti, in particolare, l‟origine ed il funzionamento, anticipando alcune nozioni su cui torneremo più diffusamente nei capitoli seguenti.
Quasi tutta l‟energia che interessa la terra ha origine nel sole.
All‟interno di questa stella si verificano continuamente delle reazioni nucleari che producono
un‟enorme quantità d‟energia, sotto forma di calore, e ne mantengono la superficie ad una
temperatura molto elevata.
L‟energia così prodotta è irradiata in tutto lo spazio circostante e investe i corpi celesti che vi
incontra, fra cui la terra (Figura 12).
La terra, come ogni altro corpo celeste investito da quella frazione d‟energia che lo colpisce,
si scalda cominciando a sua volta ad irradiare energia intorno a sé e la sua temperatura superficiale sale fino a quando l‟energia che riceve eguaglia quella irradiata. A questo punto si raggiunge un equilibrio che, a meno di grandi sconvolgimenti cosmici, si mantiene nel tempo.
Una piccola parte dell‟energia che la terra riceve dal sole non viene però irradiata immediatamente nello spazio, ma rimane, per così dire, intrappolata e trattenuta per il verificarsi di una
particolare reazione chimica: la fotosintesi o sintesi clorofilliana. La terra, come è noto, è circondata da uno strato di diversi gas che formano l‟atmosfera fra cui due, l‟anidride carbonica
e l‟acqua (vapore), sotto l‟azione dell‟energia solare, reagiscono per formare la materia organica vegetale di cui sono fatte le piante (Figura 13).
La materia organica, così formata, trattiene e conserva l‟energia che ha assorbito durante la
sua formazione e la può rilasciare successivamente in due modi diversi: trasformandosi in materia organica animale quando è usata come cibo oppure trasformandosi in calore quando viene bruciata.
Ma c‟è di più. L‟energia contenuta nella materia organica animale o vegetale può essere rilasciata anche molto tempo dopo che si è formata. Ciò avviene in particolare quando gli organismi animali e vegetali subiscono, dopo la loro morte, un processo naturale particolare, la fossilizzazione, che consente la loro conservazione nel tempo.
(2) Alla fine del 2008 è ulteriormente aumentata a 68 anni
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Figura 11 – Andamento mondiale della vita media
Figura 12 – L’origine dell’energia
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Grazie proprio a questi processi, l‟energia del sole, catturata sulla terra durante milioni di anni, è giunta fino a noi conservata nei combustibili fossili, che oggi ce la rendono sotto forma
di calore quando sono bruciati.
Oltre alla sintesi clorofilliana ci sono altri due processi naturali che catturano l‟energia che arriva dal sole: la pioggia e il vento.
Il calore del sole fa evaporare l‟acqua del mare, dei laghi e dei fiumi. Il vapor d‟acqua è più
leggero dell‟aria quindi s‟innalza spontaneamente nell‟atmosfera e vi rimane, sotto forma di
nubi, mantenendo e conservando l‟energia che l‟ha generato. Quando poi un abbassamento di
temperatura lo fa condensare si forma la pioggia che, durante la condensazione e la ricaduta
nel mare o in zone a livello del mare, rilascia tutta l‟energia che aveva catturato. Se però la
pioggia cade su zone più elevate rispetto al livello del mare e rimane contenuta in laghi montani naturali o artificiali, trattiene ancora una parte dell‟energia e la rilascia quando l‟acqua,
attraverso i fiumi o canali artificiali, defluisce fino a ritornare al mare.
In tal modo una parte dell‟energia del sole può essere catturata, conservata e successivamente
recuperata sotto forma di energia cinetica (ossia di movimento) dell‟acqua e trasformata in
energia elettrica o meccanica.
Anche il vento è una forma indiretta dell‟energia solare che si manifesta come energia cinetica di
masse d‟aria in movimento. I fenomeni che generano i venti sono abbastanza complessi ma,
semplificando al massimo, si può dire che essi si formano quando, per varie ragioni, si stabiliscono delle temperature diverse fra due zone adiacenti della superficie terrestre. Nella zona
dove la temperatura è più alta l‟aria calda tende a portarsi in alto ed al suo posto arriva l‟aria
che si trova nella zona più fredda: questo movimento d‟aria è il vento.
Quando il vento soffia sulla superficie del mare, parte della sua energia si trasmette all‟acqua
creando i moti ondosi, che diventano anch‟essi trasportatori e potenziali trasmettitori
d‟energia cinetica.
Abbiamo detto che “quasi” tutta l‟energia che interessa la terra ha origine nel sole. C‟è dunque dell‟energia che ha un‟origine diversa. Più precisamente ci sono due altre fonti originarie
di energia: la gravitazionale e la nucleare (Figura 14).
L‟energia gravitazionale deriva dalle forze d‟attrazione reciproca fra i corpi celesti, in particolare fra la terra e la luna e si manifesta, principalmente, con il fenomeno delle maree. La sua
importanza come fonte d‟energia è abbastanza modesta.
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Figura 13 – L’energia catturata dalla terra
Nucleare
(endogena, artificiale)
Gravitazionale
(maree)
Figura 14 – Le altre origini dell’energia
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L‟energia nucleare è quella che si sprigiona durante la trasformazione degli atomi di alcune
sostanze radioattive presenti sulla terra fin dai primordi. Questa trasformazione, spontanea o
provocata artificialmente, avviene con la contemporanea produzione di un‟enorme quantità di
energia sotto forma di calore. Qualcosa di simile a quello che avviene nel sole.
La trasformazione spontanea avviene per il decadimento naturale delle sostanze radioattive
presenti nel nucleo della terra e la relativa energia si manifesta come energia geotermica (sorgenti d‟acqua calda o vapore) o, più violentemente, come energia vulcanica o tellurica.
La trasformazione provocata artificialmente dall‟uomo è quella che avviene nei reattori nucleari per la produzione di calore, trasformato poi in energia elettrica, o quella delle bombe atomiche.
Nella rapida esposizione fin qui fatta abbiamo più volte utilizzato attributi diversi con la parola energia. È opportuno quindi riassumere e chiarire alcuni concetti (Figura 15).
Abbiamo innanzi tutto utilizzato il termine “fonti originarie” d‟energia per indicare i tre sistemi da cui proviene tutta l‟energia che interessa la terra: l‟energia solare, l‟energia nucleare
e l‟energia gravitazionale.
Abbiamo poi parlato di “fonti indirette” per indicare quei sistemi capaci di catturare, conservare e successivamente rilasciare una parte dell‟energia emessa dalle fonti originarie:
l‟energia degli organismi vegetali o animali (detti anche biomasse), l‟energia delle fonti fossili (petrolio, gas, carbone) l‟energia dell‟acqua (idraulica), l‟energia del vento (eolica),
l‟energia delle onde (marina), l‟energia geotermica (derivata dalla radioattività interna della
terra), l‟energia delle maree (derivata dall‟energia gravitazionale).
Aggiungiamo qui che sia le fonti originarie che le fonti indirette si chiamano anche “fonti
primarie” di energia per indicare che si tratta di risorse esistenti in natura da cui si può attingere per ottenere energia.
Abbiamo infine parlato di forme d‟energia: calore, energia elettrica, energia meccanica, senza
tuttavia spiegare il significato di questi termini.
L‟energia infatti può avere forme diverse e può essere trasformata da una nell‟altra sia con
processi spontanei, sia con apparecchiature e metodi diversi.
Le diverse “forme” o “specie” d‟energia sono: chimica, elettrica, elettromagnetica, meccanica, nucleare, termica.
Per chiarire meglio questo concetto torniamo a quanto già detto sull‟energia che si origina nel
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sole (Figura 16).
Essa è inizialmente energia nucleare, perché è generata da reazioni nucleari (esplosioni atomiche) che avvengono nell‟interno del sole. Si trasforma poi in calore, ossia in energia termica
che porta la temperatura della stella a livelli molto elevati. Essa poi s‟irradia nello spazio sotto
forma di luce, ossia di energia elettromagnetica e quando arriva sulla terra viene trasformata
in energia termica (calore, che riscalda la terra), in energia chimica con la sintesi clorofilliana,
in energia meccanica con i fenomeni meteorologici della pioggia, del vento e delle onde marine. L‟energia è sempre la stessa, ma è cambiata la sua forma.
A queste trasformazioni naturali bisogna aggiungere poi quelle che l‟uomo produce allo scopo
di facilitare l‟immagazzinamento, il trasporto e l‟utilizzazione energia.
La forma d‟energia oggi maggiormente utilizzata è l‟energia elettrica perché può essere facilmente trasportata per lunghe distanze e distribuita in maniera pulita e silenziosa in tutte le
case (Figura 17). Ma l‟energia elettrica non esiste tal quale in natura cioè non è una fonte primaria di energia ma deve essere prodotta da altre forme di energia con opportuni macchinari e
processi.
Un‟altra forma d‟energia grandemente utilizzata è l‟energia meccanica per i trasporti. Anche
questa è ottenuta artificialmente trasformando, nel motore del veicolo, l‟energia chimica contenuta nel carburante, a sua volta ricavata dai combustibili fossili (Figura 18).
Su questi argomenti ed in particolare sulle apparecchiature (motori, turbine, ecc.) utilizzate
per la trasformazione dell‟energia nelle sue diverse forme torneremo più diffusamente in seguito.
Concludiamo questo capitolo illustrando il significato di due altri attributi che spesso accompagnano la parola energia: “energia potenziale” e “energia cinetica”.
L‟energia “potenziale” è quella che nelle pagine precedenti abbiamo indicato come energia
“catturata” o “imbrigliata” o “trattenuta”. Essa è cioè l‟energia che un sistema riceve e trattiene e che ha la possibilità di essere rilasciata in un tempo successivo (per esempio una massa
d‟acqua ferma in una posizione elevata o l‟energia chimica contenuta in una sostanza).
L‟energia “cinetica” è invece energia in corso di trasformazione che si manifesta sotto forma
di masse dotate di movimento (per esempio masse solide, liquide o gasose in movimento).
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Indirette
Originarie
Biomasse (animali e vegetali)
Fossili (carbone, petrolio, gas)
Energia solare
Idraulica
Eolica e onde marine
Solare (tal quale)
Geotermica
Energia nucleare
Atomica
Energia gravitazionale
Maree
Figura 15 – Le fonti primarie di energia
Nucleare
Termica
•
Chimica
•
Elettrica
•
Elettromagnetica
•
Meccanica
Meccanica
Elettromagnetica
Chimica
•
Nucleare
•
Termica
Termica
Figura 16 – Le forme di energia
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Figura 17 – L’energia elettrica
Figura 18 – L’energia meccanica
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Le fonti di energia
Come detto nel capitolo precedente, le fonti primarie d‟energia comprendono sia le fonti originarie sia quelle indirette.
Per una sistematica presentazione, esse possono essere suddivise in tre categorie (Figura 19):
Le fonti fossili, dette anche esauribili, che comprendono il carbone, il petrolio ed il gas
naturale.
Le fonti rinnovabili, che comprendono le biomasse, l‟energia idraulica, geotermica,
eolica, marina e solare.
Le fonti nucleari.
Questa classificazione è diversa da quella usata nel capitolo precedente che distingueva le
fonti di energia in funzione della loro origine. Qui, invece, esse sono classificate in base alla
loro disponibilità.
Alcune di esse, infatti, sono presenti sulla terra in quantità limitata e probabilmente si esauriranno in un tempo più o meno breve, mentre altre sono presenti in quantità molto elevate oppure si rinnovano continuamente grazie a dei processi naturali che le rigenerano e la loro disponibilità può essere considerata illimitata.
È ovvio che si tratta solo di una diversa classificazione fatta per omogeneità di esposizione,
ma le fonti sono sempre le stesse.
Le fonti fossili o esauribili
Il termine “fossile” letteralmente significa: “che si ottiene scavando” e, in questa sede, è riferito in particolare ad organismi animali o vegetali, vissuti in epoche passate, che si sono trasformati e conservati nella crosta terrestre grazie a lenti processi di mineralizzazione. Questa è
appunto, come vedremo, l‟origine del carbone, del petrolio e del gas naturale.
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Queste fonti sono anche dette esauribili perché, a causa della lentezza del processo che le ha
originate, le quantità attualmente esistenti, che si sono formate nel corso di milioni d‟anni,
non riescono ad essere ricostituite con la stessa velocità con cui sono consumate. Per questa
ragione le fonti fossili d‟energia sono destinate inesorabilmente ad esaurirsi. Un‟ipotesi su
quando ciò possa prevedibilmente avvenire sarà illustrata più avanti.
I processi di fossilizzazione, che hanno dato origine al carbone al petrolio ed al gas naturale,
sono molto simili fra loro. In generale si può dire che il carbone derivi prevalentemente dalla
fossilizzazione di organismi vegetali, il petrolio ed il gas invece da quella di organismi animali (Figura 20).
Noi approfondiremo adesso un po‟ di più ciascuna delle fonti di energia, con particolare riguardo al petrolio e alle varie fasi dell‟industria petrolifera che comprendono l‟esplorazione
per la ricerca dei nuovi giacimenti, l‟estrazione del petrolio dagli stessi, la sua successiva lavorazione nelle raffinerie e la distribuzione al consumo dei prodotti derivati.
Il Petrolio
UN PO‟ DI STORIA
Della presenza del petrolio sulla terra l‟uomo si era accorto molti secoli fa perché in parecchie
zone esso affiorava spontaneamente dal sottosuolo.
Gli antichi Egizi, gli Assiri e i Babilonesi lo bruciavano per riscaldarsi, per accendere fuochi
votivi e, con quello di tipo bituminoso, per calafatare le navi e pavimentare le strade.
I Persiani lo mettevano sulla punta delle frecce per accenderlo e lanciarlo negli accampamenti
nemici e, più tardi, i Greci, impastando zolfo e petrolio, inventarono il “fuoco greco”, l‟arma
incendiaria più terribile usata nelle battaglie navali dell‟antichità.
Nell‟impero romano e nel medioevo, i medici gli attribuivano particolari virtù curative, mentre i carrettieri lo usavano per lubrificare le ruote dei veicoli.
Ma la vera utilizzazione industriale del petrolio ebbe inizio negli Stati Uniti solo verso la metà
del secolo XIX, quando si imparò a separare fra loro i diversi tipi di idrocarburi che lo compongono ottenendo, in tal modo, prodotti più adatti a scopi particolari.
Fra questi uno, a cui fu dato il nome di kerosene, poteva essere usato nelle lampade per illuminazione in sostituzione dell‟olio di balena, che era un prodotto molto più costoso, maleodorante e deperibile.
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Petrolio
Fossili
(esauribili)
Carbone
Gas naturale
Biomasse
Idraulica
Rinnovabili
(inesauribili)
Geotermica
Eolica
Marina
Nucleari
Solare
Figura 19 – Fonti di energia – Classificazione per disponibilità
Idrocarburi gassosi
(gas naturale)
Animali
Fossilizzazione di
residui organici
Idrocarburi liquidi
(petrolio)
Idrocarburi solidi
(asfalti)
Vegetali
Figura 20 – Origine delle fonti fossili
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Carbone
Il mercato del kerosene si affermò quindi molto rapidamente mentre, per un po‟ di tempo, gli
altri prodotti che congiuntamente si ottenevano durante la lavorazione, erano bruciati per essere smaltiti. Ben presto però anch‟essi trovarono utilizzo come combustibili, lubrificanti e prodotti per riscaldamento.
In seguito, l‟avvento dell‟automobile e l‟uso di alcuni dei prodotti derivati come combustibili
per navi e per il riscaldamento delle abitazioni fecero esplodere la domanda nella misura che
abbiamo visto nel grafico di Figura 9.
La produzione su scala industriale del petrolio grezzo dagli Stati Uniti ben presto si estese ad
altri paesi: Messico, Venezuela, Russia e soprattutto ai paesi del Medio Oriente (Iran, Iraq,
Arabia Saudita).
Questi paesi però, ad eccezione della Russia, non operarono in modo autonomo
nell‟esplorazione e nella produzione, ma si basarono sulle conoscenze tecniche delle grandi
società americane che, a loro volta, ne approfittarono per allargare il loro campo d‟azione ai
paesi dell‟America Latina e del Medio Oriente.
I paesi, in cui queste attività si andavano sviluppando, apprezzarono all‟inizio le briciole di
ricchezza che ricadevano su di loro da una risorsa che non pensavano nemmeno di possedere.
Ma col passare del tempo aumentava la loro consapevolezza che si trattava di una risorsa esauribile che queste briciole di ricchezza non remuneravano a sufficienza.
Fu però solo nel 1960 che cinque di questi paesi, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait e Venezuela, pensarono di unirsi in un‟associazione che ne difendesse gli interessi comuni.
Sorse così l‟OPEC3, l‟Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, cui aderirono successivamente altri otto paesi: Qatar nel 1961, Indonesia e Libia nel 1962, Emirati Arabi Uniti nel
1967, Algeria nel 1969, Nigeria nel 1971, Ecuador nel 1973 e Gabon nel 1975.
Per oltre un decennio, l‟OPEC non trovò la coesione e la forza necessarie per opporsi alle
grandi società petrolifere che continuarono a perseguire una politica di bassi prezzi e intenso
sfruttamento delle risorse.
Fu solo agli inizi degli anni ‟70 che l‟equilibrio delle forze cominciò a spostarsi verso i paesi
produttori fino a sfociare, nell‟ottobre 1973, in un “embargo” delle esportazioni che essi decretarono come arma di pressione in concomitanza della guerra arabo israeliana detta “del
Kippur”.
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Organization of Petroleum Exporting Countries
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Gli effetti di questa mossa furono sorprendenti forse anche per gli stessi paesi che l‟avevano decisa.
Il prezzo del petrolio quintuplicò nel giro di pochi mesi passando da due a undici dollari per
barile dall‟ottobre 1973 al gennaio 1974 (Figura 21).
Le conseguenze di questa, che fu chiamata la “prima crisi petrolifera”, furono enormi.
Il mondo industrializzato si era ormai abituato a disporre di questa risorsa e non aveva mai
dubitato della sua disponibilità.
Nelle case la temperatura durante l‟inverno era mantenuta sui 24-25 gradi, si stava con le maniche corte e si dormiva senza coperte. Gli stessi criteri di scarsa considerazione dei consumi
vigevano in qualsiasi altro campo in cui il petrolio era usato come fonte d‟energia.
Da quel momento questi criteri furono chiamati “sprechi” ed il risparmio energetico divenne
un obiettivo primario in ogni iniziativa pubblica o privata.
Nei paesi produttori intanto le briciole di ricchezza si erano trasformate in miniere d‟oro che
diedero origine a una fortissima spinta verso l‟industrializzazione e a molte aspettative di emulazione del modo di vivere dei paesi industrializzati.
In uno di questi paesi, l‟Iran, la lentezza nella realizzazione di queste aspettative e l‟acuirsi di
contrasti fra i politici progressisti e i fautori di valori tradizionali sfociò, verso la fine degli
anni ‟70, in una rivoluzione interna che diede origine alla “seconda crisi” petrolifera che portò
ad un‟ulteriore triplicazione del prezzo del petrolio che, agli inizi degli anni ‟80, si aggirava
intorno a 35 dollari per barile con punte di 40 dollari.
L‟impatto sulle economie dei paesi industrializzati fu ovvio: profonda recessione e inflazione
galoppante. Ma anche una rinnovata presa di coscienza della necessità di adottare forme sempre più ampie di conservazione e di uso razionale dell‟energia.
Nel corso degli anni ‟80 il contenimento dei consumi, dovuto sia alla recessione che al risparmio energetico, e l‟aumentata disponibilità conseguente al ritrovamento di nuovi giacimenti, riportò il prezzo a livelli inferiori a 20 dollari per barile, con alcune punte in basso fino
a 6-7 dollari.
Ed anche quando negli anni ‟90 l‟economia riprese il suo andamento crescente i prezzi del
grezzo rimasero contenuti perché l‟offerta rimase superiore alla domanda.
Addirittura quella che all‟inizio degli anni „90 sembrava profilarsi come la terza crisi energe-
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tica causata dalla “guerra del golfo”( 4) dimostrò invece che il mondo, in quel momento, poteva fare a meno sia del petrolio iracheno che di quello del Kuwait che erano venuti contemporaneamente a mancare.
Ma, come sempre accade, i bassi prezzi fecero diminuire gli investimenti nella ricerca di nuovi giacimenti e nella realizzazione di nuova capacità produttiva, per cui, verso la fine del decennio si è verificato, dapprima, un riequilibrio della domanda e dell‟offerta di grezzo e, successivamente una carenza di capacità produttiva rispetto alla continua crescita della domanda,
dovuta soprattutto allo sviluppo vorticoso delle economie di alcuni Paesi, Cina, India e America Latina (Figura 22).
Gli effetti sui prezzi non si sono fatti attendere: 55 $/Barile nel 2005; 65 $/B nel 2006; 72 $/B
nel 2007; 97 $/B nel 2008 con punte che hanno raggiunto i 150 $/B (Figura 23) per poi nuovamente retrocedere a causa di una nuova recessione che ormai minacciosamente incombe
sull‟economia mondiale.
ORIGINE DEL PETROLIO
Come già detto, il petrolio si è formato dalla decomposizione di organismi animali che nel
corso di milioni di anni si sono depositati sul fondo di mari e di laghi.
Contemporaneamente altri sedimenti di natura inorganica, sabbia o terra, trasportati dal vento
o dai fiumi, si depositavano mescolandosi con loro e ricoprendoli.
In alcuni di questi depositi, particolari condizioni geofisiche hanno favorito l‟azione di batteri
che hanno trasformato la materia organica in idrocarburi.
Gli idrocarburi sono prodotti costituiti principalmente da due elementi chimici: il carbonio (C)
e l‟idrogeno (H) che sono anche i costituenti principali della materia organica da cui traggono
origine. Gli idrocarburi differiscono fra loro per il numero degli atomi di carbonio, presenti
nella molecola, e per il modo in cui questi atomi sono legati fra loro.
Oltre agli idrocarburi nel petrolio sono anche presenti piccole quantità di altri prodotti chimici, fra cui il più importante è lo zolfo (S). Per lo più questi ultimi devono essere rimossi durante le successive lavorazioni perché possono dar origine a sostanze inquinanti.
Più avanti approfondiremo un po‟ di più queste nozioni.
A seconda della dimensione e della complessità della loro molecola gli idrocarburi che si sono
(4) La prima guerra degli Stati Uniti contro l‟Iraq, che aveva invaso e conquistato il Kuwait
22
Figura 21 – Prezzi del grezzo dal 1970 al 1990
333%
233%
164%
114%
Figura 22 – Crescita dei consumi di petrolio
23
formati possono essere solidi, liquidi o gassosi.
I liquidi costituiscono il petrolio vero e proprio che si chiama anche grezzo o greggio, mentre
quelli gassosi costituiscono il gas naturale e quelli solidi gli asfalti o bitumi.
Una volta formatisi gli idrocarburi non sono rimasti nella zona di formazione, ma sono stati
trasportati dalle acque sotterranee in zone anche molto distanti, finché non sono finiti in una
“trappola”, ossia in una zona dove strati di rocce impermeabili ne hanno impedito l‟ulteriore
spostamento. Qui si sono accumulati dando origine ad un giacimento.
La migrazione delle acque e degli idrocarburi contenuti non è simile ad un fiume che scorre
sotto terra, ma è solo un lento movimento di liquidi attraverso la porosità delle rocce. Così anche nel giacimento essi non formano un laghetto sotterraneo né sono contenuti in una cavità,
ma impregnano i pori delle rocce contenute nella “trappola”.
In genere poi, poiché gli idrocarburi hanno un minor peso specifico dell‟acqua e non sono miscibili con essa, nel giacimento si formano delle stratificazioni in cui l‟acqua si trova nella
parte bassa, più in alto ci sono gli idrocarburi liquidi e ancora più in alto quelli gassosi.
Esistono vari tipi di trappole (Figure 24, 25 e 26), generalmente formatesi a seguito di fenomeni tellurici che hanno generato delle discontinuità nelle rocce.
Una trappola “anticlinale” (Figura 24) è costituita da un‟ondulazione di strati rocciosi sovrapposti. I fluidi che si spostano nello strato poroso trovano sul loro percorso la parete rocciosa
impermeabile dello strato superiore. Nella parte alta della zona porosa scorrono, come detto
sopra, gli idrocarburi liquidi e gassosi, mentre nella parte inferiore scorre l‟acqua. In tal modo
il gas e l‟olio restano intrappolati dalla parete impermeabile e formano un giacimento.
Una trappola di “faglia” (Figura 25) è originata da una frattura delle rocce, dovuta ad un forte
movimento tellurico, e ad uno scorrimento relativo degli strati rocciosi che porta uno strato
impermeabile di fronte ed uno poroso e permeabile. Anche in questo caso i fluidi che scorrono nello strato permeabile sono fermati dalla parete impermeabile e ristagnano formando un
giacimento.
Un altro tipo di trappola è il “diapiro salino” (Figura 26). Si tratta, in questo caso, di un deposito di salgemma, generato da una penetrazione in una fessura delle rocce di acqua salmastra
successivamente evaporata. Se la formazione salina, che è assolutamente impermeabile, penetra in uno strato poroso in cui ci siano dei fluidi in scorrimento, ne blocca ogni ulteriore movimento favorendo così la formazione di un giacimento.
24
Figura 23 – Prezzi del grezzo dal 1970 al 2008
Gas
Olio
Acqua
Figura 24 – Trappola anticlinale
25
Figura 25 – Trappola di faglia
Figura 26 – Trappola diapiro salino
26
Ma dove sono questi giacimenti?
Come si fa a trovarli? E, una volta trovati, come si fa a tirare fuori dei pori delle rocce gli idrocarburi che le impregnano?
ESPLORAZIONE
L‟attività di ricerca dei giacimenti di idrocarburi si chiama “esplorazione”.
All‟inizio quest‟attività era molto semplice: bastava scavare in prossimità delle manifestazioni
superficiali d‟idrocarburi e quasi certamente si trovava un giacimento.
Ed è proprio così che i primi giacimenti furono individuati e i primi pozzi scavati, da quello
del colonnello Drake in Pennsylvania nel 1859, che era profondo una ventina di metri, a tutti
quelli che per parecchi anni furono trovati ed attivati in quei dintorni ed altrove.
Ma col passare del tempo di manifestazioni superficiali non se ne trovò quasi più e la ricerca
petrolifera dovette affinare i suoi metodi per trovare nuovi giacimenti. All‟inizio del XX secolo, infatti, la ricerca petrolifera cominciò a basarsi sulla geologia e su tecniche geofisiche
sempre più raffinate che, ai giorni nostri, hanno portato al ritrovamento di riserve recuperabili
d‟idrocarburi situate fino a 6-7000 metri di profondità.
La geologia è la scienza che studia la costituzione della crosta terrestre ed i fenomeni di trasformazione che ha subito nel corso dei secoli.
Quindi, una volta formulate le ipotesi sull‟origine e formazione degli idrocarburi, la geologia
è la scienza che può dare una prima indicazione delle zone dove si sono presentate le condizioni più favorevoli e, quindi, dove esistono le maggiori probabilità di presenza d‟idrocarburi
nel sottosuolo.
Ma questo non è sufficiente per trovarli.
Per procedere bisogna passare ad una seconda fase, vale a dire ad una ricerca effettuata con
tecniche geofisiche che permettano di definire, quanto più è possibile, la disposizione degli
strati di roccia sotterranei nella zona in esame, in modo da individuare la presenza di quelle
“trappole” in cui gli idrocarburi, nella loro migrazione, possono essersi fermati.
Le principali tecniche adottate sono le seguenti:
Mappatura dell‟area
Consiste nell‟effettuare una serie di fotografie aeree (oggi satellitari) della zona esplorata per evidenziare alcune caratteristiche geologiche superficiali che sono, spesso, in-
27
dizi importanti della natura del sottosuolo.
Misure gravimetriche e magnetometriche
Questo metodo consiste nell‟effettuare una serie di misure della differenza della forza
di gravità e dell‟intensità del campo magnetico terrestre fra un punto e l‟altro della zona esplorata. Le differenze, minime ma misurabili con opportuni strumenti, sono dovute alla presenza nel sottosuolo di tipi diversi di roccia, che vengono così messi in evidenza.
Metodo sismico
È questo il metodo più importante e consiste nell‟inviare nel sottosuolo delle vibrazioni provocate da piccole esplosioni o da apposite apparecchiature vibranti (Figura 27).
Le onde, che così si sprigionano, quando incontrano delle discontinuità nelle rocce che
attraversano, sono riflesse verso la superficie e rilevate da opportuni apparecchi.
Quanto più è profonda la zona da cui l‟onda è riflessa tanto più tempo occorre perché
