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Verona è Quinta Parete cultura e società Novembre 2010 Verona Società Quinta Parete 13 Vi diremo qualsiasi cazzata vorrete sentire di Silvano Tommasoli [email protected] Sono in video, ergo sum www.quintaparete.it cultura e società mensile on-line Tutti vediamo la volgarità del Grande Fratello, ma nessuno ne parla Anno II - n. 6 - Giugno 2011 Diretto da Federico Martinelli Arte Musica Viaggi Gli Impressionisti a Milano I Pooh e tanti altri a Verona In viaggio nel Canada’s West Inizia l’estate della città Fino al 19 giugno Palazzo con un minimo di eleganza Omologati in TV. Peggio, con le programma, esibizioni di non ha mancato di Reale omogeospita una pugni splendida una selezione – mammaneizzati. No, non mi riferisco ai e di buon gusto? Oddio, non è che grandiproporre star nazionali e mostra di capolavori mia! Una selezione… Chissà gli programmi televisivi, che sem- siano tanto più signorili gli autori internazionali senza tempo brano tutti “fatti con lo stampino” della trasmissione, che ricordano a altri! – dei provini, dove quasi nessuno da almeno dieci anni, peggio3 an- ogni piè sospinto il premio finaleadipagina a pagina 4 dei candidati, per esempio, ha cora dei vari telegiornali che sono alcune centinaia di migliaia euro, saputo dare una risposta sensata, o come fosse l’unica molla a spingere almeno non insensata, alla richiesta proprio tutti uguali. Sto parlando dei Il concorrenti del questa variopinta umanità a di dichiarare il proprio “tallone di re è nudo Grande Fratello, tutti conformi a un esporre le proprie miserie alla vista Achille”. di Ernesto Pavan modello standard tristissimo, quello di qualche milione di guardoni. E A ben pensarci, coloro che ne della volgarità estrema. Sì, la volga- qui cominciano le rogne vere, per- escono meno peggio sono proprio rità dei gesti, delle parole, degli at- ché sarebbe necessaria una com- i reclusi del Grande Fratello. Perché La difficoltà di trovare lavoro nel Limbo degli annunci bugiardi teggiamenti è il denominatore missione di psicologi, sociologi e fanno pena, fino alla tenerezza. Abcomune che unisce, tra loro, quasi antropologi per cercare di capire bagliati dal miraggio di diventare tutti i reclusi della “casa”. E li uni- che cosa possa indurre alcuni mi- Vip, e di guadagnare un sacco di sce anche alla presentatrice, Alessia lioni di persone normali ad abbrut- quattrini, si prostituiscono fino a un a gambe sempre aperte Marcuzzi. Ma tire il proprio spirito davanti alle punto di non ritorno, rimanendo possibile che nessuno abbia mai incredibili esibizioni dei “ragazzi marchiati a vita da quel suffisso – fatto notare a questa povera ra- della casa”. Forse la solita voglia di “del Grande Fratello” appunto – gazza – addirittura capace la scorsa sentirsi migliori? che li accompagnerà per tutta la Un giorno, mentresulspulciate gli quio. vostro curriculum avrà rà di avuto la A farciIlrespirare, edizione di sedersi pavimento vita.una Pochi“giornata finora hanno fortunatamente, annunci di lavoro, ne trovate fatto impressione? Al contrario: prova in azienda”. A e di far dello studio, sempre rigorosamente c’è la Gialappa, che non ne lascia capacità di affrancarsene, uno di questo tipo: “Azienda è probabile che non lo abbiano volte questo “primo a gambe aperte, spalancando passare una sia alla conduttrice sia dimenticare questa squallida oriin espansione seleziona, per nemmeno letto che, non c’è Luca Argine mediatica. Per tutti, ai concorrenti. Di epiù, pernel farcicaso ca- colloquio” un’ampia panoramica sulle propria ampiamento organico [avideo, volte decideste at- nemmeno e si altri passa gentero; e pochi che si possono pire il livellodidirispondere, squallore (o divicrubiancheria intima – che, in la ragione “apertura nuova giornatacasting d’Inferno contare sulle dita dialla una sola mano. deltà?) una dell’ufficio del direttamente assume delle èposture che fanno a tenda sede” o simile], n ambosessi come quella che è capitata al tragedia, con Non ritengo siainizio indenne da questo per ruoli di... [segue un elen- sottoscritto e a molti altri che alle otto di di mattina baratro volgarità l’editore di co variegato di mansioni, che hanno scelto Internet per espri- di giornata tantouna spettacolo. possono comprendere “gestione mere la propria frustrazione e qualsiasi. Vorrei chiedergli – se mai fosse perclienti”, “relazioni pubbliche”, mettere in guardia i loro col- A quell’ora sona abituata aarririspondere alle do“magazzino” e “segreteria”]. leghi disoccupati da simili an- vate mande –all’ufficio se sarebbe contento di far Anche prima esperienza, pos- nunci ingannevoli. col vostro comassistere i suoi figli adolescenti, o i sibilità di formazione e crescita Cosa accadrebbe se decideste pleto migliore, suoi nipoti, a una porcheria simile. professionale. Contratto a tem- di tentare il colloquio? In molti ansiosi fare la risposta, diretMa forse di conosco po indeterminato.” Incuriositi, casi, questo sarebbe brevissimo: bella figura, siete tamente ispiratae dal dioaccolti denaro.da rispondete all’annuncio invian- un omino lampadato e incra- una musica assordante. AuMi sono sempre ribellato a ogni do il vostro curriculum e in un vattato, sempre sotto i trent’an- mentando il vostro sgomento, forma di censura, come espressione tempo brevissimo (di solito infe- ni e con l’aria di uno che gua- lo stesso delvolontà primo collodella piùomino proterva di anriore alle 48 ore) un rappresen- dagna bene, troverà qualcosa quio (se c’è stato) vi ilguida nientare, nella gente, sensoproe la tante dell’azienda in questione di molto speciale in voi e nel prio in direzione del devo fracasso, capacità di critica. Ma dire Alla scoperta di una terra dove poter immergersi “into the wild” o ammirare una grande metropoli a pagina 14 Non è un paese per giovani (soprattutto se seri) vi telefona per fissare un collo- vostro curriculum e vi propor- fino a una stanzetta dove deci- che, di fronte a questo osanna alla volgarità, comincio a capire quella striscia di carta bianca, incollata, ai tempi della mia adolescenza, sui manifesti e le locandine dei film e degli spettacoli più “sconvenienti”, che prescriveva «V.M. di 16 anni». Forse, adesso, sul cartellone del ne di ragazze ragazzi ballano Grande Fratello siedovrebbe scrivere e«Vurlano frasi sconclusionate al .M. di 99 anni»… ritmo dell’housecon piùil scadente. La Per continuare giro di volgascena è surreale: una discoteca rità e stupidità sui media di oggi, vi dalle pareti bianchepubblicità tappezzate rimando all’ultima di di frasi motivazionali principi Marc Jacobs. Ma tenetevie forte, eh! Segue a pag. 2 Progettazione e realizzazione web Realizzazione software aziendali Web mail - Account di posta Via Leida, 8 37135 - Verona Tel. 045 82 13 434 www.ewakesolutions.it 2 Società Giugno 2011 Segue dalla prima riassumibili in “spremi il cliente più che puoi”, piena fino all’orlo di giovani in abito da lavoro con l’aria di chi non è completamente presente in questo mondo. A questo punto, cominciate ad avere paura. Tuttavia, prima che l’istinto di fuggire si inneschi, qualcuno vi prende sottobraccio e, sempre urlando, vi presenta alcune altre persone: saranno i vostri “compagni di squadra” per oggi. Chi vi ha accolto è il vostro “caposquadra”. Non volete fare brutta figura di fronte a degli estranei, quindi sorridete, vi presentate e andate a fare colazione assieme a costoro; poi vi fanno salire su una macchina e via, si parte. «Andiamo a x», vi dice il caposquadra, dove x è un posto qualsiasi a quaranta chilometri dall’ufficio. Ormai siete in trappola. Durante il viaggio fate conoscenza coi vostri compagni di squadra: sono tutti giovani diplomati, nessun laureato, vestiti bene e abbronzati (ma non quanto il caposquadra). Si comportano come se foste amici, anche se non vi siete mai visti prima. Fra una battuta e l’altra si parla anche del lavoro: «Noi lavoriamo con le imprese» spiega il capo. «Devi convincere baristi, ortolani, avvocati, amministratori di condominio, [l’elenco delle categorie prosegue], a sottoscrivere contratti per l’energia elettrica con il distributore n. Presentati come uno venuto a controllare se hanno ricevuto la bolletta “aggiornata”: se dicono di sì vuol dire che è già passato uno dei nostri, altrimenti fagli firmare l’aggiornamento, che in realtà è un contratto nuovo. Quando chiudi un contratto, se riesci, cerca di rifilargli anche il telefono...» «Un momento» potreste obiettare «io ero venuta per un posto da segret a r i a /a ddet t a alle relazioni pubbliche/ magazziniera, non per fare la venditrice porta a porta! Che storia è questa?» Se lo dite ad alta voce, i vostri nuovi amici vi abbandoneranno per strada; sì, avete capito bene, vi lasceranno a piedi a quaranta chilometri dalla vostra auto. Come tornate indietro sono affaracci vostri: loro non hanno tempo da perdere. Altrimenti, la vostra “giornata di prova in azienda” consisterà nello scarpinare per otto ore entrando in ogni negoziet- altro fingerà di essere venuto a staccare la corrente a un negozio se il titolare non firmerà il nuovo contratto (ma un rappresentante di commercio non ha l’autorità per fare questo). Durante il pomeriggio, poi, vi insegneranno i “trucchi” del mestiere (miranti a distogliere l’attenzione dei potenziali clienti da ciò che stanno facendo) e vi spiegheranno che loro non sono “venditori”, parola molto brutta da non ripetere mai, ma “promoter”. Quando toccherà a voi proporre un contratto, chi vi era accanto vi loderà non appena finito e ripeterà le lodi di fronte agli altri, una volta pronti a tornare indietro. Si arriva in ufficio intorno alle sei e mezza. Il terrore si risveglia in voi quando vi rendete conto che vi stanno portando di nuovo nella stanza della musica. Segue un’ora di “debriefing”, ovvero di urla, allegria forzata, celebrazione rituale dei contratti portati a casa e saluti. Facendo i conti, sono quasi do- to della zona in cui vi trovate, ripetendo la manfrina che vi è stata insegnata e sopportando gli sguardi infastiditi (e spesso anche la maleducazione) dei titolari e degli eventuali clienti in quel momento presenti. Nessuno ama gli scocciatori e questo è esattamente ciò che ci si aspetta voi diventiate. Assisterete anche a “proposte” ai limiti della legalità, come quando un vostro collega ingannerà un povero ingenuo convincendolo a “firmare qui per non pagare più il canone Telecom” (è solo parzialmente vero: in realtà sta sottoscrivendo un nuovo contratto con una nuova compagnia) o quando un dici ore di lavoro in un giorno. Se siete fortunati, comunque, questa parte vi sarà risparmiata e passerete direttamente alla compilazione di un test che riguarda quello che avete imparato nel corso dell’esperienza. Le domande sembrano tutte molto facili, come se in qualche modo i vostri compagni di squadra vi avessero suggerito le risposte mentre vi spiegavano in cosa consiste il lavoro. L’ultimo quesito vi chiede qual è la retribuzione che considerate adeguata. Dopo aver finito di scrivere, l’omino abbronzato del primo colloquio porterà il vostro test al Manager, nascosto dietro la porta del suo ufficio. Passerà una decina di minuti, dopodiché sarete convocati alla Sua presenza. È una persona un po’ più anziana degli altri che avete visto finora, ma sempre giovane. Vi stringerà la mano e parlerà con voi di ciò che avete scritto, lodando l’esattezza delle risposte e raccontandovi fatti della sua vita privata, comprese coincidenze bizzarre come la sua intenzione di dare al figlio che sta per nascergli proprio il vostro nome. Quindi, vi spiegherà le condizioni contrattuali. La filosofia aziendale è “caro lavoratore, a noi non devi costare nulla”, ma lui la spiegherà in modo più allettante, usando frasi quali “cerchiamo persone ambiziose” e “questo è un lavoro che tutti possono fare, ma pochi possono fare bene”. In sostanza la retribuzione è del tutto provvigionale, senza alcun fisso né rimborso spese: se vi ammalate non guadagnerete nulla fino a quando non tornerete a lavorare e se avete una brutta giornata, o una serie di brutte giornate, sono affari vostri. Nonostante questo, vi dirà lui, molti dei ragazzi che avete visto guadagnano una cifra pari o superiore a quella che avete indicato come “minimo accettabile” alla fine del test. Quello che non vi dice, naturalmente, è che siccome nel caso non riusciate a vendere l’azienda non ci perde comunque nulla (mica vi paga, no?), nessuno è interessato ad aiutarvi, anche perché tutti sono impegnati a portare a casa la loro pagnotta: le promesse di “crescita” e “formazione professionale” sono fasulle. L’unica possibilità di carriera è diventare Manager, il che significa semplicemente doversi arrangiare su scala più ampia (dal momento che nemmeno il Manager ha una retribuzione fissa). A questo punto, la scelta è vostra: potete accettare un lavoro privo di qualunque garanzia, che richiede spregiudicatezza e voglia di guadagnare a spese del prossimo, o tornare a fare i disoccupati in una società che vi biasima perché, secondo lei, non avete voglia di lavorare. Non suona come una vera scelta, dite? Sono le vostre orecchie a essere sbagliate. (ern. pav.) Arte Giugno 2011 3 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione di Federico Martinelli Si conclude il 19 giugno la prestigiosa mostra d’arte del Clark Institute A Milano i capolavori dell’Impressionismo Ancora pochi giorni per ammirare le opere della collezione Sterling&Francine Clark Art Institute, tra le poche istituzioni nata con intento museale ma anche con vocazione di ricerca e formazione superiore delle arti visive. A raccogliere tra il 1910 e il 1950 la maggior parte delle opere che comprendono la collezione fu Robert Sterling Clark, uno degli eredi del patrimonio delle macchine da cucire Singer, ingegnere con la passione per i viaggi e i cavalli. Clark non si occupa dell’attività di famiglia ma si trasferisce a Parigi per sfuggire al controllo paterno e per organizzare spedizioni che la sua eredità gli consentono. Nella capitale francese conosce la moglie Francine, attrice diplomata al conservatorio, con la Corot, Bagnanti delle isole quale inizia ad arredare la sua casa con particolare attenzione allo spazio per i quadri secondo il gusto che la sua famiglia gli aveva impartito. Nel 1955, dopo aver esposto solamente una collezione di argenti, accetta di rendere pubblica l’esposizione delle opere tramite un museo che affianca agli antichi maestri come Piero della Francesca, Perugino e Mantegna le opere dell’impressionismo francese da Manet a Bonnard. Lungo il percorso, accanto ai più noti impressionisti, si possono ammirare alcune vedute di Camille Corot in cui spicca Bagnanti delle isole Borromee, tela realizzata all’età di settant’anni e ispirata, in visione onirica, ai paesaggi del Lago Maggiore che il pittore aveva visitato vent’anni prima durante un viaggio in Italia. Non solo Monet, Morisot, Degas ma anche importanti opere di Millet e Rousseau che testimoniano sulla tela la vita nei campi e il lavoro di tutti i giorni. Il percorso espositivo -ben allestito- è articolato in dieci sezioni: Impressione, Luce, Natura, Mare, Città e Campagna, Viaggi, Corpo, Volti, Società e Piaceri. Si passa dai soavi e delicati paesaggi di Pissaro e Sisley, ai numerosi ritratti di Renoir, dai balli di Degas e Lautrec agli assorti colori di Monet, fino all’opera dei post-impressionisti Bonnard e Gauguin. La mostra è curata da Richard Rand con la consulenza scientifica di Stefano Zuffi. Il catalogo ben arricchito di contenuti storici e descrittivi è opera di Skira. Qui sopra Vaso di Rose di Manet In alto: Incantatore di serpenti (Geròme) Informazioni L’esposizione, dopo la tappa di Milano, proseguirà in Francia al Musée des Impressionnismes di Giverny, in Spagna alla CaixaForum di Barcelona per poi spostarsi in numerose città del mondo. Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, -organizzato dallo Sterling and Francine Clark Art Institute con Palazzo Reale e Arthemisia- l’evento è promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano ed è arricchito dal patrocinio del Ministero degli Affari Esteri, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Consolato Generale degli Stati Uniti di Milano e della Camera di Commercio Americana in Italia. 4 Musica Giugno 2011 Verso l’infinito e oltre di Francesco Fontana Al Teatro Romano attesi i Pooh e Antonella Ruggiero, a Villafranca i Dream Theather Comincia l’estate di Eventi Verona Anche per i mesi di giugno e luglio interessanti appuntamenti con Eventi Verona. Giovedì 23 giugno arrivano al Teatro Romano i Pooh, che saranno sul taro – pianoforte, si presenterà sul palco proprio con i brani dell’ultimo disco. L’incontro tra la voce dell’ex cantante dei Matia Bazar e le sonorità tipi- palco per l’anteprima assoluta del loro tour estivo. La band, nella nuova formazione composta ora da sei elementi, proporrà i classici del repertorio oltre ai pezzi dell’ultimo disco intitolato “Dove comincia il sole”. La settimana successiva, mercoledì 29 giugno, sempre al Teatro Romano si potrà assistere allo spettacolo di Antonella Ruggiero. Lo show che andrà in scena si prospetta molto particolare e suggestivo. La cantante, che aveva pubblicato lo scorso anno un album live intitolato “Contemporanea Tango”, interpretato con il gruppo Hyperion Ensemble, una formazione composta da Josè Luis Betancor - bandoneon, Valerio Giannarelli - violino, Bruno Fiorentini - flauto, Guido Bot- che del Tango rappresentano un grandissimo punto di forza per lo spettacolo. Per i balletti saranno presenti sulla scena i ballerini Patricia Carrazco e Pablo Linares. Tutt’altro genere di show ci aspetta al Castello Scaligero di Villafranca per la sera del 5 luglio. Torna in Italia infatti il gruppo progressive Metal dei Dream Theater. Sul palco si potranno apprezzare anche i pezzi dell’ultimo album uscito proprio nel mese di giugno, il primo senza Mike Portnoy. Di spalla alla band ci saranno sulla scena anche Gamma Ray e Anathema. In alto a sinistra i Pooh rimasti in tre a destra la locandina dello show di Antonella Ruggiero I Dream Theater con il nuovo batterista Mike Mangini (il primo da sinistra) è on-line il nuovo sito di Verona è www.quintaparete.it Musica Giugno 2011 5 Verso l’infinito e oltre di Stefano Campostrini Gli appuntamenti per gli amanti del genere e non solo Verona è Jazz: in dettaglio What is jazz? Man, if you gotta ask you’ll never know Louis Armstrong Anche quest’estate la città si apre agli amanti del jazz, nelle sue diverse varianti, con il festival ad esso dedicato. All’interno del programma dell’Estate Teatrale Veronese, torna infatti dal 29 giugno al 4 luglio l’appassionante ciclo di serate con grandi esponenti della scena musicale tra le più raffinate ed emozionanti. Il Teatro Romano farà da scena ai tre iniziali appuntamenti, a cominciare dall’attesissima Antonella Ruggiero e la sua splendida voce. Sarà accompagnata dall’Hyperion Ensemble, un’orchestra fondata nel 1991 a La Spezia e specializzata in musica classica contemporanea. Insieme proporranno “Contemporanea Tango”, le musiche della tradizione latina rivisitate in chiave moderna, secondo una scaletta già collaudata derivante dall’album live omonimo della Ruggiero, registrato la scorsa estate in un parco di Roma. Il 30 giugno doppia esibizione: nell’ordine saliranno sul palco Eddie Palmieri con il suo quartetto e la Gianluca Petrella Cosmic Band. Due generazioni di jazzisti per due spettacoli di grande intensità. Nato nel 1936 in quella New York fortemente connotata di cultura latina, Eddie