Vivere d`amore

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Vivere d`amore
Michele Borriello
Vivere d’amore
Teresa di Lisieux
© 2016 ÀNCORA S.r.l.
ÀNCORA EDITRICE
Via B. Crespi, 30 - 20159 Milano
Tel. 02.345608.1 - Fax 02.345608.66
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www.ancoralibri.it
N.A. 5611
ISBN 978-88-514-1694-2
Stampa: Àncora Arti Grafiche - Milano
Introduzione
Introdurre quest’ultimo lavoro di don Michele Borriello rappresenta per me un onore, e di questo sono grato all’amico e fratello
Luigi Borriello e alla sua famiglia, perché mi hanno consentito
di varcare la soglia di quello spazio interiore che ogni narratore
mette in gioco nel momento in cui decide di raccontare la vita di
un’altra persona, in questo caso quella liliale, solare, incandescente
di Teresa di Lisieux.
Vi invito a leggere questo testo tutto d’un fiato, perché si lascia
facilmente divorare, ma vi esorto anche a lasciarvi trasportare
da quel sentimento che, senza dubbio, avvertirete quando avrete
terminato di leggere l’ultima pagina: il bisogno di ritornare a gustarlo parola dopo parola, immagine dopo immagine, in una sorta
di ruminatio che esalta i sapori e lascia in bocca il gusto buono di
quello che si è mangiato.
La bellezza del testo, la poeticità della narrazione, l’approccio
storico e teologico-spirituale, l’incanto dell’esperienza narrata
sono così intensi e profondi che Teresa Martin, a molti nota come
santa Teresa di Gesù Bambino, sembra emergere in tutta la sua
tenerissima bellezza, divenendo lei stessa narratrice sapiente della
sua vita, in una sorta di dialogo con chi ha deciso di incontrarla e
fare insieme un pezzo di strada.
I molteplici fotogrammi che l’autore fa scorrere lungo la sua
opera, ben trenta se omettiamo il preludio che è come un portale
di una cattedrale, «un rosone sul suo cuore» – quello di Teresa –,
rivelano, attraverso la fluidità della scrittura e le puntualizzazioni
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sul nucleo centrale dell’esperienza della Piccola via e dell’Infanzia
spirituale, non solo il mondo di Teresa Martin ma anche il suo,
come se questo incontro fosse l’occasione propizia per scrivere il
suo testamento spirituale, l’atto di gratitudine sussurrato, da parte
di un credente e di un prete, a questa piccola Sorella; la gratitudine
di chi si è sentito sostenuto, illuminato e custodito lungo la sua
vita di uomo e di pastore, condotto all’essenziale del Vangelo e
dell’amicizia con Gesù, a quella piccolezza che non consente alla
paura di mettere sotto scacco la vita, a quell’abbandono o «resa»
(D. Bonhoeffer) che diviene consegna fiduciosa alla tenerezza, al
Buon Dio, alla misericordia.
In questa prospettiva di lettura, non ci troviamo dinanzi a uno
dei tanti libri scritti da don Michele Borriello, ma questo è il libro
della maturazione, una riflessione pazientemente intessuta lungo l’arco dell’esistenza; è come una mammoletta, cioè il fiore di
primavera che, prima o poi, ritorna nella vita di un uomo, come
bisogno di approdare alla propria umanità e alla bellezza dell’infanzia interiore.
C’è dolcezza nelle parole dell’autore, sapienza, profumo fragrante, passione, stupore, c’è il gusto di narrare quello che si è
sognato per una intera esistenza sul mare agitato della vita, come
un navigante della sua Torre del Greco, ma che ora diviene possibile scriverlo trovando, finalmente, parole adeguate, lasciandosi
portare da una compagnia, quella di santa Teresa di Lisieux, che
nel frattempo è divenuta stella polare, amica e confidente.
