Verona

Transcript

Verona
Verona è
Quinta Parete
cultura e società
Novembre 2010
Verona
Società
Quinta Parete
13
Vi diremo qualsiasi cazzata vorrete sentire
di Silvano Tommasoli [email protected]
Sono in video, ergo sum
www.quintaparete.it
cultura e società
mensile on-line
Tutti vediamo la volgarità del Grande
Fratello, ma nessuno ne parla
Anno II - n. 6 - Giugno 2011
Diretto da Federico Martinelli
Arte
Musica
Viaggi
Gli Impressionisti a Milano
I Pooh e tanti altri a Verona
In viaggio nel Canada’s West
Inizia l’estate della città
Fino al 19 giugno Palazzo
con un minimo di eleganza
Omologati in TV. Peggio,
con le programma,
esibizioni di non ha mancato di
Reale omogeospita una pugni
splendida
una selezione
– mammaneizzati. No, non mi
riferisco
ai e di buon gusto? Oddio, non è che
grandiproporre
star nazionali
e
mostra
di capolavori
mia! Una selezione… Chissà gli
programmi televisivi,
che
sem- siano tanto più signorili gli autori
internazionali
senza
tempo
brano tutti “fatti con lo stampino” della trasmissione, che ricordano a altri! – dei provini, dove quasi nessuno
da almeno dieci anni,
peggio3 an- ogni piè sospinto il premio finaleadipagina
a pagina
4 dei candidati, per esempio, ha
cora dei vari telegiornali che sono alcune centinaia di migliaia euro, saputo dare una risposta sensata, o
come fosse l’unica molla a spingere almeno non insensata, alla richiesta
proprio tutti uguali.
Sto parlando dei Il
concorrenti
del questa variopinta umanità a di dichiarare il proprio “tallone di
re è nudo
Grande Fratello, tutti conformi a un esporre le proprie miserie alla vista Achille”.
di Ernesto Pavan
modello standard
tristissimo, quello di qualche milione di guardoni. E A ben pensarci, coloro che ne
della volgarità estrema. Sì, la volga- qui cominciano le rogne vere, per- escono meno peggio sono proprio
rità dei gesti, delle parole, degli at- ché sarebbe necessaria una com- i reclusi del Grande Fratello. Perché
La
difficoltà di trovare lavoro nel Limbo degli annunci bugiardi
teggiamenti è il denominatore missione di psicologi, sociologi e fanno pena, fino alla tenerezza. Abcomune che unisce, tra loro, quasi antropologi per cercare di capire bagliati dal miraggio di diventare
tutti i reclusi della “casa”. E li uni- che cosa possa indurre alcuni mi- Vip, e di guadagnare un sacco di
sce anche alla presentatrice, Alessia lioni di persone normali ad abbrut- quattrini, si prostituiscono fino a un
a gambe sempre aperte Marcuzzi. Ma tire il proprio spirito davanti alle punto di non ritorno, rimanendo
possibile che nessuno abbia mai incredibili esibizioni dei “ragazzi marchiati a vita da quel suffisso –
fatto notare a questa povera ra- della casa”. Forse la solita voglia di “del Grande Fratello” appunto –
gazza – addirittura capace la scorsa sentirsi migliori?
che li accompagnerà per tutta la
Un
giorno,
mentresulspulciate
gli quio.
vostro curriculum
avrà rà
di avuto la
A farciIlrespirare,
edizione
di sedersi
pavimento
vita.una
Pochi“giornata
finora hanno
fortunatamente,
annunci
di
lavoro,
ne
trovate
fatto
impressione?
Al
contrario:
prova
in
azienda”.
A e di far
dello studio, sempre rigorosamente c’è la Gialappa, che non ne lascia capacità di affrancarsene,
uno
di
questo
tipo:
“Azienda
è
probabile
che
non
lo
abbiano
volte
questo
“primo
a gambe aperte, spalancando passare una sia alla conduttrice sia dimenticare questa squallida oriin
espansione
seleziona,
per nemmeno
letto
che,
non
c’è Luca Argine mediatica.
Per tutti,
ai concorrenti.
Di epiù,
pernel
farcicaso
ca- colloquio”
un’ampia
panoramica
sulle propria
ampiamento
organico
[avideo,
volte decideste
at- nemmeno
e si altri
passa
gentero; e pochi
che si possono
pire il livellodidirispondere,
squallore (o divicrubiancheria intima
– che, in
la
ragione
“apertura
nuova
giornatacasting
d’Inferno
contare sulle dita dialla
una sola mano.
deltà?) una
dell’ufficio
del direttamente
assume
delle èposture
che fanno
a tenda
sede” o simile], n ambosessi come quella che è capitata al tragedia,
con
Non ritengo
siainizio
indenne da questo
per ruoli di... [segue un elen- sottoscritto e a molti altri che alle
otto di
di mattina
baratro
volgarità l’editore di
co variegato di mansioni, che hanno scelto Internet per espri- di
giornata
tantouna
spettacolo.
possono comprendere “gestione mere la propria frustrazione e qualsiasi.
Vorrei chiedergli – se mai fosse perclienti”, “relazioni pubbliche”, mettere in guardia i loro col- A
quell’ora
sona
abituata aarririspondere alle do“magazzino” e “segreteria”]. leghi disoccupati da simili an- vate
mande –all’ufficio
se sarebbe contento di far
Anche prima esperienza, pos- nunci ingannevoli.
col
vostro
comassistere
i suoi
figli adolescenti, o i
sibilità di formazione e crescita Cosa accadrebbe se decideste pleto
migliore,
suoi nipoti, a una porcheria simile.
professionale. Contratto a tem- di tentare il colloquio? In molti ansiosi
fare la risposta, diretMa forse di
conosco
po indeterminato.” Incuriositi, casi, questo sarebbe brevissimo: bella
figura,
siete
tamente
ispiratae dal
dioaccolti
denaro.da
rispondete all’annuncio invian- un omino lampadato e incra- una
musica
assordante.
AuMi sono
sempre
ribellato a ogni
do il vostro curriculum e in un vattato, sempre sotto i trent’an- mentando
il
vostro
sgomento,
forma di censura, come espressione
tempo brevissimo (di solito infe- ni e con l’aria di uno che gua- lo
stesso
delvolontà
primo collodella
piùomino
proterva
di anriore alle 48 ore) un rappresen- dagna bene, troverà qualcosa quio
(se c’è
stato)
vi ilguida
nientare,
nella
gente,
sensoproe la
tante dell’azienda in questione di molto speciale in voi e nel prio
in direzione
del devo
fracasso,
capacità
di critica. Ma
dire
Alla scoperta di una terra
dove poter immergersi
“into the wild” o ammirare
una grande metropoli
a pagina 14
Non è un paese per giovani
(soprattutto se seri)
vi telefona per fissare un collo-
vostro curriculum e vi propor- fino a una stanzetta dove deci-
che, di fronte a questo osanna alla
volgarità, comincio a capire quella
striscia di carta bianca, incollata, ai
tempi della mia adolescenza, sui
manifesti e le locandine dei film e
degli spettacoli più “sconvenienti”,
che prescriveva «V.M. di 16 anni».
Forse, adesso, sul cartellone del
ne
di ragazze
ragazzi ballano
Grande
Fratello siedovrebbe
scrivere
e«Vurlano
frasi
sconclusionate al
.M. di 99
anni»…
ritmo
dell’housecon
piùil scadente.
La
Per continuare
giro di volgascena
è
surreale:
una
discoteca
rità e stupidità sui media di oggi, vi
dalle
pareti
bianchepubblicità
tappezzate
rimando
all’ultima
di
di
frasi
motivazionali
principi
Marc
Jacobs.
Ma tenetevie forte,
eh!
Segue a pag. 2
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2
Società
Giugno 2011
Segue dalla prima
riassumibili in “spremi il cliente
più che puoi”, piena fino all’orlo di giovani in abito da lavoro
con l’aria di chi non è completamente presente in questo
mondo. A questo punto, cominciate ad avere paura.
Tuttavia, prima che l’istinto di
fuggire si inneschi, qualcuno
vi prende sottobraccio e, sempre urlando, vi presenta alcune
altre persone: saranno i vostri
“compagni di squadra” per
oggi. Chi vi ha accolto è il vostro “caposquadra”. Non volete
fare brutta figura di fronte a
degli estranei, quindi sorridete, vi presentate e andate a fare
colazione assieme a costoro; poi
vi fanno salire su una macchina
e via, si parte. «Andiamo a x»,
vi dice il caposquadra, dove x
è un posto qualsiasi a quaranta
chilometri dall’ufficio. Ormai
siete in trappola.
Durante il viaggio fate conoscenza coi vostri compagni
di squadra: sono tutti giovani diplomati, nessun laureato,
vestiti bene e abbronzati (ma
non quanto il caposquadra).
Si comportano come se foste
amici, anche se non vi siete mai
visti prima. Fra una battuta e
l’altra si parla anche del lavoro:
«Noi lavoriamo con le imprese»
spiega il capo. «Devi convincere baristi, ortolani, avvocati,
amministratori di condominio,
[l’elenco delle categorie prosegue], a sottoscrivere contratti
per l’energia elettrica con il
distributore n. Presentati come
uno venuto a controllare se
hanno ricevuto la bolletta “aggiornata”: se dicono di sì vuol
dire che è già passato uno dei
nostri, altrimenti fagli firmare
l’aggiornamento, che in realtà
è un contratto nuovo. Quando
chiudi un contratto, se riesci,
cerca di rifilargli anche il telefono...»
«Un momento»
potreste obiettare «io ero
venuta per un
posto da segret a r i a /a ddet t a
alle
relazioni pubbliche/
magazziniera,
non per fare la
venditrice porta a porta! Che
storia è questa?» Se lo dite ad
alta voce, i vostri nuovi amici
vi abbandoneranno per strada;
sì, avete capito bene, vi lasceranno a piedi a quaranta chilometri dalla vostra auto. Come
tornate indietro sono affaracci
vostri: loro non hanno tempo
da perdere.
Altrimenti, la vostra “giornata di prova in azienda” consisterà nello scarpinare per otto
ore entrando in ogni negoziet-
altro fingerà di essere venuto a
staccare la corrente a un negozio se il titolare non firmerà il
nuovo contratto (ma un rappresentante di commercio non
ha l’autorità per fare questo).
Durante il pomeriggio, poi, vi
insegneranno i “trucchi” del
mestiere (miranti a distogliere
l’attenzione dei potenziali clienti da ciò che stanno facendo) e
vi spiegheranno che loro non
sono “venditori”, parola molto
brutta da non ripetere mai, ma
“promoter”. Quando toccherà
a voi proporre un contratto, chi
vi era accanto vi loderà non appena finito e ripeterà le lodi di
fronte agli altri, una volta pronti a tornare indietro.
