documento allegato - CNGEI Sezione di Parma
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BELLA PARMA trimestrale di arte, storia, letteratura e costume N. 6 ottobre - dicembre 2004 BELLA PARMA trimestrale di arte, storia letteratura e costume N. 6 - ottobre-dicembre 2004 Autorizzazione del Tribunale di Parma n. 15/2003 *** Direttore responsabile: ANNA CERUTI BURGIO ** Redazione: Via Buffolara, 22/24 - Parma *** Stampa: Casa editrice TECNOGRAFICA sas Via Buffolara 22/24 - Parma Tel. 0521/984896 - Fax 0521/944968 e-mail: [email protected] *** La collaborazione è gratuita e ad invito. Il materiale eventualmente inviato e non pubblicato, non sarà restituito. *** Distribuzione gratuita EDITORIALE Cari Lettori, con il 2005 inizia il nostro terzo anno di pubblicazione, che proseguiamo con lo stesso entusiasmo di sempre. Per la nostra città è un anno di sfide importanti: l’insediamento effettivo dell’Autorità per la sicurezza alimentare la pone al centro di interessi europei, e la consacra veramente capitale non solo della food valley ma anche della vita sociale e culturale. Una vocazione, quella europea, che Parma ha sempre avuto, fin dai tempi del ducato: i Farnese prima, i Borbone poi, hanno intrecciato rapporti coi regnanti di altri Stati, e hanno contribuito a darle quell’immagine raffinata e cosmopolita che incantava, fin dal Settecento, i viaggiatori e gli amanti dell’arte. Ecco perché, proprio ora che dobbiamo costruire un futuro importante, dobbiamo restare ancorati alle nostre radici storiche e culturali; ecco l’importanza di ricercare con amore il nostro passato, di valorizzare i nostri monumenti e le nostre peculiarità, per dare all’Europa un’immagine forte e ben caratterizzata. Gli articoli che qui di seguito pubblichiamo vogliono essere un contributo alla conoscenza e alla conservazione, nonché alla valorizzazione della nostra identità, anche negli aspetti più curiosi e quotidiani. Come al solito, gli autori spaziano su varie tematiche, tutte però volte a comporre un mosaico coerente, un quadro vivo della nostra Parma. Le sfide che ci attendono non sono solo economiche o organizzative, ma culturali: da qui una sollecitazione ai nostri amministratori a porre grande attenzione alle numerose realtà di volontariato culturale, spesso poste in secondo piano rispetto al volontariato sociale. Investire sulla cultura vuol dire investire sullo sviluppo, perché senza cultura non c’è progresso di sorta. Molte volte, invece, si confonde l’“evento” di tipo mondanopubblicitario col fare cultura, che è cosa diversa, anche se meno appariscente. Fare cultura vuol dire infatti creare problematiche, riflettere, costruire un sistema che duri nel tempo al di là dell’apparire e delle mode momentanee. L’invito è quello di lasciare da parte i personalismi e le vanità per collaborare tutti insieme al progetto Parma. ANNA CERUTI BURGIO Direttore responsabile Bella Parma M 1 i rivedo bambino, a Parma, mentre s’inolce, i mandarini, i ciuffi delle verdure, il rosso trano gli anni Trenta. Risento il frastuono di ruote sfrontato dei peperoni, il soffuso viola di certi carosse e azzurre sulle selci di via voli a corolla densi di pittura sapiente. Farini, le carrozze rotolano via, i Io, no. Io fisso rapito il fruttivencavalli si eccitano al loro stesso dolo perché si erge a busto rigonscalpitare, i ferri degli zoccoli fio, porta il colletto spalancato sul sprizzano scintille, i landò collo taurino, riceve a gambe sono neri e traballanti, la larghe e ben salde sulle piancapotta incerata si scuote, il te, è sanguigno, ciuffato, la vetturino si regge a cassetta voce come ne ha Merlino puntando i piedi, certe volnella baracca dei burattini di te ha una bombetta nera Italo Ferrari, tutto scandito, calcata sugli orecchi, polvetutto impostato, quasi il parrosa, ammaccata. La carlare fosse una perenne vigirozza si trascina appresso il lia di canto, l’avvio di una rorotolìo, la sacchetta della manza tra carote, carciofi e biada, la frusta del cocchieinsalata alla ricciolina. Il re che fa i ghirigori di nonno mi dice, mi spiega, schiocchi, i passeggeri che mi scandisce quasi: “Vedi? forse saranno signore con la Questo signore è un coriveletta, chiamate a convesta”. Il nonno lo ripete tutte gni segreti come fossero genle volte, con la deferenza di GIORGIO TORELLI tildonne misteriose, dipinte che si riserva a un parmigiaa Parigi da De Nittis. Parma no di bella voce aduso alle è sempre un po’ Parigi. ne ha talora le luci d’acscene, convocato abitualmente a teatro per il trucqua sotto i ponti, il nostro torrente si atteggia a picco, il manto da cospiratore e la corazza. I coristi cola Senna, abbiamo i ponti che splendono di mutano sembianze ad ogni slargarsi di opera. I lampioni la sera, i lumi si rispecchiano, la corcoristi sono intimi dei grandi tenori e delle belrente si colora, si stria di arancioni languidi lissime usignole. Spondeggiano Radames e e mossi. Parma adora farsi teatro, e così Violetta, esultano nelle stesse note, si recitare sempre e solo se stessa. addensano sullo sfondo come un cielo di nuvole da tregenda, e talora sono ***** il vento. Lo rifanno. Noi abbiamo molti Ecco, allora. Io sono un bambidischi dei grandi tenori. Mio nonno li no per mano di mio nonno, lui coi posa reverente sul grammofono, gira la baffoni bianchi e la mazza dal manimanovella, controlla la puntina, casoco d’argento, anche il monogramma; mai ne preleva una nuova da una scaio col paltoncino su misura, tagliato e cucito daltolina di latta lucida. Mio nonno chiude gli oclo zio sarto. chi quando il tenore comincia. Mio nonno si alE andiamo insieme per città, il signor Domelenta in poltrona, quasi un abbandono totale, apnico e nipotino. Ci fermiamo ai negozi dove mio pena il coro sgorga come la luna, lento e sononno intesse dialoghi e celie, lo rispettano lenne, o quando il coro irrompe quane lo favoriscono. E quando siamo al cospetto una tuonata da brivido e signoregto di una bottega odorosa e lustra di gia il destino, il fato, la sorte, il tramele, tutte allineate come teste in dimento, perfino la gloria. Mio platea; quando entriamo nel nonno – lo vedo – stima che i coboccascena a pergolato del fruttiristi siano più generosi e bravi dei vendolo di via Farini (ancora e semtenori e dei baritoni di grido, più pre via Farini e i suoi binari di tram), bassi dei bassi, più genuini e schietio non miro i pomi, le pere, le aranti degli artisti con la pelliccia inter- I coristi di Parma li ho sempre pensati così 2 Bella Parma na e la lobbia alla Talvacchia (Hotel “Croce Bianca”). Ascolto in silenzio i discorsi che fa mio nonno, allisciandosi i baffoni e inserendo talora sul naso gli occhiali a molla (per subito rimuoverli e usarli col gesto). Col fruttivendolo d’impianto statuario, quasi un monumento al valore contro le quinte di barbabietole e scartoccini, mio nonno dice e ripete Aida, Traviata, Ballo in Maschera, Rigoletto, soprattutto Rigoletto, il Duca di Mantova, Gilda, Sparafucile. Io amo moltissimo quando il fruttivendolo e mio nonno dicono forte Sparafucile. Nel pronunciare il nome, il corista delle verdure emana una parola maiuscola, rotonda come un’insegna epica, folta di chiari e scuri. È la sua voce ad essere così. Canta in falsetto anche lasciando un momento mio nonno per accorrere verso l’improvviso incedere di una elegante e morbida cliente: “In cosa mai potremmo servirla, bella signora?”. È una frase da niente. Ma sale in musica come fossimo all’opera, in palco o in loggione, il Regio degli antichi ori, il fruttivendolo e i suoi complici coristi dispiegati in doppia fila e ad onor di spartito. “Veh, bello, vuoi un partugallo?”. Il corista col grembiule di scena (tutto gli diventa fondale) si rivolge proprio a me. Si china, mi carezza come fossi un bambino di quelli che invidio, le piccole comparse ammesse sulle tavole per esservi virgulti silenti dentro i marosi dei cori e dei quartetti, nell’onda delle cabalette, dentro le eruzioni di voci unanimi, irose e sdegnate, clementi o evocative. Dice adesso il fruttivendolo, e forse lo intona in do maggiore, ben sillabando; “Omino, ci vuoi bene al tuo nonnone?”. Tutti ridono, tutti salutano deferenti quando entra improvviso in bottega un signore che gravemente si scappella verso mio nonno, mio nonno si scappella verso di lui, si toccano la mano, si festeggiano composti. Il signore è uguale a Giuseppe Verdi e lo imita. Parma è piena di pensosi signori con barba e cappello, passo studiato e paltò a caduta libera. E tutti sembrano il Maestro, il Cigno, quello stesso vegliardo che il fruttivendolo tiene ap- peso alla parete sopra la cassa, vicino al Crocifisso, al sommo delle cartoline ricevute da chi ha fatto la gita col treno popolare. Il Re Vitoriètt è accanto al gran Peppino, non alla pari. Verdi è il nume. Anche il Re in cornice guarda ammirato verso Verdi. Verdi fissa assorto l’ispirazione, legge in musica il mistero degli uomini, la gioia, il dolore, l’amore, il sangue, il grido di riscossa e la speranza. I Re passano. Verdi è Immortale. Il fruttivendolo corista canta per Verdi, vive unicamente per rendergli testimonianza, gli offre magnanimo la voce che non muta, che non s’incrina, che si fa più calda e suadente mentre il tempo matura le melanzane e le vocazioni all’acuto. Mio nonno saluta. Il fruttivendolo ci scorta sull’uscio di bottega per un addio romantico col gesto, quasi che il rosso del sipario in studiata discesa celebrasse il congedo. Erano gli anni Trenta, l’ho detto. E da allora il torrente ha seguitato a inargentarsi, a crescere, a scemare, a farsi filo di corrente e empito. Mi accorgo che i coristi di Parma li ho sempre pensati così, come il fruttivendolo di via Farini che ne onorò la condizione e l’estro, il talento e la forza sorgiva. Se Parma ha una colonna sonora – ogni città storica possiede una gran musica e una struggente melodia che le son proprie –, questo codice di note, questo cifrario intellegibile dalla natura dei più è un coro. È un coro verdiano. È il coro dei parmigiani in mastice, in accolita, in forte e libera brigata di voci. I coristi vogliono inneggiare, uniti dal mutuo soccorso e dalla delibera di dispiegare le voci unanimi. Intendono confermarsi popolo. E prorompono a cuori assiepati, per meglio attestarsi nella gentile ribalda, immutabile indole di teatranti. Un sincero ringraziamento alla Dr.ssa Sandra Martani per le illustrazioni. Bella Parma STORIA L a Società Parmense di Lettura e Conversazione nasce grazie all’iniziativa di un gruppo di notabili della città al fine di favorire la formazione culturale e lo scambio di idee attraverso la costituzione di un’associazione con un’adeguata sede dove uomini di valore potessero ritrovarsi e dove fosse disponibile materiale di studio, libri e giornali. Nel gennaio del 1858, durante la reggenza di Luisa Maria di Borbone (1854-1859), il Conte Filippo Linati (che ne divenne poi il primo Presidente) si era fatto portavoce di tale esigenza presso Enrico Salati, Ministro di Grazia e Giustizia del Governo Borbonico. Dopo qualche piccola modifìca allo statuto, la Duchessa approvò la costituzione della Società che diede così inizio al suo lavoro il 23 gennaio 1858. L’istituzione culturale prende avvio in un momento quanto mai travagliato per la storia della città e dell’intero Paese, non ancora riunito in nazione. Infatti Luisa Maria di Borbone, figlia del duca di Berry, aveva preso le redini dello Stato al posto del figlio Roberto I, appena decenne, dopo che, nel marzo del 1854, era stato ucciso Carlo III di Borbone, suo consorte. Questi era entrato a Parma il 25 agosto 1849 e aveva dato prova, fin dall’inizio, di una condotta politica e morale del tutto discutibili, tanto da generare un diffuso scontento. Alla sua morte, la moglie Luisa Maria, già contraria alle scelte di Carlo III, orientò la propria azione in direzioni diverse rispetto al marito: allontanò i ministri conservatori mentre confermò ministri non invisi ai liberali. Si interessò poi alla rinascita culturale della città, ricostituendo, dopo venticinque anni di silenzio, l’Ateneo ed istituendo scuole. Volle anche che sorgesse un nuovo quartiere destinato ai ceti operai che offrisse accettabili condizioni di vita, soprattutto dal punto di vista igienico. Prese, infine, alcuni importanti provvedimenti amministrativi per favorire la circolazione delle merci e per il risanamento del bilancio. In questo contesto la neonata Società, caratterizzata da orientamenti liberali, non trovò forti ostacoli in Luisa Maria; lei Duchessa rimase a governare il ducato fino al 1859, quando gli eventi 3 della seconda guerra di Indipendenza, la indussero a lasciare la città che, dal marzo 1860, venne annessa al regno sabaudo di Vittorio Emanuele II. Ben presto il numero degli aderenti alla Società di Lettura e Conversazione crebbe, annoverando tra gli associati docenti universitari, professionisti, alti funzionari dello Stato, accomunati oltre che dall’interesse culturale, da un’anima schiettamente patriottica e liberale. Una linea di continuità lega dunque tale Società alle altre che la precedettero e che ne costituirono i presupposti istituzionali, sia per quanto riguarda le finalità culturali sia per il prestigio dei Soci. Dobbiamo infatti rifarci ad illustri ed antichi precedenti: nell’agosto del 1722 nasceva, sul modello inglese il primo club, denominato “Ridotto dei Cavalieri”; con l’intento di “godere insieme una savia cavalleresca conversazione”; la sede si trovava nel palazzo La Società Parmense di Lettura e Conversazione 4 Bella Parma Sala lettura. dei Padri Teatini, sull’odierna strada della Repubblica, accanto alla chiesa di S. Cristina. A questa prima forma associativa se ne affiancò, durante il regno di Don Filippo di Borbone (secondogenito di Elisabetta Farnese, duca dal 1749 al 1765) un’altra più elitaria, il “Casino dei Nobili” o dei “Forestieri”; con sede in quella parte del Palazzo di Riserva ristrutturato dal Petitot — oggi sede del Museo Glauco Lombardi — nella quale si dava convegno la nobiltà cittadina e dove si ospitavano personaggi di rango. La vita di queste istituzioni fu, però, bruscamente interrotta, alla fine del XVIII secolo, dai nuovi dominatori; a partire dal 1796 infatti, l’occupazione del Ducato da parte delle milizie napoleoniche comportò, fra le altre conseguenze di ordine sociale e culturale, la soppressione dei privilegi ai nobili e al clero e perciò la scomparsa dei circoli esclusivi. Ma già dal primo decennio dell’Ottocento si costituirono nuove aggregazioni: nel 1808 il Conte Jacopo Sanvitale fondava la “Società di Scienze e Lettere” che, oltre agli interessi culturali, coltivava anche, seppure in modo più nascosto, quelli politici. Un circolo prettamente letterario fu invece il “Gabinetto di Lettura”; voluto all’incirca negli stessi anni da Francesco Pastori. Molto spesso questi circoli letterari trovarono ostacoli a causa del colore politico che li connotava, come accadde al “Gabinetto Letterario”. Istituito nel gennaio del 1815, divenne luogo d’incontro della borghesia colta e illuminata che si teneva aggiornata sugli avvenimenti nazionali ed esteri attraverso la lettura della stampa inglese e francese. Dopo i moti del ’31 il Circolo subì, a causa dei suoi orientamenti liberali, dapprima uno scioglimento temporaneo, poi definitivo. Solo nel 1847 l’alta borghesia locale trovò una nuova associazione cui fare riferimento: nasceva, infatti, in quell’anno il “Casino di Conversazione”, animatore della vita culturale e mondana della città e di chiara, seppur non dichiarata, impronta patriottica. La Società Parmense di Lettura e Conversazione, sorta nel 1858, si trasferiva nel 1866, come si è detto, in alcune sale del Palazzo di Riserva collocate sui lati nord-est, ed è questa la sede attuale. L’edificio ha alle spalle una lunga storia di trasformazione sia dal punto di vista urbanistico e architettonico sia per quanto attiene all’utilizzo. L’area sulla quale sorge il Palazzo comprendeva, in origine, un gruppo di case ed una chiesa parrocchiale, San Michele del Pertugio, che venne abbattuta fra il XVI e il XVII secolo. Nella seconda metà del Seicento, il duca Ranuccio II (1646-1694) acquistò, volta a volta, diverse case per ampliare la residenza ducale ed in particolare costruirvi un teatro. Il duca assegnò tale impresa all’architetto ed ingegnere Stefano Lolli, già al servizio dei Farnese: al principio del 1688, dopo due mesi di lavoro, il teatro era completato e potevano esservi rappresentate opere in musica. Nel corso del Settecento i duchi acquistarono le ultime case ancora possedute da privati cosicché tutta l’area divenne di proprietà della Corte e poté servire ad alloggio per nobili forestieri: da questa destinazione prese il nome di Palazzo di Riserva. Nel Settecento altri importanti avvenimenti segnano la storia del Palazzo: nel 1764 l’architetto Petitot provvedeva alla ristrutturazione di una parte dell’edificio destinata ad accogliere il suaccennato “Casino dei Nobili” o “dei Forestieri”. Il lato dell’edificio prospicente strada Melloni servì invece come residenza temporanea per Ferdinando di Borbone (1765-1802). L’area assegnata al “Casino dei Nobili”, nell’Ottocento venne trasformata, da Paolo Gazzola, in appartamento per il duca Carlo III (durante il suo breve regno, dal 1849 al 1854). Divenne poi sede del Genio Civile ed accolse infine il Museo Glauco Lom- 5 Bella Parma bardi, istituito nel 1961. Da documenti si sa, infine, che durante il regno di Maria Luigia (18151847) si verificò una ristrutturazione del Salone San Paolo e che, nelle sale prospicienti il monastero omonimo, la Duchessa esponeva la sua collezione di quadri moderni. Dopo aver ospitato in seguito il Comando Generale dell’esercito ducale le suddette sale vennero concesse, come si è detto, alla Società Parmense di Lettura e Conversazione. In alcuni ambienti dell’attuale sede si possono leggere, abbastanza chiaramente, i caratteri delle epoche attraverso le quali l’edifìcio giunse ad una completa definizione: lo Scalone d’accesso e la Sala Rossa manifestano il carattere settecentesco del tempo in cui le sale furono residenza ducale. Si notino, in particolare, la ringhiera in ferro battuto nello Scalone d’accesso, in perfetto stile Luigi XV, e le decorazioni della Sala Rossa. Qui è presente un camino neoclassico in marmo mentre le pareti hanno un tipico rivestimento a boiserie; sopra le porte vi sono alcune pitture mitologiche che potrebbero ricondursi a due distinte figure di artisti. I dipinti raffiguranti Giove e forse Danae, e Giove che tiene in braccio un bambino che gli viene porto da una figura femminile potrebbero essere attribuibili ad Antonio Bresciani; per le rimanenti due pitture, nelle quali compaiono le raffigurazioni delle Arti che rendono omaggio a una città, è stato suggerito il nome di Giustino Menescardi, pittore veneto attivo come decoratore di Palazzi Ducali, di cui non si conoscono però opere del periodo parmense. È possibile anche che i dipinti siano stati trasferiti nella Sala da altri ambienti, forse collegati all’antico teatro, poiché nella prima sovraporta vi è uno scudo con i gigli farnesiani. Il maestoso Salone San Paolo ha invece veste ottocentesca; la decorazione risale infatti al 1837 quando l’intagliatore Pietro Canavesi di Piacenza realizzò i 12 lampadari a 24 luci, con fusto in legno e cristalli tedeschi, e le due specchiere. Pure ottocenteschi sono altri elementi dell’arredo, come le panche, i bastoni per i tendaggi, ed il fregio monocromo in cui figurano cornucopie e strumenti musicali, in accordo con la destinazione della sala ad ambiente per feste e ricevimenti. È il più grande salone in perfetto stile neoclassico della città. La Società Parmense di Lettura e Conversazione, comunemente conosciuta come “Il Circolo Sala Rossa. di Lettura” è un’associazione, senza fini di lucro, fondata nel 1858 e nei suoi 147 anni di vita è stato protagonista e testimone della