Capitolo Primo La rappresentanza politica

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Capitolo Primo La rappresentanza politica
Capitolo Primo
La rappresentanza politica
Sommario: 1. Premessa. - 2. Il diritto di voto. - 3. I partiti politici. - 4. Le primarie. - 5. I
sistemi e le formule elettorali. - 6. La legge elettorale. - 7. La riforma elettorale in discussione: il cd. Italicum. - 8. Il diritto di petizione popolare. - 9. La parità di accesso alle
cariche elettive. - 10. I doveri inderogabili.
1. Premessa
L’articolo 1 della Costituzione italiana stabilisce che l’Italia è una Repubblica
democratica. La democrazia è quella forma di governo che consente un’attiva
partecipazione del popolo alla vita politica del Paese.
Secondo lo stesso articolo 1, la sovranità spetta al popolo, che la esercita nei
modi e nei limiti della Costituzione. Il popolo, per quanto ne sia l’unico titolare, non
esercita di regola la sovranità in modo diretto, esprimendo cioè la propria opinione
su ogni questione (democrazia diretta), ma in modo indiretto, eleggendo dei propri
rappresentanti con il compito di fare gli interessi proprio partito. L’Italia è, quindi,
prevalentemente una democrazia rappresentativa, anche se, soprattutto attraverso i referendum, il popolo è chiamato a decidere in prima persona questioni di
grande impatto sociale.
Nel nostro ordinamento, così come in tutti gli altri sistemi democratici, per scegliere i propri rappresentanti si ricorre all’intermediazione dei partiti, formazioni
sociali in grado di orientare le attività e le scelte politiche dei cittadini.
2. Il diritto di voto
A) Il corpo elettorale
Il corpo elettorale costituisce l’insieme degli individui dotati della cittadinanza
e del diritto di elettorato attivo (MAZZIOTTI DI CELSO, SALERNO). Conseguentemente dal corpo elettorale vanno distinti i concetti di popolo, cioè l’insieme dei
cittadini italiani, indipendentemente dall’essere o meno titolari del diritto di voto, e
di popolazione, cioè l’insieme indifferenziato degli individui presenti sul territorio
italiano. In questo senso, rientrano nel concetto di corpo elettorale anche i cittadini italiani residenti all’estero cui la L. cost. n. 1/2000 ha riconosciuto il diritto di
partecipazione politica.
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B) L’elettorato attivo
La capacità di votare, vale a dire di esprimere la propria volontà politica attraverso il voto, si definisce elettorato attivo.
Data l’importanza del voto nelle moderne democrazie, la Costituzione italiana
ne disciplina la titolarità e le modalità d’esercizio all’art. 48.
In particolare, al comma 1 si prevede che possono essere elettori coloro che
sono in possesso dei seguenti requisiti positivi:
1. la cittadinanza italiana;
2. la maggiore età, vale a dire il 18° anno di età (per il Senato tale requisito è elevato a 25 anni).
Il comma 4, invece, stabilisce che il diritto di voto può essere limitato solo in
presenza dei seguenti requisiti negativi:
1. incapacità civile;
2. effetto di sentenza penale irrevocabile;
3. casi di indegnità morale indicati dalla legge.
In particolare, in base all’art. 2 D.P.R. n. 223/1967 (da ultimo modificato con D.Lgs. n.
5/2006) non sono elettori:
— coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione
di cui all’art. 3 L. n. 1423/1956, come da ultimo modificato dall’art. 4 della L. n. 327/1988,
finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi;
— coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, a misure di sicurezza
detentive o alla libertà vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o
più province, a norma dell’art. 215 c.p., finché durano gli effetti dei provvedimenti
stessi;
— i condannati all’interdizione perpetua dai pubblici uffici;
— coloro che sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata.
C) Caratteri del voto
L’art. 48 prevede che tutti i cittadini, uomini e donne, sono elettori e che il voto
è personale ed eguale, libero e segreto: il suo esercizio costituisce un diritto politico, ma anche un dovere civico.
Da tale disposizione si ricavano i seguenti principi:
— suffragio universale («tutti i cittadini»): per cui l’ammissione al voto non può
essere subordinata a condizioni di carattere economico o culturale come si
verificava, invece, fino alla riforma elettorale del 1912; né possono sussistere
discriminazioni di sesso: in Italia il voto alle donne è stato concesso soltanto
nel 1946, e poi riaffermato come diritto inviolabile, in seguito al riconoscimento
dell’eguaglianza tra i sessi affermata nella Costituzione;
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— personalità del voto: unico modo per votare nel nostro ordinamento è quello
di recarsi personalmente alla sezione elettorale e di segnare di proprio pugno e
segretamente la scheda.
Tale caratteristica conosce un’eccezione in seguito all’approvazione della legge sul voto
degli italiani all’estero (L. 27-12-2001, n. 459, di attuazione dell’art. 48 Cost. come modificato dalla L. cost. 1/2000). L’art. 1, comma 2, di tale legge, infatti, stabilisce che gli elettori appartenenti alla circoscrizione estero (vale a dire i cittadini italiani residenti all’estero)
possono esercitare il loro diritto di voto anche per corrispondenza.
