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DOTTRINA
LA PEDOPORNOGRAFIA: TRA GIUDIZIO MORALE,
SENSO COMUNE E PSEUDOSCIENZA (*)
di Antonio Forza
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Finalità della norma. – 3. Le
ricerche sul fenomeno pornografia. – 4. L’indagine neuropsicologica sui pedofili. – 5. Conclusioni.
1. Premessa. – L’introduzione nel nostro ordinamento della nuova figura di reato di pornografia virtuale, così come delineata dall’art. 4 della legge n. 38
del 6 febbraio 2006, riapre un più ampio dibattito
sull’estensione dell’area di punibilità di condotte che
prevedono la detenzione di materiale pornografico
realizzato con la presenza di soggetti minori.
S’è detto che non è agevole comprendere se il
nuovo articolo contenga un’autonoma figura criminosa o se il legislatore abbia voluto solo estendere
l’ambito di applicazione delle due precedenti norme
contemplate dagli artt. 600 ter e 600 quater del codice
penale, che già sanzionavano la produzione e la detenzione di materiale pornografico minorile (1). Questione esegetica che rende sempre più sentita, anche in
queste ipotesi di condotta, la necessità di un organico
intervento sulla materia codicistica.
Le ragioni che hanno portato il legislatore ad introdurre questa fattispecie, per così dire, fresca di
stampa, si sa, vanno ancora una volta ricercate nel testo della Decisione Quadro 2004/68/GAI del Consiglio dell’Unione Europea, che all’art. 1, lett. b), punto
ii) stabilisce che per pornografia infantile deve intendersi il materiale pornografico che ritrae o «rappresenta visivamente una persona reale che sembra essere
un bambino implicata o coinvolta» in una condotta
sessualmente esplicita. E per bambino si intende, secondo la più generalizzata definizione delle carte internazionali, una persona di età inferiore ai diciotto
anni.
È, infatti; questa direttiva che impegna gli Stati nazionali a punire anche le condotte che abbiano oggetto
materiale pornografico costituito sia da immagini reali
di soggetti che «sembrano» essere minori, che da immagini «virtuali», e cioè da rappresentazioni realistiche di minori inesistenti.
Da più parti sono giunte aspre critiche all’introduzione di questa nuova fattispecie definita quale strumento sovradimensionato rispetto al bene giuridico da
tutelare, dai tratti evanescenti e appena sullo sfondo
(2).
Un reato che per la sua oggettività giuridica parrebbe rientrare nel novero di quei «reati ostacolo» ove
la soglia della punibilità viene ulteriormente anticipata
rispetto ai reati di pericolo astratto, con l’arretramento
dell’intervento penale al pericolo di lesione di un bene
giuridico (3).
Un reato dalle conseguenze particolarmente severe
per condotte censurabili, fino a qualche mese fa, forse
solo sul piano morale.
Si pensi, oltre alla pesante sanzione detentiva, alle
pene accessorie di cui agli articoli 5 e 8 della stessa
legge 38/2006, che hanno per la prima volta arricchito
il sistema di una nuova figura, quella dell’interdizione
perpetua del condannato da qualunque incarico nella
scuola di ogni ordine e grado, nonché da ogni ufficio
o servizio in istituzioni o strutture, pubbliche o private,
frequentate prevalentemente da minori.
E sotto l’insegna sempre del massimo rigore, il legislatore ha addirittura voluto derogare a quanto stabilito dall’art. 445 c.p.p., irrogando le pene accessorie
anche in caso di patteggiamento.
La definizione della condotta sanzionata, poi, si appalesa totalmente vaga, così da poter attrarre, nell’area
di tipicità della norma, prodotti pornografici o pseudo
tali di tutti i generi.
Vi è stato chi, all’interno della stessa norma, ha saputo enucleare ben nove nuove fattispecie che vanno
dalla produzione di pornografia virtuale, al commercio, alla distribuzione, alla divulgazione, alla diffusione, alla pubblicazione, all’offerta, alla cessione e
alla detenzione (4).
Non vi è dubbio che ogni forma di contatto con materiale qualificabile come pornografico è stata criminalizzata con un rigore addirittura superiore a quello
della detenzione di sostanze stupefacenti, ambito nel
quale viene quantomeno escluso, dall’area della punibilità, l’uso personale.
E si sa quanto ampia sia la nozione di pornografia,
secondo la previsione del primo Protocollo addizionale alla Convenzione di New York per la protezione
del fanciullo, entrato in vigore in Italia con L. 42/2002.
L’art. 2 lett. c) stabilisce che «per pornografia rappresentante bambini si intende qualsiasi rappresentazione, con qualsiasi mezzo, di un bambino dedito ad
attività sessuali esplicite, concrete o simulate o qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali di un bambino ai fini soprattutto sessuali».
