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CONTRO CORRENTE > PARLA MANLIO MILANI
OMBRE DI STATO
28 maggio 1974-2011
Brescia interroga l’Italia
Terrorismo, società, politica e memoria:
parla Manlio Milani. Dopo 36 anni, la strage
di piazza della Loggia a Brescia resta ancora
impunita, come le tutte le altre che da piazza
Fontana in poi hanno insanguinato l’Italia.
Perché in questo paese la verità
rimane sepolta insieme a tutte le infamie
che ancora si consumano?
di Damiano Tavoliere
U
n altro massacro, un processo infinito, un’altra assoluzione: dopo
36 anni la strage di Brescia a piazza della Loggia resta impunita come le
altre stragi che hanno insanguinato l’Italia da piazza Fontana in poi. Il nostro
mensile ha pubblicato una foto nel numero di dicembre 2010, subito dopo la
sentenza per la strage del 28 maggio 1974.
Quella foto è una mirabile scena di tragedia greca: sulla piazza devastata in bianco e nero un uomo è chinato a reggere il
corpo senza vita di una donna; il volto
dell’uomo è incredulo, straniato, totaliz-
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zato nel dolore, mentre sullo sfondo una
moltitudine di popolo guarda sconcertata lo strazio. Quella donna è l’insegnante Livia Bottardi, quell’uomo è l’operaio
Manlio Milani, suo marito. La bomba
venne messa in un cestino per la spazzatura fissato a un palo, un palo circondato da Livia e altre persone. A tre-quattro
metri stava Manlio nella piazza gremita:
le loro mani si salutavano nell’aria, i loro volti tracciavano allegria e sentimenti, l’intensa sfera privata e l’altrettanto
intensa determinazione civile. La nuova
Resistenza contro i nuovi orrori che da
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(Ilustrazione di Mitra Divshali)
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cinque anni (piazza Fontana, Milano, 12
dicembre 1969) mietevano vittime e terrore. In quell’attimo di facce ridenti la
deflagrazione: solo otto morti perché i
corpi attorno al palo assorbirono l’urto e
la crudeltà.
Manlio Milani oggi presiede l’Associazione familiari dei caduti di piazza della Loggia e la Casa della memoria di Brescia, dove lo incontriamo, sereno, cordiale, privo di spirito vendicativo, però
molto attivo nel compito di trasmettere la
memoria alle nuove generazioni: poiché,
è noto, senza memoria non c’è storia. Personaggio emblematico dalla formidabile
ricchezza mentale e morale degli operai
comunisti d’un tempo, i quali partivano
dalla fabbrica per andare ben oltre: «La
sera prima ci vedemmo a casa del segretario della Cgil scuola, c’erano anche i
coniugi Trebeschi, genitori di un bambino d’un anno e mezzo, anche loro morti
nella strage la mattina dopo, e c’era Lucia che rimarrà ferita fra altri cento… Eravamo un gruppo di amici, non solo militanti sindacali, ci conoscevamo da tanti
anni, facevamo parte del circolo cultura-
«La bomba –
ha scritto
Benedetta
Tobagi –
collocata in un
cestino dei rifiuti
in piazza della
Loggia, da
sempre cuore
della vita della
ricca cittadina
lombarda,
esplose alle
10,12 del
mattino nel
mezzo di una
pacifica
manifestazione
antifascista,
organizzata per
esprimere rifiuto
e condanna
della violenza
eversiva dopo
una sequela di
episodi violenti
di marca
neofascista che
da settimane
turbavano la
sicurezza della
cittadinanza
e della
democrazia»
la Repubblica,
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PIAZZA DELLA LOGGIA,
28 maggio 1974.
Manlio Milani tiene fra le braccia
la moglie Livia Bottardi dilaniata
dalla bomba fascista
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le Banfi che aveva la sede dentro una sezione del Pci, un circolo dove si mescolavano operai e intellettuali. All’epoca era così: da una
parte la sete di conoscere il mondo del lavoro, dall’altra la fame di strumenti culturali; i nostri interessi spaziavano dalle lezioni di filosofia alla disamina del bilancio
comunale, da Marx a Marcuse, alla storia
sociale, alla musica, il teatro, la poesia, la
psicanalisi».