storia di Parma. Il circolo occupa gran parte del “Palazzo di Riserva” da via Cavour a via Garibaldi. È composto da 10 sale, oltre alla biblioteca, che accolgono riunioni, conferenze stampa, congressi, seminari e feste. Il sabato e la domenica le sale ospitano matrimoni e pranzi di gala. Nella Sala degli Stucchi è collocato il ristorante che, attraverso una ristrutturazione che non ha turbato gli elementi architettonici ed artistici, è stato attrezzato con le più moderne tecnologie multimediali che permettono di collegarsi ad internet ed alle reti satellitari televisive. Oltre al ristorante è in funzione un servizio di “fast lunch” nella Saletta da thè, utile per avere il tempo di leggersi un giornale in Sala Lettura. Il bar ed il ristorante del Circolo di Lettura sono a disposizione dei soci e degli ospiti. Il ristorante offre una cucina tipicamente parmigiana in un ambiente ricco di storia. La Sala degli Stucchi, la Sala Rossa e le altre sale monumentali possono trasformarsi in uno scenario ideale ed unico per feste e ricevimenti. Per la cucina si è rimasti fedeli alle tradizioni emiliane con cuochi e personale di grande esperienza che negli ultimi anni hanno arricchito la loro professionalità ospitando numerose manifestazioni. La posizione del Circolo di Lettura in Via Melloni 4 e la sua prestigiosa sede lo rendono il luogo ideale per riunioni, conferenze, congressi e seminari. I locali del Circolo sono stati sottoposti ad un vasto programma di restauro artistico, funzionale alle nuove esigenze dei circa 260 soci. 6 Bella Parma MONUMENTI C ome gran parte di noi conosce, nello spiazCosa resta di queste imponenti statue alte alzo ora occupato, di fronte alla stazione ferroviacuni metri e scolpite con pregevole mano? ria, dal palazzo ora chiuso e già sede dell’Ente Poco, almeno per quanto se ne possa sapere: Nazionale per l’Energia Elettrica e da alcuni alle uniche rimaste e per fortuna anche ben contri limitrofi, sorgeva fino alla fine della seconda servate sono quelle che si possono trovare nei loguerra mondiale il grandioso monumento a Giucali dell’ex sala cinematografica del cinema Areseppe Verdi. na del Sole a Roccabianca. Questa stupenda costruSono otto, poste, tranne zione, era stata inaugurata una, in nicchie a lato della il 22 febbraio dell’anno sala. 1920, ed era opera dello Quale immeritata fine, scultore Ettore Ximenes e quale peccato e quanta verdell’architetto Lamberto gogna per questo scempio! Cusani. Sull’ampio basaChissà che fine banno mento di granito è rapprefatto le altre? sentata in bronzo l’apoteosi Dovevano essercene andi GIULIANO COLLA del sommo maestro che ha cora una ventina e, forse, trovato casa in piazzale delsono state spazzate via dalle la Pace. Questa parte cenruspe insieme ai mattoni, al trale era circondata da una cemento, al ferro che costiesedra ad archi, contro i pilastri dei quali stavano tuiva tutto il monumento. le statue dei protagonisti delle opere verdiane. Sull’arco centrale, su una biga trainata da quattro leoni, era rappresentata in piena luce la personificazione della Gloria. Il monumento, per l’epoca di costruzione ed anche per i materiali impiegati nella stessa, non era di grande valore monumentale o storico, ma era, nella sua grandiosità, un tangibile atto di riconoscenza e testimonianza di gratitudine per un uomo che tanto aveva dato all’Italia ed al mondo. I bombardamenti aerei del 1944 avevano danneggiato la costruzione, anche se in misura non certo rilevante e con ampie possibilita’ di ripristino. Infatti, le statue ed i bronzi si erano salvati quasi tutti e quindi il restauro non doveva presentare grosse difficoltà. Invece, questi tangibili ma non per questo determinanti danni, fecero sì che fosse presa l’infelice, oltre che errata, decisione dell’abbattimento per far posto ad un “sostituto”, il palazzo della ex sede ENEL e di cos’altro non so. Pur in questa triste circostanza, non si pensò di salvare, è proprio il caso di dirlo, almeno i bronzi e le statue, ma ci si limitò a “parcheggiare” l’apoteosi del sommo maestro tra l’incuria, la sporcizia, le macerie per lunghissimi anni tra le auto dello spiazzo venutosi a creare nella Pilotta con lo stesso bombardamento aereo. Il momunento a Giuseppe Verdi Bella Parma Se si sapesse dove questi detriti sono stati buttati (probabilmente nell’alveo del torrente per la verità assai alto in quei paraggi), forse se ne potrebbe recuperare qualche parte, ammettendo anche di trovargli una collocazione degna, visto che ora non esiste nemmeno per quelle sane. Ac- 7 cadono, a volte, cose inspiegabili, proprio come questa distruzione di un monumento che, nel suo aspetto originale, in progetto era stato il secondo classificato per la edificazione dell’altare della Patria a Roma. L’unico e direi anche misero, se confrontato con l’originale, resto è il basamento di granito con la pensosa figura del Maestro in bronzo, collocato in Piazzale della Pace e sommerso dalle auto fino a pochi anni or sono. Quale tristezza, quale e quanta irriconoscenza per un uomo figlio della nostra terra! 8 Bella Parma D ove ora si estende Piazzale Matteotti con riferibili solo a far tempo dal XVIII secolo, quanle relative vie e abitazioni circostanti, sorgeva l’ando furono definite le linee architettoniche nel tico Monastero Domenicano retto dalle Mona1795 dall’architetto Carlo Bertani. che dell’Ordine omonimo. È noto che sull’altare maggiore campeggiava La presenza a Parma delle Monache risale alla la grande Pala attribuita a Sisto Badalocchio prima metà del 1200, poco dopo la fondazione (1585-1620), ora in Pinacoteca, rappresentante la dell’Ordine da parte di S. Domenico di Guzman. Beata Vergine del Rifugio, l’opera, di buona fatNel 1221 quando era Vetura, ha come figura centrascovo di Parma Monsignor le la Vergine con Bambino Obizzo, furono accolti in che troneggia da una nube Città i Padri dell’Ordine dei affiancata da quattro SerafiPredicatori, questi ebbero ni. Alla destra S. Domenico come primo alloggio la con il giglio in mano, San Chiesa Parrocchiale della Tommaso d’Aquino e San Santissima Trinità in Porta Pietro Martire figure in pieBenedettina; dodici anni di; a sinistra una femmina dopo cioé nell’anno 1233 si convertita in ginocchio aftrasferirono nella chiesa Parfiancata da un leone e da rocchiale di Santa Maria una volpe, dietro la suddetdi ROBERTO MORA Nuova, nel luogo detto” ta, San Francesco in piedi Martorano”, situato a Cò di con il crocefisso in mano. Ponte di Galeria. Sull’altare di destra un quadro di autore ignoto Dopo questo trasferimento l’apostolato dei Padedicato a San Vincenzo Ferreri, avente un Andri si fece più profondo e spirituale, arrivando nel gelo con un foglio in mano; davanti a Lui una cuore di Vergini e Nobildonne locali, facendo nascere in loro il desiderio di consacrarsi all’altissimo. Queste, spinte dal desiderio di sacrificarsi al Signore nell’abito Santo di San Domenico, chiesero umilmente di poterlo vestire. Ebbero l’approvazione e sotto la direzione della Priora Madre Mansueta, con grande impegno si prodigarono per l’erezione del Monastero nelle vicinanze della chiesa di Tutti i Santi. Nel frattempo la Priora compra molti terreni, adibiti al tempo a terre prative e ortive in vicinanza alle fosse comuni della città, come documenta una pergamena del 19 febbraio 1236, il luogo era denominato Chiuso del Ghiarolo; altri terreni furono acquistati nel 1237. Terminato il Monastero, nel 1268, si applicarono alla costruzione della chiesa, come prevedeva la regola della clausura che fino ad allora non veniva praticata; per l’edificazione della chiesa un certo Ruggero Basavecchia lasciava alle Religiose di San Domenico una somma di cinquanta lire Imperiali, come testimonia un testamento datato 17 novembre 1268. La chiesa si presentava ad una sola navata, con tre altari laterali. Pianta Monastero RR Madri di S. Domenico (Archivio di Stato Parma). Le notizie più attendibili sull’edificio sono Un Cenacolo Domenicano in Oltretorrente: il Monastero di S. Domenico Bella Parma Raccolta Sanseverini (Archivio di Stato di Parma). 9 10 Bella Parma Beata Vergine dei Rifugio (Sisto Badalocchio). donna in ginocchio chiedente grazia per un povero moribondo coricato in un letto, in alto la Triade attorniata da Angeli. Al terzo altare a sinistra un quadro dedicato alla Vergine del Santo Rosario, la Madonna in atto di porgere il Rosario a Santa Caterina da Siena in ginocchio, al suo fianco, Santa Rosa da Lima pure in ginocchio con in mano una rosa avente una fascia in cui vi è scritto: “Rosa del mio cuore tu sarai la mia Sposa”. In alto, due angeli tenenti in mano una rosa. Al di sotto del quadro un piccolo ovato con bella cornice, rappresentante la Beata Vergine col Bambino, a destra San Paolo con la spada e San Domenico, a sinistra San Gerolamo con il leone ai suoi piedi; il suddetto ovato è opera di Domenico Muzzi (I742-18I2). La cupola della Chiesa nel 1793 fu affrescata sempre da Domenico Muzzi, pittore di Corte del Duca Don Ferdinando di Borbone, che affrescò altresì la Cantoria e nel Monastero una loggia rivolta ad oriente rappresentante la Beata Vergine del Rosario con San Domenico, San Vincenzo e San Rocco. La facciata, esemplare per sobrietà, si presentava con una sola porta d’ingresso, sormontata da una lunetta al di sopra della quale campeggiava un grande finestrone che dava luce alla navata, il tutto incorniciato da un timpano poggiante su due lesene; guardando la facciata alla sinistra un leggero campanile. Il Monastero, adiacente alla Chiesa, quadrangolare, sorgeva su di un’area piuttosto ampia perimetrata a Sud e a Est da ampi cortili, e da aree coltivate ad orto a Nord e ad Ovest. Per il suo sostentamento, il Monastero poteva contare sulla rendita di vari appezzamenti di terreno, dislocati in varie località della Provincia: “Antognano, Busseto, Costamezzana, Diolo di Soragna, Medesano, Paradigna, Ramoscello, Ronco Campo Canneto per un totale di 1452 Biolche, il tutto retto da fattori”; nelle adiacenze del Monastero esisteva anche un mulino. Con l’avvento di Napoleone, la Comunità fu soppressa nel 1810. La Chiesa sarà demolita nel 1820, il Monastero sarà adibito ad abitazioni private; il complesso fu poi definitivamente abbattuto agli inizi del novecento. Tra i fatti degni di nota, possiamo rammentare che proprio questo Monastero accolse, all’inizio del suo cammino di fede la giovane Giacinta Domenica di Borbone figlia del Duca Don Ferdinando. Visione dell’attuale sistemazione dell’area dove sorgeva la Chiesa di S. Domenico. Bella Parma LETTERATURA O 11 Il “De partibus aedium» pera singolare, il “De partibus aedium” dell’umanista parmigiano Francesco Mario L’edizione che qui si prende in esame e da cui Grapaldo, fin dalla sua prima apparizione, suscideriviamo i passi per le citazioni, è quella del tò ampio interesse, tanto da conoscere parecchie 1516, comprendente anche il “De verborum ristampe: la prima edizione risale al 1494 (Parexplicatione”, stampata a Parma da Ottaviano ma); ne seguirono altre con revisioni e aggiunte, Salado e Francesco Ugoleto, a istanza, come dice nel 1501 (Parma, Ugoleto), 1506 (ibidem, idem), il colophon, di Antonio Quintiano che volle pub1508 (Argentina, Pryss), blicarla a sue spese, al fine 1511 (Parigi, Biermantiedi impedire che perissero i res), 1516 (Parma, Salado e lavori del Grapaldo, letteraUgoleto), 1517 (Torino, to da lui molto apprezzato. Sylva e Venezia, Bindoni), Infatti il Grapaldo stesso, 1533 (Basilea, Waderus), in una lettera preposta al1535 (Lugduni, Vicenzial’edizione del 1501, afferna), 1571 (Basilea, Waldema che da sette anni (cioè riana), 1618 (Durdrecht). dal 1494, anno della prima Ma l’opera del Grapaldo edizione), ha affidato da (che nel XVI secolo era codistribuire al Quintiano i nosciuta col nome di “grasuoi libri. di ANNA CERUTI BURGIO paldina”), vide anche traduL’esemplare che abbiazioni francesi; inoltre se ne mo consultato proviene dalconosce anche un’edizione del 1723; circolò inolla fornitissima biblioteca antiquaria del prof. Cartre sotto la forma di “estratti”. lo Antinori, noto bibliofilo e studioso parmigiaEsemplata su illustri modelli classici, e scritta no, che ringraziamo per la sua disponibilità. totalmente in latino, l’opera ha una sua pecuAll’inizio vi è preposta la Vita del Grapaldo, liarità, offrendo non solo consigli tecnici su come scritta da “Ianus Andrea Albius”, preceduta da allestire una confortevole abitazione, ma fornenuna poesia latina di “Petrus Maria Charissimus do anche un vivace spaccato di usi, credenze e canonicus parmensis”; seguono altre poesie latiabitudini della fine del Quattrocento. ne di dedica ed elogio dell’autore ad opera di “P. Probabilmente ha influito sulla materia desunta Franciscus Pasius”, “Bernardus Bergondus”, ed dai classici l’esperienza di vita parmigiana dell’auepitaffi scritti da “Nicolaus Petulus” e “Caesar de tore, specialmente là dove si dilunga su cibi e abiMichaelibus”. Seguono una dedica in versi deltudini alimentari. lo stesso autore (interessante notare come egli si In questo intervento ci soffermeremo in parfirmi sempre con l’appellativo di “Poeta laureatus ticolare sui passi dove si parla dei prodotti delparmensis”) al Marchese Orlando Pallavicino e l’agricoltura e dell’economia domestica (la casa un elogio dell’opera da parte di “Philippus illustrata dal Grapaldo è un’abitazione rustica, Beroaldus bononiensis”. o per lo meno dotata di orto, cantine e granaIl ponderoso volume è diviso in due Libri io); parlando delle varie parti dell’abitazione, (alla maniera classica): il primo è dedicato alle illo scrittore fornisce indicazioni pratiche, ad parti inferiori della casa, il secondo alle supeesempio, nel capitolo dedicato alla cantina, ilriori, secondo questo ordine: Libro I, cap. I , lustra i vari tipi di vino; oppure, nel capitoparietes, vestibulum, ianua, atrium, lo dedicato al cenacolo, dà suggerimenti da perystilum; cap. II, cavedium et puteus; cap.III, galateo ante litteram su come allestire e geapotheca; cap. IV, penarium; cap. V hortus; stire un pranzo. cap. VI piscina; cap. VII, leporarium; cap. VIII Ma vediamo nei particolari i brani per noi stabulum; cap. IX aviarium; cap. X cella più interessanti, che citiamo nella traduzione balnearia. Libro II, cap. I, scale; cap.II basilifatta da noi direttamente dal latino umanistico ca; cap. III coenaculum; cap. IV coquina; cap. dell’autore. V gynoecium; cap. VI, cubiculum; cap. VII, Cibi e abitudini alimentari di fine ’400 nel: “De partibus aedium” del Grapaldo 12 Bella Parma valitudinarium; cap. VIII sacellum; cap. IX biblioteca; cap. X armamentarium; cap. XI, granarium; cap. XII tectum. Il vino Parlando della cantina (cap. III “Apotheca”) si sofferma a descrivere i vari tipi di vino: egli ne annovera “centonovantacinque generi, e, se si tengono in considerazione le speci, quasi un numero doppio”, e continua: “il vino mutua il suo nome dalla forza (in latino “vis”, nota del traduttore), come piace a Varrone nei suoi libri sulla lingua latina”… “I colori sono quattro: bianco, grigio, sanguigno e nero”. Quattro sono i suoi sapori fondamentamentali: “dolce, acuto, leggero e austero”. Distingue poi il vino novello (“tortium novissime expressum”), e distingue le varie denominazioni derivate dalle regioni d’origine: “Chium, Lesbium, Falernum, Cecubum, Setinum, Surrentinum, Tarragonense, Spoletinum, Ceretanus, Fondarum”, sono elogiati sopra gli altri, fra i suoi contemporanei, “Trebianum, Vernaticolum, Amabile ex creta Malvaticum”, identificabili con gli ancor oggi apprezzati e in uso Trebbiano, Vernaccia e, probabilmente, la nostra Malvasia. In un altro punto dell’opera cita un uva che chiama “Labrusca”: forse l’antenato del nostro Lambrusco? Del vino tratta anche più avanti, nel capitolo dedicato al “Coenaculum” (Libro II cap. III), là dove descrive le usanze collegate alla tavola e ai banchetti; “il vino – scrive – è un liquido graditissimo al corpo umano; se assunto con moderazione non danneggia lo stomaco né il cervello, ma aiuta la digestione, irrobustisce le forze, suscita l’appetito e giova al sangue e al colorito degli uomini, scaccia la tristezza degli affanni, per cui Bacco, secondo la testimonianza di Seneca sulla tranquillità della vita, fu detto Libero, e libera l’animo dal dolore, scaccia la freddezza e concilia il sonno…”. Mette però in guardia dagli eccessi: “Ma, bevuto troppo copioso, turba il capo (dà il mal di testa) e danneggia lo stomaco “infatti” col fumo dell’alcol debilita il cervello, rammollisce le membra, per cui Aristotele ammonisce che non debba essere dato ai bambini e alle nutrici; leggiamo che il vino è fomento e accrescimento di lussuria…”. Nell’antica Roma era proibito ai fanciulli e alle donne, tanto che una matrona che aveva bevuto vino fu uccisa dal marito, che fu poi assolto da Romolo. Bella Parma “E’ celebre un detto di un uomo saggio sulla mensa: il primo boccale riguarda la sete; il secondo l’ilarità, il terzo il piacere, il quarto la pazzia” Cita anche Catone, là dove afferma che “l’ebrietà è una specie di furore volontario; infatti a causa sua eccediamo sia coi sensi sia con la mente, come si trova presso Dionigi l’Aeropagita. Comicamente dice Plauto: il vino è un lottatore scorretto, che ti prende prima per i piedi”. Tutte queste dotte citazioni rivelano la vasta cultura classica dell’autore. Il formaggio parmigiano Molto noti e citati sono gli elogi rivolti dal Grapaldo al formaggio parmigiano, che si trovano nel cap. IV (“Penarium”): “In questi tempi il Italia il primato viene dato al formaggio Parmigiano”; inoltre si immagina addirittura che il sublime cacio, definito: “nobile prodotto del latte”, parli di sé in prima persona in un distico. L’etimologia del Grapaldo è però piuttosto curiosa, perché crede che il cacio sia chiamato così perché deriva dal latte coagulato ( “caseus a coacto lacte dictus videtur”). Dopo aver citato vari tipi di formaggi, tra cui il nostro grana, per vantare le virtù del formaggio scrive che “leggiamo che 13 Zoroastro visse nel deserto per vent’anni nutrendosi di solo cacio, così stagionato da non subire il degrado dell’invecchiamento”. I salumi e la carne di maiale Il Grapaldo, da bravo emiliano e parmigiano, dedica largo spazio alla carne salata di maiale (“massa carnis porcinae salita”), ricordando che: “i padri di famiglia cominciarono a uccidere e salare per primo questo tipo di bestiame, come scrive M. Varrone nei libri sulla lingua latina e nel secondo sull’agricoltura”. C’è anche una curiosa etimologia della parola “lardo”: “secondo quanto attesta Microbio, con tale nome indichiamo propriamente la carne salata”, inoltre vi si aggiunse come epiteto descrittivo “pingue”, il pingue lardo. Cita infatti Ovidio che spiegava il motiivo per cui si gusta il “pingue lardo” alle Calende. Altra etimologia curiosa è quella delle “lucaniche”, le quali, secondo il Grapaldo, derivano il loro nome dalle genti Lucane, da cui i soldati Romani impararono a confezionarle. Ecco poi i salamini e i sanguinacci (“sanguinea”). Molto appetibile è anche, secondo il Grapaldo, la parte più intima della porchetta giovane. Botticelli dipinse alcune delle prime, raffinate forchette nel Banchetto nuziale di Nastagio degli Onesti (1482-1483). 