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LA NEWSLETTER DI MISTERI D’ITALIA
Anno 4 - N.° 71
27 GIUGNO 2003
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IN QUESTO NUMERO:
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Dopo l’aggressione all’Iraq: ex consigliere di Bush attacca l’antiterrorismo
Dopo l’aggressione all’Iraq (2): anche i media americani scoprono la vera storia della
soldatessa jessica
Terrorismo internazionale: la giustizia USA torna al medioevo
I misteri di Palermo: chi svuotò l’appartamento di Riina?
Mafia: con la sentenza Lima la Cassazione annulla il Teorema Buscetta
Piano Solo: davvero ridicola la bufala dello spione sovietico
Delitto Pecorelli: non è un omicidio di mafia
Stragi del ’93: aperto nuovo fascicolo sui “mandanti occulti”
Corpi dello Stato: per i Fatti di Napoli chiesto il rinvio a giudizio per 31 poliziotti
Delitto di Cogne: l’avv. Taormina sa…ma non lo dice…
Carceri italiane: sempre più militarizzate
Terrorismo internazionale (2): Batasuna nella lista europea
Afghanistan: dopo i Talebani, la corsa all’oppio è ripresa
Mondo arabo: una donna su due è ancora analfabeta
Medioriente: per deputate inglesi Gaza è uguale al Ghetto di Varsavia
Crimini di guerra: le truppe USA coperte da immunità
Crimini di guerra (2): via libera al processo contro Sharon
Stragi nazifasciste: finalmente la commissione d’inchiesta parlamentare
DOCUMENTAZIONE
- Medioriente: un documento dei coloni israeliani per fermare gli attacchi ai civili
LETTERE A MISTERI D’ITALIA
- Caso Moro: su Sokolov proprio non va…
di Jacopo Sce
DOPO L’AGGRESSIONE ALL’IRAQ:
EX CONSIGLIERE DI BUSH
ATTACCA L’ANTITERRORISMO
L'amministrazione Bush non fa quel che deve fare nella lotta al terrorismo.
A criticare il presidente americano sull'obiettivo centrale della sua politica è qualcuno
che conosce bene la materia: Rand Beers, ex responsabile dell'antiterrorismo in seno
al Consiglio per la sicurezza nazionale. Cinque giorni prima dello scoppio della
guerra in Iraq, Beers aveva sorpreso tutti presentando le sue dimissioni. Ma nessuno
si aspettava che otto settimane dopo sarebbe entrato a far parte della squadra del
candidato democratico alla presidenza, John Kerry.
“L'amministrazione Bush non faceva corrispondere i fatti alle parole nella guerra
al terrorismo. Ci stanno rendendo meno sicuri, non più sicuri”, ha detto Beers, un
uomo di 60 anni che per 35 ha servito nell'amministrazione americana, lavorando nel
Consiglio per la sicurezza nazionale sotto i presidenti Reagan, Bush padre e
Clinton.
Le critiche di Beers sono state molto decise. In Afghanistan – ha affermato – “il
lavoro iniziato è stato lasciato a metà”. Più che a distruggere i terroristi di Al Qaeda
l'intervento “è servito a disperderli. I terroristi si muovono tranquillamente nel
paese. Non sappiamo cosa succede. Osama bin Laden potrebbe trovarsi ovunque in
Afghanistan”.
“La guerra in Iraq ha sottratto risorse umane e finanziarie alla difesa della
sicurezza interna, ha causato spaccature nell'alleanza antiterrorismo, e farà
nascere una nuova generazione di reclute di Al Qaeda”, ha aggiunto Beers che pur
non essendosi opposto al conflitto ha continuato a chiedersi perché fosse una tale
priorità politica.
Per quanto riguarda la sicurezza interna i fondi sono pochi e “nulla viene fatto”.
Risolvere problemi organizzativi – ha spiegato Beers – “non porta a titoli di prima
pagina, né porta voti. Da una prospettiva politica è più' facile andare in guerra”.
DOPO L’AGGRESSIONE ALL’IRAQ (2):
ANCHE I MEDIA AMERICANI SCOPRONO
LA VERA STORIA DELLA SOLDATESSA JESSICA
La storia di Jessica Lynch, trasformato negli USA in un evento-simbolo dell’attacco
all’Iraq, è sempre meno costellata di eroismo. Mentre i network tv americani
continuano l'assalto alla soldatessa, offrendole di ricoprirla d'oro in cambio della
prima intervista, altri media che l'avevano trasformata in mito assumono ora una
posizione più' critica. Sulla scia della rilettura del caso Lynch avviata dalla stampa
britannica (vedi la Newsletter di Misteri d’Italia n.69), tocca ora al Washington
Post ripercorrere l'intera vicenda.
Il quotidiano della capitale ha riconosciuto di essere stato troppo enfatico nel
raccontare le gesta della soldatessa diciannovenne di Palestine (West Virginia) e dei
suoi salvatori della Task Porce 20. Il Washington Post ha messo due intere pagine a
disposizione di una squadra di tre giornalisti, incaricati di indagare sulla vera storia di
ciò che accadde tra la cattura di Jessica, il 23 marzo scorso, e la sua liberazione,
nove giorni dopo.
Fonti militari avevano raccontato all'epoca al quotidiano che Jessica “ha combattuto
alla morte, non voleva essere presa viva” e che scaricò il proprio M-16 contro i
nemici, prima di venir travolta da coltellate e colpi d'arma da fuoco. Decine di
interviste condotte dal quotidiano, anche se non hanno raggiunto una versione finale
sull'accaduto, raccontano invece che Jessica in realtà tentò di sparare, ma l'arma si
inceppò e non ne uscì un solo colpo. Le ferite non erano frutto dell'accanimento dei
nemici, ma di un incidente stradale nel quale rimase coinvolto il suo veicolo militare.
