Perché ci si separa - parrocchia ss. trinitá a villa chigi

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Perché ci si separa - parrocchia ss. trinitá a villa chigi
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Trasmissione della fede a famiglie in crisi e ai giovani nella città di Roma
Nel fare un primo quadro delle realtà familiari a Roma con l’ausilio dei dati forniti dall’ISTAT nel
2003 si nota come la situazione della Capitale è pienamente in linea con la realtà italiana:
- Ci si sposa più tardi
- Si fanno meno figli e l’età media alla nascita del primogenito si è progressivamente
innalzata dai 25,2 ai 30,2 nel 2003. Dalla mia esperienza personale (corsi in preparazione al
matrimonio, matrimoni in più parrocchie di Roma e battesimi) direi che la tendenza è di un
ulteriore e progressivo aumento – anche per le crescenti difficoltà economiche e instabilità
lavorativa, e in casi sempre maggiori, la celebrazione del matrimonio viene portata verso i
35 anni. Non per niente i papà italiani sono i più vecchi d’Europa!
- Il tasso di fertilità, che indica i figli per donna, è passato dal 2,4 del 1981 all’1,2 del 2001.
- Ciò significa che ci sono sempre più coppie senza figli
- In crescita le famiglie con uno o due componenti, in calo le famiglie con quattro o più
componenti.
- Parallelamente sono aumentate le coppie di fatto e quelle cosiddette “ricostruite”
- Sempre più spesso i coniugi risolvono le loro crisi coniugali con separazioni e divorzi.
Basti pensare che se nel 1995 ogni 1.000 matrimoni si verificavano circa 158
separazioni e 80 divorzi, nel 2002 le proporzioni sono arrivate a 257 (27.038 / 41.835) e
131 (52.323 / 79.642). In percentuale ciò viene altresì detto che in circa 15 (riferimento
1995 / 2005) anni le separazioni sono aumentate del 52,2% e i divorzi del 54,7%. È
importante tenere presente che il 68,1% dei casi è chiesta dalla moglie. I tempi per
procedimenti giudiziari, che sono i momenti più delicati e dolorosi per i figli e i più “cattivi”
per i coniugi; in media richiedono 135 giorni per i divorzi congiunti e 617 per i divorzi
giudiziali. Solo il 51% delle separazioni concesse nel 1995 si è tradotto in divorzio entro
il 2002.
- I dati ISTAT ci rivelano che in media la rottura matrimoniale si verifica intorno il 13°
anno dalla celebrazione . Ma per una coppia su quattro la frattura arriva molto prima,
già nei primi anni di matrimonio. Negli ultimi anni, infatti, si è registrato un aumento
delle separazioni entro i primi cinque anni.
- Sono le donne, circa 7 su 10, che scelgono di più la via della separazione, mentre
risultano soprattutto gli uomini da imboccare la definitiva strada del divorzio. L’età del
malessere coniugale si pone tra i 38 e i 44 anni: quando si separano i mariti hanno
mediamente 42 anni, le mogli 38, quando divorziano gli uomini 45 anni le donne 41.
- Altri due dati, specificamente legati al Lazio e alla città Roma possono esserci utili per
comprendere meglio la situazione: nel 1991 i matrimoni religiosi furono l’83% e quelli
civili il 17%. Nel 2003 i matrimoni religiosi furono il 71% e quelli civili il 29%. La
regione Lazio si trova al 5° posto per il numero di divorzi su scala nazionale, al 6° per
le separazioni …al 13°per la celebrazione di matrimoni religiosi e la città di Roma, come
si suol dire, fa la parte “del leone”
Perché ci si separa
Sempre con l’ausilio dei dati ISTAT (2004) e dall’esperienza personale si può dire che nel caso
di separazione giudiziale nell’81,7% delle volte il divorzio viene concesso per intollerabilità
della convivenza…ma ci sono, spesso, motivazioni strumentalizzate per altri scopi, spesso
economici.
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La domanda che sorge spontaneamente è : come mai siamo arrivati a questi dati sconcertanti?
Una prima risposta è che i valori dei giovani si sono trasformati nel tempo. Innanzi tutto appare
evidente la mancanza di modelli e valori autentici, molto probabilmente da attribuire al
mondo degli adulti che trasmettono ai figli sempre meno valori in cui credere…sempre che i
figli ne abbiano voluto avere.
Risultano sempre più assenti quei valori fondamentali , senza i quali è difficile che una persona
riesca a realizzare il senso del vivere: la schiettezza e la sincerità, la fedeltà, l’impegno nel
perseguire ciò in cui si crede, la Fede.