Palmieri è stato per cinquant’anni suonatore e direttore d’orchestra di salsa. Appassionato percussionista in giovane età, ha poi puntato sul pianoforte, strumento col quale si esibisce con grande innovazione e creatività, avendogli permesso, tra l’altro, di vincere 9 Grammy Awards nella sua carriera. Gianluca Petrella porterà a Verona il suo talento e la fusione di generi. Con la sua Cosmic Band spazia da solismo e improvvisazione alla Frank Zappa alla composizione di sezioni musicali ben definite, come primi due sono sicuramente parte della storia del jazz: il primo, grande sassofonista ha suonato, tra gli altri, con Cecil Taylor e John Coltrane, diventando esponente di quel jazz d’avanguardia degli anni ‘60 e ‘70. Noto per le sue posizioni afrocentriche, per molti anni è stato anche insegnante di musica nelle università americane. Al suo fianco troveremo il bassista Davis, versatile fece il grande Duke Ellington. Nella terza serata al Teatro Romano, il 1° luglio sempre alle 21, sarà la volta di altri importanti personaggi di livello internazionale. Prima il duo Archie Shepp/Richard Davis e a seguire David Murray Octet. I musicista sia nel jazz che nella musica classica. Ha creato una fondazione per giovani bassisti di talento, ed è stato insignito di numerosi premi e riconoscimenti per il suo impegno sociale, sia come appassionato insegnante che come sostenitore della lotta al razzismo. A chiudere la serata sarà appunto la band di David Murray, che comprende diversi violini, viole e violoncelli, per un suono caratterizzato da origini latino americane sicuramente entusiasmanti. È uno dei numerosi gruppi musicali che ha fondato nella sua carriera, spaziando dal free jazz al bebop, dalla world music al gospel. Un artista dalle innumerevoli collaborazioni e dalla grande produzione. Anch’egli pluripremiato e impegnato nel sociale, è una garanzia per chi lo andrà ad ascoltare, rivelando il suo grande passato e il suo sempre promettente futuro. Dall’affascinante cornice del Teatro Romano a quella, se possibile, ancora più mozzafiato dell’Arena, il 4 luglio. Toccherà a Ricky Martin concludere il festival, interpretando i brani del suo ultimo album “Musica, alma, sexo”, uscito lo scorso anno e quelli più celebri del suo repertorio, caratterizzato dal pop latino che lo ha reso famoso nel mondo. Qui sopra, a sinistra, Eddie Palmieri, a destra la Gianluca Petrella Cosmic Band, con il trombonista in primo piano; a centro pagina David Murray e in alto Ricky Martin 6 Musica Giugno 2011 Verso l’infinito e oltre di Francesco Fontana Capossela torna sulla scena con il doppio album “Marinai, profeti e balene” In viaggio con Vinicio Capossela Il talento è la capacità di imparare. Il genio è la capacità di evolversi Arnold Schoenberg Quella raccontata da Vinicio Capossela nel suo ultimo disco “Marinai, profeti e balene” è una vera e propria storia di mare in musica. Si narra infatti di marinai e profezie, di onde e di sfide lanciate dall’uomo verso gli abissi, verso le sue insidie e le sue paurose creature, in primis la maestosa Balena Bianca. A tre anni da “Da Solo” arriva dunque questo doppio disco, dalle ambizioni senz’altro superiori ai precedenti. Un vero e proprio “concept album” con il quale l’artista di origine irpina celebra i vent’anni di carriera toccando, almeno per il momento, la sua vetta artistica. Capossela aveva esordito sulla scena musicale italiana nel lontano 1990 con il primo disco intitolato “All’una e trentacinque circa”, con il quale aveva vinto la “Targa Tenco”. Da quel momento una serie di succes- così varie, che nella ricerca, per quanto riguarda i testi, di colti riferimenti tratti dalla letteratura classica e mitologica. Le registrazioni stesse, per facilitare quella sorta di immersione totale nella materia narrata, sono state effettuate tra i luoghi di mare di Ischia e Creta, per essere poi concluse negli studi di Milano e Berlino. Capossela ha suddiviso i 19 Vinicio Capossela, ben immedesimato nei personaggi delle sue storie si come “Il ballo di San Vito” del 1996 (uno dei migliori) e lo strepitoso “Ovunque proteggi” (2006). Con “Marinai, profeti e balene” il cantautore ha però superato sé stesso, realizzando un’opera mastodontica, ricchissima sia nelle sonorità, mai pezzi del progetto nei due dischi seguendo una precisa linea narrativa. Il primo è definito dallo stesso artista di argomento “Oceanico e Biblico” e contiene richiami letterari come, tra gli altri, quello a Moby Dick di Herman Melville, a Lord Jim di Joseph Conrad e persino al Libro di Giobbe dell’antico Testamento nel pezzo Job. Il secondo è invece “Omerico e Mediterraneo” e ha carattere mitologico, con la figura di Ulisse e del suo viaggio quale ispirazione centrale. Da qui pezzi come Vinocolo, in riferimento al Ciclope, Calipso, Dimmi Tiresia e il bellissimo e conclusivo Le sirene. Anche per quanto riguarda le voci e gli strumenti musicali utilizzati il valore dell’album è smisurato. Per creare al meglio le atmosfere Capossela e la sua “ciurma” si sono serviti di strumenti antichi e tipici come, per citarne solo alcuni, le Ondes Martenot, l’arpa e le percussioni indonesiane. Ad arricchire il tutto ci sono cori sia maschili che femminili, oltre alla partecipazione di cantanti solisti come Psaradonis, icona della musica cretese, e l’argentino Daniel Melingo. È un album da assaporare, come un vero lungo viaggio. Considerarlo un semplice disco è però davvero poco, sia dal punto di vista quantitativo che qua l itat ivo. Vinicio Capossela definisce infatti “Marinai, profeti e balene”, citando Dante, la sua “Marina Commedia”. In effetti si tratta di una vera opera dai grandi contenuti e capace, inoltre, di spaziare tra i generi musicali più differenti, sfuggendo a qualsiasi categoria o etichettatura. È una colta metafora dell’esistenza dell’uomo: tra mari in tempesta e canti di sirene che ammaliano, sfide e pericoli, profezie e vittorie. Così parlò Eatwood Tempo di cambiamenti l’estate e, come insegna Eatwood, qualcuno è più precoce del solito. Due mani sulla tastiera, rumore di sottofondo insopportabile, un odore pregno che invade la stanza… non ci riesco, come posso continuare a scrivere? Il ragazzino invecchiato, vestito di marca, con fastidiosa ironia rinnega il mio ruolo, non ragionando che anche lui, con il suo atteggiamento perde di credibilità e prestigio; uno scempio dell’intelletto, ecco come mi appare in questo momento. E gira Eatwood che vuole cambiare e...cambia. Ma non il vestito, da oltre una settimana sempre uguale. Con una camicia con il taschino che arriva all’inguine, insegue malcapitate donzelle per offrire un caffè, scrollandosi di dosso una timidezza difensiva e strategica che l’aveva caratterizzato per oltre tre anni. Sono sconvolto, mollo le dita (almeno 6) dalla tastiera e mi godo la scena passandomi la mano sulla guancia e sulla barbetta incolta da liceale. Divertito giocherello con i riccioli dei capelli e rifletto. Mi strappo per sbaglio un capello, un leggero urlo di dolore e torno alla realtà. Ma il malaugurato avvicinarsi della stagione estiva mi fa crollare un’altra certezza: anche il pesante e rotondo fotografo appare diverso dal solito. Lo trovo spalmare salsine alla panna da una ciotola comune in un putrido bar della zona, alla faccia dell’igiene e dei 40 gradi. D’altra parte, scopro solo qualche ora più tardi, è presidente nazionale del club Botulino e Mononucleosi. Vergogna. Musica Giugno 2011 7 Verso l’infinito e oltre di Francesco Fontana “Complici” è il primo album di inediti del duo contrabbasso - voce Spinetti Magoni La musica “a nudo” Dopo alcuni anni dedicati, con grande successo, alla rivisitazione dei grandi pezzi d’autore, il duo contrabbasso e voce composto da Ferruccio Spinetti e Petra Magoni pubblica “Complici”, il primo album costituito quasi completamente da pezzi inediti. Il fortunato incontro artistico tra i due musicisti era avvenuto nel 2003, dando il via a quel suggestivo progetto che ha preso il nome di “Musica nuda”, caratterizzato da una struttura musicale assolutamente essenziale: il contrabbasso di Spinetti, ex componente degli Avion Travel, e la stupenda voce di Petra Magoni. Il primo album intitolato proprio “Musica nuda” aveva ottenuto da subito ampio riscontro di pubblico e, soprattutto, di critica. Così seguirono una serie di performance live, principal- mente tra Italia e Francia, e altri due dischi: “Musica nuda 2”, un doppio album del 2006 con il quale vincono il “Premio Tenco” per la categoria Interpreti, e “Musica nuda 55/21” del 2008, un mix di pezzi inediti, una minoranza, e cover di grandissimo livello. Con l’ultimo album “Complici” si può senz’altro dire che sia avvenuto il vero salto di qualità per il duo. Il titolo stesso del disco rende l’idea della sintonia che negli anni di collaborazione si sia sviluppata tra Petra Magoni e Ferruccio Spinetti. Proprio a proposito del nuovo progetto discografico e del rapporto con il collega musicista la cantante afferma in un intervista rilasciata alla rivista Jam: “Abbiamo scelto come titolo “Complici” perché è una parola che ci rappresenta. Il testo del brano che dà il nome al cd parla d’amore; noi, in realtà, siamo una coppia artistica e basta, ma siamo legati da un forte feeling e un percorso di vita in comune”. L’album è composto nell’insieme da 14 pezzi, dei quali tre sono cover: Mirza, di Nini Ferrer, Mon Amour, di Henri Salvador e La felicità, di Lucio Dalla. Il resto del disco sono undici stupendi inediti, assolutamente graphic designer fotografo vari e piacevolmente semplici. Hanno anche collaborato molti altri musicisti alla stesura dei nuovi brani: Vado giù è composta da Luigi Salerno, Una notte disperata è scritta da Pacifico, When I drink da Silvie Lewis e Rimando da Max Casacci dei Subsonica. L’impressione