la cattedrale nel iii millennio - Diocesi di Reggio Emilia Guastalla
Transcript
la cattedrale nel iii millennio - Diocesi di Reggio Emilia Guastalla
LA CATTEDRALE NEL TERZO MILLENNIO Intervento del Vescovo Era un pomeriggio afoso dell’8 luglio 1998 quando, arrivato a Reggio, eletto ma non ancora ordinato vescovo, ed entrato in Cattedrale, una mia parrocchiana di Legnano che mi accompagnava, dove avevo iniziato il restauro della storica Basilica di S. Magno, mi faceva osservare: “Don Adriano, anche questa da restaurare!”. Dopo 14 anni, a conclusione dei lavori di restauro e di adeguamento liturgico, facendo miei i ringraziamenti che Fabio Storchi ha rivolto a nome del Comitato e ai vari enti, vorrei rivolgere ai presenti questi inviti. Invito al silenzio S. Agostino, a conclusione dei suoi commenti ai Salmi, così esortava i suoi ascoltatori: “se ti metti a cantare i Salmi, verrà un momento in cui devi tacere: canta con la tua vita, in modo da non tacere mai”. Il canto non è separabile dalla nostra vita. Non è un caso che, una volta, sull’aia dei vecchi cortili, la gente, povera di radio e di televisori, cantasse insieme perché ricca di motivazioni e di buone ragioni per vivere tutto: gioia e dolori, fatiche e feste, nascite e lutti. Anche una Cattedrale non è separata dalla vita di una comunità. Visitando la Cattedrale di Monreale con i suoi affreschi sulla storia della salvezza, mi è sorto spontaneo un moto di stupore: “Questo non è solo opera di artisti, ma Parola di Dio in immagini accessibili a tutti, una Bibbia dei poveri”. E, con il vescovo di Nantes, non esiterei a guardare alla Cattedrale come a “uno dei più bei commentari alla Costituzione liturgica Lumen gentium sulla Chiesa del Vaticano II”. Ma perché vorrei invitarvi al silenzio? Il biblista G. Ravasi, ora Cardinale, disse che ci sono due tipi di silenzio: il silenzio nero e il silenzio bianco. Il silenzio “nero” è il silenzio dell’arrogante, del superbo, dell’orgoglioso che non si degna di parlare, convinto di sapere tutto, di possedere la verità. Il silenzio “bianco” non è incolore, ma la sintesi di tutti i colori. Questo è il silenzio che deve nascere dentro di noi di fronte al Mistero di Dio celebrato qui in Cattedrale. Ho letto che un giorno una bambina, ritornata a casa da scuola, mentre la mamma stava preparando il pranzo in cucina, si mette al tavolo, estrae il suo quaderno di disegni, le matite colorate, e dice alla mamma: “Mamma, voglio disegnare Dio!… Ma, com’è Dio?”. La mamma, sorpresa di questa domanda, dopo un attimo di silenzio, cerca di dare qualche risposta: “Mah, Dio è grande, Dio è buono, Dio è padre, amore, gioia… insomma Dio è bello!”. E la bambina, chiudendo il quaderno di disegno, con aria scoraggiata, dice: “Mamma, non voglio più disegnare Dio… ho paura di sciuparlo!”. Avete mai provato a uscire dalla Cattedrale, dopo aver ascoltato la Parola di Dio, cantato il Salmo responsoriale della gioia pasquale, pregato per la vita e la morte di un proprio familiare, condiviso il pane spezzato dell’amore crocifisso per noi… sì, a uscire in silenzio: non il “silenzio nero” del giornale di turno in piazza che grida, ma il silenzio umile di una comunità che crede. “Fa più rumore un albero che cade, che tutta una foresta che cresce!” (Celaya). Questa è la comunità della Cattedrale del III Millennio, che il Vescovo sogna al servizio del Mistero celebrato. 2 Invito alla storia Quando insegnavo storia della liturgia e teologia dell’Eucaristia, mi sono imbattuto in un’opera dell’allora teologo H. DE LUBAC, uno dei Padri del Concilio. Meditando sulla storia del rapporto Chiesa ed Eucaristia, osservava: “La strada della storia procede con i suoi tornanti regolari così che, sotto l’influsso della cultura ambiente, assai più che le soluzioni, sono i problemi che si trasformano” (Corpus mysticum, Paris 1948). Sì, anche le Cattedrali sono nella storia, e seguono i tornanti come su di un sentiero di montagna, ispirandosi ai vari stili architettonici e artistici, alle diverse culture — romana, medievale, moderna... —, e anche ai diversi modelli di spiritualità — monastica, francescana, ascetica, liturgica. Non è un caso parlare delle Cattedrali come di un “rosone” che riflette la luce del Mistero celebrato in diverse forme e modalità di partecipazione dei fedeli lungo la storia. Anche nel confronto con le altre Cattedrali, pur necessario, il Vescovo guarda alla sua Cattedrale come unica, singolare nella sua identità storica, architettonica, artistica, ma anche nella sua immagine di Chiesa diocesana, popolare, parrocchiale, devozionale. Opportuna e illuminante è la storia dei diversi casi italiani di adeguamento liturgico di alcune Cattedrali: Milano, Trapani, Padova, Pisa, Termoli e Reggio Emilia... Emerge da Nord a Sud una singolare diversità, per non dire autonomia, di ogni diocesi per soluzioni diversificate circa la collocazione dei poli liturgici. Da una parte più condivisa è la centralità dell’altare come simbolo focale di convergenza del presbiterio e di orientamento