Denaro: un potere creato dal nulla

Transcript

Denaro: un potere creato dal nulla
Denaro: un potere creato dal nulla
Pubblicato il 29 agosto 2014 da Il nodo gordiano
Tratto da: «Il Potere del denaro svuota le democrazie» Settimo Sigillo
Paterson aveva detto: la banca trae beneficio dall’interesse su tutta la moneta che crea dal nulla.
Ezra Pound, Cantos, XLVI, 45
(Sopra: ritratto di William Paterson) Abbiamo visto come il circolante emesso dalla Banca d’Italia sia circa un
decimo dei mezzi da noi impiegati nei pagamenti, che
risultano pertanto decuplicati.
Questa apparentemente miracolosa moltiplicazione dei pani
e dei pesci nei mezzi di pagamento è l’effetto d’un
fenomeno che si ripete negli altri paesi ed è noto agli
economisti come il «moltiplicatore del sistema bancario» o
anche «l’espansione multipla dei depositi bancari».
Non saprei spiegarlo meglio di come abbiano fatto il premio
Nobel Paul A. Samuelson e William D. Nordhaus nel
manuale d’Economia più diffuso al mondo:
Prendiamo ora in considerazione il più misterioso aspetto
della
mone-ta e del credito, e cioè il cosiddetto processo di
«espansione multipla dei depositi bancari».
Forse avrete sentito dire che le banche, in qual-che modo
incomprensibile, creano moneta dal nulla.
In realtà, la crea-zione di depositi bancari non ha alcunché di mistico: si può seguire passo passo ciò che accade
alla contabilità delle banche.
La vera spie-gazione della creazione dei depositi è semplice; ciò che è difficile ca-pire sono le false spiegazioni
che circolano ancora.
Secondo queste false spiegazioni, gli amministratori di una banca or-dinaria riescono, come se le loro penne
fossero bacchette magiche, a prestare parecchie lire per ciascuna che essi ricevono in deposito.
Non c’è da stupirsi se i banchieri del mondo reale si infuriano quando si sentono attribuire poteri del genere.
Magari li avessero! Come ognuno di loro sa bene, non si possono investire soldi che
non si hanno; e i sol-di investiti nell’acquisto di un titolo o nella concessione di un
prestito lasciano la banca.
Perciò i banchieri abbracciano spesso la tesi opposta, sostenendo che il sistema
bancario non può creare moneta (e in realtà non la crea). Dicono: «Dopo tutto,
possiamo investire soltanto ciò che ci viene affidato. Noi non creiamo alcunché: ci
limitiamo soltanto a trovare sbocchi per il risparmio della collettività».
I banchieri che sostengono questa tesi sbagliano; si sono lasciati intrappolare
dall’errore di composizione: ciò che è vero per ciascuno non è, per ciò soltanto, vero per tutti. La verità è che il
sistema bancario, nel suo insieme, può fare ciò che una piccola banca non può fare: può espandere il volume dei
prestiti, e così la moneta bancaria, di parecchie volte rispetto alle nuove riserve create a questo scopo, anche se
ogni piccola banca presta sempre soltanto una frazione dei suoi depositi.
Alla domanda fondamentale rispondiamo quindi in senso affermativo: sì, il sistema bancario e il pubblico creano
realmente, insieme. circa 10 lire di depositi bancari per ogni nuova lira di riserve create per le banche.