Non vi è, dunque, dubbio che la ratifica da parte
dell’Italia, con l’intervento legislativo di recepimento
della Convenzione, fornisca uno strumento interpretativo fruibile per l’esegesi delle nuove disposizioni
normative che concernono il fenomeno della pornografia (5).
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La definizione del Protocollo addizionale è soltanto
apparentemente chiara; in realtà per stabilire in che
cosa consista la finalità sessuale si corre il rischio di
aprire la strada alla cosiddetta soggettivizzazione del
significato penale del precetto.
Non rileva solo il contenuto obiettivo della rappresentazione o la modalità di rappresentazione del soggetto ritratto, ma il problema viene spostato sull’accertamento e sugli effetti che dalla rappresentazione
possano derivare in capo al fruitore della stessa. Non
sono molti a dubitare del fatto che il concetto di «esibizione lasciva» di organi sessuali, introdotto dalla
stessa Decisione Quadro all’art. 1, vada a confermare
l’interpretazione che riconosce nel concetto di finalità
sessuale non solo l’aspetto intrinseco della rappresentazione, ma anche quella maliziosità che sposta il problema sul soggetto fruitore.
Se, dunque, nel caso della pornografia minorile, secondo le originarie intenzioni del legislatore del 1998
(legge 269/1998), l’attenzione venne rivolta al minore
sfruttato, impiegato per realizzare opere a contenuto
pornografico, indipendentemente dall’effetto che tale
materiale poteva determinare nel pubblico, con la
norma sulla pornografia virtuale l’attenzione viene
chiaramente spostata sulla perversione del reo, anche
quando i suddetti materiali non coinvolgano direttamente dei minori come soggetti reali, ma rappresentino il risultato di costruzioni grafiche.
Pare evidente che un allargamento così ampio ed
esteso del concetto di pornografia possa mettere in discussione, dal punto di vista applicativo, consolidati
modelli interpretativi in tema di rappresentazioni artistiche.
Considerando che la rappresentazione artistica ha,
quasi sempre, una finalità lucrativa, alla luce delle interpretazioni che si possono delineare in tema di pornografia minorile, opere anche di autori dalla fama internazionale ben difficilmente potrebbero sottrarsi
all’operatività del divieto. Rimarrebbe, infatti, difficile
escludere una qualche rilevanza penale di dette opere
figurative, per lo più pittoriche che, per oggetto e per
modalità di rappresentazione, possiedono quei caratteri sessuali che la nuova legge osteggia.
2. Finalità della norma. – Intendo però occuparmi
di un altro profilo di questa materia che i giuristi tendono normalmente a tralasciare e che è rappresentato
dall’aspetto psico-sociale in relazione alle finalità che
le norme sulla pornografia infantile, in genere, e quella
virtuale, in particolare, perseguono.
Sembra chiaro che, mentre la criminalizzazione
della pornografia reale dovrebbe essere funzionale alla
tutela del bene giuridico protetto dalle disposizioni a
tutela del minore, oggetto di attività pornografica, nel
caso della pornografia virtuale tale bene giuridico appare talmente sfuocato da giustificare la convinzione
che ben altri valori siano oggetto di tutela, quali la morale ed il buon costume.
L’attenzione del legislatore parrebbe essersi spostata dal minore alla perversione sessuale di colui che,
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detenendo il materiale pornografico, viene tout court
considerato pedofilo ed, in quanto tale, ritenuto un pericolo latente per la comunità.
In altri termini, alla base della scelta del legislatore
vi sarebbe una base giustificativa che presuppone che
questo materiale, correlato alla figura del suo fruitore,
possa istigare alla commissione di reati di violenza
sessuale in danno di minori.
Questo assunto rappresenta una sorta di presupposto teorico: la detenzione di materiale pedopornografico costituisce una specie di sintomo ed un campanello d’allarme sulla pericolosità soggettiva del suo
possessore; quindi, tale condotta viene sanzionata dal
reato «ostacolo». Ebbene, i pochi studi che esistono sul
tema, dato dal rapporto tra la fantasia e l’azione o più
precisamente tra la pornografia, come fattore predisponente alla commissione di abusi sessuali nei confronti di minori ed il reato di violenza sessuale, tendono ad escluderlo.
Fa parte dell’immaginario collettivo e rappresenta
una specie di convinzione comune per i non addetti ai
lavori e per alcuni sedicenti esperti di questa materia,
considerare come dimostrato il legame e, quindi, l’esistenza di un meccanismo di causa-effetto.