Si arriva in ufficio intorno alle
sei e mezza. Il terrore si risveglia in voi quando vi rendete
conto che vi stanno portando
di nuovo nella stanza della musica. Segue un’ora di “debriefing”, ovvero di urla, allegria
forzata, celebrazione rituale dei
contratti portati a casa e saluti.
Facendo i conti, sono quasi do-
to della zona in cui vi trovate,
ripetendo la manfrina che vi è
stata insegnata e sopportando
gli sguardi infastiditi (e spesso
anche la maleducazione) dei
titolari e degli eventuali clienti in quel momento presenti.
Nessuno ama gli scocciatori e
questo è esattamente ciò che
ci si aspetta voi diventiate. Assisterete anche a “proposte”
ai limiti della legalità, come
quando un vostro collega ingannerà un povero ingenuo
convincendolo a “firmare qui
per non pagare più il canone
Telecom” (è solo parzialmente
vero: in realtà sta sottoscrivendo un nuovo contratto con una
nuova compagnia) o quando un
dici ore di lavoro in un giorno.
Se siete fortunati, comunque,
questa parte vi sarà risparmiata e passerete direttamente alla
compilazione di un test che riguarda quello che avete imparato nel corso dell’esperienza.
Le domande sembrano tutte
molto facili, come se in qualche modo i vostri compagni di
squadra vi avessero suggerito le
risposte mentre vi spiegavano
in cosa consiste il lavoro. L’ultimo quesito vi chiede qual è
la retribuzione che considerate
adeguata.
Dopo aver finito di scrivere,
l’omino abbronzato del primo
colloquio porterà il vostro test
al Manager, nascosto dietro la
porta del suo ufficio. Passerà
una decina di minuti, dopodiché sarete convocati alla Sua
presenza. È una persona un
po’ più anziana degli altri che
avete visto finora, ma sempre
giovane. Vi stringerà la mano e
parlerà con voi di ciò che avete
scritto, lodando l’esattezza delle
risposte e raccontandovi fatti
della sua vita privata, comprese coincidenze bizzarre come la
sua intenzione di dare al figlio
che sta per nascergli proprio il
vostro nome. Quindi, vi spiegherà le condizioni contrattuali. La filosofia aziendale è “caro
lavoratore, a noi non devi costare nulla”, ma lui la spiegherà
in modo più allettante, usando
frasi quali “cerchiamo persone
ambiziose” e “questo è un lavoro che tutti possono fare, ma
pochi possono fare bene”. In
sostanza la retribuzione è del
tutto provvigionale, senza alcun fisso né rimborso spese: se
vi ammalate non guadagnerete
nulla fino a quando non tornerete a lavorare e se avete una
brutta giornata, o una serie di
brutte giornate, sono affari vostri. Nonostante questo, vi dirà
lui, molti dei ragazzi che avete
visto guadagnano una cifra
pari o superiore a quella che
avete indicato come “minimo
accettabile” alla fine del test.
Quello che non vi dice, naturalmente, è che siccome nel caso
non riusciate a vendere l’azienda non ci perde comunque nulla (mica vi paga, no?), nessuno
è interessato ad aiutarvi, anche
perché tutti sono impegnati a
portare a casa la loro pagnotta:
le promesse di “crescita” e “formazione professionale” sono
fasulle. L’unica possibilità di
carriera è diventare Manager,
il che significa semplicemente
doversi arrangiare su scala più
ampia (dal momento che nemmeno il Manager ha una retribuzione fissa).
A questo punto, la scelta è vostra: potete accettare un lavoro
privo di qualunque garanzia,
che richiede spregiudicatezza
e voglia di guadagnare a spese
del prossimo, o tornare a fare i
disoccupati in una società che
vi biasima perché, secondo lei,
non avete voglia di lavorare.
Non suona come una vera scelta, dite? Sono le vostre orecchie
a essere sbagliate. (ern. pav.)
Arte
Giugno 2011
3
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
di Federico Martinelli
Si conclude il 19 giugno la prestigiosa mostra d’arte del Clark Institute
A Milano i capolavori dell’Impressionismo
Ancora pochi giorni per ammirare le opere della collezione
Sterling&Francine Clark Art
Institute, tra le poche istituzioni nata con intento museale ma
anche con vocazione di ricerca
e formazione superiore delle
arti visive. A raccogliere tra il
1910 e il 1950 la maggior parte
delle opere che comprendono
la collezione fu Robert Sterling
Clark, uno degli eredi del patrimonio delle macchine da cucire
Singer, ingegnere con la passione per i viaggi e i cavalli. Clark
non si occupa dell’attività di famiglia ma si trasferisce a Parigi
per sfuggire al controllo paterno
e per organizzare spedizioni che
la sua eredità gli consentono.
Nella capitale francese conosce
la moglie Francine, attrice diplomata al conservatorio, con la
Corot, Bagnanti delle isole
quale inizia ad arredare la sua
casa con particolare attenzione
allo spazio per i quadri secondo il gusto che la sua famiglia
gli aveva impartito. Nel 1955,
dopo aver esposto solamente
una collezione di argenti, accetta di rendere pubblica l’esposizione delle opere tramite un
museo che affianca agli antichi
maestri come Piero della Francesca, Perugino e Mantegna
le opere dell’impressionismo
francese da Manet a Bonnard.
Lungo il percorso, accanto ai
più noti impressionisti, si possono ammirare alcune vedute
di Camille Corot in cui spicca
Bagnanti delle isole Borromee, tela
realizzata all’età di settant’anni e ispirata, in visione onirica,
ai paesaggi del Lago Maggiore che il pittore aveva visitato
vent’anni prima durante
un viaggio in Italia. Non
solo Monet, Morisot, Degas ma anche importanti
opere di Millet e Rousseau
che testimoniano sulla tela
la vita nei campi e il lavoro
di tutti i giorni. Il percorso
espositivo -ben allestito- è
articolato in dieci sezioni:
Impressione, Luce, Natura, Mare, Città e Campagna, Viaggi, Corpo, Volti,
Società e Piaceri. Si passa
dai soavi e delicati paesaggi di Pissaro e Sisley,
ai numerosi ritratti di Renoir, dai balli di Degas e
Lautrec agli assorti colori
di Monet, fino all’opera
dei
post-impressionisti
Bonnard e Gauguin. La mostra è curata da Richard Rand
con la consulenza scientifica di
Stefano Zuffi. Il catalogo ben
arricchito di contenuti storici e
descrittivi è opera di Skira.
Qui sopra Vaso di Rose di Manet
In alto: Incantatore di serpenti (Geròme)
Informazioni
L’esposizione, dopo la tappa di Milano, proseguirà in
Francia al Musée des Impressionnismes di Giverny,
in Spagna alla CaixaForum
di Barcelona per poi spostarsi
in numerose città del mondo.
Sotto l’Alto Patronato del
Presidente della Repubblica,
-organizzato dallo Sterling
and Francine Clark Art Institute con Palazzo Reale e Arthemisia- l’evento è promosso
dall’Assessorato alla Cultura
del Comune di Milano ed è
arricchito dal patrocinio del
Ministero degli Affari Esteri,
del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, del Consolato Generale degli Stati Uniti di Milano e della Camera
di Commercio Americana in
Italia.
4 Musica
Giugno 2011
Verso l’infinito e oltre
di Francesco Fontana
Al Teatro Romano attesi i Pooh e Antonella Ruggiero, a Villafranca i Dream Theather
Comincia l’estate di Eventi Verona
Anche per i mesi di giugno e luglio interessanti appuntamenti
con Eventi Verona. Giovedì 23
giugno arrivano al Teatro Romano i Pooh, che saranno sul
taro – pianoforte, si presenterà
sul palco proprio con i brani
dell’ultimo disco. L’incontro
tra la voce dell’ex cantante dei
Matia Bazar e le sonorità tipi-
palco per l’anteprima assoluta
del loro tour estivo. La band,
nella nuova formazione composta ora da sei elementi, proporrà i classici del repertorio oltre
ai pezzi dell’ultimo disco intitolato “Dove comincia il sole”.
La settimana successiva, mercoledì 29 giugno, sempre al
Teatro Romano si potrà assistere allo spettacolo di Antonella
Ruggiero. Lo show che andrà
in scena si prospetta molto particolare e suggestivo. La cantante, che aveva pubblicato lo
scorso anno un album live intitolato “Contemporanea Tango”, interpretato con il gruppo
Hyperion Ensemble, una formazione composta da Josè Luis
Betancor - bandoneon, Valerio
Giannarelli - violino, Bruno
Fiorentini - flauto, Guido Bot-
che del Tango rappresentano
un grandissimo punto di forza
per lo spettacolo. Per i balletti
saranno presenti sulla scena i
ballerini Patricia Carrazco e
Pablo Linares.
Tutt’altro genere di show ci
aspetta al Castello Scaligero
di Villafranca per la sera del 5
luglio. Torna in Italia infatti il
gruppo progressive Metal dei
Dream Theater. Sul palco si
potranno apprezzare anche i
pezzi dell’ultimo album uscito
proprio nel mese di giugno, il
primo senza Mike Portnoy. Di
spalla alla band ci saranno sulla scena anche Gamma Ray e
Anathema.
In alto a sinistra i Pooh rimasti in tre
a destra la locandina dello show
di Antonella Ruggiero
I Dream Theater con il nuovo batterista Mike Mangini (il primo da sinistra)
è on-line il nuovo sito di Verona è
www.quintaparete.it
Musica
Giugno 2011
5
Verso l’infinito e oltre
di Stefano Campostrini
Gli appuntamenti per gli amanti del genere e non solo
Verona è Jazz: in dettaglio
What is jazz?
Man, if you gotta ask
you’ll never know
Louis Armstrong
Anche quest’estate la città si
apre agli amanti del jazz, nelle
sue diverse varianti, con il festival ad esso dedicato. All’interno del programma dell’Estate
Teatrale Veronese, torna infatti
dal 29 giugno al 4 luglio l’appassionante ciclo di serate con
grandi esponenti della scena
musicale tra le più raffinate ed
emozionanti. Il Teatro Romano farà da scena ai tre iniziali
appuntamenti, a cominciare
dall’attesissima Antonella Ruggiero e la sua splendida voce.
Sarà accompagnata dall’Hyperion Ensemble, un’orchestra
fondata nel 1991 a La Spezia
e specializzata in musica classica contemporanea. Insieme
proporranno “Contemporanea
Tango”, le musiche della tradizione latina rivisitate in chiave
moderna, secondo una scaletta
già collaudata derivante dall’album live omonimo della Ruggiero, registrato la scorsa estate
in un parco di Roma.