La legge elettorale, inoltre, consente agli elettori fisicamente impediti di farsi assistere
nella cabina elettorale da altro elettore, volontariamente scelto come accompagnatore ed
iscritto nelle liste elettorali di qualsiasi Comune della Repubblica. Particolari facilitazioni
sono previste per i degenti in luoghi di cura e per i marittimi imbarcati o in navigazione.
Inoltre, il D.L. n. 1/06, conv. con modif. dalla L. 27 gennaio 2006, n. 22, modificata dalla L.
7 maggio 2009, n. 46, ha previsto che l’elettore affetto da gravissime infermità, tali
da impedire l’allontanamento dall’abitazione in cui dimora anche con l’ausilio dei servizi
di cui all’art. 29 della L. n. 104/92 (accompagnamento al seggio con trasporto pubblico
dell’Amministrazione) e l’elettore che si trovi in condizioni di dipendenza continuativa e vitale da apparecchiature elettromedicali, deve far pervenire tra il quarantesimo
ed il ventesimo giorno antecedente la data della votazione, al Sindaco del Comune nelle
cui liste elettorali è iscritto, una dichiarazione in carta libera attestante la volontà di
esprimere il voto presso l’abitazione in cui dimora indicandone il completo indirizzo.
Alla dichiarazione deve essere allegato un certificato medico rilasciato dal funzionario
medico, designato dalla competente ASL con data non anteriore al quarantacinquesimo
giorno antecedente la data della votazione, da cui risulti l’esistenza di infermità fisica;
— eguaglianza del voto: sono esclusi i voti plurimi riservati a determinate categorie di persone (es.: elettori laureati che possono votare due volte) ed i voti
multipli (consentire ad alcuni elettori di votare in più circoscrizioni);
— segretezza del voto: stabilita a tutela della libertà del voto, per garantire l’elettore da possibili pressioni esterne.
A tale proposito, l’art. 1 del D.L. 1° aprile 2008, n. 49, conv. dalla L. 30 maggio 2008, n. 96,
prevede che nelle consultazioni elettorali o referendarie è vietato introdurre all’interno
delle cabine elettorali telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o
registrare immagini;
— libertà del voto: per il principio di libera manifestazione delle proprie idee, deve
essere concesso ad ogni elettore la facoltà di attribuire il proprio voto a chi ritenga più opportuno, senza coazioni di sorta;
— non obbligatorietà del voto: l’art. 48, comma 2, Cost. stabilisce che l’esercizio
del diritto di voto costituisce «dovere civico». L’infelice e fuorviante espressione costituzionale rappresenta una delle più oscure formule di compromesso
raggiunte in sede costituente, dettata forse dalla necessità di accontentare in
qualche modo coloro che sostenevano l’obbligatorietà morale del voto.
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Con il D.Lgs. 534/1993 è stato abrogato l’art. 115 del D.P.R. n. 361/1957 che sanciva
l’iscrizione in un elenco esposto per 30 giorni nell’albo comunale e la menzione «non ha
votato» nel certificato di buona condotta, in quanto giudicato una grave e illegittima interferenza con la libertà di opinione politica.
D) L’elettorato passivo
L’elettorato passivo consiste nella capacità di ricoprire cariche elettive.
Possono, tuttavia, sussistere situazioni, previste dalla legge, che impediscono
l’eleggibilità, per cui, qualora il candidato venga eletto, l’elezione è invalida e inefficace. Si parla in tal caso di ineleggibilità.
Si parla, invece, di incompatibilità quando l’eletto si trova in una situazione per
la quale, se vuole conservare la carica validamente assunta, deve rinunziare ad
altra carica incompatibile con la prima.
Per il principio di coincidenza tra elettorato attivo e passivo, di regola chiunque
è elettore è, a sua volta, anche eleggibile. Per l’appartenenza alla Camera dei deputati, tuttavia, l’età non può essere inferiore a 25 anni, per il Senato a 40.
E) Ineleggibilità
Le ipotesi di ineleggibilità alla Camera dei deputati sono individuate dal D.P.R.
361/1957 (T.U. delle leggi per l’elezione della Camera dei deputati) e successive
modifiche, cui l’art. 5 del D.Lgs. 533/1993 fa rinvio per l’elezione del Senato.
In base all’art. 7 del suddetto T.U., sono ineleggibili:
— i Presidenti delle Giunte provinciali;
— i Sindaci dei Comuni con più di 20.000 abitanti;
— il capo e il vice capo di polizia e gli ispettori generali di pubblica sicurezza;
— i capi di Gabinetto dei Ministeri;
— i Prefetti, i vice Prefetti e i funzionari di pubblica sicurezza;
— gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle Forze armate dello
Stato nella circoscrizione del loro comando territoriale.