essa ritorni in superficie. L‟analisi di questi dati, che oggi è fatta con l‟ausilio di programmi computerizzati molto raffinati, permette di tracciare una mappatura tridimensionale (Figura 28) della conformazione del sottosuolo ed individua abbastanza chiaramente la presenza di possibili “trappole”.
Ma, anche se la trappola è individuata, non è detto che dentro ci sia il topo.
L‟unico modo per assicurarsi che l‟olio sia davvero presente è di “andare a vedere”. Questo si
può fare solo scavando un pozzo di verifica, detto anche “esplorativo” o, in inglese, “wildcat”.
La decisione è importante perché scavare un pozzo è un‟operazione molto costosa, specialmente se la profondità è notevole o se il pozzo è da fare sul fondo marino.
Occorre quindi valutare bene tutte le informazioni raccolte, eventualmente ripetere qualche
prova che può aver dato valori incerti e …. prendere il coraggio a due mani.
Se il pozzo è “secco” non è detto che si tratti necessariamente di un insuccesso. Durante la
perforazione, infatti, si prelevano campioni di roccia in profondità le cui analisi forniscono ulteriori informazioni, che possono suggerire di non abbandonare l‟impresa.
Quando invece un pozzo esplorativo rivela la presenza d‟idrocarburi, è bene non parlare ancora di successo. Bisogna capire, infatti, cosa si è trovato: una pozzanghera o un lago. È necessario, in altre parole, fare una stima della grandezza del giacimento, per verificare se gli investimenti necessari per procedere alla produzione possono essere ripagati.
Per questa ragione, normalmente, si fanno altri pozzi esplorativi nell‟area per determinare la
28
Figura 27 – Metodo sismico
Figura 28 – Mappatura del sottosuolo
29
estensione del giacimento e si esegue tutta una serie di altre prove e valutazioni per definire
gli assetti tecnici e organizzativi che permettano di massimizzare i risultati della produzione.
Una volta definiti il numero e la disposizione dei pozzi bisogna perforarli perché la produzione possa avere inizio.
L‟esplorazione è il settore dell‟industria petrolifera che richiede gli investimenti più massicci.
Il grande contributo delle nuove tecnologie ha permesso di migliorare notevolmente la percentuale di successo dei pozzi esplorativi. All‟inizio del secolo scorso, mediamente, solo un
pozzo su dieci risultava produttivo. Questa percentuale è salita a circa il 50% all‟inizio degli
anni ‟90 ed è ulteriormente cresciuta, nell‟ultimo decennio, fino a circa il 70% (Figura 29).
Nonostante questo rilevante miglioramento, gli investimenti che le grandi compagnie petrolifere sostengono nel settore dell‟esplorazione sono circa il 75% degli investimenti totali (Figura 30) e l‟importo cresce di anno in anno (Figura 31) soprattutto perché nuove riserve si trovano ormai solo nei luoghi più impervi e difficili da raggiungere: grandi profondità o sul fo ndo degli oceani.
PERFORAZIONE
All‟inizio dell‟era petrolifera la perforazione di un pozzo era fatta in modo abbastanza semplice e non molto diverso da quello usato per perforare i normali pozzi d‟acqua (Figura 32).
Un attrezzo pesante e appuntito era sollevato e fatto ricadere ripetutamente nello stesso punto.
I detriti prodotti dalle percussioni erano rimossi e lo scavo diventava sempre più profondo.
All‟interno del buco che così si formava erano, man mano, infilati dei tubi d‟acciaio in modo
da evitare che le pareti del pozzo franassero.
Quando s‟incontrava lo strato contenente idrocarburi questi erano spinti violentemente fuori
(“blow out”) inondando la zona circostante e creando situazioni d‟estremo rischio d‟incendio
e di esplosioni (Figura 33).
Per evitare queste pericolose fuoruscite però il pozzo era riempito, durante lo scavo, con un
fango fluido che con il proprio peso controbilanciava la pressione degli strati sotterranei e,
nella maggior parte dei casi, impediva al petrolio di arrivare liberamente in superficie.
Questo metodo di perforazione era abbastanza soddisfacente quando la profondità non era
molto elevata e perciò, con vari perfezionamenti successivi, fu adottato fino all‟inizio del ventesimo secolo.
30
Figura 29 – Pozzi esplorativi - Percentuali di successo
Figura 30 – Investimenti di alcune majors – (Anno 2008 – Totali 135 MLD $)
31
Figura 31 - Investimenti in esplorazione
Figura 32 – Perforazione a percussione
32
Quando però le profondità degli scavi cominciarono a diventare più consistenti, ed esso subentrò il sistema di perforazione rotativo, ossia un procedimento analogo a quello di un comune trapano.
Una punta d‟acciaio duro, montata all‟estremità di un albero tubolare, ruota e perfora la roccia
(Figura 34).
All‟interno dell‟albero, che ha un diametro inferiore a quello del foro, s‟inietta del fango che
fuoriesce nella parte inferiore del pozzo e torna in superficie nello spazio compreso fra la parete esterna dell‟albero e la parete del pozzo (Figura 35).
Il fango ha il triplice scopo di raffreddare la punta rotante, di portare in superficie i detriti
prodotti dallo scavo e di controbilanciare la pressione sotterranea degli strati d‟idrocarburi eventualmente incontrati.
Oltre che col fango il rischio di eruzione spontanea di un pozzo viene oggi enormemente ridotto mediante l‟uso di sistemi automatici, montati sulla bocca del pozzo stesso, che lo chiudono istantaneamente quando vengono rilevate delle pressioni anomale.
L‟albero che sostiene la punta rotante deve naturalmente essere lungo quanto tutta la profondità del pozzo ossia, oggi, anche alcune migliaia di metri ed è fatto con pezzi, lunghi normalmente da10 a 20 metri, che sono aggiunti man mano che lo scavo avanza.
Ogni tanto la punta deve essere sostituita perché si consuma. Per questo l‟albero deve essere
estratto dal pozzo e i vari pezzi devono essere smontati man mano che emergono (Figura 36).
Occorrono quindi degli appositi paranchi che sono sostenuti dalle torri a traliccio, che spesso
si vedono anche a cinema, e che caratterizzano i campi petroliferi in attività.
Fino alla metà del ventesimo secolo la ricerca e la produzione petrolifera furono effettuate essenzialmente in terraferma.
Le migliorate conoscenze geologiche e i più moderni metodi di ricerca indicavano però che
notevoli risorse dovevano trovarsi anche sotto i fondali marini.
Si dovette quindi affrontare il problema della perforazione di pozzi petroliferi in mare.
La tecnica di perforazione e produzione in mare, “offshore” come dicono gli americani, si è
sviluppata rapidamente e brillantemente nel corso di questi ultimi anni.
Essa può essere effettuata da navi appositamente attrezzate (Figura 37) oppure con la realizzazione di isole artificiali, le cosiddette piattaforme petrolifere, da cui effettuare tutte le ope-
33
Figura 33 – Blow out
Figura 34 – Punte per perforazioni rotative
34
Figura 35 – Punte rotanti – Circolazione dei fanghi
Figura 36 – Torre di perforazione
35
razioni (Figura 38, 39).
Sembra semplice. Ma i problemi sono molteplici e di natura diversissima: le condizioni ambientali (dall‟estremo caldo all‟estremo freddo), la profondità del mare oltre a quella dei pozzi, la natura del fondo marino, la distanza dalle coste ecc.
Tutti questi problemi sono stati affrontati e risolti.
Le piattaforme petrolifere “offshore”, dal polo all‟equatore, in pochi metri d‟acqua o a profondità fino ad oltre mille metri, con ogni forza di vento o di mare, oggi operano con la stessa
affidabilità e sicurezza delle installazioni “onshore”.
Più di un terzo dell‟olio e del gas oggi proviene da giacimenti sottomarini e questo rapporto è
destinato a salire, man mano che la tecnica permetterà di operare a profondità sempre maggiori. Già oggi, infatti, s‟incominciano ad esplorare fondali a tremila metri di profondità e non è
detto che anche questo limite non possa essere superato in futuro.
PRODUZIONE
Una volta perforati i pozzi previsti per lo sfruttamento del giacimento, la produzione può aver
inizio.
Nella maggior parte dei casi nei giacimenti c‟è una pressione abbastanza elevata che spinge
l‟olio in superficie. Questo meccanismo di produzione si chiama “naturale” e la relativa produzione si chiama “recupero primario”. La zona di produzione è poco appariscente perché, a
meno di eventuali torri di perforazione ancora presenti, ci sono solo poche tubazioni che convogliano il petrolio dai pozzi ai serbatoi di stoccaggio (Figura 40).
Con questo sistema però si recupera solo una parte abbastanza piccola dell‟olio presente, mediamente circa il 25%, perché col passare del tempo la pressione diminuisce e non riesce più a
spingere l‟olio fuori del giacimento.
A questo punto bisogna estrarre l‟olio con l‟utilizzo di pompe meccaniche (Figura 41), oppure
pompando nel giacimento acqua o gas per ristabilire la pressione necessaria a spingere l‟olio
in superficie. Questo processo si chiama “recupero secondario”, ma anch‟esso non permette di
recuperare tutto l‟olio che era rimasto nel giacimento. Con questo processo, infatti, si recupera
solo un altro 15-20% delle quantità originariamente presenti non più per mancanza di pressione, ma perché, per la sua alta viscosità, una parte dell‟olio resta attaccato alle pareti dei pori
delle rocce e non riesce a fluire.
36
Figura 37 – Perforazione in mare
Figura 38 - Piattaforma
37
Bassa profondità
Alta profondità
Figura 39 – Piattaforme per basse e alte profondità
Figura 40 – Produzione - Recupero primario
38
Le quantità rilevanti, che restano nel giacimento giustificano, a volte, un ulteriore sistema d i
estrazione: il cosiddetto “recupero terziario”.
I processi di recupero terziario sono tre: termico, con solventi e chimico, tutti con l‟obiettivo
di strappare il più possibile l‟olio rimasto attaccato ai pori delle rocce.
Il processo termico sfrutta la proprietà dei liquidi di diventare meno viscosi, quindi di scorrere
più facilmente, quando s‟innalza la temperatura.
Esso consiste quindi nel riscaldare l‟olio del giacimento iniettando acqua calda, o vapore o
addirittura facendo bruciare, in modo controllato, una parte dell‟olio nel giacimento stesso.
Il processo con solventi consiste nell‟iniettare nel giacimento un liquido, normalmente un altro idrocarburo più leggero, che scioglie l‟olio rimasto nei pori e lo estrae.
I processi chimici sono quelli che usano delle sostanze chimiche per modificare le caratterist iche dell‟olio e renderlo più scorrevole.
Il recupero addizionale che si può ottenere con questi metodi è notevole e si aggira su un ulteriore 10–15% dell‟olio originariamente presente.
Va considerato però che questi metodi sono piuttosto costosi e quindi, a volte, il loro costo è
superiore al prezzo cui il grezzo può essere venduto. In questi casi, ovviamente, è più conveniente lasciare il grezzo nel giacimento anziché estrarlo.
OPERAZIONI PRELIMINARI
All‟uscita dal giacimento il grezzo normalmente contiene una certa quantità di gas e di acqua
e viene sottoposto ad alcuni semplici trattamenti fisici che servono ad eliminarli.
Il gas deve essere eliminato per ridurre il rischio di esplosioni nelle successive fasi di trasporto e stoccaggio e l‟acqua per ovvie ragioni (non si può vendere acqua salata al prezzo del
grezzo).
Come già detto, una delle proprietà caratteristiche del grezzo e degli altri prodotti petroliferi è
di non essere miscibili con l‟acqua.
Quando si trovano in uno stesso recipiente, l‟acqua e il petrolio formano due strati distinti:
l‟acqua resta sul fondo ed il petrolio, che ha una minore densità, vi galleggia sopra.
Quando il grezzo esce dal giacimento si trascina dietro un po‟ d‟acqua che si trova dispersa in
esso sotto forma di piccole bollicine.
39
Lasciando questa miscela per un certo tempo in un serbatoio (Figura 42), le bollicine d‟acqua
vanno sul fondo e l‟acqua che così si raccoglie viene asportata.
Il gas disciolto nel grezzo si libera quasi spontaneamente come succede, per esempio, a quello
disciolto nell‟acqua minerale quando si lascia la bottiglia stappata.
A volte, per grezzi molto viscosi, può essere necessario un blando riscaldamento per favorire
le separazioni.
A questo punto il grezzo è pronto per essere venduto.
IL MERCATO PETROLIFERO
Dall‟inizio dello sfruttamento industriale del petrolio (1859) fino a poco oltre la metà del
„900, il mercato petrolifero nei Paesi Occidentali è stato dominato da un oligopolio formato
da poche grandi società petrolifere. Questa situazione è rimasta radicata nella percezione comune, almeno di chi è un po‟ avanti negli anni, ed i prezzi petroliferi continuano ad essere
considerati come il risultato delle decisioni di pochi e lo strumento d‟interessi non bene identificati.
Lo scenario attuale, invece, è radicalmente diverso ed il petrolio, come tanti altri prodotti comuni, le cosiddette “commodities”, segue la legge di mercato della domanda e offerta.
Il cambiamento strutturale del mercato si è verificato a seguito delle crisi petrolifere degli anni ‟70 cui si è già accennato. È da allora, infatti, che la gestione della produzione petrolifera è
passata dall‟ambito decisionale delle grandi società internazionali a quello dei Paesi Produttori, in particolare a quelli dell‟OPEC.
Di conseguenza è aumentato il numero degli operatori, mentre la dimensione e l‟estensione
raggiunte dal mercato hanno reso molto improbabili l‟instaurazione ed il mantenimento di accordi monopolistici (Figura 43).
Per comprendere quali sono le caratteristiche attuali del mercato petrolifero internazionale, il
meccanismo di formazione dei prezzi del grezzo e la connessione fra il mercato internazionale
ed i mercati interni dei vari Paesi, è opportuno fare una rapida carrellata sulla catena operativa
che intercorre fra i giacimenti di grezzo e il consumo finale dei prodotti petroliferi, quella che
in genere si chiama la filiera del settore (Figura 44).
La filiera, procedendo da monte verso valle, parte dai giacimenti di grezzo e dalla capacità
produttiva necessaria per estrarlo.
40
Figura 41 – Pompa di estrazione petrolifera
Gas
Grezzo
Grezzo ai
dai pozzi
serbatoi
Acqua
Figura 42 – Operazioni preliminari sul grezzo
41
Numero di
operatori
Segue la
legge della
domanda e
offerta
Estensione
Dimensione
Figura 43 – Il mercato petrolifero
La domanda
L’offerta
Mercato grezzo
Riserve e
produzione di grezzo
Mercato prodotti
Raffinerie
Distribuzione
Depositi
Figura 44 – La filiera petrolifera
42
Consumo
Il grezzo prodotto è poi commercializzato nel cosiddetto mercato internazionale. Non si tratta
di una particolare località, ma del mondo intero e la caratteristica principale è che i movimenti
fisici del grezzo avvengono via mare, su grosse petroliere ed in lotti di grandi dimensioni, da
50.000 a 500.000 tonnellate.
Per essere utilizzato il grezzo deve essere trasformato in prodotti petroliferi nelle raffinerie.
La capacità di raffinazione è costituita da installazioni molto complesse che richiedono investimenti considerevoli.
I prodotti delle raffinerie, per lo più, raggiungono direttamente i mercati di consumo locali,
ma poiché si tratta di produzioni congiunte, la maggior parte delle raffinerie ha bisogno di
smaltire alcuni dei prodotti su un mercato più vasto: il mercato internazionale dei prodotti petroliferi. Anche in questo caso si tratta di un mercato esteso al mondo intero dove i prodotti si
muovono via mare in grandi lotti, anche se di dimensioni inferiori a quelli del grezzo (10.000
– 200.000 tonnellate).
Dal mercato internazionale i prodotti petroliferi possono raggiungere i mercati interni dei vari
paesi attraverso i depositi costieri e da qui distribuiti ai consumi finali.
Nella filiera la domanda procede, attraverso i vari stadi, da valle verso monte, mentre l‟offerta
procede in senso inverso.
Qualunque anomalia lungo la filiera, che interferisca con l‟equilibrio fra domanda e offerta,
ha una diretta ripercussione sui prezzi.
Come detto sopra, gli operatori presenti lungo la filiera sono diversi e numerosi (Figura 45).
Fra questi i più importanti sono i produttori di grezzo (che molto spesso ne sono anche i venditori), i traders e i brokers (5), gli armatori marittimi, i raffinatori, i venditori di prodotti petroliferi, i detentori di depositi, i distributori dei mercati interni ed i venditori al consumo.
La produzione di grezzo avviene oggi in più di 50 Paesi per opera di oltre 300 Società petrolifere (Figura 46).
In quasi tutti i Paesi Produttori esiste almeno una Società di Stato che opera nel settore della
produzione di grezzo. Ci sono poi molte grandi Società petrolifere, soprattutto americane ed
europee, che operano in più di un Paese.
(5)Traders sono operatori che acquistano il grezzo (o i prodotti) e poi lo rivendono a terzi, i brokers sono invece intermediari che trovano, e mettono poi in contatto, un compratore e un venditore. I primi si accollano il
rischio delle oscillazioni dei prezzi ed il loro margine dipende dall‟abilità di rivendere ad un prezzo superiore a
quello a cui hanno acquistato, i secondi traggono il loro margine da commissioni di intermediazione che venditore o compratore o entrambi sono disposti a riconoscere.
43
Produttori di grezzo
I venditori di grezzo
I venditori al
consumo
I distributori dei
mercati interni
I traders e i brokers
Operatori
I detentori di
depositi
Gli armatori
marittimi
I venditori di
prodotti petroliferi
I raffinatori
Figura 45 – Gli operatori
Più di 50 Paesi (81.8 ML Bbl/g)
Più di 300 Società
Arabia Saudita
10.8
Exxon Mobil
Russia
9.9
Shell
Stati Uniti
6.7
Petromin
Iran
4.3
Youkos
Cina
3.8
BP
Canada
3.2
NIOC
Messico
3.1
Pemex
Emirati Arabi
3.0
Statoil
Kuwait
2.8
PDVSA
Venezuela
2.6
Total
Altri
31.6
Altri (fra cui i Traders)
Figura 46 – Produttori e venditori di grezzo (Anno 2008)
44
Le Società produttrici vendono il grezzo prodotto o direttamente o tramite intermediari, traders o brokers.
I paesi che producono petrolio tendono in genere a soddisfare prima il loro mercato interno
poi, se la produzione è superiore al consumo interno, vendono il grezzo ad utilizzatori che si
possono trovare in qualsiasi parte del mondo.
Nella maggior parte dei casi il grezzo su questo mercato internazionale si muove via mare.
È perciò estremamente importante per un Paese esportatore di petrolio avere un accesso diretto al mare e disporre di terminali marittimi, ossia di depositi, in vicinanza del mare, dotati di
attrezzature per l‟ormeggio ed il carico delle navi.
Entrano a questo punto in scena altri operatori del mercato internazionale del grezzo e dei
prodotti: gli armatori marittimi.
Il loro numero, imprecisato, supera certamente alcune centinaia di unità.
Gli armatori, proprietari e gestori di una ragguardevole flotta petrolifera, di cui si dirà in dettaglio più avanti, noleggiano le loro navi ai venditori o ai compratori, per un singolo viaggio o
per un certo numero di viaggi o per un certo periodo di tempo durante il quale il noleggiatore
può disporre della nave a sua discrezione.
Alcune Società petrolifere sono esse stesse proprietarie di navi che gestiscono in genere per i
loro diretti fabbisogni.
Gli operatori successivi della filiera sono i raffinatori.
Ci sono nel mondo circa settecento raffinerie (Figura 47), appartenenti a Società che operano
in tutti o in alcuni soltanto dei settori della filiera. Alcune raffinerie poi appartengono a Società di servizio che si limitano solo a gestirle tecnicamente, affittandone la capacità ad operatori
terzi che forniscono il grezzo e ritirano i relativi prodotti.
L‟estensione del mercato petrolifero è il mondo intero e le sue dimensioni sono enormi: si
tratta cioè di un mercato “globale” di circa 3.2 miliardi di Ton/anno di grezzo e prodotti (Figura 48).
Da quanto detto emerge che effettivamente gli operatori sono molto numerosi e che
l‟estensione e le dimensioni del mercato sono veramente notevoli, ma rimane il dubbio che
questo mercato sia oggi “controllato” dall‟OPEC, che è indicato da tutte le fonti come “il cartello” internazionale del mercato petrolifero.
45
Capacità di raffinazione
ML Bbl/g
Lavorazioni
ML Bbl/g
Nord America
21.0
Nord America
17.8
Sud America
6.6
Sud America
5.5
Europa & Eurasia
25.1
Europa & Eurasia
20.7
Medio Oriente
7.6
Medio Oriente
6.4
Africa
3.2
Africa
2.5
Estremo Oriente
25.1
Estremo Oriente
22.3
Totale
Numero di raffinerie
88.6
Totale
700
Percentuale di utilizzo
Figura 47 – I raffinatori (Anno 2008)
Figura 48 – Estensione e dimensione del mercato
46
75.2
85%
In realtà i Paesi dell‟Organizzazione possiedono circa il 79% delle riserve petrolifere mondiali
e circa il 46% della capacità produttiva ( 6) di grezzo e questo è certamente un punto di forza,
ma il maggiore punto di debolezza dell‟OPEC consiste nel fatto che i suoi membri sono delle
Nazioni, spesso assillate da problemi sociali, politici ed economici che prevalgono sul rispetto
delle regole della Organizzazione stessa.
Per questa ragione l‟OPEC, nonostante tutto, non riesce a funzionare come un vero cartello
internazionale e l‟influenza delle sue “decisioni” sul mercato è meno importante di quanto
possa sembrare.
Qual è dunque il meccanismo attraverso il quale si forma il prezzo del grezzo sul mercato?
Il prezzo di mercato di un bene è, normalmente, il punto d‟incontro fra il valore che esso ha
per il consumatore ed il costo di produzione.
In questo caso il consumatore del grezzo è il raffinatore ed il valore del grezzo, per il raffinatore, è uguale al ricavo dei prodotti che da esso derivano meno i costi necessari per produrli
(Figura 49).
Questo concetto, che gli addetti ai lavori chiamano “net back”, porta a stabilire che il valore di
un grezzo dipende non solo dalla sua qualità, ma anche della complessità della raffineria in
cui è lavorato e dalla lontananza di questa dal luogo di produzione del grezzo. Ciò significa
anche che lo stesso grezzo ha un valore diverso per ogni raffineria o, in altri termini, che il
prezzo che i raffinatori sono disposti a pagare per acquistarlo non è lo stesso per tutti.
Anche il costo di produzione del grezzo è molto diverso da caso a caso e va da livelli molto
bassi, in alcuni casi inferiori a 5 $/Bbl, a livelli che superano i 20$/Bbl (Figura 50).
Ciò dipende da una molteplicità di fattori, fra cui: l‟ubicazione del giacimento (in terra, in mare, in zone impervie ecc.), la complessità geologica (profondità, natura del sottosuolo, ecc.), lo
stadio produttivo del giacimento (produzione primaria, secondaria, terziaria) ecc.
È evidente che, generalmente, un produttore non è disposto a vendere il suo grezzo ad un
prezzo inferiore al costo di produzione, per cui il prezzo che tende a stabilirsi sul mercato non
è inferiore al costo del grezzo marginale, ossia quello che ha il costo di produzione più alto
ma è ancora necessario per soddisfare la domanda.
Nonostante la semplificazione adottata nel descriverli, questi meccanismi sono alquanto com(6) Le 5 maggiori società petrolifere del mondo, ExxonMobil, BP, Shell, Total e ChevronTexaco, detengono
meno del 5% delle riserve petrolifere mondiali e circa il 15% della capacità produttiva di grezzo.
47
Ricavi dei prodotti – Costi di produzione
Ricavi
Costi
Grezzi leggeri
Complessità raffineria
Grezzi medi
Grezzi basso zolfo
Grezzi pesanti
Grezzi alto zolfo
Grezzi paraffinici
Grezzi vicini
Grezzi naftenici
Grezzi lontani
Figura 49 – Il valore del grezzo (net back)
Figura 50 – Costi di produzione del grezzo
48
plessi, ma ciò non impedisce che giorno per giorno o, meglio, trattativa per trattativa, i prezzi
si formino e le transazioni si concludano.
La Figura 51 mostra i prezzi medi del grezzo e dei principali prodotti petroliferi che si sono
verificati nell‟area del Mediterraneo nell‟anno 2008.
Ma quando si sente parlare di prezzo del grezzo, di quale grezzo si tratta?
Nel mondo esistono almeno un centinaio di tipi di grezzo, diversi per qualità e luogo di produzione. È evidente però che i relativi prezzi sono fra loro correlati in funzione proprio della
loro qualità e ubicazione. È, infatti, proprio così che si comporta il mercato: una volta fissato
il prezzo di un grezzo quelli di tutti gli altri risultano automaticamente determinati in funzione
di questi parametri.
Nasce così il concetto di “marker” che è il grezzo di riferimento. Una volta definito il suo
prezzo in base alle dinamiche del mercato, è possibile calcolare il prezzo degli altri grezzi
mediante “differenziali”, che sono uguali alla differenza di valore dovuta alla diversa qualità
ed alla differenza dei costi di trasporto dal luogo di origine ai diversi mercati.
In concreto, in alcune aree del mondo esistono dei mercati petroliferi fra cui i principali sono
il NWE (North West Europe), l‟Atlantic Basin (la costa atlantica degli Stati Uniti), il Pacific
Basin (la costa asiatica del Pacifico) e, meno importante ma più vicino a noi, il Mediterraneo
(Figura 52).
In ciascuna delle prime tre aree esiste un “marker” o grezzo di riferimento: il Brent nel North
West Europe, il WTI (West Texas Intermediate) nell‟Atlantic Basin e il Dubai nel Pacific Basin, rispetto ai quali tutti gli altri grezzi commercializzati nell‟area hanno un differenziale di
prezzo che si forma come detto sopra. Naturalmente anche i prezzi dei markers sono correlati
fra loro con lo stesso criterio.
Quanto fin qui detto vale per le grandi tendenze strutturali del mercato.
Il mercato petrolifero però è caratterizzato da una grande variabilità dei prezzi dovuta a fattori
congiunturali, sia dal lato della domanda che da quello dell‟offerta, e da fattori speculativi che
ne disturbano il regolare andamento.
I più frequenti fattori congiunturali relativi alla domanda sono le anomalie climatiche (temperature troppo alte o basse), i timori di difficoltà di approvvigionamento e le aspettative di aumenti o diminuzioni di prezzi. Quelli relativi all‟offerta sono principalmente le calamità naturali, gli eventi politici, gli scioperi e i guasti tecnici agli impianti.
49
Figura 51 – Prezzi medi del grezzo e dei principali prodotti
(Area del Mediterraneo – Anno 2008)
Atlantic Basin
North West Europe
Mediterraneo
Figura 52 – Principali mercati petroliferi
50
Asia Pacific
Fin qui per quanto riguarda il grezzo. Anche i prodotti petroliferi, però, sono scambiati su un
mercato internazionale analogo a quello del grezzo.
Come già accennato, il mercato internazionale dei prodotti è un mercato marginale in cui i
raffinatori smaltiscono il surplus dei prodotti che non trovano allocazione sui loro mercati
principali. È però un mercato di notevoli dimensioni su cui si muovono circa 1,2 miliardi di
Ton/a di prodotti e, come per il grezzo, è un mercato globale.
I prodotti trattati sono tutti quelli che si ottengono dalle lavorazioni del grezzo e, come per il
grezzo, esistono delle grandi aree geografiche che rappresentano i centri delle contrattazioni,
fra cui le più importanti sono il NWE, il Mediterraneo, New York Harbour, Singapore.
I prezzi si formano dalla libera contrattazione degli operatori commerciali, sulla base, come
sarà meglio spiegato in seguito, dell‟esistenza e del costo di prodotti alternativi che possono
essere usati per lo stesso scopo. Essi vengono riportati da alcuni listini specializzati, fra cui i
più autorevoli sono il Platts ed il Petroleum Argus che giornalmente raccolgono e diffondono
i prezzi minimi e massimi delle contrattazioni effettuate il giorno precedente.
La diffusione delle informazioni avviene tramite posta elettronica (fino a pochi anni fa a mezzo telex) a tutti gli operatori abbonati al servizio.
Non esiste al mondo operatore petrolifero che non abbia giornalmente sulla sua scrivania (o
nel suo PC) una copia del Platts. Su questi dati inoltre sono basati la maggior parte dei contratti di compravendita del settore petrolifero.
Sull‟attendibilità e sulla possibilità di manipolazione di questi dati si è a lungo discusso e indagato. Ma finora questi listini hanno superato ogni prova (anche un‟indagine fatta dalla Comunità Europea negli anni ‟70) e continuano ad essere i riferimenti più utilizzati nel settore.
I DEPOSITI COSTIERI ED I MERCATI NAZIONALI
I depositi costieri sono le porte di comunicazione fra il mercato internazionale ed i mercati
nazionali. Sono costituiti da grossi serbatoi, capaci di contenere le quantità trasportate dalle
petroliere, dalle relative attrezzature portuali, e nella maggior parte dei casi sono collegati ad
oleodotti attraverso cui i prodotti raggiungono il mercato entroterra.
La libertà di transito di tutti gli operatori attraverso queste strutture è il presupposto essenziale
per assicurare la libertà dei mercati nazionali.
I mercati interni di una nazione sono generalmente alimentati dai prodotti uscenti dalle raffi-
51
nerie ubicate sul territorio nazionale. Molto spesso tali prodotti transitano anch‟essi attraverso