è che nessuno dei pezzi presenti sia stato inserito come riempitivo, ognuno possiede qualità autonoma. Il segreto del successo di questa formula “voice ‘n’ bass” appare da subito evidente. La scelta di lasciare uno spazio piuttosto ampio a silenzi e pause, rotte dalla voce impeccabile di Petra Magoni, rende il tutto assolutamente suggestivo, originale e di grande atmosfera. L’impasto dei suoni, essenziale e crudo ma mai banale, valorizza al massimo le qualità dei due artisti e la loro perfetta sintonia che, percorrendo la strada dei pezzi inediti, sembra ancor più evidente e consolidata. art director [email protected] 346 0206480 Stefano Campostrini Sopra la copertina del disco, in basso a sinistra ritratto di coppia del duo musicale Edito da Quinta Parete Via Vasco de Gama 13 37024 Arbizzano di Negrar, Verona Direttore responsabile Federico Martinelli Direttore editoriale Silvano Tommasoli Segreteria di redazione Daniele Adami Hanno collaborato Daniele Adami Paolo Antonelli Anna Chiara Bozza Stefano Campostrini Francesco Fontana Lorenzo Magnabosco Federico Martinelli Ernesto Pavan Alice Perini Silvano Tommasoli Giordana Vullo Realizzazione grafica Stefano Campostrini Autorizzazione del Tribunale di Verona del 26 novembre 2008 Registro stampa n° 1821 8 Cinema Giugno 2011 Visto abbastanza? di Francesco Fontana Il regista riceve al Festival del Cinema di Cannes la Palma d’Oro alla Carriera Bertolucci premiato a Cannes L’arte del cinema consiste nell’approcciarsi alla verità degli uomini, non di raccontare delle storie sempre più sorprendenti Jean Renoir Un premio alla carriera per Bernardo Bertolucci. Proprio l’apertura dell’edizione del Festival del Cinema di Cannes 2011 è stata riservata, oltre che alla presentazione della commedia sentimentale di Woody Allen Midnight in Paris, alla premiazione del regista emiliano, che ha ricevuto la prestigiosa Palma d’Oro alla carriera proprio dalle mani di Robert De Niro, presidente della giuria ma, soprattutto, “suo” attore in Novecento (1976). Bertolucci è uno dei registi più poliedrici della storia del cinema italiano: capace di indagare nei suoi film, con grandissima intelligenza e concretezza, il mondo della politica, dei problemi esistenziali, della sessualità e molto altro. Nato a Parma nel 1941, figlio del poeta Attilio Bertolucci, inizia giovanissimo a frequentare personaggi di spicco della cultura e del cinema italiano, avviandosi alla carriera cinematografica proprio come assistente di Pier Paolo Pasolini sul set di Accattone (1961). Il primo lungometraggio arriva l’anno successivo con La commare secca ma il successo mondiale è raggiunto esattamente dieci anni dopo con Ultimo Tango a Parigi (1972), film con protagonisti la compianta Maria Schneider e Marlon Brando, che cadde nelle trame della censura per le esplicite scene di sesso, venendo anche sequestrato per un lungo periodo. Nel 1976 arriva Novecento, con un cast d’eccezione che comprende, tra gli altri, Robert De Niro e Gerard Depardieu. Il film è strepitoso nel calarci, in modo piuttosto crudo, nella realtà delle lotte contadine nell’Emilia del periodo che intercorre tra i primi anni del Novecento e l’esplodere della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1987 arriva quello che può essere considerato il momento più importante per il regista: Bertolucci vince ben nove premi Oscar con L’ultimo imperatore. Successivamente riceve nel 2007 a Venezia il prestigioso Leone d’Oro alla Carriera e con quest’ultimo premio a Cannes completa il quadro di una carriera, non di certo ancora conclusa, strepitosa. Bertolucci era già stato a Can- nes in altre occasioni. Nel 1964 con Prima della rivoluzione, poi con Novecento (1976) e con La tragedia di un uomo ridicolo nel 1981, infine nel 1996 con Io ballo da sola. Il regista emiliano quest’anno non è tornato sulla Croisette però solo per ricevere il premio alla carriera. Nella categoria Classics è stata infatti proiettata la versione restaurata del suo film Il conformista (1970), presentato, tra gli altri, con prestigiose pellicole di registi italiani come L’assassino di Elio Petri e La macchina ammazzacattivi di Roberto Rossellini. Il film, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Alberto Moravia, tratta il tema della guerra, del fascismo e dell’antifascismo, con impeccabili interpreti Jean- Louis Trintignant e Stefania Sandrelli: una pellicola da riscoprire. Giugno 2011 Verona è Vuoi pubblicizzare la tua attività sul nostro sito Internet o sul giornale? Contattaci! [email protected] cell. 349 6171250 9 10 Libri Giugno 2011 È la stampa, bellezza di Ernesto Pavan Settantacinque anni fa moriva il padre del leggendario Conan Il barbaro del Texas: Robert E. Howard Era nato nel 1906, figlio di un dottore itinerante e di una donna affetta da tubercolosi. Vide la fine del mito della frontiera e le conseguenze del boom petrolifero. Fece molti lavori per guadagnarsi da vivere, fino a quando il successo del suo personaggio più celebre non gli diede fama e denaro. La fine arrivò per sua mano, l’11 giugno del 1936, dopo che la madre da lui tanto amata era caduta in coma irreversibile. Si chiamava Robert Ervin Howard e il suo nome è rimasto legato a quello del barbaro protagonista di soli diciassette degli oltre duecento racconti da lui scritti: Conan. Sì, proprio il Conan protagonista di due film, centinaia di fumetti, serie a cartoni animati e imitazioni letterarie: il guerriero venuto dalla nebbiosa Cimmeria, destinato a diventare re e a purificare la civiltà decadente col fuoco della sua barbarie. Stranamente, Howard si stancò in fretta di lui e della fantasy in generale, ma i racconti sul Cimmero sono le sue opere migliori, colme di una forza immaginifica ineguagliata nella letteratura successiva. Il Conan di Howard è un uomo brutale, ma onesto, semplice, ma astuto, che non si cura di nessuno al di fuori della sua cerchia. Nelle sue avventure è di volta in volta ladro, pirata, soldato e razziatore, nonché sempre ubriacone: molto diverso da certe sue rappresentazioni successive, rivolte a un pubblico che si pensava troppo impressionabile per i contenuti delle storie originali di Howard. L’heroic fantasy, il genere letterario a cui appartengono i racconti su Conan, è definito dalle figure dei protagonisti, che nel caso si Howard assumono sfumature nietzchiane: uomini che agiscono esclusivamente in base a una propria morale, senza riconoscerne altre, con grandi ambizioni che a volte riescono a coronare (tanto Conan quanto l’altro barbaro nato dalla pen- na di Howard, Kull, diventano Re di una nazione). Howard non fu solamente autore di fantasy. Il suo talento di autore poliedrico, incapace di limitarsi a un solo genere, lo portò a scrivere racconti western, storie di pugili, horror e gialli. Eppure, sebbene queste opere dimostrino senza ombra di dubbio la sua abilità, è nei racconti fantastici che Howard si esprime al meglio. La sua scrittura, pur se qualche volta ingenua, è priva di ogni orpello e va direttamente al punto senza impelagarsi in giri di parole o metafore inutili. Per quanto riguarda i contenuti, è evidente che non può esserci alcuna morale nelle opere dell’autore: solo un evidente e fortissimo disprezzo per certe convenzioni sociali, unito a un razzismo per nulla celato (ma bisogna ricordare che l’autore scriveva fra gli anni Venti e gli anni Trenta, l’epoca della segregazione razziale negli USA). Questo non può essere visto come un difetto, a meno che non si appartenga a quel genere di lettori che giudicano ogni opera secondo i criteri della literary fiction e disprezzano l’immaginazione pura e semplice. Conan è senza dubbio il più famoso fra i personaggi nati dalla penna di Howard, ma non l’unico degno di nota. Il già citato Kull è in un certo senso il suo antenato: anche lui barbaro, anche lui usurpatore di un trono, è addirittura più primitivo e sanguigno del Cimmero, al punto che non incontrò il favore del pubblico a causa dei suoi eccessi (memorabile la distruzione a colpi d’ascia delle tavole della legge, in “Questa ascia è il mio scettro!”). Totalmente opposto a entrambi è Solomon Kane, il puritano vagabondo la cui missione (o maledizione) è affrontare il Male, spesso incarnato da stregoni dalla pelle scura, in ogni angolo della Terra. Kane è un giustiziere la cui morale e fede religiosa sono rigidissime, ma che in qualche modo ha in sé anche il seme della barbarie: nonostante cerchi di essere freddo e razionale nel pensiero e nell’azione, a guidarlo è spesso l’istinto ed è capace di esplosioni di ferocia che ricordano molto quelle degli altri protagonisti di Howard. Il barbaro del Texas scrisse anche racconti a sfondo storico, dove pure sono presenti elementi fantastici: è il caso del “ciclo celta”, una serie di racconti ambientati nelle isole britanniche prima e molto dopo la conquista romana, pervasi da un tono crepuscolare unico nella produzione dell’autore. Raccontano la morte di un mondo antico e dei suoi Dei, un’epoca che Howard rimpiangeva per la sua onestà e semplicità: le stesse virtù che attribuì ai suoi eroi. Ma sono anche storie in cui l’orrore del passato si mescola al rimpianto, come a dire che non sempre la nostalgia è fondata su basi concrete e che certe cose è meglio lasciarle sepolte. Nell’epoca della fantasy zuccherosa e dei romanzi-fotocopia da un centesimo al chilo, riscoprire Howard significa ritrovare le vere radici di un genere troppo spesso sottovalutato. E chissà, magari dargli una nuova svolta. Libri Giugno 2011 11 È la stampa, bellezza di Ernesto Pavan La riscoperta: La guerra nel medioevo di Philippe Contamine Il Medioevo che non si studia a scuola Per la maggior parte di noi il Medioevo non è che un susseguirsi di sovrani, Papi, eresie, editti e battaglie di cui si conoscono solo il nome e