Secondo la modifica introdotta dall’art. 9 della L. 459/2001 tali cause di ineleggibilità sono
riferite anche alla titolarità di analoghe cariche, ove esistenti, rivestite presso corrispondenti
organi in Stati esteri.
In base agli artt. 8 e 9 sono, invece, ineleggibili:
— i magistrati, esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori, nelle circoscrizioni sottoposte totalmente o parzialmente alla giurisdizione degli uffici ai quali si
sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura;
— i diplomatici, i consoli, i vice-consoli, gli ufficiali, retribuiti o no, addetti alle ambasciate, legazioni e consolati esteri, tanto residenti in Italia quanto all’estero, e
tutti coloro che abbiano impiego da Governi esteri.
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In base all’art. 10 sono ineleggibili coloro che hanno determinati rapporti di
natura economica con lo Stato.
Infine, in base all’art. 7 della L. 11 marzo 1953, n. 87, anche i giudici della Corte
costituzionale non possono essere candidati nelle elezioni politiche.
F) Incompatibilità
L’incompatibilità designa quella situazione per cui una medesima persona non
può ricoprire contemporaneamente due cariche. Chi si trova in tale condizione
deve optare per l’una o l’altra, altrimenti è lo stesso ordinamento che lo fa automaticamente decadere da una delle due cariche.
Pertanto l’incompatibilità, a differenza della ineleggibilità, non impedisce la
regolare elezione ad una carica: impone solo una scelta fra la nuova carica e
quella già ricoperta. Così, ad esempio, la Costituzione stabilisce che sono incompatibili la carica di deputato e quella di senatore (art. 65).
È inoltre incompatibile con lo status di parlamentare l’assunzione delle seguenti cariche:
Presidente della Repubblica (art. 84 Cost.), membro del Consiglio Superiore della Magistratura (art. 104 Cost.), membro di un Consiglio o di una Giunta regionale (art. 122 Cost.), membro
della Corte costituzionale (art. 135 Cost.), membro del Parlamento europeo (art. 5bis, L. 18/1979
aggiunto dalla L. 78/2004), membro del CNEL (art. 8, L. 936/86), membro di assemblea legislativa o di organo esecutivo, nazionali o regionali, in Stati esteri (art. 1bis, L. 60/53 aggiunto
dalla L. 459/2001 sul voto degli italiani all’estero), qualsiasi altra carica pubblica elettiva di
natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi alla data di
indizione delle elezioni o della nomina popolazione superiore a 5.000 abitanti (art. 13, D.L.
138/2011 conv. con modif. in L. 148/2011).
Da ultimo, va segnalato il D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39 che prevede, fra l’altro,
le seguenti incompatibilità con la funzione di parlamentare:
— gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo
nelle aziende sanitarie locali, se la funzione di parlamentare è stata esercitata
nell’anno precedente (art. 8, comma 3);
— gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e
locali e gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello nazionale, regionale e locale, unitamente alla carica di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice
Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo (art.
11, comma 1);
— gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli
enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale, regionale e locale, unitamente con l’assunzione, nel corso dell’incarico,
della carica di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario
di Stato e commissario straordinario del Governo (art. 12, comma 2);
— gli incarichi di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in
controllo pubblico, di livello nazionale, regionale e locale, unitamente alla carica
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di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e di
commissario straordinario del Governo (art. 13, comma 1);
— gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo
nelle aziende sanitarie locali, unitamente alla carica di Presidente del Consiglio,
Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del
Governo, di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo
pubblico nazionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento
del servizio sanitario nazionale (art. 14, comma 1).
G) Incandidabilità
Differenti dall’ineleggibilità e incompatibilità sono le ipotesi di incandidabilità
recentemente approvate dal D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 che ha dettato un
riordino della disciplina per quanto concerne le fattispecie inerenti le Regioni e gli
enti locali e ha previsto (finalmente) i casi riguardanti i parlamenti e coloro che ricoprono incarichi di governo.
In particolare, non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore coloro che hanno riportato condanne definitive a:
— pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti
dall’art. 51, commi 3bis e 3quater, c.p.p.;
— pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, commessi dai pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione;
— pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o
tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo
a quattro anni, ex art. 278 c.p.p.
Allo stesso modo, coloro che si trovano in tali condizioni non possono ricoprire
incarichi di governo.
L’accertamento dell’incandidabilità comporta la cancellazione dalla lista dei
candidati.
L’incandidabilità derivante da sentenza definitiva di condanna per tali delitti
decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria
dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice. In ogni caso
non è inferiore a sei anni.
Qualora la condizione di incandidabilità sopravvenga o sia accertata successivamente e prima della proclamazione degli eletti si procede alla dichiarazione di
mancata proclamazione nei confronti del soggetto incandidabile.
Qualora una causa di incandidabilità sopravvenga o comunque sia accertata nel
corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione.