i depositi costieri per raggiungere il mercato interno.
Le raffinerie però sono grandi complessi industriali che richiedono ingenti investimenti e sono
pertanto possedute da grandi Società petrolifere.
Non è difficile, quindi, che qualcuna di queste Società possa raggiungere una posizione dominante nel Paese e non è impossibile pensare che sia tentata di abusarne.
Se però, attraverso i depositi costieri, è garantito il libero accesso di altri operatori che si approvvigionano sul mercato internazionale, i prezzi che si stabiliscono nel mercato nazionale
non possono discostarsi molto da quelli del mercato internazionale aumentati del costo di
transito attraverso il deposito. In tal modo la libertà del mercato internazionale si trasferisce ai
mercati nazionali.
Sintomatica ed interessante, a questo proposito è la situazione italiana (Figura 53).
In Italia, infatti, la maggior parte della capacità di raffinazione è ubicata in Sicilia ed in Sardegna mentre la prevalenza dei consumi è concentrata nell‟Italia del Nord. Esistono quindi
grandi flussi di prodotti dalle isole verso i mercati interni peninsulari, attraverso numerosi depositi costieri, dei quali i più importanti sono ubicati a Genova e Venezia. In particolare poi,
da Genova alcuni oleodotti raggiungono la periferia di Milano.
Fra le società che servono il mercato interno (Figura 54) ve ne sono 12 che dispongono anche
di capacità di raffinazione, mentre numerose altre società commerciali si approvvigionano
dalle precedenti o dal mercato internazionale.
Alcuni grandi consumatori infine si approvvigionano direttamente sul mercato internazionale,
oltre che dai raffinatori italiani.
Sembrano esistere quindi le condizioni per un mercato nazionale sufficientemente libero, anche se non esente da una serie di altri problemi, sui quali non è possibile soffermarsi in questa
sede.
I prezzi dei prodotti petroliferi che interessano più da vicino la maggioranza delle persone sono quelli dei carburanti con i quali riforniamo le nostre automobili: la benzina e il gasolio.
L‟impressione comune è che questi prezzi siano tutti uguali e i mezzi di comunicazione non
perdono occasione per farcelo notare insinuando, o addirittura denunciando, che esistano taciti
accordi fra le società petrolifere per tenerli artificiosamente elevati.
52
15 Raffinerie (103 ML Ton/a)
Trecate
Busalla
Cremona
9 Raffinerie costiere (73 ML Ton/a)
Venezia
Mantova
Sannazzaro
5 Raffinerie su isole (55 ML Ton/a)
Falconara
Livorno
6 Raffinerie Nord Italia (30 ML Ton/a)
Roma
Mercato Nord Italia 45 ML Ton/a
Taranto
Sarroch
Flusso di prodotti da isole
Depositi costieri (Genova - Venezia)
Milazzo
Augusta
Flusso da Sud a Nord Italia
Priolo
Flusso da mercato estero a interno
Gela
Figura 53 - Struttura produttiva e logistica italiana
Operatori con strutture industriali
Agip
29.8
Api
4.6
Esso
12.9
Shell
3.9
K.P.I.
7.8
IP
2.8
Tamoil
7.5
IES
2.7
Erg
6.7
IPLOM
< 2.7
Total
5.9
Saras
< 2.7
Operatori commerciali
10.3
Importatori e Consumatori diretti
5.1
Figura 54 – Percentuali di copertura del mercato (Anno 2008)
53
In realtà, per i meccanismi descritti e sinteticamente riassunti nella Figura 55, i prezzi della
benzina e del gasolio sul mercato interno si formano con riferimento ai relativi prezzi del
mercato internazionale, che è lo stesso per tutti gli operatori, per cui le differenze di prezzo
fra i vari punti vendita possono derivare solo da efficienze sui costi di distribuzione che sono
una parte poco rilevante dei costi totali dei quali, in particolare, gli oneri fiscali rappresentano
oltre il 70%.
Un altro luogo comune è che i prezzi della benzina e del gasolio si muovono molto rapidamente quando il petrolio aumenta e molto lentamente quando diminuisce. Anche in questo caso i dati effettivi non confermano questa percezione. Le Figure 56 e 57 infatti riportano
l‟andamento delle medie mensili dei prezzi di questi prodotti sui due mercati durante l‟anno
2008 e mostrano che il fenomeno non ha carattere di sistematicità.
Un ultimo dato rilevante è riportato nella Figura 58 che mostra l‟andamento del numero e del
tipo dei punti vendita dei carburanti della rete italiana.
Come si può notare, il numero dei punti vendita si è ridotto notevolmente dal 1973 (anno della prima crisi energetica) fino a qualche anno fa e la loro tipologia è migliorata perché si sono
ridotti i piccoli chioschi e sono aumentate le stazioni che offrono servizi aggiuntivi oltre alla
semplice vendita di carburanti.
La riduzione del numero dei punti vendita è un fatto positivo per il consumatore perché si traduce in un aumento dei volumi erogati da ciascuno di essi e rende possibile la riduzione dei
costi unitari che incidono su ogni litro erogato e quindi il relativo prezzo di vendita. Inoltre la
maggiore complessità del punto vendita permette al gestore di ricavare i suoi margini dalla
vendita di altri prodotti e servizi oltre che dalla sola vendita dei carburanti e quindi di incidere
meno su questi ultimi con i suoi costi.
Purtroppo negli ultimi anni l‟introduzione di una norma, tesa a favorire una maggiore liberalizzazione del settore, ha provocato un‟inversione di tendenza nella riduzione del numero dei
punti vendita e di conseguenza una diminuzione dell‟erogato medio. Se questa nuova tendenza dovesse consolidarsi, l‟effetto sui prezzi potrebbe essere negativo.
CARATTERISTICHE CHIMICHE
Senza addentrarsi in una lezione di chimica organica, conviene ora soffermarsi brevemente su
alcune caratteristiche chimiche del petrolio, in modo da capire meglio alcune sue proprietà tipiche e la natura delle lavorazioni da eseguire in raffineria per poterlo utilizzare.
54
Prezzo
internazionale
Margine
gestore
Passaggio a
deposito
Trasporto
Perdite
Prezzo
industriale
Prezzo alla
pompa
Imposte
Figura 55 – Prezzi e costi dei carburanti per autotrazione
Figura 56 – Benzina – Medie mensili dei prezzi – Anno 2008
55
Figura 57 – Gasolio – Medie mensili dei prezzi – Anno 2008
1973
1980
Autostradali
1990
1995
2000
2005
2006
2007
457
466
465
457
461
459
Stazioni di
servizio
6523
6959
8150
8628
8840
9062
Stazioni di
rifornimento
8439
7585
7001
6250
6244
6480
13659
11775
7398
5963
5885
5311
1922
1415
886
1559
1020
1188
Chioschi
Altri
Totali
40000
39000
31000
28200
23900
22400
22450
22500
Erogato mc/a
670
610
966
1205
1479
1621
1618
1609
Figura 58 – Punti vendita carburanti in Italia (dati a fine anno)
56
Come già detto, il petrolio si presenta come un miscuglio di tanti prodotti.
Tutti i prodotti che esistono sulla terra, non solo quelli contenuti nel petrolio, sono formati
dalla combinazione, ossia dall‟unione, di meno di cento elementi semplici di base.
I prodotti che formano il petrolio sono costituiti, per la quasi totalità, da due soli elementi
chimici: l‟idrogeno ed il carbonio e perciò prendono il nome generico di idrocarburi.
Convenzionalmente gli elementi chimici sono indicati con una o più lettere che, per lo più,
sono le iniziali del loro nome. Il carbonio e l‟idrogeno sono indicati con le lettere “C” ed “H”
rispettivamente.
Le forze che tengono uniti fra loro gli elementi nei composti chimici si chiamano valenze. Esse agiscono come se fossero dei ganci di cui ogni elemento è dotato per legarsi con gli altri.
Ogni elemento ha un numero suo caratteristico di valenze; il carbonio ne ha quattro, mentre
l‟idrogeno ne ha una sola ed i modi in cui essi si possono legare fra loro sono teoricamente infiniti.
Vediamo in pratica come questo avviene.
Il più semplice dei prodotti, che il carbonio e l‟idrogeno possono formare combinandosi fra
loro, è quello costituito da un solo atomo di carbonio che lega a ciascuno dei suoi quattro ganci un atomo d‟idrogeno.
Il composto che così si forma ha un atomo di carbonio e quattro d‟idrogeno, si indica con
CH4, si chiama metano ed è il ben noto gas combustibile, oggi distribuito nella maggioranza
delle nostre case (Figura 59).
Un secondo prodotto, altrettanto semplice, è quello in cui due atomi di carbonio usano un
gancio, ciascuno, per legarsi fra loro, mentre sui tre ganci che restano a ciascuno di loro si legano tre atomi d‟idrogeno: il prodotto così formato, che ha quindi due atomi di carbonio e sei
d‟idrogeno, C2H6, si chiama etano (Figura 60).
Procedendo nella stessa maniera (Figura 61), tre atomi di carbonio legati fra loro con un legame e con i ganci rimanenti legati all‟idrogeno formano un prodotto che si chiama propano.
Da notare in questo caso che l‟atomo di carbonio intermedio usa due dei suoi ganci per legarsi
uno al C di “destra” e uno al C di “sinistra” e quindi gli rimangono solo due ganci per legare
due atomi d‟idrogeno.
Allo stesso modo, allungando la catena, si hanno il butano con quattro atomi di carbonio, il
57
Figura 59 – Struttura degli idrocarburi – Il metano CH4
Figura 60 – Struttura degli idrocarburi – L’etano C2 H6
58
pentano con cinque, l‟esano con sei, l‟eptano con sette, l‟ottano con otto ecc.
Come si vede si può teoricamente andare avanti all‟infinito. In pratica non si va oltre alcune
decine di atomi di carbonio perché le catene più lunghe tendono a dividersi in spezzoni più
piccoli.
E questa è solo una delle possibili serie degli idrocarburi. Essa è caratterizzata dal fatto che la
catena è lineare, ossia senza ramificazioni né anelli, e che gli atomi di carbonio sono legati fra
loro con una sola valenza. Questa serie si chiama delle normal-paraffine e la formula chimica
generale dei prodotti che la costituiscono è CnH2n+2 perché ogni atomo di carbonio intermedio
è legato a due atomi di idrogeno mentre i due estremi ne hanno uno in più per cui gli atomi di
idrogeno risultano essere il doppio degli atomi di carbonio più due.
A temperatura ambiente ed a pressione atmosferica, gli idrocarburi di questa serie che contengono fino a quattro atomi di carbonio sono gassosi, quelli fino a venti atomi sono liquidi e
quelli con più di venti atomi di carbonio sono solidi.
Un‟altra serie, abbastanza simile, è quella delle iso-paraffine. In questa gli atomi, anziché disporsi linearmente, si ramificano creando delle catene laterali che a loro volta possono procedere linearmente o ulteriormente ramificarsi (Figura 62).
Un‟altra serie ancora è quella delle olefine. L‟etilene è il primo prodotto di questa serie ed è il
capostipite dei prodotti che hanno dato origine alla petrolchimica.
L‟etilene è formato da due atomi di carbonio ma, a differenza dell‟etano, questi sono legati fra
loro con un doppio legame e quindi ciascuno di loro ha soltanto altri due ganci liberi per legare due atomi d‟idrogeno: C2H4 (Figura 63).
Due serie abbastanza diverse sono invece quella dei prodotti naftenici e degli aromatici (Figura 64), in cui la catena non si dispone linearmente, ma si chiude ad anello.
Nella serie dei naftenici ogni atomo di carbonio utilizza due valenze per legarsi ai due atomi
di carbonio adiacenti e le altre due per legarsi a due atomi d‟idrogeno.
Un idrocarburo di questa serie è, ad esempio, il cicloesano formato da sei atomi di carbonio e
dodici d‟idrogeno C6H12.
Nella serie degli aromatici invece ogni atomo di carbonio usa tre delle sue valenze per legarsi
ai due atomi di carbonio vicini, due da una parte e una dall‟altra, mentre la valenza residua
viene occupata da un atomo di idrogeno. Il prodotto più noto della serie degli aromatici è il
benzene formato da un anello di sei atomi di carbonio e sei atomi d‟idrogeno C6H6 .
59
Metano
Propano
Pentano
H
H-C-H
Etano
H
HHH
H-C-C-C-H Butano
HHH
HHHHH
H-C-C-C-C-C-H Esano
HHHHH
HH
H-C-C-H
HH
HHHH
H-C-C-C-C-H
HHHH
HHHHHH
H-C-C-C-C-C-C-H
HHHHHH
Figura 61 – Struttura degli idrocarburi – Le normal-paraffine Cn H2n+2
H
H-C-H
H
Iso-ottano H-C
H
H
H-C-H
H
C
H
C
C
H
H
C -H
H
H-C-H
H
Figura 62 - Struttura degli idrocarburi – Le iso-paraffine Cn H2n+2
60
Figura 63 – Struttura degli idrocarburi – L’etilene C2 H4
Nafteni
.
H
H-C
Aromatici
H
C-H
H
H-C
C-H
H
H-C
H-C
C-H
H-C
H
C-H
C-H
H-C
C-H
H
Cicloesano
Benzene
Figura 64 – Serie dei naftenici e degli aromatici
61
Gli altri prodotti di questa serie possono essere di due tipi: quelli che legano catene lineari ad
uno degli atomi di carbonio dell‟anello (toluene, xileni), e quelli che si formano legando altri
anelli lungo uno dei lati (naftaleni).
Non solo ognuna di queste serie, ma addirittura ognuno dei prodotti che le compongono ha
delle caratteristiche particolari che lo rendono diverso dagli altri ed idoneo per determinate
applicazioni.
Tuttavia, anche se le proprietà e le caratteristiche dei vari idrocarburi sono molto diverse fra
loro, le reazioni chimiche attraverso cui tutti gli idrocarburi forniscono energia sono sempre le
stesse e sono soltanto due:
Il carbonio (C) dell‟idrocarburo brucia, vale a dire reagisce con l‟ossigeno (O 2) dell‟aria, producendo anidride carbonica (CO2) e calore
C + O2 = CO2 + CALORE
L‟idrogeno (H2) dell‟idrocarburo brucia, cioè anch‟esso reagisce con l‟ossigeno (O 2) dell‟aria,
producendo acqua (H2O) e calore
2H2 + O2 = 2 H2O + CALORE
I prodotti della combustione degli idrocarburi sono quindi l‟anidride carbonica e l‟acqua.
Ricordiamo ora che anidride carbonica e acqua sono proprio quelle due sostanze che, con
l‟energia del sole si trasformano in materia organica vivente che è quella da cui gli idrocarburi
hanno tratto la loro origine.
Si potrebbe quindi affermare che gli idrocarburi sono una forma di energia rinnovabile perché
il ciclo si chiude e può ripetersi (Figura 65).
Purtroppo però lo stadio di formazione degli idrocarburi è estremamente lento e non tiene il
passo con l‟andamento dei consumi d‟energia, perciò quelli che si sono formati e accumulati
nel corso dei milioni di anni passati sono destinati ad esaurirsi inesorabilmente.
Una domanda che sorge a questo punto è: se i prodotti della combustione degli idrocarburi
62
sono così innocui perché si dice che il loro uso inquina l‟ambiente?
A questa domanda daremo una risposta esauriente più avanti, è però opportuno anticipare, fin
da ora, che molte forme di inquinamento derivano non tanto dagli idrocarburi ma dalle impurità presenti nel petrolio, particolarmente dallo zolfo.
TRASPORTI MARITTIMI E OLEODOTTI
I trasporti marittimi, com‟è facile intuire, hanno subito nel corso del ventesimo secolo uno
sviluppo paragonabile a quello del petrolio, ma con qualche particolarità non priva
d‟interesse.
Che il mercato del petrolio si estendesse a tutto il mondo fu chiaro fin dall‟inizio.
A quel tempo però, metà del diciannovesimo secolo, il trasporto delle merci via mare era ancora effettuato con le vecchie navi di legno i cui capitani non vedevano di buon occhio il trasporto di una merce tanto infiammabile e quindi tanto pericolosa.
Non parliamo poi dei marinai che nemmeno con la prospettiva di allettanti salari accettavano
un rischio così grande. Sembra, infatti, che l‟equipaggio di quella nave, che nel 1861 portò il
primo carico di kerosene da Filadelfia a Londra, fosse formato da marinai ubriacati e trascinati subdolamente a bordo.
Per fortuna però quel carico giunse sano e salvo a destino.
In questi primi trasporti il prodotto era contenuto in barili di legno stivati a bordo. Ben presto
però questi furono sostituiti da serbatoi metallici contenuti nello scafo della nave, che quindi
utilizzavano più efficientemente lo spazio disponibile.
Il primo vero sviluppo dei trasporti marittimi si ebbe quando si passò da scafi di legno a scafi
di ferro, il che permise di usare lo scafo stesso come serbatoio.
Le prime navi avevano una capacità di trasporto abbastanza piccola rispetto a quelle usate attualmente ma rilevante per quell‟epoca: poche migliaia di tonnellate “deadweight” (dwt).
Le tonnellate dwt misurano la capacità di trasporto, cioè le tonnellate totali che la nave è capace di caricare a bordo, che comprendono, oltre al carico che è la parte preponderante, anche
il bunker, l‟acqua, le vettovaglie e quanto altro sia trasportato.
Le dimensioni ed il numero delle petroliere aumentarono gradualmente durante la prima metà
del secolo ventesimo, tuttavia alla fine della seconda guerra mondiale la più grande petroliera
in circolazione non superava le ventimila tonnellate.
63
Il vero sviluppo cominciò verso la metà del secolo scorso, quando la produzione di grezzo del
Medio Oriente cominciò a crescere in modo considerevole ed il boom vero e proprio si ebbe
nel corso degli anni „60, alla fine dei quali la più grande petroliera in navigazione aveva una
stazza di 480.000 ton dwt e la capacità complessiva delle navi in attività superava i 200 milioni di ton.
Fino alla metà degli anni „50, il grezzo del Medio Oriente era prevalentemente lavorato nelle
raffinerie localizzate vicino alle zone di produzione ed un flusso imponente di prodotti, dest inati al nord ovest Europa, dai terminali del golfo persico, attraverso lo stretto di Hormuz,
l‟Oceano indiano, il Mar Rosso, il canale di Suez, il Mediterraneo e lo stretto di Gibilterra,
approdava nei porti belgi, olandesi e inglesi (Figura 66).
L‟Italia si trovava su questo percorso. Come un lungo molo proteso nel Mediterraneo rappresentava una posizione ideale per l‟ubicazione di raffinerie che potevano lavorare il grezzo del
Medio Oriente e smistarne i prodotti alle aree di consumo.
Quando il Medio Oriente diventò un‟area a rischio, a causa dei movimenti indipendentisti locali, fu questo appunto uno dei fattori che favorì il sorgere di un gran numero di raffinerie sulle coste italiane.
Un evento che ebbe una grande influenza sulla composizione della flotta delle navi cisterna fu
la chiusura del canale di Suez, per un periodo di cinque mesi nel 1957 e per ben otto anni dal
1967 al 1975.
La via alternativa per giungere dal Golfo Persico all‟Europa era la circumnavigazione
dell‟Africa, ma il tempo necessario a percorrere questa rotta era circa il doppio di quello attraverso il canale e perciò, per trasportare le stesse tonnellate, richiedeva un numero doppio di
navi.
Ci fu una corsa verso la costruzione di nuove navi e di nuove raffinerie situate in Europa e fu
subito evidente che:
Il flusso di prodotti si andava trasformando in un flusso di grezzo diretto alle nuove raffinerie europee
Sulla rotta intorno all‟Africa non c‟era più il problema dei bassi fondali del canale
di Suez e, quindi, si potevano utilizzare navi più grandi per il trasporto
Effettuando i trasporti con navi più grandi i costi unitari, ossia il costo per tonnellata trasportata, diventavano più bassi.
64
Energia
solare
Anidride Carbonica e
acqua nell’atmosfera
Ossigeno
dell’atmosfera
Calore
Materia organica
vegetale e animale
Processo di
fossilizzazione
Idrocarburi
Figura 65 – Il ciclo dell’energia nei fossili
Figura 66 – Le rotte del petrolio
65
Queste considerazioni portarono ad un cambiamento dei criteri di progettazione e spinsero a
realizzare navi più grandi. Nacquero così le cosiddette VLCC (Very Large Crude Carrier), che
avevano una stazza fino a 300.000 ton dwt, e poi le ULCC (Ultra Large Crude Carrier), la cui
stazza era superiore a 300.000 e raggiungeva quasi 500.000 ton dwt.
Non era facile far approdare navi del genere. Innanzi tutto erano pochi i porti europei che avevano fondali ed attrezzature per poterle attraccare, ma erano anche poche le raffinerie che
avevano una capacità di stoccaggio tale da ricevere tutto il grezzo che esse contenevano.
Queste navi quindi erano spesso adoperate per fare i tragitti lunghi, per esempio dal Golfo
Persico al Mediterraneo, per poi trasbordare, in mare aperto, su navi più piccole il grezzo destinato a più raffinerie. I costi erano un po‟ più alti, ma non tanto da annullare l‟economicità
rispetto all‟utilizzo di navi più piccole sull‟intero percorso.
Ma poi arrivarono le crisi energetiche. La prima in particolare, quella del 1973, arrivava in un
momento che era stato preceduto da anni di crescita vertiginosa dei consumi petroliferi.
Tutti gli addetti alle previsioni avevano, come il solito, estrapolato per gli anni futuri, lo stesso
andamento di crescita degli ultimi anni precedenti e tutti i responsabili delle decisioni avevano deciso di conseguenza. Il mondo era diventato un cantiere: nuove raffinerie, nuovi depositi, nuove attrezzature e anche nuove navi, naturalmente VLCC e ULCC.
Chi capì che quella era una svolta strutturale cancellò o ridusse le costruzioni in corso, ma ciò
non fu sempre possibile e non tutti lo fecero. E così nel corso degli anni ‟70 un gran numero
di queste petroliere continuò ad essere varato in tutti i cantieri del mondo.
La seconda crisi energetica del 1979-80 diede il colpo di grazia.
Non solo i consumi diminuivano anziché crescere al ritmo di prima, ma con i nuovi prezzi di
circa 37 $/Bbl (corrispondenti a 93 $/Bbl attuali), il valore del carico di una ULCC sfiorava i
130 milioni di dollari (250 attuali) e i rischi delle fluttuazioni dei prezzi di mercato ed i problemi di finanziamento e di assicurazione di valori così rilevanti ne rendevano proibitivo
l‟uso.
Nel giro di pochi anni la maggior parte delle ULCC e molte VLCC galleggiavano inerti in
qualche parte del mondo in attesa di qualcosa, che fu poi la rottamazione.
Navi con poco più di 10 anni di vita, veri gioielli di tecnica e automazione!
La costituzione della flotta petrolifera mondiale alla fine del 2008 è riportata nella Figura 67.
66
Il grezzo, i prodotti petroliferi ed il gas naturale possono anche essere movimentati attraverso
apposite tubazioni che prendono il nome di oleodotti e gasdotti.
È chiaro che questo è un modo semplice, pulito ed economico di trasporto tanto è vero che il
primo oleodotto per prodotti petroliferi, costruito agli albori dell‟era petrolifera negli Stati Uniti, fu distrutto dopo pochi mesi da una squadra di carrettieri infuriati perché avevano perso il
loro lavoro.
È facile capire quali siano le funzioni di questi oleodotti:
Gli oleodotti di grezzo servono a portare il grezzo dalla bocca di pozzo, onshore o offshore, ai terminali marittimi da cui viene poi esportato oppure dai terminali di ricezione alle raffinerie che non si trovano sulla costa.
Gli oleodotti per prodotti petroliferi servono per trasportare i prodotti dai terminali
marittimi o dalle raffinerie ai depositi interni per la distribuzione al consumo.
I gasdotti servono a trasportare il gas naturale dai pozzi di produzione alle aree di consumo.
Per lo più gli oleodotti ed i gasdotti sono interrati sia per ragioni di sicurezza sia per ridurre
l‟impatto delle condizioni climatiche sul prodotto trasportato, ma non mancano esempi di oleodotti fuori terra, specialmente in zone desertiche o scarsamente popolate.
In molti casi gli oleodotti e i gasdotti sono anche sottomarini. Questo avviene generalmente
per le produzioni offshore sia di olio che di gas, ma anche nei casi in cui le aree di produzione
e quelle di consumo sono divise dal mare (es. il gasdotto dall‟Algeria all‟Italia, o quello di più
recente costruzione dalla Libia all‟Italia).
Senza entrare in molti dettagli si può dire che le zone più dense di oleodotti sono gli Stati Uniti e l‟Europa centrale, in particolare la Germania.
Queste aree sono densamente popolate e molto industrializzate e se la movimentazione dei
prodotti energetici consumati dovesse avvenire con autocisterne, ferro-cisterne o chiatte fluviali l‟intasamento del traffico sarebbe colossale.
RAFFINAZIONE – LA SEPARAZIONE DEI PRODOTTI
Per comprendere a cosa servono le raffinerie bisogna ricordare che il grezzo è formato da una
miscela di tanti idrocarburi e contiene inoltre piccole quantità di impurità.
67
Le lavorazioni che si compiono nelle raffinerie hanno quindi principalmente tre scopi:
Separare gli idrocarburi in classi più omogenee, ossia formate da prodotti aventi un
numero di atomi di carbonio non molto diverso l‟uno dall‟altro.
Trasformare chimicamente alcuni idrocarburi in altri che abbiano delle proprietà
più appropriate all‟utilizzo che se ne vuole fare.
Ridurre le impurità inizialmente presenti nel grezzo e trasferitesi nei vari prodotti
durante le operazioni sopraddette fino a portarle al livello prescritto dalle leggi in
vigore
I prodotti che così si ottengono si chiamano “semilavorati”, perché devono essere sottoposti
ad un‟ulteriore operazione per diventare “prodotti finiti”, cioè pronti per essere utilizzati.
Quest‟operazione si chiama “blending” e consiste in una miscelazione dei semilavorati in dosi
opportune in modo da ottenere dei prodotti che abbiano le qualità desiderate.
La separazione degli idrocarburi si effettua con un metodo che si chiama distillazione.
Essa consiste nel separare gli idrocarburi sfruttando il fatto che essi bollono a temperature diverse l‟uno dall‟altro, ossia a temperature sempre più alte, man mano che cresce il numero di
atomi di carbonio da cui sono formati ( 7).
Una descrizione del processo di distillazione può essere fatta con un semplice esempio.
Se in una pentola, indicata con la lettera A nella Figura 68, si scalda dell‟acqua, man mano
che la temperatura aumenta, sulla sua superficie si forma del vapore. Quando la temperatura
dell‟acqua raggiunge 100 °C, anche se si continua a riscaldare, la temperatura non sale più, la
formazione del vapore diventa più rapida e si estende a tutta la massa. Le bolle di vapore che
salgono dal fondo mettono in agitazione l‟acqua provocando quel fenomeno che si chiama
ebollizione. La temperatura a cui questo avviene, 100 °C appunto, si chiama temperatura di
ebollizione dell‟acqua.
Il vapore emesso, se è raccolto con una cappa posta sopra la pentola e raffreddato con un liquido freddo che circola in un tubo incamiciato, condensa e riforma l‟acqua che può essere
raccolta in una pentola B. In questo modo si è ottenuta “l‟acqua distillata” che differisce da
quella contenuta nella prima pentola, perché non contiene i sali che c‟erano prima. I sali, infatti, non vaporizzano e restano nell‟acqua che rimane nella pentola A.
(7) Più precisamente questa regola è valida per idrocarburi appartenenti ad una stessa serie.
68
Stazza navi
Dwt
Stazza totale
(milioni di dwt)
Numero
10.000 – 75.000
3072
105
75.000 – 200.000
1252
144
498
147
4
2
4826
398
200.000 – 350.000
Oltre 350.000
Totale
Figura 67 – Composizione della flotta petrolifera mondiale (fine 2008)
A
B
B
Figura 68 – La distillazione
69
C
Questo processo di vaporizzazione e successiva condensazione si chiama distillazione.
Se adesso si ripete questo stesso esperimento mettendo nella pentola A alcool etilico invece di
acqua, tutto procede nello stesso modo, con l‟unica differenza che la temperatura che si raggiunge nella pentola non è più di 100 gradi, ma 78 gradi, che è la temperatura di ebollizione
dell‟alcool etilico.
Se ripetiamo ancora l‟esperimento mettendo nella pentola A una miscela di acqua e alcool
succede una cosa leggermente diversa.
Poiché l‟alcool ha una temperatura di ebollizione più bassa dell‟acqua, i primi vapori che si
formano contengono percentualmente più alcool che acqua e quindi se questi vapori sono
condensati e raccolti nella pentola B producono un liquido che contiene anch‟esso una percentuale di alcool più alta del liquido iniziale.
Più precisamente, quando la temperatura raggiunge 78 °C, cioè la temperatura di ebollizione
dell‟alcool, essa non si ferma a questo livello, come avviene nel caso dell‟alcool puro, ma
continua ad aumentare fino a raggiungere la temperatura di ebollizione dell‟acqua (100 °C). A
questo punto tutto l‟alcool che si trovava inizialmente nella pentola A è evaporato ed il liquido che vi rimane contiene soltanto acqua.
Tutti i vapori formatisi in quest‟intervallo contengono percentualmente più alcool che acqua e
quindi, quando sono condensati e raccolti nella pentola B, formano un liquido che contiene
anch‟esso una percentuale di alcool più alta rispetto al liquido di partenza.
Se sul liquido raccolto nella pentola B si ripete ancora una volta questo processo, i vapori che
si ottengono ed il liquido che si raccoglie nella pentola C, si arricchiscono ancora di alcool
finché, se il processo è ripetuto un certo numero di volte, l‟ultimo liquido ottenuto contiene
praticamente solo alcool.
In questo modo, grazie alla differenza della loro temperatura di ebollizione, si è ottenuta la
separazione dell‟acqua e dell‟alcool contenuti nella miscela di partenza. ( 8)
I diversi idrocarburi presenti nel grezzo hanno temperature di ebollizione diverse anche se, a
volte, molto vicine fra loro.
La temperatura di ebollizione degli idrocarburi di una stessa serie (paraffine, aromatici ecc.) è
(8) In realtà la separazione acqua - alcool etilico non si ottiene in modo completo con una semplice distillazione. Non è il caso, in questa sede, di addentrarsi in argomenti che esulano dallo scopo di questa nota. I due liquidi sono stati utilizzati nell‟esempio perché sono familiari anche a chi ha una scarsa conoscenza dei prodotti