14 Bella Parma Corredo della salatura delle carni sono le spezie, di cui vengono indicate le rispettive proprietà: “gli aromi sono speci di odore fragrante e di pigmento”; tra di essi ricorda anche la “nux miristica” (noce moscata), “piper” (pepe) , nonché “crocum”. Interessante ci pare l’importanza data allo zafferano (“crocum”), che, secondo il Grapaldo, avrebbe inaudite proprietà terapeutiche: “tramandano che il croco è ottimo per la saliva e i denti, allontana la crapula e ferma l’ubriachezza, toglie il prurito, stimola l’amore, fa più rubicondi i corpi, induce il sonno, concilia il cuore, come piace dire ad Avicenna, e cancella ogni tipo di infiammazione”. Altri cibi e verdure Parlando dell’orto (cap. V), elenca vari tipi di ortaggi e piante aromatiche, fra cui il rosmarino e la salvia, ancor oggi molto usate dalle nostre rezdore e perciò da sempre presenti nelle case di campagna; il Grapaldo ne indica virtù particolari: “il rosmarino tritato con acqua sparsa per la casa uccide pulci e insetti e il suo succo guarisce l’epilessia ( detta “morbus regius”) e acutizza la vista”, mentre la salvia “giova ai paralitici, diminuisce il dolor di denti unita al vino e cotta cura il morso dei serpenti”. Cita anche una specie di zucca, il “camerarium”, che dà il buonumore e giova alle febbri del colera; cocomeri e zucche – commenta – devono però essere tenuti lontani dalle donne, perché “quasi al solo contatto, come annota Columella, languiscono e seccano”: una superstizione di stampo misogino! Quanto alle uova di gallina “si ritiene che quelle nate nel mese di agosto durino a lungo senza guastarsi” e possano conservarsi fino all’inverno. Segue poi nei capp. VI-VII-VIII- IX ( “Piscina”, “Leporarium”, “Stabulum”, “Aviarium”), diversi pesci e animali, con riguardo più all’elemento naturalistico, che alla commestibilità: particolarmente apprezzate le lepri, la cui carne avrebbe addirittura il potere di rendere “più belli i commensali per sette giorni”; le pernici “che sono creduti uccelli libidinosissimi” e che , di ottimo sapore, dagli antichi venivano imbandite solo sulle mense dei ricchi; le oche, di cui elogia il fegato come cibo prelibato. Un’incisione su legno del 1497. Il convito e il suo galateo Nel II Libro del “De partibus aedium” si sale al piano superiore della casa, dove si trovano, tra l’altro, la sala da pranzo (“Coenaculum”) con annessa Cucina (“Coquina”), la camera da letto (“Cubiculum”), nonché le stanze riservate alle donne (“Gynocium”); ma abbiamo anche capitoli dedicati alle scale, al sacello, alla biblioteca, alla farmacia, alla sala d’armi, al granaio, al tetto. Facendo un passo indietro, il Libro I si concludeva con la stanza da bagno (cap. X), in cui si trova un’interessante excursus sui poteri medicamentosi delle Terme di Lesignano Bagni. Ma, tornando al tema principale di questo nostro viaggio storico-gastronomico nelle usanze tardo Quattrocentesche, vediamo cosa ci dice il nostro colto Francesco Mario su come si deve svolgere un pranzo o convito, dandoci consigli sulla sequenza e sulla qualità delle portate, sulle suppellettili, sulla disposizione degli ospiti, sul comportamento dei commensali via dicendo. Innanzitutto la sala da pranzo (“coenaculum”) deve essere munita di finestre più grandi di quelle della camera da letto (“thalamus”): “saranno lodate per il tempo estivo le finestre volte a settentrione, per l’inverno quelle che guardano a mezzogiorno” e continua “noi tuttavia preferiamo se è possibili quelle volte a oriente”. Per tutte, però, “sono necessarie ten- Bella Parma 15 de, affinché la luce, quando vogliamo, entri senro degli astanti è stato definito dai nostri anteza dar noia …”. nati in modo tale che non fosse minore delle tre Passa poi ad esaminare le suppellettili, come i Grazie né superiore a quello delle Muse” (cioè candelabri: “candelabra sunt quibus candelae da un minimo di tre a un massimo di nove)…. dum ardent continentur”, e i bicchieri “Occorre scegliere convitati né troppo loquaci (“calices”), come quelli di vetro “di cui abbiané muti, perchè l’eloquenza deve essere nel foro mo parecchi generi”, ma ci sono anche quelli e il silenzio nella camera da letto, non nel conricoperti di gemme (“calices gemmati”) o di vito. Pertanto si dice che i discorsi da tenere nel cristallo, che, secondo il Grapaldo è “lapis ex momento del convito debbano essere non sopra aqua purissima sub terra congelatum”, cioè una argomenti che portino ansia o parlino di fatti pietra derivata da acqua congelata sotto terra. oscuri, ma su temi allegri e invitanti e utili con Ecco, poi, i “calices fictiles”, cioè di terracotta e qualche attrattiva e piacere, tramite i quali il quelli da viaggio, fasciati di papiro o vimini nostro animo diventi ameno e più piacevole; cosa (come i nostri fiaschi), e bicchieri delle più svache certamente avverrà se si chiacchiererà di cose riate forme. pertinenti all’uso comune della vita… Ed ecco i coltelli (“li usiamo sulla mensa per Facili e utili sono le dispute prese dalla filosotagliare il pane, la carne e questo genere di cibi fia, o certi discorsi erotici non troppo lascivi”. e dividerli in pezzetti”); le forchette vengono usate (diversamente da quanto accade oggi) solo da coloro che tagliano e distribuiscono il cibo nei piatti dei commensali, mentre i piatti possono essere anche quadrati o rotondi , e quelli di portata anche d’argento. Vengono inoltre indicate le denominazioni del pasto: “prandiculus” al mattino, “merenda” al pomeriggio, “coena” alla sera, ma, annot a lo scrittore, “quod nunc est prandium, coena dicebatur” (quello che ora è il pranzo, era un tempo chiamato cena).. Ed ecco alcune norme di galateo: “Noi in verità collochiamo al lato destro, considerato il più onorevole, quelli che riteniamo più degni o di Un’illustrazione tratta da un galateo del XIV secolo. maggiore età, e il nume- 16 Bella Parma Detto ciò, vengono esaminate le varie portate del pranzo: a giudizio del Grapaldo, “anche una crosta di pane secco è un’esca soavissima quando si ha fame, così come l’acqua è un nettare soavissimo quando si ha sete”; ricorda che Plinio nomina diciotto tipi di pane; parla del marzapane: “ci sono pani dolciari con semplice zucchero o infarciti con pinoli, noci o mandorle”, che possono essere chiamati “Martii panes vel Martius panis”. Spesso sono posti sulle mense “cum crustulis saepiculae mellitis” (spalmate di miele). Di ciò che dice sul vino abbiamo reso conto più sopra. Distingue, poi, le denominazioni, affermando che “Epulum vero publicum convivium dicitur quale saepius imperatores populo dedisse legimus”, cioè che “Epulae” sono i banchetti pubblici, come quelli che spesso i re offrivano al popolo. Per quanto riguarda l’ordine delle portate, “Apicio scrisse che le carni e il restante genere di cibi si pongono nelle prime mense (cioè nel primo giro di portate), mentre nella seconda parte devono essere posti il formaggio, le pere, le noci, le mele, l’uva, il fico e molte varietà di dolci confezionati con miele e zucchero”. La frutta Secondo la sua abitudine, il Grapaldo esamina minuziosamente le rispettive varietà di frutta, noci, mandorle, pinoli, fichi, ecc…; per quanto riguarda le mele, ne snocciola un lungo elenco: “ apiana, rubiginosa, deciana, septiana rotunda, petesia parvula sed odoris eximis, rosea ominibus nota et paradisiaca” Conosce anche le melograne (“appiana mala dicuntur punica sive granata”) e le cotogne (“cydonia poma cotonea”); mentre quelle “asiatiche” o di Durazzo maturano dopo l’autunno. Cedri e arance “quae vulgo e narancia vocantur”, secondo il Grapaldo si adattano alle prime mense: “convengono più alle prime mense con le carni arrostite, come anche le olive non si pongono in tavola se non sono state spalmate col miele”: questa è una spia della tendenza, caratteristica dei banchetti rinascimentali, di unire al salato, quale è l’arrosto, salse dolci e speziate. Per quanto riguarda le ciliegie “furono portate per la prima volta in Italia da Lucullo dal Ponto”; il Grapaldo non ama molto le amarene: “quelle che sono chiamate volgarmente marene, astringono l’alvo e fermano lo stomaco, ma se sono state seccate al sole invece tolgono la sete e stimolano l’appetito”. Forse in quest’ultima osservazione troviamo l’usanza ancora presente nelle campagne parmigiane, che poteva già essere viva ai tempi del Grapaldo, di esporre le marene al sole per farle fermentare con lo zucchero e ottenere un dissetante sciroppo da allungare con l’acqua. Ed eco anche le more che “nascono negli arbusti e nei rovi”, e passano attraverso “tre colori: prima candide, poi rosse, e da mature sanguigne”; sono ricordate anche le more del gelso e le sorbe. Non mancano i datteri, e, quanto all’uva “ci sono parecchi generi di uva”, tra cui la “Labrusca” (il nostro Lambrusco?), che “nascitur in marginibus terrae”. E, per concludere, i fichi, “che sono lodati sopra gli altri cibi, sia da secchi che da verdi; infatti, come scrive Avicenna, nutrono più di qualsiasi altro frutto”. Segue il IV capitolo con una minuziosa descrizione della cucina e dei vari attrezzi e accessori, che però qui non riportiamo, in quanto molto tecnica e limitata a osservazioni meccaniche (insomma, se speravamo di trovare qualche ricetta, siamo stati delusi…). Riferimenti Bibliografici Per notizie bibliografiche su Francesco Mario Grapaldo, rimandiamo ai seguenti repertori e studi: I. AFFO’, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, Parma, 1789-1797 A. PEZZANA, Continuazione delle Memorie dell’Affò, Parma, 1837-1959 U. BENASSI, Storia di Parma, Parma, 1899-1906 F. DA MARETO, Bibliografia generale delle antiche province parmensi, Parma, 1973-74 R. LASAGNI, Bibliografia parmigiana, Parma, 1991 R. LASAGNI, Dizionario storico dei parmigiani, Parma, 1999 F. RIZZI, Francesco Mario Grapaldo, in “Aurea Parma”, 1953, pp.135 e sgg. M. CORRADI CERVI, Dati biografici del Grapaldo, ibidem, pp. 186 e sgg. Bella Parma BIBLIOFILIA 17 I l manoscritto originale della Divina CommeMatteo Capocasa fu un tipografo che si distindia è andato purtroppo perduto, ma il testo del se per la stampa di edizioni di gran pregio. poema ci è stato tramandato da codici manoscritti Di lui si conoscono oltre 20 libri che trattano conservati nelle principali biblioteche italiane materie di argomento religioso, opere classiche ed (uno di essi è custodito anche nella Biblioteca almeno una di argomento scientifico. Palatina di Parma) e in alcune biblioteche estere. Tra di esse ricordo: Con l’invenzione della stampa, i primi tipografi Caterina da’ Siena: Dialogo della Divina Provpensarono bene di stampare anche la Divina videnza. (1483) Commedia e altre opere di Hieronymus – Vita e transiDante Alighieri accanto ad to di San Girolamo (l489) altri classici in italiano volOvidius: Opera (1489) gare (Petrarca, Boccaccio, Fiore di Virtù (1490) ecc.) e ai classici greci e laSancto Johanne Climacho, tini pervenuti fino a noi per altramente Schala Paradisi il lavoro prezioso di abili (1491) copisti presso i centri scrittori Seneca: Tragedie (1493) di molti monasteri. Soliloqui di Sant’Agostino, Abbiamo così ben 14 ediin volgare (1494) zioni della Divina CommePietro Crescentio: Dell’Agridi CARLO ANTINORI dia stampate entro il secolo coltura (1495) XIV, le prime col solo testo Plauto: Commedie (1495) (e qualche mancanza di L’edizione della Divina alcune terzine) poi col commento di famosi Commedia del 1493 è illustrata da tre xilografie umanisti ed infine illustrate con xilografie che ria piena pagina (come antiporta all’inizio di ogni cantica) e da diverse xilografie di dimensioni intraggono le principali scene delle tre cantiche. feriori collocate all’interno. Edizioni della Divina Commedia di interesse parmense 1 - Matteo Capocasa di Parma Due di queste antiche edizioni sono state stampate a Venezia da un tipografo originario di Parma, si tratta di Matteo Capocasa che aveva tradotto in veneziano il suo cognome e si firmava Matheo Codecha de Parma, oppure Mateo Codeca o Matheo Capcasa de Parma. Matteo Capocasa, dopo aver appreso l’arte tipografica a Parma si trasferì a Venezia dove fu attivo dal 1482 al 1495. La sua morte dovrebbe essere avvenuta nel 1496 perché da quella data non abbiamo più notizie di lui. Matteo stampò la Divina Commedia due volte: una prima volta nel 1491 in società col tipografo Bernardino Benalio di Bergamo e una seconda volta nel 1493 da solo. Entrambe le edizioni riportano il commento di Cristoforo Landino, famoso commentatore ai suoi tempi. Uno dei primi commentatori di Dante fu Benvenuto da Imola, mentre le edizioni del ‘500 riportano spesso il commento di Alessandro Vellutello. M. Codeca, La Commedia, Illustrazione in antiporta della I° Cantica. 18 Bella Parma 2 - Gianbattista Bodoni Gianbattista Bodoni stampò la sua edizione della Divina Commedia, nella sua tipografia privata nel 1795/96. Nel 1795 realizzò l’edizione in-folio mentre l’anno successivo stampò anche l’edizione in folio piccolo e in 4°. Le tre edizioni si presentano tutte con gli stessi magnifici caratteri e sono assai gradevoli all’occhio del bibliofilo. L’opera è dedicata a Don Lodovico di Borbone, Primogenito del Duca Ferdinando di Borbone e di Maria Amalia. Il testo fu curato dal Marchese Giovanni Jacopo Dionisi che nella premessa si rivolge agli studiosi della Divina Commedia e rivela di essersi servito di un manoscritto esistente presso la Biblioteca di Firenze nel 1789. Egli illustra le scelte effettuate per ottenere la vera “lezione” della Commedia di Dante, purgata da brutture straniere e riadornata da natie bellezze. Alla fine di ogni Cantica, sono riportate Note Critiche sempre, composte dallo stesso Dionisi. Gianbattista Bodoni stampò le opere di altri classici italiani (Petrarca, Tasso, Poliziano, Monti, Guarini...) sempre con inarrivabile maestria. I parmigiani debbono essere orgogliosi di aver ospitato nel palazzo della Pilotta, praticamente per tutta la sua vita produttiva, un simile artista. 3 - Antonio Saccani Nella seconda metà del secolo XIX un editoretipografo parmigiano, Antonio Saccani, prese l’iniziativa di pubblicare la Divina Commedia in dispense che uscivano periodicamente, permettendo così anche ai lettori meno abbienti di poter acquistare l’opera completa. Inoltre il poema dantesco doveva essere corredato da fotografie di Carlo Saccani (figlio di Antonio) eseguite sui disegni di Francesco Scaramuzza che illustravano scene delle tre cantiche. Un anonimo commentatore illustra in modo assai ampio ogni terzina tanto che il commento occupa anche più pagine quasi “isolando” la terzina dalla successiva. Per dare l’idea dell’ampiezza del commento sono sufficienti questi dati: L’inferno è contenuto in 10 dispense per complessive pagine 623 Il Purgatorio è pure contenuto in 10 dispense di pagine 600. Il Paradiso è contenuto in 12 dispense per un totale di pag. 761. Sono in tutto 32 dispense contenenti pagine 1.984. Antonio Saccani dedica la sua “fatica” al MUNICIPIO DELLA NOBILISSIMA FIRENZE e questa dedica non deve stupire pensando che il figlio Carlo Saccani si era trasferito a Firenze e vi rimase praticamente tutta la vita per esercitare la professione di fotografo. Si nota inoltre che mentre i tre frontespizi relativi alle tre cantiche portano la data del 1865 le copertine a colori portano date diverse: L’Inferno, 1865 – il Purgatorio, 1870 e il Paradiso, 1874 – per cui si è indotti a pensare che il Purgatorio sia stato pubblicato 5 anni dopo l’Inferno e il Paradiso addirittura dopo 9 anni. Inoltre nulla è detto circa le fotografie che dovevano corredare l’edizione. Chi scrive ha acquistato l’opera da un libraio di Parma, coi fascicoli perfettamente conservati, ma senza alcun corredo fotografico. Ha però potuto colmare la lacuna possedendo già 65 grandi fotografie dei disegni di Francesco Scaramuzza da lui eseguiti per illustrare la Divina Commedia. Bella Parma 19 Si tratta di un volume particolarmente curato sia dal punto di vista tipografico che nel contenuto, edito dalle Edizioni Palatine di Renzo Pezzani e C. Torino con illustrazioni di Sandro Botticelli (36) Il commento e le note sono di Onorato Castellino. I disegni di Sandro Botticelli per la Divina Commedia erano andati perduti finché nel 1878 il dott. Vaagen li rinvenne quasi tutti nella biblioteca del Duca di Hamilton sotto forma di libro in pergamena di 85 pagine che il Museo di Berlino acquistò nel 1882. Altri 7 disegni vennero alla luce nella Biblioteca Vaticana (acquistati da Papa Alessandro VIII nel 1669 con la Biblioteca di Cristina di Svezia. Il volume fu terminato il 30 Ottobre 1946 e sotto tale data, Renzo Pezzani ha fatto stampare queste parole: “A quest’opera lavorarono le maestranze della Società Editrice Torinese con cuore e spirito di collaborazione, consapevoli di servire nel nome di Dante la Patria che rinasce. Ad esse va la lode affettuosa dell’Editore e dell’Annotatore. Queste fotografie sono quasi certamente di Carlo Saccani, ma potrebbero essere anche di Icilio Calzolari, fotografo parmigiano, anch’egli amico di Scaramuzza, trasferitosi per lavoro a Milano. Questa pubblicazione conserva tutti i suoi interrogativi irrisolti. Non si conosce il nome dell’autore del commento, non si sa come Antonio Saccani, da usciere presso la Provincia di Parma, sia poi diventato tipografo-editore, non si sa se siano state realizzate le fotografie dei disegni dello Scaramuzza appositamente per questa edizione del capolavoro dantesco, oppure se gli acquirenti dei fascicoli abbiano dovuto completare con le fotografie già in vendita eseguite da Carlo Saccani. Dell’iniziativa tipografica-fotografica dei Saccani padre e figlio non c’è traccia in alcun repertorio bibliografico parmigiano e anche nel repertorio del “Mandelli” che contiene tutte le edizioni a stampa della Divina Commedia di questa iniziativa parmigiana non c’è alcuna menzione. 4 - Renzo Pezzani Da ultimo desidero parlare dell’edizione della Divina Commedia pubblicata da Renzo Pezzani, come editore a Torino nel 1946. 