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Nel caso in cui il delitto che determina l’incandidabilità o il divieto di assumere
incarichi di governo è stato commesso con abuso dei poteri o in violazione dei doveri connessi al man dato elettivo, di parlamentare nazionale o europeo, o all’incarico di Governo, la durata dell’incandidabilità o del divieto é aumentata di un terzo.
H) Il voto degli italiani residenti all’estero
L’art. 48 Cost. è stato modificato dalla L. cost. 17-1-2000, n. 1, che ha inserito
un nuovo comma dopo il secondo, riconoscendo ai cittadini italiani residenti
all’estero l’esercizio del diritto di voto. La norma dispone che la «legge stabilisce
i requisiti e le modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero e ne assicura l’effettività». A questo scopo istituisce una circoscrizione
Estero per l’elezione delle Camere.
Il secondo tassello della procedura volta a consentire il voto agli italiani all’estero è stato aggiunto con la L. cost. 23-1-2001, n. 1, con la quale si è provveduto
all’effettiva individuazione del numero dei deputati e dei senatori che appartengono alla neo istituita circoscrizione Estero. Attraverso una modifica degli
artt. 56 e 57 della Costituzione, alla nuova circoscrizione della Camera sono stati
attribuiti 12 deputati mentre a quella del Senato 6 senatori.
Tuttavia affinché gli italiani all’estero potessero effettivamente esercitare il loro
diritto di voto mancava ancora un altro passaggio. L’istituzione della circoscrizione
estero comportava, infatti, l’approvazione di una legge che stabilisse sia le concrete
modalità di svolgimento di tali consultazioni, sia una nuova suddivisione delle circoscrizioni nazionali per tener conto del diminuito numero di parlamentari eletti in Italia.
Tale legge è stata approvata soltanto sul finire del 2001 (L. 27 dicembre 2001,
n. 459, recante norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani
residenti all’estero) e ha stabilito, insieme con il suo regolamento di attuazione, il
D.P.R. 104/2003, le disposizioni di applicazione per consentire un effettivo esercizio
del diritto di voto agli italiani residenti fuori dal nostro Paese.
3. I partiti politici
A) Nozione
Sono associazioni di persone con comuni ideologie e interessi che, attraverso
una stabile organizzazione, mirano ad esercitare un’influenza sulla determinazione
dell’indirizzo politico del paese.
Il loro fondamento costituzionale si rinviene nell’art. 18, secondo cui «i cittadini
hanno diritto ad associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono
vietati ai singoli dalla legge penale».
L’art. 49 dispone, inoltre, che «tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale».
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B) Divieti
I partiti politici non possono:
— assumere la forma di «associazione segreta», né presentare carattere di organizzazione militare, per l’espresso divieto dell’art. 18 Cost.;
— assumere simboli o contrassegni che possano confondersi con simboli altrui
o che riproducano immagini religiose;
— riorganizzare, sotto qualsiasi forma, il disciolto partito fascista (disp. trans. XII
Cost.);
— annoverare tra i loro iscritti (ex art. 98 Cost.) le seguenti categorie di cittadini:
1.
2.
3.
4.
i militari di carriera in servizio permanente effettivo;
gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria;
i magistrati;
i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero.
C) Il finanziamento pubblico dei partiti
I partiti politici per svolgere la loro attività necessitano di una certa disponibilità
economica, che copra le spese di organizzazione, propaganda ecc. I finanziamenti provengono dalla quota di iscrizione al partito e da finanziamenti privati.
Il sistema del finanziamento pubblico è stato rivisto ad opera della L. 3-6-1999,
n. 157. Rispetto al passato, almeno formalmente, i partiti italiani non sono più finanziati dallo Stato, ma ricevono un rimborso per le spese sostenute durante le campagne elettorali.
A tale scopo sono stati istituiti quattro fondi, corrispondenti agli organi da rinnovare: Senato, Camera, Consiglio regionale e Parlamento europeo.
Tale legge è stata più volte modificata soprattutto al fine di ridurre l’importo del
finanziamento ritenuto eccessivo e mal gestito.
In particolare, attraverso la L. 6-7-2012, n. 96 è stato previsto il dimezzamento dei finanziamenti.
La L. 96/2012 prevede, inoltre, la decurtazione del 5% dei finanziamenti a quei
partiti che non garantiscano un’adeguata rappresentanza di donne in lista, il che
accade se il numero dei candidati del medesimo genere sia superiore ai due terzi
del totale (art, 1, comma 7).
Per concorrere al contributo i partiti e i movimenti politici devono aver conseguito almeno il 2 per cento dei voti validi espressi nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati o almeno un candidato eletto sotto il proprio simbolo alle elezioni
per il rinnovo del Parlamento, dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia,
dei consigli regionali o dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano.
Tale importo è suddiviso in misura eguale in quattro fondi, uno per ciascuna
elezione. Per ogni fondo, a ciascun partito o movimento politico spetta un rimborso
massimo proporzionale al numero di voti validi conseguiti nell’ultima elezione.