Il 30 giugno doppia esibizione: nell’ordine saliranno sul
palco Eddie Palmieri con il suo
quartetto e la Gianluca Petrella
Cosmic Band. Due generazioni di jazzisti per due spettacoli
di grande intensità. Nato nel
1936 in quella New York fortemente connotata di cultura
latina, Eddie Palmieri è stato
per cinquant’anni suonatore e
direttore d’orchestra di salsa.
Appassionato percussionista in
giovane età, ha poi puntato sul
pianoforte, strumento col quale si esibisce con grande innovazione e creatività, avendogli
permesso, tra l’altro, di vincere
9 Grammy Awards nella sua
carriera.
Gianluca Petrella porterà a Verona il suo talento e la fusione
di generi. Con la sua Cosmic
Band spazia da solismo e improvvisazione alla Frank Zappa alla composizione di sezioni
musicali ben definite, come
primi due sono sicuramente parte della
storia del jazz: il primo, grande sassofonista ha suonato, tra
gli altri, con Cecil
Taylor e John Coltrane, diventando
esponente di quel
jazz d’avanguardia
degli anni ‘60 e ‘70.
Noto per le sue posizioni afrocentriche, per molti
anni è stato anche insegnante
di musica nelle università americane. Al suo fianco troveremo il bassista Davis, versatile
fece il grande Duke Ellington.
Nella terza serata al Teatro Romano, il 1° luglio sempre alle
21, sarà la volta di altri importanti personaggi di livello internazionale. Prima il duo Archie Shepp/Richard Davis e a
seguire David Murray Octet. I
musicista sia nel jazz che nella
musica classica. Ha creato una
fondazione per giovani bassisti
di talento, ed è stato insignito
di numerosi premi e riconoscimenti per il suo impegno sociale, sia come appassionato insegnante che come sostenitore
della lotta al razzismo.
A chiudere la serata sarà appunto la band di David Murray, che comprende diversi violini, viole e violoncelli, per un
suono caratterizzato da origini
latino americane sicuramente
entusiasmanti. È uno dei numerosi gruppi musicali che ha
fondato nella sua carriera, spaziando dal free jazz al bebop,
dalla world music al gospel.
Un artista dalle innumerevoli
collaborazioni e dalla grande
produzione. Anch’egli pluripremiato e impegnato nel sociale,
è una garanzia per chi lo andrà
ad ascoltare, rivelando il suo
grande passato e il suo sempre
promettente futuro.
Dall’affascinante cornice del
Teatro Romano a quella, se
possibile, ancora più mozzafiato dell’Arena, il 4 luglio. Toccherà a Ricky Martin concludere il festival, interpretando
i brani del suo ultimo album
“Musica, alma, sexo”, uscito lo
scorso anno e quelli più celebri
del suo repertorio, caratterizzato dal pop latino che lo ha reso
famoso nel mondo.
Qui sopra, a sinistra, Eddie Palmieri, a destra la Gianluca Petrella Cosmic Band, con il trombonista in primo piano; a centro pagina David Murray e in alto Ricky Martin
6
Musica
Giugno 2011
Verso l’infinito e oltre
di Francesco Fontana
Capossela torna sulla scena con il doppio album “Marinai, profeti e balene”
In viaggio con Vinicio Capossela
Il talento è la capacità di
imparare. Il genio è
la capacità di evolversi
Arnold Schoenberg
Quella raccontata da Vinicio
Capossela nel suo ultimo disco
“Marinai, profeti e balene”
è una vera e propria storia di
mare in musica. Si narra infatti
di marinai e profezie, di onde e
di sfide lanciate dall’uomo verso gli abissi, verso le sue insidie
e le sue paurose creature, in primis la maestosa Balena Bianca.
A tre anni da “Da Solo” arriva dunque questo doppio disco,
dalle ambizioni senz’altro superiori ai precedenti. Un vero e
proprio “concept album” con il
quale l’artista di origine irpina
celebra i vent’anni di carriera
toccando, almeno per il momento, la sua vetta artistica.
Capossela aveva esordito sulla
scena musicale italiana nel lontano 1990 con il primo disco intitolato “All’una e trentacinque
circa”, con il quale aveva vinto la “Targa Tenco”. Da quel
momento una serie di succes-
così varie, che nella ricerca, per
quanto riguarda i testi, di colti
riferimenti tratti dalla letteratura classica e mitologica. Le
registrazioni stesse, per facilitare quella sorta di immersione
totale nella materia narrata,
sono state effettuate tra i luoghi
di mare di Ischia e Creta, per
essere poi concluse negli studi
di Milano e Berlino.
Capossela ha suddiviso i 19
Vinicio Capossela, ben immedesimato nei personaggi delle sue storie
si come “Il ballo di San Vito”
del 1996 (uno dei migliori) e lo
strepitoso “Ovunque proteggi”
(2006).
Con “Marinai, profeti e balene” il cantautore ha però superato sé stesso, realizzando
un’opera mastodontica, ricchissima sia nelle sonorità, mai
pezzi del progetto nei due dischi seguendo una precisa linea
narrativa. Il primo è definito
dallo stesso artista di argomento “Oceanico e Biblico” e contiene richiami letterari come,
tra gli altri, quello a Moby Dick
di Herman Melville, a Lord Jim
di Joseph Conrad e persino al
Libro di Giobbe
dell’antico Testamento nel pezzo
Job.
Il secondo è invece “Omerico e
Mediterraneo” e
ha carattere mitologico, con la
figura di Ulisse
e del suo viaggio
quale ispirazione centrale. Da
qui pezzi come
Vinocolo, in riferimento al Ciclope,
Calipso,
Dimmi
Tiresia e il bellissimo e conclusivo
Le sirene.
Anche per quanto riguarda le
voci e gli strumenti musicali
utilizzati il valore dell’album è
smisurato. Per creare al meglio
le atmosfere Capossela e la sua
“ciurma” si sono serviti di strumenti antichi e tipici come, per
citarne solo alcuni, le Ondes
Martenot, l’arpa e le percussioni indonesiane. Ad arricchire il
tutto ci sono cori sia maschili
che femminili, oltre alla partecipazione di
cantanti solisti
come Psaradonis, icona
della musica
cretese, e l’argentino Daniel
Melingo.
È un album
da assaporare,
come un vero
lungo viaggio.
Considerarlo
un semplice
disco è però
davvero poco,
sia dal punto
di vista quantitativo
che
qua l itat ivo.
Vinicio Capossela definisce
infatti “Marinai, profeti e balene”, citando Dante, la sua
“Marina Commedia”. In effetti si tratta di una vera opera
dai grandi contenuti e capace,
inoltre, di spaziare tra i generi
musicali più differenti, sfuggendo a qualsiasi categoria o
etichettatura. È una colta metafora dell’esistenza dell’uomo:
tra mari in tempesta e canti di
sirene che ammaliano, sfide e
pericoli, profezie e vittorie.
Così parlò Eatwood
Tempo di cambiamenti l’estate e, come insegna Eatwood,
qualcuno è più precoce del solito. Due mani sulla tastiera,
rumore di sottofondo insopportabile, un odore pregno
che invade la stanza… non
ci riesco, come posso continuare a scrivere? Il ragazzino
invecchiato, vestito di marca,
con fastidiosa ironia rinnega
il mio ruolo, non ragionando
che anche lui, con il suo atteggiamento perde di credibilità e prestigio; uno scempio
dell’intelletto, ecco come mi
appare in questo momento. E
gira Eatwood che vuole cambiare e...cambia. Ma non il
vestito, da oltre una settimana
sempre uguale. Con una camicia con il taschino che arriva all’inguine, insegue malcapitate donzelle per offrire
un caffè, scrollandosi di dosso
una timidezza difensiva e strategica che l’aveva caratterizzato per oltre tre anni. Sono
sconvolto, mollo le dita (almeno 6) dalla tastiera e mi godo
la scena passandomi la mano
sulla guancia e sulla barbetta
incolta da liceale. Divertito
giocherello con i riccioli dei
capelli e rifletto. Mi strappo
per sbaglio un capello, un leggero urlo di dolore e torno alla
realtà. Ma il malaugurato avvicinarsi della stagione estiva
mi fa crollare un’altra certezza: anche il pesante e rotondo
fotografo appare diverso dal
solito. Lo trovo spalmare salsine alla panna da una ciotola
comune in un putrido bar della zona, alla faccia dell’igiene
e dei 40 gradi. D’altra parte,
scopro solo qualche ora più
tardi, è presidente nazionale
del club Botulino e Mononucleosi. Vergogna.
Musica
Giugno 2011
7
Verso l’infinito e oltre
di Francesco Fontana
“Complici” è il primo album di inediti del duo contrabbasso - voce Spinetti Magoni
La musica “a nudo”
Dopo alcuni anni dedicati, con
grande successo, alla rivisitazione dei grandi pezzi d’autore,
il duo contrabbasso e voce composto da Ferruccio Spinetti e
Petra Magoni pubblica “Complici”, il primo album costituito
quasi completamente da pezzi
inediti. Il fortunato incontro
artistico tra i due musicisti era
avvenuto nel 2003, dando il via
a quel suggestivo progetto che
ha preso il nome di “Musica
nuda”, caratterizzato da una
struttura musicale assolutamente essenziale: il contrabbasso di Spinetti, ex componente
degli Avion Travel, e la stupenda voce di Petra Magoni. Il
primo album intitolato proprio
“Musica nuda” aveva ottenuto
da subito ampio riscontro di
pubblico e, soprattutto, di critica. Così seguirono una serie
di performance live, principal-
mente tra Italia e Francia, e
altri due dischi: “Musica nuda
2”, un doppio album del 2006
con il quale vincono il “Premio
Tenco” per la categoria Interpreti, e “Musica nuda 55/21”
del 2008, un mix di pezzi inediti, una minoranza, e cover di
grandissimo livello.
Con l’ultimo album “Complici” si può senz’altro dire che sia
avvenuto il vero salto di qualità per il duo. Il titolo stesso del
disco rende l’idea della sintonia
che negli anni di collaborazione si sia sviluppata tra Petra
Magoni e Ferruccio Spinetti.
Proprio a proposito del nuovo
progetto discografico e del rapporto con il collega musicista la
cantante afferma in un intervista rilasciata alla rivista Jam:
“Abbiamo scelto come titolo
“Complici” perché è una parola che ci rappresenta. Il testo
del brano che
dà il nome al cd
parla d’amore;
noi, in realtà,
siamo una coppia artistica e
basta, ma siamo
legati da un forte feeling e un
percorso di vita
in comune”.
L’album è composto nell’insieme da 14 pezzi,
dei quali tre
sono cover: Mirza, di Nini Ferrer, Mon Amour,
di Henri Salvador e La felicità,
di Lucio Dalla.
Il resto del disco
sono undici stupendi inediti,
assolutamente
graphic designer
fotografo
vari e piacevolmente semplici.