Brescia era una delle più importanti concentrazioni operaie in Italia, ricorda Milani, un nodo fondamentale delle lotte, dove cominciano le prime battaglie unitarie
come quella del 1959 contro il premio antisciopero. «Anche la manifestazione del
giorno della strage era unitaria. Brescia
aveva una notevole tradizione di cattolicesimo democratico, è qui che nasce la sinistra democristiana, con la quale c’era un
dialogo assai fertile sin dalla Resistenza,
avevamo due visioni del mondo con gli
stessi obiettivi di emancipazione. La differenza fra allora e oggi è radicale… Brescia era una realtà molto vivace, molto
aperta, e sbaglia chi oggi dice che gli anni Settanta sono stati solo violenza politi-
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ca e terrorismo, invece c’era una forte domanda sociale di crescita e partecipazione democratica alla vita civile».
Destra continua. Il principale imputato neofascista di piazza della Loggia, Ermanno Buzzi, condannato con sentenza di
primo grado, alla vigilia del processo d’appello venne strangolato in carcere dai terroristi neri Tuti e Concutelli (l’ideologo al
cui recente funerale ha reso omaggio tutta la destra), conclusosi con l’assoluzione,
confermata in Cassazione nel 1987. Nel
1993 si aprì una nuova inchiesta che indagava non solo i manovali dell’eversione, ma anche note personalità di destra.
«Tutti decisero di non parlare, in una sorta di reciproca convenienza del silenzio, il
che non permette di far luce sui fatti per
giungere al superamento del passato. Vedi, io non credo alla memoria storica condivisa, un partigiano non può condividere
la memoria con un repubblichino, ma la
memoria pubblica riconosciuta – quella
dei fatti e delle relative responsabilità –
può e deve essere possibile. I partigiani
oggi riconoscono il ruolo dei repubblichini durante la guerra civile e si confronta-
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no apertamente con gli avversari (il che
non significa condividere scelte e sentimenti né giustificarli, vuol dire solo cercare di comprendere perché ragazzi di 1617 anni scelsero la repubblica di Salò invece della Resistenza), senza rinunciare ai
valori che sono stati alla base della Costituzione nata dalla lotta patriottica di Liberazione. Però purtroppo sulle stragi italiane vige la regola del silenzio. Anche a
sinistra non c’è l’impegno necessario a far luce sui punti oscuri delle stragi: sono pochissime le pagine
scritte sul terrorismo nero,
le sue matrici, i legami con
i poteri eccetera, invece
ci sono montagne di pubblicazioni sulla violenza rossa. Perché non
si vuole affrontare quel che è veramente
successo in Italia in quegli anni?».
Grande sindacato, grande movimento. Nel nostro paese c’era anche un movimento sindacale con una forza storica senza precedenti, un movimento corale di conquiste emancipatorie, un salto di civiltà
dalle dimensioni inedite: nei costumi, nella cultura, nei diritti, nelle aspettative, nella legislazione, basti pensare allo Statuto
dei lavoratori, allo sviluppo del benessere materiale, al diritto allo studio, al divorzio, all’obiezione di coscienza... «Il
Sessantotto è un fenomeno mondiale che
si riverbera in una società chiusa e conformista qual era la nostra, in cui il peso
di un certo conservatorismo cattolico era
micidiale. Fu Giovanni XXIII a rompere
gli schemi con l’enciclica Pacem in terris,
era la prima volta che un papa si rivolgeva a tutti gli uomini di buona volontà, non
solo ai credenti. Ci fu anche il discorso di
Kennedy sulla nuova frontiera, e tutto ciò
aprì degli spazi enormi di libertà. La società era in subbuglio, c’era la volontà di
un cambiamento radicale, ma questa domanda tragicamente non trovò risposte
adeguate nella politica: i movimenti chiedevano rinnovamento e cambio delle leve
dirigenti, la società si apriva e cercava interlocutori, ma i partiti rimanevano chiusi in se stessi».
Era la vita nella sua interezza che cercava
MANLIO MILANI oggi presiede l’Associazione familiari dei caduti di piazza della Loggia e la Casa della memoria di Brescia, dove
lo incontriamo, sereno, cordiale, privo di spirito vendicativo, però
molto attivo nel compito di trasmettere la memoria alle nuove generazioni: poiché, è noto, senza memoria non c’è storia.
ascolto per tradurre in pratica l’immaginazione e i desideri. «Ma in questo clima
effervescente si inseriscono attentati e provocazioni, da cui scaturisce la manifestazione antifascista del 28 maggio 1974, due
settimane dopo il clamoroso successo nel
referendum sul divorzio. Si manifesta unitariamente, tutto l’arco costituzionale e tutti i sindacati, è uno sciopero generale perché Brescia era oggetto da tempo di abusi vari, dai picchiatori fascisti davanti alle scuole ai settori padronali reazionari,
come i tondinari, gli industriali del tondino, settori visceralmente anticomunisti e
retrivi, che odiavano il sindacato e finanziavano missini e altri estremisti (potrei
raccontarti dei sindacalisti ai quali veniva
fatta scavare una buca in cortile senza ragione per poi riempirla nuovamente, ma
perché? “Perché lo dico io che sono il padrone, fai così e basta!” era la risposta. Potrei dirti dei reparti confino…), padroni
nelle cui fonderie il lavoro era durissimo
e verso i quali la ribellione esprimeva una
rabbia incontenibile».