l’anno. Uno dei collanti fra tutti questi elementi, ossia l’aspetto militare della vita, non è minimamente approfondito nella scuola dell’obbligo, forse perché lo si ritiene superfluo o forse in ossequio a una certa tradizione che vede il compimento del pacifismo nella totale ignoranza dell’oggetto del suo disprezzo. Contamine dimostra quanto siano errate queste posizioni: la società medievale non può essere compresa senza comprendere prima la guerra e le sue istituzioni, così come determinati eventi di questo periodo storico (ad esempio la fine del feudalesimo) sono difficili da spiegares se non si conoscono i retroscena e i risvolti militari. La guerra nel medioevo, un classico della storia militare (uscì in Francia nel 1980), è un ottimo strumento per colmare questa lacuna: in modo ordinato e con stile, se non proprio divulgativo, perlomeno assolutamente chiaro, il saggio analizza ogni aspetto della guerra medievale, dalle istituzioni sociali su cui si fondava all’equipaggiamento utilizzato dai combattenti nelle varie epoche. La prima parte, quella più propriamente storica, traccia un quadro dell’evoluzione della guerra dalla caduta dell’Impero Romano al XV secolo; la seconda analizza temi specifico come gli armamenti, la storiografia militare e gli aspetti religiosi e legali connessi allo scontro armato. Ciascun argomento è trattato in modo estremamente preciso, con abbondanza di citazioni da fonti d’epoca e non; inoltre, i singoli capitoli e paragrafi sono organizzati in modo da essere indipendenti fra loro, cosicché il lettore interessato a un solo argomento può saltare alla pagina desiderata senza rischio di perdersi nei meandri dei rimandi interni. Se qualcosa si può rimproverare a Contamine, è la mancanza di un’analisi dettagliata degli aspetti più “tecnici” della guerra: si sente la mancanza di dettagli riguardo l’equipaggiamento dei guerrieri, l’evoluzione delle armi da fuoco (di cui pure l’autore discute) e in generale quella che si definisce “oplologia” (la scienza che studia le armi e i metodi di combattimento). Ma per chi è interessato all’aspetto prettamente storico della guerra, questo volume è una miniera di informazioni preziose. Philippe Contamine, La guerra nel Medioevo, il Mulino, pp. 435, € 14,00 L’ultimo libro di Azadeh Moaveni racconta una verità insospettabile Quell’Iran che, in fondo, somiglia all’Italia C’è un Paese in cui i giovani non raggiungono l’indipendenza economica prima dei trent’anni. C’è un Paese in cui l’informazione è rigidamente controllata dal governo, ma la satira è consentita, in modo che i cittadini vadano a lavorare divertiti e non pensino a lamentarsi. C’è un Paese di leggi assurde in cui vige la prassi di non rispettarle. Questo paese si chiama Iran. Cosa avevate pensato? Troppo spesso si crede che il fanatismo religioso sia la radice di società totalmente aliene all’Occidente. Viaggio di nozze a Teheran mostra una verità ben diversa. Alla luce di questo romanzo autobiografico, molte delle differenze fra Iran e Italia, quelle che peraltro fanno più scandalo, appaiono meramente estetiche: donne velate, gigantografie di mullah appese ai muri e alcolici banditi. Che sono, peraltro, i temi su cui la gioventù iraniana pare più sensibile: i diritti civili, politici e umani sono meno importanti del diritto di bere alcolici e girare scoperte per strada. Stranamente, suona familiare. Viaggio di nozze a Teheran è un libro in cui di religione si parla relativamente poco. L’autrice, iraniana cresciuta in California, ha una visione romantica dell’Islam, a cui fa da contraltare quella del marito Arash, che invece il fanatismo lo vive ogni giorno sulla propria pelle; ma nell’economia del romanzo questo è un tema secondario. Analizzata da vicino, la società iraniana rivela che i suoi problemi non sono dovuti all’Islam, ma dall’atteggiamento rassegnato di fronte al regime e dall’individualismo diffuso che impedisce un vero cambiamento: entrambi all’origine del consenso inizialmente tributato ad Ahmadinejad, il cui programma elettorale si basa- va non a caso su promesse di benessere economico. Un altro punto che dovrebbe essere familiare ai liberi cittadini della democratica Italia. Non riveliamo nulla dicendo che l’esperienza dell’autrice in Iran finisce in un modo che non lascia molto spazio all’ottimismo: di fronte alla prospettiva che il loro figlio cresca in un Paese del genere, la coppia decide di fuggire in Occidente. Le condizioni di vita in Iran non sono tollerabili per una donna cresciuta negli Stati Uniti e per un uomo laureato all’estero, ma condannato a una vita priva di gratificazioni nel suo Paese natio. Ancora una volta, niente di nuovo per noi. E il fatto che le condizioni di vita in Iran appaiano familiari a un lettore italiano è veramente spaventoso. Azadeh Moaveni, Viaggio di nozze a Teheran, Newton, pp. 344, € 6,90 12 L’opinione Giugno 2011 Il re è nudo di Silvano Tommasoli Alcuni grandi blablabla televisivi sono stati allievi di qualche scuola di eristi Gorgia, Elena e la capra C’era una volta – diciamo un venticinque secoli fa – un tipo, che aveva nome Gorgia. Per vivere non aveva grandi affanni, perché aveva ereditato un sacco di bei dollaroni dal su’ babbo, Carmantida, ma soprattutto dal nonno Erodico, che aveva capito tutto della vita e in gioventù si era dato da fare per ottenere una cattedra di medicina in Atene. Un barone della madonna, passato alla storia anche per aver avuto, per primo, la bella pensata che i medici dovessero essere pagati. Il suo allievo Ippocrate imparò la cosa alla velocità della luce, e, ancora oggi, riscuote la riconoscenza dei camici bianchi, che gli giurano fedeltà quando cominciano a lavorare. Fedeltà all’idea della parcella, of course. Insomma, il nostro Gorgia non vuole seguitare la tradizione di famiglia facendo il medico, e già il nonno – vissuto fino a centosei anni – si dev’essere incazzato un tot. Ma si sa, i giovani sono così, sono ragazzi e passano le sere al bar, che allora chiamavano taverna, a parlare di donne e di vino. Che il calcio non l’avevano ancora inventato, così non c’erano n������������������������������� é������������������������������ le veline né le partite truccate. A que’ tempi, la star era una certa Elena di Troia – un nome, una leggenda – che pare fosse di così prorompente bellezza che i maschi suoi coevi ci si accapigliavano sempre, per portarla fuori la sera quando lei non era impegnata in una soap opera intitolata Iliade, che è durata una decina d’anni (più o meno quanto il nostro Beautiful) ed era prodotta e diretta da un tale Omero, un cieco che ebbe la fortuna di inventare queste fiction e farci un sacco di soldi. Non è che allora le notizie corressero molto veloci, se è vero che la storia di Elena ci mise un sei/sette secoli ad arrivare alle orecchie di Gorgia. Ma il nostro, anche se l’aveva solo sentita descrivere senza averla mai veduta, fu così colpito dalla straordinaria bellezza di Elena, che si prese una sbandata virtuale e cominciò a difenderla sempre e comunque. Sosteneva a spada tratta che non fosse stata lei a provocare le risse tra i giovanotti, e finì con l’appassionarsi tanto a l l ’a r g o m e n t o da scriverci un pezzo, che i titolisti del giornale al quale lo inviò intitolarono Encomio di Elena. Sì, in effetti il povero Gorgia le sparò un po’ grosse, ipotizzando che la bella Elena si comportasse in modo così, diciamo, disinvolto perché mossa da un principio di necessità (Ananke) a lei superiore, ovvero costretta con la forza (maddai, Go’. Che erba ti sei fumato?), oppure – udite udite! – perché persuasa dai discorsi e dalle belle parole (oi logoi) di qualche bell’imbusto. Un articolo di non so quante migliaia di battute per dimostrare l’importanza delle parole, anche in un’attività così ordinaria come cercare di cuccare la più bella del reame. Ce n’era davvero bisogno? Se i famosi Fratelli fossero nati duemilacinquecento anni prima, magari Gorgia una sera sarebbe andato al cine anziché alla taverna, si sarebbe potuto sciroppare Palombella rossa di Nanni Moretti e lo avrebbe capito subito che le parole sono importanti. Proprio così, Gorgia deve aver pensato che con le parole puoi ottenere di tutto. Anche che Elena sia molto generosa con te; oppure, che la gente ti compri una crema scioglipancia – come quella che vendeva quella gran signora di Vanna Mar- nell’Attica. Oppure, che gli ateniesi ti ascoltino quando comunichi che stai per scendere in campo per essere eletto arconte, e ti votino, ti votino sempre. Anche quando non sai quello che dici. Proprio così. Gorgia dette alla forza della parola il significato di “grande dominatrice”. Perché la parola è in grado di dominare le emozioni, come nella poesia, che le emoioni le scatena. Di più, c’è l’arte di “battagliare con le parole”, che si chiama eristica. Oh, ragazzi! Qui le cose si complicano, e – quando il gioco si fa duro – i duri cominciano a giocare, cioè a usare ad arte le parole. A chi pratica l’eristica, che è un po’ la sublimazione della retorica, non gli può interessare proprio se quel che dice è vero o falso,��������������������������� né ����������������������� cosa significano le parole che usa; vuole solo contrastare l’avversario e convincerlo di avere ragione grazie a questa retorica con il turbo. Alla faccia del dialogo costruttivo tanto caro al vecchio Socrate! Credo proprio che alcuni grandi blablabla televisivi siano stati allievi di qualche scuola di eristi. Di quelle più scalcinate, an- chi – che ti fa dimagrire di una mezza dozzina di chilogrammi in un paio di giorni, così ti presenti in grande spolvero alla prova bikini al lido del Pireo, che. Non sei d’accordo con me? Allora, taci capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra… Giochi di ruolo Giugno 2011 13 Nessun uomo è un fallito