Hanno anche collaborato molti
altri musicisti alla stesura dei
nuovi brani: Vado giù è composta da Luigi Salerno, Una notte
disperata è scritta da Pacifico,
When I drink da Silvie Lewis
e Rimando da Max Casacci dei
Subsonica. L’impressione è che
nessuno dei pezzi presenti sia
stato inserito come riempitivo,
ognuno possiede qualità autonoma.
Il segreto del successo di questa
formula “voice ‘n’ bass” appare da subito evidente. La scelta
di lasciare uno spazio piuttosto
ampio a silenzi e pause, rotte
dalla voce impeccabile di Petra
Magoni, rende il tutto assolutamente suggestivo, originale e
di grande atmosfera. L’impasto
dei suoni, essenziale e crudo
ma mai banale, valorizza al
massimo le qualità dei due artisti e la loro perfetta sintonia
che, percorrendo la strada dei
pezzi inediti, sembra ancor più
evidente e consolidata.
art director
[email protected]
346 0206480
Stefano Campostrini
Sopra la copertina del disco,
in basso a sinistra ritratto di coppia
del duo musicale
Edito da
Quinta Parete
Via Vasco de Gama 13
37024 Arbizzano di Negrar, Verona
Direttore responsabile
Federico Martinelli
Direttore editoriale
Silvano Tommasoli
Segreteria di redazione
Daniele Adami
Hanno collaborato
Daniele Adami
Paolo Antonelli
Anna Chiara Bozza
Stefano Campostrini
Francesco Fontana
Lorenzo Magnabosco
Federico Martinelli
Ernesto Pavan
Alice Perini
Silvano Tommasoli
Giordana Vullo
Realizzazione grafica
Stefano Campostrini
Autorizzazione del Tribunale di Verona
del 26 novembre 2008
Registro stampa n° 1821
8
Cinema
Giugno 2011
Visto abbastanza?
di Francesco Fontana
Il regista riceve al Festival del Cinema di Cannes la Palma d’Oro alla Carriera
Bertolucci premiato a Cannes
L’arte del cinema consiste
nell’approcciarsi alla verità
degli uomini, non di raccontare delle storie sempre
più sorprendenti
Jean Renoir
Un premio alla carriera per
Bernardo Bertolucci. Proprio
l’apertura dell’edizione del Festival del Cinema di Cannes
2011 è stata riservata, oltre che
alla presentazione della commedia sentimentale di Woody
Allen Midnight in Paris, alla premiazione del regista emiliano,
che ha ricevuto la prestigiosa
Palma d’Oro alla carriera proprio dalle mani di Robert De
Niro, presidente della giuria
ma, soprattutto, “suo” attore in
Novecento (1976).
Bertolucci è uno dei registi più
poliedrici della storia del cinema italiano: capace di indagare
nei suoi film, con grandissima
intelligenza e concretezza, il
mondo della politica, dei problemi esistenziali, della sessualità e molto altro. Nato a Parma
nel 1941, figlio del poeta Attilio
Bertolucci, inizia giovanissimo
a frequentare personaggi di spicco della cultura
e del cinema italiano,
avviandosi alla carriera
cinematografica proprio
come assistente di Pier
Paolo Pasolini sul set di
Accattone (1961). Il primo
lungometraggio arriva
l’anno successivo con La
commare secca ma il successo mondiale è raggiunto
esattamente dieci anni
dopo con Ultimo Tango
a Parigi (1972), film con
protagonisti la compianta Maria Schneider e
Marlon Brando, che cadde nelle trame della censura per le esplicite scene
di sesso, venendo anche sequestrato per un lungo periodo.
Nel 1976 arriva Novecento, con
un cast d’eccezione che comprende, tra gli altri, Robert De
Niro e Gerard Depardieu. Il
film è strepitoso nel calarci, in
modo piuttosto crudo, nella realtà delle lotte contadine nell’Emilia del periodo che intercorre
tra i primi anni del Novecento e
l’esplodere della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1987 arriva
quello che può essere considerato il momento più importante
per il regista: Bertolucci vince
ben nove premi Oscar con L’ultimo imperatore. Successivamente
riceve nel 2007 a Venezia il prestigioso Leone d’Oro alla Carriera e con quest’ultimo premio
a Cannes completa il quadro di
una carriera, non di certo ancora conclusa, strepitosa.
Bertolucci era già stato a Can-
nes in altre occasioni. Nel 1964
con Prima della rivoluzione, poi
con Novecento (1976) e con La
tragedia di un uomo ridicolo nel
1981, infine nel 1996 con Io
ballo da sola. Il regista emiliano
quest’anno non è tornato sulla
Croisette però solo per ricevere
il premio alla carriera. Nella
categoria Classics è stata infatti
proiettata la versione restaurata
del suo film Il conformista (1970),
presentato, tra gli altri, con
prestigiose pellicole di registi
italiani come L’assassino di Elio
Petri e La macchina ammazzacattivi di Roberto Rossellini. Il film,
adattamento cinematografico
dell’omonimo romanzo di Alberto Moravia, tratta il tema
della guerra, del fascismo e
dell’antifascismo, con impeccabili interpreti Jean- Louis Trintignant e Stefania Sandrelli:
una pellicola da riscoprire.
Giugno 2011
Verona è
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9
10
Libri
Giugno 2011
È la stampa, bellezza
di Ernesto Pavan
Settantacinque anni fa moriva il padre del leggendario Conan
Il barbaro del Texas: Robert E. Howard
Era nato nel 1906, figlio di
un dottore itinerante e di
una donna affetta da tubercolosi. Vide la fine del mito
della frontiera e le conseguenze del boom petrolifero.
Fece molti lavori per guadagnarsi da vivere, fino a
quando il successo del suo
personaggio più celebre non
gli diede fama e denaro. La
fine arrivò per sua mano,
l’11 giugno del 1936, dopo
che la madre da lui tanto
amata era caduta in coma
irreversibile. Si chiamava
Robert Ervin Howard e il
suo nome è rimasto legato a
quello del barbaro protagonista di soli diciassette degli
oltre duecento racconti da
lui scritti: Conan. Sì, proprio il Conan protagonista
di due film, centinaia di fumetti, serie a cartoni animati e imitazioni letterarie: il guerriero
venuto dalla nebbiosa Cimmeria, destinato a diventare re e a
purificare la civiltà decadente
col fuoco della sua barbarie.
Stranamente, Howard si stancò
in fretta di lui e della fantasy in
generale, ma i racconti sul Cimmero sono le sue opere migliori,
colme di una forza immaginifica ineguagliata nella letteratura
successiva. Il Conan di Howard
è un uomo brutale, ma onesto,
semplice, ma astuto, che non si
cura di nessuno al di fuori della
sua cerchia. Nelle sue avventure è di volta in volta ladro, pirata, soldato e razziatore, nonché
sempre ubriacone: molto diverso da certe sue rappresentazioni
successive, rivolte a un pubblico
che si pensava troppo impressionabile per i contenuti delle
storie originali di Howard. L’heroic fantasy, il genere letterario a
cui appartengono i racconti su
Conan, è definito dalle figure
dei protagonisti, che nel caso si
Howard assumono sfumature
nietzchiane: uomini che agiscono esclusivamente in base
a una propria morale, senza
riconoscerne altre, con grandi
ambizioni che a volte riescono a
coronare (tanto Conan quanto
l’altro barbaro nato dalla pen-
na di Howard, Kull, diventano
Re di una nazione).
Howard non fu solamente autore di fantasy. Il suo talento di
autore poliedrico, incapace di
limitarsi a un solo genere, lo
portò a scrivere racconti western, storie di pugili, horror e
gialli. Eppure, sebbene queste
opere dimostrino senza ombra di dubbio la sua abilità, è
nei racconti fantastici che Howard si esprime al meglio. La
sua scrittura, pur se qualche
volta ingenua, è priva di ogni orpello e va
direttamente al punto
senza impelagarsi in
giri di parole o metafore inutili. Per quanto
riguarda i contenuti, è
evidente che non può
esserci alcuna morale
nelle opere dell’autore: solo un evidente e
fortissimo
disprezzo
per certe convenzioni
sociali, unito a un razzismo per nulla celato
(ma bisogna ricordare
che l’autore scriveva fra
gli anni Venti e gli anni
Trenta, l’epoca della
segregazione razziale
negli USA). Questo non
può essere visto come
un difetto, a meno che
non si appartenga a
quel genere di lettori che giudicano ogni opera secondo i criteri della literary fiction e disprezzano l’immaginazione pura e
semplice.
Conan è senza dubbio il più famoso fra i personaggi nati dalla
penna di Howard, ma non l’unico degno di nota. Il già citato
Kull è in un certo senso il suo
antenato: anche lui barbaro,
anche lui usurpatore di un trono, è addirittura più primitivo
e sanguigno del Cimmero, al
punto che non incontrò il
favore del pubblico a causa
dei suoi eccessi (memorabile
la distruzione a colpi d’ascia
delle tavole della legge, in
“Questa ascia è il mio scettro!”). Totalmente opposto a
entrambi è Solomon Kane,
il puritano vagabondo la cui
missione (o maledizione) è
affrontare il Male, spesso
incarnato da stregoni dalla
pelle scura, in ogni angolo
della Terra. Kane è un giustiziere la cui morale e fede
religiosa sono rigidissime,
ma che in qualche modo
ha in sé anche il seme della
barbarie: nonostante cerchi
di essere freddo e razionale
nel pensiero e nell’azione,
a guidarlo è spesso l’istinto ed è capace di esplosioni
di ferocia che ricordano molto
quelle degli altri protagonisti di
Howard.
Il barbaro del Texas scrisse
anche racconti a sfondo storico, dove pure sono presenti
elementi fantastici: è il caso del
“ciclo celta”, una serie di racconti ambientati nelle isole britanniche prima e molto dopo
la conquista romana, pervasi
da un tono crepuscolare unico
nella produzione dell’autore.
Raccontano la morte di un
mondo antico e dei suoi
Dei, un’epoca che Howard rimpiangeva per
la sua onestà e semplicità: le stesse virtù che
attribuì ai suoi eroi. Ma
sono anche storie in cui
l’orrore del passato si
mescola al rimpianto,
come a dire che non
sempre la nostalgia è
fondata su basi concrete
e che certe cose è meglio lasciarle sepolte.
Nell’epoca della fantasy
zuccherosa e dei romanzi-fotocopia da un
centesimo al chilo, riscoprire Howard significa ritrovare le vere radici di un genere troppo
spesso sottovalutato. E
chissà, magari dargli
una nuova svolta.
Libri
Giugno 2011
11
È la stampa, bellezza
di Ernesto Pavan
La riscoperta: La guerra nel medioevo di Philippe Contamine
Il Medioevo che non si studia a scuola
Per la maggior parte di noi il
Medioevo non è che un susseguirsi di sovrani, Papi, eresie,
editti e battaglie di cui si conoscono solo il nome e l’anno.