chimici.
70
in genere crescente al crescere degli atomi di carbonio, da valori molto bassi, es. –42 °C per il
propano, a valori molto alti, superiori a 400 °C (Figura 69).
Se il grezzo, posto in un recipiente, viene riscaldato, per esempio a 350 °C, produce dei vapori
che contengono una maggiore quantità di idrocarburi più leggeri, con temperatura di ebollizione più bassa di 350 °C, perciò nel recipiente rimangono quelli più pesanti, che hanno una
temperatura di ebollizione più alta di 350°C.
Se i vapori sono raccolti e condensati si ottiene un liquido, più leggero del grezzo originario, e
formato anch‟esso da tanti idrocarburi.
Se questo liquido è nuovamente riscaldato, per esempio a 250 °C, i vapori che si sprigionano
contengono una maggiore percentuale di idrocarburi con temperature di ebollizione inferiore a
250 °C, mentre nel recipiente rimangono quelli che hanno una temperatura di ebollizione
compresa fra 250 e 350 °C.
Ripetendo questo processo più volte, il grezzo originario può essere suddiviso in frazioni formate da idrocarburi aventi temperature di ebollizione comprese in determinati intervalli decrescenti, o in altri termini in frazioni che contengono idrocarburi sempre più leggeri.
In raffineria questo processo avviene in modo continuo in un apparecchio che si chiama “colonna di distillazione” o di “topping”, che è un serbatoio cilindrico verticale nel cui interno si
trova una serie di caldaie, disposte una sopra l‟altra (anziché una a fianco dell‟altra, come
nell‟esempio fatto).
Il grezzo, già riscaldato ad una temperatura di 350°C, entra continuamente nella caldaia che si
trova più in basso.
I vapori che si levano da questa caldaia passano in quella che si trova subito sopra dove condensano facendo evaporare il liquido che essa contiene, questo a sua volta passa alla caldaia
superiore e così via.
In tal modo lungo l‟altezza della colonna, nelle varie caldaie sovrapposte, si concentrano idrocarburi sempre più leggeri che possono essere spillati lateralmente e raccolti fuori della colonna stessa.
Nessuna di queste frazioni, o “tagli” come usa chiamarli, è ancora un prodotto finito. Essi sono semilavorati che servono per le lavorazioni o per le miscelazioni successive.
Tipicamente (Figura 70), partendo dall‟alto della colonna, essi sono:
71
Paraffine
Aromatici
°C
Metano
°C
-161
Benzene
80
Etano
-89
Toluene
111
Propano
-42
P-Xilene
138
Butano
-1
M-Xilene
139
Pentano
36
O-Xilene
144
Esano
69
Eptano
98
Ottano
126
Figura 69 – Temperatura di ebollizione di alcuni idrocarburi
C1- C4
C3- C4
Virgin nafta C5 - C9
Gas
GPL
Benzina
Kerosene C10 - C14
Jet Fuel
Gasolio C15 - C25
Gasolio motori
Gasolio riscald.
Grezzo
Residuo > C25
Olio combustibile
Figura 70 – Schema semplificato di una raffineria
72
Il gas, che contiene gli idrocarburi più leggeri cioè quelli la cui molecola è formata
da 1 a 4 atomi di carbonio, che si chiamano rispettivamente: metano, etano, propano e butano. Comprimendo questo gas il propano ed il butano diventano liquidi e
costituiscono il GPL (Gas di Petrolio Liquefatto), mentre il metano e l‟etano restano allo stato gassoso e sono utilizzati come combustibili nella raffineria stessa.
La virgin nafta, che contiene gli idrocarburi da 5 a 9 atomi di carbonio ed è usata
per la produzione di benzina, attraverso ulteriori lavorazioni in altri impianti della
raffineria.
Il kerosene, che contiene gli idrocarburi da 10 a 14 atomi di carbonio e serve, principalmente, per produrre il carburante per i motori degli aerei a reazione (jet fuel).
Il gasolio, che contiene gli idrocarburi da 15 a 25 atomi di carbonio ed è usato per
produrre il gasolio per riscaldamento e per autotrazione.
Il residuo, che contiene gli idrocarburi con più di 25 atomi di carbonio ed è usato,
principalmente, per la produzione dell‟olio combustibile e del bitume.
Il GPL, la benzina, il jet fuel, il gasolio e l‟olio combustibile sono i prodotti principali di una
raffineria. Oltre ad essi, con lavorazioni più complesse, sulle quali però non ci addentriamo,
se ne producono anche altri, quali i solventi, i lubrificanti, i bitumi ecc., largamente utilizzati
in molteplici applicazioni.
Potremmo chiederci ora perché i prodotti ottenuti dalla distillazione non possono essere utilizzati direttamente, ma hanno bisogno di ulteriori lavorazioni.
Per rispondere a questa domanda abbiamo bisogno di introdurre due nuovi concetti:
la specifica dei prodotti
il valore dei prodotti.
I prodotti petroliferi, pur essendo delle miscele più omogenee del grezzo, restano pur sempre
un insieme di idrocarburi diversi. Essi in genere sono usati per fornire energia in modi e con
attrezzature diverse, quindi devono avere delle caratteristiche chimico-fisiche adatte alle attrezzature ed ai modi con cui sono utilizzati. Perciò non è tanto importante definire quali idrocarburi devono essere utilizzati per fare un certo prodotto, ma piuttosto quali caratteristiche
deve avere il prodotto per poter essere utilizzato. Ad esempio la benzina, per fornire energia
in un motore, deve avere delle caratteristiche particolari senza le quali il motore non riuscirebbe a funzionare; l‟insieme di queste caratteristiche costituisce la “specifica” della benzina.
73
Per meglio chiarire questo concetto ed anche per illustrare, come s‟era a suo tempo detto, il
modo in cui l‟energia chimica (degli idrocarburi) si trasforma in energia meccanica, daremo
ora alcune nozioni elementari sui motori e sul loro funzionamento.
IL MOTORE
Il motore è un apparecchio col quale si trasforma energia termica in energia meccanica.
Esso è costituito (Figura 71) da un cilindro, all‟interno del quale scorre un pistone che lo divide in due parti, in una delle quali agisce il fluido che fornisce l‟energia termica. Dalla parte
opposta una biella, collegata al pistone e, in modo eccentrico, ad una ruota, trasforma il movimento rettilineo alternato del pistone nel moto rotatorio della ruota.
L‟energia termica posseduta dal fluido è ottenuta per trasformazione dell‟energia chimica di
un combustibile fossile (carbone o idrocarburi) o da un‟altra fonte energetica primaria (nucleare, solare, geotermica).
Il riscaldamento del fluido può essere effettuato all‟esterno o all‟interno del cilindro motore.
Nel primo caso, il fluido è generalmente vapor d‟acqua e l‟applicazione più familiare è il motore del treno a vapore. Il vapore è ottenuto riscaldando acqua in una caldaia a pressione ed è
immesso nella camera del cilindro motore delimitata dal pistone. Poiché dall‟altro lato del pistone c‟è la pressione atmosferica, il vapore si espande e spinge il pistone, che trasmette il
moto alla ruota.
Giunto a fine corsa, il pistone è riportato indietro dalla forza d‟inerzia della ruota e comincia a
muoversi nell‟altro verso. A questo punto si chiude la valvola, attraverso cui era stato immesso il vapore, e si apre l‟altra valvola che mette in comunicazione il cilindro con l‟esterno. Il
vapore, a bassa pressione e raffreddatosi per l‟espansione, viene così scaricato. Una parte
dell‟energia, che possedeva all‟ingresso nel motore, si è trasformata in energia meccanica che
è stata trasmessa alla ruota, ma una parte si è dovuta scaricare all‟esterno per permettere di
svuotare il cilindro e ripetere il ciclo.
È ora il caso di sottolineare che l‟esterno del cilindro si chiama “ambiente”.
Quanto descritto ha due implicazioni molto importanti, che sono valide in tutte le trasformazioni e applicazioni dell‟energia:
non tutta l‟energia posseduta dalla sorgente energetica può essere utilizzata ovvero,
con linguaggio più tecnico, il rendimento energetico di qualsiasi apparecchiatura
74
Figura 71 – Il motore
TC
TE
TF
0 °K
Gas
Vapore
Liquido
Solido
Figura 72 – Stati fisici della materia
75
che utilizza energia è inferiore a 1
ogni trasformazione o utilizzazione di energia è accompagnata, necessariamente,
da un impatto sull‟ambiente.
Sul secondo di questi due punti torneremo più diffusamente in seguito.
Come si è detto, il riscaldamento del fluido energetico può anche avvenire all‟interno del cilindro motore e, in tal caso, si parla di motore a combustione interna o a scoppio. Gli esempi
più noti sono i motori delle auto, a benzina o a gasolio.
Il motore a benzina differisce dagli altri principalmente perché sul fondo fisso del cilindro è
inserito un dispositivo, la candela, che produce una scintilla a intervalli regolari. Il suo funzionamento avviene, normalmente, in quattro tempi o fasi:
all‟inizio della prima fase, il pistone si trova nella posizione più vicina alla testa
del cilindro per cui il volume della camera del fluido è minimo. Esso si muove verso la parte opposta (9) mentre, contemporaneamente, si apre la valvola di immissione del fluido, costituito da una miscela di aria e vapori di benzina, che viene così aspirato nella camera
nella seconda fase, il pistone, giunto a fine corsa, torna indietro mentre la valvola
di immissione si chiude. Il fluido viene così compresso e la sua temperatura aumenta. Quando il pistone giunge a fine corsa la candela produce una scintilla, i vapori di benzina prendono violentemente fuoco (scoppio) e producono un ulteriore
aumento di temperatura e pressione dei prodotti della combustione e dell‟aria ad
essi miscelata. In questa fase l‟energia chimica della benzina si trasforma in energia termica. Lo scoppio spinge indietro il pistone trasformando così, solo in questa
fase, l‟energia termica in energia meccanica, che attraverso la biella si trasferisce
alla ruota
quando il pistone giunge a fine corsa viene sospinto indietro per inerzia. Durante
questa fase si apre la valvola di scarico ed i prodotti della combustione sono scaricati nell‟ambiente.
In modo analogo funziona il motore a gasolio che però presenta rispetto a quello a benzina alcune differenze sostanziali. Esso non è dotato di candela e nella prima fase non aspira una mi(9) Quando si comincia da motore fermo, i primi due movimenti del pistone devono essere effettuati utilizzando un apparato esterno, manuale (come la manovella di un tempo) o automatico (come il motorino elettrico di
avviamento). Successivamente, a motore avviato, essi avvengono per inerzia.
76
scela d‟aria e vapori di carburante ma soltanto aria. Durante la seconda fase, la compressione
fa aumentare grandemente la temperatura dell‟aria e, alla fine di questa fase, il gasolio viene
iniettato nella camera di combustione. A contatto con l‟aria rovente il gasolio prende fuoco e
produce lo scoppio che per la benzina è invece provocato dalla scintilla della candela.
Le fasi di espansione e di scarico sono uguali a quelle del motore a benzina.
LE SPECIFICHE DEI PRODOTTI PETROLIFERI
Dall‟esperienza quotidiana sappiamo che il motore a benzina non funziona col gasolio e viceversa. Sappiamo anche che fino a poco tempo fa esistevano diversi tipi di benzina: la super, la
normale, la verde, la rossa e dovevamo stare attenti a cosa usare nella nostra macchina.
Problemi simili si presentano anche in tutti gli altri utilizzi di prodotti petroliferi: i carburanti
per aerei, i lubrificanti, i bitumi ecc.
In ogni applicazione di un prodotto petrolifero esistono almeno tre categorie di persone coinvolte: il progettista dell‟apparecchiatura, il fornitore del prodotto e l‟utente di entrambe queste
cose.
Il progettista deve sapere di quale prodotto può disporre o, eventualmente, quale prodotto
speciale può richiedere al fornitore per progettare e costruire la sua apparecchiatura.
Il fornitore del prodotto, cioè il raffinatore, deve sapere di quali prodotti ha bisogno il mercato
e come la sua raffineria li può produrre.
L‟utente deve sapere, per ogni apparecchiatura che usa, quali prodotti deve acquistare.
C‟è infine l‟esigenza sociale che l‟impatto sull‟ambiente sia contenuto entro i limiti previsti
dalle norme vigenti.
L‟armonizzazione di tutte queste esigenze si ottiene con la definizione delle caratteristiche
che il prodotto deve possedere, per essere utilizzato in quella particolare applicazione.
L‟elenco di tali caratteristiche si chiama “specifica” del prodotto in questione.
Le specifiche sono emesse da appositi Enti (UNI, CUNA,EN ecc.) che definiscono anche i
metodi di analisi con cui le varie caratteristiche devono essere misurate per accertare la corrispondenza del prodotto con le specifiche.
Esse possono subire delle modifiche nel tempo per adeguarsi alle innovazioni tecnologiche
che intervengono nelle apparecchiature utenti o ai miglioramenti qualitativi richiesti dalle
normative ecologiche sempre più stringenti.
77
Quando un prodotto è immesso sul mercato il produttore garantisce che esso sia rispondente
alle specifiche commerciali. Eventuali discrepanze, se fatte in mala fede, costituiscono una
frode commerciale e sono perseguibili per legge.
La specifica di ogni prodotto contiene un notevole numero di caratteristiche che devono essere contemporaneamente rispettate.
Riportiamo qui di seguito, per i principali prodotti, alcune delle caratteristiche più importanti
contenute nelle relative specifiche:
Benzina
Una delle più note ed importanti caratteristiche di una benzina è il numero di ottano.
Un problema che si può presentare nel motore a benzina è che la miscela d‟aria e benzina, durante la fase di compressione, scoppi prima che scocchi la scintilla della candela e quindi prima che il pistone sia arrivato a fine corsa. Questo scoppio intempestivo si individua facilmente perché si sente uno strano rumore di ferraglie nel motore e si dice che il motore “batte in
testa”.
Esso provoca una perdita di potenza perché frena il pistone nella sua corsa e, se la cosa si ripete con una certa frequenza, arreca al motore dei danni meccanici rilevanti.
La capacità di una benzina di sopportare elevate pressioni senza deflagrare è indicata da una
grandezza convenzionale che si chiama “numero di ottano”.
Il numero di ottano è una grandezza empirica ossia, per convenzione, si è assegnato un numero di ottano uguale a 100 all‟iso-ottano (2-2-4-trime-tilpentano), che è un idrocarburo che
sopporta notevoli pressioni senza deflagrare, ed un numero di ottano uguale a zero all‟eptano
che invece deflagra molto più facilmente. Le miscele di questi due idrocarburi hanno un numero di ottano pari alla percentuale di iso-ottano contenuto, ossia una miscela con il 90% di
iso-ottano e 10% di eptano ha un numero di ottano di 90 e così via.
Per misurare il numero di ottano di una benzina la si usa come carburante in un particolare
motore di laboratorio, dotato di strumenti che permettono di determinare la sua capacità di resistenza alla detonazione. Poi nello stesso motore vengono immesse, una dopo l‟altra, varie
miscele di iso-ottano ed eptano (di composizione e quindi di numero di ottano noti) e si assegna alla benzina il numero di ottano della miscela che presenta la stessa capacità di resistenza
78
alla detonazione.
L‟aggiunta di alcuni additivi a base di piombo, come il piombo tetrametile ed il piombo tetraetile, permette di migliorare il numero di ottano delle benzine.
In Italia fino a qualche anno fa erano commercializzati due tipi di benzina, la eurosuper senza
piombo con un numero di ottano di 95 e la super con 0.15 gr/lt di piombo con numero di ottano di 97. La commercializzazione di quest‟ultima, in ottemperanza alle direttive dell‟Unione
Europea, è cessata dal 1 gennaio 2002.
Le due benzine, in pratica, erano identiche. L‟aggiunta dell‟additivo nella seconda aveva il solo effetto di elevare il suo numero di ottano di 2 punti.
Le benzine che contengono piombo non possono essere usate nelle auto che hanno la marmitta catalitica, perché il piombo che passa negli scarichi avvelenerebbe il catalizzatore che si
trova nella marmitta. Nulla vieta invece di usare le benzine senza piombo nelle macchine che
non hanno la marmitta catalitica. L‟unica cosa cui bisogna badare in questo caso è che il motore della macchina sia adatto a funzionare con una benzina che ha un numero di ottano più
basso.
Un‟altra caratteristica contenuta nella specifica della benzina è il contenuto massimo ammissibile di benzene. Il benzene è un idrocarburo della serie degli aromatici, considerato cancerogeno. Il contenuto massimo ammissibile è stato ridotto qualche anno fa da 5% a 1%.
Jet Fuel
Il jet fuel è sostanzialmente il cherosene che, come si ricorderà, è stato il capostipite dei prodotti petroliferi ed era usato nelle lampade per illuminazione. Quest‟uso è ormai scomparso.
Più recentemente poi il cherosene, distribuito in taniche da 20 litri, è stato utilizzato come
combustibile da riscaldamento nelle stufe in campagna ed in montagna, ma anche questo utilizzo va rapidamente scomparendo.
L‟uso, molto più nobile, che adesso si fa di questo prodotto è di carburante per i motori a reazione degli aerei.
Fra le varie caratteristiche richieste a questi carburanti ci sono:
la temperatura di congelamento, che deve essere inferiore a -47°C, per evitare che
il carburante congeli nei serbatoi quando gli aerei volano a quote di 9-10.000 metri
79
dove la temperatura esterna è appunto di questo ordine di grandezza.
il contenuto di acqua, che deve essere praticamente nullo perché a tali temperature
si potrebbero formare tracce di ghiaccio che otturerebbero filtri ed ugelli.
il punto di fumo, cioè‟ la capacità del prodotto di bruciare senza fare fumo. Il fumo
è indice di combustione incompleta e, quindi, inefficiente e inquinante. La determinazione del punto di fumo si fa, ancora una volta, in modo empirico per confronto con miscele di prodotti che fanno da riferimento standard. In generale la
presenza di prodotti insaturi (cioè con atomi di carbonio uniti da doppi legami come le olefine e gli aromatici) è responsabile di combustioni incomplete e quindi
del fumo, mentre le paraffine, che sono prodotti saturi, hanno una combustione
migliore e senza fumo.
Gasolio per motori
Nel motore diesel, come si è detto, alla fine della fase di compressione viene iniettato il gasolio che, a contatto con l‟aria rovente, scoppia e spinge il pistone.
Per una combustione completa ed efficiente è importante che la fiamma si propaghi rapidamente in tutta la massa di combustibile.
La qualità d‟accensione del gasolio per motori, ossia la facilità con cui si accende e la rapidità
con cui la combustione si propaga, è misurata da un indice convenzionale che si chiama numero di cetano.
Il cetano è un idrocarburo della serie paraffinica, costituito da sedici atomi di carbonio, che è
caratterizzato da elevata facilità di accensione e rapidità di propagazione della combustione.
Ad esso si attribuisce un numero di cetano pari a 100.
L‟alfa-metil-naftalina, un idrocarburo della serie aromatica costituito da 11 atomi di carbonio,
ha invece caratteristiche molto scadenti di accensione e propagazione della combustione. Ad
esso si attribuisce un numero di cetano uguale a zero.
Alle miscele di questi due idrocarburi si attribuisce un numero di cetano uguale alla percentuale di cetano presente nella miscela.
La misura del numero di cetano di un gasolio si effettua in laboratorio con un motore di prova
per confronto delle sue caratteristiche di combustione con quelle di miscele note di cetano e di
alfa-metil-naftalina, allo stesso modo con cui si determina il numero di ottano per le benzine.
80
Il numero di cetano del gasolio autotrazione utilizzato nei paesi europei deve essere almeno
uguale a 51.
Un‟altra caratteristica riportata nelle specifiche del gasolio per motori è il “cloud point” o
punto di intorbidamento. Esso rappresenta quella temperatura al di sotto della quale il gasolio
comincia intorbidirsi per il congelamento di alcuni idrocarburi suoi costituenti. I primi idrocarburi a congelare e a formare dei cristallini sono le paraffine.
I cristallini che si formano possono intasare filtri ed ugelli del motore ed impedirne il buon
funzionamento e, infatti, d‟inverno, se la temperatura esterna è inferiore al punto di intorbidamento del gasolio, il motore diesel parte con difficoltà o non parte per niente.
Per abbassare il cloud point bisogna ridurre percentualmente gli idrocarburi pesanti presenti
nel gasolio e aumentare quelli leggeri, per esempio, con l‟aggiunta di kerosene.
In questo modo si possono produrre tipi di gasolio con basso cloud point, adatti per essere utilizzati anche in zone rigide durante il periodo invernale.
Un‟altra caratteristica prescritta dalle specifiche è il tenore massimo di zolfo che il gasolio
può contenere. Lo zolfo nel gasolio motori deve essere tenuto a valori bassi per evitare corrosioni nel motore, ma soprattutto per limitarne il contenuto negli scarichi che si riversano
nell‟ambiente.
Proprio per la seconda ragione, le specifiche del contenuto di zolfo nel gasolio sono state modificate abbastanza frequentemente nel recente passato per ridurne il livello.
Il tenore di zolfo ammesso nel gasolio autotrazione fino alla fine del 2004 era di 0.035%, inferiore di quasi dieci volte a quello dello 0.3% di non più di 10 anni prima. Esso è stato ulteriormente ridotto a 0.005% dall‟inizio del 2005, e a 0.001% dall‟inizio del 2008.
Questo ha richiesto un continuo aggiornamento e potenziamento degli impianti di desolforazione delle raffinerie e di conseguenza ha comportato una continua lievitazione dei costi di
lavorazione e quindi del prezzo del prodotto.
Gasolio per riscaldamento
Le caratteristiche di un gasolio per riscaldamento, tranne che per il numero di cetano e,
dall‟inizio del 2005, per il tenore di zolfo, non sono molto diverse da quelle di un gasolio per
motori.
81
Il numero di cetano non è importante in questo caso perché la combustione nelle caldaie di riscaldamento avviene tramite dei bruciatori in maniera più semplice e, in ogni modo, completamente diversa da quella dei motori.
Rimangono invece ugualmente valide le considerazioni, già fatte per il gasolio motori, circa il
cloud point.
Lubrificanti
I lubrificanti finiti sono prodotti speciali che, normalmente, non sono fabbricati nelle raffinerie, ma in appositi piccoli stabilimenti, per lo più localizzati vicino alle aree di consumo, in
cui si effettuano le varie miscelazioni, formulazioni, aggiunta di additivi e imbottigliamento
con cui si arriva al prodotto finito.
In raffineria si producono invece quelle che si chiamano “basi per lubrificanti”, che sono gli
oli di base utilizzati per queste miscelazioni.
Anche le basi però sono prodotte solo in alcune raffinerie specializzate, dotate di impianti particolari.
La caratteristica più importante degli oli lubrificanti è la viscosità, ossia la capacità dei vari
strati dell‟olio di scorrere l‟uno rispetto all‟altro. Più alta è la viscosità, più difficile è questo
scorrimento.
La viscosità di un fluido varia con la temperatura e, precisamente, diminuisce al crescere di
essa.
La temperatura di una macchina normalmente è bassa all‟inizio del funzionamento ed aumenta successivamente. In quest‟escursione il lubrificante non deve essere troppo viscoso a freddo e non deve diventare troppo fluido a caldo, per compiere bene la sua funzione in tutte le
fasi di funzionamento.
Fino ad alcuni anni fa, i lubrificanti per autotrazione erano diversi fra l‟estate e l‟inverno e
dovevano essere cambiati ad ogni cambiamento di stagione.
Attualmente si è trovato il modo, grazie ad alcuni additivi, di rendere la viscosità dei lubrificanti meno sensibile alle variazioni di temperatura e quindi questi cambi stagionali non sono
più necessari.
Con gli additivi si possono conferire ai lubrificanti molte altre proprietà che li rendono adatti
82
ai più svariati usi cui sono destinati.
Addentrarsi in questo campo diventa però materia per specialisti.
Olio combustibile
Anche per l‟olio combustibile la viscosità è la caratteristica più importante perché dà una indicazione delle difficoltà che s‟incontrano per movimentarlo.
L‟olio combustibile è un prodotto utilizzato in situazioni molto diverse, che vanno da industrie molto organizzate (centrali termoelettriche, grandi stabilimenti produttivi ecc.) a piccole
realtà a carattere familiare. È quindi diversa la disponibilità di mezzi ed attrezzature per movimentare il prodotto.
Se esiste la possibilità di mantenere l‟olio combustibile continuamente ed efficacemente riscaldato, si può anche usare un prodotto a viscosità elevata (in genere meno costoso), se invece il riscaldamento è impossibile o inaffidabile è opportuno utilizzare un combustibile a più
bassa viscosità, che non ha quindi bisogno di essere riscaldato per essere pompato.
La viscosità di un olio combustibile si può modificare graduando la quantità di gasolio che si
aggiunge durante la sua preparazione, nella fase di miscelazione (blending). Per ridurre la viscosità bisogna aggiungere più gasolio e, quindi, i combustibili a bassa viscosità sono più costosi.
Un‟altra caratteristica di una certa importanza è la densità.
L‟olio combustibile si produce soprattutto con i residui che sono i prodotti più pesanti delle
lavorazioni di raffineria; come tutti gli idrocarburi anche questi in genere hanno una densità
inferiore a quella dell‟acqua, ma capita in qualche caso che essi siano invece più pesanti
dell‟acqua.
Questo costituisce un pericolo latente da evitare. Infatti, tutte le apparecchiature che utilizzano
prodotti petroliferi sono basate sul principio che essi sono più leggeri dell‟acqua e non miscibili con essa. Quando si trovano insieme in un recipiente, infatti, acqua e idrocarburi si dividono in due strati, di cui quello inferiore è formato dall‟acqua e quello superiore dagli idrocarburi. Se però l‟idrocarburo è più pesante dell‟acqua la stratificazione s‟inverte e
l‟idrocarburo si dispone sotto anziché sopra l‟acqua. Questa disposizione, essendo diversa
dalle assunzioni di base della progettazione delle apparecchiature, può portare ad errati fun-
83
zionamenti con conseguenze che possono anche creare situazioni pericolose.
La caratteristica più importante, contenuta nelle specifiche dell‟olio combustibile, è la percentuale massima ammissibile di zolfo. I limiti sempre più restrittivi prescritti per questa caratteristica porteranno molto probabilmente alla scomparsa di questo prodotto da molti degli usi
energetici attuali.
In relazione al livello di zolfo ammesso, esistono sul mercato due tipi di olio combustibile:
L‟olio combustibile ATZ (alto tenore zolfo), la cui specifica prevede un tenore massimo di zolfo del 3%
L‟olio combustibile BTZ (basso tenore zolfo), la cui specifica prevede un tenore massimo di 1% di zolfo.
Esistono anche, in alcuni mercati, oli combustibili con tenori di zolfo di 0,3% e anche 0,25%,
ma non sono molto comuni.
Concludendo quest‟argomento, è bene ripetere che quelle sopra riportate sono soltanto alcune
delle caratteristiche contenute nelle specifiche d‟ogni prodotto trattato. Le altre coprono aspetti del comportamento dei singoli prodotti, importanti soprattutto per gli addetti ai lavori.
Diventa chiaro inoltre che il grezzo, tal quale, ed i prodotti petroliferi che si ottengono con
una semplice separazione degli idrocarburi contenuti, non avendo per natura le caratteristiche
richieste per i vari usi, hanno bisogno di notevoli trasformazioni per essere utilizzati. È questo
appunto uno dei compiti della raffineria.
IL VALORE DEI PRODOTTI
L‟altro aspetto importante che influenza il funzionamento di una raffineria, oltre
all‟ottenimento delle caratteristiche previste nelle specifiche, è il valore di mercato dei vari
prodotti che originano dalla raffineria stessa.
I prodotti che si ottengono in una raffineria dipendono dal tipo di grezzo trattato e dalla configurazione della raffineria, ma in ogni caso essi si ottengono tutti congiuntamente.
Per evitare accumuli dell‟uno o dell‟altro prodotto quindi essi devono essere venduti tutti quasi contemporaneamente.
Ma a che prezzo si devono vendere?
Come si fa a dare un valore ad ogni prodotto? È possibile per esempio prendere il prezzo del
grezzo, aumentato dei costi di produzione, e ripartirlo pro quota su ciascun prodotto?
84
È possibile, ma si avrebbe molto probabilmente la sorpresa di vendere alcuni prodotti molto
facilmente e non riuscire assolutamente a vendere gli altri.
I prezzi dei prodotti, infatti, non sono arbitrariamente fissati dal raffinatore ma si formano sul
mercato in base alla nota legge della domanda e dell‟offerta, a sua volta condizionata
dall‟esistenza o meno di altri prodotti alternativi utilizzabili per lo stesso scopo( 10).
Si prenda per esempio l‟olio combustibile.
Il più importante prodotto alternativo dell‟olio combustibile è il carbone. Se il prezzo dell‟olio