Uno tra i cosiddetti massimi studiosi inglesi della
materia in un suo lavoro molto divulgato così si esprimeva:
«La pornografia predispone alcuni uomini a commettere abusi sessuali; personalmente, ho pochi dubbi
che, per alcuni uomini, la predisposizione non possa
davvero trovarsi unicamente nell’area della pornografia. In altre parole, per alcuni è proprio la pornografia
– e nient’altro – che crea la predisposizione a commettere abusi sessuali» (6).
Pare che non esista un singolo studio presentato alla
comunità scientifica da questo autore che dimostri il
fondamento di questa affermazione (7).
L’autorevolezza della fonte fa passare questa affermazione come un qualche cosa di scientificamente
provato, mentre ci si trova di fronte ad un’affermazione dal contenuto opinabile. Si tratta, anche in questo caso, di una teoria scientificamente indimostrata
basata sul senso comune che, in quanto tale, tende ad
essere contraddittoria.
Come si vede, un simile modo di procedere, che
prescinde dalla verifica dell’ipotesi per verificare se
può essere falsificata, è tipico della pseudoscienza.
L’essenza della scienza sta, infatti, nel falsificazionismo, la pseudoscienza, al contrario, parte da una ipotesi, solitamente a forte impatto emotivo, per poi ricercare solo gli elementi che sembrano confermarla. E
tale metodologia produce relazioni impermeabili a
qualsiasi possibilità di controllo e di confutazione
scientifica.
Il fatto che qualche pedofilo possa far uso di pornografia, la collezioni o, più semplicemente, entri in
contatto con la stessa, non può essere considerato una
prova sufficiente a giustificare un rapporto causale tra
l’uso di questo materiale ed il reato di abuso sessuale
nei confronti di minori.
Né è detto che ad entrare in contatto con questo materiale siano i pedofili esclusivamente. Esiste, infatti,
un’ampia platea di cosiddetti pornofili che collezionano materiale pornografico senza per questo poter
essere considerati pedofili.
Si tratta di soggetti che raccolgono materiale pornografico in genere e la pornografia infantile può rappresentare una parte, magari modesta, della loro «collezione».
HARTMAN ed altri, in un lavoro del 1984, partendo
dall’uso della pornografia avevano identificato quattro
tipi di pedofili in base al tipo di «collezione» effettuato:
1) il soggetto cosiddetto «closed», che si limita a
conservare materiale pedofilo in segreto senza mettere
in atto molestie sessuali;
2) l’«isolated» che usa del materiale pedofilo condividendolo solo con le sue vittime;
3) il «cottage» che condivide e scambia il materiale
con altri pedofili;
4) il «commercial», peraltro percentualmente raro,
che fa del danaro lo scopo primario della sua collezione (8).
Si tratta, però, di un’indagine molto approssimativa dove, più che sullo studio delle caratteristiche dei
soggetti implicati, si è lavorato sul fenomeno della diffusione del materiale pedo-pornografico. È mancata
una certa distinzione di base tra pedofili e pornofili ed
una precisa individuazione dei profili personali dei
fruitori del materiale.
Non può, dunque, essere condivisibile l’affermazione, peraltro molto diffusa, che vorrebbe dare per
scontato il fatto che il fenomeno della pornografia minorile non si possa discostare da quello della pedofilia
e che, anzi, ne rappresenti una sorta di manifestazione
complementare ed imprescindibile (9).
3. Le ricerche sul fenomeno pornografia. – Le
ricerche disponibili in tal senso, come meglio si vedrà
più oltre, non offrono elementi chiari e precisi che facciano ritenere comprovato un rapporto tra pornografia, fantasia e reato.
La convinzione, secondo la quale le fantasie erotiche evocate dalla pornografia possano determinare il
soggetto all’azione, trova nella psicologia del profondo il suo paradigma concettuale. Poiché nella pornografia la sessualità emerge come unico tema, il fruitore della stessa è un soggetto represso che può
facilmente passare all’atto (acting out).
Si tratta di posizioni teoriche che fanno da sfondo
a quelle che si ritrovano in tempi a noi più vicini negli
slogan femministi «la pornografia è la teoria, lo stupro
è la pratica» (10).
L’assunto, anche in questo caso, è che la fantasia
sessuale indotta dal materiale, in questo caso semplicemente pornografico, precorra l’azione.
Negli Stati Uniti all’inizio degli anni Settanta per la
prima volta il governo federale avviò un’ampia indagine psicologica sull’oscenità e la pornografia.
Venne appunto istituita un’apposita Commissione
in tal senso (Commission on Obscenity and Pornography).