Uno dei collanti fra tutti questi
elementi, ossia l’aspetto militare
della vita, non è minimamente approfondito nella scuola
dell’obbligo, forse perché lo si
ritiene superfluo o forse in ossequio a una certa tradizione
che vede il compimento del pacifismo nella totale ignoranza
dell’oggetto del suo disprezzo.
Contamine dimostra quanto
siano errate queste posizioni: la
società medievale non può essere compresa senza comprendere
prima la guerra e le sue istituzioni, così come determinati
eventi di questo periodo storico
(ad esempio la fine del feudalesimo) sono difficili da spiegares
se non si conoscono i retroscena
e i risvolti militari. La guerra nel
medioevo, un classico della storia
militare (uscì in Francia
nel 1980), è un ottimo
strumento per colmare
questa lacuna: in modo
ordinato e con stile, se
non proprio divulgativo,
perlomeno assolutamente chiaro, il saggio analizza ogni aspetto della
guerra medievale, dalle
istituzioni sociali su cui
si fondava all’equipaggiamento utilizzato dai
combattenti nelle varie
epoche.
La prima parte, quella
più propriamente storica, traccia un quadro
dell’evoluzione
della
guerra dalla caduta dell’Impero
Romano al XV secolo; la seconda analizza temi specifico come
gli armamenti, la storiografia
militare e gli aspetti religiosi
e legali connessi allo scontro
armato. Ciascun argomento è
trattato in modo estremamente
preciso, con abbondanza di citazioni da fonti d’epoca e non;
inoltre, i singoli capitoli e paragrafi sono organizzati in modo
da essere indipendenti fra loro,
cosicché il lettore interessato a
un solo argomento può saltare
alla pagina desiderata senza
rischio di perdersi nei
meandri dei rimandi interni.
Se qualcosa si può rimproverare a Contamine,
è la mancanza di un’analisi dettagliata degli
aspetti più “tecnici”
della guerra: si sente la
mancanza di dettagli
riguardo l’equipaggiamento dei guerrieri, l’evoluzione delle armi da
fuoco (di cui pure l’autore discute) e in generale
quella che si definisce
“oplologia” (la scienza
che studia le armi e i metodi di combattimento).
Ma per chi è interessato all’aspetto prettamente storico della
guerra, questo volume è una miniera di informazioni preziose.
Philippe Contamine, La guerra
nel Medioevo, il Mulino, pp. 435,
€ 14,00
L’ultimo libro di Azadeh Moaveni racconta una verità insospettabile
Quell’Iran che, in fondo, somiglia all’Italia
C’è un Paese in cui i giovani non raggiungono l’indipendenza economica prima dei trent’anni. C’è un
Paese in cui l’informazione
è rigidamente controllata
dal governo, ma la satira è
consentita, in modo che i
cittadini vadano a lavorare divertiti e non pensino
a lamentarsi. C’è un Paese
di leggi assurde in cui vige
la prassi di non rispettarle. Questo paese si chiama
Iran. Cosa avevate pensato?
Troppo spesso si crede che
il fanatismo religioso sia la
radice di società totalmente
aliene all’Occidente. Viaggio di nozze a Teheran mostra
una verità ben diversa. Alla
luce di questo romanzo
autobiografico, molte delle differenze fra Iran e Italia,
quelle che peraltro fanno più
scandalo, appaiono meramente estetiche: donne velate, gigantografie di mullah appese
ai muri e alcolici banditi. Che
sono, peraltro, i temi su cui la
gioventù iraniana pare più sensibile: i diritti civili, politici e
umani sono meno importanti
del diritto di bere alcolici e
girare scoperte per strada.
Stranamente, suona familiare.
Viaggio di nozze a Teheran è
un libro in cui di religione
si parla relativamente poco.
L’autrice, iraniana cresciuta in California, ha una visione romantica dell’Islam,
a cui fa da contraltare quella del marito Arash, che
invece il fanatismo lo vive
ogni giorno sulla propria
pelle; ma nell’economia del
romanzo questo è un tema
secondario. Analizzata da
vicino, la società iraniana
rivela che i suoi problemi
non sono dovuti all’Islam,
ma dall’atteggiamento rassegnato di fronte al regime
e dall’individualismo diffuso che impedisce un vero cambiamento: entrambi all’origine
del consenso inizialmente tributato ad Ahmadinejad, il cui
programma elettorale si basa-
va non a caso su promesse di
benessere economico. Un altro
punto che dovrebbe essere familiare ai liberi cittadini della
democratica Italia.
Non riveliamo nulla dicendo
che l’esperienza dell’autrice in
Iran finisce in un modo che
non lascia molto spazio all’ottimismo: di fronte alla prospettiva che il loro figlio cresca in un
Paese del genere, la coppia decide di fuggire in Occidente. Le
condizioni di vita in Iran non
sono tollerabili per una donna
cresciuta negli Stati Uniti e per
un uomo laureato all’estero, ma
condannato a una vita priva di
gratificazioni nel suo Paese natio. Ancora una volta, niente di
nuovo per noi. E il fatto che le
condizioni di vita in Iran appaiano familiari a un lettore italiano è veramente spaventoso.
Azadeh Moaveni, Viaggio di
nozze a Teheran, Newton, pp.
344, € 6,90
12
L’opinione
Giugno 2011
Il re è nudo
di Silvano Tommasoli
Alcuni grandi blablabla televisivi sono stati allievi di qualche scuola di eristi
Gorgia, Elena e la capra
C’era una volta – diciamo un
venticinque secoli fa – un
tipo, che aveva nome
Gorgia. Per vivere non
aveva grandi affanni,
perché aveva ereditato un sacco di bei
dollaroni dal su’ babbo, Carmantida, ma
soprattutto dal nonno Erodico, che aveva capito tutto della
vita e in gioventù si
era dato da fare per
ottenere una cattedra
di medicina in Atene.
Un barone della madonna, passato alla storia
anche per aver avuto, per
primo, la bella pensata
che i medici dovessero essere pagati. Il suo allievo
Ippocrate imparò la cosa
alla velocità della luce, e,
ancora oggi, riscuote la riconoscenza dei camici bianchi,
che gli giurano fedeltà quando
cominciano a lavorare. Fedeltà
all’idea della parcella, of course.
Insomma, il nostro Gorgia non
vuole seguitare la tradizione
di famiglia facendo il medico,
e già il nonno – vissuto fino a
centosei anni – si dev’essere
incazzato un tot. Ma si sa, i
giovani sono così, sono ragazzi e passano le sere al bar, che
allora chiamavano taverna, a
parlare di donne e di vino. Che
il calcio non l’avevano ancora inventato, così non c’erano
n�������������������������������
�����������������������������
le veline né le partite truccate. A que’ tempi, la star era
una certa Elena di Troia – un
nome, una leggenda – che pare
fosse di così prorompente bellezza che i maschi suoi coevi ci
si accapigliavano sempre, per
portarla fuori la sera quando lei
non era impegnata in una soap
opera intitolata Iliade, che è durata una decina d’anni (più o
meno quanto il nostro Beautiful)
ed era prodotta e diretta da un
tale Omero, un cieco che ebbe
la fortuna di inventare queste
fiction e farci un sacco di soldi.
Non è che allora le notizie corressero molto veloci, se è vero
che la storia di Elena ci mise
un sei/sette secoli ad arrivare
alle orecchie di Gorgia. Ma il
nostro, anche se l’aveva solo
sentita descrivere senza averla
mai veduta, fu così colpito dalla
straordinaria bellezza di Elena,
che si prese una sbandata virtuale e cominciò
a difenderla sempre e comunque.
Sosteneva a spada tratta che non
fosse stata lei a
provocare le risse
tra i giovanotti,
e finì con l’appassionarsi tanto
a l l ’a r g o m e n t o
da scriverci un
pezzo, che i titolisti del giornale
al quale lo inviò
intitolarono Encomio di Elena. Sì,
in effetti il povero Gorgia le sparò un po’ grosse,
ipotizzando che
la bella Elena si comportasse in
modo così, diciamo, disinvolto
perché mossa da un principio
di necessità (Ananke) a lei superiore, ovvero costretta con la
forza (maddai, Go’. Che erba
ti sei fumato?), oppure – udite
udite! – perché persuasa
dai discorsi e dalle belle parole (oi logoi) di
qualche bell’imbusto.
Un articolo di non
so quante migliaia
di battute per dimostrare l’importanza
delle parole, anche
in un’attività così
ordinaria come cercare di cuccare la più
bella del reame. Ce n’era davvero bisogno?
Se i famosi Fratelli fossero nati duemilacinquecento anni prima, magari
Gorgia una sera sarebbe
andato al cine anziché alla
taverna, si sarebbe potuto
sciroppare Palombella rossa
di Nanni Moretti e lo avrebbe capito subito che le parole
sono importanti.
Proprio così, Gorgia deve aver
pensato che con le parole puoi
ottenere di tutto. Anche che
Elena sia molto generosa con
te; oppure, che la gente ti compri una crema scioglipancia –
come quella che vendeva quella gran signora di Vanna Mar-
nell’Attica.
Oppure, che gli ateniesi ti ascoltino quando comunichi che stai
per scendere in campo per essere eletto arconte, e ti votino, ti
votino sempre. Anche quando
non sai quello che dici.
Proprio così. Gorgia dette alla
forza della parola il significato di “grande dominatrice”.
Perché la parola è in grado di
dominare le emozioni, come
nella poesia, che le emoioni
le scatena. Di più, c’è l’arte di
“battagliare con le parole”, che
si chiama eristica.
Oh, ragazzi! Qui le cose si complicano, e – quando il gioco si fa
duro – i duri cominciano a giocare, cioè a usare ad arte le parole. A chi pratica l’eristica, che
è un po’ la sublimazione della
retorica, non gli può interessare
proprio se quel che dice è vero o
falso,���������������������������
né �����������������������
cosa significano le parole che usa; vuole solo contrastare l’avversario e convincerlo
di avere ragione grazie a questa
retorica con il turbo. Alla faccia del dialogo costruttivo tanto
caro al vecchio Socrate!
Credo proprio che alcuni grandi blablabla televisivi siano stati
allievi di qualche scuola di eristi. Di quelle più scalcinate, an-
chi – che ti fa dimagrire di una
mezza dozzina di chilogrammi
in un paio di giorni, così ti presenti in grande spolvero alla
prova bikini al lido del Pireo,
che. Non sei d’accordo con me?