combustibile diventa troppo alto esso viene sostituito dal carbone, di conseguenza la sua domanda diminuisce ed il raffinatore è costretto a ridurne il prezzo se vuole vuotare i suoi serbatoi.
Naturalmente questo processo non avviene ogni giorno per correggere eventuali oscillazioni
temporanee dei prezzi, ma costituisce la ragione principale o, come si dice, “i fondamentali”
su cui si basa il prezzo dell‟olio combustibile nel lungo periodo.
Lo stesso vale per gli altri prodotti, con qualche considerazione un po‟ più complessa per i
prodotti senza succedanei come ad esempio il jet-fuel.
Gli equilibri che da parecchi anni si sono stabiliti nei maggiori mercati hanno determinato livelli di prezzo che, in genere, vanno decrescendo dalla benzina, al jet, al gasolio, al combustibile, ossia i prezzi sono più alti per i prodotti “leggeri” che per i “pesanti”.
Fra i prodotti che si ottengono dal grezzo il più pregiato è la benzina, seguita dal jet fuel e dal
gasolio, mentre il meno pregiato è l‟olio combustibile. Da notare inoltre che i valori della
benzina, del jet fuel e del gasolio sono superiori a quello del grezzo, mentre il valore dell‟olio
combustibile è notevolmente inferiore(11).
Risulta quindi immediatamente comprensibile che fra gli obiettivi di una raffineria c‟è anche
quello di massimizzare la produzione di benzina ed in genere di prodotti leggeri e minimizzare la produzione di olio combustibile.
(10) Una notevole distorsione sul gioco libero dei prezzi è causata dal regime fiscale a cui i vari prodotti alternativi sono sottoposti. Di questo si avvale il potere politico per indirizzare i consumi verso determinati prodotti. Si pensi per esempio, nel caso del mercato italiano, al metano e al gasolio per riscaldamento, o alla benzina e
al gasolio per autotrazione.
(11) Negli ultimi anni in verità si nota una variazione di questo andamento. Dal 2004 il prezzo del gasolio si è
avvicinato molto e, durante l‟inverno, ha anche superato quello della benzina. Sembra si tratti di un cambiamento
strutturale dovuto sia all‟aumento nell‟autotrazione della domanda di gasolio a scapito della benzina, sia al maggior costo di lavorazione del gasolio provocato dall‟ inasprimento delle specifiche per ragioni ecologiche.
L‟aumento di prezzo del gasolio ha poi trascinato al rialzo quello del Jet, ad esso strettamente connesso.
85
Questa lunga premessa sulle specifiche e sul valore dei prodotti permette di capire meglio le
ragioni per cui in raffineria sono effettuate le lavorazioni chiamate trasformazioni chimiche,
che ora saranno esaminate più da vicino.
RAFFINAZIONE – LE TRASFORMAZIONI CHIMICHE
Le trasformazioni chimiche che si effettuano in una raffineria mirano essenzialmente a due
scopi:
trasformare chimicamente gli idrocarburi contenuti nei vari tagli del topping in altri che abbiano caratteristiche più adatte a soddisfare le specifiche dei prodotti che
si vogliono ottenere
massimizzare la produzione dei prodotti leggeri più pregiati.
Le trasformazioni chimiche si dividono in tre categorie:
Cambiamento della struttura.
Rientrano in questa categoria le trasformazioni che tendono a cambiare solo la struttura degli
idrocarburi senza cambiare il numero degli atomi di carbonio di cui sono costituiti.
I principali processi di questa categoria sono il reforming catalitico e l‟isomerizzazione, con i
quali si trasformano idrocarburi a basso numero di ottano in altri ad alto numero di ottano destinati al blending delle benzine.
Il reforming catalitico trasforma idrocarburi a catena lineare (paraffinici) e idrocarburi saturi
(12) con catena ad anello (naftenici), che hanno un numero d‟ottano molto basso, in idrocarburi insaturi (13) con struttura ad anello (aromatici), che hanno un alto numero d‟ottano.
L‟isomerizzazione trasforma invece gli idrocarburi paraffinici in iso-paraffine (paraffine con
catena ramificata) anch‟essi ad alto numero d‟ottano.
Il reforming catalitico viene alimentato con la virgin nafta, una delle frazioni leggere del grezzo prodotta nel topping.
12
13
Negli idrocarburi saturi gli atomi di carbonio sono uniti da un solo legame.
Negli idrocarburi insaturi gli atomi di carbonio sono uniti da più di un legame.
86
Accorciamento delle catene.
Sono le trasformazioni che mirano a ridurre la lunghezza degli idrocarburi, spezzando le catene lunghe per ottenerne altri con catene più corte o, in altre parole, per ottenere idrocarburi
più leggeri (di maggior valore) da idrocarburi più pesanti.
I principali processi di questa categoria sono il cracking termico, il cracking catalitico, e
l‟hydro-cracking, nei quali le catene degli idrocarburi vengono spezzate per effetto di alte
temperature e pressioni e, in alcuni casi, con l‟ausilio di catalizzatori.
Costruzione di nuovi idrocarburi.
Sono trasformazioni che, partendo da idrocarburi molto leggeri (che rientrano nella categoria
dei gas e che hanno quindi un basso valore non molto diverso da quello dell‟olio combustibile), mirano a costruirne degli altri più pesanti ma qualitativamente più pregiati.
I principali processi di questa categoria sono l‟alchilazione e la polimerizzazione nei quali idrocarburi con 3-4 atomi di carbonio sono agglomerati per formarne altri con 7-8 atomi di
carbonio, che rientrano pertanto nella categoria della benzina.
Ricordiamo infine che fra gli scopi delle lavorazioni di una raffineria c‟è anche quello di eliminare o ridurre le impurità inizialmente presenti nel grezzo, particolarmente lo zolfo.
Anche quest‟obiettivo si persegue con delle lavorazioni chimiche che non sono rivolte però
agli idrocarburi, ma alle sostanze estranee che li accompagnano.
Le specifiche riportano molto minuziosamente il livello massimo di ciascuna impurità che
può essere tollerato nei prodotti finiti che escono dalle raffinerie per essere avviati alla commercializzazione.
Particolari trattamenti devono poi essere previsti sugli effluenti liquidi e sulle emissioni gassose che originano dalle lavorazioni di raffineria, per evitare che essi possano provocare inquinamento dell‟aria o delle acque in cui gli effluenti liquidi sono immessi.
Fra tutti gli inquinanti che entrano col grezzo in raffineria, particolare importanza riveste lo
zolfo, sia perché le quantità contenute sono a volte molto rilevanti, sia perché esso si distribuisce in tutti i prodotti della distillazione primaria, a partire dal gas fino al combustibile, sia
infine perché i suoi effetti inquinanti, tossici e corrosivi sono particolarmente rilevanti.
I trattamenti per la rimozione dello zolfo dagli idrocarburi leggeri (gas o semilavorati destinati
87
al blending delle benzine) non presentano molti problemi.
Più difficile invece risulta l‟eliminazione dello zolfo dai distillati medi, kerosene e gasolio,
che richiedono trattamenti di desolforazione in processi che impiegano particolari catalizzatori, ad alta pressione e temperatura ed in presenza di idrogeno.
In questi processi lo zolfo forma con l‟idrogeno un prodotto gassoso che si chiama idrogeno
solforato, che è facilmente separabile dalla massa liquida degli idrocarburi. Questo prodotto, a
sua volta, è ulteriormente trattato in altri impianti da cui si ottiene lo zolfo allo stato puro, che
può essere rivenduto come materia prima per altre lavorazioni chimiche.
Questa lavorazione ha segnato la fine delle miniere di zolfo.
Molto problematico invece risulta eliminare o anche ridurre lo zolfo nei residui pesanti.
La desolforazione di questi residui in presenza di idrogeno è concettualmente possibile, ma le
condizioni operative sono così spinte che questi impianti hanno dei costi di investimento e di
esercizio veramente proibitivi.
È questa una delle ragioni per cui l‟olio combustibile continua ad essere sostituito dal metano.
Le norme, sempre più stringenti, sulle emissioni da forni e caldaie non possono più essere rispettate se si usano combustibili ATZ (ad alto tenore di zolfo) e presto spingeranno fuori uso
anche i combustibili BTZ (a basso tenore di zolfo).
E le raffinerie dovranno trovare (e alcune hanno già trovato) il modo di smaltire un prodotto
che viene sempre più respinto dal mercato.
Il gas naturale
Perché aggiungiamo l‟aggettivo “naturale” dopo la parola gas?
La parola “gas” è usata molto spesso nel linguaggio corrente per indicare una varietà di cose:
la cucina a gas, il gas delle bombole, il gas degli accendini, l‟acqua minerale gasata, andare a
tutto gas, ecc. In ognuno di questi esempi si tratta di un gas diverso.
La parola “gas”, infatti, così come le parole “liquido” e “solido”, non indicano un prodotto definito, ma uno stato fisico in cui una sostanza si può trovare, in funzione della temperatura e
della pressione cui è sottoposta.
Più precisamente, se si scalda una sostanza solida la sua temperatura aumenta e si raggiunge
una temperatura alla quale essa diventa liquida. Se si continua a fornire calore, il liquido raggiunge una temperatura più alta in cui diventa vapore. Il vapore è uno stato fisico simile a
88
quello gassoso ma se ne differenzia perché il vapore può tornare allo stato liquido non solo
abbassando nuovamente la temperatura, ma anche, e solo, facendo aumentare la pressione. Se
poi il vapore è riscaldato ulteriormente, oltre una certa temperatura passa allo stato fisico di
gas, caratterizzato dal fatto che qualsiasi aumento di pressione non è in grado di riportarlo allo
stato liquido
Le temperature in cui avvengono i cambiamenti di stato si chiamano (Figura 72):
Temperatura di fusione (TF), quella in cui avviene il passaggio da solido a liquido,
o di solidificazione (che è la stessa) nel passaggio inverso da liquido a solido
Temperatura di ebollizione (TE), quella in cui avviene il passaggio da liquido a vapore, o di condensazione nel passaggio inverso
Temperatura critica (TC), quella in cui avviene il passaggio da vapore a gas o viceversa.
Le variazioni di temperatura di una sostanza sono provocate da un apporto o da una sottrazione di calore, ossia di energia, perciò lo stato fisico della sostanza è anche rappresentativo del
suo livello energetico relativo.
Infatti, l‟energia fornita ad una sostanza mette in agitazione le sue molecole. Quando il livello
energetico è basso, l‟agitazione delle molecole è molto debole ed esse mantengono una posizione relativamente fissa facendo assumere alla sostanza una forma ed un volume propri, che
sono appunto le caratteristiche dello stato solido.
Quando poi l‟energia aumenta, l‟agitazione delle molecole cresce. Esse perdono la caratteristica di posizione fissa e la sostanza passa in uno stato in cui non ha più una forma propria,
ma mantiene un volume definito. Queste sono appunto le caratteristiche di un liquido che ha
un proprio volume ma assume la forma del recipiente che lo contiene.
Un ulteriore aumento del livello energetico e, quindi, dell‟agitazione delle molecole fa perdere alla sostanza anche il suo volume caratteristico e perciò essa assume lo stato di un aeriforme. Inizialmente la pressione è ancora in grado, da sola, di ridare coesione alle molecole per
riportarle allo stato liquido ed allora si dice che la sostanza è nello stato di vapore. Successivamente, se l‟agitazione è molto elevata, anche un forte aumento di pressione non riesce più
ad aggregare le molecole e si dice che la sostanza si trova nello stato gassoso.
Di ogni sostanza noi normalmente conosciamo lo stato fisico in cui si trova quando la sua
temperatura e pressione sono quelle dell‟ambiente, ma non mancano casi in cui i cambiamenti
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di stato avvengono a temperature non molto diverse da quella ambientale e, in questo caso, di
una stessa sostanza conosciamo più di uno stato fisico.
L‟esempio più noto è l‟acqua, liquida alla temperatura ambiente, ma di cui conosciamo anche
lo stato solido (ghiaccio), in cui si trasforma a 0 °C, e quello di vapore che assume alla temperatura di 100 °C. Non ci è altrettanto familiare invece lo stato gassoso che l‟acqua assume alla
temperatura di 374 °C.
Le temperature a cui avvengono i cambiamenti di stato sono diverse da sostanza a sostanza.
La Figura 73 mostra graficamente lo stato fisico in cui si trovano alcune sostanze
nell‟intervallo di temperatura compreso fra -273°C e 500°C (a pressione atmosferica) mentre
nella tabella di Figura 74 sono riportate per ciascuna di esse le temperature a cui avvengono i
cambiamenti di stato.
Dopo questa premessa, un po‟ lunga, ma necessaria per evitare confusioni, diventa chiaro il
perché di un aggettivo dopo la parola gas.
Con “gas naturale”, infatti, non vogliamo indicare uno stato fisico, ma un prodotto formato da
una miscela di idrocarburi leggeri (metano, etano, propano e butano) che si trova in natura in
giacimenti che si sono formati milioni di anni fa a seguito della fossilizzazione di materiale
organico derivante dal decadimento di organismi animali e vegetali.
La sua formazione è avvenuta nello stesso periodo e nello stesso modo del petrolio. Molto
spesso, infatti, esso si trova associato al petrolio negli stessi giacimenti, ma può anche trovarsi
da solo.
I metodi di esplorazione e perforazione dei giacimenti sono analoghi a quelli già visti per il
petrolio. La produzione, ossia l‟estrazione dal giacimento, avviene spontaneamente grazie alla
pressione esistente che spinge il gas fuori del giacimento stesso.
Il gas naturale tal quale però non può essere inviato direttamente al consumo. Quello che noi
usiamo, infatti, è essenzialmente formato da metano, mentre il gas contenuto nei giacimenti
contiene non solo degli idrocarburi più pesanti, ma anche vapor d‟acqua e impurità, fra cui
principalmente idrogeno solforato e anidride carbonica, che devono essere rimossi.
La separazione del metano dagli idrocarburi più pesanti si effettua facilmente con operazioni
concettualmente simili alla distillazione. Gli idrocarburi più pesanti, che prendono il nome di
condensati, sono poi utilizzati in altre applicazioni chimiche o energetiche.
L‟essiccazione e la purificazione dalle impurità sono anch‟esse delle operazioni semplici che,
90
400
Temperatura °C
300
200
100
0
-100
-200
-273
Figura 73 – Stati fisici di alcune sostanze
TF
TE
TC
°C
°C
°C
0
100
374
Metano
-183
-161
-82
Etano
-172
-89
32
Propano
-187
-42
97
Butano
-135
-1
153
Acqua
Figura 74 – Temperature caratteristiche di alcune sostanze
91
come le precedenti, si effettuano normalmente nelle zone di produzione.
Il problema principale per l‟utilizzo del gas naturale, fino a non molti anni fa, consisteva nella
difficoltà di trasportarlo dai luoghi di produzione a quelli di consumo. A differenza del petrolio, che è liquido e può essere stivato e trasportato agevolmente con navi cisterna, il gas naturale è gassoso e, a causa della bassa densità, non si riesce a trasportarlo efficacemente.
Per capire meglio questo concetto basti pensare (Figura 75) che una bottiglia di un litro piena
di petrolio pesa, a parte il vetro, circa 850 grammi, mentre se la si riempie di metano pesa
meno di un grammo (14). In altri termini, per portare 850 grammi di petrolio basta una bottiglia da un litro, mentre per portare la stessa quantità di metano ne occorrerebbero più di 1200.
Per questa ragione, fino a qualche tempo fa, il gas naturale associato al grezzo, quindi necessariamente prodotto insieme con questo, doveva essere buttato via ed era, infatti, bruciato a
bocca di pozzo, mentre i giacimenti di solo gas, ubicati in zone molto distanti dai centri di
consumo, non potevano essere in pratica sfruttati.
In tempi più recenti, lo sviluppo delle tecnologie nell‟industria meccanica e delle costruzioni
navali ha portato profondi cambiamenti in questo settore ed ha reso possibile sfruttare alcune
proprietà del gas naturale, peraltro comuni a tutti i gas, che ne hanno facilitato il trasporto.
Queste proprietà sono:
La densità del gas aumenta proporzionalmente alla pressione cui il gas è sottoposto. Per chiarire meglio il concetto, se il gas è sottoposto ad una pressione di 200
atmosfere, le 1200 bottiglie, di cui abbiamo parlato prima, diventano solo 6
(=1200:200).
Il gas, raffreddato ad una temperatura molto bassa( 15), diventa liquido e la sua densità aumenta di circa 600 volte, quindi le bottiglie diventano solo 2.
Le nuove tecnologie nel campo dell‟industria meccanica hanno permesso di costruire delle
tubazioni, resistenti alle alte pressioni, attraverso cui il gas compresso può essere trasportato
in località anche molto lontane dal luogo di produzione. Questi gasdotti possono anche essere
posati sul fondo dei mari, permettendo così di trasportare il gas fra territori separati dal mare.
Quando però le distanze, soprattutto dei tratti marittimi, diventano maggiori è più conveniente
liquefare il gas e trasportarlo con delle navi. Per fare ciò occorre costruire nella località di par(14) La densità del metano gassoso, alla pressione e temperatura ambiente, è di circa 0.7 g/lt
(15) La temperatura di liquefazione del metano è –161 °C, e la densità del metano liquido è 415 g/lt.
92
tenza appositi impianti per il raffreddamento a bassissime temperature del gas naturale per liquefarlo.
Si utilizzano poi navi speciali, capaci di contenere liquidi a temperature molto basse, per trasportare il gas naturale liquefatto alla località di destinazione dove altri impianti (i cosiddetti
rigassificatori) lo riportano allo stato gassoso, lo comprimono e lo trasferiscono al consumo
mediante gasdotti.
In Italia ci sono applicazioni di tutte queste tecniche di trasporto e distribuzione del gas naturale, che si aggiungono alla produzione dai giacimenti locali, ormai in corso di esaurimento
(Figura 76).
In Italia arrivano, infatti, quattro grandi gasdotti, di cui due terrestri, dal Nord Europa e dalla
Russia, e due sottomarini, dall‟Algeria e dalla Libia. Nel Golfo di La Spezia poi possono arrivare ed essere scaricate navi che trasportano gas naturale liquefatto proveniente principalmente dalla Nigeria e dall‟Algeria. Sono poi in corso di realizzazione alcune unità di rigassificazione di gas naturale liquefatto che permetteranno di diversificare ancora di più le fonti di approvvigionamento, riducendo i rischi tecnici o politici connessi con le forniture.
In genere la domanda di gas naturale è più alta d‟inverno che d‟estate a causa dei maggiori
consumi dovuti al riscaldamento domestico. Per quanto riguarda la produzione e la distribuzione si presentano quindi due alternative: o si segue l‟andamento variabile dei consumi oppure si mantiene un livello costante intermedio fra la richiesta estiva e quella invernale. Nel
primo caso occorre dimensionare tutte le apparecchiature e i gasdotti al livello dei picchi invernali, nel secondo è necessario uno stoccaggio intermedio che accumuli i surplus estivi per
rilasciarli nel periodo invernale.
La seconda soluzione è in generale quella preferita, non solo perché richiede meno investimenti, ma soprattutto perché protegge anche da occasionali interruzioni di fornitura dovute a
guasti o altri eventi che impediscano il normale funzionamento delle attrezzature.
Lo stoccaggio del gas naturale si effettua in grandi serbatoi sotterranei, che sono principalmente di tre tipi: giacimenti esausti di gas naturale, falde freatiche o caverne saline.
I giacimenti esausti di gas naturale rappresentano il caso più frequente. Si tratta delle formazioni di rocce porose che costituivano un giacimento e che sono ormai svuotate del gas che
contenevano. Il vantaggio di usarle come serbatoi di gas deriva non solo dal fatto che esse sono certamente adatte a contenerlo, ma anche dalla possibilità di utilizzare tutte le attrezzature
già esistenti per la sua estrazione.
93
0.7 gr
850 gr
Rapporto = 1:1200
Figura 75 – Peso specifico del metano
Nord Europa
12,2
Russia
20.4
3,4 (LNG)
Italia
9,9
Algeria
22,2
Libia
8.3
Figura 76 – Fonti di gas naturale in Italia – Anno 2008 (76.4 ML tep)
94
Le falde acquifere sono rocce porose sotterranee che contengono acqua. Esse possono essere
trasformate in serbatoi di gas spiazzando l‟acqua contenuta nei pori e sostituendola con gas.
Naturalmente bisogna prima accertarsi che le caratteristiche geologiche rendano queste formazioni adatte allo scopo. Questo tipo di stoccaggio è più costoso del precedente, anche perché bisogna costruire tutte le attrezzature per l‟iniezione e l‟estrazione del gas. Esso è quindi
usato solo in quelle zone dove non esistono giacimenti esausti di gas.
In alcune zone la presenza di grandi formazioni saline sotterranee permette di costruire un terzo tipo di stoccaggio di gas. In queste formazioni, infatti, si possono creare delle grandi caverne semplicemente dilavando con acqua una parte del sale. Le caverne così formate hanno
pareti robuste ed impermeabili, formate dal sale rimasto in loco, che ben si prestano a contenere il gas compresso. Anche questo stoccaggio, tuttavia, richiede rilevanti investimenti ed è
usato solo quando non sono possibili altre alternative.
Il carbone
Il carbone, come già detto, è una fonte di energia che ha avuto origine dalla fossilizzazione di
organismi vegetali.
Esso è composto da una miscela di carbonio, idrogeno e ossigeno, ma contiene anche piccole
quantità di azoto e zolfo, tracce di quasi tutti i minerali esistenti in natura e una quantità variabile di umidità.
Il processo di fossilizzazione, sensibilmente influenzato dalle condizioni geofisiche in cui è
avvenuto e dalla sua durata, ha prodotto qualità diverse di carbone che, dalle peggiori alle migliori, prendono il nome di torba, lignite, litantrace ed antracite. Esse si distinguono soprattutto per il diverso contenuto di umidità e di carbonio che ne determinano, in pratica, il potere
calorifico e, quindi, il valore.
Fra le fonti fossili, il carbone è stata la prima fonte ad essere usata in maniera intensiva già nel
XVIII secolo dando origine all‟era dello sviluppo industriale che, proprio per questa ragione,
è iniziato in quei paesi, Gran Bretagna e Germania, in cui esisteva una notevole abbondanza
di questa fonte energetica.
La produzione del carbone può essere abbastanza semplice quando il giacimento è molto superficiale perché in questo caso basta uno scavo poco profondo o addirittura una miniera a
cielo aperto per produrlo (Figura 77). Quando invece il giacimento si trova ad una notevole
profondità la produzione diventa più complessa perché è necessario scavare una miniera per
95
raggiungerlo.
La costruzione di una miniera è un‟arte antica, che probabilmente risale all‟età del bronzo,
quando fu necessario produrre il rame e lo stagno, dalla cui associazione si ottiene appunto il
bronzo. Nel periodo romano poi la costruzione e la gestione delle miniere furono migliorate e
regolate da apposite leggi, ma solo in tempi più recenti le tecniche minerarie sono state perfezionate e rese più sicure.
Una miniera, schematicamente riportata in Figura 78, consiste essenzialmente di un pozzo
principale (verticale o inclinato) e di una serie di gallerie orizzontali che da esso si dipartono a
varie altezze in corrispondenza dei filoni carboniferi individuati.
Nel pozzo principale sono installate svariate attrezzature, tipicamente:
Gli ascensori, o gabbie, per portare su e giù i minatori ed i carrelli
Le tubazioni per l‟aerazione delle gallerie e per l‟aria compressa, necessaria per
operare martelli pneumatici o altre attrezzature della miniera
Le tubazioni per l‟eventuale asportazione dell‟acqua che si può trovare nella miniera
I cavi per il trasporto dell‟energia elettrica per illuminazione e alimentazione di altre attrezzature elettriche
Una scala di salvataggio in caso di evacuazione di emergenza
Nelle gallerie in corrispondenza dei filoni carboniferi, il carbone è frantumato dalle pareti con
martelli pneumatici o altre macchine azionate ad aria compressa e, a volte, anche con esplosioni controllate.
Esso è poi caricato con una ruspa su vagoncini che corrono su binari lungo le gallerie, trainati
da piccole locomotive, fino al pozzo principale, dove entrano nella gabbia per essere portati in
superficie.
Molto spesso le gallerie sono armate con appositi supporti per evitare che franino e, quando
sono esaurite, sono normalmente riempite con materiale inerte ottenuto dallo scavo delle gallerie d‟accesso, col doppio vantaggio di non doverlo riportare in superficie e di evitare il rischio di franamento futuro delle gallerie abbandonate.
Uno dei maggiori rischi potenziali in una miniera di carbone è la formazione del grisou, cioè
96
Figura 77 – Miniera a cielo aperto
Figura 78 – Miniera profonda
97
di una miscela esplosiva formata da metano e aria.
Il metano, probabilmente formatosi anch‟esso durante il processo di fossilizzazione, può essere ancora contenuto in qualche filone carbonifero e quindi può sprigionarsi durante la frantumazione. La miscela esplosiva che esso forma con l‟aria, il grisou, esplode però solo se è innescata da una fiamma o da una scintilla.
Uno dei modi per ridurre di molto il rischio d‟esplosione consiste pertanto nell‟eliminazione
assoluta di ogni tipo di fiamma all‟interno della miniera e nell‟uso di materiali e attrezzature
antiscintilla. Oltre a ciò è essenziale che la ventilazione della miniera sia studiata ed effettuata
in modo da evitare che si formino sacche dove l‟aria viziata o, peggio, bolle di gas possano
ristagnare.
Una volta estratto dalla miniera il carbone viene approntato per la spedizione (Figura 79) dopo essere stato sottoposto ad alcune lavorazioni che consistono in:
una frantumazione per portare la pezzatura a dimensioni che ne rendono più agevole la maneggevolezza e la successiva purificazione
una serie di lavaggi per ridurne le impurità
una vagliatura per ottenere lotti di pezzatura omogenea
Le ragioni che hanno portato alla progressiva sostituzione del carbone con il petrolio sono
principalmente tre:
Il carbone, essendo solido, si trasporta meno agevolmente del petrolio
Il carbone, sempre per la sua natura di solido, è meno versatile e quindi non adatto
per molte applicazioni: si pensi, ad esempio all‟automobile o, ancor più, all‟aereo.
Il carbone è più “sporco” del petrolio, sia quando si maneggia sia quando si brucia.
Proprio per quest‟ultima ragione il petrolio viene oggi rifiutato dall‟opinione pubblica. Non è
ancora cancellata infatti l‟immagine, riproposta ancora da tanti film, del carbone come icona
di sporcizia (Figura 80).
Le moderne tecnologie però hanno ovviato abbastanza a questi problemi e oggi una moderna
centrale a carbone (Figura 81) non ha un‟immagine diversa da una qualsiasi altro impianto in-
98
Frantumazione
Lavaggi e riduzione
delle impurità
Vagliatura
Spedizione
Figura 79 – Operazioni finali
Figura 80 – Il carbone del passato
99
dustriale. Non si può escludere quindi che il carbone riacquisti presto il suo ruolo di primaria
importanza nel novero delle fonti energetiche.
Le fonti rinnovabili
Si chiamano rinnovabili le fonti di energia che derivano da processi naturali che si rinnovano
continuamente. Si chiamano anche rinnovabili le fonti che sono disponibili in quantità talmente grandi da poter essere considerate inesauribili.
L‟esempio classico del primo tipo è quello dell‟energia idraulica, ossia dell‟energia fornita da
masse d‟acqua in movimento dai monti verso il mare. Queste, dopo aver fornito l‟energia che
contengono, arrivano al mare, evaporano e ritornano sotto forma di pioggia o di neve sui
monti riprendendo il ciclo appena descritto.
Un esempio del secondo tipo è l‟energia solare perché la vita prevedibile del sole è talmente
lunga da poter essere considerata infinita.
Le fonti rinnovabili, come già si è detto quando si è parlato dell‟origine dell‟energia, derivano
in maniera diretta o indiretta da due sistemi: il sole e la radioattività naturale presente nelle
profondità della terra, che, a sua volta, in tempi molto remoti, ha avuto anch‟essa origine dal
sole. Solo l‟energia delle maree (il cui contributo è molto modesto) deriva da un sistema diverso e cioè dalle forze d‟attrazione reciproca fra la terra, il sole e la luna.
Ciò premesso, tutte le fonti rinnovabili di energia sono (Figura 82):
le biomasse
l‟energia idraulica
l‟energia geotermica
l‟energia eolica
l‟energia marina
l‟energia solare
Di ciascuna daremo una breve descrizione.
100
Figura 81 – Centrale elettrica a carbone gassificato
Biomasse
Idraulica
Geotermica
Eolica
Marina
Solare
Figura 82 – Le energie rinnovabili
101
Le biomasse
Si chiama “biomassa” qualunque combustibile solido, liquido o gassoso originato da un ciclo
naturale di tipo animale o vegetale.
L‟energia delle biomasse deriva dal sole e si accumula nelle piante attraverso la sintesi clorofilliana e negli animali attraverso la catena alimentare che ha inizio, a sua volta, dalle piante.
In generale le biomasse si possono dividere nelle seguenti categorie:

Biomasse solide che comprendono prodotti solidi, di origine animale o vegetale, usati
come combustibile, ad esempio legno, segatura, carbonella, residui vegetali, sterco
ecc.

Liquidi e gas derivanti da biomasse. Fra i liquidi sono compresi i biocombustibili
(bioetanolo, biodiesel, ecc.), i sottoprodotti liquidi, ricchi di lignina, provenienti dalla
lavorazione della carta, ecc. I gas derivano dalla fermentazione anaerobica di biomasse
nelle discariche e in altri processi similari (depuratori, ecc.).

I rifiuti urbani biodegradabili destinati alla combustione per la produzione di energia
elettrica e/o calore. In generale i rifiuti urbani non biodegradabili ed i rifiuti industriali, anche se destinati allo stesso scopo, non sono compresi fra le fonti rinnovabili perché non derivano da processi naturali.
Il ciclo energetico delle biomasse è illustrato sinteticamente nella Figura 83. La biomassa è
materia organica costituita essenzialmente da carbonio, idrogeno, ossigeno azoto e sali minerali, le stesse sostanze cioè dei combustibili fossili. E, proprio come i combustibili fossili,
produce calore per combustione: il carbonio e l‟idrogeno contenuti nella molecola si combinano con l‟ossigeno dell‟aria, ossia bruciano, trasformandosi in anidride carbonica e acqua
(sotto forma di vapore). Gli altri costituenti della molecola, i sali minerali, restano sotto forma
di cenere.
L‟anidride carbonica e l‟acqua, così formate, si disperdono nell‟atmosfera dove, assorbendo
l‟energia solare, si combinano e riformano la materia organica, cioè la biomassa. In tal modo
l‟energia solare è trattenuta sotto forma di energia chimica che sarà successivamente rilasciata
sotto forma di calore durante la combustione.
L‟unica differenza fra il ciclo energetico delle biomasse e quello dei combustibili fossili è che
nel primo manca il processo di fossilizzazione.
102
Il maggior consumo di biomasse è concentrato nei Paesi in via di sviluppo. Si tratta in genere
di una fonte di energia povera, usata soprattutto per usi domestici. Si stima, ad esempio, che
in Africa, (Figura 84) nell‟anno 2008, circa il 50% dei consumi di energia siano stati coperti
da residui vegetali e sterco animale.
Nei paesi industrializzati l‟utilizzo di questa fonte di energia trae impulso principalmente dalla contemporanea esigenza di smaltimento dei rifiuti. Si può notare, infatti, (Figura 85) che
negli ultimi anni solo nei Paesi industrializzati si è verificato un incremento nell‟utilizzo di
questa fonte energetica, mentre nei Paesi meno sviluppati essa tende ad essere abbandonata e
sostituita con altre fonti di più agevole uso.
Non mancano anche altre motivazioni che giustificano la crescita nei Paesi industrializzati,
come, ad esempio, la chiusura del ciclo dell‟anidride carbonica, ma rinviamo ad un successivo
capitolo l‟approfondimento di quest‟aspetto che ci porterebbe ora fuori tema.
L’energia idraulica
L‟energia idraulica era conosciuta e sfruttata dall‟uomo già qualche millennio prima di Cristo.
Il principio di base è semplice ed inconsciamente familiare: una massa d‟acqua (così come
qualsiasi altra massa che si trovi sulla terra) è soggetta alla forza di gravità che la fa muovere
spontaneamente da posizioni più elevate verso posizioni più basse. L‟energia della massa
d‟acqua in movimento, detta energia cinetica, è capace di spostare dei corpi che incontra sul
suo percorso. Se questi corpi sono delle pale opportunamente disposte su una ruota, montata
su un asse, questa comincia a girare sotto la spinta della massa d‟acqua che fluisce.
A sua volta la ruota può essere collegata ad una macina di un mulino, ad una segheria o, nella
quasi totalità delle applicazioni attuali, ad un alternatore che è una macchina capace di trasformare l‟energia cinetica dell‟acqua in energia elettrica più agevolmente trasferibile ad utenti lontani.
Anche l‟energia idraulica deriva dal sole, come sinteticamente indicato nella Figura 86.
L‟energia del sole riscalda e fa evaporare l‟acqua del mare e, poiché il vapor d‟acqua è più
leggero dell‟aria, si muove verso l‟alto nell‟atmosfera. L‟energia assorbita dal sole viene conservata nel vapore sotto forma di energia di stato fisico (vapore anziché liquido) e sotto forma
di energia potenziale dovuta alla sua posizione elevata rispetto al suolo.
Quando nell‟atmosfera si verifica un abbassamento della temperatura, il vapor d‟acqua condensa, cioè l‟acqua ritorna allo stato liquido, e precipita. Durante la condensazione una buona
103
Biomassa
C, H, O, N,
sali
minerali,
acqua
+ Energia
del sole
CO2 + H2O
Figura 83 – Ciclo energetico delle biomasse
Figura 84 – Incidenza di biomasse sui consumi energetici totali
104
Figura 85 -
Acqua del
mare
Energia meccanica
Dalle
montagne
al mare
Energia del sole
Vapore
Neve e
pioggia
Nuvole
Figura 86 – Ciclo energetico dell’acqua
105
parte dell‟energia contenuta viene rilasciata come calore che si disperde nell‟atmosfera mentre
per quella parte che, come acqua o neve, rimane su posizioni più elevate rispetto al livello del
mare, viene trattenuta come energia potenziale. Questa poi si trasforma in energia cinetica utilizzabile per ulteriori trasformazioni in energia meccanica o elettrica quando l‟acqua fluisce
verso il basso e ritorna al mare.
Un impianto idroelettrico (Figura 87) è essenzialmente costituito da:

una diga o sbarramento, sistemato opportunamente sul corso di un fiume, che ha lo
scopo di regolare il deflusso dell‟acqua, per trasformarne l‟andamento variabile caratteristico degli eventi naturali in un andamento più regolare. In tal modo, quando la sua
disponibilità è abbondante, nella stagione delle piogge o durante lo scioglimento delle
nevi, l‟acqua si accumula a monte della diga e forma un lago artificiale da cui può essere attinta durante gli altri periodi. La diga è normalmente posta allo sbocco di una
valle in modo da disporre di un ampio bacino a monte, dove si accumula l‟acqua, e di
un notevole dislivello a valle dove essa defluisce (Figura 88)

una o più condotte forzate, ossia in pressione, attraverso cui l‟acqua può essere convogliata dal bacino superiore fino in fondo al dislivello. La portata dell‟acqua attraverso
ogni condotta può essere regolata da apposite apparecchiature.

una turbina, posta in fondo ad ogni condotta forzata, collegata ad un alternatore. La
turbina è una ruota, munita di pale (Figure 89 e 90), che gira sotto la spinta del flusso
d‟acqua. La rotazione della turbina è trasmessa ad un alternatore, che è una macchina
che trasforma l‟energia meccanica in energia elettrica.
Energia geotermica
L‟energia geotermica è una fonte di energia che dalle zone profonde della crosta terrestre arriva in superficie, sotto forma di vapore o di acqua calda, spontaneamente o attraverso dei
pozzi appositamente perforati.
La sua origine, molto probabilmente, è dovuta al decadimento di materiali radioattivi presenti
nella crosta terrestre fin dai tempi della formazione del pianeta. Poiché la quantità di questi
materiali presente all‟interno della terra è molto grande, l‟energia geotermica può essere teoricamente considerata inesauribile. In pratica però le difficoltà che si incontrano, particolarmente, nella fase di trivellazione dei pozzi ne limitano notevolmente l‟utilizzo.
106
Linee elettriche
Diga
Condotta forzata
Generatore di energia
elettrica mosso dalla
turbina
Turbina mossa dalla massa
d’acqua fluente
Sezione di
impianto idroelettrico
Figura 87 – Schema di impianto idroelettrico
Figura 88 – Diga e bacino idroelettrico
107
Figura 89 – Turbina idraulica
Figura 90 – Rotore di turbina idraulica
108
L‟arrivo spontaneo si manifesta sotto forma di alti pennacchi di vapore, chiamati “soffioni”
(Figura 91).
L‟energia geotermica può essere utilizzata, direttamente, come calore per riscaldare ambienti
situati nelle vicinanze del luogo di produzione o, indirettamente, come energia elettrica prodotta da turbine mosse dal vapore e accoppiate a generatori elettrici.
In Italia ci sono importanti manifestazioni di questo tipo di energia nella zona di Larderello, in
Toscana. In questo campo l‟Italia è stata il primo paese al mondo in cui questa forma di energia è stata utilizzata per produrre energia elettrica. Fu infatti nel luglio del 1904 che il Principe
Conti Ginori fece accendere “ben cinque lampadine” con l‟energia prodotta da un generatore
azionato dal vapore geotermico di Larderello.
I soffioni di Larderello, oltre all‟energia, contengono alcuni prodotti chimici, fra i quali il più
importante, il boro, è estratto e prodotto in loco.
L’energia eolica
L‟energia eolica è quella posseduta da grosse masse d‟aria in movimento. Concettualmente
essa è molto simile all‟energia idraulica legata allo spostamento di grosse masse d‟acqua.
La differenza consiste nel fatto che le masse d‟acqua si spostano da zone più elevate a zone
meno elevate per effetto della forza di gravità, l‟aria invece si sposta da zone dove esiste una
pressione più alta ad altre dove la pressione è più bassa.
Queste differenze di pressione sono a loro volta dovute all‟azione del sole.
Più precisamente, e limitandoci per semplicità al fenomeno su scala locale, quando in una zona la temperatura s‟innalza rispetto alle zone circostanti, in conseguenza di una minore presenza di nubi o di una diversità della natura del suolo, l‟aria che sovrasta la zona si scalda e
tende a sollevarsi facendovi diminuire la pressione.
Le masse d‟aria che si trovano nelle zone circostanti più fredde, quindi rimaste ad una pressione inalterata, affluiscono verso la zona a pressione inferiore creando così il fenomeno
chiamato vento.
L‟energia eolica è stata una delle prime forme di energia sfruttate dall‟uomo, dapprima per la
navigazione a vela, dove ha raggiunto livelli di eccellenza ancora oggi degni della massima
ammirazione successivamente per la trasformazione in energia meccanica con i mulini a vento (Figura 92).
109
Figura 91 -Soffioni
Figura 92 –L’energia del vento
110
Questi ultimi sono stati usati in molteplici applicazioni, quali la macinazione del grano e dei
cereali, la spremitura delle olive, il sollevamento dell‟acqua, l‟azionamento di segherie ecc.
In tempi più recenti, ma comunque già nei primi anni del secolo scorso, l‟energia eolica è stata utilizzata per generare energia elettrica in alternatori di piccola potenza. Quest‟utilizzo è
stato presto abbandonato perché scalzato dall‟impetuoso progredire del petrolio e dai suoi
bassi costi.
Negli ultimi anni, però, la presa di coscienza della scarsità delle risorse petrolifere e ragioni di
carattere ambientale hanno portato a riconsiderare questa applicazione.
Grazie al generalizzato miglioramento delle conoscenze e delle tecniche costruttive si riesce
oggi a costruire generatori più potenti, che hanno però il difetto di essere estremamente ingombranti (Figure 93 e 94).
L‟energia eolica ha la caratteristica di essere molto incostante. L‟intensità del vento può variare da valori molto elevati a livelli molto bassi fino a cessare del tutto. La disponibilità di energia risulta quindi alquanto variabile e la possibilità di accumulo praticamente nulla. In questo
l‟eolica differisce notevolmente dall‟energia idraulica perché l‟acqua, grazie alle dighe ed ai
relativi laghi artificiali, può essere accumulata ed utilizzata con una regolarità molto maggiore
rispetto alle precipitazioni meteorologiche da cui trae origine.
Non è consigliabile quindi utilizzare l‟energia eolica come fonte unica di energia, a meno che
l‟utilizzazione ad essa collegata non sia tale da poterne sopportare la discontinuità. Essa invece può essere parte di un sistema in cui l‟energia sia prodotta anche da altre fonti capaci di
sopperire, in caso di bisogno, alla quota di energia eventualmente cessante.
L’energia marina
Anche l‟energia marina è originata dal movimento di grandi masse d‟acqua. In questo caso si
tratta dell‟acqua del mare ed il movimento è dovuto a due possibili cause: le onde o le maree.
Il movimento delle onde, che deriva direttamente dall‟energia eolica, non si presta molto ad
essere sfruttato come fonte di energia, non perché ne contenga poca, ma perché essa è ancora
più discontinua, irregolare e non accumulabile dell‟energia eolica. I pochi casi esistenti di utilizzo dell‟energia del moto ondoso del mare hanno quindi più carattere di studio che di vere e
proprie applicazioni.
Meglio si presta invece ad essere utilizzata l‟energia delle maree.
111
Figura 93 – Rotori per energia eolica
Potenza 5 MW
rotore 122 m
P. rotore 180 Ton
H base 90 m
Figura 94 – Turbina eolica offshore
112
Le maree, infatti, sono fenomeni ben noti e, soprattutto, regolari e continui, che provocano
movimenti di ingenti masse d‟acqua in direzioni opposte durante il succedersi
dell‟innalzamento e abbassamento del livello del mare, dovuti all‟attrazione gravitazionale fra
la terra e la luna (Figura 95).
Per utilizzare questa fonte di energia occorre trasformarla in energia elettrica per trasferirla
dove può essere consumata.
Si usano per questo scopo delle attrezzature molto simili a quelle usate per l‟energia eolica,
ossia delle pale orientabili (Figura 96) mosse dal flusso dell‟acqua e accoppiate a generatori di
energia elettrica. Queste macchine ovviamente devono essere installate sott‟acqua, in zone
opportune dove il flusso avvenga con regolarità.
È facile intuire le difficoltà che presentano la costruzione e la manutenzione di queste attrezzature; per questo esse non sono molto numerose e si può ritenere che, come le precedenti,
siano anche loro ancora nella fase sperimentale.
L’energia solare
Il sole è, in pratica, l‟origine prima di tutte le fonti di energia che esistono sulla terra e la fonte
di energia essenziale per l‟esistenza di ogni forma di vita sul pianeta.
L‟energia solare, infatti, fa reagire l‟anidride carbonica e l‟acqua per produrre la materia organica vegetale che è l‟alimento primo della vita animale. Essa è quindi l‟origine delle fonti
fossili di energia, formatesi appunto dalla fossilizzazione di residui organici animali e vegetali
e, come abbiamo visto di volta in volta, è anche l‟origine di quelle rinnovabili.
L‟energia solare inoltre è praticamente l‟unica fonte di energia per la terra, perché l‟energia
che arriva sul nostro pianeta dalle stelle e dagli altri corpi celesti dell‟universo è talmente piccola da poter essere considerata nulla, mentre l‟energia gravitazionale e geotermica sono
quantitativamente molto minori.
La quantità di energia che dal sole arriva sulla terra è enorme. Essa è di parecchie migliaia di
volte superiore a tutta l‟energia che oggi l‟umanità utilizza e quindi potrebbe costituire una
fonte, oltre che inesauribile, anche sufficiente a coprire tutti i fabbisogni di energia
dell‟umanità.
Purtroppo non è molto agevole catturarla e trasformarla nelle forme di energia che l‟uomo
normalmente utilizza (elettrica, meccanica, chimica ecc.). Inoltre, nonostante tutti i progressi
della scienza e della tecnica, l‟uomo non è ancora riuscito né ad effettuare artificialmente la
113
Figura 95 – Le maree – Energia gravitazionale
Figura 96 – Rotori per energia marina
114
sintesi clorofilliana né ad accrescere la velocità di quella naturale.
I sistemi che attualmente si utilizzano per catturare l‟energia solare sono di due tipi: termico e
fotovoltaico.
Nel sistema termico, l‟energia del sole viene catturata sotto forma di calore che può essere usato direttamente per il riscaldamento di ambienti o di fluidi vari, ad esempio l‟acqua per usi
sanitari, o indirettamente per essere ulteriormente trasformato in energia elettrica.
Nel sistema fotovoltaico, l‟energia del sole viene trasformata direttamente in energia elettrica,
sfruttando delle proprietà caratteristiche di alcuni materiali, come ad es. il silicio.
Entrambi i sistemi sono discontinui perché hanno bisogno della luce del sole per funzionare.
Più precisamente, il sistema termico ha bisogno della luce diretta del sole, quindi non funziona di notte e quando il cielo è nuvoloso, mentre il fotovoltaico, che funziona anche con la luce
diffusa e quindi nei giorni nuvolosi, è in ogni caso fermo di notte.
L‟energia solare può quindi essere usata, per ora, o per l‟alimentazione di sistemi, a loro volta, discontinui, o per integrare l‟energia fornita da un‟altra fonte che abbia la caratteristica della continuità.
In ogni caso poi, per raccogliere una quantità di energia di una certa entità, sono necessarie,
con le tecniche attuali, aree molto vaste (Figura 97) per l‟installazione dei pannelli solari e,
ovviamente, situate in zone molto soleggiate, come ad esempio i deserti.
Per gli impianti solari termici si usano attualmente degli elementi costituiti da specchi parabolici (Figura 98) che hanno la proprietà di concentrare i raggi del sole e quindi la loro energia
in un punto, il fuoco dello specchio. Se in questo punto si dispongono delle tubazioni in cui
passa un fluido, questo assorbe l‟energia e si riscalda fino a temperature che possono raggiungere e superare i 400 °C.
Il fluido caldo è poi utilizzato per generare del vapore d‟acqua ad alta pressione, che tramite
una turbina e alternatore, produce energia elettrica.
Le celle fotovoltaiche (Figura 99) sono invece costituite da una sottile lamina di un materiale,
generalmente il silicio, opportunamente trattato, che produce direttamente energia elettrica
quando è esposto alla luce diretta o diffusa del sole.
Le celle fotovoltaiche sono molto versatili e si prestano a molteplici applicazioni anche di
modesta entità (Figura 100).
115
Figura 97 – Impianto di energia solare termica
Struttura portante
Specchio parabolico
Tubo di assorbimento
Figura 98 – Collettore termico parabolico
116
Cella
Modulo
Figura 99 – Collettore fotovoltaico
Figura 100 – Pensilina solare
117
Pannello
L’energia nucleare
Abbiamo visto in che modo i combustibili fossili producono energia: l‟idrogeno ed il carbonio, di cui sono costituiti, reagiscono con l‟ossigeno, contenuto nell‟aria, producendo rispettivamente acqua, anidride carbonica e, contemporaneamente, energia sotto forma di calore ( 16).
Dai combustibili nucleari l‟energia si sprigiona invece in un altro modo e cioè dalla trasformazione della materia.
L‟uomo si è accorto, solo in tempi molto recenti, che la materia e l‟energia sono due entità
equivalenti e che l‟una può trasformarsi nell‟altra. La scoperta è dovuta al genio di Einstein
che ha, oltre tutto, il merito di aver trovato una relazione matematica molto semplice che lega
la materia e l‟energia:
E = m * c2
che significa che l‟energia E, equivalente ad una massa m, è uguale al prodotto della massa
per il quadrato di una grandezza c che è la velocità della luce.
Poiché la velocità della luce è molto grande (circa 300.000 Km/sec) la formula assume valori
molto elevati anche per masse molto piccole. Per avere un‟idea dell‟entità del fenomeno si
consideri che 1 solo grammo di materia corrisponde a circa 20 miliardi di calorie, ossia
all‟energia contenuta in 2000 tonnellate di petrolio. Detto in altri termini, l‟energia trasportata
da una petroliera di 200.000 tonnellate è equivalente a quella di una massa di appena un etto.
Ma come si fa a trasformare la materia in energia?
Per ottenere questo risultato occorre operare nell‟interno dell‟atomo e modificarlo.
Ci sono due modi per modificare l‟atomo al suo interno: o romperlo per ottenerne altri diversi
o fondere (si badi, non combinare) due atomi per formarne uno diverso; il primo di questi
processi si chiama fissione, il secondo fusione.
L‟uomo è riuscito finora a realizzare artificialmente solo il primo di questi processi, la fissione, limitatamente a pochi elementi naturali, di cui il più importante è l‟uranio. Non è ancora
riuscito, invece, a realizzare il secondo, la fusione, che avviene in continuo nel sole produ16
È stato recentemente dimostrato che anche la produzione di calore delle reazioni di combustione deriva da
una trasformazione di massa. Ma non ci addentreremo in questa tematica che esula dagli scopi di questa trattazione.
118
cendo tutta l‟energia che l‟astro diffonde nell‟universo e che ha dato origine alla nostra esistenza.
Per dare una descrizione molto elementare di questi processi, occorre riassumere alcuni concetti di base sulla natura e struttura dell‟atomo.
L‟ATOMO
La parola atomo letteralmente significa “non divisibile”. Con questa parola si designa la più
piccola parte di un elemento che conserva le proprietà chimiche dell‟elemento stesso e, fino a
non molto tempo fa, era considerata come la più piccola particella esistente in natura, quindi
non ulteriormente divisibile.
In tempi più recenti si è scoperto che l‟atomo è costituito a sua volta da particelle più piccole
di cui le principali sono i protoni, gli elettroni e i neutroni.
I protoni hanno una carica elettrica positiva, gli elettroni una carica negativa, mentre i neutroni non hanno carica elettrica (Figura 101).
I protoni ed i neutroni si dispongono nella parte centrale e costituiscono il nucleo dell‟atomo,
gli elettroni, che sono particelle molto più piccole delle altre due, si dispongono alla periferia
e ruotano intorno al nucleo come pianeti intorno al sole. Il numero di protoni del nucleo è uguale al numero di elettroni, cosicché le cariche elettriche positive e negative si compensano e
l‟atomo risulta elettricamente neutro.
Il numero di protoni costituisce la caratteristica più importante di un atomo. I vari elementi,
infatti, si differenziano fra loro proprio per il numero di protoni (e corrispondentemente di elettroni) presenti nel loro atomo.
In natura esistono 92 elementi diversi, che partono dal più piccolo, l‟idrogeno, il cui atomo è
costituito da un protone e un elettrone, al più grande, l‟uranio, il cui atomo è costituito da 92
protoni e 92 elettroni.
Oltre ai protoni nel nucleo è presente un certo numero di neutroni. Ogni elemento può avere
nel suo nucleo un numero variabile di neutroni che ne fanno cambiare il peso e le proprietà,
chimiche e fisiche, ma non la caratteristica atomica che, come detto, è solo legata al numero
di protoni. Gli elementi costituiti da un certo numero di protoni e numeri diversi di neutroni si
chiamano isotopi. Ad esempio, l‟idrogeno è formato da un protone, un elettrone e nessun neutrone; esistono però due isotopi dell‟idrogeno che contengono rispettivamente,oltre al protone,
un neutrone (il deuterio) e due neutroni (il tritio). L‟uranio ha ben 17 isotopi che contengono
119
numeri diversi di neutroni che vanno da 134 a 150.
Ogni elemento presente in natura è formato da una miscela di tutti i suoi isotopi, fra i quali
normalmente uno risulta percentualmente preponderante.
Ciò premesso, torniamo ora ai due processi sopra accennati, la fissione e la fusione, con cui la
materia può essere trasformata in energia. Di essi e dei complessi fenomeni che li regolano
daremo, ovviamente, una descrizione molto semplificata.
La fissione
La fissione è un processo con cui si bombarda il nucleo di un atomo con l‟obiettivo di ro mperlo in due o più parti.
Il proiettile usato per colpire il nucleo è un neutrone ed il bersaglio è un atomo di un elemento
pesante, come l‟Uranio che, come si è detto, è l‟elemento più pesante presente in natura il cui
nucleo è formato da 92 protoni.
Il nucleo dell‟uranio, quando è colpito dal neutrone, si rompe in due nuclei più piccoli ed emette contemporaneamente altri due o tre neutroni (Figura 102).
In questo processo la somma delle masse dei nuclei e dei neutroni che si formano è leggermente inferiore a quell‟originaria dell‟atomo di uranio e del neutrone che l‟ha colpito e la
massa scomparsa si trasforma in un‟enorme quantità di energia, sotto forma di calore, secondo la formula che abbiamo visto prima.
I due o tre neutroni prodotti diventano, a loro volta, dei proiettili che vanno a bombardare altri
atomi di uranio dando così al processo un andamento crescente che, se non viene controllato,
diventa una reazione a catena con carattere esplosivo. Se invece una parte dei neutroni prodotti è assorbita e quindi eliminata da qualche sostanza che agisce da schermo, il processo può
continuare con regolarità ed il calore prodotto può essere trasformato in elettricità, con i soliti
sistemi.
Proprio perché generata da operazioni che interessano il nucleo di un atomo l‟energia che si
ottiene si chiama energia “nucleare” o “atomica”.
La fusione
La fusione è un processo in cui i nuclei di due atomi si fondono, cioè si uniscono, per formare
il nucleo di un atomo più grande.
120
Protone +
Neutrone
Elettrone −
Figura 101 – L’atomo
Figura 102 – La fissione
121
Anche in questo caso la massa del nucleo dell‟atomo che si forma è inferiore alla somma delle
masse dei due nuclei che si sono fusi e la differenza (cioè la massa scomparsa) si trasforma in
un‟enorme quantità di energia che si sprigiona sotto forma di calore.
Questo processo, come si è già detto, avviene continuamente nel sole. Due nuclei di idrogeno
(o meglio, uno di deuterio e uno di tritio) si fondono per formare il nucleo di un atomo avente
due protoni e due neutroni. L‟elemento che si forma si chiama elio, che è un gas presente in
natura ed è il primo degli elementi più pesanti dell‟idrogeno. Il suo nucleo ha una massa leggermente inferiore alla somma delle masse dei due nuclei che lo hanno formato e la differenza
si è trasformata nell‟energia che il sole effonde nell‟universo.
L‟uomo non è ancora riuscito a realizzare artificialmente questo processo in modo controllato,
soprattutto per l‟enorme difficoltà di riprodurre le condizioni abnormi di temperatura esistenti
sul sole.
Due nuclei, infatti, avendo entrambi carica positiva, si respingono e occorre una grande quantità d‟energia per vincere questa repulsione. La temperatura, di circa 10 milioni di gradi, esistente nel sole conferisce agli atomi di idrogeno l‟energia sufficiente a vincere questa barriera,
ma quel livello di temperatura non sembra realizzabile sulla terra.
I tentativi di effettuare il processo a temperature meno elevate, la cosiddetta fusione fredda,
sono ancora in uno stadio molto preliminare.
122
L’Ambiente
Qualsiasi utilizzo o trasformazione dell‟energia è accompagnato da un contemporaneo ed inevitabile impatto sull‟ambiente.
Quest‟osservazione è stata già fatta nel capitolo precedente quando si è illustrato il funzionamento del motore.
Si è visto allora che il concetto di ambiente s‟identifica con tutto lo spazio esterno al motore
o, più in generale, esterno al processo di trasformazione di energia di cui si tratta. Non si è
detto, ma è facilmente intuibile, che quest‟esterno non ha confini ovvero l‟ambiente non è uno
spazio limitato ma comprende l‟intero universo.
L‟uomo è ovviamente interessato a quella parte dell‟universo che gli è più vicina, ma bisogna
evitare di porre limiti troppo ravvicinati per non incorrere in errori di valutazione che possono
diventare fuorvianti. Un esempio molto banale: se si considerasse che l‟ambiente sia la casa in
cui si vive sarebbe corretto mantenere pulito l‟ambiente buttando i rifiuti fuori della finestra.
Un confine che può avere una validità oggettiva è quello che delimita quella parte
dell‟universo, più vicina al nostro pianeta, dove esiste e si riproduce la vita vegetale ed animale e che prende il nome di biosfera.
L’aumento dell’entropia
Ciò premesso, chiediamoci ora di che tipo è l‟impatto che l‟uso dell‟energia ha sull‟ambiente
senza confini e poi, più in particolare, sulla biosfera.
Ritorniamo quindi al motore.
Come si è visto, una parte del calore del fluido che aziona il motore deve essere scaricato per
permettere al motore di continuare a funzionare. Si tratta di calore a bassa temperatura che
nell‟ambiente (infinito) produce un bassissimo e impercettibile aumento di temperatura.
123
Seguiamo ora l‟altra parte del calore che nel motore si è trasformata in energia meccanica ed
ha permesso, per esempio, ad un‟auto di muoversi. Essa è servita per compiere un lavoro, cioè
per vincere la resistenza dell‟aria che l‟auto incontra nel suo avanzare e l‟attrito delle ruote sul
terreno.
L‟energia utilizzata in entrambe queste funzioni si trasforma in calore (anch‟esso a bassa temperatura) che si riversa ancora nell‟ambiente. La quantità di calore che si genera è equivalente
a tutta l‟energia meccanica impiegata.
Nel suo insieme, quindi, tutta l‟energia inizialmente presente nella fonte energetica di partenza, qualunque essa fosse, si è trasformata totalmente in calore e si è riversata nell‟ambiente.
C‟è un‟altra grandezza che è entrata in gioco con un ruolo molto importante in tutto questo
processo: la temperatura.
La temperatura misura una caratteristica del calore posseduto da un corpo che è paragonabile
al livello di un liquido in un recipiente.
Così come un liquido passa spontaneamente da un livello più alto ad uno più basso, il calore
passa spontaneamente da un corpo che ha una temperatura più alta ad uno che ne ha una più
bassa.
Se si mettono in comunicazione due recipienti contenenti un liquido che raggiunge, in ciascuno di essi, livelli diversi, una parte del liquido passa dal recipiente col livello più alto a quello
col livello più basso, fino a quando il liquido raggiunge uno stesso livello intermedio in entrambi i recipienti. Lo stesso avviene per il calore: se due corpi hanno due temperature diverse, si crea un “flusso” di calore dal corpo a temperatura più alta a quello a temperatura più
bassa fino a quando non si raggiunge una temperatura intermedia uguale per i due corpi.
In entrambi i casi si può sfruttare il flusso d‟acqua o di calore, per trasformare parte della energia (idraulica o termica) in energia meccanica che, quando è usata per compiere lavoro, si
trasforma nuovamente in calore a temperatura più bassa.
Quando il calore è a temperatura ambiente, così come quando l‟acqua è arrivata al livello del
mare, non è più possibile realizzare un flusso di calore o di acqua e quindi l‟energia che ancora contengono diventa inutilizzabile.
Si badi bene l‟energia non scompare, ma diventa solo non utilizzabile per altre trasformazioni
o per compiere lavoro perché non è più possibile far defluire l‟acqua o il calore verso livelli
più bassi.
124
Mentre, però, l‟acqua del mare è nuovamente disponibile per essere vaporizzata dall‟energia
del sole, il calore a bassa temperatura, che prende il nome di entropia, va a riempire
l‟immenso recipiente che è l‟ambiente senza confini.
Tutti i processi energetici hanno questo destino comune e, così, indipendentemente dal fatto
che una parte dell‟energia sia o non sia utilizzata per produrre lavoro, l‟energia generata dalla
trasformazione continua della materia nel sole e nelle miriadi di stelle, continuerà ad accrescere l‟entropia e, quindi, la temperatura dell‟universo.
Nessun processo energetico potrà più avvenire quando la temperatura dell‟universo diventerà
tanto alta da eguagliare quella delle sorgenti.
Il tempo necessario perché ciò avvenga pone però quest‟evento fuori di qualsiasi proiezione
ragionevole.
È invece importante osservare che qualsiasi attività umana in campo energetico non influenza
assolutamente le sorti dell‟ambiente nella sua accezione più estesa. Una massa d‟acqua che
fluisce dal monte al piano trasforma in calore, lungo il percorso, l‟energia cinetica di cui è dotata. Se si inserisce un‟apparecchiatura (turbina e alternatore) per catturare e trasportare altrove parte di questa energia, non si fa altro che spostarne altrove la trasformazione in calore che
si riversa poi nello stesso ambiente infinito. In entrambi i casi l‟effetto sull‟ambiente infinito è
lo stesso ed è ugualmente impercettibile.
Non è così invece per quella parte dell‟ambiente che si chiama biosfera.
La biosfera
La biosfera è quella parte dell‟universo in cui esistono le condizioni necessarie all‟esistenza
della vita animale e vegetale del nostro pianeta. Essa quindi comprende non solo le terre emerse, incluso il sottosuolo, ma anche le acque, interne e del mare, e l‟atmosfera che circonda
la terra.
L‟impatto delle trasformazioni energetiche sulla biosfera consiste appunto nelle modifiche
che esse possono apportare alle condizioni che rendono possibile la vita.
Il tipo e l‟entità degli effetti negativi dipendono principalmente dalla fonte energetica utilizzata, ma nessuna ne è completamente esente.
In particolare le fonti a maggior impatto ambientale sono i combustibili fossili. Per analizzar-
125
ne le ragioni, ricordiamo quali sono le reazioni chimiche del processo di combustione attraverso cui essi forniscono energia:
Il carbonio (C) dell‟idrocarburo brucia, vale a dire reagisce con l‟ossigeno (O 2) dell‟aria, producendo anidride carbonica (CO2) e calore:
C + O2 = CO2 + CALORE
L‟idrogeno (H2) dell‟idrocarburo brucia, cioè anch‟esso reagisce con l‟ossigeno (O 2) dell‟aria,
producendo acqua (H2O) e calore:
2H2 + O2 = 2 H2O + CALORE
I prodotti della combustione dei combustibili fossili sono quindi l‟anidride carbonica e
l‟acqua, proprio quelle due sostanze che nella biosfera, con l‟energia del sole, danno origine
alla materia organica vivente che, a sua volta, ha dato origine ai combustibili fossili stessi.
Due sostanze, quindi, non solo di per sé innocue, ma addirittura essenziali per il funzionamento della stessa biosfera.
I problemi sorgono però per varie ragioni che adesso esamineremo più dettagliatamente e che
si possono classificare nei seguenti tipi (Figura 103):
Le combustioni incomplete
Le piogge acide
L‟incremento dell‟effetto serra
Le scorie nucleari.
126
Le combustioni incomplete
La reazione di combustione del carbonio, la prima delle due riportate sopra, può avvenire anche nel modo seguente:
2C + O2 = 2CO + CALORE
con la formazione di un prodotto (CO), che si chiama ossido di carbonio, e lo sviluppo di una
minore quantità di calore.
Ciò avviene (Figura 104) quando la quantità di ossigeno (ovvero di aria) presente è scarsa a
causa di difettoso funzionamento delle apparecchiature in cui avviene la combustione (ad es.
stufe con camini sporchi o altrimenti otturati, ecc.).
A differenza dell‟anidride carbonica, l‟ossido di carbonio è un gas tossico e aspirato, anche in
piccole quantità, può provocare la morte. È, infatti, il responsabile dei numerosi incidenti conseguenti alle stufe difettose di cui si sente spesso parlare.
Un altro caso di combustione incompleta si può verificare anche nei motori a scoppio, sia a
benzina sia a gasolio. In questo caso, oltre ad ossido di carbonio, possono essere emessi, dal
tubo di scarico, idrocarburi incombusti o addirittura particelle di carbone (si pensi ad es. alle
fumate nere che si sprigionano dagli scappamenti di alcuni mezzi pesanti).
Alcuni degli idrocarburi emessi, ad es. il benzene, sono cancerogeni, altri (PM10) possono
produrre disturbi respiratori di vario tipo. La loro presenza nell‟aria è comunque dannosa per
gli esseri viventi che la respirano.
Le piogge acide
Durante il processo di combustione, lo zolfo (S), eventualmente presente nel combustibile, si
combina anch‟esso con l‟ossigeno dell‟aria, formando anidride solforosa (SO 2), prodotto gassoso che viene emesso nell‟ambiente insieme agli altri prodotti della combustione:
S + O2 = SO2
Inoltre, alle alte temperature che si raggiungono durante la combustione anche l‟azoto
127
CO
Le combustioni
incomplete
CH
C
PM10
Le piogge acide
Cause:
SO2
NOx
L’incremento
dell’effetto serra
CO2
Le scorie nucleari
Radiazioni
Figura 103 – Le cause dell’impatto
C
02
CO2
2H2
02
2H2O
Calore
Calore
Carenza di ossigeno (aria) per apparecchiature difettose
CO
(gas tossico)
Idrocarburi
incombusti
(fra cui benzene)
Particelle di
carbonio
incombusto
(fumate nere)
Figura 104 – Le combustioni incomplete
128
Polveri sottili
(PM10)
dell‟aria (N2) si combina con l‟ossigeno per formare una serie di ossidi di azoto, indicati genericamente con la sigla (NO X), anch‟essi gassosi e scaricati con gli altri prodotti della combustione:
N2 + xO2 = 2NOx
L‟anidride solforosa e gli ossidi di azoto reagiscono con l‟acqua e l‟ossigeno dell‟atmosfera
per formare dei composti acidi, che ricadono al suolo durante le piogge sotto forma di soluzioni diluite di acido solforico e acido nitrico.
Entrambi questi acidi hanno effetti perniciosi sulla salute degli organismi vegetali e animali
oltre che su alcuni tipi di materiali da costruzione.
Le polveri sottili
Il concetto di polvere è molto familiare. È quella sottile patina che spesso ricopre mobili ed
oggetti che non vengono puliti o utilizzati.
La polvere è formata da particelle abbastanza leggere da poter fluttuare nell‟atmosfera ed essere trasportate dal vento.
Le particelle più piccole sono chiamate “polveri sottili”, o anche PM 10 e PM 2.5, in cui la sigla PM significa particelle (Particulate Matter) e i numeri indicano la loro dimensione. Più esattamente PM 10 e PM 2.5 sono le particelle di dimensioni inferiori rispettivamente a 10 e a
2.5 millesimi di millimetro (17).
Recenti ricerche epidemiologiche hanno trovato che le polveri sottili sono dannose alla salute
perché, insieme all‟aria, esse penetrano nelle vie respiratorie e, in particolare le più piccole,
raggiungono i polmoni dove ristagnano e provocano gravi disturbi o malattie.
L‟origine e la natura delle particelle sono le più svariate. Esse possono derivare da fatti naturali come sporcizia, terriccio, spore, polline ecc., o da attività umane, es. industria, traffico,
riscaldamento ecc. In particolare sembra che il traffico veicolare ed il riscaldamento diano un
notevole contributo alla quantità di polveri sottili presenti in una certa zona. In entrambi i casi
esse deriverebbero dalla combustione incompleta dei combustibili e, nel caso del traffico, an(17) Per dare un‟idea di questa dimensione si consideri che il diametro di un capello è di circa 50 millesimi di
mm.
129
che dall‟usura dei pneumatici.
L’incremento dell’effetto serra
L‟effetto serra è uno dei fenomeni più importanti che avvengono nella biosfera, anzi è proprio
grazie ad esso che sulla terra si è sviluppata e si riproduce la vita.
Come si è detto più volte, quasi tutta l‟energia che interessa la terra proviene dal sole.
L‟energia, irradiata dal sole nell‟intero universo, incontra sul suo percorso gli altri corpi celesti, su ciascuno dei quali quella parte dell‟energia che lo colpisce si trasforma in calore e lo
riscalda. La temperatura del corpo celeste aumenta ed esso comincia, a sua volta, ad irradiare
energia nello spazio. Il sistema raggiunge un equilibrio, quando la temperatura del corpo si
porta ad un livello tale per cui la quantità di energia irradiata eguaglia quella ricevuta.
La terra raggiungerebbe quest‟equilibrio ad una temperatura media di -18° C, livello a cui la
vita non sarebbe possibile.
La terra però è circondata da uno strato gassoso, l‟atmosfera, formato essenzialmente da azoto
ed ossigeno, ma in cui sono presenti anche piccole quantità di altre sostanze, fra cui l‟anidride
carbonica ed il vapor d‟acqua.
La presenza dell‟atmosfera, pur non alterando il principio dell‟uguaglianza fra energia ricevuta e quella riflessa, ne modifica in parte lo svolgimento (Figura 105).
L‟energia del sole s‟irradia nello spazio sotto forma d‟energia elettromagnetica (luce). Di
quella che raggiunge la terra, una parte (25% circa) viene direttamente riflessa nello spazio
dall‟atmosfera e dalle nubi, un altro 25% riscalda l‟atmosfera stessa e viene riflessa come energia termica, mentre il rimanente 50% raggiunge la superficie terrestre, la riscalda e viene
riflessa anch‟essa come energia termica (raggi infrarossi).
Non tutti i gas presenti nell‟atmosfera sono però trasparenti ai raggi infrarossi: l‟azoto e
l‟ossigeno lo sono ma il vapor d‟acqua, l‟anidride carbonica (ed alcuni altri presenti in quantità minori come il metano, i clorofluorocarburi e il protossido di azoto) sono invece opachi e
rinviano verso terra una parte dell‟energia che essa aveva riflesso. Ovviamente la terra deve
riflettere anche questa energia aggiuntiva e ciò richiede un aumento della sua temperatura.
L‟aumento di temperatura richiesto è di circa 33 °C e pertanto la temperatura media
d‟equilibrio della terra diventa 15 °C, anziché i –18 °C di una terra senza atmosfera.
Grazie quindi all‟effetto serra si sono create sulla terra le condizioni ideali per la vita vegetale
130
25%
25%
50%
50%
Terra
Figura 105 – L’effetto serra
Maggiore
benessere
Vivibilità
futura
Minore
fatica
Protezione
della
biosfera
Figura 106 –Lo sviluppo sostenibile
131
ed animale che conosciamo.
Qual è dunque il problema?
Come si è visto, la produzione d‟energia da combustibili fossili porta alla formazione di anidride carbonica ed acqua.
Ora si è notato che negli ultimi 200 anni, cioè da quando l‟industrializzazione ha richiesto un
crescente impiego di combustibili fossili, la percentuale di anidride carbonica nell‟atmosfera è
fortemente aumentata, passando da 270 ppm (parti per milione) a circa 370 ppm.
Contemporaneamente si è notato che la temperatura media della terra è aumentata in questo
periodo di pochi decimi di grado.
Le due cose, messe in relazione, hanno portato una parte degli scienziati ad affermare che la
maggiore concentrazione dell‟anidride carbonica nell‟atmosfera ha provocato un aumento
dell‟effetto serra e quindi della temperatura terrestre. Fra questi, inoltre, alcuni prevedono che
il continuo e crescente utilizzo dei combustibili fossili provocherà un ulteriore aumento della
temperatura terrestre con catastrofiche conseguenze per la vita sul pianeta.
Altri scienziati, invece, pur prendendo atto dell‟aumento intervenuto nella concentrazione di
anidride carbonica nell‟atmosfera, non la considerano come un effetto dell‟uso dei combustibili fossili, oppure non la considerano come causa del riscaldamento terrestre, oppure non
giungono a proiezioni catastrofiche per il futuro.
Ovviamente ciascuno dei due gruppi supporta le proprie tesi con dovizia d‟argomenti.
Purtroppo, però, in questa diatriba si è pesantemente inserita la politica e molte delle cose che
si dicono e si leggono sull‟argomento hanno perso gran parte del loro carattere scientifico.
L‟aspetto più inquietante è che su questo fronte si stanno mobilitando enormi risorse economiche, finanziarie, tecniche e umane che sarebbero state certamente impiegate più efficientemente se la politica fosse rimasta fuori della porta.
Le scorie nucleari
La produzione dell‟energia nucleare da fissione avviene, come si è visto, quando si bombarda
un nucleo di un elemento radioattivo fino a provocarne la rottura.
I due pezzi in cui l‟atomo si rompe sono, a loro volta, radioattivi e alcuni possono contribuire
anche loro al processo di fissione fornendo ulteriore energia. Quelli però non più utili al processo formano le cosiddette scorie. Si tratta in ogni caso di materiale radioattivo, ossia di so132
stanze che continuano ad emettere radiazioni dannose se sono assorbite in dosi di una certa
entità.
La radioattività di ogni sostanza diminuisce nel tempo perché la continua emissione di radiazioni porta ad un suo naturale decadimento. Essa però può durare per periodi molto lunghi, a
volte anche di migliaia d‟anni.
Il problema ed i possibili rimedi
Tutte le forme d‟impatto sulla biosfera, sommariamente descritte sopra, costituiscono una minaccia per la vita vegetale ed animale che si svolge sul pianeta.
Di conseguenza l‟uso dell‟energia e la protezione dell‟ambiente sembrano porsi come due esigenze antitetiche ed inconciliabili.
L‟uomo usa l‟energia per migliorare la qualità della vita, ma l‟uso dell‟energia comporta degli
impatti ambientali che la peggiorano.
Il dilemma che sembra porsi è: l‟energia o l‟ambiente?
Non mancano risposte estremistiche a questo interrogativo esistenziale, ma anche le più moderate tendono oggi a criminalizzare “l‟uomo”, come l‟artefice di una serie continua di misfatti che finiranno col distruggere l‟ambiente in cui vive. Da qui le nuove filosofie che auspicano di togliere all‟uomo il ruolo di attore centrale del pianeta Terra, e di parificarlo a qualsiasi altro essere vivente, animale o pianta che sia.
A porre “l‟uomo” sul banco degli accusati, poi, è diventata la moda preferita dei mezzi di comunicazione di massa, giornali, radio televisione, cinema ecc. Il loro potere persuasivo però
non è generalmente utilizzato per suggerire le soluzioni più appropriate ai problemi, ma per
convincerci che “l‟uomo” non siamo noi ma il nostro nemico preferito: l‟arabo o l‟americano
o la multinazionale o l‟industrializzazione o quant‟altro.
Il dilemma però non va risolto in questo modo, ma in maniera razionale e costruttiva.
Non è pensabile, infatti, che l‟umanità possa rinunciare agli innumerevoli benefici che l‟uso
dell‟energia ha permesso di conseguire, e ciò è vero sia per quella parte dell‟umanità che di
questi benefici già può godere appieno, sia per quella che ancora aspira a raggiungerli.
Ma nemmeno è pensabile che a fronte di questi benefici si possano arrecare alla biosfera danni irreparabili che rendano impossibili le condizioni stesse di vita sul pianeta.
133
Fra queste due opposte esigenze occorre creare un equilibrio (Figura 106) che le renda entrambe soddisfatte.
Se dunque è vero che l‟uso dell‟energia è frutto delle innovazioni e delle tecnologie che la ricerca scientifica ha scoperto ed introdotto, è anche possibile che sia proprio la ricerca scientifica a trovare ed applicare i rimedi necessari a ridurre o annullare gli effetti negativi collaterali
che si manifestano.
È proprio in questa direzione che da oltre un ventennio sono indirizzati gli sforzi della comunità scientifica mondiale e molti risultati sono già stati raggiunti, anche se ben pochi ne parlano. Le buone notizie non sono notizie!
Nella Figura 107, che riporta dati pubblicati dall‟Unione Europea, sono indicati i livelli medi
dei principali prodotti inquinanti nelle emissioni dei Paesi della Comunità. I dati sono relativi
al livello medio degli inquinanti nel 1995, che è stato posto uguale a 100. Nella stessa tabella
sono anche riportati i valori previsti nel 2010 e nel 2015, dopo l‟introduzione nel 2008 delle
norme più restrittive introdotte dall‟UE.
Come si può notare il livello degli inquinanti nelle emissioni, negli ultimi 18 anni, è stato drasticamente ridotto. Per alcuni, come l‟anidride solforosa una delle maggiori responsabili delle
piogge acide, la riduzione è dell‟ordine di 90% e, attualmente, non costituisce più un problema.
Questi risultati sono ancora più rilevanti se si tiene conto che dal 1990 al 2008 i consumi di
energia da fonti fossili sono aumentati di oltre il 20%. Essi sono stati raggiunti grazie
all‟impegno congiunto della comunità scientifica ed industriale a livello mondiale. Gli indirizzi seguiti sono stati di due tipi: il miglioramento della qualità dei prodotti energetici e lo
sviluppo delle tecnologie delle apparecchiature che li utilizzano.
Nel campo dei trasporti, uno dei settori critici per il contributo alle emissioni, il miglioramento della qualità dei carburanti, reso possibile dagli sforzi che l‟industria petrolifera è riuscita a
conseguire, è chiaramente visibile dalla tabella della Figura 108.
Nello stesso periodo l‟industria automobilistica ha introdotto una serie d‟innovazioni tecnologiche nel motore e, soprattutto, nei sistemi di alimentazioni e di scarico che hanno efficacemente contribuito alla riduzione delle emissioni.
Per citarne rapidamente alcuni:
134
Figura 107 – Andamento delle emissioni in Europa (Fonte UE)
1990
1994
1995
1998
2000
2005
2008
150
50
10
Benzina
Zolfo ppm
Benzene % Vol
1000
500
5
1
Aromatici % Vol
Tens. di vapore kPa
40
80
35
60
Gasolio
Zolfo ppm
3000
2000
500
350
Numero di cetano
49
51
Densità Kg/m3
860
845
T95 °C
370
360
50
10
Figura 108 – Miglioramento qualitativo dei carburanti autotrazione
135
La marmitta catalitica applicata sugli scarichi dei motori a benzina favorisce, grazie alla presenza di un catalizzatore, la combustione completa di eventuali idrocarburi incombusti riducendo drasticamente le emissioni di CO, di idrocarburi e di
polveri sottili. Grazie a questo accorgimento il risultato dell‟analisi degli scarichi di
un‟auto dotata di marmitta catalitica, fatta in occasione della verifica per
l‟emissione del cosiddetto “bollino blu”, mostra che l‟ossido di carbonio (CO), gli
idrocarburi incombusti (HC), e gli ossidi di azoto (NOx) sono assenti.
Il cambio automatico ormai installabile anche su motori di piccola cilindrata, eventualmente associato al controllo elettronico dei consumi (i cosiddetti “economizzatori”), regola gli stili di guida in modo da ridurre i consumi e quindi le emissioni.
I sistemi d‟iniezione ad alta pressione (“common rail”), nei motori a gasolio, favoriscono un dosaggio più accurato della quantità di carburante introdotto nel motore, quindi la completezza della combustione e la riduzione degli incombusti e delle
polveri sottili negli scarichi.
Allo stesso risultato contribuiscono altre due innovazioni apportate ai motori a gasolio, ossia i turbocompressori a geometria variabile e le iniezioni multiple controllate elettronicamente (“multijet”).
Infine l‟introduzione, specialmente sui grossi motori a gasolio, delle trappole per
particolato e dei sistemi catalitici simili a quelli dei motori a benzina favorisce notevolmente il completamento della combustione e quindi la riduzione delle polveri
sottili.
Sistemi analoghi e, a volte, molto più raffinati sono stati ideati ed applicati per la riduzione
delle emissioni industriali particolarmente in alcune applicazioni potenzialmente più pericolose come, ad esempio, l‟incenerimento dei rifiuti solidi urbani. Nel settore industriale si tende
ormai verso l‟obiettivo delle emissioni “zero”.
Nel terzo grande settore di consumo, il domestico, il cambiamento più importante è avvenuto
nel tipo di combustibile utilizzato. Una gran parte delle utenze, infatti, è passata dai più problematici combustibili fossili liquidi (o solidi) al metano, riducendo in tal modo notevolmente
il problema delle emissioni nocive.
I progressi finora ottenuti nella protezione ambientale con l‟ausilio delle innovazioni tecnologiche sono stati notevoli (ved. Figure 109-112 ricavate dai Rapporti ambientali dell‟ARPA
Lombardia) e lasciano ben sperare anche per il futuro. Essi hanno permesso di aggiornare fre136
Figura 109 – Andamento dell’anidride solforosa SO2
Figura 110 – Andamento dell’ossido di azoto NO2
137
Figura 111 – Andamento dell’ossido di Carbonio CO
Figura 112 – Andamento delle polveri sottili PM10
138
quentemente le normative sulle emissioni abbassando progressivamente i livelli ammissibili
degli agenti inquinanti.
È ovvio tuttavia che ad ogni abbassamento di un livello ammissibile corrisponda una maggiore difficoltà nel mantenerlo perciò, nei primi periodi successivi all‟introduzione di norme più
severe, aumenta la frequenza dei casi in cui non si riesce a rispettarle. Questo scatena la caccia all‟untore da parte di tanti sedicenti ecologisti, la cui buona fede lascia spesso molto dubbiosi.
139
Uno sguardo al futuro
L‟accumulo delle fonti fossili nei giacimenti è stato un processo lento, durato milioni di anni,
mentre il loro sfruttamento intensivo è cominciato circa centocinquanta anni fa ed ha avuto un
andamento enormemente più rapido.
Nel 2008, ad esempio, i consumi mondiali di energia sono stati di circa 12.6 miliardi di Tep
ed il contributo percentuale delle varie fonti alla loro copertura (Figura 113) è stato:

Petrolio
31.3 %

Carbone
26.3 %

Gas naturale
21.7 %

Nucleare

Rinnovabili
4.9 %
15.8 %
Poiché la fonte nucleare, usando la tecnologia attualmente disponibile, è probabilmente da
considerare anch‟essa esauribile questa situazione mostra che circa l‟84% dei consumi mondiali di energia è coperto da fonti la cui disponibilità è limitata e che, quindi, sono destinate ad
esaurirsi.
È allora logico chiedersi quante fonti non rinnovabili siano ancora presenti sulla terra e quale
possa essere la loro durata.
Sono due domande cui è possibile dare delle risposte solo approssimate e vediamo il perché.
Per quanto riguarda gli idrocarburi, si può considerarli divisi in due categorie: quelli che sono
già stati scoperti e quelli ancora da scoprire.
Le quantità di quelli già scoperti sono stimabili con buona approssimazione, grazie ai dati
raccolti quando il giacimento è stato trovato e messo in produzione.
140
Le quantità di quelli non ancora scoperti sono evidentemente valutabili in maniera meno precisa, perché la loro stima può essere basata su ipotesi di tipo teorico o su estrapolazioni di
tendenze attuali.
Per quanto riguarda la seconda domanda, ossia quanto possano ancora durare gli idrocarburi
presenti sul pianeta, alle difficoltà precedenti se ne aggiungono almeno altre due.
La prima è la previsione dei consumi futuri. Al variare dei consumi, varia, infatti, la produzione di risorse energetiche richieste per soddisfarli e quindi la durata delle riserve.
La seconda è la previsione del futuro livello dei prezzi.
Infatti, se pure fossero note le quantità di risorse ancora esistenti nel mondo resterebbe la difficoltà di valutare quante ne possano essere economicamente recuperate. Come già visto per il
petrolio, infatti, le quantità che si possono recuperare da un giacimento variano a seconda che
si utilizzino metodi più o meno costosi di estrazione che si giustificano solo se i loro prezzi di
vendita sono sufficientemente elevati ( 18).
Nonostante queste difficoltà, esistono dei dati sull‟entità delle riserve esistenti e sulla loro
probabile durata. Per una loro corretta interpretazione occorre però qualche chiarimento.
Riserve provate
Si definiscono “riserve provate” le quantità di idrocarburi estraibili, con metodi di produzione
economicamente validi, da giacimenti già scoperti e la cui consistenza sia già stata valutata.
Le “riserve provate” cambiano nel tempo:

in aumento per la scoperta di nuovi giacimenti e per il progresso tecnologico dei processi produttivi

in diminuzione per le quantità che man mano si producono

in aumento o in diminuzione per il metodo estrattivo utilizzato (primario, secondario o
terziario) in funzione del livello dei prezzi di mercato degli idrocarburi.
(18) In realtà, quando una risorsa energetica è limitata non è tanto il costo di produzione (e quindi il prezzo di
vendita) a limitarne le quantità prodotte, ma piuttosto il bilancio energetico del processo produttivo. In altri termini una risorsa energetica non è “economicamente” producibile se l‟energia necessaria a produrla è superiore a
quella che essa può restituire.
141
Vita residua
La “vita residua” delle riserve è definita come il numero di anni di durata delle “riserve provate” qualora il livello produttivo rimanesse uguale a quello dell‟ultimo anno.
Sulla base di queste convenzioni, la stampa specializzata pubblica alla fine di ogni anno il livello delle riserve provate e la vita residua degli idrocarburi.
Negli anni passati si è verificato che, nonostante di anno in anno le quantità di idrocarburi estratte dai giacimenti fossero sempre maggiori, la durata prevista tendeva ad aumentare piuttosto che a diminuire. Evidentemente le nuove scoperte e le migliori tecniche di produzione
hanno aggiunto idrocarburi alle riserve più di quanto i consumi ne hanno sottratto.
Ma sarà sempre così? Certamente no.
Nonostante i notevoli miglioramenti delle tecniche di ricerca e di produzione, nonostante
l‟orientamento di tutti i paesi verso uno sviluppo che richieda un minor consumo di energia,
nonostante il miglioramento dell‟efficienza nelle applicazioni energetiche, nonostante una
maggiore propensione verso il risparmio energetico, gli idrocarburi restano una risorsa limitata, destinata ad esaurirsi.
Quando questo avverrà è difficile da prevedere, ma non va perso di vista che a fronte di tutti
gli obiettivi di riduzione dei consumi ricordati sopra c‟è una popolazione mondiale che cresce
a ritmi vertiginosi e, nel secolo che si è appena concluso, è passata da poco più di un miliardo
e mezzo a oltre sei miliardi di persone. E ogni persona che si aggiunge alla popolazione mondiale irrimediabilmente accresce il fabbisogno totale di energia.
Nonostante le incertezze, si tenterà ugualmente di effettuare una proiezione dell‟andamento
delle riserve delle fonti energetiche esauribili, premettendo però che essa è da considerare
un‟analisi di tendenza più che una previsione.
Può risultare utile, a tal fine, analizzare dapprima l‟andamento di alcuni dati del recente passato, ossia del periodo, di poco più di trenta anni, successivo alla prima crisi petrolifera.
Riserve di petrolio
L‟andamento delle “riserve provate” di petrolio ha mostrato un deciso incremento verso la
metà degli anni ‟80 (Figura 114).
Questo è stato il risultato del grande stimolo all‟esplorazione, soprattutto nei paesi OPEC,
142
Figura 113 – Composizione delle fonti di energia
Anno 2008 – Consumi totali 12.6 Mld tep
Figura 114 – Riserve provate di petrolio (Mld ton)
143
conseguente al balzo dei prezzi del grezzo verificatosi durante gli anni ‟70.
Il processo è stato lento perché in questi paesi, come si può facilmente immaginare,
l‟improvviso enorme aumento dell‟afflusso di denaro ha creato non pochi problemi di natura
organizzativa e decisionale.
I nuovi ritrovamenti, localizzati soprattutto nei paesi del Medio Oriente, hanno fatto aumentare ancora di più lo sbilancio già esistente nella distribuzione geografica delle riserve.
Circa il 60% delle riserve provate di petrolio si trova, infatti, in Medio Oriente (Figura 115) e
ciò spiega l‟importanza e le difficoltà degli equilibri politici in queste zone.
Seguono nella graduatoria, ma molto staccati, il Nord America e l‟Europa-Eurasia che sono,
invece, le aree in cui sono maggiormente concentrati i consumi.
La vita residua delle riserve di petrolio (Figura 116), all‟inizio degli anni ‟70, era di circa trenta anni, ma dopo l‟aumento delle scoperte degli anni ‟80 si è portata sopra i quaranta anni.
Recentemente, però, si è manifestato un leggero trend discendente dovuto soprattutto
all‟aumento dei consumi.
Riserve di gas
Le riserve provate di gas naturale (Figura 117) hanno subito, negli ultimi trent‟anni, una crescita più rilevante e sono, ora, praticamente uguali a quelle del petrolio, ossia circa 170 miliardi di tep.
La loro distribuzione geografica (Figura 118) è meno concentrata di quella del petrolio. Le
zone di alta concentrazione sono due, la Russia con il 23.4% e il Medio Oriente con il 41%. Il
resto è abbastanza uniformemente distribuito nelle altre zone.
In termini di vita residua, alla fine del 2008, le riserve di gas (Figura 119) possono coprire un
consumo di circa 60 anni, ossia un periodo di una volta e mezzo rispetto al petrolio.
Questo dipende dal fatto che i consumi di gas sono tuttora inferiori a quelli del petrolio. Essi
stanno crescendo però molto rapidamente, sostituendo il petrolio in molte applicazioni. Ciò
spiega il declino della vita residua degli ultimi sei anni ed è prevedibile che l‟andamento decrescente continui anche in futuro.
144
Figura 115 – Distribuzione geografica delle riserve di petrolio
Figura 116 – Vita residua delle riserve di petrolio (anni)
145
Figura 117 – Riserve provate di gas (Mld tep)
Figura 118 – Distribuzione geografica delle riserve di gas
146
Riserve di carbone
Il carbone è la fonte fossile d‟energia utilizzata fin dall‟antichità. Si può quindi assumere che
le riserve di carbone esistenti sulla terra siano state già tutte individuate. Le quantità disponibili sono molto elevate, anche se, in termini di contenuto di energia, ogni tonnellata di carbone vale, mediamente, circa la metà di una di petrolio.
Le riserve di carbone, espresse per omogeneità in tonnellate equivalenti di petrolio, ammontano a fine 2008 a circa 412 Miliardi di Tep e la vita residua, al livello attuale di consumi, è di
circa 122 anni.
La distribuzione geografica delle riserve (Figura 120) è più omogenea di quella degli idrocarburi liquidi e gassosi e, quasi a compensazione, l‟area più ricca di questi ultimi, il Medio Oriente, è la più povera di carbone.
Le riserve di carbone, infatti, sono così distribuite nel mondo:

Asia
31.4 %

Nord America
29.8 %

Europa & Eurasia
14.0 %

Russia
19.0 %

Africa
4.0 %

Sud America
1.8 %
Le riserve di Uranio
I combustibili nucleari, a differenza del carbone, sono entrati sulla scena energetica soltanto
da pochi anni ed il loro utilizzo, come fonte energetica, è tuttora effettuato con una tecnologia
non molto efficiente. Il combustibile, infatti, è utilizzato in un unico ciclo produttivo nei reattori e deve poi essere scaricato come scoria.
La bassa efficienza è economicamente accettabile perché l‟incidenza del costo del combustibile nucleare sui costi totali di produzione dell‟energia elettrica è molto bassa.
Gli aspetti negativi di questa tecnologia sono però un‟elevata produzione di scorie, con i conseguenti problemi ambientali, ed un maggior consumo di combustibile nucleare per unità di
147
Figura 119 – Vita residua delle riserve di gas (anni)
Figura 120 – Distribuzione geografica delle riserve di carbone
148
energia elettrica prodotta.
Il secondo aspetto ha un immediato riflesso sulla vita residua delle riserve: con i consumi attuali, infatti, le riserve di uranio, di circa 60 miliardi di Tep, avrebbero una vita residua di circa 100 anni.
L‟argomento, in verità, è molto più complesso.
La quantità di uranio presente nel mondo è molto elevata. Esso è contenuto in molte rocce e
anche nell‟acqua del mare, ma a concentrazioni molto basse. Il costo di produzione pertanto
può essere molto alto.
Tuttavia l‟innovazione tecnologica dei reattori nucleari, ancora in corso di sperimentazione,
sta evolvendo verso un utilizzo del combustibile che ne prevede la rigenerazione ed il riciclo,
col duplice vantaggio di ridurre sia la produzione di scorie sia il consumo di combustibile. Se
questa tecnologia sarà consolidata l‟incidenza del costo del combustibile sulla produzione di
energia sarà ancora inferiore, o addirittura trascurabile, e quindi anche gli alti costi di estrazione dell‟uranio dalle acque del mare, potranno essere assorbiti. La vita residua dell‟uranio
diventerebbe così talmente lunga da renderlo una risorsa inesauribile.
Nella situazione attuale però viene considerato disponibile soltanto l‟uranio che può essere
prodotto ad un costo non superiore a 130 $/Ton ed è a questo che sono riferiti i dati riportati
sopra.
La distribuzione geografica delle riserve di uranio è così ripartita (Figura 121):

Africa
27.4 %

Eurasia
20.9 %

Australia
20.4 %

Nord America
18.1 %

Sud America
6.0 %

Europa
5.2 %

Asia
2.0 %
149
Disponibilità delle risorse
La tabella della Figura 122, riferita alla fine del 2008, riassume ed integra quanto riportato nei
paragrafi precedenti.
La seconda colonna della tabella riporta l‟entità delle riserve provate delle fonti esauribili espresse in miliardi di Tep. Nella terza colonna è riportata la vita residua di ciascuna fonte; nella quarta la relativa percentuale di partecipazione alla copertura del fabbisogno totale e, infine,
nell‟ultima colonna, la corrispondente vita residua, nel caso che ciascuna fonte dovesse ricoprire l‟intero fabbisogno di energia fornito dalle fonti esauribili (84.2% del totale).
I dati riportati nell‟ultima colonna sono quindi sommabili ed il loro totale, 63 anni, rappresenta la durata totale delle riserve di fonti esauribili attuali, se i consumi restassero costanti e uguali a quelli consuntivati nel 2008.
Evidentemente però le riserve non rimangono statiche ma variano e, principalmente, aumentano per le scoperte di nuovi giacimenti e diminuiscono per i consumi che devono coprire. Per
affinare l‟indagine, occorre quindi fare qualche considerazione su un possibile andamento futuro delle nuove scoperte e dei consumi.
Le scoperte di nuovi giacimenti
Per quanto già detto sul carbone e sui combustibili nucleari, eventuali giacimenti ancora da
scoprire riguardano solo il gas naturale ed il petrolio.
L‟andamento delle scoperte di nuovi giacimenti di questi idrocarburi negli ultimi trent‟anni è
riportato nella Figura 123, nella quale la linea verde molto variabile indica le scoperte anno
per anno mentre la rossa, che interpola i dati annuali, è più regolare e mostra un picco intorno
alla fine degli anni ‟80 ed un andamento decrescente negli anni successivi.
In particolare, dal 1973 al 1989 si è verificato un aumento medio annuo delle scoperte di olio
e di gas del 7.1% all‟anno, mentre dal 1989 al 2008 si è registrata una diminuzione dello 0.2%
l‟anno e non sembra che questa tendenza sia destinata ad invertirsi. Inoltre, i nuovi giacimenti
si trovano in zone sempre più impervie ed a profondità sempre maggiori, segno evidente della
loro minore disponibilità.
150
Figura 121 – Distribuzione geografica delle riserve di Uranio
Fonte
Mld tep
Vita residua
(Anni)
Copertura
%
Durata
(Anni)
Petrolio
172
44
31.3
14
Gas
166
60
21.7
13
Carbone
412
122
26.3
31
Nucleare
60
100
4.9
5
84.2
63
Totale
810
Figura 122 – Disponibilità delle risorse esauribili (Anno 2008)
151
L’andamento dei consumi
L‟altro aspetto da considerare è l‟andamento dei consumi nel prossimo futuro.
Il fattore più significativo che determina l‟andamento dei consumi di energia è l‟incremento
della popolazione mondiale.
Tutti conosciamo i diagrammi della vertiginosa crescita della popolazione mondiale negli ultimi due secoli (Figura 124), ma ancora più impressionante è l‟esame dell‟andamento dei tassi
di crescita in questo periodo.
Il tasso medio d‟incremento della popolazione mondiale è stato dello 0.7%/a nel corso del
XIX secolo, ma è salito a 1.3%/a nel XX e a 1.4%/a nei primi anni di questo secolo, grazie
soprattutto ad un generale miglioramento della qualità della vita che ha portato ad un allungamento della vita media e ad una riduzione della mortalità infantile.
Un altro importante aspetto (Figura 125) è lo sbilancio esistente nella ripartizione dei consumi
di energia fra i circa 1.2 miliardi di persone dei paesi più sviluppati e i 5.5 di quelli meno sviluppati (19).
Fra questi due gruppi i consumi di energia non sono equamente distribuiti e, più precisamente,
nell‟anno 2008 i consumi dei paesi più sviluppati sono stati pari a circa 6.7 miliardi di tep,
mentre quelli dei paesi meno sviluppati sono stati circa 5.8 miliardi di tep.
In conseguenza i consumi pro capite nei paesi dei due gruppi sono enormemente sbilanciati.
La Figura 126 mostra chiaramente la situazione relativa ai Paesi più sviluppati e ad alcuni dei
paesi meno sviluppati ed il grande divario esistente fra i due estremi.
In estrema sintesi si nota che il consumo medio pro capite è di 5.5 tep per i paesi più sviluppati, di 1.1 tep per i paesi meno sviluppati e di 1.9 tep per il mondo intero.
Per una proiezione futura bisogna anche tenere presenti alcuni altri fattori, fra cui almeno i seguenti:

Circa il 99% dell‟incremento della popolazione mondiale avviene nei paesi meno sviluppati.
(19) La definizione è quella dell‟ONU secondo cui i Paesi più sviluppati sono: Stati Uniti, Canada, Australia,
Nuova Zelanda, Giappone e tutta l‟Europa, compresi i Paesi dell‟Est Europa. Tutti gli altri paesi fanno parte dei
meno sviluppati.
152
Figura 123 – Nuove scoperte di olio e gas
Crescita 1800-1900 = 1.3%
Crescita 1900-2000 = 0.7%
Figura 124 – Popolazione mondiale (Miliardi di persone)
153
Figura 125 – Popolazione ed energia (Anno 2009)
Medie tep/procapite:
Mondo
Paesi più sviluppati
Paesi meno sviluppati
Figura 126 – Consumi di energia (tep pro capite – Anno 2008)
154
1.9
5.5
1.1

Fra i bisogni primari di queste popolazioni, oltre al cibo ed all‟acqua, bisogna oggi includere anche l‟energia. È lecita quindi la loro aspettativa di veder crescere nel futuro
il loro attuale livello dei consumi pro capite di energia.

È sempre più generale e pressante in quasi tutto il mondo una maggiore richiesta di
energia più “pulita”.
Proiezione
Tenuto conto di quanto fin qui osservato, sono state formulate le ipotesi di base per una proiezione semplificata dell‟andamento dei consumi e delle riserve delle fonti esauribili nel corso
di questo secolo, che possono essere così riassunte:

Per l‟andamento della popolazione si è assunto un tasso di crescita di 1% l‟anno, intermedio fra quelli verificatisi negli ultimi due secoli e di parecchio inferiore a quello
degli ultimi anni, assumendo, con un po‟ di ottimismo, che un maggior contenimento
delle nascite possa derivare da un miglioramento del livello medio culturale della popolazione mondiale. Si è assunto, inoltre, che il 99% dell‟incremento si verifichi ancora nei paesi meno sviluppati.

Per quanto riguarda la distribuzione dei consumi di energia si è assunto che i paesi
meno sviluppati raggiungano gradualmente, entro la fine del secolo, un livello di consumo pro capite pari alla media mondiale attuale di 1.9 tep, mentre i paesi più sviluppati mantengano invariato l‟attuale livello di 5.5 tep pro capite.

Per le nuove scoperte di olio e gas si è assunto per il futuro lo stesso tasso di diminuzione degli ultimi venti anni (-0.2%/a). L‟assunzione, anche in questo caso, è ottimistica perché il tasso di diminuzione di nuove scoperte di un bene esauribile dovrebbe
crescere, in valore assoluto, nel tempo.

Non si è tenuto conto, invece, dell‟aumento dei consumi di energia che potrebbero derivare da una sempre crescente richiesta di prodotti energetici meno inquinanti. La loro produzione, infatti, richiede un maggior dispendio di energia.

Si è inoltre assunto che il contributo percentuale delle fonti rinnovabili alla copertura
dei consumi rimanga costante, ossia che il loro impiego cresca con lo stesso ritmo dei
consumi.
155
Con queste assunzioni e con calcoli molto semplificati, si evidenzia che, già nel giro di pochi
anni, le riserve di combustibili fossili mostrano un marcato declino (Figura 127).
È evidente che l‟andamento reale delle riserve o, meglio, dei consumi non potrà essere quello
mostrato nel grafico. È verosimile, infatti, che con il consolidarsi di un andamento decrescente delle disponibilità delle fonti tradizionali di energia si verifichi un notevole aumento del loro prezzo, come già si è sperimentato in tempi molto recenti. Ciò produrrà due effetti equilibratori: una riduzione dei consumi ed una maggiore competitività, quindi un maggior sviluppo, di fonti alternative di energia.
Il contributo delle fonti rinnovabili
Esaminiamo quindi, un po‟ più dettagliatamente, se e quali fonti rinnovabili potranno contribuire alla soluzione del problema energetico che si prospetta nel prossimo futuro.
Ricordiamo sinteticamente quali sono le fonti rinnovabili:

L‟energia idraulica

Le biomasse di origine animale e vegetale(20)

L‟energia geotermica

L‟energia solare (termica e fotovoltaica)

L‟energia eolica

L‟energia marina derivante delle maree, delle onde e dai gradienti termici marini
La loro partecipazione al fabbisogno di energia nel 2008, come già detto, è stata pari al 15.8%
del totale mentre la loro composizione è riportata nelle Figure 128 e 129.
La maggior parte è costituita dall‟energia idraulica e dalle biomasse costituite, a loro volta,
per lo più dalle biomasse solide usate come combustibile domestico in molti paesi in via di
sviluppo.
Solo una piccola parte, circa lo 0.6% del consumo mondiale di energia, è costituita dalle altre
fonti rinnovabili. Di queste la quasi totalità è energia geotermica, mentre è evidente il bassissimo contributo delle cosiddette “nuove” fonti, che sono poi quelle a contenuto tecnologico
(20) Indicate spesso con l‟acronimo CRW che sta per Combustible Renewables and Wastes, comprendenti
anche i rifiuti solidi urbani.
156
Figura 127 - Proiezione
Figura 128 – Composizione delle fonti rinnovabili – Anno 2008
157
più elevato.
Nel periodo successivo alla prima crisi energetica del 1973, il tasso annuo medio di crescita
delle fonti rinnovabili è stato leggermente più alto di quello dell‟energia totale, ma non tutte le
rinnovabili sono cresciute allo stesso modo (Figura 130): l‟energia idraulica e le biomasse
hanno avuto tassi di crescita non molto diversi dalla media, mentre le “nuove” rinnovabili, in
particolare l‟eolica e l‟energia solare, hanno sperimentato tassi di crescita notevolmente superiori, ma che non hanno influenzato la media per l‟esiguità della loro consistenza.
La differenza dei tassi di crescita, con un‟interpretazione semplicistica, può ascriversi al fatto
che le biomasse sono i combustibili dei paesi poveri, che tendono ad essere abbandonate man
mano che migliora la loro situazione economica, mentre le “nuove” fonti, che richiedono tecnologie più sofisticate, si vanno affermando particolarmente nei paesi sviluppati e sono favorite dalla generale aspirazione verso forme di energia meno inquinanti.
Riusciranno le rinnovabili a sostituire in maniera consistente le fonti fossili in modo da ritardarne o annullarne il completo esaurimento? Quali hanno la maggiore probabilità di affermarsi? Oltre alle rinnovabili, esistono altre fonti che possono risolvere il problema?
Innanzi tutto, nessuna delle fonti rinnovabili deve essere scartata a priori. Ciascuna può dare il
suo contributo, ma quelle che sembrano avere le prospettive migliori sono l‟energia solare e la
nucleare, perché sono sufficienti, da sole, a soddisfare in modo praticamente inesauribile i futuri fabbisogni di energia dell‟umanità.
Oltre alle rinnovabili e alle nucleari esistono anche alcune altre fonti denominate “non tradizionali”: gli scisti e i clatrati. Sono anch‟esse delle fonti esauribili, ma disponibili in quantità
tali da spostare il problema dell‟esaurimento molto avanti nel tempo. Le tecnologie necessarie
per il loro sfruttamento, però, ancora non sono perfezionate.
D‟altra parte, anche per l‟energia solare e nucleare le tecnologie devono essere profondamente
migliorate se di queste fonti si vuole fare un uso intensivo.
Si può quindi concludere che il problema del soddisfacimento futuro del fabbisogno di energia richiede una grande promozione della ricerca scientifica per lo sviluppo di tecnologie innovative.
Ed è molto probabile che l‟ingegno dell‟uomo saprà trovare le soluzioni giuste per fornire
all‟umanità tutta l‟energia di cui avrà bisogno salvaguardando, contemporaneamente, le situazioni ambientali che garantiscano a tutti gli esseri viventi condizioni di vita sempre migliori.
158
Figura 129 –Ripartizione delle rinnovabili “altre” – Anno 2008
9%
48.1%
8.2%
8%
Tasso annuo di crescita
28.1%
7%
7.5%
6%
0.3%
5%
Geotermica
Solare
Eolica
Marina
4%
3%
2.6%
2.2%
2.3%
Energia totale
Rinnovabili
2.1%
2%
1%
0%
Idraulica
Figura 130 – Tassi di crescita dal 1973 al 2008
159
Biomasse
Altre
È necessario però agire subito. I tempi della ricerca scientifica infatti non si misurano in mesi
ma in anni e, a volte, in decine di anni e la minaccia di esaurimento delle fonti fossili è comparativamente vicina.
È auspicabile quindi che le relative risorse umane e finanziarie, la cui disponibilità è sempre
limitata, siano orientate, in modo chiaro e prioritario, verso l‟obiettivo dello sviluppo di fonti
energetiche alternative.
Contemporaneamente è indispensabile progettare ed attuare un corretto e completo programma di informazione dell‟opinione pubblica in modo da evitare o minimizzare il rischio di rigetto delle future soluzioni da adottare.
160
Sommario
Introduzione ........................................................................................................................ i
L’origine dell’energia............................................................................................................. 1
Le fonti di energia ................................................................................................................ 17
Le fonti fossili o esauribili ................................................................................................ 17
Il Petrolio ..................................................................................................................... 18
Un po’ di storia ......................................................................................................... 18
Origine del petrolio................................................................................................... 22
Esplorazione ............................................................................................................. 27
Perforazione ............................................................................................................. 30
Produzione ............................................................................................................... 36
Operazioni preliminari .............................................................................................. 39
Il mercato petrolifero ................................................................................................ 40
I depositi costieri ed i mercati nazionali .................................................................... 51
Caratteristiche chimiche ........................................................................................... 54
Trasporti marittimi e oleodotti .................................................................................. 63
Raffinazione – La separazione dei prodotti...................................................................... 67
Il motore................................................................................................................... 74
Le specifiche dei prodotti petroliferi ......................................................................... 77
Benzina ................................................................................................................ 78
Jet Fuel ................................................................................................................. 79
Gasolio per motori ................................................................................................ 80
a
Gasolio per riscaldamento ..................................................................................... 81
Lubrificanti........................................................................................................... 82
Olio combustibile ................................................................................................. 83
Il valore dei prodotti ................................................................................................. 84
Raffinazione – Le trasformazioni chimiche ..................................................................... 86
Cambiamento della struttura. ................................................................................ 86
Accorciamento delle catene. ................................................................................. 87
Costruzione di nuovi idrocarburi. .......................................................................... 87
Il gas naturale ............................................................................................................... 88
Il carbone ..................................................................................................................... 95
Le fonti rinnovabili ........................................................................................................ 100
Le biomasse ............................................................................................................... 102
L’energia idraulica ..................................................................................................... 103
Energia geotermica ..................................................................................................... 106
L’energia eolica .......................................................................................................... 109
L’energia marina ........................................................................................................ 111
L’energia solare .......................................................................................................... 113
L’energia nucleare ...................................................................................................... 118
L’atomo .................................................................................................................. 119
La fissione .......................................................................................................... 120
La fusione ........................................................................................................... 120
L’Ambiente........................................................................................................................ 123
L’aumento dell’entropia ................................................................................................. 123
La biosfera ..................................................................................................................... 125
Le combustioni incomplete ......................................................................................... 127
Le piogge acide .......................................................................................................... 127
b
Le polveri sottili ......................................................................................................... 129
L’incremento dell’effetto serra ................................................................................... 130
Le scorie nucleari ....................................................................................................... 132
Il problema ed i possibili rimedi ...................................................................................... 133
Uno sguardo al futuro......................................................................................................... 140
Riserve provate .............................................................................................................. 141
Vita residua .................................................................................................................... 142
Riserve di petrolio .......................................................................................................... 142
Riserve di gas ................................................................................................................. 144
Riserve di carbone .......................................................................................................... 147
Le riserve di Uranio ....................................................................................................... 147
Disponibilità delle risorse ............................................................................................... 150
Le scoperte di nuovi giacimenti ...................................................................................... 150
L’andamento dei consumi .............................................................................................. 152
Proiezione ...................................................................................................................... 155
Il contributo delle fonti rinnovabili ......................................................................................... 156
c
Profilo dell’autore
Eugenio Guadagno si è laureato in Ingegneria Chimica nel 1958 presso il Politecnico
di Napoli e, nello stesso anno, ha incominciato a lavorare con il Gruppo Montedison (allora ancora Edison) nel settore della progettazione, costruzione ed avviamento di impianti petrolchimici e petroliferi ricoprendo nell’arco di 12 anni posizioni di responsabilità crescenti.
Molti degli impianti realizzati in tale periodo sono tuttora in esercizio e fra questi di particolare importanza è la raffineria di Priolo, con una capacità produttiva di circa 10 milioni di Ton/anno di petrolio.
Dopo questa fase prettamente tecnica è passato, sempre nell’ambito dello stesso Gruppo, ad incarichi di tipo gestionale nel settore petrolifero, ricoprendo ruoli sempre più
impegnativi fino a diventare nel 1977 Direttore Generale del Settore Petrolifero, carica
che ha poi ricoperto per circa 11 anni.
Nel 1989 è stato nominato Presidente ed Amministratore Delegato della Monteshell
SpA, joint venture fra Montedison e Shell, operante in Italia nel campo della produzione
e commercializzazione di prodotti petroliferi.
Nel 1992 è passato al Gruppo Oilinvest dove ha ricoperto, per quattro anni, la carica di
Direttore Generale della Tamoil Italia SpA, e successivamente varie altre cariche
all’interno del Gruppo, fra cui quelle di Amministratore Delegato della Tamoil Shipping
Ltd e della Tamoil Marketing Ltd, le due società inglesi del Gruppo Oilinvest con sede a
Londra, operanti rispettivamente nel campo del brokeraggio marittimo la prima e della
commercializzazione di prodotti petroliferi la seconda.
d
 Giugno 2010 