20 Bella Parma ARTE P formato, dello Strozzi hanno raggiunto cifre ragalazzo Venezia ha ospitato, tra ottobre e noguardevoli. vembre 2004, la rassegna biennale degli antiqua1 In una mostra romana non potevano mancari romani (e non solo) «Arte e Collezionismo» , re i capricci del piacentino Gian Paolo Panini che ha visto la partecipazione di una cinquantina di espositori con 1613 opere, tra le quali 372 (1691-1765), anch’egli attribuito di quotazioni di dipinti, 230 mobili, 111 opere grafiche, 79 bronassoluto rilievo. Si trattava questa volta addirittuzi, 127 statue in marmo, oltre a quelle che, a torra di tre dipinti, tutti di grande effetto scenografito, talvolta sono qualificate co e nitore di raffigurazione, opere di «arte minore», sia del paesaggio e delle rocome sculture in legno, ogvine, che dei personaggi anigetti in ebano, pietre dure, manti in modo colloquiale la smalto, avorio, corallo, arscena, quasi un teatro popogento, arazzi, tappeti, porcellare calato in una ambientalane, orologi e gioielli. E forzione del tutto classica. Tre se, pur tra mobili e dipinti di tele sicuramente degne di fiDa Sisto Badalocchio ad gran pregio, le cose che più gurare in un grande museo. Amedeo Bocchi: le rilevanze parmigiane stupivano erano proprio que«Capriccio architettonico di nella mostra antiquaria di Roma sti oggetti di «arte minore», Roma con arco, obelisco, le porcellane di Sèvres in stiesedra e figure» è un’opera di UBALDO DELSANTE le Impero, le deliziose stagiovanile, assegnata intorno tuette settecentesche di al 1720; di oltre vent’anni Meissen, le maioliche di Deruta, di Doccia e delpiù tarda è invece la «Veduta ideata con il la Bottega dei Fontana di Urbino, della seconda Colosseo, l’arco di Costantino e la colonna metà del Cinquecento. Per trovare qualcosa di parmigiano, o quasi, bisognava però tornare ai dipinti, cominciando da quell’episodio de «Il viaggio di un’anima» di Amedeo Bocchi, un’opera di grande fascino del 1927, della quale abbiamo segnalato la comparsa sul mercato pochi mesi or sono 2 . È appena il caso di menzionare, inoltre, «La Filatrice», olio su tela del 1750 di Gaspare Traversi (1722-1770), un pittore napoletano che ha avuto un’autorevole rilancio con le recenti mostre di Castel Sant’Elmo, nella sua città natale, e della Galleria Nazionale di Parma3 , così come merita un cenno una «Santa Martire» di Bernardo Strozzi (1581-1644), che ha la singolare caratteristica di indirizzare gli occhi verso lo spettatore anziché, come fanno i santi raffigurati di consueto, verso il cielo e che ci fa ricordare che due grandi opere del «Prete genovese» sono attualmente nelle collezioni d’arte della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza4 . Tra il pubblico si sussurrava che Gaspare Traversi, La filatrice, olio su tela, circa 1750 (Galleria Art le quotazioni delle opere, anche di non grande Collector di Antonio Maglione, Pisa). Arte e collezionismo a Palazzo Venezia (1) Arte e collezionismo a Palazzo Venezia, Cat. della mostra, De Luca Editori d’Arte, Roma 2004. (2) Trovato un quadro di Amedeo Bocchi. Faceva parte del ciclo «Il viaggio di un’anima», in Gazzetta di Parma, 23 agosto 2004, p. 5. (3) Lucia Fornari Schianchi e Nicola Spinosa (a cura di), Luce sul Settecento. Gaspare Traversi e l’arte del suo tempo in Emilia, Electa Napoli, Napoli 2004. (4) Giovanni Godi e Corrado Mingardi (a cura di), Le Collezioni d’Arte della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, Ugo Guanda Editore, Parma1994, p. 40. Bella Parma 21 Rientrò a Parma poco dopo il 1615 e sue opere sono conservate a Modena, Reggio e Parma 6 . Di lui era in esposizione a Palazzo Venezia un piccolo olio su rame (cm 25,4x35,6) raffigurante una scenetta mitologica di «Diana e le ninfe», un tema da lui frequentato, come dimostra una tela dell’Estense, sebbene le sue non molte opere documentate appartengano più al campo religioso. Opere profane tradizioGiovanni Paolo Panini, Capriccio architettonico di rovine romane con la predica di un Apostolo, olio su nalmente assegnate a lui tela, circa 1750 (Galleria Cesare Lampronti, Roma). e a Lanfranco sono, a Roma, gli affreschi di palazzo Costaguti, nel GhetTraiana, dove le figure in primo piano, che dito, un edificio privato e in non buone condizioni scorrono piacevolmente in pose del tutto normadi conservazione, attualmente purtroppo non li, contrastano con l’ipergestualità delle vicine stavisitabile. L’autorevole attribuzione a Badalocchio tue di atleti. Pure tra il 1740 e il 1750 è classifidel quadretto con «Diana e le ninfe» si deve a cato il «Capriccio architettonico di rovine con la Eric Schleier, che data l’esecuzione del dipinto al predica di un Apostolo», che ha molti punti di secondo decennio del Seicento. contatto con uno dei dipinti del Panini delle collezioni della Cassa di Risparmio, anzi ne sembra una variante meritevole di puntualizzazione e di ulteriore studio5 . Proprio parmigiano è invece Sisto Badalocchio (1585-post 1621), pittore e incisore esponente del manierismo; aiuto dapprima di Agostino Carracci, fu inviato a Roma dal duca di Parma insieme a Giovanni Lanfranco e divenne un seguace della tradizionale linea emiliana caratterizzata dalla dolcezza, da ombre e dal Sisto Badalocchio, Diana e le Ninfe, olio su rame, circa 1610-1620 (Galleria Edmondo di Robilant – Marco movimento drammatico. Voena, Milano-Londra). (5) Galleria Cesare Lampronti, Pittori di vedute, di prospettive e di paesaggi nella Roma del ‘600 e ‘700, Cat. della mostra, Roma, ottobre 2004, pp. 44-51. (6) Roberto Lasagni, Dizionario Biografico dei Parmigiani, I, PPS Editrice, Parma 1999, pp. 207-209. A rtista internazionale, Alfredo Edel, nato a Regio di Torino nel 1876 per il quale creò anche Colorno nel 1856, era discendente da famiglia di le scene, che, per il grande effetto teatrale, origine alsaziana, la sua data di nascita venne scosoggiogarono gli spettatori. perta da Gustavo Marchesi in occasione della L’impresario Giovanni Depanis riuscì ad am“Mostra dei figurini”, allestita a Parma nel pliare il “grande ballo” con altri artisti; il musiciPalazzetto Eucherio Sanvitale, dell’opera Simeta sta Romualdo Marenco, il coreografo Manzotti di Antonio Cipollini nel 1984. e il nostro costumista Alfredo Edel, dando vita La madre di Alfredo Edel fu Pierina Maria Cleai famosi balli Excelsior nel 1881 nel teatro delmentina Naudin figlia di la Scala con grande numeGiuseppe Naudin (1791ro di comparse (508 perso1872) acquarellista, collabone). ratore del Toschi, di origine Ricordiamo che questo francese alla corte di Maria grande spettacolo festeggiava primo costumista di Otello le conquiste dell’uomo: la Luigia: di Giuseppe Naudin sono esposte al Museo Lommacchina a vapore, la pila e primo a creare bardi dipinti di interni e sceelettrica, il telegrafo, il taglio il “musical” alla Scala: ne di vita familiare della dell’istmo di Suez. Nasceva Duchessa, dei suoi figli, nonquel Ballo che fece époque così il grande balletto del teché della loro residenza di atro italiano con Amor, di MARIA TANARA SACCHELLI campagna. Sport e Rosa d’Amore nel Diversi cugini di Alfredo 1899: l’incarico del costumiEdel frequentavano l’Istituto sta era enorme, se si pensa d’Arte di Parma; non risulta che Alfredo abbia sealla creazione di trecento figurini per il ballo guito corsi regolari anche se diventa illustratore, Amor nonché di migliaia di oggetti per l’allestipittore, costumista e scenografo; viene indicato mento delle scene. allievo di Pancrazio Soncini architetto del Teatro I successi ottenuti alla Scala, specie con le cenReinack e collaboratore di Girolamo Magnani, to repliche del ballo Excelsior, aprirono ad Alfrecon il quale lavorò per la prima volta alla Scala do Edel la strada per Parigi, dove ai primi del Noa Milano nel rifacimento del Simon Boccanegra vecento incominciò a collaborare con la casa pronel 1881, entrando così nella prestigiosa Casa duttrice di arredi teatrali Ollendorf; senza abRicordi disegnando copertine, molto apprezbandonare Milano, Edel aprì un atélier a Pazate, di edizioni musicali. rigi, poi a Londra, dove conobbe Barnum re Alfredo Edel fu il personaggio più rapdel circo americano e organizzatore di grandi presentativo dell’arte scenica nel periodo spettacoli, di cui Edel riscosse grandi sucche va dalla “Belle Époque” ai primi cessi. A Parigi e a Londra collaborò ai baldel novecento anche se bisognava rili e alle commedie di Molière e di Shakeconoscerlo come scapigliato e notspeare: creò bozzetti per la Comédie tambulo; Arrigo Boito, per farlo laFrançaise e per il Nouveau Théatre vorare, doveva chiuderlo in uno del Casino de Paris e alle operette stanzino del teatro con matite, della Folies Bergères; creò costucolori e, rifocillato, poteva uscimi per la commedia Chantecler re solo a lavoro terminato. di Edmondo Rostand, l’autore del Insuperabile costumista, esordì popolarissimo Cirano di Bergerac: belalla Scala con il “musical”: mentre l’opera lissimi articoli furono tributati ad Alfredo lirica sollecitava una scrupolosa documentaEdel anche da Sarah Bernhart. Una mezione storica, i balli richiedevano invece creadaglia d’oro gli fu donata dalla Direziozioni uscite dalla fantasia dell’artista, che non ne-Esposizione Mondiale e un’altra medaglia mancava certo al nostro Edel. gli fu conferita da Casa Ricordi. L’attività teatrale di Alfredo Edel come Presso la Casa Ricordi il nostro Edel ebbe la figurinista incominciò con il coreografo Luigi fortuna di approfondire, nel giusto momenManzotti per due balli: Pietro Micca in to storico, lo studio delle opere liriche sescena alla Scala nel 1875 e Sieba per il Costume di Alfredo Edel. condo i dettami di Giuseppe Verdi, il qua- Alfredo Edel Bella Parma Figurini creati da Alfredo Edel. le dava massima importanza all’allestimento scenico e ai personaggi, esigendo l’unitarietà della scena, rispettando tradizioni e usanze delle varie regioni, consigliando abiti, tessuti, ornamenti, pettinature e gioielli. Edel riusciva a cogliere i risvolti psicologici sia dell’interprete principale dell’opera che delle semplici comparse: ciò si riconosce nel verdiano Don Carlo (gennaio 1884) quando Verdi intervenne con qualche critica al figurinista per i due collari della Regina che la rendevano più bassa. Per l’opera Otello, di cui Alfredo Edel fu il primo a creare i costumi, Edel si recò a Venezia per studiare gli abiti dei grandi pittori veneziani, in particolare Carpaccio e Gentile Bellini: è noto l’esito positivo dell’opera Otello andata in scena alla Scala nel 1887, nonostante Verdi riscontrasse nella sua opera un Otello troppo selvaggio per i costumi, paragonandolo a un sovrano abissino o zulù, non a un Otello al servizio a Venezia (lettera a Ricordi del 18 Ottobre 1886). Il giudizio fu confermato da Verdi in una lettera inviata a Boito, dove afferma di aver trovato un Otello troppo selvaggio e una Desdemona dagli abiti troppo ricercati e uno Iago troppo bello. Nonostante i giudizi di Verdi, l’opera alla fine ebbe un risultato entusiasmante. Fra le ultime fatiche di Alfredo Edel si devono evidenziare i modelli di genere storico e mitologico di Simeta, dramma lirico in cinque atti edito nel 1889 da Gaetano Cipollini. Opera poco conosciuta, dove l’immaginazione di Edel spazia nell’antichità classica fra i tempi e boschi sacri agli Dei, nei pressi di Siracusa: fioriscono favolosi co- 23 stumi per pastori, pastorelle, ninfe, demoni. Il dramma è tratto da Teocrito e narra di un’accusa falsa, per gelosia d’amore, ai danni di Simeta, condannata da parte di un respinto pretendente. L’opera non venne mai rappresentata anche se accolta favorevolmente da Arrigo Boito e Marco Praga e dal celebre soprano Maddalena Mariani Masi, che si era interessata presso Cipollini e Casa Ricordi per la rappresentazione. Giulio Ricordi si era impegnato per la rappresentazione entro un triennio in un grande teatro, adoperandosi per l’allestimento e incaricando per le scene Carlo Ferrario e per i costumi il nostro Edel. Per la direzione della Scala fu giudicata un’impresa troppo costosa e fu trascinata per sette anni senza ricavarne i frutti: l’opera Simeta rimase chiusa negli scantinati! Significativa la mostra a Parma nel 1984 dedicata ad Alfredo Edel presso il Palazzetto Eucherio Sanvitale; costumi, figurine piene di grazia con pennellate sicure per dare sfogo alla esuberante creatività di Alfredo Edel, opere poetiche di carattere religioso, mitologico e storico che ci collegano con la mente e il cuore alla musica del nostro Verdi, a Toscanini e a tutta Parma musicale. Una grave forma di artrosi alla mano destra condurrà alla morte in Francia (a Boulogne sur Seine) nel 1912 Alfedo Edel, l’artista geniale anche se scapigliato di temperamento singolare, direi quasi un insuperabile figurinista che seppe incantare e farsi amare dal pubblico nell’arte della musica e della pittura. Mi piace riportare come nel 1912, nel primo numero di “Aurea Parma”, viene ricordato il nostro artista: “Alla memoria di questo nostro illustre concittadino, che alla virtù nell’arte univa una nobiltà d’animo, una cortesia di modi che lo avevano reso a Milano e a Parigi assai popolare, il nostro più vivo rimpianto”. Corista di Alfredo Edel. 24 Bella’900 ParmaPARMENSE FIGURE DEL S ono trascorsi soltanto 54 anni dalla morte Nel Duomo di Colorno di S. Margherita V.M., del Prof. Dino Mora (pittore, decoratore, decora quattro cappelle: San Rocco, per la quale illustratore, insegnante di disegno e calligrafia) e dipinge anche scene della carità del Santo mede48 del Cav. Luigi (I° paglista d’Italia), due artisti simo, San Giuseppe, Tutti i Santi, San Carlo e colornesi troppo a lungo dimenticati dal grande San Claudio e per quest’ultima, oltre alle decorapubblico e trascurati dalla critica. zioni, dipinge due quadri ad olio, Santa Angela Il silenzio familiare, caratterizzato da riservaMerici e il Sacro Cuore di Gesù. tezza e discrezione, spezzato da una mostra poÈ da ricordare che, oltre alle chiese, fa dono del suo talento anche a privati, colornesi e non, stuma allestita nel 1967 dal nipote Dino (figlio di lasciandone traccia all’interLuigi), lascia ora testimono e all’esterno dello loro nianza della scoperta di un abitazioni. prezioso e complesso archivio Pittore dotato di grande familiare. facilità nel disegno, di tocco Barbara Menoni, proniagile e sicuro e di una sorpote di Dino e Luigi (nonno prendente fantasia decoratidel marito), stimolata dal leva, attiva e geniale. Come tegame familiare, e dal desidestimoniato da numerosi artirio di conoscere e approfonPresentazione di coli di giornali, nelle sue opedire, sta lavorando per lo stuRINO TAMANI re artistico-storiche riesce a dio e la catalogazione dell’arBiografie a cura di trasmettere positività ed esprichivio di famiglia, avendone BARBARA MENONI mere, nel colorito dei quacolto strumento di valorizzadri, arditezza. zione e di memoria artistica, Fra i lavori di successo si ricordano: piatti dipinti ma anche civica del paese. su ceramica a gran fuoco per cui nel 1898 riceve I testi biografici e le immagini riportate sono a Roma la Medaglia d’Oro; le 6 madame in bronzo parti integrali del sito internet www.ifratellimora.it da lui ideate e modellate e poste nel 1900 sui più alti pubblicato a gennaio di quest’anno a cura della monti del Parmense; i reclames artistici premiati Sig.ra Menoni; tra gli obiettivi futuri una mostra con Gran Premio e Medaglia d’Oro a Bologna. con catalogo. Nel 1905, in risposta ad artistiche pergamene rappresentanti “I fatti Gloriosi della dinastia di Dino Mora Savoia”, riceve dal re Vittorio Emanuele III e da Nasce a Colorno il 21 Aprile 1880 da poveri Papa Pio X, un regalo di valore, accompagnato da genitori, Antonio (barbiere) e Maria Rosa Delfrate una lettera lusinghiera di encomio. (massaia). La sua carriera ha origini modestissime Amico e sempre in contatto con il Prof. Glauco e fin da giovanissimo rivela attitudini non comuni Lombardi, ricercatore e studioso di cose storiche nell’arte del dipingere; frequenta così, a prezzo di ed artistiche sulla vita della Versailles colornese, grandi sacrifici anche se aiutato da uno zio, l’Istiesegue sotto la sua guida ricostruzioni storiche tuto di Belle Arti di Parma dove, allievo di Cecrope dando prova di fantasia e buon gusto. Barilli, si diploma a soli diciassette anni riportando il primissimo premio e due menzioni onorevoli. Non ancora quindicenne, dedicandosi alla vita del libero artista, incomincia la sua carriera ricca di lavori importanti elogiati ed ammirati. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento dipinge affreschi, quadri ad olio e decorazioni d’arte sacra nelle chiese parmensi, fra le quali figurano: COLORNO – BASILICANOVA DI MONTECHIARUGOLO - VARANO MARCHESI DI MEDESANO - TORRICELLA DI SISSA MIANO DI MEDESANO – FORNIO DI FIDino Mora, Litania Lauretana Rosa Mistica. DENZA e forse altri ancora in fase di scoperta. Due illustri colornesi del Primo Novecento Bella Parma Tra queste se ne ricordano alcune: - la “Veduta dei giardini di villa Farnese di Colorno nel 1700” – 1919, un disegno ad inchiostro acquerellato e biacca su carta, ora esposto nell’ingresso del Museo Glauco Lombardi di Parma; - l’«interno nel 1600» del Duomo di Colorno “S. Margherita V.M.”. Il suo soggetto preferito è il cavallo, del quale studia l’anatomia per riuscire meglio a disegnarlo nelle sue meravigliose opere raffiguranti le battaglie. Nel 1908 ottiene dal Ministero della Pubblica Istruzione il diploma all’abilitazione all’insegnamento del disegno nelle scuole tecniche e normali. Stanco della vita nomade, tipica dell’artista estroso ed irrequieto, nel 1910 si allontana da Colorno per ricoprire, come supplente, la cattedra di disegno e calligrafia nelle scuole superiori di Cremona. Nel 1911 si presenta ai Concorsi Generali di Disegno per le Scuole Regie e riesce fra i primi dei 500 concorrenti, vincendo la cattedra al corso Magistrale di Rimini. In questa città emigra nel 1912; riceve nel 1919 il diploma di Gran Croce di benemerito del Lavoro e nel 1913 offre al Nuovo Politeama la scenografia del sipario raffigurante il Trionfo dell’Arte, lavoro molto lodato ed ammirato per i 4 cavalli a grandezza naturale. Esegue inoltre le scenografie del sipario di Borgo S. Donnino (ora Fidenza di Parma) e quello Cattolico di Busseto (Parma), ricco quest’ultimo di 25 figure rappresentati l’incontro di Carlo V con Papa III Farnese. Molte le illustrazioni di storia colornese, genovese e di carattere nazionale. Nel 1915 si trasferisce a Roma e vi rimane per tre anni, promosso titolare della cattedra di disegno e calligrafia nella Scuola Tecnica “Aldo Manuzio”. Nel 1918 si trasferisce a Sestri Ponente (Genova), promosso titolare della cattedra nella scuola Tecnica “Dante Alighieri”, primo fra 580 concorrenti. Rimane ad insegnare in questa scuola sino al 1921, stimato da tutta la cittadinanza ed adorato dalla scolaresca. Esegue due artistici calendari nel 1919, per commissione della contessa Tea Raggio Spinola e per la Marchesina Emanuela, promotrici della distribuzione degli stessi calendari ai soldati spettanti dell’onore della pace vittoriosa. Nel 1919 a Sestri Ponente (Genova) allestisce, a scopo benefico, pro Reduci di Guerra, una mostra artistica individuale e presenta 520 opere in- 25 Dino Mora, Battaglia di Colorno del 5 giugno 1734 “Carlo Emanuele III di Savoia con i franco sardi”, cm. 32x45. sieme al fratello Cav. Luigi, noto come I° Paglista Italiano. Classificatosi terzo vincitore dei Concorsi speciali per cattedre di disegno, già era destinato a tornare a Roma. Dopo insistenti preghiere di restare in Liguria da parte di amici e conoscenti di Sestri e Genova, egli chiede ed ottiene la cattedra nella Scuola Tecnica di Genova “G. Mameli”, lasciando Sestri, omaggiato da una splendida medaglia d’oro. Dalla cattedra di Genova passa a quella di Nervi (Genova), scuola secondaria di avviamento al lavoro “Ugolino Vivaldi” di Nervi (Genova). A Nervi rimane per tutta la vita insieme alla moglie Maria Francesca Bistolfi “Fanny” (sposati nel 1921) e la nipote Rosetta, primogenita del fratello Luigi. In Liguria insegna e semina un po’ ovunque i suoi quadri artistici patriottici e cristiani, operando altresì un’attività grafica molto ampia e studiata (illustratore di giornali, riviste e bollettini). Illustratore di: - “FOGLIETTE PUR MO’ NATE” – 1927 Presillabario, sillabario e prime letture di Clelia Falconi – proprietà artistica e letteraria “La Nuova Italia” – Editrice – Venezia; - “LE LITANIE LAURETANE” – 1931 - edizione commemorativa del XV Centenario del Concilio Efesino – proprietà artistica e letteraria “Rev. Domenico Razzore – Rettore Santuario N.S. dell’ACQUASANTA” Genova. Grande opera mariana, riconosciuta e benedetta dal Santo Padre a firma del Cardinal Pacelli. Nel 1924 è nominato da S. Maestà Cavaliere della Corona d’Italia per le sue benemerenze scolastiche. Nonostante la lontananza dalla sua Colorno, non dimentica mai il paese natale ove fa ritorno sempre con grande commozione e nel quale, so- 26 Bella Parma prattutto durante il periodo estivo, alimenta tutti i suoi affetti familiari e d’amicizia. Una numerosa raccolta di cartoline riconduce alle opere ed ai dipinti da lui eseguiti e permette inoltre la scoperta di tanti paesini del parmense da lui illustrati nella cornice di cent’anni fa. Con il fratello Luigi condivide per tutta la vita un forte legame familiare, ma anche artistico, poiché disegna per lui la base per la creazione dei disegni su tavole, lavorati ad intreccio ed intarsio con paglia di frumento di Firenze. Il prof. Dino Mora muore a Nervi (Genova) il 16 giugno 1950 lasciando la moglie e la giovane nipote “Rosetta”. Tuttora é sepolto nel cimitero locale e viene costantemente onorato della visita di allievi. Diversi anni dopo la morte numerose opere, degne di approntare una mostra postuma d’eccezionale interesse, vengono rubate nella sua casa di Nervi; fortunatamente recuperate, dopo la morte della consorte, sono ereditate dal nipote Dino di Colorno (figlio del fratello Luigi). Nel 1967 il nipote Dino partecipa alla mostra di pitture ed antiquariato a Colorno nel Palazzo Ducale (Sala del Trono) nella quale figurano per la pittura, opere del Prof. Dino Mora (mostra postuma). Nel 2001 la Commissione toponomastica dell’Amministrazione Comunale di Colorno inaugura ufficialmente la via a lui intitolata nel quartiere “Oratorio”. Luigi Mora Nasce a Colorno il 15 marzo 1886, figlio del popolo, per guadagnarsi da vivere lavora da operaio lattoniere e vetraio con lo zio materno Domizio Delfrate. Solo nelle ore di libertà