Allora, taci capra, capra, capra,
capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra,
capra, capra, capra…
Giochi di ruolo
Giugno 2011
13
Nessun uomo è un fallito se ha degli amici
di Ernesto Pavan
Scelte difficili e paesaggi surreali in Non cedere al sonno
Un viaggio da incubo nella Città Folle
Certe storie sono come i sogni: i
protagonisti si trovano di fronte
a lati di se stessi che assumono
vita propria e non possono più
essere ignorati. Sono le storie
che nascono giocando a Non
cedere al sonno (di Fred Hicks, Janus Design, € 25,00), nelle quali
individui insonni sono catapultati in una città folle (Mad City)
in cui tutto è simbolicamente
surreale. Ciascuno di questi
Risvegliati ha una storia personale, riassunta nelle risposte
a cinque domande: Cosa ti tiene
sveglio? Cosa ti è appena successo?
Cosa c’è in superficie? Cosa giace in
profondità? Qual è la tua strada? Il
suo viaggio in Mad City sarà
modellato da queste risposte
e, raggiunta la meta, si potrà
guardare indietro e vedere in
che modo egli è cambiato.
Come in altri giochi, ci sono
due ruoli in Non cedere al sonno: giocatore e Game Master.
Compito dei giocatori è interpretare i loro personaggi in
base alle risposte che hanno
dato, prendere decisioni per
loro e accettarne le conseguenze; il Game Master deve fornire
occasioni di scelta ai personaggi – e dunque ai giocatori – e
interpretare gli abitanti di Mad
City, gli Incubi, secondo la loro
natura. Ciascuna di queste creature è radicata in qualche tipo
di simbolismo, come l’Agente
delle Tasse (che inchioda i fuggitivi ai muri con le sue dita
di metallo) o Madre Quando
(un’orrenda parodia di madre/
educatrice il cui nome, in Inglese, si basa sul gioco di parole
“when/hen”, ossia “quando/
chioccia”); in effetti, l’autore
non chiarisce se Mad City sia
un luogo reale o un viaggio dei
personaggi nella propria follia
e, secondo noi, questa ambiguità è il maggior punto di forza
dell’ambientazione.
Il sistema di gioco è semplice,
ma le sue implicazioni sono numerose. Per risolvere i conflitti
di interesse fra i fra personaggi
e gli Incubi (come nel caso in
cui il Maitre du Demon voglia
servirvi come portata principale a cena e voi non siate molto
d’accordo) si usano dadi di colori diversi, organizzati in pool:
dadi bianchi per la Disciplina,
neri per lo Sfinimento, rossi per
la Follia e di un qualsiasi altro
colore per il Dolore. Il Game
Master attribuisce all’opposizione un valore in dadi
Dolore (fino a dodici),
mentre il giocatore parte
con tre dadi di Disciplina
e può aggiungere fino a sei
dadi di Follia, oltre a dover
aggiungere un numero di
dadi neri pari al proprio
Sfinimento attuale (la
misura di quanto il personaggio ha cominciato
a perdere la lucidità) che
può arrivare a un massimo di sei. Basta fare due
conti per capire che, anche di fronte al più forte
degli Incubi, i personaggi
possono partire avvantaggiati... purché siano disposti a correre gravi rischi.
Dopo che i dadi sono stati
tirati, i risultati da 1 a 3
sono considerati “successi” e la loro somma determina il
vincitore del conflitto; il colore
del dado con il valore più alto,
tuttavia, determina il modo in
cui il risultato è ottenuto. Se
domina la Disciplina, va tutto
bene; la dominanza dello Sfinimento, invece, comporta l’aumento dello Sfinimento attuale
di uno, mentre quella della Follia provoca una momentanea
crisi del protagonista. Quando
il Dolore domina, indipendentemente dal risultato, qualcuno
si fa male. Siccome il giocatore
è a scegliere quali e quanti dadi
usare, il rischio corso dai personaggi dipende dal suo coinvol-
gimento e dunque dalla posta
in gioco; è importantissimo,
qui, il ruolo del Game Master,
che deve tarare la forza delle
opposizioni e guidare il giocatore in una danza di Dolore,
Sfinimento e Follia.
Su questo sistema se ne “innesta” un secondo: quello dei
Talenti. Ciascun personaggio
ne possiede due, uno legato allo
Sfinimento e uno legato alla
Follia. Il Talento di Sfinimento è una dote umana amplificata a livelli cinematografici:
saper sparare come Violet in
Ultraviolet, un’agilità degna dei
protagonisti dei film di arti
marziali cinesi o una lingua
d’argento che potrebbe incantare il Diavolo. Il Talento di
Follia è più sinistro, ma in un
certo senso anche più potente,
perché consente al personaggio di trascendere la realtà re-
Il box della segnalazione intelligente
È con grande piacere che segnaliamo l’uscita in formato PDF del
gioco di ruolo Esoterroristi, prossimamente oggetto di una nostra
recensione. Janus Design offre al pubblico un prodotto di qualità,
privo di ogni sorta di protezioni che ne limitino l’uso, all’onestissimo prezzo di dieci euro (il 40% del costo del cartaceo). Questo e
altri giochi di ruolo, molti dei quali da noi recensiti, possono essere acquistati direttamente dal sito dell’editore (http://shop.janusdesign.it/catalogo).
alizzando cose impossibili... e
terrificanti. Troncare il legame
(metaforico) fra madre e figlio
usando una lama (reale), mangiare plutonio e defecare bombe nucleari, chiamare gli alieni
in soccorso, sono tutte cose che
un Risvegliato coi giusti
Talenti di Follia potrebbe
fare. Naturalmente, per
sfruttare il Talento di Sfinimento al meglio occorre
essere sull’orlo del collasso e le manifestazioni del
Talento di Follia sono un
riflesso dell’Incubo che il
personaggio potrebbe diventare dopo averlo invocato una volta di troppo:
non esistono pranzi gratis
a Mad City.
L’altro compito del GM
è quello di introdurre e
chiudere le scene: egli
agisce come una sorta di
regista, nel senso che non
è (l’unico) autore della storia, ma sua è la responsabilità primaria nell’organizzazione degli eventi.
L’ultima edizione di Non cedere al sonno è quella presentata
a Lucca Comics and Games 2010,
battezzata “Dolore dominante”
dall’editore. Oltre a un impianto grafico del tutto revisionato,
il gioco è ora forte di due nuovi
metodi di creazione dei personaggi e di una buona quantità
di materiale extra. Per approfondire l’argomento della Follia è disponibile il supplemento
Non perdere il senno (di Benjamin
Baugh e Fred Hicks, Janus Design, € 15,00), che oltre a numerosi consigli e chiarimenti
include anche una raccolta di
Talenti di Follia nuovi e disturbanti: fantasmi di dinosauri
che perseguitano i personaggi,
Taxi per l’Inferno, folletti e orsacchiotti vudù sono alcuni dei
meno bizzarri.
Non cedere al sonno è un gioco
che richiede un forte coinvolgimento per dare il meglio, ma
dà in cambio esperienze di rara
intensità. Se l’idea di far parte
di una storia dalle atmosfere
oniriche e surreali vi intriga,
questo è il gioco che fa per voi.
14
Viaggi
Giugno 2011
Houston, abbiamo un problema
di Alice Perini
Esploratori dell’immensità: quella fetta di Canada che guarda al Pacifico
BBC, Beautiful British Columbia
Strana questa cosa dei viaggi,
una volta che cominci,
è difficile fermarsi.
È come essere alcolizzati
Gore Vidal
Altroché difficile: nella British
Columbia fermarsi è semplicemente impossibile. Una volta
riprogrammato il vostro orologio biologico, dopo circa undici ore di volo e nove di fuso
orario, sono sicura che non vorrete perdere nemmeno un solo
istante di questa vostra nuova e
immensa avventura. Immensa
e sterminata come sanno essere solo i giganti di questo mondo, quelle province sconfinate,
quegli spazi senza fine, superfici nelle quali ciascuno vorrebbe
perdersi con il solo scopo di ritrovarsi.
Con oltre 947.000 km2 di superficie, la British Columbia
(BC) è la regione più occidentale del Canada, adagiata lungo il
Pacifico, racchiusa a nord dallo
Yukon e dall’Alaska e a sud dagli Stati Uniti, in particolare da
Washington, Idaho e Montana.
Prima di inoltrarsi nel Canada’s
diera spagnola, infatti, la prima
ad arrivare nella British Columbia, nel 1774: qui, Spagna e
Russia si contesero la proprietà
di questo tutt’altro che modesto fazzoletto di terra, la porta
verso il Pacifico e l’Asia. I primi
desideravano controllare tutta
la costa occidentale dell’America centro-settentrionale, dal
Messico all’Isola di Vancouver;
i secondi, spinti dalla stessa
aspirazione di dominio, erano
al lavoro in direzione opposta,
scendendo dall’Alaska per arrivare a San Francisco.
Dei due avversari, nessuno riuscì nell’impresa, lasciando
così il via libera all’avanzata
degli Inglesi, i quali stabilirono
nell’attuale area di Victoria la
loro prima colonia permanente, nel 1843. Qualche anno
più tardi, nel 1857, la febbrile
scoperta: l’oro nel Canyon di
Fraser (Fraser Valley). La corsa
partì, con migliaia di persone
che, in cerca di fortuna, affluirono nella neonata regione
dorata. Nonostante la frenesia
aurea duri solo alcuni anni, le
tracce di questo periodo storico
si ritrovano nel Gold Rush Trail,
a quanto pare, “l’unione fa la
forza” funzionava anche centocinquanta anni fa: ed ecco che
per affrontare l’imminente tracollo, le due colonie dell’Isola
di Vancouver e della Columbia
decisero di fondersi. Così nacque, alla fine di un mito (quello
parte sud-occidentale della
terraferma. Responsabilmente
multietnica, ovvero equilibrata
nella sua sorprendente diversità (pensate che la popolazione
di origine asiatica è talmente
numerosa che la città è spesso
soprannominata “Kong Kou-
dell’oro) e senza mitologie, la
British Columbia.
Il problema maggiore, vi renderete conto, è come organizzare al meglio il viaggio in una
terra così smisurata avendo a
disposizione quel tempo che
smisurato non è.
Potreste iniziare con una passeggiata per le vie di Vancouver, la città più popolosa,
facendo attenzione a un dettaglio! Il capoluogo della British
Columbia è Victoria, sull’Isola
di Vancouver; la città di Vancouver, invece, si trova nella
ver”), Vancouver è un piccolo
assaggio di ciò che vi attende:
infatti, va assaporata all’aria
aperta. Stanley Park, una foresta di cedri di oltre 400 ettari,
il vero polmone verde di questa
regione metropolitana la cui
densità di popolazione è tra le
più alte del Nord America e
che, in base alle previsioni, dovrebbe raggiungere nel 2021 i 3
milioni di abitanti.