Il tema principale di questa ricerca riguardava il
rapporto tra la pornografia e la sessualità in generale
ed, in particolare, sotto l’influsso del paradigma femminista, il nesso causale tra l’esposizione al materiale
pornografico e la violenza sessuale.
Questi studi vennero effettuati con riferimento alla
variazione statistica dei reati conosciuti (senza quindi
alcun approfondimento in ordine al cosiddetto numero
oscuro) in relazione alle disponibilità di materiale pornografico, anche su basi regionali.
Si erano così messe a confronto le percentuali di reati sessuali in determinate aree degli Stati Uniti che si
caratterizzavano per la quantità di riviste pornografiche in distribuzione.
I risultati di questi lavori, effettuati in analisi di macro-livello, non riuscirono però a dare una soddisfacente spiegazione del fenomeno.
Anche gli studi eseguiti su soggetti autori di reati
sessuali, riconosciuti poi responsabili con sentenza
passata in giudicato, in genere, non avevano offerto risultati particolarmente significativi che consentissero
di correlare alla pornografia le violenze commesse.
Indagando, infatti, sulla loro storia personale si era
visto che una grossa percentuale di costoro, nella tarda
infanzia o nella loro adolescenza, avevano avuto una
elevata esposizione a materiale pornografico. Ma, poi,
paragonando questi livelli di esposizione a quelli della
popolazione in generale, s’era visto che le differenze
erano modeste e poco significative.
In qualche caso addirittura s’era potuto accertare
che i responsabili di abusi avevano avuto un’esperienza più ridotta di pornografia e che, semmai, erano
stati eccitati semplicemente da immagini di violenza
fisica contro le donne (11).
Vennero eseguite anche delle ricerche più mirate
sull’uso di materiale pornografico, nei momenti direttamente antecedenti la consumazione dei reati di violenza sessuale, e si era osservato che i responsabili tendevano generalmente a non far uso di pornografia,
almeno più della popolazione normale.
Tutti gli studiosi che avevano affrontato questo tipo
di indagine conclusero che i pregiudicati per questo
genere di delitto e le persone normali si comportavano
nello stesso modo, anzi, le sole differenze emerse dimostravano che nei responsabili l’uso del materiale
pornografico era meno frequente.
Queste ricerche hanno così fornito indicazioni sul
fatto che non vi sarebbe da parte dei violentatori un interesse particolare nello sviluppare le fantasie sessuali
devianti.
Rimarrebbe, dunque, una vera e propria congettura
il fatto di ritenere sussistente una correlazione tra le
esperienze sessuali devianti e lo stimolo della fantasia,
determinato dalla fruizione di materiale pedo-pornografico.
Uno studio effettuato da HOWITT sullo specifico
tema del coinvolgimento della pornografia nei reati
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sessuali contro i minori e sul come la fantasia sessuale
fosse appunto innescata da questo materiale, in soggetti con precedenti penali specifici, finì per dare risultati sorprendenti (12).
Dalla maggior parte dei pedofili veniva espresso un
interesse molto scarso e del tutto marginale per la pornografia infantile. Anzi, al contrario, qualcuno esprimeva una forte avversione per questo tipo di materiale.
Molti dei soggetti esaminati avevano riferito, poi,
che le immagini per loro sessualmente eccitanti venivano trovate soprattutto nelle riviste e nei giornali comuni ed in video che normalmente non implicassero
nudità.
Ovviamente, la qualità di questi materiali era piuttosto estesa e spaziava dalle immagini di bambini in
biancheria intima, reperite nei cataloghi di vendita per
corrispondenza, ai video di Walt Disney. Questo materiale venne conseguentemente selezionato dai ricercatori come «pornografia non pornografia».
Tra i luoghi comuni ai quali spesso si ricorre,
quando si parla di pedopornografia, vi è quello di coloro che sostengono che la funzione della pornografia
assolverebbe una funzione preparatoria da parte dei
pedofili per intrappolare le loro vittime.
Alla base di tale assunto vi sarebbe l’idea implicita
dello strumento di corruzione dell’innocenza infantile.
In realtà, la ricerca lascia semmai intravedere che i
responsabili di reati sessuali nei confronti di minori abbiano conosciuto la pornografia, nella loro infanzia o
adolescenza, più tardi rispetto agli altri soggetti e ciò
potrebbe indicare che i responsabili di tali reati sono
relativamente ingenui riguardo al sesso e proprio questa ingenuità avrebbe determinato in loro la difficoltà
a stabilire contatti a scopo sessuale con gli altri adulti.
I risultati delle indagini finora considerate, dunque,
hanno falsificato (in senso popperiano) l’ipotesi di una
correlazione positiva tra pornografia e violenza sessuale, mentre parrebbe fondata l’ipotesi che essa abbia
una funzione catartica o sostitutiva (i due termini non
si equivalgono) del comportamento sessuale, violento
o meno, fantasticato (13).