e in quelle sottratte al riposo, con costanza e pazienza inventa un metodo per l’esecuzione di finissimi ricami artistici con la paglia di frumento. Nel “Gran Libro D’oro” é descritto come “un simpatico giovane, esempio di instancabile lavoratore”, di ammirevole gusto artistico che a pochi è dato di possedere. La sua arte geniale si configura in 12 tavole divise in tre parti ingegnosamente ideate e combinate: la prima dà i preliminari riguardanti la paglia, la seconda tratta l’intreccio e la terza riguarda l’intarsio, sistema di lavorazione fissato in un libro di sua pubblicazione ed adottato dalla Scuola “Corso Magistrale” di Rimini. Luigi Mora, Milano Artistica Industriale, cm. 76x52. Ama chiamare il fratello Dino “Il mio disegnatore”, in quanto crea per lui la base per la creazione dei disegni su tavole, lavorati ad intreccio ed intarsio con paglia di frumento di Firenze, che per sua natura è adatta a questo tipo di lavorazione in quanto priva di nodi. Nel 1898, all’età di soli 12 anni, inizia questa singolare attività con facili disegni e dopo solo due anni arriva ai più complicati lavori artistici, quali “Il Trionfo della Pace”, l’allegoria alla città di Milano che viene chiamata “Milano Artistica Industriale”, premiati alle esposizioni di Milano, Piacenza e Palermo. Presentandosi a varie esposizioni si vede così premiato: - 1908 a Piacenza, Medaglia di bronzo; - 1909 a Milano, Diploma di Medaglia d’oro; - 1909 a Palermo, Croce d’Onore al Merito e titolo di I° Paglista italiano; - 1911 a Casalmaggiore (Cremona), Diploma Speciale; - 1914 a Milano, Gran Croce di Benemerito del Lavoro con iscrizione nel “Gran Libro d’Oro”; - 1916 riceve delle elargizioni dal Presidente del Consiglio dei Ministri On. Salandra. Il Cav. Luigi si rende benemerito dei valorosi Combattenti della Grande Guerra, tenendo così alto il morale nei paesi del Parmense; Bella Parma Luigi Mora, Il trionfo della Pace, cm. 76x52. - 1917 a Rimini è benemerito della scuola, per aver offerto al Corso Magistrale di Rimini il suo sistema di lavorazione paglistica che viene adottato come lavoro manuale; - 1919 a Roma onorificato da S. S. Benedetto XV; - 1920 Diploma per speciali Benemerenze dell’On. Comitato Regionale di Genova dalla benemerita Croce Rossa Italiana per la quale esegue e dona un’allegoria; - 1920 a Roma onorificato dal Re Vittorio Emanuele e da Papa Benedetto X, viene riconosciuto Cavaliere della Corona d’Italia; - 1921 a Palermo, Diploma d’Onore. Per tutto il periodo della prima guerra mondiale, il Cav. Luigi si trova in Liguria e qui si distingue, non solo come bravo artista, ma anche come ottimo cittadino. Sebbene riformato, vuole essere utile come meglio può al trionfo delle armi; infatti si arruola volontariamente nel Cantiere Aeronautico Ansaldo di Borzoli a Mare in qualità di lattoniere, dove lavora dodici ore al giorno e alla sera, nelle ore di riposo si reca a prestar servizio alla Casa del Soldato di Sestri Ponente dove era membro del Consiglio Direttivo. Nel 1919 a Sestri Ponente (Genova), presenta una Mostra Artistica Individuale “FRATELLI MORA” a totale beneficio dei reduci di guerra, 27 presentando insieme al fratello pittore Prof. Dino un totale di 520 opere, tra le quali un’ allegoria lavorata pazientemente in paglia ed offerta all’associazione mutilati di questa città. Nei numerosi articoli di giornale che lo onorano si apprende che esegue lavori in diversi Santuari: - nel Santuario della Madonna di Fontanellato (Parma) si trovano opere in ringraziamento di grazie ottenute; - nella chiesa di San Francesco a Sestri Ponente (Ligure) esegue lavori in paglia (un voto raffigurante un bambino che offre fiori al Bambino Gesù in ringraziamento) come voto per guarigione ottenuta; - al Santuario del Monte Gazzo, una tabella votiva di un milite che ringrazia la Venerata Madonna per grazia ricevuta. Lavora un quadro raffigurante la Madonna della Guardia (Monte Figogna – Genova), opera di non facile esecuzione e di grande pazienza. Detto quadro, dopo essere stato esposto in Genova viene inviato in omaggio a Sua Santità che ringrazia con Apostolica Benedizione, inviando una lettera (datata 10 novembre 1919) a firma del devoto Servo Giuseppe Migone “Cameriere Segreto Partecipante di Sua Santità”. Durante la prima guerra mondiale regala alle famiglie dei soldati caduti, feriti e combattenti ben 200 portaritratti artisticamente lavorati, senza esigere nemmeno le spese che sostiene per il vetro e la cornice, valendosi pertanto delle somme ricevute a titolo di riconoscenza dall’On. Salandra e dal Re. Una raccolta di alcune cartoline sono riconducibili ai lavori patriottici e di memoria eseguiti nel primo periodo dopo guerra. Il merito maggiore attribuito al Cav. Luigi sta nel fatto che in tutti i suoi quadri, di fianco al ritratto del soldato, metta in rilievo i cari ideali di fede e di patria e per questo viene iscritto nel “GRAN LIBRO D’ORO” dei Benemeriti del lavoro. In onore dei caduti nell’ultima guerra del nostro paese, realizza due quadri celebrativi, oggi conservati nell’Archivio Storico del Comune di Colorno. Nel 1950, sei anni circa prima della morte, il Cav. Luigi offre alla curiosità del pubblico l’ultimo estro della sua mente creatrice: la moderna lavorazione dei bottoni in paglia. Questa nuova moda, che riesce a dare una nota originale ed elegante ai vestiti estivi, incontra il favore delle signore, ma gli anni in vita non sono sufficientemente clementi per vedere premiato ancora una volta l’ingegno e la modestia di questo eccellente artigiano. Il Cav. Luigi si spegne a Colorno l’8 dicembre 1956, riposa a fianco della moglie Ghezzi Pierina e dei figli Dino e Rosetta nel cimitero di Colorno. 28 Bella Parma SOCIETÀ L e prime notizie riguardo la nascita dei “Boyunanimemente decisa la costituzione della prima Scouts” nella nostra città compaiono sulla “GazSottosezione scout in provincia; qualche mese zetta di Parma” l’8 maggio 1915, ma più ampie più tardi, una seconda nascerà a Borgo S. e dettagliate notizie appaiono nel successivo artiDonnino (Fidenza). colo del 12 maggio: “La Sezione parmense dei L’anno seguente il Corpo Nazionale, per le sue Giovani Esploratori Italiani (G.E.I.), della cui fonattività educative a favore della gioventù italiana, dazione avemmo un breve cenno, comincia a verrà posto dal Governo sotto l’Alto Patronato del funzionare. Ieri il Regio Re Vittorio Emanuele II e il Provveditore agli Studi prof. 16 Dicembre 1916, con ReGiuseppe Fuà, convocò nelgio Decreto Legge N. 1881, 1915 2005 l’ufficio scolastico provinciariconosciuto quale “Ente le, il Comitato PatrocinatoMorale”. re al quale comunicò il teleDurante il primo conflitgramma di felicitazioni delto mondiale gli esploratori la Commissione esecutiva di Parma, sull’esempio dei centrale di Roma del Corpo fratelli scout inglesi e franceNazionale Giovani Esplorasi, si rendono utili alla naziotori Italiani (CNGEI). Cone in guerra inquadrati neldi MAURO FURIA municò inoltre l’adesione le “squadre ausiliarie” nella dell’on. Berenini, Presidente sorveglianza antiaerea all’aedel Consiglio Provinciale e roporto “Natale Palli” o, in quella del Comandante del Presidio. I componencoppia con militi e carabinieri, nella ricognizioti del Comitato Patrocinatore erano quasi al comne ferroviaria per prevenire i sabotaggi da parte pleto e, nel corso della riunione, oltre a conferdel nemico lungo il tratto di strada ferrata Parmamare alla Presidenza il R. Provveditore, è stato Sant’Ilario d’Enza. Altri giovani verranno utiliznominato Commissario scout locale il prof. Enrizati come barellieri presso l’ospedale militare citco Franceschini insegnante di educazione fisica. tadino e nella distribuzione dei pasti e bevande Quale sede della nuova associazione giovanile calde ai soldati feriti o ammalati in transito dalla sono stati provvisoriamente individuati alcuni stazione ferroviaria di Parma. locali presso gli Stimmatini in via Massimo Nel periodo estivo i giovani esploratori di ParD’Azeglio, mentre nei prossimi giorni saranno ma partecipano a tutti i raduni nazionali dei “Serchiamati i giovani iscritti al Corpo Nazionale vizi Ausiliari di Guerra”, istituiti dalla Sede CenG.E.I. per ricevere spiegazioni sugli scopi dell’istitrale del Corpo Nazionale in collaborazione con tuzione e gli obblighi che gli iscritti debbono asil Ministero della Guerra e della Marina per gli sumere, dopo di che le iscrizioni potranno essere esploratori GEI terrestri e nautici durante il conrese definitive. Siamo lieti di registrare questa flitto. Le colonne mobilitate degli scouts terrestri pronta ned attiva costituzione della Sezione hanno base a Grottaglie in Puglia, Porretta (Boparmense dei Giovani Esploratori e ci augurialogna) e Tivoli (Roma), mentre i nautici operamo di poter parlare presto delle istruzioni che no a Varignano (La Spezia) e a Salerno. saranno impartite ai bravi giovani, sia nelle scuoTerminato il conflitto, nel 1919, gli esploratori le, sia presso il Comitato di preparazione civiGEI di Parma sono presenti al grande raduno estile…”. vo del “1° Campo Nazionale Scout” svolto a Degli esploratori nazionali il giornale avrà Madesimo (Sondrio), al successivo di Andalo modo di parlare ancora e per molto tempo, regi(Trento) nel 1920 e di Asiago (Vicenza) nel 1921. strando tutte le principali attività educative realizNel frattempo, alcuni avvicendamenti si regizate dagli scouts laici-pluralisti di Parma. strano ai vertici della Sezione con il passaggio delNel Giugno 1915, in seguito ad una escurla Presidenza, dal Comandante del Presidio Misione ciclistica a Langhirano, vengono ricevuti dal litare di Parma generale Enrico Lodomez (che era Sindaco Alfieri e dalle Autorità civili del paese. subentrato nel 1918 al prof. Fuà) al generale Dopo un incontro con i dirigenti scout, viene comm. Muzio Galli, stimata personalità cittadi- La nascita dello scautismo a Parma Bella Parma 29 “Brevetto di nomina a Capo Drappello (oggi Capo Pattuglia)”, per il parmigiano Guido Vallocchio, firmato dal Commissario Generale (Capo Scout d’Italia) Prof. Carlo Colombo (1916). Il raro documento riporta lo stemma del primo “Giglio scout ex REI ” adottato dal CNGEI con il cartiglio “SII PREPARATO”. na, insignito nel 1918 della “Cittadinanza Onoraria” dal Comune di Parma, mentre alla guida tecnica della Sezione, viene eletto Commissario il maestro d’arte Edoardo Vismara in sostituzione del maestro Cherubino Cherubini. Il 3 maggio 1924 in occasione del Congresso Eucaristico Regionale, nasce l’associazione degli esploratori cattolici ASCI di Parma con due Gruppi in città, Noceto, Fontevivo e Borgotaro. Con l’avvento al governo del regime fascista e l’istituzione dell’Opera Nazionale Balilla (ONB), sul piano locale e nazionale per le associazioni CNGEI - UNGEI ed ASCI, subentra un periodo duro e difficile, costretti ad accettare le imposizioni fasciste che intendeva privilegiare la propria organizzazione giovanile a scapito di tutte le associazioni educative non governative. Nonostante i tentativi compiuti dai dirigenti nazionali con la Casa Reale, per evitare la soppressione dello scautismo laico-pluralista italiano, nel 1927, il ramo maschile CNGEI e quello fem- minile UNGEI vengono sciolti. L’anno seguente, analoga sorte subirà la cattolica organizzazione ASCI. Quasi spontaneamente sorgono in varie città italiane forme di vita scout clandestina per entrambe le associazioni, sarà il periodo comunemente chiamato della “Giungla silente”, che permetterà di mantenere viva la vecchia fiamma scout e la ripresa del movimento nel dopoguerra. Nel 1945, a liberazione avvenuta, a Parma si ricostituisce la Sezione del CNGEI per merito del medico chirurgo dott. Luigi Costa, noto esponente della resistenza clandestina parmense, coadiuvato dai fratelli Mirko, Carlo e Vittorio Bonatti, da Matteo Bruni, Luigi Ferrarini, Gino Maletti, Luigi Federici, dal comm. Gaetano Ferretti, da Medardo Melli, dal geom. Daniele Cherubini e dal prof. Fortunato Rizzi. La sede di Commissariato era posta nei locali di Strada Repubblica, 4, un appartamento di 30 Bella Parma proprietà del dott. Costa che ricopre l’incarico di Commissario Provinciale, mentre a Presidente viene nominato il col. Comm. Gaetano Berutti. Nello stesso anno, per merito dell’insegnante di danza classica la prof.ssa Isotta Foà, prima Commissaria femminile, viene costituito il ramo scout femminile UNGEI, con un Cerchio di bambine dette “Primule” sotto la guida di Gledis Grolli e da un Reparto di “Esploratrici” dirette da Bruna Federici. Sempre nel 1945 risorgerà l’ASCI parmense e l’anno seguente, anche nella nostra città si formerà il ramo femminile scout cattolico con l’Associazione Guide Italiane (AGI). Gli anni del dopoguerra sono fatti di privazioni e ristrettezze per il Paese uscito umiliato dalla guerra, ma gli italiani vogliono riprendere una vita normale, dopo il triste ricordo dei bombardamenti aerei, le tessere del pane, i secchi gutturali ordini impartiti dai tedeschi occupanti. Anche se il paese aveva subito ingenti danni materiali alle sue infrastrutture e alle fabbriche, vi era in tutti il forte desiderio di ricostruire quanto era andato perduto e di riprendere una vita normale. Le scatenate musiche d’Oltreoceano portate in Italia dagli Alleati, davano a tutti l’illusione di poter Gli esploratori nazionale di Parma in una rara immagine del 1915. sognare un nuovo stile di vita, nonostante gli scioperi e i conflitti sociali dovuti alla mancanza di lavoro e alle tensioni politiche. È in questo clima che operano i rinati giovani esploratori parmensi, tra difficoltà economiche e fredda ostilità da parte di chi, ingenuamente, confondeva le uniformi (camicia verde, pantaloncini corti marroni e cappello alla boera), per un tentativo di restaurazione delle disciolte formazioni giovanili fasciste. Per fortuna le Autorità cittadine e soprattutto il Comando Alleato di Parma appoggiarono lo scautismo, ritenuto, sulla scorta dell’esperienza anglosassone, un valido strumento educativo per i giovani dopo anni di forzato indottrinamento politico. La Sezione GEI di Parma ebbe dagli americani uniformi, zaini, tende e marmitte per le cucine da campo. In alcune occasioni, per uscite o campeggi estivi, gli scouts furono autorizzati a usufruire di camion militari con autista al seguito. Grazie al loro aiuto gli esploratori ed esploratrici di Parma poterono progredire e svilupparsi numericamente contando oltre duecento iscritti. Il ramo maschile si sdoppia in due Gruppi al completo (“Lupetti”, “Esploratori”, “Rover”) guidati dai Capi Gruppo Carlo Bonatti (Parma 1) e Mirko Bonatti (Parma 2). Mentre all’inizio i primi raduni annuali di “San Giorgio” (Patrono degli scouts nel mondo) e i campeggi estivi si svolgono in territorio parmense, in particolare a Sala Baganza, grazie all’amicizia con il principe Francobaldo Carrega; negli anni successivi i giovani saranno presenti ai raduni regionali con i fratelli scouts delle Sezioni emiliane, in particolare con Reggio Emilia e Bologna. Nel 1948 gli esploratori di Parma partecipano al Campo Nazionale GEI, detto “Della ripresa”, fortemente voluto dalla nuova Sede Centrale di Roma a Salice d’Ulzio (Torino); nello stesso anno, dopo un campo in Svizzera, le giovinette esploratrici di Parma partecipano al “1° Campo Nazionale UNGEI” tenuto al Parco Villa San Severo di Torino. Nel frattempo avvengono alcuni cambi al vertice della Sezione maschile di Parma: Matteo Bruni e in seguito Mirko Bonatti , subentreranno al dott. Costa nella carica di Commissario, mentre il geom. Nello Bonatti assumerà l’incarico di Presidente. Bella Parma 31 Ciò accadrà il 20 Gennaio del 1974, quando un gruppo di ragazzi, capi scout e genitori, provenienti dagli esploratori cattolici, decidono di far rivivere l’antica fiamma dello scautismo laico parmense. Primo Presidente viene eletto il prof. Giuseppe Caligaris e, alla carica di Commissario di Sezione Mauro Furia. Dopo un iniziale appoggio alla vicina Sezione di Reggio Emilia, in occasione del sessantesimo anniversario di nascita del CNGEI Dirigenti degli esploratori ed esploratrici di Parma ai Boschi di Carrega (Sala Baganza) nel 1945. Al centro il Commissario dr. Luigi Costa (CNGEI) e la Commissaria prof.ssa Isotta Foà (UNGEI). parmense, nel 1975 viene autonomamente organizzaNegli anni seguenti le esploratrici parmensi parto un grande raduno scout con oltre 650 partecitecipano al “Campo Internazionale” di Roma inpanti a Montechiarugolo, denominato “Jamboretdetto dalla Federazione Italiana Guide ed Esplote Interregionale 60° GEI Parma”, che sancirà la ratrici FIGE (AGI - UNGEI) mentre gli esplorinascita della Sezione. ratori, in rappresentanza della nostra città, prenDa allora sarà un continuo sviluppo: in pochi dono parte nel 1952 al grande raduno nazionale anni la Sezione cittadina si sdoppia in due Grupdenominato: “Jamborette Italia” di Manziana pi completi e un terzo si forma a Langhirano. (Roma), in occasione del quarantesimo anniverCrescono gli iscritti , si aprono nuove sedi, mentre i giovani sempre più frequentemente partecisario della nascita del CNGEI. pano ai raduni nazionali ed internazionali porMa il destino volta ben presto le spalle al GEI tando il nome di Parma ovunque. di Parma. Causa la mancanza di capi e dirigenti Il GEI parmense sarà presente ai raduni mongli esploratori e le esploratrici si appoggeranno diali con il contingente italiano della Federaziosempre più spesso alla vicina Sezione di Reggio Emilia per i loro campi ed attività. Da Reggio Emilia arriverà a Parma il N. H. dott. Filippo Strozzi nelle vesti di Commissaro Provinciale e per qualche tempo l’organizzazione funzionerà, ma l’abbandono per motivi di lavoro e familiari degli ultimi capi di Parma determinerà, nel 1954, l’inevitabile chiusura delle Sezioni CNGEI – UNGEI cittadine. Dovranno trascorrere venti lunghi anni per veder rinascere lo scautismo laico- Lupetti e scouts di Langhirano al Campo Estivo presso il Centro Internazionale Scout di Techuana (Austria) 1995. pluralista di Parma. 