Non dimenticate Gastown Steam
Clock, l’orologio a vapore che si
trova nel quartiere vecchio della città, Gastown per l’appunto,
Uno scorcio degli splendidi Butchard Gardens
West, un caleidoscopio di scenari straordinari ritenuti (e non
poteva essere diversamente) tra
i più spettacolari del mondo, un
breve accenno al passato, una
storia diversa rispetto a quel
Canada con lo sguardo rivolto all’Europa, dove gli Inglesi
e i Francesi si sono scontrati,
“qualche tempo fa”, per il controllo del territorio. Fu la ban-
un itinerario che segue i sentieri dei cercatori d’oro, passando
per Lillooet, Barkerville e 100
Mile House. Una volta finita la
corsa, il traguardo raggiunto
non era certo dei migliori, anzi:
dietro l’angolo, il serio rischio
di bancarotta per la colonia,
determinato soprattutto dagli ingenti costi di costruzione
delle “autostrade dell’oro”. Ma Qui sopra, il Peyto Lake, in alto una veduta di Vancouver
Viaggi
Giugno 2011
15
Houston, abbiamo un problema
e il Capilano Suspension Bridge, il
ponte in legno, trattenuto solo
da corde, sospeso a 70 metri
di altezza sul torrente Capilano. Se volete salire ancora più
in alto, vi consiglio l’Harbour
Centre Tower, l’edificio che con i
suoi 174 metri è il più alto della
regione: in soli 40 secondi, lo
skilift, l’ascensore panoramico
in vetro, vi accompagnerà alla
terrazza panoramica a quota
130 metri. E sarete pronti per
ammirare anche il profilo di
questa città!
Da Vancouver a Victoria, situata nell’estremo sud di Vancouver Island e così chiamata
in onore del capitano George
Vancouver, ufficiale britannico della “Royal Navy”, famoso
soprattutto per le sue esplorazioni lungo le coste del Nord
America affacciate sul Pacifico.
Come il vostro predecessore
George, sentitevi semplicemente esploratori: Butchart Gardens,
una delle più grandi esposizioni
floreali del mondo, vi faciliterà sicuramente il compito. È il
1904 quando Jennie Butchart,
riutilizzando una cava di calcare ormai abbandonata, inizia
a dar forma a quello che oggi
è diventato un giardino di oltre
22 ettari, un paradiso che, complice il clima mite e soleggiato,
non vorreste più lasciare.
Di meraviglie, in questo viaggio, ne troverete così tante che
potreste davvero rischiare di
ubriacarvi. Tofino e la sua baia,
nella costa ovest di Vancouver
Island, l’isola di Meares e la sua
millenaria foresta pluviale (oltre
3 metri di pioggia all’anno), i cui
alberi sono tra i più maestosi e
antichi di tutta la regione. Non
è un caso, quindi, che proprio
sull’Isola di Vancouver vivesse
il più alto esemplare vegetale
al mondo, un abete di Douglas alto 126 metri. È, e sarà,
proprio la natura il sottofondo
di questa vostra avventura vis-
suta agli estremi del mondo. Il
Pacific Rim, il più vasto Parco
Nazionale Marino del Canada,
è la meta ideale per chi è appassionato viaggiatore e fotografo:
per i naturalisti (ma non solo), si
tratta di uno scenario davvero
affascinante, spesso interessato
dalle violente burrasche del Pacifico, abitato, nella sua parte
marina, da grandi cetacei, balene, leoni marini, foche, orche
assassine e, sulla terraferma, da
procioni, visoni e orsi.
Visto che si è parlato di oceano, non potete rinunciare a una
giornata in traghetto: detta così
sembra quasi la solita escursione noiosa, imprigionati su una
barca. In realtà, impiegherete
le 16 ore di navigazione alla
volta di Prince Rupert, nel
nord della British Columbia,
impegnati ad ammirare paesaggi senza pari, tra cui fiordi
giganteschi e pareti a strapiom-
bo su un oceano brulicante di
vita. E mentre sarete diretti
verso nord, sempre più vicini
al freddo, vi consiglio di fare
tappa al Santuario dei Grizzly,
la riserva faunistica di questi
qua color turchese, canyon e
foreste, la dimora di numerosissime specie animali protette
(grizzly, puma, alci, caribù e
lupi). I quattro parchi delle Rockies, Banff, Jasper, Kootenay e
Yoho, sono parte del Patrimonio dell’Umanità fin dal 1984:
ognuno di loro potrà offrirvi
degli scorci stupendi, dalle cascate Athabasca e i laghi Peyto,
Moraine e Louise alla Icefields
Parkway, considerata la più bella e suggestiva autostrada del
mondo, una lingua d’asfalto
che si snoda per 230 Km circondata da montagne maestose
e che collega il lago Louise a
Jasper, dove potrete ammirare
l’enorme Columbia Icefield, uno
dei più grandi ghiacciai situato
a sud del Circolo Polare Artico.
Con una superficie di quasi 325
maestosi mammiferi: un modo
intelligente per comprendere il
mondo di questi esseri che, “in
competizione” con l’orso polare, si contendono il primato in
termini di grandezza e pericolosità. Un’occasione per sapersi
comportare responsabilmente
e per evitare quegli incidenti spiacevoli scatenati, spesso,
più dall’ignoranza umana che
dall’aggressività animalesca.
Per avere un’idea di cosa possa significare trovarsi di fronte
un paesaggio “impetuoso” e
“prepotente”, non rimane che
dirigersi verso le Montagne
Rocciose (Rockies), una delle
catene montuose più vaste al
mondo, estesa per oltre 4.800
Km, dal lontano New Mexico alla British Columbia. Una
superficie immensa coperta da
imponenti ghiacciai, rocce granitiche, cascate, laghi dall’ac-
Km2, questo gigantesco accumulo di neve e ghiaccio può
raggiungere in alcuni periodi
una profondità di 300 – 360
metri; durante il disgelo, le sue
acque danno origine a quattro
grandi sistemi fluviali e alimentano fiumi che sfociano negli
oceani Artico, Atlantico e Pacifico.
E avrete ancora molto altro da
esplorare, ma, ahimè, bisogna
pur fare una scelta. L’importante è che scegliate, prima o
poi, di trascorrere alcuni giorni
anche solo in qualcuno di questi luoghi fuori rotta. Farete il
possibile per conoscerli tutti.
(Anche se ubriachi).
In questa pagina, dall’alto in senso orario:
il Pacific Rim National Park,
il Columbia Icefield
una capra delle Montagne Rocciose
16
Viaggi
Giugno 2011
Giro giro tondo, io giro intorno al mondo
di Anna Chiara Bozza
Da fiero uomo delle savane ad imprenditore
Kenya: finti Masai
o cambiamento di uno stile di vita?
In Kenya, vagando per i villaggi e le località più o meno
turistiche non è così difficile
incontrare esponenti delle tribù
Masai. Che essi siano veri appartenenti a tale etnia o gente
del luogo improvvisatasi come
tale è tutto da vedere.
Gli stereotipi sono ben noti: il
pastore delle pianure africane,
con il mantello rosso e la lancia
in mano, i monili al collo e gli
orecchini allarga lobi.
Ben lontano dall’essere un’attrazione turistica, il popolo
delle savane vaga per secoli tra
Kenya e Tanzania, tra pascoli,
riserve naturali, parchi, proprietà private.
Il Masai moderno è un incrocio tra un pastore, un abile
venditore, e per sua indole, un
guardiano. Sono da sempre pastori seminomadi, parlano una
lingua a sé e restano il simbolo dell’Africa dei grandi spazi.
Conoscendo un po’ la storia di
queste tribù e il loro modo di
vivere sorge spontanea una do-
manda: il turismo ha contagiato queste persone in ogni aspetto della loro vita, oppure ci si
trova davanti ad una presa in
giro bella e buona, quando ad
esempio in spiaggia si vedono
Una splendida immagine del paesaggio e dei colori del Kenya
individui vestiti e agghindati
come i Masai?
Per dare una risposta a questo quesito, mi sono rivolta a
Donatella, una signora italiana che conosce molto bene il
mondo dei Masai. È stato proprio per amore di un ragazzo
keniota, che dieci anni fa ha
deciso di lasciare l’Italia, il lavoro e di trasferirsi a Malindi.
Oggi si occupa di turismo, cercando di far comprendere la
vera essenza dell’Africa e del
Kenya, permettendo di vivere
realmente il posto in cui ci si
trova, immergendosi nella realtà locale conoscendone usi e
costumi. Leggendo il suo blog
non è difficile capire quanto
ami questa terra e questa gente. Secondo lei, i Masai che si
spostano sulla costa si sono in
un certo senso trasformati, per
adattarsi al sistema consumistico di questo luogo. A Malindi,
non è insolito vedere i Masai
con cellulare e birra in mano.
Nonostante le loro origini siano
quelle di veri uomini della savana, guerrieri dignitosi e fieri.
Ma questo erano, e continuano
ad essere. Tutto cambia durante il periodo di bassa stagione,
quando tornano nei loro villaggi. «Basta pensare a mio marito: qui supermoderno, ormai
anche troppo. Ma quando c’è
una cerimonia al suo villaggio
dimentica dove vive, e si catapulta ad osservare le sue regole,
Viaggi
Giugno 2011
17
Giro giro tondo, io giro intorno al mondo
i suoi usi, le sue tradizioni. La sua cultura è
una sola, e va sempre e
comunque rispettata».
Ma se il turismo è riuscito a cambiare persino le abitudini di queste popolazioni, qual
è il posto che esse occupano nella moderna
società?
Si dice che al giorno
d’oggi i Masai giochino un ruolo importante per la conservazione
ambientale,
almeno
così ci viene spiegato.
Sembra infatti, che alcuni di loro gestiscano
intere zone della savana, dove sorgono i
lodge che ospitano i turisti durante i safari. Una cosa
difficile da credere, in quanto,
nonostante il tempo della colonizzazione sia finito, sembra
sia iniziata una forma di occupazione più subdola, quella
turistica.
Gli stranieri che vengono in
viaggio in queste terre offrono
un cattivo esempio alle popo-
lazioni locali. Secondo Donatella il mondo occidentale non
contamina questa gente, ma la
abitua male, perché non offre
buoni esempi. I turisti credono di fare del bene solo regalando, ma non è così. Tutto ciò
non aiuta le popolazioni locali
a crescere, li abitua soltanto a
volere, volere e volere. I visita-
tori si convincono di fare delle
buone azioni, ma è solo una
giustificazione, un gesto fatto
quasi per farsi perdonare quello che si ha.
Certo, non è sufficiente visitare
Watamu, Malindi e le località
sulla costa per riuscire a valutare il Kenya e la sua popolazione. In queste zone è tutto
diverso da ciò che è
realmente l’interno del
paese. Nelle località
turistiche i bambini ti
corrono dietro chiedendoti una caramella o addirittura soldi.