Se a questo aggiungiamo che la nostra società è oramai pervasa dal relativismo morale, per cui
tutto è in discussione e hanno valore solamente le cose materiali, il gioco è presto fatto: il
Matrimonio Sacramento, in tale contesto, non può avere collocazione!
Dietro il grande numero di divorzi stanno in generale errori di scelta (o rivendicati tali!), incapacità
di porsi autenticamente in relazione con l’altro, carenza di spirito di sacrificio, fa paura il
“per sempre” (e ciò in tutti i campi anche nella realtà religiosa/sacerdotale), un’assolutizzazione
dell’idea di “felicità”. Si vorrebbe, infatti, che la vita matrimoniale fosse un’eterna “luna di miele”:
così non è e non può essere. Vi è il desiderio di raggiungere quel grado di perfezione estetica
matrimoniale che ci viene proposto dai media. Quando il matrimonio si rivela, di fatto, inferiore a
queste altissime e talora spropositate aspettative, lo si rompe e ci si mette alla ricerca del “partner”
ideale, che probabilmente non verrà mai trovato non almeno finché tali aspettative rimarranno
estranee alla realtà.
Occorre dunque un maggiore senso di responsabilità nell’impostare la vita matrimoniale…ma
anche una maggiore preparazione al matrimonio (non un aumento degli incontri nei corsi in
preparazione al matrimonio, ma verifica e richiamo alla volontà di celebrare un sacramento con la
dovuta consapevolezza. Quanti matrimoni celebrati in Chiesa potrebbero essere dichiarati nulli?
Non pochi.), senza dimenticare i maggiori supporti alle famiglie: quante giovani coppie
diventano anonime, nei quartieri nuovi di Roma senza punti di aggregazione civile e religiosa!
Quanti parroci non conoscono le nuove famiglie che sono venute ad abitare nel proprio
quartiere!
È anche vero che la nostra società non aiuta a realizzare tale processo di responsabilizzazione o
preparazione molti non sono più educati al matrimonio né alla sua indissolubilità. Basti pensare
che sempre un numero maggiore di giovani che si sposano arrivano da famiglie già segnate da
situazioni di separazione e divorzio, spesso dolorose e traumatiche. Da ciò si comprende, peraltro,
anche l’aumento della cause ecclesiastiche di nullità di matrimonio a norma del can. 1095 n. 2 e 3
(…incapaci di contrarre matrimonio) e del can. 1101 § 2 (…la non volontà di contrarre il matrimonio) del Codice
di Diritto Canonico. Infatti, andando ad analizzare i dati statistici del Tribunale Apostolico della
Rota Romana e del Tribunale di I istanza del Vicariato di Roma nel 2004 si evidenzia che 134
matrimoni sono stati dichiarati nulli per esclusione della indissolubilità coniugale e 102 vincoli
nuziali per l’esclusione del bonum prolis. Con frequenza preoccupante si notano anche i motivi
di nullità concernente la “incapacitas assumendi onera matrimoni” ed il “defectus discretionis
iudicii”. Mentre sempre più rari appaiono i casi di nullità per esclusione della fedeltà coniugale,
della dignità sacramentale, per impotenza, a causa di condizioni apposte al consenso, per “error in
qualitate” o sulla persona, per difetto di “forma”
A ciò dobbiamo porre un altro fattore: il divorzio, nella società, non è più visto in maniera negativa.
Esiste una mentalità divorzista diffusa anche tra i cattolici e praticanti, come se il divorzio
consistesse anche per essi, nell’ultima ratio per risolvere i problemi di coppia e personali.
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La diffusione della mentalità divorzista, non più solo in ambienti atei o politicamente avversi alla
Chiesa, l’attuale relativismo morale, la negazione del valore soprannaturale e sacramentale del
matrimonio, l’incapacità di porsi autenticamente in relazione con l’altro, carenza di spirito di
sacrificio, l’assolutizzazione dell’idea di “felicità”, il desiderio di rimanere “figli” il più lungo
possibile, sono quelli elementi, lo voglio ribadire, che portano a quei risultati che sono sotto gli
occhi di tutti sulla poca solidità dei matrimoni.
