Brigantes Franco Maria Puddu20

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Brigantes Franco Maria Puddu20
Brigantes
di Franco Maria Puddu
C
onsiderando il periodo dell’anno in
cui esce questo numero della nostra Rivista,
pensiamo che non ci sarebbe niente di strano a
narrare una piccola storia
di Natale marinara, una
storia che ha il sapore antico
e quasi magico di vecchie
navi varate molto più di
Un nome strano
per un progetto
ancor più strano
che però vale la pena
di prendere in
considerazione
Il vecchio Onice, già un tempo Meta, quando giaceva abbandonato in un angolo del porto di Bari
in attesa della demolizione; in apertura un olio su tela rappresentante il Meta, dipinto dal pittore
di marina Reuben Chappell (1870 – 1940)
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un secolo fa, ma che navigano ancora dimostrando
che alle volte l’età, quella
anagrafica, non è necessariamente determinante, e
può essere non un peso,
ma una bandiera da esibire
orgogliosamente.
Parliamo del Meta, un vecchio scafo realizzato nel
1911 sugli scali dei cantieri
navali Lühring Werft di
Brake, in Germania, con
la tecnica delle lastre in
ferro chiodato; lungo 30
metri, largo sette, era armato a goletta a gabbiole,
ed era stato costruito per
essere una delle tante piccole navi da commercio
che trasportavano merci,
bestiame, passeggeri, posta,
insomma di tutto un po’
sulle innumerevoli rotte
del mondo.
La nostra goletta ebbe però
la sfortuna di nascere in
una data poco fausta: di
lì a tre anni sarebbe infatti
scoppiata la Grande Guerra
che ne avrebbe fatto una
preda bellica francese;
quindi, a dodici anni dal
suo varo, viene trasferita
in Italia dove inizia a la-
vorare per un armatore che trasportava minerale
di talco dalla Sardegna, dove questo minerale
veniva estratto in una miniera chiamata Sa
Matta (la pianta in sardo) esistente nel bacino
minerario di Orani, in provincia di Nuoro, al
porto di Livorno, in Toscana.
Dopo aver assolto quest’incarico per un oltre
un decennio, navigando sempre a vela, la nave
viene acquistata da un altro armatore all’inizio
degli Anni 50. Era un bello scafo, dalla linea
pulita e filante, e viene deciso di ristrutturarlo
radicalmente.
Per prima cosa viene rimosso l’armo velico e si
provvede alla motorizzazione con un diesel
marino Ansaldo che, tramite un albero motore
calettato ad un’elica a passo fisso, riesce a
fargli raggiungere la non disprezzabile velocità
di 8 nodi.
Il karma di una nave
Evidentemente il karma di questa nave la
legava alle isole, perché l’Onice, come era stata
ribattezzata, passava adesso, dal 1953 circa, al
cabotaggio tra le isole siciliane e la terraferma,
in particolare trasportava il GPL in bombole
all’isola di Pantelleria, lavoro che avrebbe
assolto onorevolmente fino alla seconda metà
degli Anni 90, quando l’età e una certa crisi di
settore la fecero ritirare dal servizio e, abbandonata in un angoletto nascosto nel porto di
Trapani, rimase solitaria e seminascosta in
triste attesa di essere avviata verso la fiamma
ossidrica del demolitore.
Una volta deciso di effettuare un controllo l’Onice venne tirato in
secco e sia le lamiere che il motore vennero trovati in buone
condizioni
Ma a quanto pare, c’è un Dio e una giustizia
anche per le vecchie (e belle, perché l’Onice ex
Meta era stata proprio una piccola ma bella
nave) signore del mare. Quando navigava sulla
rotta di Pantelleria, aveva avuto a bordo
Giuseppe Ferreri, oggi capitano della Marina
Mercantile, agli inizi della sua carriera, che, ad
un certo punto aveva cambiato imbarco ma
non aveva mai scordato quello che, in un
certo senso, era stato il suo primo amore.
Anzi, l’aveva ritrovata casualmente nel porto
di Trapani, e aveva saputo che era in vendita
ad un prezzo abbastanza irrisorio, ossia il valore
di quella che sarebbe stata la sua rottamazione
più un dieci per cento del totale. Constatato
che le condizioni della nave, apparentemente
Piano piano iniziarono i lavori di restauro e ristrutturazione che lo faranno tornare alla gloria della vela, lavori che, si prevede, saranno
conclusi nel 2018
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Ed ecco un’altra gloria del mare: il rimorchiatore a vapore Pietro
Micca, 121 anni di acqua sotto lo scafo, 2 guerre mondiali,
come nave ausiliaria la prima, come dragamine la seconda, in
servizio fino al 1993 per fornire vapore alle unità della 6ª flotta
USA a Napoli.
deprimenti, erano in realtà più che accettabili,
sia al livello dell’opera viva che dell’apparato
motore, si mise in cerca di chi volesse tentare
un’operazione un po’ folle, un po’ romantica
e un po’ di investimento.
Ci volle qualche anno, ma alla fine riuscirà a
mettere insieme Oscar Kravina, costruttore
e restauratore di imbarcazioni, l’ingegnere tedesco Tobias Blome, perito nautico e consulente
navale per aziende del settore marittimo, Daniel
Kravina, organizzatore di eventi culturali che,
assieme a lui, hanno dato vita al progetto della
Brigantes Shipping Company.