Nell’entroterra, nessuno di loro si avvicinerà,
per domande qualcosa,
o semplicemente per far
capire che ha bisogno:
la dignità è una qualità fondamentale della
gente del Kenya. Nelle
località marittime invece i kenioti “colonizzati” incassano, vendono,
barattano, fanno affari,
si arricchiscono e forse
disprezzano un tantino
queste orde di europei
che si credono padroni a casa
loro. Ma se da una parte l’atteggiamento di superiorità mostrato dai turisti impedisce un
reale sviluppo della popolazione, dall’altra c’è anche la poca
volontà degli abitanti locali di
volersi migliorare, soprattutto
di quelli che vivono sulla costa
che ne avrebbero l’opportunità.
appleproducts.tk
Apple Products
è un gruppo
di persone che
condividono la
passione per i
prodotti Apple.
Visitateci sul sito
internet dove
potrete trovare
guide, aiuti e
molto altro sul
mondo Apple.
Per una totale accessibilità al sito è necessaria l’iscrizione gratuita al forum.
18
Sport
Giugno 2011
Quando il gioco si fa duro
di Daniele Adami
Ma fatto anche di morte. Wouter Weylandt, un ragazzo di 26 anni
La vita dello sport, lo sport della vita
Il ciclismo è come la vita, non
ci sono formule matematiche
quando sei davanti ad un
avversario. Si tratta di saper
soffrire più di lui
Lance Armstrong
Un passo all’indietro che non
avremmo voluto fare. Uno
sguardo alle parole che, nel primo numero di questa rubrica,
hanno accompagnato le righe
sulla morte di Shoya Tomizawa: “La morte, non si può negare, ha fatto e fa ancora parte dello sport. Probabilmente
ci sarà anche domani e oltre”.
Frasi scritte in qualità di commento all’evento del 5 settem-
lentemente sull’asfalto, dopo un volo di
alcuni metri. Sono le
16.20. I soccorsi giungono immediati, ma
la gravità dell’accaduto non lascia spazio
alla speranza. La comunicazione ufficiale
della morte arriva
alle 17.24. Nel frattempo, la tappa è proseguita. La vittoria è
andata allo spagnolo
Vicioso. I classici festeggiamenti vengono
annullati. La frazione
del giorno seguente
sarà neutralizzata.
Sul traguardo di
Qui sopra i compagni di squadra in ricordo del collega scomparso
onorare il loro amico, chilometro dopo
chilometro. Volevano
ritirarsi, ma il padre
di Weylandt ha chiesto loro di proseguire,
per quel ragazzo di
26 anni che viveva di
bicicletta e per la bicicletta. Il ciclismo si è
stretto attorno a una
famiglia distrutta dal
dolore. Una perdita
che non potrà mai essere cancellata.
Avvenimenti del genere fanno scattare
immediatamente i riflettori della sicurezza. Lo avevamo detto anche per Shoya.
Una distrazione, una buca,
tratti viscidi e insidiosi possono
bre dello scorso anno, quando Livorno, il 10 maggio, i comil giovane e promettente pilota pagni di squadra di Wouter
giapponese perse la vita a Misa- sfilano abbracciati. Hanno
no, in seguito alle conseguenze deciso di rimanere al Giro per
di un terribile incidente nel
corso del Gran Premio di
Moto2.
E quel domani, riferito al
pezzo riportato fra le virgolette, si è (ri)materializzato il 9 maggio. Durante
la terza tappa del Giro
d’Italia, fra Reggio Emilia e Rapallo, il corridore
belga Wouter Weylandt
sta affrontando la discesa
del Passo del Bocco. Una
curva a sinistra. Si volta
all’indietro per osservare
chi lo sta seguendo. Con
il pedale urta il muro di
protezione in pietra. Cade
a terra. Il volto sbatte vio- Weylandt vince una tappa al Giro d’Italia dello scorso anno
essere fatali. Un casco diverso e
più resistente lo avrebbe salvato? Non ce la sentiamo di dare
una risposta. L’amore per la
velocità, la voglia di sentire l’aria che sbatte sul corpo, soffi di
vento intrisi di rischio. Anche
questo è lo sport, fatto, inoltre,
di botte, di cadute e di tragici
eventi.
Sui giornali e sulle televisioni
(ri)appaiono le immagini e le
fotografie di altri uomini del ciclismo che hanno perso la vita
mentre si impegnavano a pedalare con la passione, il sudore e
la fatica dipinti sul volto. Strade
ricche di memoria e, talvolta,
di sangue. La pericolosità delle
discese non può essere nascosta,
non va ignorata. E ogni corridore porta con sé un bagaglio
di possibili imprevisti.
Consapevolmente, perché
si tratta di ciò per cui hanno fatto molti sacrifici. Uno
sport, quello della bicicletta, dolce quanto rude, difficile quanto affascinante.
Dopo alcuni giorni di
shock la corsa rosa ha ripreso un velo di normalità.
Anche se, e di questo ne
siamo sicuri, una normalità non completa. Il Giro
incoronerà il suo vincitore,
come ogni anno, perché
bisogna andare avanti. Assieme a Wouter Weylandt,
nella storia.
Sport
Giugno 2011
19
Quando il gioco si fa duro
di Daniele Adami
Tornei, sconfitte e vittorie: tutto quantificato. Giusto così? Forse
Il tennis dei re, dei punti, o dei re punti?
Saper giocare bene a tennis è
diverso da saper vincere
Adriano Panatta
Questione di punti. È questo il
metro di giudizio per delineare
il ranking mondiale tra i
giocatori di tennis. Ogni torneo
porta con sé un punteggio, che
varia a seconda del prestigio
dello stesso. Più passi un atleta
riuscirà a muovere all’interno
del tabellone, più possibilità
avrà di scalare posizioni nella
classifica. Un passo falso, invece, comporta una perdita. Ho
tentato di cogliere i vari ingranaggi che governano l’attribuzione dei punti, e non posso negare di aver avuto difficoltà nel
comprenderli. Magari non li ho
proprio capiti.
Ma tutto ciò, per ora, non è importante, poiché il nostro scopo,
infatti, è un altro: stimolare una
riflessione. E la riflessione corrisponde a una precisa domanda:
chi occupa il gradino più alto
del podio mondiale è obiettiva-
Da sinistra: Rafael Nadal, Novak Djokovic e Roger Federer
Il tennis maschile vede ora
al comando lo spagnolo Rafael Nadal, seguito da Novak
Djokovic e Roger Federer. Fra
i primi due la distanza, in termini di punteggio, è labile. Il
terzo è piuttosto lontano. Gli
eventi di questi ultimi mesi, tuttavia, indicano una netta progressione del giocatore serbo
Sportiva stretta di mano tra il serbo e lo spagnolo
mente il giocatore più forte in
quel periodo?
Azzardiamo un paio di risposte:
forse sì, forse no. Il motivo? Nello sport, di qualunque tipologia
esso sia, raramente risiede la purezza di un giudizio. Le parole
sono spesso indirizzate da occhi
volutamente bendati. Sguardi
che vedono ma non osservano.
Allora, data l’impossibilità di
trovare una sorta di accordo,
meglio rivolgersi alle classifiche.
Tabelle il cui desiderio fondante
è fornire chiarezza.
(Djokovic), dal punto di vista
dei risultati. E della freschezza di gioco. Nelle recenti finali
disputate a Madrid e a Roma,
per lo spagnolo numero uno c’è
stato poco da fare.
Il campione dell’est europeo è
riuscito a imporsi sulla superficie che l’avversario ritiene il suo
elemento naturale: la terra battuta. Un elemento che impone
al giocatore una costante attenzione al rimbalzo della pallina,
che può rallentare un colpo
inferto con potenza, che può
mutare la direzione della battuta, se vi sono dei leggeri solchi
sul terreno. La stanchezza accumulata nella semifinale del
giorno precedente contro Murray (agli Internazionali d’Italia)
si è fatta sicuramente sentire
sulle spalle di Novak. Tuttavia,
quella tensione si è tramutata
in forza, facendo in modo che il
suo rovescio diventasse una sottile e pungente lama sul campo
del rivale. Nadal, lo dobbiamo
dire, non è stato a guardare.
Una sconfitta a testa alta.
Una gara che consente a entrambi di presentarsi con
grande fiducia al maestoso
impegno del Roland Garros.
Ancora terra battuta. Al
momento della lettura di
queste righe saprete già
chi sarà il vincitore della
manifestazione parigina.
Forse vi sarà un nuovo
numero uno. O forse no.
E non possiamo dimenticarci di Roger Federer,
il re svizzero, che per ben
237 settimane consecutive
(terminate il 18 agosto del
2008) ha messo tutti dietro
le sue spalle. Un record imbattuto, e meritato, poiché
i rivali dovevano, e potevano, solo inchinarsi alla
sua gentilezza e abilità nel
tocco. Meravigliosi i punti
realizzati colpendo la palla
tra le gambe, quando que-
sta è in procinto di toccare terra. E con la schiena rivolta alla
rete. Nadal gli ha strappato il
primato, il quale è ora piuttosto
in bilico.
Non ci sentiamo di dire che le
classifiche rappresentano delle verità assolute. Non vanno
nemmeno ignorate completamente. Personalmente ritengo
che la quantificazione sportiva,
necessaria in molte branche
dell’agonismo, sia arrivata a
invadere delle zone che dovrebbero mantenersi estranee
al suo potere. Un atleta deve
(o dovrebbe?) essere il migliore
solo per una questione di punti?
Spero fortemente di no.
Roger Federer
R I S TO R A N T E
Casale Spighetta
... dove la cucina tradizionale italiana
viene rivisitata con un sapore d'Oriente ...
Casale Spighetta, un nuovo spazio, un sorprendente gioco
architettonico di salette che si intersecano pur rimanendo raccolte
nella loro intimità. L'atrio Nafura, il Lounge panoramico Gioia
& Gaia, la cantina del Trabucco, il Coffee Lounge tutti con arredi
eleganti, diversi, con un tocco d'oriente legati da toni materiali ed
effetti di luce e colore che rispecchiano alla logica di mirabili equilibri.
Le sale esprimono un’atmosfera ariosa ed elegante perfettamente in
linea con la cucina dello Chef Patron. Un’esigenza per chi, come lo
Chef Angelo Zantedeschi va al di la dell’arte culinaria, un grande
amore per la tradizione e l’arte moderma.
Il Casale la Spighetta è un ristorante collocato nelle colline della
Valpolicella a Verona, i suoi ambienti eleganti sono indicati per cene
romantiche, banchetti e cene aziendali. Dal giardino estivo si può
godere di un meraviglioso panorama.
Via Spighetta 15
37020 Torbe di Negrar, Verona
Tel/fax: +39 045 750 21 88
www.casalespighetta.it