32 Bella Parma “Sii preparato” - 1915. ne Italiana dello Scautismo (FIS) al “14° World Scout Jamboree” di Lillehammer in Norvegia 1975, “Eurofolk” di Cà Cornaro (Treviso) 1989, “10° Rover Moot Latino Americano” svolto nello Yucatan in Messico nel 1990, “9° World Rover Moot” di Kandersteg (Svizzera) nel 1992, “18° World Scout Jamboree” a Flevoland (Olanda) nel 1994 e campi internazionali realizzati in Inghilterra, USA, Spagna, Francia, Austria, Svizzera e Belgio. In Italia prendono parte ai “Campi Nazionali” di Picinisco (Frosinone) nel 1978, Laghel (Trento) 1983, ed Avellino 2004. A livello nazionale, nel gennaio 1974, con l’introduzione della coeducazione, le associazioni ASCI ed AGI si fondono dando vita all’attuale Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI); mentre nel settembre 1976, il vecchio CNGEI e l’UNGEI, a sua volta si fonderà nell’attuale Corpo Nazionale Giovani Esploratori ed Esploratrici Italiani (CNGEI). A livello locale si formano a Parma i rami delle associazioni degli adulti scout MASCI e Clan Nazionale Seniores GEI. Nell’ottobre 1988, a Langhirano, i seniors scouts costituiscono il Centro Studi Scout sulle problematiche giovanili “Carlo Colombo” (CSSCC), intitolato al Fondatore dello scautismo laico-pluralista italiano, quale archivio, biblioteca e museo dello scautismo italiano. Il Centro Studi è socio della Federazione Europea degli Archivi e Musei Scouts (AMSE) di Louvain (Belgio) e, nel corso degli anni, ha fornito materiale per tesi di laurea, ricerche storiche, conferenze, mostre e convegni a Parma, in varie regioni italiane e all’estero. Nel 1989 si costituisce anche a Parma la Comunità dei F.B. (Foulards Blancs), associazione nazionale sorta allo scopo di assistere gli ammalati nei pellegrinaggi della speranza a Lourdes. Dopo diciotto anni di attività all’interno della Sezione di Parma, avendo i requisiti richiesti dallo Statuto dell’Ente gli iscritti di Langhirano, nel Novembre 1994, danno vita ad una nuova Sezione CNGEI autonoma. Primo Presidente viene eletto il rag. Attilio Riva e alla carica di Commissario il cav. Mauro Furia. Due anni più tardi, un folto gruppo di capi ed iscritti all’AGESCI di Salsomaggiore 1, chiede ed ottiene di passare al CNGEI. Nell’Ottobre del 2001 verranno autorizzati a divenire Sezione CNGEI autonoma. Primo Presidente verrà eletto il dr. Gilberto Gerra, Commissario il dr. Filippo Fornari. Attualmente, oltre ai vari Gruppi scout cittadini, nella nostra provincia operano Gruppi e Sezioni autonome a Salsomaggiore Terme, Lusurasco, Fontanellato, Polesine-Zibello, SissaColtaro-Trecasali (CNGEI); Fidenza, Noceto, Medesano, Salsomaggiore Terme, San Polo di Torrile-San Secondo, Sorbolo, Montechiarugolo (AGESCI) per un totale di circa 1800 iscritti. In campo sociale le due associazioni da anni fanno parte della “Protezione Civile” e del FORUM delle organizzazioni di volontariato di Parma. Sono trascorsi novant’anni dalla nascita dei primi “boy-scouts” nella nostra città ma la meravigliosa avventura dello scautismo parmense continua il suo cammino, con rigore e fedeltà agli ideali educativi lasciati dal fondatore lord Robert Baden-Powell, fatti di pace, tolleranza e fraternità tra i giovani allo scopo di portare gioia e felicità ovunque per contribuire a trasformare il mondo “un po’ migliore di come lo abbiamo trovato”. Parma STORIA DONNE Bella NELLA A 33 bbiamo già parlato di alcune pittrici settezionari; con coraggio e passione sfidò il potere centesche aggregate all’Accademia di Belle Arti di ducale, piantando la bandiera del governo provParma; ora ci soffermeremo su altre tre dame invisorio sul palco nel Teatro Regio. Tramontato il signite nel XIX secolo del titolo di “Accademisogno liberale, dovette fuggire, lasciando tre figlie che”: Giuseppa Fulcheri Sanvitale, Carolina Taca Parma dai parenti e passò col marito l’Appenchinardi e Dorotea Magnani Pallavicino. nino, portando con sé il figlioletto di 4 anni; inolGiuseppa (o Giuseppina) Fulcheri Sanvitre era incinta di un altro. tale (1800-1848), era nata a Cuneo da famiglia Sul suo passaporto si servì del cognome piemontese, e giovanissima, Fulcheri. nel 1816, sposò a Parma il Forse volevano fuggire in conte Jacopo Sanvitale, apAmerica; tuttavia, a Genova, partenente al ramo di Fonincontrarono Giuseppe tanellato. Mazzini e si imbarcarono Jacopo Sanvitale (1785con lui verso Marsiglia. In 1867), fu patriota affiliato Francia si stabilirono a alla Carboneria, studioso e Montauban. Giuseppa morì nel 1848 poeta; per le sue idee liberali a Marsiglia con la figlia patì il carcere e l’esilio in (seconda parte) Clementina, per una maFrancia, sotto il ducato di lattia contratta in Africa, Maria Luigia, a seguito deldi ANNA CERUTI BURGIO dove si era recata per inla restaurazione seguita ai contrare la figlia maggiore, moti del 1831. Agronomo e sposata ad un console; il marito Jacopo si trofilologo, fu anche direttore della Biblioteca Civivava a Genova. ca Berio di Genova, riammesso a Parma nel 1859, partecipò con Giuseppe Verdi alla delegazione che doveva comunicare l’annessione di Parma al Regno del Piemonte. Fu anche presidente della Deputazione di Storia Patria e la rappresentò nel 1865 a Firenze per l’anniversario dantesco. Allievo del Mazza, ereditò da lui lo stile classicheggiante, ma vi inserì una forte venatura di romanticismo. All’inizio della carriera fu eletto anche , nel 1816, segretario perpetuo dell’Accademia di Belle Arti . Naturale che la moglie Giuseppa, pittrice dilettante come tante altre nobildonne del tempo e dama d’onore di Maria Luigia (anche lei amante della pittura), partecipasse alle manifestazioni indette dall’Istituzione, come l’esposizione tenuta nel Palazzo del Giardino Ducale. Si presentò con tre opere, tra cui un disegno di sua invenzione che raffigurava un “trovatore”, che le fruttò il titolo di “Accademica d’onore” e che si trova in Galleria, noto anche come “Suonatore d’arpa o testa di un poeta”; alcuni ritengono che sia un ritratto idealizzato del coniuge. Giuseppa era donna di grande intelligenza, nutrita non solo d’arte ma anche di ideali patriottici (da buona piemontese), che condivideva col maGiuseppa Sanvitale, Suonatore d’arpa, 1817. rito. Nel 1831 prese parte con lui ai moti rivoluParma, Galleria Nazionale. Pittrici dell’Accademia di Belle Arti di Parma 34 Bella Parma L’opera che ci è pervenuta è la citata “testa di un poeta”, realizzata a pastello su carta e donata all’Accademia nel 1817, testimoniante una buona mano e un gusto già venato di romanticismo. Di Dorotea Magnani Pallavicino (17731851), abbiamo una “testa di frate”, donata dall’autrice all’Accademia nella sessione del 21 agosto 1817, ma risalente, secondo una scritta apposta sul retro, al 1796. Infatti nel 1817 fu nominata “Accademica d’onore” assieme alla Fulcheri, a Fanny Anguissola di Piacenza e a Giovanna Cattani di Parma (quest’ultima venne nominata senza aver presenatato alcun quadro…) Dorotea, figlia di Antonio e di Francesca Draghi, era moglie del marchese Filippo Pallavicino, in passato vicino a don Ferdinando di Borbone, e ora “consigliere intimo” di Maria Luigia. Fu probabilmente l’influenza del marito a fruttarle il titolo, dato che il dipinto dimostra poca dimestichezza con la pittura, ed è classificato negli inventari come copia di un’opera di Pietro Ferrari (forse il San Bernardo). Si ha notizia anche di un’altra opera di Dorotea, un olio su tela raffigurante una “Inumazione di Nostro Signore”, presentato per il Concorso del 1820, ma a noi non pervenuto (e che dovrebbe essere una copia da Bartolomeo Schedoni). Di lei , nell’elogio funebre, si ricordò la grande cultura; fu anche definita “donna di profonde virtù e di nobilissimi sentimenti” Resta da dire qualcosa di Carolina Tacchinardi (residente a Firenze nella prima metà dell’Ottocento): figlia del famoso tenore Nicola Tacchinardi, fu nominata “Accademica d’onore” a Parma nel 1826, donando un quadro con una “Deposizione di Cristo”, copiato dal Calvaert. Come lei stessa afferma, è una pittrice “guidata solo dalla buona volontà di imparare”, come tutte le sue colleghe di cui abbiamo poc’anzi parlato: un drappello di dame amanti del dipingere, che testimonia come Maria Luigia incoraggiasse nel suo entourage questa attività artistica da lei stessa praticata e cercasse di valorizzare i talenti femminili. INIZIATIVE CULTURALI Proseguono i “Giovedì della Cassa” Da febbraio è ripresa l’interessante l’iniziativa dei “Giovedì d’arte della Cassa”, che si svolgono nella Sala di Via Cavestro della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza. Migliaia di persone hanno già visitato le precedenti mostre, che hanno fatto conoscere ai parmigiani e a tutti gli amanti della pittura opere di proprietà della Cassa. Tutti i giovedì vengono esposti quadri di artisti importanti, seguendo un filone tematico. In febbraio il tema è “Fiori”; in marzo sarà “Maria Luigia, Napoleone e il Re di Roma”; mentre in aprile verranno presentati oggetti di scena del Teatro Regio. Bella Parma TRA STORIA E FANTASIA Parma, febbraio 1879… 35 palazzo. Quel portone segnava un confine. Finiva il mondo esterno, con le sue pene e le sue Quando Parmenio rincasava dalla quotidiana illusioni, ed iniziava il mondo interiore, dell’anipasseggiata lungo Strada S.Michele – dalla Piazma, della solitudine, del ricordo. Consumata una za Grande fino a Porta S.Michele, laddove finifrugale cena – l’appetito era decisamente calato va la città e iniziava la campagna – sapeva che negli ultimi anni –, Parmenio sprofondava nella ad attenderlo c’era sempre lei: la spinetta. Era una quiete contemplativa del salone, davanti al camisera fredda, sferzata da un vento tagliente, presanetto acceso, abbandonangio di altra neve, che si sadosi alla corrente del passarebbe accumulata sui vecchi mucchi disposti irregolarto. In quello stanzone sospemente sui due lati della via. so fuori dal tempo, non enI vecchi lo ripetevano semtrava mai la luce del sole, le pre: “la neve al suolo ne finestre protette da robuste chiama dell’altra dal cielo”. persiane e pesanti tendaggi: Era un inverno gelido e semera il suo mausoleo dei ricorbrava non dovesse mai finidi, gelido, austero, dal soffitdi CLAUDIO BARGELLI re. Fervevano i preparativi to altissimo. Davanti al creper il Carnevale. Parmenio pitante caminetto sfilavano si era stretto nell’ampio silenziosi i fantasmi del pasmantello nero, rialzato il basato e si aprivano i cancelli vero e calata la tuba fin suldella memoria. Non serviva le orecchie. Soprattutto nei evocarli. Erano presenze difreddi crepuscoli invernali, adorava veder accenscrete, non parlavano ma comunicavano tante dere dall’omino allampanato, i lampioni a gas, ad cose. Avendo perduto da molti anni i genitori, uno ad uno: finiva il dominio del giorno ed iniParmenio era solo al mondo. Aveva superato già ziava quello della notte, con cui lui aveva semda un po’ la sessantina. Il corpo smagrito e curpre intessuto una maggior familiarità. Adorava le vo tradiva il peso degli anni, il viso emaciato, il fiammelle rossastre, il loro tremulo agitarsi e la capo canuto e quasi calvo, la barba bianca, gli luce fioca, incerta, irregolare che diffondevano. occhi azzurri un tempo vivaci ma ormai spenti. Anche quella sera, lungo il corso, camminavano Era nato nel lontano 1813, ai tempi del Dipartilenti e altezzosi, distinti gentiluomini in cilindro, mento del Taro, quando Parma apparteneva, a in lunghe palandrane, da cui spuntavano pantatutti gli effetti, all’Impero Francese. I suoi ricordi loni a scacchettini bianchi e neri e qualche signoindugiavano piacevolmente nella dorata infanzia ra con il velo in capo, la mantiglia ornata di e giovinezza, negli anni di Maria Luigia, la gentile duchessa di animo nobile e mite, amata dal blonda e l’ampia sottana. Ogni tanto, tra le pozpopolo. La Parma ducale, fastosa e povera allo zanghere ghiacciate e i mucchi sconnessi di neve, stesso tempo, passionale, tenera e romantica, fietransitava qualche elegante carrozza con il ra di se stessa, così lontana dalla spersonalizzata vetturino in cilindro a cassetta. I vetri appannati città del suo tempo, fredda e anonima provincia dei caffè racchiudevano la calda intimità di una del Regno d’Italia. La piccola città ducale - quelbevanda sorseggiata lentamente, senza fretta, dila sì! - risplendeva di leggiadra grazia: tutto era miscutendo sui principali avvenimenti politici, il casura, ordine e decoro, nell’aria il gentile effluvio rovita, la nuova politica di Agostino Depretis, i di violetta, il fiore tanto amato dalla duchessa. tumulti e le sommosse scatenate, alcuni anni priCerto, anche durante quegli anni, non erano ma, dall’introduzione della famigerata tassa sul mancati i momenti difficili. Rammentava l’insurmacinato. Ma soprattutto fervevano i preparativi rezione popolare del 1831, che era divampata per il prossimo Carnevale, l’allestimento dei caranche nel sonnolento Ducato, costringendo la ri allegorici e la scelta delle maschere. Questa era Maria Luigia ad una temporanea fuga. E ricorla Parma invernale, immutabile scenario delle sue dava la grave epidemia di colera del 1836, quanpasseggiate serotine. do lui era giovane: la desolazione, lo sfacelo, Sulla scena calava all’improvviso il sipario apovunque l’odore della morte, la lenta agonia del pena varcata la soglia del pesante portone del suo La spinetta 36 Bella Parma padre Guglielmo, nell’improvvisato lazzaretto del Palazzo del Giardino Ducale. Si era spento a poco a poco. La duchessa aveva aiutato non poco gli sventurati aggrediti dal terribile morbo.. Prima di ammalarsi di colera il padre aveva lavorato nella tipografia di Filippo Carmignani, in Piazza Grande, e gli aveva trasmesso l’amore per la cultura, per il sapere, per il sensuale contatto con la carta, con i libri. Il fratello Lucidio, meno portato al raccoglimento interiore, aveva lavorato, per diversi anni nell’opificio laniero dei Mulini Bassi – appena fuori città -, prima di terminare tragicamente un’esistenza dissipata, bruciata dall’alcol e da una sregolata vita affettiva: era perito, in miseria, poco dopo l’annessione al Regno d’Italia. Di Lucidio gli rimaneva soltanto il triste ricordo di un’esistenza alla deriva. Un altro fratellino, Diofebo, era scomparso in tenera età, minato dal “mal sottile”: di lui conservava un’immagine sbiadita, consunta, quasi eterea. Di Adalgisa, l’unica sorella, non sapeva più nulla da molti anni, da quando si era ritirata in convento a macerarsi nella preghiera. Era come se fosse morta. Ora, Parmenio era solo – non si era mai sposato –, conviveva con il carico greve dei ricordi, una malinconica scia che, a ritroso, stemperava dolcemente nella rimpianta età ducale. Ma ogni sera, i suoi cari gli facevano visita, popolando i suoi pensieri, assecondati dall’intimo e silenzioso raccoglimento dell’ampio salone. Era la sua atmosfera: il gelido marmo, su cui poggiavano inanimati uccelli impagliati, il polveroso sofà rosso cupo, gli antichi libri in pergamena, il legno tarlato, le viole appassite conservate tra le pagine dei libri, le cose vecchie e ammuffite, gli odori stantii, l’anima inquieta e palpitante delle candele, i fugaci giochi delle ombre, i furtivi rumori avvertiti soltanto da lui. Su tutto aleggiava un senso di disfacimento, la dolente poesia del rimpianto. La pendola dorata sul camino, fiancheggiata dai fiori finti sotto una campana di vetro, un vecchio album di foto ingiallite rilegato in marocchino rosso con i fermagli d’ottone, i quadri dalle cornici barocche che ritraevano visi austeri ed enigmatici. Esistenze sepolte. Fossili. Reliquie. Cose morte a cui si contrapponeva magicamente la freschezza sorgiva dell’immaginazione, dell’evasione fantastica. Ora rimanevano soltanto le notti insonni scandite dai gravi rintocchi della pendola. Mentre stava per rimanere sopraffatto dalla subdola malinconia, ogni sera, dal piano superiore si diffondeva, dapprima in modo lieve, poi via via più distinto, il suono della spinetta. Quel suono era lo struggente lamento di una giovane esistenza appassita, a poco a poco, in un tempo lontano. E allora ricordava la leggenda della infelice Eloisa, una fanciulla vissuta tra Cinque e Seicento, rinchiusa in quell’aristocratico palazzo dai suoni ovattati. Si spegneva anche quel ricordo. Dai crepitanti bagliori rossastri del caminetto acceso schizzavano subitanee faville, lampi subito sopiti. Bagliori nel buio. E poi il silenzio. Ma, nelle fredde sere invernali, nei sepolcrali palazzi nobiliari anche il silenzio ha una sua voce, per chi sa udirla: il suono lieve, dolce, pizzicato della spinetta, che diffondeva una melodia triste e senza tempo. L’antico strumento musicale sembrava suonare – era solo la sua fantasia? – al piano di sopra, chiuso e disabitato, da decenni immerso nell’oblìo. A volte pareva di udire l’improvviso scrosciare di risa argentine, un misterioso tintinnio e un sommesso, soffocato singhiozzo di bimba…Ma su tutto aleggiava il suono della spinetta. La leggenda narrava che, secoli prima, in quel vecchio palazzo avesse dimorato un’antica famiglia nobiliare che aveva una figlia bellissima, dalle esili forme, dall’incarnato eburneo come la cera e dai lunghi capelli corvini. Per una misteriosa e rarissima malattia, Eloisa non poteva sopportare la luce del sole: non conobbe mai il giorno, soltanto la notte. Nella semioscurità di quelle fredde stanze, la giovinetta leggeva a lume di candela, scriveva, ri- Bella Parma camava, inseguiva i propri pensieri, sempre triste e silenziosa. E accarezzava un gattino nero, accucciato sulle sue ginocchia. Ma, soprattutto, suonava la spinetta, per ore ed ore, giorno e notte, i giorni sempre uguali alle notti. Eloisa era morta giovane, prima di compiere i venti anni, consumata a poco a poco da un morbo sconosciuto, portando con sé i propri segreti e i propri silenzi. Di lì a qualche mese, la famiglia si era trasferita altrove. L’intero palazzo era rimasto a lungo disabitato. Su di esso aleggiava una fama sinistra, si riteneva fosse dimora di fantasmi, di anime inquiete e senza pace, di forze oscure e malefiche (la stessa sventurata Eloisa era stata sospettata di stregoneria). Alla fine del Settecento, il nonno di Parmenio, facoltoso proprietario terriero, si era stabilito al piano di sotto e per anni nulla era accaduto: la vita sorrideva, il sole filtrava dalla finestre nel profumo del vento e dileguava gli incubi. Ma da quando Parmenio era rimasto solo a cullarsi nei suoi rimpianti, dopo secoli dal silenzio era germogliato quel suono, che sembrava diretto soltanto a lui, a lui che sapeva ascoltare. Una melodia tenue, quasi impercettibile, ma dolcissima, remota, arcana, che scaturiva dal nulla, dall’intima comunione con i silenzi, con le ombre, con presenze invisibili, soffi, sospiri, brusii, avvertibili soltanto dal suo orecchio. Non ne aveva mai parlato a nessuno: nel clamore del mondo esterno, nessuno avrebbe capito. Lo avrebbero senz’altro tacciato di pazzia. Già circolavano insistenti voci sul suo conto, era considerato una persona strana e ombrosa che comunicava con i defunti. La cosa andò avanti per mesi, per anni: ogni notte si spegnevano i rumori esterni, moriva la vita, e iniziava la spinetta, la voce dell’anima. 37 Finché una notte di fine inverno, mentre fuori impazzava la grottesca ambiguità del Carnevale - diabolico simulacro della realtà -, l’allucinante vertigine, quando sciamavano ovunque maschere orrende a consumare antichi e crudeli rituali – si celebrava la morte dell’inverno con corruschi roghi purificatori –, mentre il mondo esterno barcollava, stordito, nella danza macabra della finzione, egli rincasando, chiuse accuratamente tutte le imposte, rinserrandosi ancor più nel segreto dell’anima. Fuori, la proteiforme, ambigua vertigine della maschera, il delirio, il ghigno e il riso, l’ebbrezza dionisiaca del Carnevale, dentro il silenzio e il raccoglimento interiore. Uno stridente contrasto. Infastidito dall’invadente clamore esterno, quella sera il poveruomo sembrava più triste, avvilito del solito. Tentava di celarsi, di proteggersi dalla perversa pantomima, dall’animalesca eccitazione, dalla triviale baldoria, dal fatale risucchio nella voragine infernale, dall’infida menzogna che, con affilati artigli e seducenti lusinghe, cercava di adescarlo, di afferrarlo, di avvinghiarlo e di trascinarlo con sé, nell’eterna ciclicità della materia corrotta e corruttibile, della rinascita e del disfacimento. Dentro, all’interno di quella stanza, protetta e sottratta al tempo degli uomini, il suono celeste della spinetta - indifferente alle effimere vicende umane - che invitava a fuggire lontano. Parmenio si lasciò guidare, come un bimbo preso per mano dalla madre, dal filo invisibile, dall’etereo richiamo della musica: venne dolcemente rapito e condotto altrove. Giorni dopo, quando lo ritrovarono senza vita, dissero che il suo vecchio cuore sofferente si era improvvisamente fermato. In verità, si era dissolta soltanto la sua imperfetta e tormentata corporalità, la sua fisicità. Aveva varcato una invisibile soglia per scomparire per sempre, con i suoi dolori e i suoi ricordi. Nel profondo di sé, Parmenio l’aveva sempre saputo: i giorni, i mesi, gli anni, i secoli, il tempo stesso sono idee illusorie, effimere creazioni umane, destinate a dissolversi nel breve transito terreno: esiste soltanto l’armonia cosmica – cangiante, nelle sue molteplici forme, talvolta affidata al suono sommesso di una spinetta – che, come un fiume, nel suo eterno fluire, scorre e raccoglie, lungo il suo corso, tutti i detriti dell’infelicità umana, conducendoli alla foce… All’oblìo. La spinetta non aveva tempo, viveva fuori dal tempo e, per chi sapeva ascoltarla, avrebbe suonato per l’eternità. 