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Di non poco conto è l’introduzione della norma che prevede per l’accesso ai
contributi l’obbligo per i partiti e movimenti politici di dotarsi di un atto costitutivo o di uno statuto pubblici, da trasmettere in copia ai Presidenti delle due
Camere entro 45 giorni dalla data di svolgimento delle elezioni. Tale statuto deve
essere conformato a principi democratici nella vita interna, con particolare
riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli
iscritti (art. 5, comma 1).
È stata, infine, istituita la Commissione per la trasparenza e il controllo dei
bilanci dei partiti e dei movimenti politici, composta da 5 magistrati (1 designato dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, 1 dal Presidente del Consiglio di
Stato, 3 dal Presidente della Corte dei conti), cui è affidato il compito di controllare
i rendiconti dei partiti.
Da ultimo, con D.L. 28 dicembre 2013, n. 149, conv. con modif. in L. 21 febbraio 2014, n. 13, il Governo ha dettato una nuova e importante riforma.
In particolare, l’art. 12 prevede la possibilità per i cittadini di destinare ai partiti
il 2 per mille delle proprie dichiarazioni dei redditi. Tuttavia, le quote non espressamente indicate restano allo Stato e non vengono ridistribuite.
L’art. 10 del decreto fissa anche in 100 mila euro l’anno la somma che può essere destinata alle formazioni politiche, con una detrazione fiscale del 26% per
importi compresi tra 30 euro e 30 mila euro annuo. È consentito, infine, ai partiti di
finanziarsi anche con sms o iniziative simili (art. 13).
4. Le primarie
Il dibattito sulla democraticità interna dei partiti e sulla possibilità di un più saldo raccordo tra eletti ed elettori si è ulteriormente sviluppato negli ultimi anni,
concentrandosi soprattutto sulla scelta dei candidati da presentare agli elettori.
Con l’introduzione della formula delle elezioni primarie, si consente ai cittadini di incidere direttamente sulla scelta del leader e, conseguentemente, dei candidati da presentare alle consultazioni elettorali e sottrae, seppur parzialmente, tale
scelta alle segreterie di partito.
Le primarie sono tipiche del sistema statunitense, dove si ricorse ad esse già ai
primi del Novecento per scegliere i candidati che i partiti presentano alle consultazioni per il Parlamento. Le primarie hanno così facilitato un più intenso raccordo tra la
gente ed i candidati, limitando la possibilità dei partiti di imporre i propri uomini. Negli
Stati Uniti, però, i partiti sono delle semplici compagini elettorali, istituzionalmente
privi di ideologie radicali, che riconoscono nel modello americano il migliore possibile.
In Italia, invece, sono presenti partiti con radicate tradizioni storiche e precisi
riferimenti ideologici, capaci di sottoporre i propri candidati ed eletti ad una rigida
disciplina e di operare capillarmente su tutto il territorio nazionale.
Per quanto la diversità strutturale italiana costituisca una potenziale incognita
circa la capacità delle primarie di conferire maggiore legittimità democratica ai
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candidati che si presentano alle elezioni il loro utilizzo si è diffuso anche in Italia,
sebbene quasi esclusivamente nelle forze politiche di centro-sinistra (da ultimo va
ricordata l’elezione del 15 dicembre 2013 di Matteo Renzi a Segretario del Partito
Democratico).
5. I sistemi e le formule elettorali
I sistemi elettorali possono definirsi come quel complesso di regole e di procedure che:
— determinano le modalità con cui gli elettori esprimono il loro voto;
— concedono ai partiti presentatisi alle elezioni la rappresentanza parlamentare;
— dettano le modalità con cui i voti vengono tradotti in seggi.
È comunque importante distinguere tra formula elettorale e sistema elettorale. La prima riguarda solo il meccanismo di traduzione dei voti in seggi; il secondo concerne anche la ripartizione delle circoscrizioni, la disciplina dell’informazione
politica, della propaganda elettorale etc.
Tre sono le formule elettorali che possono evidenziarsi:
1. a maggioranza assoluta (majority): richiedono la maggioranza assoluta (50% + 1) dei
suffragi espressi per l’attribuzione del seggio. Esse operano in circoscrizioni cosiddette
uninominali, nelle quali cioè viene eletto un solo candidato. Difficilmente si ricorre a tali
formule allo stato puro, perché esse possono produrre situazioni di stallo, nelle quali
nessun partito o candidato riesce a raggiungere il quorum necessario per aggiudicarsi il
seggio in palio;
2. a maggioranza relativa (plurality): anch’esse operano in circoscrizioni uninominali e richiedono la maggioranza relativa per l’assegnazione del seggio;
3. proporzionali: si propongono di assicurare a ciascun partito un numero di seggi rapportato alla sua forza politica e alla distribuzione effettiva degli elettori su tutto il territorio
nazionale. Consentono, inoltre, un’adeguata rappresentanza delle forze politiche minoritarie che, invece, i sistemi maggioritari tendono a penalizzare.