Forse è questo il segreto del testo che don Michele Borriello ci
consegna al termine della sua vita, che è il segreto stesso di Teresa:
la capacità di questa giovane donna di far emergere, mentre la si
racconta, la parte più profonda del narratore che, ad un certo punto, non sa più tenere la linea di confine tra quanto narrato e la sua
stessa vita. Forse che la Piccola via non è proprio questa complicità
che consente a ogni uomo di sentirsi amato, compreso, mai perduto, innalzato? Una via «molto dritta, molto breve, una Piccola via
tutta nuova» (Manoscritto C) dove non conta essere grande, avere
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virtù, doti, doni, perché è Dio che compie cose grandi in noi, come
in Maria, la Madre del Signore.
«Voi sarete consolati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete
accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò;
a Gerusalemme sarete consolati» (Is 66,12-13). Dio, «madre», si fa
nutrice generosa e tenera, porta ogni uomo e tutto un popolo sulle
sue ginocchia, accarezzando, consolando. Teresa di Lisieux resta
affascinata da questa immagine di Dio, tanto da farne la chiave
interpretativa della sua vita e della sua spiritualità. Lei comprese la
tenerezza materna di Dio, fino a sperimentare che la debolezza e lo
stesso peccato non sono di ostacolo all’Amore, anzi lo attraggono.
Dio si china sull’uomo e lo prende tra le sue braccia, diviene come
un ascensore che lo porta in alto, che sopperisce alla impossibilità
dei piccoli di affrontare questa ascensione con le proprie forze.
Teresa non vuole essere grande, vuole solo essere se stessa e cioè
sempre piccola. E qui per piccola intende consapevole del proprio
limite, creatura carica di imperfezioni, perché tale si sente ed è,
convinta che le imperfezioni attirano l’Amore misericordioso, sono
l’unico mezzo per essere invasi, sanati, perfezionati e che, pertanto,
la via breve per essere santi è alla portata di tutti.
Solo i piccoli hanno la capacità di ridurre le differenze generate
dagli adulti, da tutte quelle adultità di pensiero e di condizione
sociale che fanno di questo mondo e di questa umanità un luogo
di esclusi e di inclusi, santi e peccatori, migliori e peggiori, ricchi
e poveri, dimenticando che siamo semplicemente uomini e donne
che hanno bisogno di essere incontrati da un amore più grande,
perché si può essere limitati nell’amare, ma tutti siamo infiniti nel
lasciarci amare.
Credere, infatti, che il proprio amore basti è infelicità. Solo
se scorgiamo l’amore dell’altro/Altro siamo ricondotti a quella
grazia originale che aveva estasiato lo stesso Dio, «e vide che era
cosa molto buona» (Gen 1,31), a quella forma di umanesimo che
restituisce la prima bellezza, quella dell’immagine e somiglianza
(Gen 1,27) del Figlio unigenito, Gesù Cristo. È Lui, infatti, il no7
stro umanesimo. Il suo volto, umanato e sfigurato nell’esperienza
dell’incarnazione, è la fonte dell’umanesimo cristiano. Il suo volto
svuotato, umiliato, abbassato, come quello di tanta umanità (Mt
25), è l’approdo per ogni umanesimo che non scarta nessuno. Occorre abbassarsi per vedere il suo volto, per ritrovare i nostri volti,
perché l’umano accade a livello di volto, è una storia di volti che
si incontrano.
In questo umanesimo Teresa sviluppa la sua missionarietà e vive
la solidarietà con l’umano, soprattutto con quella parte che vive
al margine, come il criminale Pranzini, i senza Dio e coloro che
siedono alla mensa dei peccatori: «Voglio solo lavorare per l’Amore. Unico scopo è di farvi piacere, di consolare il Vostro Cuore, di
salvare le anime, perché vi amino eternamente».
In questo umanesimo di santa Teresa di Gesù Bambino, oserei
dire, c’è tutta la calda umanità di don Michele Borriello, il suo zelo
apostolico, la serena certezza che il cielo non è buio, nemmeno
quando ci assale il dolore, ma trapuntato di stelle. Dobbiamo solo
imparare a schivare qualche nube per godere dello scintillio del
firmamento.
P. Luigi Gaetani
Provinciale dei Carmelitani Scalzi di Napoli
Presidente CISM Nazionale
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Preludio
Neve e rose
Teresa di Lisieux… conoscerla non è molto difficile! Conoscerla
come un volto nuovo tra una folla di volti anonimi, forse sì!