se ha degli amici di Ernesto Pavan Scelte difficili e paesaggi surreali in Non cedere al sonno Un viaggio da incubo nella Città Folle Certe storie sono come i sogni: i protagonisti si trovano di fronte a lati di se stessi che assumono vita propria e non possono più essere ignorati. Sono le storie che nascono giocando a Non cedere al sonno (di Fred Hicks, Janus Design, € 25,00), nelle quali individui insonni sono catapultati in una città folle (Mad City) in cui tutto è simbolicamente surreale. Ciascuno di questi Risvegliati ha una storia personale, riassunta nelle risposte a cinque domande: Cosa ti tiene sveglio? Cosa ti è appena successo? Cosa c’è in superficie? Cosa giace in profondità? Qual è la tua strada? Il suo viaggio in Mad City sarà modellato da queste risposte e, raggiunta la meta, si potrà guardare indietro e vedere in che modo egli è cambiato. Come in altri giochi, ci sono due ruoli in Non cedere al sonno: giocatore e Game Master. Compito dei giocatori è interpretare i loro personaggi in base alle risposte che hanno dato, prendere decisioni per loro e accettarne le conseguenze; il Game Master deve fornire occasioni di scelta ai personaggi – e dunque ai giocatori – e interpretare gli abitanti di Mad City, gli Incubi, secondo la loro natura. Ciascuna di queste creature è radicata in qualche tipo di simbolismo, come l’Agente delle Tasse (che inchioda i fuggitivi ai muri con le sue dita di metallo) o Madre Quando (un’orrenda parodia di madre/ educatrice il cui nome, in Inglese, si basa sul gioco di parole “when/hen”, ossia “quando/ chioccia”); in effetti, l’autore non chiarisce se Mad City sia un luogo reale o un viaggio dei personaggi nella propria follia e, secondo noi, questa ambiguità è il maggior punto di forza dell’ambientazione. Il sistema di gioco è semplice, ma le sue implicazioni sono numerose. Per risolvere i conflitti di interesse fra i fra personaggi e gli Incubi (come nel caso in cui il Maitre du Demon voglia servirvi come portata principale a cena e voi non siate molto d’accordo) si usano dadi di colori diversi, organizzati in pool: dadi bianchi per la Disciplina, neri per lo Sfinimento, rossi per la Follia e di un qualsiasi altro colore per il Dolore. Il Game Master attribuisce all’opposizione un valore in dadi Dolore (fino a dodici), mentre il giocatore parte con tre dadi di Disciplina e può aggiungere fino a sei dadi di Follia, oltre a dover aggiungere un numero di dadi neri pari al proprio Sfinimento attuale (la misura di quanto il personaggio ha cominciato a perdere la lucidità) che può arrivare a un massimo di sei. Basta fare due conti per capire che, anche di fronte al più forte degli Incubi, i personaggi possono partire avvantaggiati... purché siano disposti a correre gravi rischi. Dopo che i dadi sono stati tirati, i risultati da 1 a 3 sono considerati “successi” e la loro somma determina il vincitore del conflitto; il colore del dado con il valore più alto, tuttavia, determina il modo in cui il risultato è ottenuto. Se domina la Disciplina, va tutto bene; la dominanza dello Sfinimento, invece, comporta l’aumento dello Sfinimento attuale di uno, mentre quella della Follia provoca una momentanea crisi del protagonista. Quando il Dolore domina, indipendentemente dal risultato, qualcuno si fa male. Siccome il giocatore è a scegliere quali e quanti dadi usare, il rischio corso dai personaggi dipende dal suo coinvol- gimento e dunque dalla posta in gioco; è importantissimo, qui, il ruolo del Game Master, che deve tarare la forza delle opposizioni e guidare il giocatore in una danza di Dolore, Sfinimento e Follia. Su questo sistema se ne “innesta” un secondo: quello dei Talenti. Ciascun personaggio ne possiede due, uno legato allo Sfinimento e uno legato alla Follia. Il Talento di Sfinimento è una dote umana amplificata a livelli cinematografici: saper sparare come Violet in Ultraviolet, un’agilità degna dei protagonisti dei film di arti marziali cinesi o una lingua d’argento che potrebbe incantare il Diavolo. Il Talento di Follia è più sinistro, ma in un certo senso anche più potente, perché consente al personaggio di trascendere la realtà re- Il box della segnalazione intelligente È con grande piacere che segnaliamo l’uscita in formato PDF del gioco di ruolo Esoterroristi, prossimamente oggetto di una nostra recensione. Janus Design offre al pubblico un prodotto di qualità, privo di ogni sorta di protezioni che ne limitino l’uso, all’onestissimo prezzo di dieci euro (il 40% del costo del cartaceo). Questo e altri giochi di ruolo, molti dei quali da noi recensiti, possono essere acquistati direttamente dal sito dell’editore (http://shop.janusdesign.it/catalogo). alizzando cose impossibili... e terrificanti. Troncare il legame (metaforico) fra madre e figlio usando una lama (reale), mangiare plutonio e defecare bombe nucleari, chiamare gli alieni in soccorso, sono tutte cose che un Risvegliato coi giusti Talenti di Follia potrebbe fare. Naturalmente, per sfruttare il Talento di Sfinimento al meglio occorre essere sull’orlo del collasso e le manifestazioni del Talento di Follia sono un riflesso dell’Incubo che il personaggio potrebbe diventare dopo averlo invocato una volta di troppo: non esistono pranzi gratis a Mad City. L’altro compito del GM è quello di introdurre e chiudere le scene: egli agisce come una sorta di regista, nel senso che non è (l’unico) autore della storia, ma sua è la responsabilità primaria nell’organizzazione degli eventi. L’ultima edizione di Non cedere al sonno è quella presentata a Lucca Comics and Games 2010, battezzata “Dolore dominante” dall’editore. Oltre a un impianto grafico del tutto revisionato, il gioco è ora forte di due nuovi metodi di creazione dei personaggi e di una buona quantità di materiale extra. Per approfondire l’argomento della Follia è disponibile il supplemento Non perdere il senno (di Benjamin Baugh e Fred Hicks, Janus Design, € 15,00), che oltre a numerosi consigli e chiarimenti include anche una raccolta di Talenti di Follia nuovi e disturbanti: fantasmi di dinosauri che perseguitano i personaggi, Taxi per l’Inferno, folletti e orsacchiotti vudù sono alcuni dei meno bizzarri. Non cedere al sonno è un gioco che richiede un forte coinvolgimento per dare il meglio, ma dà in cambio esperienze di rara intensità. Se l’idea di far parte di una storia dalle atmosfere oniriche e surreali vi intriga, questo è il gioco che fa per voi. 14 Viaggi Giugno 2011 Houston, abbiamo un problema di Alice Perini Esploratori dell’immensità: quella fetta di Canada che guarda al Pacifico BBC, Beautiful British Columbia Strana questa cosa dei viaggi, una volta che cominci, è difficile fermarsi. È come essere alcolizzati Gore Vidal Altroché difficile: nella British Columbia fermarsi è semplicemente impossibile. Una volta riprogrammato il vostro orologio biologico, dopo circa undici ore di volo e nove di fuso orario, sono sicura che non vorrete perdere nemmeno un solo istante di questa vostra nuova e immensa avventura. Immensa e sterminata come sanno essere solo i giganti di questo mondo, quelle province sconfinate, quegli spazi senza fine, superfici nelle quali ciascuno vorrebbe perdersi con il solo scopo di ritrovarsi. Con oltre 947.000 km2 di superficie, la British Columbia (BC) è la regione più occidentale del Canada, adagiata lungo il Pacifico, racchiusa a nord dallo Yukon e dall’Alaska e a sud dagli Stati Uniti, in particolare da Washington, Idaho e Montana. Prima di inoltrarsi nel Canada’s diera spagnola, infatti, la prima ad arrivare nella British Columbia, nel 1774: qui, Spagna e Russia si contesero la proprietà di questo tutt’altro che modesto fazzoletto di terra, la porta verso il Pacifico e l’Asia. I primi desideravano controllare tutta la costa occidentale dell’America centro-settentrionale, dal Messico all’Isola di Vancouver; i secondi, spinti dalla stessa aspirazione di dominio, erano al lavoro in direzione opposta, scendendo dall’Alaska per arrivare a San Francisco. Dei due avversari, nessuno riuscì nell’impresa, lasciando così il via libera all’avanzata degli Inglesi, i quali stabilirono nell’attuale area di Victoria la loro prima colonia permanente, nel 1843. Qualche anno più tardi, nel 1857, la febbrile scoperta: l’oro nel Canyon di Fraser (Fraser Valley). La corsa partì, con migliaia di persone che, in cerca di fortuna, affluirono nella neonata regione dorata. Nonostante la frenesia aurea duri solo alcuni anni, le tracce di questo periodo storico si ritrovano nel Gold Rush Trail, a quanto pare, “l’unione fa la forza” funzionava anche centocinquanta anni fa: ed ecco che per affrontare l’imminente tracollo, le due colonie dell’Isola di Vancouver e della Columbia decisero di fondersi. Così nacque, alla fine di un mito (quello parte sud-occidentale della terraferma. Responsabilmente multietnica, ovvero equilibrata nella sua sorprendente diversità (pensate che la popolazione di origine asiatica è talmente numerosa che la città è spesso soprannominata “Kong Kou- dell’oro) e senza mitologie, la British Columbia. Il problema maggiore, vi renderete conto, è come organizzare al meglio il viaggio in una terra così smisurata avendo a disposizione quel tempo che smisurato non è. Potreste iniziare con una passeggiata per le vie di Vancouver, la città più popolosa, facendo attenzione a un dettaglio! Il capoluogo della British Columbia è Victoria, sull’Isola di Vancouver; la città di Vancouver, invece, si trova nella ver”), Vancouver è un piccolo assaggio di ciò che vi attende: infatti, va assaporata all’aria aperta. Stanley Park, una foresta di cedri di oltre 400 ettari, il vero polmone verde di questa regione metropolitana la cui densità di popolazione è tra le più alte del Nord America e che, in base alle previsioni, dovrebbe raggiungere nel 2021 