Affermare, come spesso capita di leggere in alcuni
autori che si sono occupati della materia, che vi sarebbe un nesso di causa tra la circolazione di materiale
pedo-pornografico e la commissione del reato di violenza sessuale nei confronti dei minori, significa alimentare una convinzione priva di precisi riscontri nella
letteratura scientifica internazionale. Esso sembra
piuttosto far parte di un repertorio di affermazioni di
senso comune che appartengono più al mito che non
alla realtà e che, però, pare abbiano notevolmente influenzato non solo la pubblica opinione ma anche le
carte internazionali e le legislazioni dei singoli Stati
(14).
Perseguire la pedopornografia, come presupposto e
stimolo alla commissione di reati, non può trovare giustificazione, dunque, nell’assunto indimostrato del
nesso di causa con il reato sessuale, ma, piuttosto,
come già sostenuto all’inizio, in ragioni di carattere
morale.
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La repressione contro la pornografia ha rappresentato nelle diverse epoche storiche un tema ricorrente ed
i presupposti e le motivazioni non possono di certo essere ricondotti al fenomeno della violenza, in generale,
ma ad istanze di natura etica che si possono intravedere
anche nel caso della legge 38/2006.
Ronald Reagan, durante il suo mandato presidenziale, aveva dato incarico al Procuratore Generale Edwin Meese di formare una Commissione per una indagine generale sulla pornografia: la Commissione
Meese, presieduta da Henry E. Hudson, era formata da
nove membri, per la maggior parte giuristi e psicologi,
ma tra i quali è emblematica la presenza di un prete e
di una redattrice-editrice di riviste femminili.
La scelta del Procuratore Edwin Meese non poteva
ritenersi neutrale, visto che egli era considerato un oppositore dei diritti civili ed era noto per aver affermato
che: «Non si trovano molti individui sospettati di aver
commesso un crimine che siano innocenti. È una contraddizione. Se una persona è innocente, allora non sarebbe sospettata» («You don’t have many suspects
who are innocent of a crime. That’s contradictory. If a
person is innocent of a crime, then he is not a suspect»)
(15).
I lavori della Commissione portarono alla pubblicazione, il 9 luglio 1986, di un imponente rapporto di
1960 pagine, suddiviso in cinque parti e 35 capitoli che
trattavano nei dettagli tutti gli aspetti dell’industria
della pornografia.
Il rapporto dava contezza di quelli che la Commissione aveva individuato essere gli effetti dannosi della
pornografia, oltre che delle connessioni tra individui
riconducibili a tale contesto e la criminalità organizzata. I risultati ottenuti stabilivano puntualmente una
connessione causale tra materiale sessualmente violento e atti di violenza sessuale antisociali. E tutto ciò
senza precisi approfondimenti, come s’era già visto,
dal punto di vista scientifico.
Nella introduzione al capitolo dedicato all’analisi
della ricerca, si dava atto che: «La Commissione ha
preso in esame la ricerca scientifica sociale e comportamentale, nel riconoscimento del suo ruolo nel determinare i criteri legali e la politiche sociali. Questo
ruolo, seppur rilevante, non è, né dovrebbe essere,
l’unica base delle norme o delle scelte politiche» (16),
e che «La ricerca effettuata negli ultimi quindici anni
offre una base ragionevolmente sufficiente per rispondere a vecchie questioni» (17).
Nonostante la pretesa completezza e scientificità
del metodo seguito, gli autori stessi dei lavori scientifici utilizzati dalla Commissione avrebbero successivamente lamentato l’uso distorto e la contraddittorietà
dei rispettivi risultati con le conclusioni raggiunte dalla
Commissione. Si era trattato, in alcune parti del rapporto, di una vera e propria mistificazione dei risultati.
Alcuni di tali ricercatori sostennero successivamente che la Commissione aveva minimizzato, se non
deliberatamente ignorato, gli elementi che provavano
la non pericolosità della pornografia.
Altri criticarono il fatto che tutti i membri della
Commissione erano stati selezionati tra ferventi attivisti di campagne contro la pornografia.
4. L’indagine neuro-psicologica sui pedofili. – Se
da un lato, dunque, vi possono essere prove del tutto
incerte dell’esistenza di una correlazione tra pornografia e violenza sessuale, sempre però mediata da altri
macro fattori (quali la disorganizzazione sociale, il
benessere economico, il livello di aggressività e di tolleranza/intolleranza verso di essa in un dato contesto
ed in un dato periodo, il grado di parità tra i sessi), ma
soprattutto da fattori individuali quali l’educazione
ricevuta, il tipo di esperienze sessuali, la maturità e la
soddisfazione sessuali, la religiosità, la forza
dell’identità di genere, dall’altro sembrano essere
sempre più concrete le evidenze di una vera e propria
condizione patologica del pedofilo. Il che dimostrerebbe che, comunque, a prescindere dalla pornografia,
egli sarebbe fortemente condizionato nella sua condotta da fattori soggettivi.