La “sclerocardia” umana…
Data la grave incidenza di matrimoni nulli a causa dell’esclusione del “bonum sacramenti” da parte,
purtroppo, non solo di persone che si dichiarano apertamente atee o anticlericali ma anche tanti
cattolici credenti e, spesso, anche praticanti, mi porta alla memoria il brano di S. Matteo (19, 6)
riguardo all’indissolubilità coniugale, ammessa in certe scuole rabbiniche al tempo di Gesù. Gesù,
interpellato in merito è molto chiaro: la deroga da parte degli uomini a quella che era la norma
espressa in Gn 1,27 e 2,24 : indissolubile “ex iure nature” è dovuta unicamente alla
“sclerocardia” degli stessi, ossia alla “durezza dei loro cuori”, e perciò alla mancanza, in essi, di
vero amore coniugale e di vera comprensione del significato intimo e naturale del matrimonio, che è
intima e quotidiana comunione di vita, da viversi …sia nella buona che nella cattiva sorte; quindi
con uno spirito di donazione totale, che implica necessariamente l’accettazione del sacrificio, da
affrontarsi inevitabilmente nei momenti “critici” della convivenza coniugale. Proprio quella
“sclerocardia” , già indicata da Cristo 2000 anni or sono come causa dell’introduzione del divorzio
e consiste nella incapacità o non volontà umana di amare attraverso una donazione totale di
sé all’altro costituisce, secondo me, la chiave attraverso la quale leggere i fenomeni della
nostra società moderna.
Rifiuto della sofferenza e del sacrificio…
Altro elemento da sottolineare è il rifiuto o la rimozione crescente nella società moderna della
sofferenza e del sacrificio. Il rifiuto della sofferenza o del sacrificio, l’egocentrismo,
l’idealizzazione puerile e superficiale, il culto dell’immagine, tipiche della nostra società narcisista,
in ultima analisi, non sono altro che aspetti di quella “sclerocardia”umana di cui accennavo
precedentemente e indicataci da Cristo come causa ultima del fenomeno sociale e giuridico del
divorzio.
Sclerocardia che si esplica, in ultima analisi, nel rifiuto della stessa metafisicità dell’uomo,
come anche nel rifiuto della procreazione. Nessuna sorpresa, dunque, che proprio i casi di
simulazione parziale del consenso, per esclusione del “bonum sacramenti” e del “bonum
prolis”, risultino oggi i motivi più frequenti di nullità matrimoniali.
Oggi, come duemila anni fa, il divorzio diventa sempre più frequente, a causa della mentalità
individualista e divorzista della nostra società. Il divorzio, infatti, ormai da quasi trenta anni è
divenuta nella mentalità comune della gente, anche in famiglie credenti e praticanti, realtà
scontata!
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Una realtà che ci interpella
Quanto esposto ci richiama che una maggiore e migliore attenzione alla formazione di noi cristiani
sia non solo auspicabile ma del tutto necessaria ed indispensabile. Tutto ciò deve trovare attuazione,
innanzitutto in famiglia, attraverso la preghiera, l’insegnamento e l’esempio concreto e quotidiano
di genitori, che siano umilmente consapevoli dei loro limiti umani (come individui, coniugi e
genitori) e, dunque, consci della possibilità di trovare al di fuori di loro, in Dio e nella Chiesa, i
mezzi utili per il superamento delle crisi coniugali, una scuola cattolica , che sia fedele al nostro
Credo e alle nostre tradizioni, occasioni di riflessione e non di confusione. Nelle parrocchie
attraverso una catechesi costante, che ci accompagni fino all’età adulta e ci renda in grado di
conoscere, comprendere e vivere appieno l’insegnamento cristiano ed ecclesiale. Una società civile
rinnovata capace di attuare politiche sociali ed economiche adeguate, che sostengano e non
mortifichino la famiglia fondata sul matrimonio.
Come muoverci con chi vive la difficoltà di una separazione , di un divorzio
La lunga analisi e presa di coscienza di una difficoltà di vivere il matrimonio-sacramento, al di là di
tutte le motivazioni non può farci dimenticare delle migliaia di persone che vivono il dramma di un
fallimento e, in molti casi non per causa propria, del proprio matrimonio e da una separazione dalla
comunione con la Chiesa che, a parole, viene annunciata, ma nel concreto moltissimi non sentono.
È una realtà che ci interpella sempre più tanto da portare, il 26 settembre 2005 presso il santuario
del Divino Amore più di 400 sacerdoti del clero romano ad incontrarsi con il cardinale Camillo
Ruini per una riflessione guidata e condivisa con p. Giordano Muraro sul tema: “Né esclusi né
riammessi. Il volto missionario con i separati e i divorziati cristiani.” Ne è uscito un discorso a
360° che ne rivela la vastità, la delicatezza e la complessità umana e teologica dove non è facile
trovare una risposta esauriente a breve termine. La ricchezza della relazione e degli interventi ci ha
fatto comprendere, però, come questa situazione stia sempre più entrando in un progetto di pastorale
ordinaria per l’accoglienza e l’accompagnamento di molte famiglie segnate da questa sofferenza.