i 3 milioni di abitanti. Non dimenticate Gastown Steam Clock, l’orologio a vapore che si trova nel quartiere vecchio della città, Gastown per l’appunto, Uno scorcio degli splendidi Butchard Gardens West, un caleidoscopio di scenari straordinari ritenuti (e non poteva essere diversamente) tra i più spettacolari del mondo, un breve accenno al passato, una storia diversa rispetto a quel Canada con lo sguardo rivolto all’Europa, dove gli Inglesi e i Francesi si sono scontrati, “qualche tempo fa”, per il controllo del territorio. Fu la ban- un itinerario che segue i sentieri dei cercatori d’oro, passando per Lillooet, Barkerville e 100 Mile House. Una volta finita la corsa, il traguardo raggiunto non era certo dei migliori, anzi: dietro l’angolo, il serio rischio di bancarotta per la colonia, determinato soprattutto dagli ingenti costi di costruzione delle “autostrade dell’oro”. Ma Qui sopra, il Peyto Lake, in alto una veduta di Vancouver Viaggi Giugno 2011 15 Houston, abbiamo un problema e il Capilano Suspension Bridge, il ponte in legno, trattenuto solo da corde, sospeso a 70 metri di altezza sul torrente Capilano. Se volete salire ancora più in alto, vi consiglio l’Harbour Centre Tower, l’edificio che con i suoi 174 metri è il più alto della regione: in soli 40 secondi, lo skilift, l’ascensore panoramico in vetro, vi accompagnerà alla terrazza panoramica a quota 130 metri. E sarete pronti per ammirare anche il profilo di questa città! Da Vancouver a Victoria, situata nell’estremo sud di Vancouver Island e così chiamata in onore del capitano George Vancouver, ufficiale britannico della “Royal Navy”, famoso soprattutto per le sue esplorazioni lungo le coste del Nord America affacciate sul Pacifico. Come il vostro predecessore George, sentitevi semplicemente esploratori: Butchart Gardens, una delle più grandi esposizioni floreali del mondo, vi faciliterà sicuramente il compito. È il 1904 quando Jennie Butchart, riutilizzando una cava di calcare ormai abbandonata, inizia a dar forma a quello che oggi è diventato un giardino di oltre 22 ettari, un paradiso che, complice il clima mite e soleggiato, non vorreste più lasciare. Di meraviglie, in questo viaggio, ne troverete così tante che potreste davvero rischiare di ubriacarvi. Tofino e la sua baia, nella costa ovest di Vancouver Island, l’isola di Meares e la sua millenaria foresta pluviale (oltre 3 metri di pioggia all’anno), i cui alberi sono tra i più maestosi e antichi di tutta la regione. Non è un caso, quindi, che proprio sull’Isola di Vancouver vivesse il più alto esemplare vegetale al mondo, un abete di Douglas alto 126 metri. È, e sarà, proprio la natura il sottofondo di questa vostra avventura vis- suta agli estremi del mondo. Il Pacific Rim, il più vasto Parco Nazionale Marino del Canada, è la meta ideale per chi è appassionato viaggiatore e fotografo: per i naturalisti (ma non solo), si tratta di uno scenario davvero affascinante, spesso interessato dalle violente burrasche del Pacifico, abitato, nella sua parte marina, da grandi cetacei, balene, leoni marini, foche, orche assassine e, sulla terraferma, da procioni, visoni e orsi. Visto che si è parlato di oceano, non potete rinunciare a una giornata in traghetto: detta così sembra quasi la solita escursione noiosa, imprigionati su una barca. In realtà, impiegherete le 16 ore di navigazione alla volta di Prince Rupert, nel nord della British Columbia, impegnati ad ammirare paesaggi senza pari, tra cui fiordi giganteschi e pareti a strapiom- bo su un oceano brulicante di vita. E mentre sarete diretti verso nord, sempre più vicini al freddo, vi consiglio di fare tappa al Santuario dei Grizzly, la riserva faunistica di questi qua color turchese, canyon e foreste, la dimora di numerosissime specie animali protette (grizzly, puma, alci, caribù e lupi). I quattro parchi delle Rockies, Banff, Jasper, Kootenay e Yoho, sono parte del Patrimonio dell’Umanità fin dal 1984: ognuno di loro potrà offrirvi degli scorci stupendi, dalle cascate Athabasca e i laghi Peyto, Moraine e Louise alla Icefields Parkway, considerata la più bella e suggestiva autostrada del mondo, una lingua d’asfalto che si snoda per 230 Km circondata da montagne maestose e che collega il lago Louise a Jasper, dove potrete ammirare l’enorme Columbia Icefield, uno dei più grandi ghiacciai situato a sud del Circolo Polare Artico. Con una superficie di quasi 325 maestosi mammiferi: un modo intelligente per comprendere il mondo di questi esseri che, “in competizione” con l’orso polare, si contendono il primato in termini di grandezza e pericolosità. Un’occasione per sapersi comportare responsabilmente e per evitare quegli incidenti spiacevoli scatenati, spesso, più dall’ignoranza umana che dall’aggressività animalesca. Per avere un’idea di cosa possa significare trovarsi di fronte un paesaggio “impetuoso” e “prepotente”, non rimane che dirigersi verso le Montagne Rocciose (Rockies), una delle catene montuose più vaste al mondo, estesa per oltre 4.800 Km, dal lontano New Mexico alla British Columbia. Una superficie immensa coperta da imponenti ghiacciai, rocce granitiche, cascate, laghi dall’ac- Km2, questo gigantesco accumulo di neve e ghiaccio può raggiungere in alcuni periodi una profondità di 300 – 360 metri; durante il disgelo, le sue acque danno origine a quattro grandi sistemi fluviali e alimentano fiumi che sfociano negli oceani Artico, Atlantico e Pacifico. E avrete ancora molto altro da esplorare, ma, ahimè, bisogna pur fare una scelta. L’importante è che scegliate, prima o poi, di trascorrere alcuni giorni anche solo in qualcuno di questi luoghi fuori rotta. Farete il possibile per conoscerli tutti. (Anche se ubriachi). In questa pagina, dall’alto in senso orario: il Pacific Rim National Park, il Columbia Icefield una capra delle Montagne Rocciose 16 Viaggi Giugno 2011 Giro giro tondo, io giro intorno al mondo di Anna Chiara Bozza Da fiero uomo delle savane ad imprenditore Kenya: finti Masai o cambiamento di uno stile di vita? In Kenya, vagando per i villaggi e le località più o meno turistiche non è così difficile incontrare esponenti delle tribù Masai. Che essi siano veri appartenenti a tale etnia o gente del luogo improvvisatasi come tale è tutto da vedere. Gli stereotipi sono ben noti: il pastore delle pianure africane, con il mantello rosso e la lancia in mano, i monili al collo e gli orecchini allarga lobi. Ben lontano dall’essere un’attrazione turistica, il popolo delle savane vaga per secoli tra Kenya e Tanzania, tra pascoli, riserve naturali, parchi, proprietà private. Il Masai moderno è un incrocio tra un pastore, un abile venditore, e per sua indole, un guardiano. Sono da sempre pastori seminomadi, parlano una lingua a sé e restano il simbolo dell’Africa dei grandi spazi. Conoscendo un po’ la storia di queste tribù e il loro modo di vivere sorge spontanea una do- manda: il turismo ha contagiato queste persone in ogni aspetto della loro vita, oppure ci si trova davanti ad una presa in giro bella e buona, quando ad esempio in spiaggia si vedono Una splendida immagine del paesaggio e dei colori del Kenya individui vestiti e agghindati come i Masai? Per dare una risposta a questo quesito, mi sono rivolta a Donatella, una signora italiana che conosce molto bene il mondo dei Masai. È stato proprio per amore di un ragazzo keniota, che dieci anni fa ha deciso di lasciare l’Italia, il lavoro e di trasferirsi a Malindi. Oggi si occupa di turismo, cercando di far comprendere la vera essenza dell’Africa e del Kenya, permettendo di vivere realmente il posto in cui ci si trova, immergendosi nella realtà locale conoscendone usi e costumi. Leggendo il suo blog non è difficile capire quanto ami questa terra e questa gente. Secondo lei, i Masai che si spostano sulla costa si sono in un certo senso trasformati, per adattarsi al sistema consumistico di questo luogo. A Malindi, non è insolito vedere i Masai con cellulare e birra in mano. Nonostante le loro origini siano quelle di veri uomini della savana, guerrieri dignitosi e fieri. Ma questo erano, e continuano ad essere. Tutto cambia durante il periodo di bassa stagione, quando tornano nei loro villaggi. «Basta pensare a mio marito: qui supermoderno, ormai anche troppo. Ma quando c’è una cerimonia al suo villaggio dimentica dove vive, e si catapulta ad osservare le sue regole, Viaggi Giugno 2011 17 Giro giro tondo, io giro intorno al mondo i suoi usi, le sue tradizioni. La sua cultura è una sola, e va sempre e comunque rispettata». Ma se il turismo è riuscito a cambiare persino le abitudini di queste popolazioni, qual è il posto che esse occupano nella moderna società? Si dice che al giorno d’oggi i Masai giochino un ruolo importante per la conservazione ambientale, almeno così ci viene spiegato. Sembra infatti, che alcuni di loro gestiscano intere zone della savana, dove sorgono i lodge che ospitano i turisti durante i safari. Una cosa difficile da credere, in quanto, nonostante il tempo della colonizzazione sia finito, sembra sia iniziata una forma di occupazione più subdola, quella turistica. Gli stranieri che vengono in viaggio in queste terre offrono un cattivo esempio alle popo- lazioni locali. Secondo Donatella il mondo occidentale non contamina questa gente, ma la abitua male, perché non offre buoni esempi. I turisti credono di fare del bene solo regalando, ma non è così. Tutto ciò non aiuta le popolazioni locali a crescere, li abitua soltanto a volere, volere e volere. I visita- tori si convincono di fare delle buone azioni, ma è solo una giustificazione, un gesto fatto quasi per farsi perdonare quello che si ha. Certo, non è sufficiente visitare Watamu, Malindi e le località sulla costa per riuscire a valutare il Kenya e la sua popolazione. In queste zone è tutto diverso da ciò che è realmente l’interno del paese. Nelle località turistiche i bambini ti corrono dietro chiedendoti una caramella o addirittura soldi. Nell’entroterra, nessuno di loro si avvicinerà, per domande qualcosa, o semplicemente per far capire che ha bisogno: la dignità è una qualità fondamentale della gente del Kenya. Nelle località marittime invece i kenioti “colonizzati” incassano, vendono, barattano, fanno affari, si arricchiscono e forse disprezzano un tantino queste orde di europei che si credono padroni a casa loro. Ma se da una parte l’atteggiamento di superiorità mostrato dai turisti impedisce un reale sviluppo della popolazione, dall’altra c’è anche la poca volontà degli abitanti locali di volersi migliorare, soprattutto di quelli che vivono sulla costa che ne avrebbero l’opportunità. appleproducts.tk Apple Products è un gruppo di persone che condividono la passione per i prodotti Apple. Visitateci sul sito internet dove potrete trovare guide, aiuti e molto altro sul mondo Apple. Per una totale accessibilità al sito è necessaria l’iscrizione gratuita al forum. 