dell’assemblea eucaristica. Dall’altra, l’ambone varia nella sua collocazione. Ancora più vagante la cattedra, in alcuni casi parte dell’assemblea, in altri con funzione di cerniera tra assemblea e presbiterio, quando non è defilata in fondo all’abside davanti all’altare tridentino. Si colloca qui il capitolo rilevante della liturgia in rapporto all’arte. Illuminante, a mio giudizio, è il pensiero di Paolo VI e l’arte, di cui tenere conto. Paolo VI ha tentato di dare dei criteri di valutazione dell’opera d’arte, secondo l’intento della Costituzione liturgica: «La Santa Madre Chiesa è stata sempre amica delle arti liberali, ed ha sempre ricercato il loro nobile servizio, specialmente perché le opere appartenenti al culto sacro fossero veramente degne, decorose e belle, segni e simboli delle realtà soprannaturali, ed ha formato degli artisti. Anzi, la Chiesa si è sempre ritenuta, a buon diritto, come arbitra delle medesime, scegliendo tra le opere degli artisti quelle che rispondevano alla fede, alla pietà e alle norme religiosamente tramandate, e risultavano adatte all’uso sacro» (SC 122). Questo pensiero di Paolo VI la dice lunga sull’importanza della committenza ecclesiale. La Cattedrale è la chiesa del Vescovo ed è per questo che tutti ad essa guardano. E giustamente, perché se il Vescovo è chiamato ad essere segno di comunione, anche la Cattedrale e, di conseguenza, il suo adeguamento liturgico come le sue celebrazioni liturgiche, danno questo compito al Vescovo. Non da solo. Ringrazio la Commissione diocesana, a partire da Mons. Tiziano Ghirelli, che ha accompagnato gli artisti a ispirarsi alla ricca tradizione liturgica: Ringrazio gli Artisti che hanno messo a disposizione i loro talenti, creatività e disponibilità, e oggi sono qui a condividere ciò che ha rappresentato per loro questa esperienza. 3 Invito all’ironia L’ironia è il linguaggio già usato nei Vangeli e dall’apostolo Paolo. Riconosciuta è l’ironia cosiddetta giovannea del IV Vangelo. Ai Giudei che contestavano a Gesù l’autorità di fare miracoli nel nome di Dio Padre, Gesù risponde con una domanda: “Vi ho fatto vedere molte opere buone… per quale di esse mi volete lapidare?” (Gv 10,32). E l’apostolo Paolo, che invita a usare della libertà come amore e servizio, non si trattiene dalla battuta ironica: “ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri” (Gal 5,15). Anch’io, come Vescovo, vorrei attenermi a questa lezione di auto-ironia, guardando alla mia Cattedrale. Non posso dimenticare quel 15 novembre 2008, quando, al termine dei lavori di restauro, siamo entrati in Cattedrale: bella, luminosa, armoniosa, come quando in montagna, al sorgere del sole dopo una giornata di nebbia, si gode un impensato spettacolo. Mi sono ritornate alla mente le parole con cui al termine di una visita a Notre-Dame a Parigi, così la guida elogiava la Cattedrale: “C’est la plus belle Cathedrale de la France, c’est à dire du monde!”. Ripensando a quel “c’est à dire du monde”, la più bella Cattedrale della Francia, cioè di tutto il mondo, andrei oltre quell’elogio qui a Reggio! Non perché la nostra Cattedrale non sia bella. È bello che la Cattedrale sia oggetto di visite sempre più frequenti, a partire dalle nostre scuole, istituti di arte, turisti in visita alla città del Tricolore. Non facciamone, tuttavia, solo... un caso nazionale. La bellezza di una Cattedrale non è solo un fatto estetico, ma un evento spirituale. La Cattedrale, come in genere una chiesa, non è solo un oggetto di curiosità per visitatori e cultori d’arte, ma è simbolo di vita: è la sede del vescovo che ha lì la sua cattedra di insegnamento; è la madre di tutte le chiese sparse sul territorio; è luogo di vita ed essa stessa “polo liturgico” di tutta una comunità che prega, ascolta, celebra, adora, trova spazi di silenzio sempre più rari nella città, perfino nelle nostre case. E così, entrando in Cattedrale, il pavimento che calpestiamo ci eleva a pensieri che nella cultura della fretta spesso dimentichiamo: Dio, i santi, la vita futura, i nostri stessi morti... Ringrazio a tal proposito quanti stanno aiutando i fedeli ad “abitare” i nuovi spazi liturgici, preparando bene le liturgie diocesane come quelle parrocchiali: lettori, cantori, catechisti, le Suore e coloro che animano quotidianamente l’adorazione eucaristica. Le Cattedrali sono nella storia con i loro parroci, fedeli piccoli e grandi: vanno pensate, amate, servite ciascuna nella sua singolarità e diversità. Anche i vescovi sono nella storia. In un mondo che cambia velocemente, l’opera di evangelizzazione chiede tempi che non corrispondono ai pochi decenni di un ministero pastorale. Solo l’ingenuità può farci pensare diversamente: illuderci di succedere a noi stessi. Faccio mia la lezione di ironia cui si è abitualmente attenuto Papa Giovanni XXIII, il quale, dopo l’elezione al pontificato, ritrovò la tranquillità perduta, ripetendo a se stesso: “In fondo, io non sono che il Papa!”. E anch’io, non sono che il Vescovo! + Adriano VESCOVO Reggio Emilia, 26 maggio 2012