Una sensibilità nuova capace di mettere in discussione ciò che, spesso, si era fermato ad una lettura
legalista. In altre parole si sta cercando di capire quale atteggiamento sia più corretto tenere alla
luce del vangelo che manifesta come l’amore non sia per gli uomini un optional, ma un’esigenza
naturale, e tale resta anche dopo la separazione, sia per il coniuge, sia per i figli. Come dimostrare il
volto di una Chiesa quale “madre misericordiosa, invece di quella percepita come intransigente e
dura nel momento in cui la persona ha più bisogno di essere aiutata? Se i sacramenti non sono un
premio per i buoni, ma un sostegno per i deboli, fino a che punto è corretto negarli ai divorziati /
risposati che fedelmente e con amore vivono la nuova unione? È evidente che vi è la necessità di
passare dai sacramenti di Dio al Dio dei sacramenti attraverso la Parola, l’eucaristia-sacrificio, la
preghiera, la fraternità. In fondo è ciò che la Chiesa ha spesso ribadito “gratia non alligatur
sacramenti cioè “ La grazia non passa attraverso i soli sacramenti”. È un discorso teologico
articolato e lungo, già in San Tommaso se ne trova traccia, e che studiosi più preparati in materia
possono disquisire in maniera appropriata. È importante, però, porsi un dubbio: siamo sicuri che i
divorziati risposati siano sempre e tutti in stato di peccato escludente la grazia? È pensabile
che alcuni divorziati risposati possano sentirsi incolpevoli sia per il modo con cui la
separazione è avvenuta, sia per il modo con cui è stata maturata la decisione di risposarsi ?
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Più volte abbiamo incontrato persone che sono certe (con retta coscienza) della invalidità del
matrimonio precedente e che non sono in grado di dimostrarla giuridicamente. Senza
dimenticare coloro che arrivano a risposarsi per l’impossibilità di reggere la solitudine o per
evitare solo avventure che non portano ad alcun frutto. Sono argomentazioni che i documenti
della Chiesa hanno ben presente, si veda “Reconciliatio et Poenitentia” e spesso articolato …ma
spesso sia la comunità cristiana che molti sacerdoti non hanno mai letto o hanno dimenticato.
Risultato? Invece di una lettura oggettiva e ricca di misericordia si applica una lettura soggettiva e
rigida in forza di una interpretazione di una normativa più frutto di una elaborazione personale che
della voce Chiesa. La risposta data da Benedetto XVI al clero valdostano il luglio scorso dove così
si è espresso: “Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma
non erano particolarmente credenti, o lo hanno fatto per tradizione, ” e, dalla mia esperienza direi
che siamo sul 75/80%, in questa situazione “e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si
convertano, trovano la fede e si sentono esclusi dal sacramento. Questa è realmente una grande
sofferenza” La situazione, come si comprende, è ancora in un continuo divenire. Ma è importante
che si sia arrivati ad interrogarci a cercare delle vie che portino alla vera unità nella Chiesa che non
può permettersi di avere figli e figliastri se vuole esprimere l’unità del corpo mistico (la Chiesa)
senza la quale non può esserci la salvezza. Stiamo facendo i primi passi. 15 parrocchie di Roma
portano avanti degli incontri di ascolto e di preghiera per divorziati e coppie in crisi. È un
modo per far sentir loro la vicinanza della Chiesa e aiutarli a compiere un cammino di fede. È
sufficiente? Alcune chiese, come quella ortodossa, ammettono i divorziati, in chiesa, a seconde
nozze dopo un cammino penitenziale. Il sinodo francese del 1980, rifacendosi alla pratica delle
Chiese d’Oriente, ha preso in considerazione la possibilità della riammissione dei divorziati
risposati ai sacramenti, dopo un cammino penitenziale, senza la celebrazione di un nuovo
matrimonio Qualche strada, come si vede, si può percorrere anche guardando alla storia della
Chiesa. Concludendo ritengo che prima di tutto debba essere rivista e vissuta in maniera più unitaria
tutta la catechesi dall’iniziazione cristiana all’unzione degli infermi, come già richiamato in altri
passi.
Una nuova sfida per il domani della Chiesa e il futuro dei giovani
Il IV convegno ecclesiale nazionale di Verona ci dice “che in questo millennio, carico di sfide e di
possibilità, il Signore risorto chiama i cristiani a essere suoi testimoni credibili, mediante una vita
rigenerata dallo Spirito e capace di porre i segni di un’umanità e di un mondo di rinnovati”. E
ancora : “ …il convegno vuole porre al centro dell’attenzione delle nostre comunità cristiane la
virtù teologale della speranza. Si è, infatti, consapevoli che non è cosa facile, oggi, la speranza.