La 507/a compagnia logistica di cui faceva parte Jessica – molto poco eroicamente si era persa nelle strade di Nassirya. Ma il Pentagono continua a ripetere che la realtà
in cui si trovò la 507/a compagnia era “una nuova Mogadiscio”: un riferimento alla
sanguinosa battaglia urbana cui furono costretti gli uomini delle forze speciali in
Somalia nel 1993, raccontata di recente dal film Black Hawk Down.
Quanto all'operazione di salvataggio di Jessica, secondo il Washington Post, al
momento dell'arrivo della Task Porce 20 nell'ospedale di Nassirya non c'erano più
nemici e il Pentagono probabilmente lo sapeva, perché la CIA aveva inviato un
agente ad ispezionare l'area. Medici ed infermieri avevano aiutato Jessica ee erano
stati molto contenti di veder arrivare gli americani.
In giorni difficili per le operazioni militari anglo-americane, il Pentagono presentò
con enfasi la liberazione di Jessica. Il Comando centrale in Qatar svegliò alle 3 di
notte i giornalisti di mezzo mondo a Doha, solo per farli precipitare nella base di As
Sayliyah ad ascoltare una breve dichiarazione del portavoce del CENTCOM, il
generale Vincent Brooks, sull'avvenuta liberazione.
Nei giorni successivi furono mostrati filmati notturni girati con le Combat camera e
diffusi particolari - all'epoca impossibili da verificare - che contribuirono a creare il
falso mito della soldatessa Jessica.
TERRORISMO INTERNAZIONALE:
LA GIUSTIZIA USA TORNA AL MEDIOEVO
Difficile non chiamarla barbarie.
Dal 17 giugno scorso il governo degli Stati Uniti ha il diritto di tenere segreti i nomi
delle persone che sono state arrestate nell’ambito delle indagini sugli attacchi
terroristici dell’11 settembre 2001.
Lo ha stabilito la corte d’Appello del District of Columbia, praticamente
Washington che - con il voto di due giudici contro uno - ha annullato la sentenza con
cui la prima istanza giudiziaria aveva decretato che tutti i nomi degli arrestati
andavano resi pubblici.
La giustizia americana fa un salto nel buio.
La corte d’Appello del District of Columbia, infatti, ha anche stabilito che il
governo può tenere segreto, oltre al nome degli arrestati, anche quello dei loro legali,
la data di arresto e perfino i motivi e le ragioni per cui gli stessi vengono tenuti in
galera.
Il governo americano, quindi, può ignorare le norme più elementari del diritto e
della convivenza civile.
E’ bene segnarsi questi due nomi: David Sentelle e Karen Lecraft Henderson.
Sono i nomi di un uomo e di una donna che hanno inventato la macchina del tempo:
quella che ha fatto prcipitare la “civilissima” America nel pieno del medioevo.
I MISTERI DI PALERMO:
CHI SVUOTÒ L’APPARTAMENTO DI RIINA?
Conclusa a Palermo la seconda parte delle indagini sull’appartamento in cui viveva
Salvatore Riina.
Sul contenuto d questa inchiesta, ora nelle mani del GIP Vincenzina Massa, poco è
dato sapere. Si sa solo che l’indagine, condotta dal sostituto Antonino Ingroia, si
compone di due fascicoli. Il primo riguarda l’ex vicecomandante del ROS dei
carabinieri, Mario Mori, attuale direttore del SISDE, il servizio segreto civile,
indagato perché ritenuto responsabile del ritardo con il quale si arrivò alla
perquisizione dell’appartamento di Totò Riina, dopo che il presunto capo di Cosa
Nostra era stato arrestato in una strada di Palermo, quasi certamente grazie ad una
soffiata.
Il secondo fascicolo si riferisce, invece, alle rivelazioni fatte da uno o più “pentiti” di
mafia. Secondo questi “collaboratori di giustizia”, la casa di Riina fu “pulita” da
alcuni uomini di Cosa Nostra che fecero sparire tutto, forse anche il famoso
“papello”, ossia il documento che conterrebbe le proposte fatte da Cosa Nostra ai
politici per sospendere la fase delle stragi.
Questi uomini – secondo quanto scrive il sito Internet Il Velino (www.ilvelino.it)
avrebbero un nome e un volto e darebbero a tutta l’inchiesta che Ingroia segue da
anni una svolta inaspettata e confermerebbero, secondo la procura, che una sorta di
accordo ci fu fra settori di Cosa Nostra, forse quelli più vicini a Bernardo
Provenzano, e una parte degli investigatori, affinché la mafia potesse mettere le mani
su alcune carte molto compromettenti.
MAFIA:
CON LA SENTENZA LIMA
LA CASSAZIONE ANNULLA
IL TEOREMA BUSCETTA
Il “Teorema Buscetta” è stato definitivamente sepolto.
Ad officiarne le esequie è stata la Corte di Cassazione che il 13 giugno scorso ha
annullato le condanne all’ergastolo di alcuni esponenti di rango di Cosa Nostra,
accusati di far parte della cupola mafiosa che nel marzo 1992 decise l’assassinio
dell’eurodeputato Salvo Lima, capo della corrente andreottiana in Sicilia.
Il cosiddetto “Teorema Buscetta” (dal nome del “pentito” scomparso anni fa)
riteneva che la responsabilità di qualsiasi delitto di mafia fosse attribuibile,
comunque, al vertice di Cosa Nostra. La Cassazione ha invece ribadito quanto
previsto dalla legge e cioè che, sempre, le responsabilità penali sono personali.
Il risultato di questa sentenza che segna l’uscita da un periodo emergenziale è che
quattro delle otto condanne per l’omicidio Lima sono state cancellate. Sono quelle ai
mafiosi Pietro Aglieri, Benedetto Spera, Giuseppe Farinella e Giuseppe
Graviano. La Cassazione ha, infatti, ribadito che la responsabilità dei componenti
della commissione di Cosa Nostra vada circoscritta ai soli delitti per i quali gli stessi
abbiano effettivamente partecipato alla fase decisionale.