I criminologi hanno costruito una congerie di teorie
interpretando la pedofilia chi come il risultato di una
costruzione sociale, chi come un’espressione di apprendimento sessuale, chi come una distorsione cognitiva, chi ancora come il frutto di un’anomalia biologica e così via.
Dal che appare condivisibile la proposta autorevole
di eliminare addirittura questo termine dal vocabolario
giuridico per parlare più specificamente di «aggressioni sessuali contro i minori» (18).
La psicopatologia forense già inquadrava la pedofilia nella più ampia ed eterogenea gamma di patologie quali i Disturbi da dipendenza da sostanze, i Disturbi dell’Alimentazione, le Parafilie, nonché il gioco
d’azzardo patologico, la piromania, ecc.
Il DSM-IV-TR (Manuale Diagnostico e Statistico
dei disturbi Mentali) include la pedofilia nella categoria dei Disturbi Sessuali e di Identità di genere (F65.4),
non esistendo una specifica classe che raggruppi tutti
i Disturbi del Controllo degli Impulsi, visto che essa
dovrebbe comprendere un’ampia categoria di patologie tra loro eterogenee.
La caratteristica fondamentale di questi Disturbi è
«la incapacità del soggetto a resistere ad un impulso,
ad un desiderio impellente o alla tentazione di compiere un’azione pericolosa per sé o per gli altri».
La tradizione giuridica anglosassone, per queste
patologie compulsive, ha enucleato il concetto di «impulso irresistibile».
Queste forme morbose nella loro peculiare espressione psicopatologica, sintomatologica e, soprattutto,
comportamentale vengono quasi inevitabilmente ad
estrinsecarsi in comportamenti-reato come appunto
nel caso della piromania, della cleptomania e della pedofilia e, probabilmente, in alcuni specifici casi di violenza sessuale anche nei confronti di soggetti adulti
(19).
Nel nostro ordinamento la condizione del pedofilo
non viene riconosciuta come situazione morbosa tale
da poter incidere sull’imputabilità. Solo in pochi casi
la pedofilia riveste dignità di «malattia ai fini forensi»
(20).
Anche la più recente giurisprudenza di legittimità,
pur riconoscendo che la pedofilia, come modifica
dell’oggetto sessuale in direzione dei minori, presenta
ordinariamente carattere di abitualità, ciò non di meno
ribadisce che tale sindrome, «ai fini penali non esclude
né attenua la capacità di intendere e volere e, di conseguenza, la penale responsabilità per abusi sessuali
contro i minori» (21).
Solo le più recenti scoperte della neuropsicologia
forense sembrano rimettere in discussione queste convinzioni tradizionali.
In un recentissimo studio condotto da ricercatori
dell’Università tedesca di Essen, con l’utilizzo di una
avanzatissima tecnica basata sulla morfometria Voxel
(VBM) è emerso che i cosiddetti pedofili sono portatori di anomalie morfometriche nella corteccia orbitofrontale bilaterale (22).
Tale metodica, che opera come una risonanza magnetica strutturale, consente di identificare diversità di
densità della materia grigia e di quella bianca nel cervello. Le immagini riprodotte attraverso una lettura algoritmica delle aree studiate consentono di visualizzare diversità strutturali in ragione della loro densità
misurata in voxel.
L’indagine è stata effettuata partendo da una popolazione di duecento soggetti condannati per reati sessuali contro minori, con sentenza passata in giudicato,
e ristretti in strutture di trattamento.
Gli individui selezionati, secondo i criteri indicati
dal DSM-IV-TR 2002 per la pedofilia, non dovevano
ovviamente essere stati sottoposti a trattamento farmacologico.
Vennero selezionati alla fine diciotto condannati
comprendenti in uguali proporzioni soggetti attratti sia
da fanciulli maschi che femmine.
Sono state così osservate diminuzioni del volume
di materia grigia nella corteccia orbito frontale bilaterale, nel sistema striato ventrale bilaterale (comprendente il nucleus accumbens) ed in alcune aree del cervelletto.
Era stato, altresì, selezionato un parallelo gruppo di
controllo con caratteristiche analoghe ma non portatori di patologia parafiliaca.