38 Bella Parma DIALETTO D’acordi, la n’ é miga pu colla äd ’na volta. La tochlètt; però cualcoza a m’diz ch’la podrè esòr fat cme un ragàs che cuand al cressa al s’älsa, al städa n’ uzuäla cuistjón äd sóld). se zlärla, al cambia vestì, al cambia parfìn’ la facia E po a gh’é anca la Pärma, che sutta o bagna, e la voza, insomma al se fa omm. Anca lè, la me chjéta o voladóra, l’à inspirè, fra i tant, anca al me citè, l’à cambiè facia. La n’é miga pu coll bél amìgh Fausto Bertòss, ch’l’à scritt: «La Pärma in paesón che m’arcòrd mi: cuator strädi missi in méz al ca l’é ’na cortläda, – ch’a taja in do ’n’ croza (cme s’usa adésa tajär ’na pissa in cuator ingurja dil pu béli. ’Na s’ciapa però a cl’ältra l’é spigh), i borogh pjén ’d ragàs tacäda, – ch’i s’bras’n ch’i zugon con ’na bala äd insimma aj pónt cme do stras e, cuand a s’fa sira e soréli». E Luigi Vicini, l’arja la s’intevdissa, il donni cuand al pensäva al momént in savati sedudi, p’r arche la nostra citè la s’prepära soräros, davanti a l’us äd ca, p’r andär a lét: «Se smorsa i ’na màchina ogni morta äd lumm dill fnesrti e tutt a täz; päpa e i tram ch’i scadnason – Pärma l’é straca morta e avanti e indrè col tramvjér ’gh va zo ’l cor. – Int l’aria che d’ogni tant col pè al an gh’resta che ’l profumm di GIOVANNI REVERBERI schissa ’na specia äd camdi fior, – e na caressa äd cel, panéla par zmarìr i putén. cälda cme un bäz». L’é anca véra che ’na Mi medezim, guardànd volta i francéz la ciamävon d’inveron il ca imbjancädi la «petit capitale», mo, secónd mi, capitäla la l’é sóra la Pärma, a j ò scritt: «D’inveron, dop ch’é drè dvintär adésa e po’ miga tanta picén’na. A gnu la primma nväda, – con i camén ch’i dob’n girärla tutta dintorna an s’fnissa pu, tra ’na rotonal cél col fumm – e il pjanti nudi, zo, in-t-la Pärma da, un racórd, un cantér, un sottpasag’ e un zläda – a l’ora ch’ogni fnéstra a pja un lumm, – a cavalcavìa, se po par dizgrasja t’infìl la tangensjäla coll ch’s’imbata äd gnir a ca p’r al vjäl – la séna zbaljäda, te t’pól catär a Fidénsa, a Langhiràn o a ch’a s’ghe pära lì davanti – la pär ’na cartolén’na Sant’Iläri cme se njenta fuss. äd Bón Nadäl – ch’a nónsja za l’arìv dil Fésti Santi». Mo cosst-e chì l’é ancorra njénta. Védrì tra un Adés’ ch’j ò fnì, a m’vén da pensär a coza j ò cuälch ani, la tangensjäla ala fén la srà compida, scritt. gh’aremma la metropolitana in citè e colla alzéra Secónd vojätor, an pärla miga «’na dichiarasjón par Sälsmagiór, n’ aeroport da fär invidja, d’amór?» Secómd mi, si! masmamént aj Arzàn, ’na stasjón nóva in-t-un cuartér tutt rifàt. E l’Avtòriti! Mo a mi, la m’pjazrà ancorra de pjù. E sìv al parchè? Parchè tutti il béli cozi ch’a gh’é sémpor stè i gh’saràn ancorra, nisón ja podrà mäj scancélär: al Régio, al Farnese, la Pilota, la Pinacotéca, al Muséo, la Palatén’na, la Camra ’d San Pavol, al Dom, la Stécäda, San Zvan, l’Anonsjäda, i Du Brasè, al Corèg’, al Pramzanén, al Zardén Pubblich, al Palàs äd San Fransèssch, indovva adésa a gh’é la Famija Pramzana. A gh’ò sól du magón ch’i m’én restè in-t-al stommogh: al palàs bombardè in Pjasäl ädla Päsa, che n’Aministrassjón sénsa conisjón la fat de tutt par né ricostruirol (cme inveci j àn fat in tutti il pu gran citè d’Europa) e la posisjón ädl’ Ara dedicäda a Verdi (sénsa tirär in bal chi dizgrasjè ch’jan butè zo al so gran monumént soltànt parchè durànt la gvéra a n’éra stè colpì un toch, mo propja un Ala me cité Bella Parma AMARCORD O 39 ggi, ormai, questa “pratica” è quasi tutta apcampi non aveva poiché costretta ad essere pannaggio degli extracomunitari che negli angorintanata sempre nello stesso posto. Ed allora il li delle strade stendono la mano per raccattare mendicante, forte delle sue esperienze di viaggio, qualche soldo, mentre altri, sempre stranieri, si rinvigorito dal vino e azionando soprattutto la piazzano sui marciapiedi strimpellando motivetti fantasia, incarnava le telenovelas ante litteram dei stonati con trombe e fisarmoniche. Ma, un temnostri nonni. po, la povertà e la miseria erano solo ed esclusiI mendichi che approdavano in città, solitavamente “nostrane”. Inoltre mente nelle piazze che ospii “clochard padani” avevano tavano i mercati (come non un approccio diverso da quericordare i mendicanti che gli attuali i quali, in molti brulicavano in Ghiaia), stencasi, una mano la stendono devano il piattino e, a chi faper ricevere l’elemosina, ceva loro l’elemosina, offrimentre con l’altra tengono vano il “pianetino della forsaldo il cellulare. tuna” (stampato in vari coUna volta il mendicante lori da una tipografia del (in dialetto “povrett” o piacentino) dove non potedi LORENZO SARTORIO “sercòn”), vagabondava nelvano certo mancare i numele campagne alla ricerca di ri del lotto. I mendicanti più ospitalità che, se gli veniva organizzati, invece, si esibiaccordata, gli consentiva di vano con fisarmoniche, viogettare le sue povere robe su di una “balla” di fielino o altri strumenti musicali mentre un no per trascorrere una o due notti nel fienile in cagnetto, al termine dell’esibizione, con un piattino in bocca, andava a raccattare le offerte. compagnia della sua solitudine, dei suoi pidocchi, Altri ancora giravano sia la provincia che i bordei ratti e dei pipistrelli. E se il “rezdor” o la ghi cittadini con la pianola (detta anche “verti“rezdora” erano persone generose, allora, ci pocale”) portando in giro il suono della miseria e teva “scappare” anche una scodella di minestra della speranza le cui note si aggrappavano ai muri calda a pranzo e a cena. Se il mendico era un scrostati delle case. Come non ricordare, in proanziano e quindi ritenuto innocuo, nelle gelide posito, due vecchi mendicanti, marito e moglie sere invernali, veniva ospitato nella stalla per go(vado a memoria Piero e la Romilda): lui, che dersi un po’ di caldo, bere un bicchiere di vino trainava la pianola e lei, dietro, che la spingeva e buono, mentre non era raro che, proprio il menraccattava quei pochi soldi che i passanti depodicante, si mettesse a raccontare fole alle donne nevano sul piattino oppure che piovevano giù e a nidiate di bambini che pendevano dalle sue dalle finestre e dai balconi. labbra. Solitamente, “al sercòn”, era una persoNel tempo di Natale molti medicanti si piazna che aveva lavorato poco, ma viaggiato molto zavano dinanzi alle porte delle chiese attenendo e quindi possedeva conoscenze che la gente dei i fedeli che uscissero dalla messa. Le chiese più “battute” dai “povrett” erano quelle francescane: San Pietro D’Alcantara in via Padre Onorio, i Cappuccini in Borgo Santa Caterina e l’Annunziata. Ma un motivo c’era; infatti dopo la questua, all’ora canonica, i mendicanti potevano fruire della carità francescana che apriva le porte dei conventi per sfamare gente che, a forza di digiunare (allora la fame c’era per davvero), aveva lo stomaco “lungo”. Non a caso, una delle poche fotografie scattate a Padre Lino, lo ritrae proprio tra i “suoi” poveri mentre tiene in mano la marmitta della minestra. Anche il modo di questuare è cambiato 40 Bella Parma E se i bambini guardavano con quegli occhioni smarriti, gli anziani stendevano la mano raggrinzita e salutavano con uno sguardo rassegnato, mentre l’adorabile vecchietta che sostava dinanzi a San Pietro D’Alcantara, con una delicatezza indimenticabile, salutava il suo benefattore con un dolcissimo “il Signore la benedica”. Un buon viatico per iniziare bene la giornata. E poi c’erano gli zingari, visti “di traverso” dalla gente dei campi che li incolpava, specie alla notte, di fare razzie di galline e conigli. Le zingare, solitamente incinte, con nidiate di bimbi al seguito, sostavano nei borghi e nelle corti per leggere le mani alle persone. E, se gli uomini erano molto scettici, le donne e le ragazze non disdegnavano certo la “lettura”: le prime, con la speranza che le linee della mano suggerissero vincite al lotto; le seconde, perchè speravano che il destino riservasse loro un buon matrimonio. Ma non è detto che i “povrett” di una volta chiedessero sempre denaro. Alcuni, ad esempio, bussavano alla porta dei forni per farsi dare un micca di pane, altri toccavano il cuore degli ortolani ambulanti che giravano con i loro carretti di legno colmi di frutta. Altri ancora potevano incontrare qualche oste generoso che dispensava un piatto di zuppa e qualche avanzo che poteva diventare un pasto regolare se il mendicante accettava di sistemare la cantina o il cortile dell’osteria. Comunque, chi commuoveva maggiormente la gente, erano senza alcun dubbio i vecchi ed i bambini ai quali non si poteva non accordare una monetina. Bella Parma AMARCORD D 41 opo che abbiamo visto e rivisto fino alla nelle nostre mani e venivano inviati come prigionausea immagini di prigionieri di guerra in Irak, nieri di guerra in Italia, come ad esempio nella scherniti e umiliati da parte di prevaricatori inciscuola di San Leonardo o nell’orfanotrofio di vili, mentre decapitazioni ed esecuzioni a freddo Fontanellato. da parte di esaltati terroristi venivano annunciate La mia compagnia nella penisola di Capo ma non integralmente visualizzate solo per Matapan ne raccolse e spedì nove in tutto nei autocensura, vorremmo ristorare la vista e il gunostri campi di raccolta e di concentramento. sto con una foto del 1941, Chi non è stato in guerquando vincitori e vinti in ra non sa quante eventualiguerra erano molto più cività si possono presentare, li e cavallereschi. La foto quando meno te l’aspetti: mostra al centro due sottuffame, fatiche, gelo, caldo, ficiali inglesi caduti prigiobattaglie, rischi mortali, nieri, molto tranquilli e sorpene infinite, paure, disperaridenti, e da un lato un nozione, eroismi incredibili. stro soldato di guardia con A volte ti auguri come di GIUSEPPE MENONI elmetto, giberne, fucile e male minore una ferita inbaionetta in canna; dall’altelligente che ti consenta tro lato il sottoscritto, disarpronto ricovero e lunga conmato in camicia, e il covalescenza. La prigionia si mandante di compagnia tutpuò presentare auspicabile e to serio; sullo sfondo la scuola media (ginnasio) provvidenziale in certi momenti, ma terrificante di Aeropolis (Laconia meridionale) requisita per in altri momenti, peggio che la morte: come in a alloggiarvi la 9 compagnia del 63° fanteria di preRussia (gennaio 1943) o a Cefalonia (settembre sidio nel paese, dopo che avevamo occupato la 1943): dove morire subito era una fortuna, piutGrecia. Alcuni nostri soldati stanno lì intorno a tosto che andare incontro a una fine atroce. curiosare. Ricordo il primo prigioniero greco che abbiaQuando siamo andati a presidiare quelle terre mo fatto sul tormentato fronte albanese nel febaride e povere in fondo al Peloponneso, c’erano braio 1941: tremava come una foglia, ma noi l’abin giro dei soldati britannici neozelandesi sbanbiamo rincuorato e sinceramente invidiato, perdati, avanzi del corpo di spedizione del gen. ché lui ormai finiva la vitaccia disumana della Wilson accorso invano a contrastare i tedeschi trincea per andare a “godersi” una tranquilla... avanzati il 6 aprile 1941 della Jugoslavia verso villeggiatura in Italia: senza alcun odio, minacSalonicco, Larissa e Atene. Dopo brevi e sanguicia, umiliazione. nosi scontri, il gen. Wilson sconfitto fece il possibile per reimbarcare i suoi uomini del Pireo, da Nauplia e da altri porti minori, per portarli a Creta. Ma parecchi non ne ebbero il modo e il tempo, e si dispersero nella regione: i più furono catturati da tedeschi e italiani presto sopraggiunti, ma in parte si diedero alla macchia in attesa di tempi migliori: e la povera gente del luogo non mancava di mantenerli e nasconderli. Però dopo alcuni mesi, o stanchi della latitanAeropolis 21 settembre 1941. za, o denunciati e scoperti, finivano Prigionieri di guerra 42 Bella Parma Questo P.L. Fermor, classe 1915, era naturalmente arruolato nell’esercito inglese nel 1939/45, e fu paracadutato nel 1942 sui monti di Creta per organizzare la guerriglia. Impadronitosi del greco moderno e già padrone di lettere e cultura classica, visitò anche il resto della Grecia in lungo e in largo, innamorandosene come Byron e predilesse in modo speciale l’impervia, arida e solitaria regione del Mani, fissando la sua abituale residenza in Kardamyli, al margine Nord Ovest della regione. E pare che viva ancora lì, a quasi novant’anni, Paliros, ultimo villaggio nell’estremo Sud della penisola verso capo Matapan, nel gennaio all’ombra della fortezza veneziana di 1942, affacciato a Est sul golfo di Laconia. Zarnata, dove Nicolò Meli Lupi di Soragna da giovane ebbe il comando della guarQuesti due sottufficiali inglesi della foto scamnigione nel 1691. biarono con me qualche parola, mi corressero sorIl libro del Fermor descrive solo un giro del ridendo errorucci di grammatica o di pronuncia, Mani a piedi e in barca nel 1949, da Sparta a espressero nostalgia acuta per la loro Inghilterra Kardamyli, Aeropolis, capo Matapan, Kotronas lontana, ma gradirono il cavalleresco trattamene Gythio, con tante dotte e vivaci divagazioni da to e soprattutto il tè indiano che potevamo offrire arrivare a 394 pagine. loro in abbondanza. Occupando la Grecia infatVoglio rilevare che in una ristampa del 2004 ti, avevamo trovato depositi abbandonati di tè in si sente la mancanza di qualche opportuno aggiorquantità incredibili; per noi che ne consumavanamento e soprattutto di fotografie vecchie ed mo poco, durarono tanto, che ne avevamo aneventualmente recenti. Noterò inoltre che è incora nel maggio 1942 quando ne usammo per giusta la lagnanza che non ci siano altri libri ildissetarci e ristorarci durante le gare atletiche per lustranti il Mani: ho visto a Gythio nel 1993 una noi militari d’occupazione allo Stadio Olimpico mostra di libri, per lo più inglesi, antichi, vecchi di Atene. e nuovi, tutti illustranti quella pittoresca, selvagDi questi inglesi che la guerra portò a combatgia e originale regione, la propaggine meridionatere in Grecia e poi a disperdersi in territori fuori le del monte Taigeto, che finisce a Sud a Capo del mondo moderno, ma fra genti di antichissiMatapan: a compinciare dal diario di Ciriaco de’ ma civiltà, indomita fierezza e omerica ospitaliPizzicolli, fra il 1437 e il 1448. tà, molti ne ricavarono impressioni indelebili, scrissero varie memorie, tornarono spesso e a lungo là dove avevano vissusto curiose avventure e conosciuto persone e ambienti indimenticabili. Ultimamente è stato ristampato (in italiano, ediz. Adelphi) il libro “Mani” di P.L. Fermor, con insipide recensioni su quasi tutti i quotidiani nazionali e locali: ma è immenso e incomunicabile quel che vi ho compreso e condiviso io, che ho vissuto sedici mesi nel Mani (Laconia meridionale) e l’ho girato a piedi palmo a palmo, paese per paese dal settembre ’41 al gennaio ’43 a stretto contatto con i locali: trovandovi tra l’altro (per dirVathia: verso l’estremo Sud della penisola, affacciato a Ovest sul ne una sola) un “proedros” (sindaco) che sapeva golfo di Messenia. Settembre 1997: il paese è tutto modernamente sistemato e attrezzato per i turisti. a memoria la Divina Commedia! Bella Parma NARRATIVA Ad ogni assemblea condominiale fatalmente 43 no, cosa venivano a fare le pulzelle – permettetele solite discussioni sulla “rossa” del primo piano. mi di chiamarle così – dalla “rossa” del primo piaUn accanimento verbale per riuscire a saperne di no? A studiare? Che cosa, di grazia? A lavorare più sul suo passato e sul suo presente. Insomma: come praticanti? Praticanti in quale professione o chi era quella donna? Una maga, una mantenumestiere? In piccoli lavori di artigianato? Ne dubita, una vecchia indifesa? Povera o ricca? Lei, mai tavamo fortemente. Sia la potenziale maestra che presente alle riunioni, doveva avere un sesto senle probabili allieve non ne avevano la stoffa. Non so o un informatore segreto che le consentiva di riuscivamo ad immaginarle impegnate in un’atvenire a conoscenza di tutto tività dove ci fosse da occuciò che la riguardava delle pare le mani e un pochino nostre chiacchiere. Quando anche la testa. Bisognava perla incrociavamo lungo le scacorrere altre strade, trovare alle, infatti, ci guardava con un tre soluzioni allo scioglimensorrisetto ironico come dicesto del giallo, visto che di un se: io so tutto dei vostri petteautentico giallo si trattava. golezzi, ma fate pure, io me Ed ecco la trovata di quel ne infischio. So di essere una dogmatico del professor Serepersona onesta, anche se vi nella, insegnante d’inglese in di GIOVANNI FAVALESI fa specie il mio modo disinpensione, un pallone gonfiato – pace all’anima sua – sevolto di vestire, di acconciare i condo il mio modesto parere capelli, di calzare scarpe dae credo di altri condomini. gli alti tacchi a spillo e dalla – Ho l’impressione – egli disse – anzi la certezpunta lunga. Mi piace semplicemente – metteteveza, che quella donna ci metterà nei guai e in guai lo bene in testa – andare alla moda, malgrado l’età. seri, talmente seri che dovremmo seduta stante Ecco, a proposito, un argomento assai dibattucominciare a prendere provvedimenti. Quella to: la sua età. Difficile con quei capelli colorati, “rossa” – riprese dopo una breve pausa per assicon quei vestiti da giovincella, con quei modi stracurarsi che lo stessimo ad ascoltare con attenziovaganti attribuirle un’età. Poteva averne settanta, ne – ha deciso, disposto a giurarlo, di trasformare cinquanta o un’ottantina. Solitamente ci fermail suo appartamerto in una casa... vamo alla cifra di mezzo: una settantina o giù di – ...in una casa? – saltò su sgranando gli occhi lì, il che disponendo di un bel fisico – nulla da il ragionier Alessi. eccepire – le permetteva di posare a giovincella – Chiaro come il sole: in una casa d’appuntaillibata, eccetera, eccetera. Altra questione: sola o menti – esclamò l’altro con sicurezza. accompagnata? Vedova, con un amore segreto, Stupimmo, ci grattammo la fronte, arricciamun compagno invisibile? mo il naso e sporgemmo le labbra in un doloroso Quanti interrogativi. Non la finivamo più. Una empito di meraviglia. Come, come – parlavano i cosa era certa: non si poteva dire che non fosse in nostri sguardi – una casa d’appuntamenti nel noregola coi pagamenti delle spese condominiali. L’amstro condominio, col rischio, cioé con tutte le conministratore, anzi, era solito elogiarla per la puntuaseguenze del caso: intervento della polizia, tribulità, mentre alcuni di noi – qui non voglio far nomi nali, processi, e via discorrendo. Ma che gli era – hanno tuttora il vizio di pagare in ritardo con saltato in mente a quel satanasso, a quello sputagrave pregiudizio di una sana amministrazione. sentenze? Beh, a ripensarci, poteva esserci una Negli ultimi mesi un fatto grave era intervenuto parvenza di verità nel suo discorso, ma le prove, ad occupare i nostri pensieri e a rinfocolare le nosignori, dov’erano le prove? Si fa presto a gettar là stre preoccupazioni. Ci eravamo accorti che ad ore delle frasi, delle accuse a un tanto il chilo. Le proalterne sia di giorno che di sera alcune ragazze belve, signori, fuori le prove. Fu proprio lo stesso ralocce, più che bellocce, munite di capaci borse da gioniere ad obiettare: studentessa salivano da lei e non ne sortivano che – Mai visto salire uomini in quell’appartamendopo un paio d’ore. Una cosa per gente scrupoloto. Mai! Per me le quattro o cinque ragazze non sa come noi da far rizzare i capelli in testa. Le hanno l’aspetto delle professioniste del sesso. Pronostre menti correvano alle più disparate ipotesi fessore – si rivolse con molto garbo allo sputasensempre improntate al pessimismo, alle più vive tenze – ci ripensi per favore, se la sua ipotesi corripreoccupazioni per il buon nome del palazzo rispondesse a verità è di una gravità assoluta. spettato e conosciuto in tutto il quartiere. Chi era- Ah, gli americani, gli americani! 