Non ci aiuta il suo progressivo ridimensionamento: è offuscato se non addirittura scomparso nella
nostra cultura l’orizzonte escatologico, l’idea che la storia abbia una direzione, che sia
incamminata verso una pienezza che va al di là di essa”.
Sono premesse importanti che ci interpellano su un problema di fondo: Come essere testimoni di
Gesù risorto in un mondo che sembra aver perso la speranza ?
Una società che sta, via via, perdendo la dimensione trascendentale della propria esistenza ed è
sempre più ripiegato sui propri bisogni, incapace di aprirsi al domani. La morte è vista come
l’ultima porta sulla vita, anche quella eterna. Dove i sacramenti sono, nella maggior parte dei casi,
dei fatti da esplicare, ma che non interpellano più la propria vita. Una presenza religiosa che si sta
assestando sul 7/8% dei battezzati. Come arrivare all’annuncio per 90 / 92% di “persone in
fuga” dopo aver ricevuto i sacramenti? Come uscire, ad quella che papa Benedetto XVI, ha
definito “nicchia” della testimonianza della fede? Quali laici abbiamo cresciuto? Quali laici ci
circondano? Laici che più che essere elementi di comunione, sono elementi di divisione…come
se le parrocchie, i gruppi ecclesiali fossero spazi elitari e di “proprietà”. Laici clericalizzati e
incapaci di lasciarsi mettere in discussione nelle loro”certezze”. I “migliori”, purtroppo, sono
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quelli che si allontano dalle parrocchie e chi “cresce sotto l’ombra del campanile”, fa fatica a
crescere anche nella fede.
In una situazione come quella attuale, dove la situazione difficile (a livello di testimonianza di fede
e credibilità di valori autentici) dove tanti ragazzi vivono e dove i genitori sono i primi a non
credere, fino in fondo, né nel sacramento del loro matrimonio, né in quelli che richiedono per i
figli…Sacramenti richiesti…e dati più per “dovere” che per un cammino di crescita cristiana.
Crescita che non trova possibilità di esserci neppure in famiglia…se non attraverso la fede dei
nonni, derisa perchè non compresa o perché espressione più di un “bigottismo” che di una fede
matura e adulta.
Di fronte a una situazione come questa veniamo chiamati a interpellarci di come trasmettere
la fede. La domanda che sorge spontanea è: a chi? Visto i vuoti che vediamo nella parrocchie
sempre più espressione per bambini e dove giovani e giovani adulti sono i grandi assenti.
Le stesse Giornate Mondiali della Gioventù devono essere riviste per non rischiare “la classica
sabbia negli occhi”della realtà mediatica. Cosa riportano i giovani nelle comunità ecclesiali quando
tornano dalla GMG? Poco. Quali giovani vi partecipano? Molti sono già inseriti in cammini come
Neocatecumenali, Focolarini, Opus Dei, cioè piccole nicchie; Altri sono piccole rappresentanze
parrocchiali . Teniamo presente anche l’ostacolo economico e che molti “giovani” della prima ora
( I GMG 1984), hanno tra 35/40 anni! Se poi andiamo a fare dei calcoli sui numeri ci accorgiamo
che purtroppo, sono un numero maggiore, giovani e adulti, che sono rimasti ai margini di queste
manifestazioni di massa e poco raggiunti dai messaggi lanciati in tali occasione.
Detto , forse, in maniera un po’ dura, parafrasando il vangelo. Oggi si deve lasciare la pecora
rimasta nell’ovile e metterci in cerca delle 99 che sono rimaste fuori.
La Chiesa deve ritornare missionaria. Tornare in strada a vivere la quotidianità della gente.
Molti sacerdoti , soprattutto a Roma, rischiano di divenire dei burocrati chiusi nei loro uffici,
a scrivere sull’essere Chiesa, ma senza essere nella Chiesa: popolo in cammino. Cristo, ci
viene insegnato nel vangelo andava per le vie della Giudea e condivideva con la gente il loro
vissuto. San Francesco d’Assisi già nel 1200 aveva visto il rischio di questo allontanamento tra
la chiesa istituzionale e il popolo di Dio. Ora necessita fare meno fogli ed educare ad essere più
figli. Figli del Padre. Annunciatori di speranza camminando a fianco della gente.
Padre Lucio Boldrin
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