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Neri al tritolo. «Il 9 marzo 1974 vengono arrestati tre neofascisti che viaggiavano su una 500 carica di tritolo (uno del loro gruppo, tale Giancarlo Esposti, verrà ucciso a fine maggio in un conflitto a fuoco
in Abruzzo, dove in un campo di addestramento si ipotizzava di progettare un attentato contro Giovanni Leone, il capo dello Stato, al fine di accelerare il progetto
eversivo). Ai primi di maggio viene arrestato Carlo Fumagalli, capo del Mar, gruppo militare anticomunista e collaboratore
di Edgardo Sogno, coinvolto del tentato
golpe dell’estate 1974, anche lui morto nel
2000 e coperto di onori dall’attuale destra
al potere. Ancora a Brescia, in piazza del
Mercato, il neofascista Silvio Ferrari il 9
IL 28 MAGGIO 1974 eravamo in piazza della Loggia
per la libertà. Avevamo scioperato non per ragioni economiche e sindacali, ma per la nostra libertà di espressione minacciata da una serie di attentati fascisti
maggio salta in aria a bordo della sua motoretta insieme all’esplosivo col quale stava andando a compiere un attentato. Non
basta: fallisce pure un attentato contro la
sede della Cisl grazie a un passante che
spegne la miccia di un pacco-bomba. Ai
funerali del Ferrari i fascisti si scatenano:
un gruppo di Verona assalta la nostra sezione. È in questo clima duro e intimidatorio che manifestiamo il 28 maggio, scioperiamo non per ragioni economiche, ma
per la libertà». Contro la quale esplode la
bomba.
Lacerazioni e ombre. «Mi sono buttato in quel groviglio di corpi, ho trovato Livia, l’ho sollevata, mi sono illuso che fosse
ancora viva perché ha esalato un soffio…
Non vedevo altro, neppure gli amici accanto… All’obitorio ho chiesto a un infermiere di pulirle il viso… Vedevo quel corpo sempre abituato a correre, a fare, a donare ener26 LIBERETÀ Maggio 2011
gie ora ridotto a un cadavere freddo… Perché un essere umano uccide un altro essere
umano che lotta per la libertà di tutti? Nei
giorni successivi pensai al colpo di Stato in
Cile di pochi mesi prima, pensai ai campi di
concentramento e la morte di Livia e degli
altri mi sembrò rientrare in un profondo conflitto sociale in atto, così riuscii a farmi una
ragione dell’accaduto, a non implodere nel
dolore soggettivo, a trovare la forza e il filo
d’azione per continuare a vivere, per indagare e riflettere, per testimoniare e tollerare
il peso della tragedia. Quello stesso giorno
tornai in piazza della Loggia a tarda sera,
come per rendermi davvero conto di quello
che era avvenuto: la piazza era gremita di
persone, ed era come un movimento che mi
veniva incontro, mi accoglieva, mi
diceva: dobbiamo andare avanti. Ho
ricordato le parole di un partigiano
che andò a combattere in montagna
non per ragioni ideologiche ma perché era stufo di vivere sotto comando e voleva semplicemente essere
libero. Nel nostro caso non dovevamo rispondere alla violenza con altra violenza,
bensì con la forza della democrazia, come
disse Lama al comizio del giorno dopo. Sono i grandi movimenti popolari che da piazza Fontana in poi ci hanno permesso di bloccare e sconfiggere i tentativi di involuzione
reazionaria. Brescia fu la prova generale per
verificare la possibilità di golpe in Italia, il
popolo con alla testa le tute blu non lo permise. Quel che non siamo riusciti a disvelare è la parte oscura e nascosta dello Stato, quella che ha coperto il lavoro sporco.
Aldilà degli autori materiali della strage
resta la nebbia su quella schiera di persone e apparati istituzionali che furono in
collusione col radicalismo di destra e che
sono i veri protagonisti impuniti dei misteri che ancora condizionano la vita politica, poiché l’impunità gioca un ruolo
fondamentale nella perdita di credibilità
dello Stato».