Conoscerla come una dolcissima giovane donna che ti viene
presentata, forse sì!
Conoscerla come una che ha vissuto con intensità e coerenza la
sua missione, forse sì!
Conoscerla come colei che ha amato più di ogni altra donna del
suo secolo il suo Sposo, è difficile, quanto improbabile!…
Conoscerla per colei che ha vissuto l’amore attraverso l’olocausto, il calvario della sofferenza senza limiti, è quasi impossibile.
Eppure non è imperscrutabile la sua anima, anzi.
Anima filiale, solare, incandescente.
Figlia del suo secolo, figlia dei cosiddetti tempi moderni.
Ma facilmente si può leggerla, perché ci ha lasciato una finestra
aperta – un rosone – sul suo cuore.
La Storia di un’anima è la finestra attraverso cui possiamo tutti –
chiunque lo voglia (e siamo in tanti…) – gettare uno sguardo fino
al fondo della sua luminosa esistenza.
Moltissimi, dunque, l’hanno conosciuta e l’hanno amata subito
(perché non si può conoscerla e non amarla!) attraverso la sua
autobiografia. Ma altri – e anche essi sono una stragrande moltitudine – l’hanno conosciuta non per affinità elettive, ma perché
innamorati dello stesso Amore, o almeno tesi ad amare, comunque
imperfettamente, l’Amore.
Altri l’hanno scoperta e ne sono rimasti conquistati, come naufraghi approdati alla spiaggia di un’isola felice.
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Altri l’hanno riconosciuta nella donna della porta accanto,
nella compagna di partito, nell’amica del proprio posto di lavoro
o almeno come colei che viaggia insieme con noi ed ha fatto e fa la
stessa esperienza sublime ed angosciante di una vita dedicata a…
Uomini, discesi fino all’inferno dell’abiezione come droga, sesso, alcolismo, violenza si sono scontrati e sono stati sconfitti da
Teresa di Lisieux, perché vinti dall’amore di Teresa.
Allora puoi incontrarla in bistrot di infimo ordine a Parigi, come
a Marsiglia, come a New York o a Tokyo e ancora e sempre tra gli
ultimi sempre seduta con il capo chino, in accattivante atteggiamento di sorella più piccola, la beneamata…
E tu tra i fumi dell’assenzio1, come usava una volta, puoi affondare nel mare iridescente delle sue pupille… Oppure… la vedi?…
è in un gruppo fotografico: non ha velo, né la veste monacale… è
una giovanetta tutta sorriso con i capelli color rosso tiziano scompigliati dal vento… non ha ancora quindici anni!
Oppure… ne avverti la voce come di miele ed insieme vigorosa
in un’assemblea scientifica o di lavoro o di famiglia.
E qualcuno o qualcuna non la chiama per nome, ma le dà il nome con cui tutti la riconoscono e cioè la Petite… la Piccola. E con
questo nome si vuole esprimere il programma di tutta la sua vita.
Io ho incontrato Teresa in un sogno.
Ve lo racconto.
È notte fonda: lampioni gemono, in una lieve nebbia settembrina, appena una luce scarsa.
Ecco come viene descritto un incontro con la Piccola: «Il Santo Bevitore… vide
che era entrata una ragazzina e che si sedeva di fronte a lui… Era giovanissima,
giovane come gli pareva non fosse mai stata nessuna ragazza veduta prima, ed era
completamente vestita di colore blu cielo. Era blu come lo può essere solo il cielo
in certi giorni e soltanto in quelli benedetti. Andreas si avvicinò… e le chiese:
Come si chiama? Teresa: rispose lei.
Ah, eclamò, Andreas, ma questo è bellissimo! Non avrei mai pensato che una così
grande, cosi piccola santa, una così grande e così piccola Creditrice mi concedesse
l’onore di venirmi a cercare) dopo che io ho tardato tanto ad andare da lei». Da: J.
Roth, La leggenda del Santo bevitore, Adelphi, Milano 1996, pp. 67-68.