Qui non c’interessa seguire ogni singolo passo di tale processo, che nella versione di Samuelson e Nordhaus
appare persino un po’ edulcorato, minimizzato. Importante è stabilire che esista, che non sia l’invenzione
polemica di economisti non ortodossi, di monetary cranks, maniaci della moneta, come gli eretici a cui si
richiamava Ezra Pound (Silvio Gesell, Clifford Hugh Douglas, il premio Nobel per la chimica Frederick Soddy,
Arthur Kitson, etc.); come l’americana Gertrude Coogan, autrice nel 1935 di un libro sui creatori di moneta che
ebbe dodici ristampe fino al 1974 ed è stato ora proposto in Italia nella collezione L’Antibancor curata da
Salvatore G. Verdè; o l’ancora attivissimo Lyndon LaRouche, da circa un ventennio puntuale candidato
minoritario alla presidenza degli Stati Uniti, tra i primi a denunciare i pericoli per la smisurata proliferazione dei
prodotti derivati, mentre di questi prodigi dell’ingegneria finanziaria si compiacevano gli apologeti della libera
circolazione dei capitali.
Ogni banca ordinaria in effetti potrebbe prestare solo un po’ meno dei soldi che le vengono depositati, perché la
banca centra le per motivi di sicurezza le impone di
versarne almeno una quota in riserva.
Tuttavia, già prestando ad altri il rimanente, aumenta per
quella parte, dell’80% ed oltre, il denaro virtualmente
esistente: perché chi ha depositato denaro nel suo conto
corrente considera di averlo, potendone disporre in
qualunque momento, mentre appunto l’80% o anche più
del deposito è stato prestato nel frattempo a terzi, che al
tempo stesso come lui ne dispongono riaprendo con un
altro conto bancario lo stesso processo.
Il passaggio di assegni senza contante da una banca all’altra e da un deposito all’altro crea di fatto moneta
bancaria per degli importi, che vengono decuplicati anche se l’entità del circolante resta immutata. Sono, come
abbiamo già visto, delle operazioni a rischio limitato perché previsto dall’esperienza, secondo cui mai i
depositanti ritirano simultaneamente tutti i loro denari.
Si alimentano situazioni di movimento di cui il sistema bancario ragionevolmente si fida, così come noi ci fidiamo
ad andare in aereo pur sapendo d’esser sorretti dalla velocità e che non ci si potrebbe fermare per aria senza
atterrare o cadere.
In base alla stessa logica si sono sviluppate le banche centrali, prestando soldi dei governi (cioè monete d’oro e
d’argento del re o della repubblica) ai governi e ottenendo da loro l’autorizzazione a raddoppiarli mettendo in
circolazione altrettanti biglietti di banca garantiti dai governi stessi. Il modello venne lanciato poco più di trecento
anni fa, nel 1694, da William Paterson, che creò la Banca d’Inghilterra raccogliendo soci intorno a un prospetto in
cui prometteva, come leggiamo ripetuto con indignazione nei Cantos di Pound, di lucrare due volte interessi, una
prima volta prestando denaro sonante al re, che lo avrebbe poi restituito pagandoci un primo interesse, e un’altra
volta prestando al pubblico altrettanti pezzi di carta, cioè del denaro creato appunto «dal nulla».
Chi ne aveva bene individuato sin dal secolo scorso il carattere truffaldino era stato verso la fine del primo libro de
Il Capitale Karl Marx in un passo che gli stessi marxisti,
attirati piuttosto dal problema del «plusvalore» che si
produce nell’economia reale sottraendolo ai lavoratori,
hanno un po’ trascurato:
Fin dalla nascita le grandi banche agghindate di
denominazioni nazionali non sono state che società di
speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai
privilegi ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro.
Quindi l’accumularsi del debito pubblico non ha misura più
infallibile del progressivo salire delle azioni di queste
banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della
Banca d’Inghilterra (1694).
La Banca d’Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro
al governo all’otto per cento; contemporaneamente era
autorizzata dal parlamento a batter moneta con lo stesso
capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in
forma di banconote. Non ci volle molto tempo perché
questa moneta di credito fabbricata dalla Banca d’Inghilterra stessa diventasse la moneta nella quale la Banca
faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello Stato gli interessi del debito pubblico.
Non bastava però che la Banca desse con una mano per aver restituito di più con l’altra, ma, proprio mentre
riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all’ultimo centesimo che aveva dato?