PIANO SOLO:
DAVVERO RIDICOLA
LA BUFALA DELLO SPIONE SOVIETICO
Giustamente ignorata dalla stampa seria (il Corriere della Sera, con toni vicini
all’ironico, è stato costretto ad intervenire, con ritardo, viste le sollecitazioni del
solito Cossiga), la grande bufala che uno sconosciuto ex agente segreto del KGB ha
cercato di rifilare all’opinione pubblica italiana non è stata raccolta da nessuno, se
non dagli organizzatori di un convegno, improntato all’insegna del più sgangherato
revisionismo storico che sia dato di conoscere.
In breve la storia di questo convegno, organizzato dal gruppo parlamentare del Senato
di Alleanza Nazionale e pomposamente intitolato al ruolo svolto in Italia dallo
spionaggio sovietico e al Piano Solo.
Dovete sapere che da anni, da molti anni, si aggira nelle aule dei tribunali di mezza
Italia uno strano personaggio, un colonnello de carabinieri in pensione che porta un
cognome scomodo e che si batte però per una causa nobile, difendere e riabilitare la
figura del padre, scomparso da tempo. Questo ex ufficiale si chiama Alessandro De
Lorenzo ed è il figlio del gen. Giovanni De Lorenzo, già comandante del SIFAR e
poi dell’Arma dei carabinieri, passato alla storia come il responsabile di un
minacciato colpo di Stato militare basato su un piano d’attacco, il Piano Solo,
appunto.
Questo signore ha querelato e continua a querelare tutti i giornalisti e gli storici che
scrivono su suo padre le solite ovvietà: del minacciato colpo di Stato del luglio 1964,
del Piano Solo, della lista di enucleandi (personalità della politica e del
sindacalismo italiano) da imprigionare in una base sarda e così via.
Alessandro De Lorenzo – e la cosa di per sé avrebbe dovuto insospettire da subito è stato tra i realtori di questo convegno, organizzato a Roma da AN. Un convegno
tutto basato sulle “rivelazioni” di un ex colonnello del KGB, tal Leonid Kosolov,
secondo il quale il progetto colpo di Stato del gen. De Lorenzo, in realtà, non è mai
esistito: si è trattato di un’operazione di disinformazione del GRU, il servizio segreto
militare russo che avrebbe “inventato” il Piano Solo per destabilizzare i “potenti”
(figuriamoci!) servizi segreti militari italiani.
Si dà il caso che nel gennaio del 1991 la commissione parlamentare d’inchiesta
sulle stragi abbia tolto il segreto sul Piano Solo e sul minacciato golpe De Lorenzo,
sui quali – peraltro – hanno indagato per anni commissioni d’inchiesta sia
parlamentari, che ministeriali.
Lo stesso gen. De Lorenzo, d’altro canto, non ha mai negato i fatti: non ha mai
negato che il Piano Solo era stato fatto da lui preparare; non ha mai negato di aver
mandato lui in persona ai comandanti regionali dell’Arma le liste di proscrizione;
non ha mai negato neppure di aver chiesto al capo di stato maggiore della Marina due
navi per trsportare gli “enucleandi” in Sardegna. Il gen De Lorenzo si è, invece,
difeso, sostenendo che quelli erano solo preparativi che non sarebbero mai stati messi
in opera senza il consenso del governo.
Insomma il Piano Solo è sempre stato qualcosa di molto palpabile. E consultabile. E
che, presto, Misteri d’Italia metterà on line. Nulla, insomma, di inventato dai russi.
Altrimenti dovremmo credere anche un’altra cosa: che le 157 mila schedature fatte
dal SIFAR di De Lorenzo - poi finite nelle mani del capo della loggia P2 Licio
Gelli) ai danni di altrettanti cittadini italiani sarebbero state compiltae oltrecortina.
La bufala è tutta qui.
Revisionismo storico? Non scherziamo, il revisionismo storico è qualcosa di molto
più intelligente. Spiace solo che ad avallare quella bufala, immaginiamo del tutto
incosapevolmente, si sia trovato – con grande imbarazzo – uno come Giulio
Andreotti che di segreti e misteri s’intende, ma che le bufale di solito…si limita a
mangiarle.
DELITTO PECORELLI:
NON È UN OMICIDIO DI MAFIA
Mino Pecorelli – in attesa della cassazione è quanto hanno stabilito i giudici di
Appello di Perugia – è stato fatto uccidere dal boss della mafia Gaetano
Badalamenti e da Giulio Andreotti. Ma uno dei figli del giornalista, Stefano, si è
visto respingere la domanda per accedere al Fondo di solidarietà per le vittime
delle mafia.
Secondo il Comitato del ministero dell'Interno che decide sulle istanze, la stessa
Corte d'Assise d'Appello perugina avrebbe esplicitamente ritenuto estranea Cosa
nostra al delitto. Lo stesso organismo ha ritenuto che non ci siano elementi in base ai
quali ritenere che i due imputati (condannati entrambi a 24 anni di reclusione, ma
sempre proclamatisi innocenti) si possano essere avvalsi di legami previsti
dall'articolo 416 bis del codice penale.
“Si tratta di una decisione che si commenta da sé”, ha sottolineato l’avvocato
Francesco Crisi, legale di Stefano Pecorelli.
STRAGI DEL ’93:
APERTO NUOVO FASCICOLO
SUI “MANDANTI OCCULTI”
E’ stato aperto un nuovo fascicolo contro ignoti nell’ambito dell’inchiesta sui
presunti “mandanti occulti” delle autobombe del 1993 che provocarono stragi a
Milano, Roma e Firenze (10 morti).
Lo ha deciso la procura di Firenze che coordina le indagini sugli attentati di 10 anni
fa.