6. La legge elettorale
Il sistema elettorale adottato in Italia per l’elezione del Parlamento non è indicato nella
Carta costituzionale, che demanda alla legislazione ordinaria il compito di disciplinare tale
materia.
Il sistema elettorale italiano è disciplinato dalla L. 21-12-2005, n. 270 (anche definita Porcellum dal politologo Giovanni Sartori dopo che il suo principale relatore Roberto Calderoli
l’aveva giudicata «una porcata») i cui punti qualificanti sono:
— la suddivisione del territorio nazionale in 27 circoscrizioni per l’elezione della Camera
e 20 per il Senato. L’attribuzione dei seggi si realizza su base proporzionale in ragione
delle percentuali di consensi ottenute da partiti e coalizioni su scala nazionale alla Camera e su scala regionale al Senato;
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— il premio di maggioranza, che assicura alla coalizione vincente 340 seggi alla Camera,
qualora non li abbia già ottenuti. Al Senato opera, invece, un premio di coalizione regionale, in virtù del quale la coalizione che ottiene più voti in una Regione potrà disporre di
almeno il 55% dei seggi attribuiti a quella Regione;
— le soglie di sbarramento. Alla Camera partecipano alla ripartizione dei seggi le coalizioni con almeno il 10% dei consensi, i partiti non collegati con almeno il 4% ed i partiti che,
nell’ambito di una coalizione, ottengono almeno il 2%. È, inoltre, previsto che partecipi al
riparto dei seggi anche la lista che, nell’ambito di una coalizione, ha ottenuto il miglior
risultato pur non superando il 2%. Al Senato le soglie di sbarramento sono il 20% per le
coalizioni, l’8% per i partiti non coalizzati e il 3% per i partiti facenti parte di una coalizione (o dell’8% se la coalizione non ha raggiunto il 20% dei consensi);
— le liste bloccate. Sulla scheda elettorale è consentito apporre un solo segno, sul simbolo della lista prescelta: in tal modo entrano in Parlamento i candidati in ordine di lista;
— il deposito da parte dei partiti che si candidano a governare, contestualmente al deposito
del contrassegno, del programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome
della persona da loro indicata come capo della forza politica;
— la sottoscrizione delle liste presentate. Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti
costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura in corso
al momento della convocazione dei comizi, né per i partiti o gruppi politici collegati con
almeno due altri partiti o gruppi politici e che abbiano conseguito almeno un seggio in
occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo;
— la tutela delle minoranze linguistiche, le cui liste nelle Regioni a statuto speciale possono accedere al riparto dei seggi qualora superino la soglia del 20% dei voti validi. Ai
partiti ed ai gruppi politici rappresentativi delle minoranze linguistiche, inoltre, nel caso
abbiano ottenuto almeno un seggio alla Camera o al Senato alle precedenti elezioni, non
è richiesta alcuna sottoscrizione all’atto della presentazione delle liste.
Da ultimo, va segnalato come la Corte costituzionale con sent. 1/2014 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un
premio di maggioranza (sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica) alla lista
o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.
La Consulta ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono
la presentazione di liste elettorali «bloccate», nella parte in cui non consentono all’elettore di
esprimere una preferenza.
7. La riforma elettorale in discussione: il cd. Italicum
All’indomani della sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la
L. 270/2005, il Parlamento ha proceduto all’esame del disegno di legge, scaturente
dall’accordo dei leaders dei due maggiori partiti italiani PD e Froza Italia, riguardante l’approvazione di una nuova legge elettorale.
La nuova legge elettorale (cd. Italicum), ancora all’esame del Parlamento, non
prevede norme per l’elezione del Senato, in considerazione della sua annunciata
abrogazione.
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Parte Seconda: L’ordinamento della Repubblica italiana
In particolare, i punti qualificanti l’Italicum, che costituisce un sistema elettorale proporzionale, sono:
— un premio di maggioranza per chi supera il 37%: al fine di garantire una
governabilità che assicura la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione
vincente, bisogna superare la soglia del 37% dei voti;
— il doppio turno se nessuno supera la soglia del 37%: in particolare, i primi
due partiti o coalizioni si sfidano in un doppio turno per l’assegnazione del premio. Il vincitore ottiene 327 seggi, i restanti 290 vanno agli altri partiti (non sono
calcolati i deputati eletti all’estero);
— una soglia di sbarramento: 4,5% per i partiti in coalizione, l’8% al di fuori, 12% per le coalizioni;
— l’impossibilità di esprimere preferenze: resta il cd. sistema delle liste bloccate, non potendo gli elettori esprimere preferenze; è questo uno dei nodi che
dovrà essere sciolto alla luce della sentenza 1/2014 che dichiara l’incostituzionalità delle liste bloccate;
— la presentazione di liste paritarie: le liste dei candidati dovranno garantire la
presenza di uomini e donne al 50% ma senza alternanza obbligatoria. Le liste
potranno avere fino a due uomini di seguito.