44 Bella Parma – Sappia – rispose offeso l’ex insegnante – ch’io ho l’abitudine di riflettere a lungo su ciò che dico: una norma di condotta e di vita, un principio etico al quale mi sono sempre attenuto. Son anni che ci frequentiamo e pensavo – se devo dirla tutta – che lei mi conoscesse meglio, ma devo concludere che... – Professore, per favore, via via, non se la prenda, non se la prenda. Io non avevo certo l’intenzione... – Beh, beh – intervenne con fare pacioso il geometra Bongianni – se permettete proporrei, partendo dall’ipotesi dell’amico professore, di darci da fare per trovare le prove del tiro mancino che ci ha giocato la “rossa”. Poi, una volta in possesso delle stesse, ci riuniremo per decidere sul da farsi. – D’accordo, sono d’accordo – disse con enfasi il comm. Polidori. – Mobiliterò tutte le mie conoscenze. Ho certi amici in questura, ...via via per me sta bene così. D’accordo anche voi? – domandò passando in rassegna con una rapida occhiata tutti i membri del comitato esecutivo di cui io modestamente faccio parte. – Bene, bene – esclamammo in coro soddisfatti – leviamo le tende, s’è fatto tardi. Abbandonammo la seduta intorno alla mezzanotte. Grazie a Dio era una bella serata fresca e ventilata malgrado fossimo alla metà di luglio. Mancavano pochi giorni alle vacanze estive, quando il comm. Polidori incominciò ad insistere perché si riunisse con urgenza il comitato esecutivo. Egli aveva – dichiarò con prosopopea – importanti comunicazioni da fare. Ci riunimmo in un torrido pomeriggio, così afoso che più afoso non si può. Siccome mancava l’aria condizionata ci trasformammo ben presto in lustri lumaconi. Pazienza. Per il bene della causa ogni sacrificio è lecito e doveroso. Il comm. Polidori con la sua pancetta prominente e la facciona rubiconda attaccò gonfiando il petto: – Signori, amici, ho saputo quanto basta dal mio informatore: si tratta proprio di studentesse iscritte ad un liceo linguistico. La “rossa” del primo piano ha aperto una specie di doposcuola dove le allieve vanno a fare conversazione nella lingua oggetto dei loro studi: l’inglese. Avete mai assistito ad una risata omerica? Io ebbi la fortuna di assistere a quella del professor Serenella, una risata, un’esplosione che fece tremare le fondamenta dell’edificio: era un sussulto unico, un tremolio, uno spavento da morire, potete credermi. Dopo di che, il nostro sputasentenze, col tono e la determinazione di un profeta biblico, declamò: –Ve l’immaginate la “rossa” del primo piano insegnante d’inglese? Comm. Polidori – si rivolse con sarcasmo a quest’ultimo – penso proprio, e lo dico con dispiacere, che il suo investigatore dovrebbe cambiar mestiere. Un pericolo quel tale, una mina vagante. Non aggiungo altro. Sono stato chiaro? Cadde sull’uditorio un silenzio di tomba. Io che non sono un tipo loquace tentai di interloquire, ma vedendo le facce stravolte dei colleghi non ne ebbi il coraggio e tacqui contento di non aver contribuito ad attizzare il fuoco. Non sarebbe stato il caso, l’aria era già carica di elettricità. La riunione si concluse con un nulla di fatto. I pareri contrari si contrapponevano creando un nodo inestricabile, una situazione di stallo. Per alcuni giorni evitammo di ritornare sull’argomento. Quando ci incontravamo lungo le scale ci trinceravamo dietro un mutismo patologico. Il professor Serenella ci fissava con occhi talmente spiritati da sembrare l’incarnazione di Belzebù. Per poter far venire a galla la verità, per corredarla di fatti inoppugnabili, ci voleva un evento straordinario, come l’arrivo di un messia capace di sbloccare la situazione e di chiarire un rebus che ci lasciava in continua apprensione. Un bel giorno il messia tanto atteso si palesò nei panni di un’intera famiglia di americani che si installarono con grande spreco di voci, di suoni e di confusione nell’appartamento incriminato dove fin’allora aveva regnato un silenzio discreto. Quei tali non smentendo la fama che li accompagna da sempre eran davvero degli allegroni, degli inguaribili chiacchieroni che si esprimevano in un linguaggio fantasioso e colorito ben lontano dall’inglese scolastico di cui il nostro Sererella doveva essere un esperto. Quest’ultimo, tra l’altro, di fronte alla nuova realtà, si vedeva come messo al muro, schiacciato dalla vergogna, sbugiardato in tutte le sue fosche previsioni. E proprio in quei giorni – come il cacio sui maccheroni – per mezzo del comm. Polidori venimmo a sapere che quegli allegroni eran parenti stretti della “rossa” giunti in Italia per far visita di cortesia alla loro parente rientrata da poco dagli Stati Uniti. Non ce ne voleva più per dare il colpo di grazia al professore. Colpito da violenti dolori allo stomaco, una sera fu trasportato d’urgenza all’ospedale e fonti bene informate riferirono che nel delirio febbrile egli andava ripetendo a mo’ di ritornello, tra lunghi sospiri e lugubri lamenti; “Ah, gli americani, gli americani!”, il suo chiodo fisso, la sua spina nel cuore, se non nello stomaco. Morì, il poveretto, la settimana seguente e a dispetto di tutto devo dire che si ebbe un gran bel funerale. Il che dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che la gente non è poi così cattiva come sembra. Bella Parma RECENSIONI N 45 ella miriade di compositori, ormai dimentiposizioni che spaziarono dal melodramma agli oracati, vi sono alcune figure che meritano senza dubtori, dalla musica sinfonica a quella da camera. bio di essere proposte agli amanti della musica Viene altresì ricordato lo scritto di Marco Cacontemporanei. pra – docente dell’Università degli Studi di Parma Fra queste, nel ristretto ambito del “Movimen– che ben colloca il nostro compositore nel “Moto Ceciliano” – accanto agli ormai noti Lorenzo vimento Ceciliano” e pone in risalto la sua capaPerosi e Licinio Refice – deve essere collocato il cità di emergere non solo nella produzione cocompositore don Arnaldo Furlotti nato nel 1880 siddetta sacra, ma anche superlativamente in quele morto nel 1958. la teatrale. Notizie interessanti sulla Gli scritti di Gino Marchi, sua attività sono contenute Agostino Landini e Gino nel volume pubblicato dalla Gandolfi ci fanno inoltre casa editrice Tecnografica di comprendere quale risonanParma “Arnaldo Furlotti Il za abbia avuto la musica del sigaro sullo spartito”, antoloFurlotti con le rappresentagia di scritti vari, frutto delle zioni delle sue composizioni ricerche svolte con la compea Parma, a Marsiglia, a Viidi GIUSEPPE MARTELLI tenza e l’acribia consuete da puri (Finlandia), a Buenos Giuliano Colla e Gaspare Aires, a Montevideo e a Rio Nello Vetro, studiosi di storia de Janeiro. del melodramma soprattutto Risulta peraltro impossibidei territori dell’ex Ducato di le non evidenziare quale preParma, che sono riusciti a raccogliere articoli di zioso aiuto abbiano offerto agli autori collaboraepoche ed autori diversi a lui dedicati. tori quali il regista Mario Lanfranchi, che con tanGrazie a questo mosaico dalle tinte e dagli stili ta commovente sensibilità ci ha introdotto nel più variegati, i due autori ci hanno tramandato, mondo di Don Arnaldo Furlotti, Giuseppe Martioltre alla biografia compilata ni che in modo esaustivo ha nel 1945 da Renzo Martini ricostruito il ruolo musicale (altro compositore di cui il coperto dal nostro composigrande direttore d’orchestra tore durante il servizio come Gianandrea Gavazzeni ebbe cappellano nella chiesa di S. a dire “Musicista in limine Maria della Steccata e Raffatra musica e letteratura, di poella Nardella che ci ha deetica finezza, che esprime il scritto con dovizia di particocarattere gentilmente ducale lari la realtà del Conservatodi Parma, in contrasto alla rio negli anni in cui il Furalacre riottosità e sprezzatura lotti ha ricoperto la cattedra degli altri”), un insieme di di storia della musica e di bisplendide cartoline d’epoca, bliotecario. dalle quali emerge sempre Una sentita riconoscenza più definita la figura di un va, quindi tributata ai due uomo poliedrico dotato di autori di questo agile e piaceuna ragguardevole cultura. vole volume per aver salvato Maestro di cappella della dal mondo dell’oblio un aucattedrale di Parma, ricoprì al tore che, altrimenti, mai Conservatorio di quella città avremmo conosciuto e per la cattedra di storia della muaverci dato l’imput per andasica e di bibliotecario, contire a reperire e ad ascoltare le nuando a svolgere con dedicomposizioni di questo, inzione la sua missione di sagiustamente dimenticato, ficerdote e producendo una glio della terra generatrice di quantità notevolissima di cominnumerevoli artisti. Arnaldo Furlotti Il sigaro sullo spartito 46 Bella IN Parma EVENTI CITTÀ “Il 22 maggio riaprono i GIARDINO AIMI - Borgo Felino, 47 cancelli dei più bei giardini priSi incunea verso sud, stretto e lungo, terminando contro vati di Parma. Le precedenti la recinzione che isola un altro spazio verde (un tempo incorporato) e proseguendo la traiettoria dell’androne. edizioni di Giardini Aperti sono Patio al centro e loggetta al primo piano, con replica più state un successo. Sarà perché recente a livello strada, segnalano l’impronta gotica della si è andati a scoprire un patricasa. La facciata segue invece i precetti del liberty. Divermonio di gusto e bellezza che fa samente dalle architetture limitrofe, il fabbricato non è parte del dna di questa città e nobiliare con tanto di casate alle spalle. Molti sono perciò di chi la abita. Piccoli angoli i proprietari che si sono dati il camdi natura incastonati con grabio. Dal primo conosciuto, di zia nel tessuto cittadino che nome Franco Caprara, all’ultimo, Pietro Vignali possono, devono, ispirarci antuttora residente fin dagli anni Cinquanta. È la famiglia di Franche nel pensare la nostra citpresenta co Aimi, poeta dialettale e antità di oggi e di domani. Perché quario con la passione del collela fretta, la necessità del quozionismo d’arte. Il giardino dà il tidiano, l’invadenza del funbenvenuto con un vecchio glicizionale non offuschino il noa cura di ne, che un tempo avvolgeva intestro intimo bisogno del bello ramente l’accesso. È attraversato Angela Zaffignani Mezzatesta come rifugio dall’alienazione in lunghezza da un sentiero in e dallo stress. Un’esigenza che Testi di Paolo Dossi cotto con un cespuglio di bordura la natura, reintrodotta, curaaccanto al muro di cinta. Un Foto di Nicolò Costa hibiscus da regioni calde fa da senta, considerata non più un intinella dopo un angolo a orto, avantralcio ma un valore per chi zo di una coltivazione molto più vive in città, è in grado di apampia che contrassegnava il luogo assieme a una vivace pagare come nient’altro. I giardini storici, che grapopolazione di galline e anatre. zie ai proprietari disponibili si apriranno nuovamente nella prossima Primavera, lo dimostrano. Questa passeggiata nei giardini storici ci fornisce l’occasione di cogliere qualche indicazione, soprattutto simbolica, del rapporto che nel corso del tempo si è stabilito tra gli uomini e i giardini.” Giardini aperti PIETRO VIGNALI Assessore Mobilità e Ambiente Comune di Parma “Nel tempo i giardini sono stati lo specchio della mentalità umana, luoghi nei quali cercare qualcosa, mostrare qualcosa, attendere o fuggire, essere o apparire. Per molte persone il giardino è luogo di pace e di tranquillità, di fuga dall’esterno, punto di meditazione dove l’idea si trasforma in realtà. Aprire il proprio giardino è un gesto di grande generosità, perché il giardino è un ambiente intimo dove spesso ci rifugiamo per allontanarci dall’oppressione della vita quotidiana, per ritrovare la nostra interiorità. Giardini Aperti, luoghi privati nascosti da mura e da palazzi che in questa occasione si aprono alle visite delle persone appassionate di storia e di cultura della nostra città.” ANGELA ZAFFIGNANI MEZZATESTA Presidente Società Italiana Birdgarden NINFEO - Borgo Carissimi, 5 Andromeda figlia di Cefeo e Cassiopea che pretendeva di essere più bella delle Nereidi e allora queste si lamentarono con Poseidone che la fece incatenare a un faraglione per essere divorata da un serpente? Oppure Angelica esposta all’orca sugli scogli dell’Isola del Pianto e salvata da Ruggiero a cavallo dell’Ippogrifo? In ogni caso il motivo plastico del ninfeo svela una figura femminile, incatenata a uno scoglio e terrorizzata per l’aggressione di un mostro 47 Bella Parma monastero di fronte. La superficie è sempre la stessa dal ‘700, tracciata dal Sardi con due aiuole lunghe e sottili. Fino agli anni Cinquanta è protetta dal possedimento della Congregazione di San Filippo Neri e da una falegnameria. Ora un condominio moderno e una palazzina dall’aria liberty occhieggiano in modo sfacciato. Senza impedire tuttavia alla famiglia Schluderer, proprietaria da più di cent’anni, di vivere serenamente il giardino. Vi si accede da un corridoio lungo l’abitazione. Un cancelletto in ferro, ombreggiato da un fico, introduce il percorso verso la fontana eretta dopo l’ultimo passaggio di proprietà. In fondo sul muro di confine, attecchiscono un glicine dai grappoli violetti e un ligustro con il suo esteso fogliame. A sinistra invece la bordura ha come compagnia un acero campestre, un sambuco e un ippocastano. Tutti questo vivacizza l’area a prato di estetica medievale, circondata e difesa da muriccioli che l’edera contribuisce a sfumare. PARCO DI VILLA LAURA - Via Linati, 13 marino. Risale agli anni Venti, probabilmente copia di un’opera del XVIII secolo. Alla base una grande vasca accoglie le acque di una fontana: sottoterra scorreva la lunga canadella di Borgo delle Colonne. L’intera struttura ormai in stato di degrado continua a sgocciolare alcune parti sul verde ai suoi piedi. Nel feudo per tanto tempo della casata dei Carissimi sembrerebbe facile il loro accostamento alla citazione classica del ninfeo, ma non è così. L’opera staziona sulla parete di un piccolo ma grazioso spazio, forse tempo addietro era il fondale di un vecchio giardino che ora rimane tale solo dalla parte di Borgo Carissimi. Via Linati è frutto di un parto novecentesco sul verde che si allunga dai palazzi di Borgo Felino. Con la costruzione dello Stradone cresce una doppia fila di ville in stile liberty. Quella conosciuta come Villa Adele domina un’area GIARDINO SCHLUDERER - Borgo Felino, 17 Avanzo dei lotti incollati alle mura cittadine, si trova dietro un fabbricato secentesco un tempo accessorio del con alberi e piante di raro pregio, annientate anteriormente dall’ultima ristrutturazione vanificando la passione del proprietario che riesce a procurarsi le talee nel vicino Orto Botanico. Sopravvivono al loro posto invece le numerose specie sul retro, passate negli anni Cinquanta a contornare la casa dei vicini. I quali raddoppiano la cubatura e ingioiellano l’entrata con un pronao di ispirazione classica. Battezzata Villa Laura, dal nome della titolare di allora, l’abitazione appartiene ancora ai suoi discendenti. Per entrare è indispensabile passare attraverso il parco isolato da tigli monumentali. Superata la loro ombra, una sinfonia di colori eterogenei accompagna fino all’entrata. Risalta il bianco dei fiori di un’insolita veitchii giapponese, soprattutto lanciando un’occhiata dalle finestre. Uno scenario da villa di campagna più che da centro cittadino. 48 Bella Parma MOSTRE IN CITTÀ I l 21 Gennaio, nella Galleria San Ludovico cui i noti critici Renzo Margonari e Nicola Micieli di via Melloni si è inaugurata la mostra del noto che hanno firmato l’elegante catalogo progettato pittore parmigiano Orio Silvani. dal fotografo Paolo Candelari. L’artista ha una lunga e consolidata carriera Silvani è stato definito il “pittore delle emozioartistica che affonda le sue radici nelle esperienni” in quanto le sue opere vanno osservate lenze maturate presso l’Istituto d’Arte Paolo Toschi tamente come un brano d’opera, lasciando che di Parma e all’Accademia di Brera a Milano, da le luminose tele, i contrappunti cromatici, le pulcui è uscito a metà degli sazioni dei segni materici reanni Cinquanta, mettendo alizzati, penetrino in noi svea profitto le lezioni di scenolando l’espressione poetica Appuntamenti d’arte grafia lavorando presso il dell’artista parmigiano. Piccolo Teatro di Milano e Le superfici grumose, al Teatro Due della nostra scabre, solcate da spaccatucittà. re che lasciano intravedere Insegnante di disegno, il fondo buio e tenebroso, nella sua lunga carriera artiricordano paesaggi spaziali stica Silvani vanta numerofatti di lune o lontane gase mostre personali e colletlassie, saggiamente mescodi MAURO FURIA tive in varie città italiane e, late a caldi colori che suscirecentemente, alcune sue tano fantastiche visioni in opere sono entrate a far parchi osserva le opere. te della raccolta delle Collezioni d’Arte della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza SpA e della MOSTRE PERSONALI prestigiosa Galleria d’Arte Moderna “Ricci Oddi” 1961 - Gall. S. Andrea - Parma • 1962 - Gall. “La Perla” - Modi Piacenza. dena • 1963 - Gall. d’arte Cologno - Biella • 1964 Gall. La presenza di un qualificato e numeroso pubE.I.D.A.C. - Milano - Gall. S. Stefano - Venezia • 1965 - Gall. S. Andrea - Parma • 1968 - Sala di esposizione “Guerra” - Parblico ha fatto da cornice alla manifestazione, tra “Orio Silvani il pittore delle emozioni” ma • 1971 - Gall. “La Cornice” - Parma - Gall. “Dello Scudo” - Verona • 1972 - Gall. “Il Chiodo” - Viadana (MN) - Gall. “Teatro Minimo” - Mantova - Gall. “La Polena” - Forte dei Marmi Gall. “Angolare” - Milano • 1973 - Gall. “Teatro Minimo” Mantova - Gall. S. Chiara - Parma • 1974 - Gall. “Alpone” - S. Bonifacio (VR) - Gall. “La Polena” - Forte dei Marmi - Gall. “Dello Scudo” - Verona • 1975 - Gall. “L’incontro” - Ostiglia (MN) - Gall. S. Chiara - Parma • 1976 - Gall. “Il Quadrifoglio” - Roncoferrato (MN) • 1977 - Centro Attività Visive - Palazzo dei Diamanti - Ferrara - Gall. 9 - Mantova • 1978 - Gall. “L’incontro” - Modena • 1979 - Gall. “Il Triangolo” - Cremona • 1981 - Gall. “Aglaia” - Firenze • 1983 - Gall. “9 Colonne” Bergamo • 1984 - Centro Steccata - Parma • 1985 - Arte Fiera - Bologna • 1986 - Arte Fiera - Bologna • 1987 - Assessorato Attività Culturali Parma - Le stanze di S. Paolo • 1990 - Libreria “Passato & Presente” - Parma • 1991 Centro Studi “Valle del Ceno” - Castello di Bardi (PR) • 1993 - Studi d’Arte “R.M.” S. Margherita Ligure (GE) - “Colore e segno” - Centro Culturale Collecchio (PR) • 1995 - Museo d’Arte Moderna - Gazoldo degli Ippoliti (MN) - Gall. San Rocco - Colorno (PR) • 1996 Centro Assicurazioni I.N.A. - Parma - Harry’s Bar - Francavilla al mare (PS) • 1998 - “Artebianca” - Biblioteca Monumentale di S. Giovanni Evangelista - Parma - “Rosso, Nero, Bianco” Centro Culturale E. Manini - Parma • 2000 - Centro Civico Comunale - Sorbolo (PR) • 2002 - Gall. “Briciole d’Arte” - Parma - Gall. Espais d’Arte Acea’s - Barcellona (Spagna) - Mall Galleries - Londra (Inghilterra) • 2003 - Museo d’Arte Contemporanea l’Albornoz Palace Hotel - Spoleto (PG) • 2004 - “I Martedì della Cassa” (Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A.) - Sede Piacenza - XXXI Premio Sulmona (AQ). LA RICETTA DELLA NONNA I coristi di Parma li ho sempre pensati così GIORGIO TORELLI La Società Parmense di Lettura e Conversazione Il monumento a Giuseppe Verdi GIULIANO COLLA Un Cenacolo Domenicano in Oltretorrente: il Monastero di S. Domenico ROBERTO MORA Cibi e abitudini alimentari di fine ’400 nel: “De partibus aedium” del Grapaldo ANNA CERUTI BURGIO Edizioni della Divina Commedia di interesse parmense CARLO ANTINORI Arte e collezionismo a Palazzo Venezia UBALDO DELSANTE Alfredo Edel MARIA TANARA SACCHELLI Due illustri colornesi del Primo Novecento RINO TAMANI - BARBARA MENONI 1915-2005 - La nascita dello scautismo a Parma MAURO FURIA Pittrici dell’Accademia di Belle Arti di Parma ANNA CERUTI BURGIO La spinetta CLAUDIO BARGELLI Ala me cité GIOVANNI REVERBERI Anche il modo di questuare è cambiato LORENZO SARTORIO Prigionieri di guerra GIUSEPPE MENONI Ah, gli americani, gli americani! GIOVANNI FAVALESI Arnaldo Furlotti - Il sigaro sullo spartito GIUSEPPE MARTELLI Giardini aperti PIETRO VIGNALI - ANGELA ZAFFIGNANI MEZZATESTA “Orio Silvani il pittore delle emozioni” MAURO FURIA