Il nuovo fascicolo dovrebbe consentire di continuare l’inchiesta, tenendo presente una
serie di elementi che erano stati raccolti dal sostituto procuratore di Firenze Gabriele
Chelazzi, morto lo scorso 17 aprile per un infarto.
Secondo quanto si apprende, l’apertura di un nuovo fascicolo – che non vuole far
morire l’inchiesta – è stata presa in procura dopo l’arrivo di un’informazione che gli
investigatori intendono verificare e che finora non era stata oggetto di specifici
accertamenti.
CORPI DELLO STATO:
PER I FATTI DI NAPOLI
CHIESTO IL RINVIO A GIUDIZIO PER 31 POLIZIOTTI
Sono 31 i poliziotti e i funzionari della questura di Napoli per i quali la procura ha
chiesto il rinvio a giudizio per i pestaggi avvenuti nella caserma Raniero del
capoluogo campano, avvenuti il 17 marzo 2001, al termine delle quattro giornate
contro il Global Forum.
Le richieste del procuratore aggiunto Paolo Mancuso e dei sostituti Francesco Cascini
e Marco Del Gaudio riguardano i reati di sequestro di persona (contestato a 14
imputati), violenze personali e lesioni, abuso di ufficio e falso.
DELITTO DI COGNE:
L’AVV. TAORMINA SA…
MA NON LO DICE…
Dice di sapere nome e cognome dell’assassino del piccolo Samuele Lorenzi. E di
conoscere anche il tpo di arma con il quale il bambino venne assassinato il 30
gennaio dello scorso anno. Ma prima di fare questo nome e dire con quale oggetto
Samuele venne colpito al capo, l’avv.Carlo Taormina aspetta che la magistratura e
gli investigatori facciano degli “accertamenti a sorpresa” che non sono nelle
possibilità della difesa.
Insomma, come al solito, Taormina sa…, ma no lo dice…
“Abbiamo raggiunto elementi certi”, ha detto, nel corso di affollata conferenza
stampa, il legale di Anna Maria Franzoni, a tutt’oggi l’unica indagata per il delitto
di Cogne. E poi, subito dopo, giù un durissimo attacco all'operato del RIS dei
carabinieri di Parma che, tra le altre cose, non si sarebbe accorto di un'impronta di
scarpa sul piumone del letto dei genitori in cui dormiva il bambino. Questa
“verosimilmente” è per Taormina “l'impronta dell'assassino”.
Ed ecco una nuova ricostruzione della vicenda di Cogne fornita dalla difesa
dell’indagata:
L'ORA DELLA MORTE - Secondo il prof. Enrico Manfredi, consulente della
difesa, quando i soccorsi arrivarono, poco dopo le 8,30, Samuele era ancora vivo,
perchè presentava il cosiddetto gamping, il respiro automatico delle persone
decerebrate, e il suo polso batteva ancora. Va quindi posticipato il momento
dell'omicidio che la Procura colloca prima delle 8,16, quando Anna Maria
Franzoni uscì di casa. “L'aggressione avvenne quando la mamma di Samuele era
altrove, mentre accompagnava Davide allo scuolabus”, ha sostenuto Taormina.
L'IMPRONTA - Sul piumone, nella parte che scendeva verso il pavimento e vicino
alla porta della camera, sono state trovate tracce di sangue lasciate dall'impronta di
una scarpa. “Un'impronta mai stata oggetto d'indagini da parte del RIS – dice la
difesa - e le cui intagliature non corrispondono alle caratteristiche di tutte le scarpe
della famiglia Lorenzi e di chi intervenne successivamente alla scoperta della
tragedia, compresa la dottoressa Ada Satragni”. “Una scarpa non piccola, da
montagna o da ginnastica, con un tacco sagomato”, hanno concluso gli esperti.
Le dimensioni farebbero pensare alla scarpa di un uomo, anche se i consulenti
glissano sul punto.
L'ASSASSINO - Di questo aspetto si è occupato l'investigatore privato Giuseppe
Gelsomino che dice di “sapere tutto” di questa persona. “Abbiamo cercato di
analizzare ambienti, personaggi e l'individuazione dell'arma ci ha consentito di
avvicinarci all'autore del delitto, capirne il carattere”.
“Sappiamo tutto di lui, che cosa mangia, come scrive, cosa pensa”. E per
Gelsomino, questa persona ha “un lavoro normale, comportamenti normali”, ma
cambia personalità, a seconda delle situazioni. Un assassino che “è ancora in giro” e
per trovare il quale, per Taormina, “noi non riteniamo si debba uscire da Cogne”.
L'ARMA DEL DELITTO - Durante le indagini non venne mai trovata e le ipotesi
giornalistiche furono varie. Taormina parla di “due alternative, non di più”, ma si
capisce che ne ha in mente una precisa, quando dice che “l'oggetto qualifica
fortemente la persona”.
L'arma ha “forma circolare e cava” ed è “mobile e snodata” a giudicare dalle ferite
di Samuele. Il pool di esperti non conferma, né smentisce, che si possa trattare di un
moschettone da roccia, fatto ruotare con una cordicella, come è stato scritto di
recente.
LA SCENA DEL DELITTO - Per la difesa Franzoni qui si è giunti
“all'abnormità, alla devastazione della realtà”, attraverso esperimenti sbagliati,
ricostruzioni approssimative dell'ambiente da parte degli investigatori. Una stanza da
letto, quella presa in esame dal RIS “che è un'altra rispetto alla scena del delitto”.
Il pigiama macchiato di sangue, infine, non era indossato dall'assassino, come
afferma, tra gli altri, il GIP Gandini nell'ordinanza con cui ordinò l'arresto di Anna
Maria Franzoni. Ci sono alcune zone sul letto non sporche di sangue e lì potevano
trovarsi i due pezzi del pigiama.