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La strada è spaziosa, ma il marciapiede su cui cammino, come
su di una nuvola, è stretto.
Di fronte ho un tipico palazzetto della provincia francese. C’è
sulla facciata posteriore la réclame di un liquore.
Alla mia destra un negozio a tre vetrine: all’interno è buio pesto.
Dalla luce fioca del lampione un’insegna viene parzialmente
illuminata: «Horlogerie-Bijouterie». Non passa anima viva, ed ecco
avverto uno scatto, un trillo di un campanello, come nelle vecchie
farmacie, e dal negozio esce un uomo.
Non è molto alto, ma il suo portamento è assai dignitoso; ha
lunga barba grigia e baffi che si confondono con essa dello stesso
colore. Ha fronte spaziosa e non ha molti capelli: ai lati del capo
essi sono rari e le basette si uniscono alla barba. Occhi penetranti
e naso aquilino, appena schiacciato alla base. Indossa una lunga
casacca di fustagno scuro, senza collo, con una lunga pistagna di
velluto, nera. Rimango sorpreso, attonito e mi fermo di botto. È
un volto che non mi resce nuovo. Gli domando:
«Scusi, signore, mi può dire dove mi trovo e chi è lei?».
«Questa è via Pont-Neuf, n. 15 in Alençon e questo è il mio
negozio di orologeria e gioielleria. Vi abito con mia moglie Zelia
Guérin. Io sono Luigi Martin. Desidera sapere altro?».
Non ebbi coraggio di rispondere, mi chinai quasi con devozione
e feci per prendergli la mano e baciarla.
Il signor Martin fece come un balzo indietro, quasi a voler entrare nel negozio.
Intanto una folla di pensieri mi turbinava nella mente e mi dicevo ripetutamente: è il padre!
Il padre santo di una figlia santa!…
Ancora, sognando, pensavo: Quale guida più idonea per incontrare la piccola Teresa?
«La prego, signor Martin – balbettai – mi faccia incontrare la
piccola Teresa».
«Venga» disse, con un sorriso luminoso, e si incamminò senza
girarsi indietro.
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Camminammo a lungo e speditamente. Non ci fu sosta e non si
guardò né a destra né a sinistra: non incontrammo nessuno.
Intanto albeggiava. La direzione presa da Luigi Martin era verso
il sud di Alençon.
Si avvertiva come un rumore di acque che scorrono vorticosamente. Su di un cartello di legno si leggeva fiume SARTHE e più
avanti, dove si divideva in più rami, ecco una bella stradina di
campagna, via Des Lavoirs.
Il prato era spazioso e – ormai – illuminato dal sole: al centro di
essso, una breve torre esagonale di buona fattura.
«È il Pavillon – mi disse Luigi Martin, indicandomela –. Là
troverai Teresa».
Mi girai come di scatto ed ecco da sotto gli alberi, come una
variopinta e preziosa farfalla, un frugoletto.
Una gran bella bambina, abbronzata dal sole2 passa come una
piccola principessa tra fasci d’erba, appena falciata, ed un carro
tipico dei contadini locali.
I capelli sono di un rosso tiziano acceso, abbastanza lunghi e
assai inanellati. Gli occhi penetranti, due piccole stelle.
La bocca rosea e il viso dal colore del corallo quello detto pelle
d’angelo.
È ben cresciuta e indossa una vestina a campana di color verde
chiaro ed una camicetta colore avorio.
Incede a piccoli passi e si avvicina.
«Teresa» dico sommessamente e poi ripeto sempre con voce
chiara: «Teresa, piccola Teresa…».
Ai suoi piedi, ora, vedo tante e tante piccole rose e ancora rose
e ancora rose.
«Michel, vieni» mi sussurrò, ti aspettavo…
Voglio insegnarti la piccola via…
Poi una nuvola rosa la coprì e sparì tra piccoli cumuli di neve.
Al risveglio mi ritrovai con le lacrime agli occhi.
Dalla lettera a Paolina di Zelia Martin del 1 luglio 1873, in Lettere di Zélie Martin,
Àncora - Postulazione generale O.C.D., Milano - Roma 1960.
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