8. Il diritto di petizione popolare
Con l’esercizio di tale diritto i cittadini portano a conoscenza del Parlamento
determinate situazioni o necessità, chiedendo alle Camere di esaminarle e di provvedervi attraverso lo strumento legislativo (art. 50 Cost.).
Ciascuna Camera, ricevuta una petizione, può tenerne conto, archiviarla o abbinarla ad un eventuale progetto di legge sulla stessa materia o invitare il Governo
a presentare un disegno di legge sul medesimo oggetto.
Il diritto di petizione può essere esercitato più facilmente dell’iniziativa legislativa popolare, perché:
— spetta a tutti i cittadini, anche se non iscritti nelle liste elettorali;
— non richiede particolari formalità, eccettuata l’autenticazione della firma del
proponente;
— può essere esercitato da una singola persona o da gruppi di persone;
— non richiede la formulazione di un disegno di legge vero e proprio, come invece
è previsto per l’esercizio dell’iniziativa legislativa popolare.
9. La parità di accesso alle cariche elettive
In base all’art. 51 Cost. tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere alle cariche elettive.
Capitolo Primo: La rappresentanza politica
95
Nonostante il principio solennemente affermato dall’art. 51 della Carta costituzionale sulla parità tra i sessi nell’accesso alle cariche elettive, la realtà dimostra che tale uguaglianza è ben lontana dall’essersi realizzata: ancora oggi, nel
Parlamento eletto nel 2008, la percentuale della rappresentanza femminile risulta
inferiore al 20%.
Il lungo iter del principio di pari opportunità ha trovato completa attuazione con
la L. cost. 30 maggio 2003, n. 1 che introduce un nuovo periodo al primo comma
dell’articolo 51 Cost. Riprendendo quanto affermato nella prima parte del comma
(«Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e
alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla
legge»), il periodo aggiunto recita: «A tal fine la Repubblica promuove con appositi
provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Con tale modifica si è fornita la copertura costituzionale per l’adozione di provvedimenti legislativi ad hoc che
possano incentivare la partecipazione femminile alla vita pubblica, superando le
obiezioni mosse in precedenza dalla Corte costituzionale.
10.I doveri inderogabili
A) Principi generali
L’art. 2 Cost., accanto ai diritti inviolabili, richiede l’adempimento dei «doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Per «doveri inderogabili»
si devono intendere quei doveri dal cui adempimento nessun soggetto può essere
esentato in quanto espressione del principio di solidarietà.
Il richiamo a tali doveri contenuto nell’art. 2, comma 2, Cost. si collega al principio dell’uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3, comma 2, Cost. Entrambe le
norme impongono ai singoli di contribuire alla crescita democratica della società,
soprattutto attraverso attività che abbiano un’utilità sociale nelle quali possa concretizzarsi il valore della solidarietà.
L’attuale forma di Stato sociale rende indispensabile, pertanto, che ciascun
cittadino adempia a quei doveri di solidarietà (menzionata come fraternità nella
Costituzione francese) necessari per il rispetto della altrui sfera di autonomia e per
assicurare la pacifica convivenza collettiva.
B) La difesa della Patria
Tra i doveri inderogabili di solidarietà politica menzionati nell’art. 2 della Costituzione si inserisce il dovere di difesa della Patria proclamato dall’art. 52 Cost.
In particolare, il comma 1 dell’art. 52 definisce tale dovere come «sacro» non
connotandolo però di alcun significato religioso, dovendosi invece intendere laicamente quale condivisione del nucleo fondante dei principi intangibili da parte dei
cittadini. In questo senso la difesa della Patria può essere adempiuta anche con
forme di solidarietà nei confronti della comunità diverse dal servizio militare armato.
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Parte Seconda: L’ordinamento della Repubblica italiana
Il dovere di difesa della Patria si traduce, ex art. 52, comma 2, nell’obbligo di
prestare il servizio militare nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge (D.P.R. 237/1964).
Con la L. 15-12-1972, n. 772 (abrogata e sostituita dalla L. 8 luglio 1998, n. 230), introducendo un servizio civile sostitutivo, ha riconosciuto l’obiezione di coscienza quale diritto
dell’individuo che, contrario all’uso delle armi, non accetta l’arruolamento delle Forze armate,
preferendo impegnarsi in attività socialmente utili, così come riconosciuto in un primo momento dalla Corte costituzionale con sent. 164/1985.
Con L. 14-11-2000, n. 331 è stato, quindi, introdotto il servizio militare professionale
e sospeso il servizio di leva obbligatoria (attuato con L. 23-8-2004, n. 226), per cui il servizio civile sostitutivo si è trasformato nel servizio civile nazionale (istituito dalla L. 6-3-2001,
n. 64 e attuato con il D.Lgs. 5-4-2002, n. 77) che offre la possibilità ai giovani di ambo i sessi,
di età compresa fra i 18 e i 28 anni, di dedicare un anno della propria vita ad attività sociali.