Il punto in cui l'assassino, nella ricostruzione dell'accusa, si sarebbe inginocchiato sul
letto per colpire, secondo la difesa, andrebbe posto molto più vicino ai piedi del letto
rispetto a quanto stabilito dai militari.
“Se fosse come detto dal RIS, per colpire Samuele alla testa, una persona avrebbe
dovuto avere un braccio lungo un metro e mezzo”, ha ironizzato Taormina.
Fonte: Stefano Rottigni dell’ANSA
CARCERI ITALIANE:
SEMPRE PIÙ MILITARIZZATE
Esiste una “Lobby dei commissari di Polizia Penitenziaria”, quelli che una volta si
chiamavano secondini?
A sostenerlo non è qualche No Global, ma il sindacato dei direttori penitenziari
(SIDIPE)che è sceso sul piede di guerra proprio in occasione della festa del Corpo
di Polizia Penitenziaria.
“No alla militarizzazione delle carceri”, questo il grido di guerra dei direttori che
hanno inviato una lettera aperta ai rappresentanti del mondo del Volontariato, a
quelli della Chiesa, della Scuola e delle Comunità terapeutiche per denunciare la
“fine del diritto penitenziario”.
“I direttori penitenziari – scrive la segreteria del SIDIPE - esprimono
preoccupazione per la disattenzione iniziata con i governi di centro sinistra e
protrattasi sino ad oggi verso la categoria professionale il cui perdurare disegna
all'orizzonte un sistema carcerario diverso da quello indicato dalla Costituzione e
dalle più evolute legislazioni europee, ove la sicurezza si coniuga con l'umanità
della pena e la rieducazione”.
Prima del '77, sostengono i direttori penitenziari, “avevamo uno status giuridico che
consentiva il governo delle carceri, permettendo di svolgere con autorevolezza
quelle funzioni super partes e di garanzia che la Costituzione e la legge prevedono,
fungendo da anello di congiunzione tra la sicurezza e il trattamento rieducativi cui
la pena deve necessariamente tendere”. Oggi, invece, denuncia ancora il SIDIPE,
“per effetto della legge finanziaria, i direttori sono stati equiparati alla generalità
degli impiegati civili dello Stato, dimenticando che essi non possono come la
generalità dei dipendenti pubblici, timbrare il cartellino marca tempo al termine
delle sei ore di servizio ed accedere al part-time, non essere reperibili per esigenze
di servizio o fare la settimana corta”.
Insomma, nelle carceri italiane, sempre più nelle mani di quello che è solo un Corpo
militare dello Stato, senza alcuna cultura e alcuna preparazione che non sia
l’attitudine alla repressione, le carceri italiane sono sempre più da terzo mondo.
Scrive Sergio Segio, che al mondo carcerario, ormai da anni, sta dedicando un forte
impegno: “Il danno è quello di vivere, e morire, in carceri invivibili, indecenti e
inimmaginabili. Pure, per immaginarle, uno sforzo si può fare, per contrastare la
cappa della disinformazione, del silenzio e dell’indifferenza. Per avere una lontana
idea di cosa significhi vivere nelle celle d’estate, provate a pensare di essere sulla
metropolitana in un’ora di punta, in una carrozza con i finestrini chiusi e bloccati,
schiacciati in una folla di persone. Provate a pensare che questa insopportabile
condizione duri non la mezz’ora di un tragitto medio, ma 20-24 ore al giorno. Tutti
i santi giorni. Dopo tutto ciò, immaginate di non avere neppure l’acqua per
dissetarvi o per lavarvi, come sta avvenendo in alcuni penitenziari. Immaginate poi
di essere gravemente malati e che vi vengano rifiutate le medicine per curarvi. Di
nuovo: non per cattiveria, ma perché è così. Semplicemente perché le medicine in
carcere non ci sono, perché ci sono i tagli alla spesa sanitaria (dal 1999 al 2002
una diminuzione del 35,5% a livello nazionale, con punte del -43% in EmiliaRomagna e del -42% in Piemonte) e perché in carcere, a onta delle leggi di riforma
(n. 419 del 1998 e n. 230 del 1999), la sanità penitenziaria continua a essere
separata dal sistema sanitario nazionale”. Provate a pensare di essere madre di un
bambino piccolo, di essere in prigione (quasi sempre per reati irrisori)”.
Npn sappiamo se quello che scrive Sergio Segio rientri, in qualche modo, nella
polemica scatenata dai direttori dei pentitenziari contro la Polizia Penitenziaria.
Ma non esitiamo a dire che tutto questo, in un Paese che si dice civile, deve solo fare
schifo. A tutti.
TERRORISMO INTERNAZIONALE (2):
BATASUNA NELLA LISTA EUROPEA
Dal 5 giugno scorso il partito basco Batasuna è ufficalmente nella lista delle
organizzazioni terroristiche europee.
La decisione è stata presa all’unanimità – e senza alcuna discussione – dai 15 ministri
dell’Interno dell’Unione Europea.
Diventa così definitivamente fuorilegge anche sul suolo continentale una formazione
politica che raccoglie il 10% dei consensi nei Paesi Baschi, il 15% in Navarra e che,
alle ultime elezioni amministrative, non potendosi presentare, ha raccolto 120 mila
schede nulle.
Batasuna - che conta anche un parlamentare europeo, Coldo Gorostiaga - è quindi
una formazione messa la bando: in Spagna, in Europa e, dal 30 aprile scorso, anche
negli Stati Uniti.
Un altro pizzico di pepe nella polveriera della sempre irrisolta questione basca.
AFGHANISTAN:
DOPO I TALEBANI,
LA CORSA ALL’OPPIO E’ RIPRESA
Si è appena conclusa in Afghanistan la raccolta del papavero da oppio, unica reale
risorsa economica di questo Paese.