Anche per questo gruppo di soggetti si è proceduto
al medesimo tipo di esame esplorativo sulle stesse
aree cerebrali.
L’indagine, dunque, oltre ad evidenziare analoghe
diminuzioni di densità della materia grigia, a prescindere dall’orientamento di genere sessuale nei soggetti,
ha consentito altresì di stabilire che tutti i soggetti condannati esaminati presentavano diversi sintomi comorbosi ed una significativa correlazione negativa tra
ossessività, disturbo antisociale, depressione e la morfologia celebrale, per così dire, pedofila.
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TAB. 1
DISTURBI INDIVIDUATI PER MEZZO DELLA CLASSIFICAZIONE DEL DSM-IV-TR
NELLO STUDIO DI SCHIFFER ET AL 2006
DISTURBI
Condizione attuale N°
Condizione attuale %
Arco della vita N°
Arco della vita %
Disturbi in Asse I
8
44,4
12
66,6
Disturbi dell’umore
3
16,6
8
44.4
Depressione maggiore
1
5,5
7
38,8
Distimia
2
11,1
2
11,1
Disturbi d’ansia
6
33,3
8
44,4
Attacchi di panico
1
5,5
1
5,5
Fobia sociale
4
22,2
5
27,7
Fobia semplice
2
11,1
3
16,6
Disturbo ossessivo-compulsivo
0
0
1
5,5
Disturbo post-traumatico da
stress
3
16,6
5
27,7
Disturbi da dipendenza
0
0,0
7
38,8
Alcool
0
0,0
7
38,8
Cannabis
0
0,0
1
5,5
Cocaina
0
0,0
1
5,5
Altre Droghe
0
0,0
1
5,5
Disturbi psicotici
0
0,0
0
0,0
Disturbi dell’alimentazione
1
5,5
1
5,5
Bulimia
1
5,5
1
5,5
Disturbi in Asse II
11
61,1
Cluster A
3
16,6
Paranoide
2
11,1
Schizoide
1
5,1
Schizotipico
0
0,0
Cluster B
6
3,3
Istrionico
0
0,0
Narcisistico
3
16,6
Borderline
4
22,2
Antisociale
3
16,6
Cluster C
7
38,8
Evitante
6
33,3
Dipendente
1
5,5
Ossessivo-Compulsivo
3
16,6
Tale scoperta può senz’altro avallare l’ipotesi
che un’ampia gamma di disturbi psichiatrici, caratterizzati da impulsi inadeguati e da un comportamento ripetitivo, scarsamente controllato, condividano uno stesso substrato neurale e
confermino l’associazione tra anomalie morfome-
486
RIVISTA PENALE 05/2007
triche frontostriali ed i Disturbi del Controllo degli
Impulsi.
È anche interessante notare come queste aree cerebrali appartengano al sistema serotoninergico che,
è ormai dimostrato, riveste un ruolo centrale nella
patologia ossessivo-compulsiva e nello stato de-
pressivo: condizioni co-morbose tipiche dei pedofili.
Quello, dunque, che la ricerca in tempi certo non
antichi aveva teorizzato, ritenendo la pedofilia una
anomalia le cui cause dovevano essere ricondotte a
caratteristiche genetiche o costituzionali dei soggetti, sembra dunque trovare oggi un preciso riscontro nella struttura cerebrale.
I deludenti studi sugli equilibri ormonali nei soggetti accusati di comportamenti pedofili e l’impiego
dell’elettroencefalografo in vari campioni di popolazione canadese, a distanza di quasi vent’anni, costituiscono ormai un ricordo lontanissimo (23).
5. Conclusioni. – Le conclusioni di questo studio
rendono particolarmente attuali le considerazioni di
chi ha sempre visto in questi soggetti un deficit di
imputabilità.
La messa in atto di comportamenti delittuosi,
che spesso si caratterizzano per la evidente ripetitività del comportamento, in questi soggetti rappresenterebbe, dunque, il sintomo di una vera e propria
patologia.
Il pedofilo non sarebbe, infatti, in grado, come
nelle dipendenze da sostanze, di esercitare un controllo adeguato sugli impulsi.
Tali risultati della ricerca scientifica imporrebbero quindi, come nel caso della tossicodipendenza
e come già avviene in alcuni Paesi, un intervento
primariamente terapeutico e non punitivo. Se, dunque, appaiono sempre più confermate dalle evidenze della ricerca neuropsicologica le ipotesi che
la pedofilia rappresenti una condizione morbosa caratterizzata da anomalie morfometriche di alcune
aree cerebrali, diventa insostenibile giustificare
l’introduzione di «norme ostacolo», che sanzionino
la pornografia, per impedire o semplicemente scoraggiare comportamenti pedofili. Sarebbe, infatti,
come impedire la vendita della benzina per ostacolare la condotta delittuosa dei piromani. Come si
vede siamo al limite del paradosso.