“Salvate il soldato Onice”
Nel frattempo lo scafo era stato tirato a secco
e controllato dal cantiere Da.Ro.Mar.Ci. di Trapani (alle cure dei quali la nave è stata affidata
per i lavori di ricostruzione e ristrutturazione)
ed era stato constatato che il motore era ancora
in grado di essere rimesso in moto, e che le lamiere dello scafo, come spessore e conservazione,
erano ancora largamente all’interno di quanto
richiesto dalle norme di sicurezza del RINA.
La cosa non deve stupire, perché non tutti i
cantieri sono uguali: ci sono quelli che fanno
le cose un po’ a tirar via (anni fa venne
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accertato che l’affondamento del Titanic, sia
pace alle vittime dell’evento, avvenne non
perché il ghiaccio del fatale iceberg avesse “tagliato” le lamiere, ma perché erano stati utilizzati
rivetti con una percentuale di carbonio sbagliata
che, fra il gelo dell’acqua e la potenza dell’urto,
avevano ceduto, saltando via dalle proprie
sedi, interrompendo la continuità dello scafo),
mentre altri erano più affidabili.
Personalmente, anni fa siamo stati sul Pietro
Micca, un rimorchiatore d’altura costruito nel
1895 dai cantieri Rennoldson & Son a Newcastle,
in Inghilterra e che oggi, con il suo scafo pressoché originale (l’opera morta ha avuto necessità
di alcuni restauri, ma quella viva è integra nel
suo insieme) è rimasto l’ultima nave a vapore
del Mediterraneo se non del mondo.
Unica modifica: al posto della caldaia a carbone
è stato installato un bruciatore a nafta, ma il
cuore pulsante del rimorchiatore è sempre la
gloriosa macchina alternativa verticale a triplice
espansione, con stantuffi a movimenti opposti
e distribuzione a cassetto, costruita dal cantiere
di Newcastle.
E poi non ci si deve meravigliare più di tanto:
l’Onice, ex Meta, aveva una nave gemella, anzi,
di tre mesi più vecchia, il Friedrich, poi Merry,
infine Eye of the Wind, realizzata per il commercio
con l’America meridionale, che ha avuto una
vita più disastrosa di quella del Brigantes, perché
ha dovuto affrontare un gravissimo incendio
che la semidistrusse, ma con le buone o con le
cattive è riuscita a sopravvivere e anche bene.
Tanto è vero che i lettori che hanno visto “Blue
Lagoon”, “Tai-Pan” o, ancora “L’isola del terrore”,
senza saperlo lo hanno visto “calcare la scena”
di tutti e tre i film, essendone la nave protagonista.
A questo proposito, non abbiamo ancora detto
che la parte più interessante, e importante secondo noi, del progetto Brigantes, consiste nel
riportare l’Onice al suo primitivo aspetto, ossia
ripristinare alberi e velatura. Il motore non
scomparirà, beninteso (anche il Vespucci ha il
suo motore ausiliario), ma verrà sostituito da
un motore elettrico alimentato da un apparato
misto ad energia solare ed eolica, cosi la nave
sarà ancor più marcatamente ecosostenibile.
Potrà essere impiegata come nave scuola per
un massimo di dieci allievi (più sette uomini
di equipaggio), trasportare passeggeri paganti
per crociere o riunioni, partecipare a cerimonie,
regate, iniziative internazionali, ma soprattutto,
e questo sarebbe importantissimo per il teatro
del Mediterraneo, potrebbe essere una testimonial
d’eccezione per il rilancio delle attività commerciali a vela.
La rinascita di un settore
Per il cabotaggio, e con un trenta metri neanche
tanto piccolo, che noi abbiamo sempre sostenuto
su queste pagine come validissima alternativa
a molti settori di trasporto su gomma o su
ferro. Preferiamo invece costruire rami ferroviari
sbagliati o inutili che verranno poi definiti
“rami secchi” e tagliati nel giro di pochi anni,
o autostrade la cui durata di realizzazione può
variare dai venti ai trenta anni e che non
saranno mai inaugurate, o cavalcavia che non
Il team della Brigantes Shipping Company: da sinistra, Giuseppe
saranno mai ultimati e si fermeranno malinFerreri (che comanderà il Brigantes), Oscar Kravina, Tobias
Bloome e Daniel Kravina
conicamente con il manto stradale tronco, a
picco su un dirupo.
Molti Paesi del nord Europa
hanno da tempo ripreso
la strada del commercio
velico, e con notevole vantaggio, mentre l’Italia, Paese
rinomato per la ricchezza
delle sue risorse minerarie
carbonifere, delle sue miniere di uranio e dei suoi
giacimenti petroliferi, non
si fa mancare niente.
Siamo dei grandi signori e
ci dimentichiamo che il
piccolo cabotaggio a vela
è stato una delle maggiori
risorse sia per l’impiego di
mano d’opera che per il
commercio nazionale (e
non solo) sino a tutta la
Seconda Guerra Mondiale,
al termine della quale, da
Paese azzerato dal conflitto,
abbiamo scoperto il boom
economico che ci ha portato al punto in cui siamo.
Ben venga, quindi, Brigantes (a proposito, se ne attende il varo nel 2018) e,
speriamo, tante altre unità
similari che potranno dare
una boccata di ossigeno e
Per concludere, la gemella (anche se ha tre mesi in più di età) del Brigantes: Eye of the Wind,
nuovi impulsi alla nostra
prima Friedrich, poi Merry, nata sugli stessi scali e con un recente palmares cinematografico
marineria.
alle spalle.
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