L'industria della droga, dopo il collasso del regime talebano, ha fatturato 1,2 miliardi
di dollari. Le Nazioni Unite hanno stimato che il guadagno lordo di un ettaro di terra
coltivato a oppio abbia raggiunto ormai i 16 mila dollari nel 2002, contro i 7 mila e
300 del 2001. Più del doppio.
Quest’anno sono stati coltivati circa 50 mila ettari che hanno prodotto 2.500
tonnellate di oppio.
“L'Afghanistan è tornato a essere il primo produttore di eroina al mondo”, ha
spiegato Adam C. Bouloukos dell'agenzia antidroga delle Nazioni Unite a Kabul:
“Due sono le novità: ci sono molti nuovi campi, spuntati nel nord, mentre alcune
aree sono state abbandonate perché colpite da un virus che stiamo ancora
esaminando. E per la prima volta gli afgani sono in grado di trasformare l'oppio in
eroina, cominciando anche a consumarla».
Effetti collaterali della solita guerra americana.
MONDO ARABO:
UNA DONNA SU DUE
È ANCORA ANALFABETA
Una donna araba su due è ancora analfabeta. Lo rivela uno studio dell'UNESCO.
Secondo la ricerca dell’agenzia delle Nazioni Unite, l'analfabetismo è ancora molto
diffuso nel mondo arabo, nonostante esistano considerevoli differenze tra un Paese e
l'altro. Dagli anni '70 i governi arabi si sono impegnati in diversa misura a
promuovere l'istruzione e da allora la percentuale di donne istruite si è triplicato, ma,
nonostante questi progressi, l'istruzione femminile nella regione rimane la più bassa
al mondo.
Se nell'area del Golfo sono i costumi tribali o la segregazione sessuale ad ostacolare
l'accesso delle bambine all'istruzione, in Medio Oriente e Nord Africa la causa è
dovuta alla povertà o alla scarsità d'investimenti da parte dei governi, specie nelle
aree rurali.
Anche la spesa pubblica destinata all'istruzione varia enormemente da Paese a Paese.
L'Arabia Saudita è quello che investe di più. La Tunisia è seconda. Libano,
Emirati Arabi Uniti e Marocco sono i paesi che investono di meno.
L'Iraq è attualmente il Paese con il maggior numero di analfabeti, mentre la
Giordania quello con il minor numero (12%).
Il maggior numero di donne analfabete si trova in Iraq (77%), nello Yemen (76%),
in Mauritania (71%) e in Marocco (65%).
Secondo lo studio dell'UNESCO, in Paesi come il Bahrein tutti i minori hanno
accesso all'istruzione. Nello stesso Paese, inoltre, l'anno scorso il numero di donne
iscritte all'Università ha superato quello degli uomini.
Fonte: ANSA
MEDIORIENTE:
PER DEPUTATE INGLESI
GAZA È UGUALE AL GHETTO DI VARSAVIA
Due deputate britanniche di ritorno da una visita nei Territori palestinesi, hanno
paragonato le condizioni in cui vivono i palestinesi della Striscia di Gaza a quelle del
Ghetto di Varsavia.
Nel corso di una conferenza stampa, la deputata Oona King, laburista, di religione
ebraica, ha dichiarato che le condizioni di vita a Gaza sono “della stessa natura,
anche se non fino allo stesso punto” del ghetto della capitale polacca in cui le le
truppe di ocupazione naziste chiusero circa mezzo milione di ebrei: “Nessun governo
dovrebbe comportarsi in questo modo, meno che mai un governo ebraico”, ha detto
la King. “In quanto ebrea, spero di non arrivare mai nella mia vita a vedere il
giorno in cui debba vergognarmi delle azioni dello stato di Israele”.
“La grandissima differenza tra i palestinesi di Gaza e gli ebrei di Varsavia – ha poi
precisato la deputata – è che i palestinesi non vengono deportati e messi a morte
nelle amere a gas. Ma ciò che rende paragonabile la loro condizione a quello che
accadde al popolo ebraico a quel tempo è che siamo di fronte all'esproprio di terre,
all'allontanamento forzato dalle loro case, alla tortura e a norme burocratiche di
controllo utilizzate in modo asfissiante anche per le cose minime”.
L'altra deputata, la liberal-democratica Jenny Tonge, ha confermato che i palestinesi
“non possono entrare e uscire senza essere controllati, non possono lavorare, non
possono esercitare alcun commercio. C'è' una morsa che si sta gradualmente
stringendo su di loro. Io ho la sensazione che si tratti di un sistema di apartheid,
che sta certamente peggiorando perché le zone dove i palestinesi possono vivere si
stanno riducendo”.
La King, che è un'esponte del Jewish Council for Racial Equality (Consiglio
ebraico per l'eguaglianza razziale) ha detto di sapere bene “del clima di terrore in cui
vivono quotidianamente molti israeliani. Ma sono stata più sorpresa dal terrore
quotidiano in cui vivono i palestinesi, di cui non avevo capito la natura e i dettagli”.
Fonte: AGI
CRIMINI DI GUERRA:
LE TRUPPE COPERTE DA IMMUNITÀ
Per un anno ancora tutti i cittadini statunitensi impegnati in missioni di pace nel
mondo godranno della più totale delle immunità.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU – con la sola astensione di Francia (che pure
possiede il pitere di veto), Siria e Germania – ha infatti votato la risoluzione 1487
che è la fotocopia della 1422 di un anno fa che mette al riparo “per un periodo di 12
mesi, eventualmente rinnovabile, tutti i membri di operazioni di mantenimento della
pace provenienti dai Paesi che non hanno firmato il Trattato di Roma”, ossia il
protocollo internazionale su cui si basa la Corte dell’Aja.
Questo vuol dire, in pratica, che gli americani sono, sempre e comunque, al di sopra
della legge, anche se commettono crimini di guerra durante missioni di pace.