L’auspicio è che dalle molteplici critiche all’introduzione di questi nuovi reati, per il loro sovradimensionamento rispetto al bene giuridico da tutelare, per la gravità, delle conseguenze penali, per
l’ipertrofia dell’area di punibilità delle condotte, il
legislatore ritorni sui propri passi, rivisitando questa materia che potrebbe, sul piano applicativo, determinare contraccolpi imprevedibili. Purtroppo,
ancora una volta, saranno costretti ad assistere nel
frattempo ad una sovraesposizione del ruolo della
magistratura in sede interpretativa che come un
pendolo alternerà fasi di massimo rigore con mementi di più meditata flessibilità applicativa.
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(*) Intervento svolto al Seminario organizzato
dall’Unione delle Camere Penali del Veneto su «Sfruttamento sessuale dei bambini, Pedopornografia. Legge 6
febbraio 2006 n. 38» il 7 dicembre 2006 in Venezia.
(1) PISTORELLI L., Attenzione spostata sulla perversione del reo, in Guida al diritto, 9, 2006.
(2) BIANCHI M., Commento art. 600 quater.1 c.p., in
(a cura di) CADOPPI A., Commentario della norma contro
la violenza sessuale e contro la pedofilia, Cedam, Padova, 2006, 261.
(3) MANTOVANI F., Diritto Penale, Cedam, Padova,
2001, 222.
(4) BIANCHI, op. cit., 2006, 262.
(5) APRILE S., I delitti contro la personalità individuale, Cedam, Padova, 2006, 183.
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(6) W YRE R., Pornography and sexual violence:
working with sex offenders, in Itzin C. pornography: Women, Violence and Civil Liberties: A Radical New View,
Oxford University Press, Oxford, 1992, 236.
(7) WYRE R., op. cit., 1992, 238-247.
(8) VITTORIA D., Pedofilia, violenza sessuale e pornografia, in (a cura di) DE CATALDO NEUBURGER L., La pedofilia, aspetti sociali, psico-giuridici, normativi e vittimologici, Cedam, Padova, 1999, 48.
(9) CIFALDI G., Pedofilia tra devianza e criminalità,
Giuffrè, Milano, 2004; STRANO M. Uno studio clinico e
criminologico dei pedofili on-line, in Telematic Journal of
Clinical Criminology, 2003, www.criminologia.org.
(10) MORGAN R., Theory and practice: pornografhy
and rape, in MORGAN R. Going too far: The Personal
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(11) HOWITT D., Pedofilia e reati sessuali contro i
bambini, Centro Scientifico Editore, Torino, 2000, 199.
(12) HOWITT D., op. cit., 2000, 205.
(13) VITTORIA D., op. cit., 1999, 36.
(14) DÈTTORE D., Il pedofilo: miti e realtà, in Dèttore
D., Fuligni C., L’abuso sessuale sui minori. Valutazione
e terapia delle vittime e dei responsabili, McGraw-Hill,
Milano, 1999, 283.
(15) Il mandato formale della Commissione era: «To
determine the nature, extent, and impact on society of pornography in the United States, and to make specific re-
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commendations to the Attorney General concerning more
effective ways in which the spread of pornography could
be contained, consistent with constitutional guarantees».
(16) Cfr. Parte 4, capitolo 3, «Social and Behavioral
Science Research Analysis»: «The Commission has examined social and behavioral science research in recognition of the role it plays in determining legal standards and
social policy. This role, while notable, is not, nor should
it be, the sole basisfor developing standards or policy».
(17) «The amount of research conducted in the last fifteen years provides a reasonably sufficient base to reevaluate answers to old questions».
(18) F ORNARI U., Trattato di Psichiatria Forense,
Utet, Torino, 2004, 376.
(19) MARCHETTI M., TROISI A., La malattia mentale,
in (diretto da) GIUSTI G., in Trattato di Medicina Legale
e Scienze Affini, Vol. IV, Cedam, Padova, 1999, 519.
(20) MASTRONARDI V., VILLANOVA M., Comportamenti sessuali devianti, in (a cura di) VOLTERRA V., Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica, Masson, Milano, 2006, 167.
(21) Cass. Pen., sez. III, 12 novembre 2003, n. 43135,
M. e altro in www.altalex.com.
(22) SCHIFFER B. et al., Structural Brain Abnormatities in the frontostriatal system and cerebellum in pedofilia, in Journal of Psychiatric Research, June 2006,
www.elsevier.com.
(23) Howitt D., op. cit., 2000, 199.