18 Sport Giugno 2011 Quando il gioco si fa duro di Daniele Adami Ma fatto anche di morte. Wouter Weylandt, un ragazzo di 26 anni La vita dello sport, lo sport della vita Il ciclismo è come la vita, non ci sono formule matematiche quando sei davanti ad un avversario. Si tratta di saper soffrire più di lui Lance Armstrong Un passo all’indietro che non avremmo voluto fare. Uno sguardo alle parole che, nel primo numero di questa rubrica, hanno accompagnato le righe sulla morte di Shoya Tomizawa: “La morte, non si può negare, ha fatto e fa ancora parte dello sport. Probabilmente ci sarà anche domani e oltre”. Frasi scritte in qualità di commento all’evento del 5 settem- lentemente sull’asfalto, dopo un volo di alcuni metri. Sono le 16.20. I soccorsi giungono immediati, ma la gravità dell’accaduto non lascia spazio alla speranza. La comunicazione ufficiale della morte arriva alle 17.24. Nel frattempo, la tappa è proseguita. La vittoria è andata allo spagnolo Vicioso. I classici festeggiamenti vengono annullati. La frazione del giorno seguente sarà neutralizzata. Sul traguardo di Qui sopra i compagni di squadra in ricordo del collega scomparso onorare il loro amico, chilometro dopo chilometro. Volevano ritirarsi, ma il padre di Weylandt ha chiesto loro di proseguire, per quel ragazzo di 26 anni che viveva di bicicletta e per la bicicletta. Il ciclismo si è stretto attorno a una famiglia distrutta dal dolore. Una perdita che non potrà mai essere cancellata. Avvenimenti del genere fanno scattare immediatamente i riflettori della sicurezza. Lo avevamo detto anche per Shoya. Una distrazione, una buca, tratti viscidi e insidiosi possono bre dello scorso anno, quando Livorno, il 10 maggio, i comil giovane e promettente pilota pagni di squadra di Wouter giapponese perse la vita a Misa- sfilano abbracciati. Hanno no, in seguito alle conseguenze deciso di rimanere al Giro per di un terribile incidente nel corso del Gran Premio di Moto2. E quel domani, riferito al pezzo riportato fra le virgolette, si è (ri)materializzato il 9 maggio. Durante la terza tappa del Giro d’Italia, fra Reggio Emilia e Rapallo, il corridore belga Wouter Weylandt sta affrontando la discesa del Passo del Bocco. Una curva a sinistra. Si volta all’indietro per osservare chi lo sta seguendo. Con il pedale urta il muro di protezione in pietra. Cade a terra. Il volto sbatte vio- Weylandt vince una tappa al Giro d’Italia dello scorso anno essere fatali. Un casco diverso e più resistente lo avrebbe salvato? Non ce la sentiamo di dare una risposta. L’amore per la velocità, la voglia di sentire l’aria che sbatte sul corpo, soffi di vento intrisi di rischio. Anche questo è lo sport, fatto, inoltre, di botte, di cadute e di tragici eventi. Sui giornali e sulle televisioni (ri)appaiono le immagini e le fotografie di altri uomini del ciclismo che hanno perso la vita mentre si impegnavano a pedalare con la passione, il sudore e la fatica dipinti sul volto. Strade ricche di memoria e, talvolta, di sangue. La pericolosità delle discese non può essere nascosta, non va ignorata. E ogni corridore porta con sé un bagaglio di possibili imprevisti. Consapevolmente, perché si tratta di ciò per cui hanno fatto molti sacrifici. Uno sport, quello della bicicletta, dolce quanto rude, difficile quanto affascinante. Dopo alcuni giorni di shock la corsa rosa ha ripreso un velo di normalità. Anche se, e di questo ne siamo sicuri, una normalità non completa. Il Giro incoronerà il suo vincitore, come ogni anno, perché bisogna andare avanti. Assieme a Wouter Weylandt, nella storia. Sport Giugno 2011 19 Quando il gioco si fa duro di Daniele Adami Tornei, sconfitte e vittorie: tutto quantificato. Giusto così? Forse Il tennis dei re, dei punti, o dei re punti? Saper giocare bene a tennis è diverso da saper vincere Adriano Panatta Questione di punti. È questo il metro di giudizio per delineare il ranking mondiale tra i giocatori di tennis. Ogni torneo porta con sé un punteggio, che varia a seconda del prestigio dello stesso. Più passi un atleta riuscirà a muovere all’interno del tabellone, più possibilità avrà di scalare posizioni nella classifica. Un passo falso, invece, comporta una perdita. Ho tentato di cogliere i vari ingranaggi che governano l’attribuzione dei punti, e non posso negare di aver avuto difficoltà nel comprenderli. Magari non li ho proprio capiti. Ma tutto ciò, per ora, non è importante, poiché il nostro scopo, infatti, è un altro: stimolare una riflessione. E la riflessione corrisponde a una precisa domanda: chi occupa il gradino più alto del podio mondiale è obiettiva- Da sinistra: Rafael Nadal, Novak Djokovic e Roger Federer Il tennis maschile vede ora al comando lo spagnolo Rafael Nadal, seguito da Novak Djokovic e Roger Federer. Fra i primi due la distanza, in termini di punteggio, è labile. Il terzo è piuttosto lontano. Gli eventi di questi ultimi mesi, tuttavia, indicano una netta progressione del giocatore serbo Sportiva stretta di mano tra il serbo e lo spagnolo mente il giocatore più forte in quel periodo? Azzardiamo un paio di risposte: forse sì, forse no. Il motivo? Nello sport, di qualunque tipologia esso sia, raramente risiede la purezza di un giudizio. Le parole sono spesso indirizzate da occhi volutamente bendati. Sguardi che vedono ma non osservano. Allora, data l’impossibilità di trovare una sorta di accordo, meglio rivolgersi alle classifiche. Tabelle il cui desiderio fondante è fornire chiarezza. (Djokovic), dal punto di vista dei risultati. E della freschezza di gioco. Nelle recenti finali disputate a Madrid e a Roma, per lo spagnolo numero uno c’è stato poco da fare. Il campione dell’est europeo è riuscito a imporsi sulla superficie che l’avversario ritiene il suo elemento naturale: la terra battuta. Un elemento che impone al giocatore una costante attenzione al rimbalzo della pallina, che può rallentare un colpo inferto con potenza, che può mutare la direzione della battuta, se vi sono dei leggeri solchi sul terreno. La stanchezza accumulata nella semifinale del giorno precedente contro Murray (agli Internazionali d’Italia) si è fatta sicuramente sentire sulle spalle di Novak. Tuttavia, quella tensione si è tramutata in forza, facendo in modo che il suo rovescio diventasse una sottile e pungente lama sul campo del rivale. Nadal, lo dobbiamo dire, non è stato a guardare. Una sconfitta a testa alta. Una gara che consente a entrambi di presentarsi con grande fiducia al maestoso impegno del Roland Garros. Ancora terra battuta. Al momento della lettura di queste righe saprete già chi sarà il vincitore della manifestazione parigina. Forse vi sarà un nuovo numero uno. O forse no. E non possiamo dimenticarci di Roger Federer, il re svizzero, che per ben 237 settimane consecutive (terminate il 18 agosto del 2008) ha messo tutti dietro le sue spalle. Un record imbattuto, e meritato, poiché i rivali dovevano, e potevano, solo inchinarsi alla sua gentilezza e abilità nel tocco. Meravigliosi i punti realizzati colpendo la palla tra le gambe, quando que- sta è in procinto di toccare terra. E con la schiena rivolta alla rete. Nadal gli ha strappato il primato, il quale è ora piuttosto in bilico. Non ci sentiamo di dire che le classifiche rappresentano delle verità assolute. Non vanno nemmeno ignorate completamente. Personalmente ritengo che la quantificazione sportiva, necessaria in molte branche dell’agonismo, sia arrivata a invadere delle zone che dovrebbero mantenersi estranee al suo potere. Un atleta deve (o dovrebbe?) essere il migliore solo per una questione di punti? Spero fortemente di no. Roger Federer R I S TO R A N T E Casale Spighetta ... dove la cucina tradizionale italiana viene rivisitata con un sapore d'Oriente ... Casale Spighetta, un nuovo spazio, un sorprendente gioco architettonico di salette che si intersecano pur rimanendo raccolte nella loro intimità. L'atrio Nafura, il Lounge panoramico Gioia & Gaia, la cantina del Trabucco, il Coffee Lounge tutti con arredi eleganti, diversi, con un tocco d'oriente legati da toni materiali ed effetti di luce e colore che rispecchiano alla logica di mirabili equilibri. Le sale esprimono un’atmosfera ariosa ed elegante perfettamente in linea con la cucina dello Chef Patron. Un’esigenza per chi, come lo Chef Angelo Zantedeschi va al di la dell’arte culinaria, un grande amore per la tradizione e l’arte moderma. Il Casale la Spighetta è un ristorante collocato nelle colline della Valpolicella a Verona, i suoi ambienti eleganti sono indicati per cene romantiche, banchetti e cene aziendali. Dal giardino estivo si può godere di un meraviglioso panorama. Via Spighetta 15 37020 Torbe di Negrar, Verona Tel/fax: +39 045 750 21 88 www.casalespighetta.it