CRIMINI DI GUERRA (2):
VIA LIBERA AL PROCESSO
CONTRO SHARON
Lo scorso martedì 10 giugno la Corte d’appello di Bruxelles ha dato il suo via
libera al procedimento giudiziario a carico del premier israeliano Ariel Sharon, delle
altre alte cariche militari israeliane e degli esecutori falangisti che tra il 16 ed il 18
settembre del 1982 massacrarono almeno 1.500 persone nei campi profughi
palestinesi di Sabra e Chatila, alla periferia di Beirut.
La legge belga del 1993, modificata nel 1999, consente infatti la persecuzione
giudiziaria di crimini di guerra a carico di cittadini di Paesi terzi.
Questa decisione fa seguito ad altri due importanti pronunciamenti della
magistratura belga. Il primo risale al 18 giugno 2001 quando vennero ammesse le
denunce di 23 familiari di vittime della strage proprio contro Sharon, all’epoca dei
fatti ministro della Difesa.
Il 6 maggio scorso, inoltre, ancora la corte d’Appello di Bruxelles aveva respinto la
richiesta degli avvocati della difesa di Sharon e degli altri imputati di sospendere a
tempo indeterminato il procedimento penale e le indagini in attesa di un trasferimento
del procedimento stesso in Israele.
STRAGI NAZIFASCISTE:
FINALMENTE LA COMMISSIONE D’INCHIESTA PARLAMENTARE
Ormai se ne parlerà dopo l’estate, ma su quello che è stato chiamato “l’armadio della
vergogna” finalmente potrà indagare con pieni poteri una commissione
parlamentare d’inchiesta, formata da 15 senatori e altrettanti deputati.
L’”armadio della vergogna” venne ritrovato nel 1994 in un corridoio della procura
generale militare di Roma. Aveva le ante contro il muro e conteneva una massa
sterminata di fascicoli, relativi a 695 stragi ed eccidi (con circa 15 mila vittime)
compiuti in Italia dalle SS, dalla Wehrmacht, ma anche da italiani aderenti alla
Repubblica di Salò.
Di questi 695 fascicoli, 280 erano contro ignoti e 415 riguardavano militari tedeschi
ed italiani identificati, ma mai processati. Una volta scoperto, questo materiale è stato
inviato alle procure militari di competenza, che – dato l’enorme tempo trascorso –
sono state costrette ad archiviare la maggior parte delle inchieste generate.
Ora la commissione parlamentare d’inchiesta dovrà fare luce sul perché quei
fascicoli siano scomparsi per tanti anni. Chi, materialmente, e perché fece in modo
che fossero dimenticati. Chi ebbe responsabilità in un’operazione che appare ormai
come il risultato di una spregevole ragion di Stato.
Un esempio? Nel 1956, l’allora ministro degli Esteri Antonio Martino, sconiglia il
suo collega alla Difesa, Paolo Emilio Taviani, dall’evadere una richiesta di
estradizione avanzata da una procura della Germania Federale: potrebbe nuocere a
quel governo che sta compiendo “il massimo sforzo”, anche di immagine interna, per
ricostruire le sue “forze armate di cui la NATO reclama con impazienza
l’allestimento”. E Taviani annota “Concordo pienamente”.
Da episodi come questi nasce il “timbro della vergogna”, posto su quasi tutti i
fascicoli occultati. Un timbro con una dicitura non prevista dalla legge:
“archiviazione provvisoria”. La dispose un procuratore generale militare. Si
chiamava Enrico Santacroce.
DOCUMENTAZIONE
NOI, COLONI ISRAELIANI, DICIAMO BASTA!
Un documento dei coloni israeliani
per fermare gli attacchi
alla popolazione civile
Lo scorso 15 giugno, i media palestinesi hanno pubblicato questa lettera
firmata da circa 100 obiettori di coscienza israeliani, comprendenti anche
donne e riservisti. La lettera chiede ai palestinesi di opporsi al terrore e di
lavorare con il movimento pacifista israeliano contro l'occupazione.
La lettera è stata redatta da cinque refuseniks, attualmente in carcere per il
loro rifiuto di far parte di un esercito di occupazione.
Questi cinque giovani stanno per affrontare la corte marziale a causa del loro
rifiuto. Chiedono di svolgere servizio civile anziché militare.
La lettera è stata pubblicata integralmente su Al Shark El Awsat, El Hyat El
Jedìda, El Quds e El Hayam e la notizia è stata ripresa il 16 giugno dal
quotidiano israeliano Haaretz. Il Italia il documento èstato pubblicato solo dal
Manifesto.
Cari amici,
noi sottoscritti siamo coloro che rifiutano l'occupazione (refùseniks). Una parte
di noi ha rifiutato del tutto il servizio di leva perché lo riteniamo strumento della
politica criminale dell'occupazione portata avanti dal governo israeliano.
Una parte di noi ha rifiutato di prestare servizio militare nei tenitori occupati.
Tutti paghiamo un prezzo personale pesante a causa della nostra scelta, molti di
noi vengono rinchiusi nel carcere militare per settimane o anche per molti mesi.
Facciamo parte di un vasto movimento in Israele, un movimento di donne e di
uomini ebrei e arabi che si spendono contro l'occupazione e l'oppressione del
popolo palestinese. Come compagni di lotta, abbiamo sentito il bisogno urgente
di rivolgere a voi rispetto al tema che ci riguarda tutti: gli attacchi che vengono
fatti dalle organizzazioni palestinesi contro civili israeliani innocenti.
In ogni conflitto è diffìcile comprendere l'altra parte, ma proprio come noi
dobbiamo ricordare che la maggioranza dei palestinesi non è composta da
terroristi, voi dovete ricordare che la maggioranza degli israeliani non è composta
da soldati di occupazione.
Negli attacchi suicidi trovano la morte vittime innocenti: bambini e vecchi,
donne e uomini, ebrei, arabi e immigrati, sostenitori ed oppositori
dell'occupazione.
Queste azioni sono immorali.