La normativa richiamata ha subito un’importante riorganizzazione ad opera del D.Lgs.
15-3-2010, n. 66, recante il Codice dell’ordinamento militare.
In particolare, si è proceduto all’abrogazione delle citate leggi 230/1998 (ad esclusione
degli artt. 8, 10, 19 e 20), 331/2000 e 226/2004 e la disciplina da queste dettata è in parte
confluita nel nuovo Codice dell’ordinamento militare.
Pertanto, la nuova normativa in materia di servizio militare e servizio degli obiettori di
coscienza, stante l’abolizione del servizio militare obbligatorio e la creazione del servizio militare professionale, riguarda ormai le sole ipotesi di «guerra» o «gravi crisi internazionali».
C) La partecipazione alle spese dello Stato
L’art. 53 della Costituzione obbliga i cittadini e gli stranieri (che hanno interessi
economici in Italia) a concorrere alle spese pubbliche attraverso prelievi fiscali in
ragione della capacità contributiva di ciascuno e secondo il criterio di progressività.
L’esigenza di imporre tributi ai sudditi costituisce una necessità insopprimibile
dello Stato sociale diretto ad acquisire le risorse finanziarie fondamentali per garantire lo sviluppo della collettività.
Generalmente, il potere impositivo compete al Parlamento che lo esercita nel
rispetto dei più generali principi costituzionali dell’equità e della solidarietà sociale.
Ogni individuo appartenente alla comunità nazionale è tenuto a pagare i tributi
al fine di adempiere ai «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» e, pertanto, deve cooperare al benessere della collettività, secondo le sue
possibilità, proprio attraverso il versamento dei tributi. Per ragioni di equità la pressione fiscale deve trovare adeguato bilanciamento con la capacità contributiva individuale, valutabile in termini di coerenza e ragionevolezza delle scelte legislative.
D) Il dovere di fedeltà alla Repubblica
L’art. 54 della Costituzione impone il cd. «dovere di fedeltà» secondo cui tutti i
cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
Capitolo Primo: La rappresentanza politica
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Tuttavia, il dovere di fedeltà non comporta «obbedienza incondizionata» ai governanti che, abusando del loro ufficio, violino o sovvertano i principi fondamentali consacrati dalla Costituzione. Tale assunto rimanda al cd. «diritto di resistenza»
dei cittadini che la Costituzione italiana non prevede ma che secondo parte della
dottrina (DE VERGOTTINI) sarebbe implicito e riconducibile al dovere in difesa delle istituzioni: la legge, infatti, non deve essere l’espressione del libero arbitrio di un
sovrano ma la traduzione positiva dei precetti specifici e inviolabili consacrati dalla
Costituzione.
Il dovere di fedeltà ai principi e ai valori fondanti della Repubblica non comporta che in
suo nome possano essere imposti limiti all’esercizio dei diritti di libertà del cittadino, soprattutto della libertà di manifestazione del pensiero.
La democrazia italiana tollera anche il dissenso ideologico più radicale, purché non si
concretizzi in comportamenti materiali destinati a colpire le istituzioni democratiche. Ecco
perché la dottrina prevalente (DI GIOVINE) ritiene che il presidio penalistico del dovere di fedeltà sia l’art. 238 c.p., che punisce chiunque, anche se titolare di cariche pubbliche di rilievo,
«commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato, o la forma di governo con
mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato».
Glossario
Circoscrizione (elettorale): si tratta di quella parte del territorio in cui è suddiviso il Paese ed
alla quale sono assegnati un determinato numero di membri del Parlamento da eleggere. Alle
circoscrizioni italiane si aggiunge anche una circoscrizione estero (riservata, per l’appunto, ai
cittadini residenti all’estero).
Diritti politici: sono i diritti pubblici soggettivi riconosciuti ai cittadini di partecipare alla vita e
alla formazione dello Stato e degli enti pubblici. Essi possono essere diretti se danno la possibilità ai cittadini di partecipare direttamente alla vita dello Stato o indiretti se danno la possibilità ai cittadini di partecipare indirettamente alla vita dello Stato.
Dovere civico: tale ambigua espressione è frutto di un compromesso tra coloro che volevano
il voto come obbligatorio e coloro che consideravano il voto come un diritto o, al massimo, un
obbligo morale. Questa seconda tesi ha prevalso nel tempo e può affermarsi che oggi il voto
è esclusivamente un diritto, che può essere liberamente non esercitato da parte dei cittadini.
Liste bloccate: sulla scheda l’elettore deve indicare il partito prescelto ai fini dell’assegnazione
dei seggi ma non può esprimere preferenze fra i candidati cosicché questi saranno eletti sulla
base dell’ordine stabilito al momento di presentazione della lista.
Premio di maggioranza: meccanismo che consente di attribuire alla lista o alle liste che abbiano
ottenuto la maggioranza relativa un numero di seggi superiore rispetto a quelli realmente conquistati, al fine di giungere ad una maggioranza ampia e stabile.