Sappiamo che, contrariamente a quanto crede la maggioranza degli israeliani, il
terrorismo non è il motivo dell'occupazione. Ma questi omicidi a sangue freddo,
che colpiscono in modo casuale ed indiscriminato, terrorizzano la maggior parte
degli israeliani fino ad un punto in cui diventa facile per Sharon ed i suoi alleati
giustificare l'occupazione. Gli attacchi terroristici rendono i palestinesi
detestabili agli occhi dei cittadini israeliani (e di altri a livello mondiale) ed aiuta
a convincerli della necessità di perpetuare l'occupazione. Quindi ogni attacco
terroristico allontana il giorno in cui gli israeliani capiranno che l'occupazione
deve finire.
Noi non viviamo sotto occupazione.
Noi non sappiamo come sia vivere per mesi ed anni sotto coprifuoco, senza
lavoro e possibilità di studiare, dignità ed indipendenza.
Possiamo solo provare ad immaginare l'impeto della rabbia e della disperazione
causato dall'occupazione e provare ad indovinare quanto deve essere diffìcile
guardare oltre l'uniforme del soldato sul bulldozer, al blocco stradale o
nell'elicottero e cercare di trovare un essere umano.
Noi rifiutiamo di essere parte delle forze di occupazione, anche per fare in modo
che voi possiate vedere gli israeliani come persone come voi, che lottano, che
incontrano difficoltà ed a volte riescono a superarle.
Noi che rifiutiamo, ci assumiamo le responsabilità per ciò che avviene nella
nostra società attraverso l'atto del rifiuto e siamo disposti a pagarne il prezzo, un
prezzo che voi, nostri compagni di lotta della parte palestinese, rischiate di
pagare in modo più pesante, ma noi crediamo che ne valga la pena.
Una lotta palestinese che non comprenda attacchi contro civili sarà quella più
efficace.
Una lotta che colpisca direttamente l'occupazione.
Manifestazioni, scioperi generali, azioni congiunte con il movimento pacifista
israeliano, tutte queste azioni saranno più efficaci di qualsiasi attentatore suicida.
L'esercito di occupazione chiederà senza dubbio un prezzo sanguinoso, ma il
mondo presto si accorgerà che le pallottole non hanno il potere di fermare un
popolo che lotta per la propria libertà.
La vittoria della lotta contro l'occupazione sarà la vittoria della giustizia e della
pace: la vittoria dei palestinesi e degli israeliani.
Questa lettera è stata scritta da Rogai Matar, Matan Kaminer, Adam Maor,
Shimri Tzameret e Noam Bahat (cinque obiettori israeliani, attualmente in
carcere) e sottoscritta da un altro centinaio di israeliani.
per informazioni- [email protected] Per un sostegno diretto-.conto bancario:
495522 MizrahiBank, filiale 024 Kfar-Saba, Israel.
(traduzione a cura di Ronit Dovrai e Sveva Haertter)
LETTERE A MISTERI D’ITALIA
Caso Moro: su Sokolov proprio non va…
di Jacopo Sce
Gentile Redazione,
sono un vostro "abbonato" e non la faccio lunga sull'utilità del vostro giornale.
Solo che nell'ultimo numero (vedi n.67) ho visto il pezzo relativo a Sokolov, e confesso
che proprio non va. In questo caso, so bene di contare un privilegio, perché essendo
consulente della Commissione Mitrokhin ho accesso ai documenti acquisiti, tra cui
appunto quelli che riguardano Sokolov.
Bene, in quelle carte c'è effettivamente copiosa documentazione che testimonia di come
Sokolov fosse monitorato fin da prima del suo arrivo in Italia nell'autunno del 1977, ma
semplicemente perché assieme ad altri 14 studenti sovietici aveva vinto una borsa di
studio del nostro ministero degli Esteri. Logico che fin dalla richiesta di visto, su questi
studenti venissero prese tutte le informazioni possibili.
Così accadde per tutti e 15 i ragazzi. Poi, dopo il rapimento di Aldo Moro e dopo le
allarmate dichiarazioni del prof. Tritto, su Sokolov si concentra l'attenzione del Sismi, che
nei suoi confronti procede anche a un servizio di OCP (osservazione, controllo e
pedinamento): è tutto documentato, ma quello che gli uomini del SISMI possono registrare
sono solo le sue effusioni con una ragazza su una panchina di Piazza Navona.
Poi si può legittimamente discutere se Sokolov sia diventato una spia del KGB attenzione, però, perché ci sono almeno altri due Sokolov, agenti accertati dell'URSS!! venuto in Italia nel 1981 sotto mentite spoglie di corrispondente della TASS; ma per
quanto riguarda il 1977/1978, non c'è davvero nessun elemento che possa confermare
questa tesi.
In questo caso il Servizio militare ha fatto quanto doveva, a meno che non si pensi a una
sorta di complicità dei nostri apparati di sicurezza non già con con l'intelligence USA, bensì
con il KGB comunista!
Tutto è possibile - e personalmente posso anche pensare che in URSS qualcosa
sapessero... - ma non abbiamo nessun elemento per poter dire ciò.
Molti cordiali saluti e buon lavoro.
Jacopo Sce
AGGIORNAMENTI DEL SITO
Nella sezione TANGENTOPOLI e’ stato aperto un nuovo link dedicato
alla’AFFARE TELEKOM SERBIA.
Nella sezione sul BANDITO GIULIANO, è stato aggiunto un articolo che tratta
dell’OMBRA AMERICANA sulla STRAGE DI PORTELLA DELLA
GINESTRA.
Nella sezione I SEGRETI DEL VATICANO, a proposito dell’ATTENTATO AL
PAPA, sono stati aggiunti nuovi download sulla CRONOLOGIA DELLA
VICENDA GIUDIZIARIA e sul PERDONO DI GIOVANNI PAOLO II
ALL’ATTENTATORE.
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